Giovanni Righi Riva - Caduta

Page 1


CADUTA

Indice

GENESI................................................................................................................................................2 LA CADUTA: problematiche e puntualizzazioni................................................................................6 GENERALIZZAZIONI......................................................................................................................11 CADUTA E RINASCITA...................................................................................................................16 ANATOMIA DELLA CADUTA I째...................................................................................................37 ANATOMIA DELLA CADUTA II째.................................................................................................50 DELITTI E TRADIMENTI..............................................................................................................69

1


GENESI L’analisi del simbolismo della Caduta, quale è espresso nel Libro della Genesi, deve essere compiuta in modo specificatamente esoterico. Il “Signore” di questo Eden si manifesta “custode di libertà” e non come Ente di Totalità. Così egli colpisce l’arbitrio e condanna chi si è condannato, e cioè costata la conseguenza dell’azione arbitraria che è stata compiuta. Il “Dio dell’Eden” non è il Creatore, il Padre: è invece il Demiurgo, il quale fa ciò che il Padre gli ha detto ed agisce in Suo Nome. La Genesi dunque tratta dell’Uomo in quanto Archetipo della Manifestazione, e non dell’Uomo Cosmico, che è la totalità della Manifestazione stessa. L’Uomo in quanto Archetipo s’attiva nell’Albero dell’Esistenza, e deve attingere a quello della Conoscenza quando il Demiurgo lo indicherà; altrimenti cade nel travalicamento del limite, da cui nasce il dolore. La conseguenza dell’arbitrio compiuto è la perdita del Paradiso terrestre, distinto da quello Celeste che è il Mondo divino delle Potenze Archetipiche Primordiali, gli Dei costruttori dell’Esistente. Tuttavia il Paradiso Terrestre nasce con il “serpente” e non nell’innocenza originaria. Infatti, quando l’Uomo e la Donna travalicano il loro limite, essi sono soli, lasciati a se stessi. Perché? Possiamo immaginare che quello sia il momento della scelta, e che essi, soli con sé medesimi, siano comunque con l’Amore del loro cuore? Nò. Il simbolo è concreto: il Serpente esiste nel Giardino, e non è stato annunciato. Conseguentemente i due enti di polarità non sono attenti al suo ingresso nel loro particolare campo. Il custode è lì, ma non compare. Il Cristo appare? Può apparire solo tramite la creatura, e la “creatura” del Demiurgo non fa parte del Padre che è Misericordia e Amore, e nell’Uomo e nella Donna non fa la parte del Padre come verità nella scelta. In entrambi i casi c’è arbitrio; tuttavia l’arbitrio peggiore è quello di lasciare soli l’uomo e la donna dopo aver loro dato soltanto un “criterio” di comportamento, e non aver insegnato la vera ricerca interiore del Padre. Ecco il punto oscuro del Demiurgo, che ingiustamente è confuso con Kether ed invece è il Pleroma, il Mondo archetipico emanato a immagine del Mondo Causale. Il Demiurgo è creatura. In tal modo il simbolismo della Genesi illumina solo coloro che sono in Cristo, ed oscura quanti non sanno entrare nel Regno di Dio, l’Amore. Ecco un altro punto da discriminare. Dice il Demiurgo: “Noi non vogliamo che Adamo ed Eva siano come noi, e vogliamo che non si cibino dell’Albero della Vita”. Ma i “Noi” sono contaminati dal Serpente, che si aggira nel Mondo Demiurgico e che insegna il rigore astratto e non l’Amore concreto. Quindi scacciano l’uomo e la donna 2


da Eden, che rimane “loro”, e li caricano del frutto delle azioni da entrambi compiute, ma anche del peso del campo demiurgico: peso consistente negli effetti del travalicamento di limite compiuto dal Pleroma in un tempo antecedente, e dovuto al fattore egotico evidenziatosi nel campo archetipico. I “Noi” sono quindi contro il Padre in Kether (contro l’Idea di Kether espressa in Chockmah), e non “con” il Padre. Poco nel principio, e molto dopo, così come indicano le successive “cadute”, espresse nei simboli del Diluvio, di Sodoma e Gomorra e con la stessa vicenda del “popolo eletto”, il mondo dei figli di Adamo ed Eva. In questo contesto è inoltre sancita la supremazia dell’Uomo sulla Donna, e la derivazione del principio esplicante da quello ideante (la donna nascerebbe da una costola d’Adamo, nemmeno dal suo cuore). E’ errore malaugurato e maledetto, che nega l’identità dell’Atto divino che crea a immagine del Divino stesso, Kether in ogni creatura. Il mito dice dunque che l’uomo del Paradiso Terrestre è “formato” dal Demiurgo a “sua immagine e somiglianza”: immagine e somiglianza che vogliono sovrapporsi a quella vera e principiale, opera di Dio. Conseguentemente l’Adam così ricostituito non poteva che cadere, se lasciato a se stesso, perché carente dell’Idea reale e quindi già in una condizione precaria. Perché dunque è lasciato a se stesso? E’ abbandonato dal Mondo pleromatico, dalle Sephirah; non da Kether, che sana potenzialmente ed attualmente questo delitto (sempre secondo la libertà espressa nelle scelte dei Suoi figli) sacrificandosi in Gesù e Maria (in Osiride ed Iside, se ci riferiamo alla simbologia nilota) per sostenere l’Uomo contro il potere demiurgico, e per ritornare l’Evento manifestato nel Segno supremo. I popoli della Genesi erano dunque (e tuttora sono) sotto l’imperio del Demiurgo, e ne traggono insegnamento di rigore ed implacabilità, ingiusti contro Dio e la sua Manifestazione che vogliono dominare. In tal modo gli ebrei cadono nell’inganno e nell’arbitrio e, in presenza di Cristo, lo crocifiggono rendendo così operativo l’atto d’empietà insito nel momento della loro scelta primordiale: il Demiurgo, e non l’Amore di Kether. L’uomo archetipico nasce come sostanziale difesa dell’atto manifestante contro la perdita di realtà puntualizzatasi nel “demone”, il quale nega se stesso per voler essere “dio”. L’Uomo di Kether è quindi il potente strumento di misericordia e di sacrificio, è cioè il Cristo come appare nell’Atto manifestante e nell’Emanazione, e quale s’intuisce nel suo Archetipo principiale - Gesù - che agisce in proprio Nome come artefice terreno e custode della libertà d’amore. Questo fattore implica il superamento del potere demiurgico, e la riconduzione del campo oscurato al principio di Polarità, che è identità fra l’Uomo cosmico e la Donna cosmica in ogni uomo e donna da loro resi alla vita. Principio che è duramente negato dal titanismo della Caduta, fondato sul potere e possesso anziché sull’Amore: titanismo che implica l’aggressione a Dio mediante il desiderato dominio delle Sue Modalità supreme, falsamente comprese come polarità delle creature. Tale empietà 3


implica l’intenzione totalmente velleitaria d’incesto e di parricidio, che è l’essenza della Caduta. Il “principio ideante” di questo mondo archetipico (il Demiurgo) non ammette di perdere la supremazia sulla donna, che qui è identificabile nella stessa Manifestazione, e si schiera contro il Padre: Egli vuole possedere la Potenza esplicatrice dell’Idea per usarla ai suoi fini, che sono l’autorealizzazione secondo il proprio ego contro e fuori del disegno divino. Così il Demiurgo sancisce l’inferiorità di Eva e la rende schiava del proprio potere, che è tanto più subdolo e penetrante quanto più è celato nelle religioni e nei riti nominalmente direzionati al Divino: che è affermato e violato nello stesso tempo. Eva però è possente, e reagisce contro la prevaricazione su tutto quello che rappresenta l’entità maschile, cercando di rendersi autonoma e di forgiare a sua volta il campo esistenziale (la Manifestazione, perché Eva è Archetipicità pleromatica) secondo la propria immagine, imitando e contrastando la stessa idea distorta di Adamo. Questo è il “peccato di Sofia”, da cui deriva l’aborto che è la maya del ciclo manifestante, e l’attuale vi è compreso. Eva deve essere indicata come “matrigna” contro Binah, la Madre vera: la quale in Maria di Nazareth compare come Carità e Sacrificio per ricondurre i figli all’esatta Immagine emanata da Kether, la polarità d’amore. In tal modo Eva ci appare tragica, serva e padrona insieme ed in perpetua lotta contro se stessa a livello inconscio, contro il Demiurgo maschile e contro l’archetipo costituito dall’Uomo e dalla Donna cristici, i quali intendono cancellare l’arbitrio dissolutivo della Caduta e riportarla al suo esatto ruolo esplicativo/ideativo, nel quale ella è la Luce dell’emanazione, la Rosa, divina “ombra” della Rosa Mistica e Trascendente, l’Iside della Natura. Ecco perché Eva, che s’identifica in tal modo con la totalità del Demiurgo e contro il momento “virile”, è feroce anche ora e in questo nostro campo: troppe volte essa ricalca le orme dell’Eva Primordiale, la tremenda Dea delle Potenze pleromatiche decadute ed in fase di angosciosa disgregazione. Per quest’Universo il crollo è inevitabile, ma solo per la parte che è demiurgica, priva di Centro. La Manifestazione in Cristo, infatti, supererà la prova che la liberazione dalla Caduta necessariamente comporta. Coloro che sono nel Sentiero di Kether, nel Centro Atmico, sono in salvo, e la scissione dalla parte malata del Campo esistenziale renderà agibile il ritorno a Eden, al vero Paradiso che è Celeste e Terrestre insieme. Gli altri, Sofia irredenta e Demiurgo oscurato, o si riconciliano con la loro Realtà ontologica o finiscono nelle loro stesse ideazioni, che sono l’abisso del “male”, del dolore e del nulla: il “Ni”. L’Eden di Cristo appartiene a quanti, pur vivendo nel campo di Sofia e del Demiurgo, si rendono princìpi elementari di sacrificio e di salvezza, e sono così il vero Adamo e la vera Eva nelle loro infinite esplicazioni. Per i cosiddetti “dei costruttori” di questa nostra maya dolorosa la Caduta è verticale, e non si arresta nel semplice riassorbimento: essi finiscono “oltre” l’Ideazione di Kether, dentro l’aspetto 4


dissolutivo infinito che solo al termine del Tempo e dello Spazio attuali potrà trovare superamento. Questo stato di vita/morte è la Qelliphoth, che l’Amore del Padre con le schiere dei Suoi figli redenti potrà ricondurre al Sé e a un nuovo cammino, oltre il nostro Orizzonte. In Cristo c’è salvezza, sempre. (9/02/94) Nota. Il Demiurgo è principio ideante maschile, e Sofia è principio esplicante femminile. La frattura del nesso polare comporta il dissidio e la reciproca prevaricazione dei due enti, con conseguenze disastrose per tutti gli ambiti che non sono veramente centrati su Dio, a seguito dell’effetto induttivo violentemente perseguito. Gli archetipi oscurati, lontani dal Centro proiettivo (il Centro Atmico, lo spirito, il Cuore della personalità) sono infatti molto carenti d’energia vitale, e privi d’ideazioni dotate di una qualche realtà: ne consegue una deformazione dei campi esistenziali, che è anche conseguenza del depauperamento energetico a cui sono sottoposti costantemente. Questo è problema generale, a cui noi stessi siamo sottoposti, e non è risolvibile che nel processo iniziatico. Sofia, in questo contesto, prevale nei piani eterici: cerca conseguentemente di rendersi “virile”, e cioè di modificare il piano vitale secondo le proprie autonome ideazioni. Parimenti, il Demiurgo vuole raggiungere la potenza informante femminile e, rinunciando alla sua vera natura, è intento a determinare formulazioni a propria immagine, penetranti e letali. Questo stato d’entrambi è la radice dell’omosessualità, maschile e femminile, che è negazione completa dell’Idea di Polarità, vero fondamento della Manifestazione. Il conflitto fra Sofia e il Demiurgo è condotto senza esclusione di colpi, e soprattutto a livello inconscio. Qui l’ente “maschile” può compensare la sua inferiorità numerica ed operativa, data la peculiarità del proprio mentale, assai capace di penetrazione sottile. Entrambi inoltre, uomini e donne di un Pleroma decaduto, si trovano stranamente in accordo contro il dinamismo cristico, che conduce la Volontà di Kether ovunque vi sia un principio d’ascolto. In tal modo i campi del Glifo privo di Centro appaiono unitari contro il Padre, e sopiscono la loro tremenda conflittualità quando possono scaricarla su discepoli di Cristo. Tuttavia, così facendo, si specchiano nel Suo Amore e, talvolta, questo è il principio della loro redenzione. Talvolta. 

5


LA CADUTA: problematiche e puntualizzazioni Per procedere ad un’analisi attenta del problema rappresentato dalla “caduta” e dalle sue conseguenze nei campi sephirotici, questa volta ci sembra opportuno fare riferimento ad un testo insolito per la nostra cultura, il CORANO. Il Corano è erede di differenti sapienze, che sono potute permanere assai più semplicemente nel mondo islamico (erede d’antiche tradizioni) che nella nostra sfera di conoscenze. Leggiamo dunque in questo Testo, che, al termine della Sua opera creatrice, Dio chiese a Shaitan, alto fra gli angeli del Mondo archetipico, di prosternarsi di fronte a Adamo, l’ultimo archetipo emanato: il quale, come tale, rappresentava e rappresenta la sintesi di tutto il Pleroma. A questo punto Shaitan si rifiutò dicendo: “(7.129) Io sono migliore di lui. Tu mi hai creato dal Fuoco, e quello l’hai creato dalla polvere”. Dio gli rispose: “Vattene. Così non potrai più gonfiarti d’orgoglio qui. Suvvia, esci. Ed eccoti fra quelli che non valgono (7,13/18)”. Quello disse. “Accordami un rinvio fino al giorno in cui verranno risuscitati.” “Sì, - Egli fece - tu sei di quelli cui il rinvio è accordato.” E l’altro disse. “Ebbene, poiché Tu mi hai messo nell’errore (!) in verità mi frapporrò fra la tua via diritta e la loro; poi, in verità, li circuirò davanti e dietro, alla loro destra ed alla loro sinistra, e ne troverai la maggior parte ingrati.” “Ebbene, esci – Egli disse – coperto d’obbrobrio e scacciato. Sì, chiunque di loro ti seguirà, in verità di voi tutti riempirò la Gehenna.” -OCi occorrono a questo punto alcune deduzioni importanti. Innanzi tutto, la permanenza di un Pleroma oscurato è qui affermata, e fino a quando non accadrà un “giudizio” che metta fine all’empietà, risuscitando i giusti e condannando i reprobi all’espiazione/comprensione del loro stato. Questo è fondamentale, perché suggerisce che la Qelliphoth è attuale, cosi come è attuale la “caduta”: il mondo infero ha dunque la capacità d’interferenza con i Mondi di Dio, e ciò finché un evento salvifico o risolutivo non metta fine a questo stato. Dobbiamo inoltre ricordare che l’Emanazione (che noi intendiamo nel senso di processione “in Dio da Dio”) è la vivente volontà dell’Assoluto, il quale la determina 6


nella Sua coscienza (Cit). L’Universo quindi vive di Dio, vive della Sua volontà nella forma specificata d’energia vitale. Se un campo pleromatico si pone “fuori” da questa Volontà/Energia, esso si rende estraneo alla vita vera: ma permane, così come insegna il testo islamico. E perché permane? Occorre essere esatti. Non permane che per un atto del Padre, atto che ha un’estrema motivazione: sussiste perché Dio non rinuncia al Suo piano creativo in presenza dell’inadeguatezza delle Sue modalità autocoscienti (jivas), ma se ne addossa il peso e crea le condizioni del riscatto. Riscatto che ovviamente ha differenti fasi: la prima è di scissione fra coloro che Lo amano e quelli che Lo negano. La seconda è rappresentata dalla purificazione dei reprobi, in vista di una nuova occasione di scelta e di reintegro nella Volontà primaria. La terza fase è quella che deve tentare di ricondurre gli Archetipi decaduti ad un atto di scelta positiva – praticamente impossibile senza un sostegno esterno – che cancelli l’abisso evidenziatosi nelle loro menti, e li ritorni alla Via diretta. Tale evento richiede il complementare sostegno della (1) Misericordia divina e della (2) pietà umana: tali fattori, infatti, sono i Due aspetti della Manifestazione. Queste considerazioni ci illuminano sul significato della Croce di Cristo, ed in modo puntuale: l’Amore del Padre, che è l’unica ragione fondante di tutto il processo emanativo, è offeso e piagato, e la Santa Croce della Manifestazione è ridotta alla nera Croce del Calvario di Gesù e dell’immobilità imposta a Maria, ipostasi della Madre. L’evento cristico è indirizzato ad infiniti scopi: ne rileviamo adesso quello di garantire un sentiero di salvezza per quanti non si vogliano riconoscere nell’egotismo qelliphotico, ed impartire un ammonimento estremo alla stessa Qelliphoth. Essa incontrerà se stessa come Gehenna, dovrà comprendere il proprio passato ed emendarsene completamente. Qui Dio è Giustizia e Rigore, che sono gli unici aspetti del Primo Amore suscettibili d’essere compresi dal mondo demonico. Questo campo pleromatico involuto – per quanto sostenuto in vista di un difficilissimo riscatto – si è posto fuori dal campo energetico fondamentale: conosce conseguentemente la vanificazione e l’impotenza, e le teme. Vuole allora crearsi una base intangibile di “potere” che gli garantisca le condizioni esistenziali attuali. Il racconto coranico dice molte cose, in simbologie allusive ma precise. Il mondo caduto coinvolge nel suo atto la Manifestazione, della quale è pur sempre – virtualmente – un elemento costruttivo. La Manifestazione soggetta al demone è dunque distorta, plagiata ed irreale, ma questo solo per quanti condividano, a vari livelli, l’archetipicità deviata. Il demone non ha vera capacità creativa od espressiva, ma può generare una falsa rappresentazione che si sovrapponga alla realtà dell’Atto divino, e cercare d’imporla. Noi siamo purtroppo nell’ambito di questa maya, ancora non completamente distorta ma certamente intrisa di fattori involutivi: ciò deve essere ben presente a 7


qualsiasi ricercatore. Egli, infatti, non deve combattere contro le proprie e sole istanze individuali, i buchi del carattere. Deve piuttosto affrontare la situazione “di campo” che egli stesso ha contribuito a determinare con i suoi arbitri passati, e che lo lega ad un ambito non coerente con la Volontà primordiale ed immanente. In altre parole, tanto nella sua mente conscia quanto (e ben di più!) in quella inconscia esistono fattori leganti. L’emancipazione del singolo non può conseguentemente prescindere dalla purificazione del campo, sia interno sia esteriore. In qual modo la sfera esistenziale può tuttavia essere emendata? In due modi, che il Testo citato indica: con la “resurrezione” a Dio e/o con la “rescissione” dallo stato esistenziale attuale, per incontrare l’esperienza della Gehenna, la quale è poi esperienza delle proprie forme interiori. La salvezza individuale, insomma, proprio “individuale” non è: occorre agire sui nessi unitivi, spesso troppo condizionanti, che ci associano al Globale perché noi ne siamo parte, e non per caso. -OProcediamo adesso ad alcune specifiche dei concetti fin qui esposti. 1) Innanzi tutto, noi ci troviamo in un campo intermedio, per alcuni aspetti simile a quello esemplificato nel Bardo tibetano o nel Duat egizio. Per essere precisi, il Bardo in cui viviamo assume particolari qualificazioni solo nel caso di un ricercatore che voglia interrompere il nesso vincolante con la “caduta” ed i suoi campi involutivi. In tal caso egli, infatti, incontra una puntuale e specifica resistenza, che non è nuova nel suo corso esistenziale globale ma certamente molto dimenticata. La sfera qelliphotica (o in fase meno degenerata d’involuzione) infatti, non vuole che l’uomo di un piano intermedio - considerato tra l’altro infimo - ricordi e, ricordando, si conosca e si voglia difendere con miglior ragione. Non vuole neppure essere percepita, e la sua azione più incisiva accade nella mente inconscia. La mente inconscia può essere un vettore verso esperienze particolari, che rendano la persona più suscettibile di controllo e di sfruttamento. Notiamo così che l’azione qelliphotica si articola su vari livelli, e si dissimula con qualunque mezzo o metodo che essa possa e sappia individuare nella personalità delle sue vittime. Tutti in potenza vengono considerati oggetti di dominazione, e tutti conseguentemente sono “vittime”. Nessuno si può illudere d’essere fuori di questo problema, che appartiene alla totalità della Sfera esistenziale, nostra ed altrui. Anche dei campi cosiddetti “sottili”. 2) Come ci configuriamo, di conseguenza, nel quadro generale? La nostra zona è ancora partecipe, e talvolta in larga misura, dell’Ideazione principiale. Lo è poi ogni qualvolta una motivazione d’amore e d’unità si sostituisce a quella di potere. Così l’amore è contrastato a livello induttivo, ed al suo posto è incentivata la voglia di dominio e di sfruttamento dell’altro. Perché? Per un motivo alquanto ovvio, e per uno che tanto non lo è: il motivo ovvio è che i campi involuti “trasformano” incessantemente in sé stessi quelli che non sanno restare con Dio, e questa è 8


induzione imitativa generale, praticamente automatica. Più particolarmente possiamo suggerire che coloro i quali – contro Cristo e contro l’insegnamento tradizionale – si conformano all’involuzione, determinano nel loro mentale una forma suscettibile di richiamare su di sé gli aspetti intellettualmente affini. Specificatamente, un atto di prevaricazione (a livello politico, scientifico, o “semplicemente” erotico) che venga compiuto apre le porte psichiche alle induzioni del piano similare, ovviamente oscurato, che voglia rendersi attivo almeno quanto noi ci siamo resi ricettivi nei suoi confronti con la nostra follia. Ne consegue un’induzione di tipo qelliphotico che potenzia strutture interiori “già” esistenti, o le determina con efficacia se in noi è presente una certa predisposizione. La catena dell’involuzione è potente e tragica, come la nostra stessa storia recente e passata ci insegna, inascoltata. 3) La decadenza verso zone involute determina poi, necessariamente, la carenza dell’energia vitale. Così molte sono le zone, estremamente prive di “prana” ed in sua perpetua ricerca, che ci insidiano. Ma anche la nostra dimensione comincia a far brutta mostra di fenomeni molto scompensanti. Il prana, infatti, è la forma più sottile dell’energia che procede dal Principio; più esattamente è l’energia che attiva, guida e puntualizza tutte le rimanenti energie, nei suoi confronti “pesanti”, ben raffigurate nei Quattro Elementali. Il nostro ambito è “ancora“ ricco di prana; è ancora capace d’intelligenza dell’amore; ha un senso - non esatto ma sussistente della Polarità. Quindi la nostra zona è per altre un pericolo da dominare o cancellare, ed insieme un ambito da sfruttare, veramente attraente. L’interferenza demonica possiede queste basi e queste motivazioni; tuttavia la presente indicazione non è sufficiente. 4) Dice il Corano che l’Angelo del Fuoco (il più alto in potenza ed atto) del Pleroma archetipico si è rifiutato di prestare omaggio all’Angelo della Terra, il più umile ed ultimo fra gli Archetipi pleromatici. Cosa è allora l’umiltà dell’Angelo di Malkuth? E’ la precisa consapevolezza del proprio stato di fronte a Kether, di fronte all’altissima missione affidatagli dal Padre. Non dunque un atteggiamento di cosciente infimità davanti agli altri Archetipi, ma di consapevole e vivida esattezza. Inoltre l’Angelo di Malkuth è l’ultimo che si evidenzia nel Pleroma: è quindi la sintesi di tutto il piano archetipico e – come tale – non è altro che l’esemplificazione unitaria di tutte le Sephirah cui è affidata la costruzione della Manifestazione. Questo ci dice che inginocchiarsi di fronte all’Angelo della Terra è esclusivamente inginocchiarsi di fronte a Dio ed alla sua Sapienza, la quale determina un “punto unitivo e sintetico” delle multiformi linee vettoriali del Creato, e che quindi concede tanto agli Uomini che alle Donne d’essere tramiti della volontà creatrice a tutta la Sfera manifestata. Ci s’inchina solo dinanzi alla Sofia Trascendente (la Madre, Binah), non di fronte ad una Sua creatura, come tale identica a tutte le altre e similmente nobile. 5) Per finire, suggeriremo una cosa nota, ma troppe volte in modo molto impreciso. Il mancato riconoscersi delle Sfere sephirotiche in Malkuth implica l’imperfetta comprensione dell’evento FORMA, e quindi un’incapacità – pur da questa prospettiva – di attingere all’Energia primaria. In altre parole, le personalità 9


del Pleroma della Caduta sono degradate “anche” a livello somatico, e non possono mantenere le proiezioni di concretezza con sufficiente stabilità, se non le ricavano da ideazioni (consce ed inconsce) e da energie dei piani a loro più o meno soggetti. Escludendo le Sfere più evolute, partecipanti a vari gradi del Divino e quindi completamente inagibili agli strati inferiori, le zone involute premono soprattutto sulla mente degli individui viventi nella nostra dimensione, distorcendola e degradandola perfino oltre le loro oscurate intenzioni. Di qui il “ciclo breve” (utile del resto ai fini del dominio), contraddistinto dall’invecchiamento molto rapido, dalla malattia e dalla morte. La morte ed il dolore sono in effetti la tragica invenzione della “caduta”, che ribalta il piano divino e contamina l’universo. 6) Le entità di campo che permangono nell’arbitrio non sono facilmente evocabili perché non hanno più sufficiente realtà. Chi lo tentasse (ma sarebbe magia nera) dovrebbe anche conferire al “daimon” la propria energia, per permettergli di concretizzarsi in forma fisica. Le entità oscurate sono allora simili ai “vampiri”, i fraintesi “vampiri” di tante leggende: sono i veri “vampiri” della nostra storia più recondita e celata, e vogliono e possono il male. Altra cosa è se il processo esoterico conduce alcune di queste infelicissime personalità in zone dimensionali più prossime al Regno di Cristo. Allora – ma in lungo tempo! – esse possono recuperare le esatte formulazioni autorappresentative, e giungere ad integrarsi nuovamente nell’Ideazione di Polarità. Questo è un evento considerato da molte ascesi, anche da quella coranica e sufista, per non parlare dell’induismo. Ma ciò in un altro momento. 7) Un compito di ricerca per noi tutti: Cristo, in Gesù ed in Maria, assume la Forma dell’Uomo che è Adam, ed in quella è crocifisso. Domandarci il senso ed il momento dei simboli è un dovere elementare, se abbiamo una qualche intelligenza del Reale. Il nostro mandala di meditazione è la Croce del Calvario: basta leggerlo con l’amore di Dio.

Dicembre, 1999

10


GENERALIZZAZIONI (sul problema dell’estensione della “caduta”) La condizione esistenziale del nostro stato ed in quest’epoca è generalmente fraintesa, e sovente considerata alla luce di dogmatismi e di concezioni aprioristiche molto astratte ed intellettualistiche, che ben poco hanno in comune con la situazione reale. Il problema dell’interpretazione del vissuto, della verità e dei valori che l’informano è stato affrontato nei secoli in formulazioni che talvolta hanno raggiunto un senso profondo delle cose, e sovente l’hanno mascherato o frainteso. Noi crediamo, alla luce di conoscenze sorrette da un’adeguata esperienza, che il nocciolo della quaestio consista in un preciso (quanto ci sia possibile) ritorno al Sé trascendente ed immanente in ognuno di noi - tramite quel punto d’unione e di percezione rappresentato proprio dalla “immagine” di quel Sé, il “sé” personale. Ma il processo è difficoltoso e variamente osteggiato, tanto a livello “sottile” che in quello denso, della vita comunemente intesa. Perché? E’ apparentemente logico e naturale, e coerente con l’insegnamento tradizionalmente impartito da istituzioni religiose, filosofiche o grosso modo esoteriche, pensare che esista vicina una “zona” dimensionale armoniosa ed amica, capace di sorreggerci e difenderci nella nostra volontà di riscatto e di realizzazione. In effetti, quest’idea contiene un’assoluta verità ma deve essere compresa: o si risolverà in illusione e nelle conseguenti frustrazioni. Premettiamo quanto già abbiamo avuto occasione d’affermare molte volte: il Padre agisce sempre in difesa del Suo atto emanativo, ma direttamente soltanto tramite i Suoi enti a ciò preposti. Questa nozione è la base interpretativa di tutta la nostra storia, dalla “caduta” primordiale ed odierna al sacrificio del Padre stesso in Cristo, in Gesù che è vero Dio ma anche e perfettamente “vero Uomo”. Il Padre in questa Sua azione accoglie in Sé tutta la nostra umanità nel dolore, nell’allontanamento e nella stessa morte fisica (il peggiore arbitrio nei confronti di Chi è Via, Verità e Vita), collocandosi misericordiosamente (la Misericordia divina è il Cristo!) al livello più reale quale l’uomo può esprimere in un dato momento del suo processo esistenziale, e non oltre. Così Egli, in Gesù, accetta in Sé stesso la nostra caduta e le sue tragiche conseguenze, e le risolve nella e con la nostra stessa umanità. Comprendere l’azione divina non è facile; ma è semplice se ci poniamo nell’ottica precisa che può essere intuita proprio a livello di sé personale. Conseguentemente il primo passo verso la liberazione è il conseguimento di questa capacità percettiva, d’ascolto profondo ed interiore oltre il comune livello mentale: nello spirito, la prima guaina della personalità che è oltre l’aspetto formalizzante dell’autorappresentazione mentale, e pertanto prevalentemente “informale e sintetico”. L’attività dello spirito consiste nella fondamentale capacità di ricezione della Realtà secondo le formulazioni e i vettori che si sono resi attuali e comprensibili nel 11


momento vissuto; ricezione sintetica, che esige la susseguente attività mentale ed intellettuale per essere discriminata ed autorappresentata. Qui sta il problema. L’autorappresentazione è l’attività dell’organo mentale ed intellettuale, che la riferisce a sé medesimo nel punto d’individuazione rappresentato dall’io. In effetti, l’io agisce sintetizzando i dati recepiti in vettori di giudizio e d’azione, e conseguentemente qui affiora la dicotomia fra lui e l’altro e la necessità del giusto rapporto con il proprio campo esistenziale, tanto interiore che “esterno”. Ne consegue che tutta l’autorappresentazione, il mondo che ci appare e le sue indeterminate componenti, sono “mente” e “rapporti” fra gli elementi costitutivi della mente, le concettualizzazioni e le idee capaci di esprimere una valutazione e una direzione esistenziale. Tuttavia la nostra mente non è “semplice”, e racchiude una prevalente area incognita che chiamiamo “inconscio”, dotata esattamente degli stessi fattori che compongono la coscienza ordinaria e quindi di un proprio “io”. Ma essi sono fuori del nostro controllo normale, e quindi rappresentano un fattore incognito e ovviamente di rischio. Infatti, la loro ignoranza non è né naturale né normale, se per normalità intendiamo l’aderenza all’Idea fondante di Manifestazione, che è di Dio. Ed allora, perché quest’inconscio? Da dove proviene? Di cosa è composto? Certamente a grandi linee la risposta è semplice: proviene da noi e dalle nostre scelte non in coerenza con la Volontà manifestante del Padre. Occorre però specificare che “noi” non ci costituiamo monadi che nella prospettiva oscurata ed imperfetta di una “caduta”, perché nel concreto siamo elementi di un insieme, di un’Interità nella quale viviamo agendo e ricevendo impulsi dai suoi elementi costitutivi. Nel nostro stato, quest’Interità è distorta e, conseguentemente, deformi e temibili sono le molte induzioni che possiamo assorbirne, e che generalmente si collocano proprio nel nostro ambito mentale inconscio: inavvertite e pur attive, capaci di diventare “nostre” se come tali le riconosciamo passivamente quando affiorano in tendenze, impulsi ed atti conformi alla loro natura. La “caduta” ha frantumato la Manifestazione del Padre in aree esistenziali molteplici, conflittuali l’una con l’altra e conseguentemente non reali nella loro essenza, ma apparentemente molto concrete nel dispiegamento per chi ne sia coinvolto. L’interferenza di queste aree è il massimo problema dell’iniziazione ad un sentiero di rinascita, ed altrove abbiamo più volte affrontato questo tema. Quello che ora ci preme di sottolineare è l’effettiva estensione delle zone inquinate dalla perdita del Sé, del Centro interiore che è la scaturigine di quelle “immagini del Sé” che noi effettivamente siamo. Il problema è grave, e lo accenniamo a titolo informativo (il ché è poi utilissimo!) sottolineando che la sua comprensione accade solo nell’esperienza iniziatica guidata dal vero Maestro, ben oltre l’insegnamento dei tanti falsi istruttori che qui generalmente compaiono. In termini succinti affermiamo che il dramma della “caduta”, nella nostra zona, colpisce il “pleroma” che l’amministra anche a livelli genericamente molto elevati e secondo variegate situazioni, che vanno dal più becero sfruttamento dei sottoposti a durissime affermazioni concettuali, tese soprattutto – ed anche nella stessa ignoranza (avidya) dei loro fautori – al mantenimento di uno stato 12


di potere e di dominio sulla Manifestazione e, in ultima analisi, sullo stesso Dio Creatore. La mente inconscia appartiene purtroppo anche ad enti pleromatici che ne dovrebbero essere pressoché esenti, ed a livelli gravissimi: così possiamo convergere con gli antichi maestri gnostici nell’affermare che il “demiurgo” è – oltre che immensamente egocentrico – enormemente ignorante e pertanto pericoloso, a se medesimo e a tutto quello che governa. Se analizziamo il nostro ambito comune, possiamo facilmente constatare come messaggi d’altissimo od estremo valore si siano deformati nell’arco dei decenni e dei secoli, generando interpretazioni capaci di addurre ingiustizie ed abomini. Lo stesso Vangelo di Cristo è divenuto troppo spesso pretesto per persecuzioni e sopraffazioni, e questo è davvero un limite massimo perché è messaggio di solo amore. Ma tant’è: accadde, accade e – purtroppo – accadrà ancora nella storia dolorosa dell’umanità. Qui ed altrove. La deformazione degli enti pleromatici è fenomeno tragico perché essi controllano e regolano le energie manifestanti, e determinano i vettori di svolgimento delle esistenze singole e di quella dell’Interità. Al limite, questa condizione conduce fatalmente alla crisi dissolutiva, al Kali-Yuga che non è nel vero ordine delle cose ma appare in quello arbitrario del Demiurgo; notiamo poi, per inciso, che lo stesso uomo del nostro pianeta ha assunto e mantiene una specifica volontà demiurgica nei confronti del proprio campo sfruttandolo, inquinandolo e devastandolo a livelli ormai poco sostenibili, e che in quest’attività è responsabile in proprio ed assieme alle aree esistenziali che interferiscono perché trovano nella nostra (Malkuth, secondo il simbolo sephirotico) la massima concentrazione d’energia informante, ed un supporto molto efficace alle ideazioni di potere (o di piacere: compenso al disagio comunque condiviso). Quando affermiamo che il problema investe le entità del pleroma indichiamo una situazione gravissima, che sarebbe davvero disperata se l’immanente Misericordia di Dio fosse sempre ignorata. Fortunatamente così non è, anche se “molti sono i chiamati e pochi gli eletti”, e cioè pochi quelli che ascoltano il proprio cuore ed agiscono conformemente. Ne consegue che Dio è impedito nella Sua volontà, e che la Manifestazione ristagna. Mancano, infatti, le personalità capaci d’interpretarla esattamente ed efficacemente, ossia quelle che possono, vogliono e decidono di ricondurre l’Amore a questi vertici pleromatici che sostanzialmente lo negano, o ne hanno una concezione riduttiva, astratta ed opprimente. Naturalmente un compito siffatto esige il sostegno del Testimone interiore, del Maestro di vita. L’esperienza insegna che l’ammonimento cristico di “guardarci dai falsi maestri” è qui assolutamente pregnante, e di non facile attuazione. Occorre la Fede, l’affidamento incondizionato al Padre di Tutto, che si esplichi nel profondo ascolto interiore e quindi nell’azione conforme. Di “falsi maestri” nel corso del sentiero esoterico ne compaiono molti e la loro voce – rassicurante e paterna! – può essere localizzata, ascoltata perfino al centro del petto: non nel profondo, vero “cuore”, però. Lì sono assenti. Ma essi si servono della 13


mente imperfetta che in genere abbiamo per ingannarci e tradirci, e delle nostre conseguenti inadeguate volizioni. Occorre quindi l’attenzione iniziatica e non quella “comune”; ed occorre la costanza nell’affidamento al Padre. Perché Dio consente tante difficoltà? E perché le aree di Realtà del Suo regno, che pure sussistono e sono immense, in apparenza nulla fanno? Sono domande difficili. Dio non elide le scelte dei figli, ma le conduce a compimento: nella gioia, se esatte; nell’inevitabile sofferenza se distorte. Dio, ricordiamo, agisce tramite i Suoi enti, e mai - finché è possibile - autoritariamente. Ma nel caso di chi voglia reintegrarsi nell’Idea fondamentale, perché tanti ostacoli? La risposta risiede nella necessità di un’esperienza guidata per addivenire ad un’effettiva comprensione e soluzione del problema esistenziale e del nostro stato: solo in tal modo s’elide il karma preterito e si dissolvono le potenziali causanti di nuovo karma distruggendo la capacità induttiva delle entità oscurate, e la loro potenzialità di dominio. In quest’ottica gli ostacoli che l’allievo incontra rappresentano gli stessi fattori della sua personale caduta, ed il loro superamento disgrega i condizionamenti karmici che ne sono derivati; inoltre, la storia di un ente è anche quella di un processo che l’ha relazionato e lo relaziona con un numero elevato d’altre personalità, con le quali ha condiviso errori e sofferenze, e che hanno comunque precise interessenze con lui. Ne consegue che la sua purificazione ha e deve avere effetto anche sul campo generale, a cominciare da quello più “prossimo”, che comprende – per quanto abbiamo osservato – molte individualità ora appartenenti anche a zone dimensionali contigue, ma che furono tutte effettivamente vicine in un passato oscurato: anche di fatto. La volontà di Dio, la Sua Misericordia, ha sempre un valore ed un’intenzione globale, e secondo i limiti che incontra praticamente nello svolgerla (abbiamo detto che il Padre si colloca nel Figlio a livello creaturale!). In questo modo il problema del pleroma, del “nostro” pleroma demiurgico, ci riguarda direttamente, così come diretta è la sua incidenza nel caso di una nostra volontà di riscatto. La via iniziatica allora non è come la supponevamo, e le molte aporie ed incongruenze iniziali acquistano col tempo una differente logica: così come altri prima di noi, anche di diversa estrazione culturale (Valentino o Basilide, o i mistici egizi e tibetani), impararono nella loro fatica. Cosa fa nel frattempo il mondo della Luce, il vero Regno, il Pleroma di Cristo? Non è assente, come sembra e sovente s’opina. Regge e lotta per difendere, ma non può né vuole interferire direttamente prima che i protetti, gli allievi di Cristo, abbiano compiuto la parte a loro affidata. E tuttavia è presente, e le nostre difficoltà sarebbero davvero estreme se non sussistesse quest’aiuto, davvero fondamentale. Dio, insistiamo, opera tramite i Suoi enti pleromatici, che tuttavia regge e guida nella loro azione. Nella pratica, occorre che l’allievo sappia andare oltre le apparenze del Sentiero, che sono “prove” capaci di mettere a nudo le sue intenzioni, e “porte” in grado di riflettergli il suo vero volto. Il Guardiano delle Soglie è, infatti, lo specchio divino in 14


cui ci vediamo quali siamo, e richiede la vera purificazione perché non c’interdica il passaggio. Altrimenti noi stessi siamo il nostro ostacolo. Quanto abbiamo indicato richiede – insistiamo – una conforme esperienza d’introspezione per essere veramente afferrato, e diventare in tal modo uno strumento di rinascita. Ma Dio c’è, ed è purissimo Amore per tutti noi. 22/01/2004

15


CADUTA E RINASCITA Problematiche e considerazioni sulle simbologie sephirotiche

1. Corpo: nel concreto 4. 2. Particolare nel concreto 3. Universale nel concreto

Anima: concreto nel particolare 5. Particolare nel particolare 6. Universale nel particolare 10. UNO - Tutto

7. Spirito: concreto nell’universale 8. Particolare nell’universale 9. Universale nell’Unità

16


Se manca Tiphereth come esplicazione dell’Ideazione di fondamentalità i collegamenti sono differenti: se Geburah è collegata a Chokmah e a Binah, il vettore non passa attraverso il principio ideante di tramite, e quindi non è reale, è solo supposto da Geburah che si colloca a sé medesima come ricettiva dell’Ideazione, pur mancando di questa capacità virile. Geburah non è tramite, ma Idea d’esplicazione che presuppone il tramite dell’Idea di Kether. E’ insomma assente la sintesi polare. 17


18


Se s’ipotizza la formulazione polare principiale come indica la I° configurazione, la polarità è rappresentata da due piramidi con base quadrata comune, il cui vertice superiore è tramite fondamentale verso il Mondo Causale, e il cui vertice inferiore è la “Forma” nel suo aspetto fenomenico attualizzato secondo l’Idea motrice, il centro del quadrato è il vertice di quattro triangoli ed esprime la sintesi/amore del Centro unitivo polare, il quale riceve direttamente dall’aspetto noumenico superiore l’Ideazione informante, e da quello “inferiore” (ma inferiore solo sotto il profilo grafico!) l’esplicazione formale, e cioè l’ideazione di ricezione della divina Volontà fusa con l’ideazione divina d’esplicazione. Le due piramidi rappresentano quindi rispettivamente il momento virile/ideativo nelle sue quattro fondamentalità polari (i quattro elementi in sintesi polare interiore) ed il momento femminile/esplicativo con le sue quattro facce polari, rappresentanti i quattro momenti energetici, le quattro guaine della personalità, i quattro stadi dello spirito nel suo dinamismo creativo. A questo punto il quadrato di base è la totalità della capacità d’incontro, e il punto centrale è l’Atma, lo Yin-Yang, la presenza dell’Amore/Misericordia nella creatura. Diciamo che il quadrato di base è la personalità come “realtà di scelta”, e cioè come intelligenza d’amore: il che è identità – che la creatura può attingere – con l’Ideazione divina che discende in lei (si svela in lei) tramite la Linea Retta che nasce da Kether. Questa è la via del Fuoco puro, il quale attinge l’immagine di Sé nello specchio di Kether al centro delle due piramidi, nel Cristo. Lì percepisce la sintesi (verso il Mondo Causale, l’Uno) e l’analisi (verso l’esplicazione infinita, il Molteplice). In tal caso la realtà della creatura non è nel direzionarsi verso Kether e l’Ain Soph come riassorbimento in Loro, ma nell’incontrarsi in Cristo, e cioè nell’Atma come persona reale e in fusione polare con l’altro aspetto – maschile e femminile – del dinamismo manifestante, secondo la qualificazione sua propria ed in armonia con la Volontà del Padre: fusione-amore, differenziazione-amore. Il tragitto manifestante, che rappresenta qui l’aspetto sinergico dell’Atto creativo e quindi la metodologia fondamentale d’emanazione, viene ad essere concepita così: da Kether, Ideazione di Ain Soph di creatività alla Potenza, la suprema Chakti, la Madre, Iside trascendente che, modalità di Ain Soph in Kether, determina l’ideazione di creatività concretamente formale volta al Mondo Relativo: Horo, il Figlio, Chokmah. Di qui l’ideazione è recepita dall’aspetto/tramite fondamentale della creatura, l’Ente virile ideante, che è ricettivo e quindi sotto questo profilo “femminile” se rivolto al figlio, ma è attivo come atto di scelta di quest’Ideazione. Quindi egli trasmette l’Ideazione al primo momento di ricezione dell’Idea fondamentale, la Sephirah di Geburah, che è la nitida capacità di cogliere ciò che le è affidato secondo la giustizia, l’equilibrio, la verità d’Amore di cui è portatrice, esplicandola nelle sue componenti fondamentali ed entrando in questo in sinergia con il momento dell’amore dolce e fluido di tipo sintetico - Chesed - sintesi d’esplicazione e quindi 19


sintesi: scelta dell’analisi compiuta da Geburah, che è eseguita personalmente e con l’integrazione sinergica della stessa sephirah Geburah. A questo punto la scelta di dinamicità può essere posta al Centro della Polarità, in quel “Yin/Yang” che è nuovamente incontro totale dei due momenti maschile e femminile. Qui si opera il trapasso dell’aspetto etico all’aspetto informante, ed il vettore ideativo tocca Hod, il cui campo autorappresentativo definisce le mete e le potenzialità, e quindi Netzach, in cui l’Idea assume le valenze formali adeguate al suo emergere nel piano esistenziale: infatti, il triangolo, o per meglio dire la piramide del campo astrale o sottile si qualifica nell’aspetto Forma, rappresentato dal vertice inferiore dell’ottaedro, e cioè da Tiphareth intesa qui come svelamento di Forma/Creatura/Vita. Ma Tiphareth, in effetti, è comprensiva di tutta la dinamicità femminile, e quindi di Geburah e Netzach, così come l’Ente virile (ora Malkuth) lo è di tutta la capacità del tramite ideativo, assorbendo in sé, in sintesi, Chesed e Hod. Occorre inoltre considerare che Tiphareth è femminilità con potere ideativo di esplicazione, e quindi attinge anche a Chesed e a Hod in seconda modalità interiore, così come Malkuth è attivato nel suo aspetto femminile da Geburah e Netzach. Ma Tiphareth attinge a Malkuth tramite appunto Chesed e Hod, e Malkuth intuisce Tiphareth immediatamente e concretamente nel Centro polare unitivo, e mediamente nel fluire esistenziale in Geburah e Netzach. Il che significa che per Malkuth il contatto con Tiphareth richiede l’esatta ideazione d’esplicazione della volontà suprema rivolta alla polarità (Geburah) e l’esatta intuizione del valore simbolico e sostanziale della Forma (Netzach). Per Tiphareth invece l’accostamento a Malkuth implica la precisa intuizione del campo autorappresentativo personale e comune in Hod (Intelletto d’Amore) ed in Chesed (mitezza, tolleranza, dolcezza esistenziale): ciò oltre la puntuale sapienza dei propri momenti tipici di personalità, rispettivamente – per la donna – Geburah e Netzach, oltre la specificità di Tiphareth, e per l’uomo – in Malkuth – Chesed e Hod. Ma che cosa è – ora – Tiphareth? Tiphareth è la Potenza, l’immagine della Madre, la proiezione nella creatura dell’infinita capacità emanatrice di Ain Soph in Binah. Quindi Tiphareth è Iside come “Natura”, donna, sposa, laddove Malkuth è il “tramite” del dinamismo creativo di Ain Soph in Kether, da questi in Binah ed in Chokmah: il Cristo, l’eterno sostegno al limite della creatura perché essa si regga nell’Illimite. ************ Il problema è qui: la configurazione del Glifo è priva del Centro ideante, tramite di Chokmah a Geburah. Qui è la Caduta, e l’infinità d’amore/intuizione che doveva incentrarsi nell’Ente tramite, si disperde e diventa, agli occhi offuscati dell’Emanato, l’infinità delle suddivisioni dell’intelletto/mente/io: l’Abisso che divide il creato dal Creatore, e che può essere superato solo con il ripristino del vettore ideativo di tramite, in sostituzione dell’archetipo caduto. 20


Ecco dunque emergere Malkuth, il dramma di Malkuth ed il suo conflitto con l’Emanazione sconvolta dal taglio che la separa dal suo unico Fattore, l’Amore. Il resto, dopo.

Se la polarità manca, manca la dinamicità del Glifo e le Sephirah sono in conflitto reciproco: ciò implica la loro necessità di scaricare le tensioni su Malkuth, inteso non come Principio Ideante virile, ma come “Forma e ricettacolo” di tutte le distorsioni dell’Albero Sephirotico. In tal caso il Centro d’equilibrio del Glifo, che è la polarità ideativa ed esplicativa in sintesi, manca, e quest’assenza è la Croce di Dolore che il Cristo assume per ricondurre tutte le creature alla Sua Luce. Questa simbologia è la Caduta quale appare ora, nel momento del Kali-Yuga, occorre ripristinare il Centro nella sua essenziale configurazione di dinamicità creativa: i Tre cerchi, Rosso – Bianco – Verde 21


attorno all’Atma, il cristo in Gesù e Maria. Il nostro assunto è che il Centro ideativo fondamentale, o meglio primevo, è caduto, e che questo fattore modifica sostanzialmente la configurazione del Glifo. Riteniamo dunque fondato considerare il Da’ath come “assenza di tramite” e pertanto “Abisso” di conoscenza intellettuale che separa il mondo formale dal Mondo Causale con le sue infinite suddivisioni, analisi, razionalizzazioni, tutte fondate su altre suddivisioni, analisi e razionalizzazioni manasiche (dal punto di vista dell’Emanato!) e, sotto il profilo divino, come Abisso d’Oscurità in cui la Creazione si disperde finché non riesce a realizzare, con il proprio Centro, la presenza divina in lei. Realizzare il Centro: cosa è dunque questo “centro armonizzatore”, equilibrante e d’infinito sostegno, che si suole indicare con il suo effetto esplicativo come Tiphareth? Tiphareth è considerato “maschile” in quanto Centro atmico del Glifo, e pertanto sede dell’Amore/Sacrificio del Cristo: ma qui occorre specificare ben altro. Il Cristo è – innanzi tutto – la Misericordia di Kether, e cioè l’amore di Ain Soph per la Sua creatura: in Cristo, sintesi ineffabile d’Amore, Amore rivolto al sostegno totale di ciò che è limite, esistono le due fondamentalità ideative ed esplicative che imprimono il dinamismo della Manifestazione emanando le infinite componenti del campo formale. In particolare (ed il discorso è di tempo/spazio, pertanto relativo all’attualità sotto un preciso angolo di osservazione) esistono qui le Idee assolute di Uomo e di Donna, come specificazione e come unità d’immagine vivente – autonoma nell’azione quanto libera nella scelta – del Padre: Gesù e Maria (utilizzando i “nomi” simbolici del sacrificio storico a noi noto) sono sotto il profilo creativo Uomo e Donna “in totalità” (il che esclude e supera la polarità a noi comprensibile) e attualità assolute. Quindi sono in uno veramente Dio e veramente Uomo/Donna, nell’ineffabile sintesi cristica dell’Amore. Tiphareth è la sede centrale della presenza divina nel Glifo: è quindi Centro ideativo e Centro esplicativo, Atma dell’Emanazione. Ma noi per Tiphareth intendiamo più specificamente la Sephirah, e cioè la funzione intermediatrice che la Manifestazione si dà con il sostegno dell’Amore divino. Sotto questo profilo Tiphareth è esplicazione dell’ideazione fondamentale, e pertanto deve considerarsi nella sua configurazione dinamica “femminilità”, anzi, l’essenza stessa della Femminilità. Ma l’esplicazione implica la presenza del tramite ideativo primordiale, e sappiamo che questi, venendo meno al sé medesimo, è caduto, è scomparso nella Qelliphoth. Quindi la Tiphareth centrale è arbitraria, è in cerca di un principio che la vitalizzi come Potenza, in mancanza del quale non può che darsi formulazioni incomplete e infondate. La simbologia della Genesi è chiara: la prevaricazione accade per travalicamento del limite personale, ed al posto dell’amore polare compare la 22


reciproca aggressione dell’uomo e della donna primordiali. Eva agisce per l’egotica assenza di sostegno di un Adamo che ha perduto la sua capacità intuitiva rifiutando il Padre, e opera “contro” l’Ideazione fondamentale portando in evidenza quanto era implicito nell’atteggiamento del suo principio ideante: sostituirsi alla Volontà Divina con la propria arbitrarietà, per impadronirsi – con la Conoscenza totale – della stessa Divinità diventando così “padroni” del Bene identificato con il proprio stato d’espansione egotica. E questo è invece il Male. Quindi la Tiphareth che vediamo posta al centro del Mondo Formale è, in effetti, dissipata ed ingannevole: è l’Eva della Caduta, laddove il suo Adamo è assenza ed oscurità. Ma la Caduta, pur colpendo la totalità della Manifestazione con la sua empietà deicida, non ha coinvolto in modo analogo tutte le Entità archetipiche e le loro esplicazioni. Quindi il Glifo ha trovato in sé la forma della resistenza e ha tentato di reggersi: come? Occorre specificare: nessuna difesa è possibile – per chi è limite – senza l’Illimite che si esprime con l’Amore di Cristo. Quindi la difesa del Glifo è costituita, sotto il vettore essenziale, dal sacrificio del Cristo e dalla sua Croce di dolore. E’ cioè l’assunzione in Sé del peso dell’Emanazione oscurata per ricondurla alla sua realtà e, sotto il profilo comportamentale dell’ente emanato, la “scelta” di ritrovare il Padre nell’Amore di Cristo, superando la conflittualità del processo disgregatore del demone, e puntualizzando in sé un nuovo tramite ideante capace di colmare l’abisso della Caduta con l’addossarsi la propria responsabilità nei confronti tanto del Mondo Causale che del prossimo esistente. Il ché implica – come dice il Vangelo – assumersi la nostra Croce, quella che il mistero del Padre affida ad ogni uomo e ad ogni donna in cerca della loro verità. Sotto il profilo sephirotico occorre dunque che venga evidenziata la nuova forma archetipica di tramite virile dell’Ideazione divina: la struttura del Glifo esprime questa convergenza delle Sephirah in un punto focale che le puntualizzi sinteticamente e insieme le trascenda nella sua basilare funzione impersonale (ente ideante di tramite) e personale, di reale compagno d’esistenza della Donna in ogni donna incontrata. Questa funzione è essenziale, ed implica il ripristino della Polarità offesa, offuscata e cancellata dall’evento della Caduta. Ma poiché questo accade nell’ambito dell’Emanazione sconvolta da tale frattura – ed è qui il problema della conflittualità dell’Albero della vita, ed è qui che deve risolversi il suo dramma – il nuovo Archetipo si trova a dover lottare contro le condizioni generali della Femminilità totale, colpita e distorta a tutti i livelli e sia pure in modi differenti, la quale tra l’altro – essendo priva di sostegno ideativo centrale – è esposta alle nefaste influenze dell’Abisso qelliphotico ed indotta conseguentemente ad incentrarsi in uno scarno intellettualismo di compenso e razionalizzazione del suo stato, ben più che a ricercare, in sé ed oltre sé, la fondamentalità della propria natura. L’Archetipo nascente in Malkuth deve conseguentemente affrontare, assieme al 23


personale problema di ricerca di Sé nel Centro, il tremendo stato di offuscamento della Femminilità, che esplica un mondo distorto: non più secondo la volontà del Padre ma secondo la propria egoità. E’ il peccato gnostico di Sofia, che determina l’attuale condizione dell’Emanazione. Ma vedremo ora le più immediate conseguenze di questa situazione. ************

La femminilità dei campi sefirotici può rappresentare, e rappresenta, il più potente ostacolo al ripristino del mondo ideativo del Padre, secondo la Sua volontà. Essa, priva d’ideazione e quindi di capacità autorappresentativa sufficiente, finisce col degradare a livelli sempre più oscuri e possessivi nell’inutile ricerca di un’autosufficienza che è per definizione impossibile, in quanto attualizzabile soltanto nella Polarità. Quali sono questi livelli? Nel campo attuale di un Ente ideante di Malkuth sono estremamente degenerati e conflittuali. Mentre le entità femminili più elevate – ripristinando il loro stato primordiale – si collocano in sintesi polare ai limiti del Mondo Causale (Hiranya-loka: il campo/universo più rappresentativo dell’ideazione fondamentale, dove le Entità incontrano la loro vera normalità nel cammino verso il Principio), altre in più compromesse situazioni tendono a conservare la propria identità in differenti modalità vitali, che si collocano fra l’immobilismo ascetico astraente dalla loro specifica qualificazione e l’appropriamento di qualsivoglia fonte energetica capace d’essere oggetto di sfruttamento e di possesso. Mentre il primo caso è temibile per l’inevitabile degrado che implica (essendo irreale agli occhi del Padre) il secondo rappresenta l’emersione della Caduta, e può condurre il principio autocosciente al livello più basso concepibile: quello demonico. Il demone non ha vera qualificazione, ma è soltanto virtualità di polarità: conserva comunque – almeno finché può appropriarsi di energie altrui – un certo grado di capacità ideante ed esplicante che è la parodia e la degenerazione delle primitive personalità. Diciamo in particolare che gli enti ideanti virili, precipitatisi nel loro ego, sono intellettualismo analitico volto al potere senza freni e considerazioni di alcun altro tipo (male abbietto) e le formulazioni esplicanti femminili si rendono succubi di queste entità, nella violenta e disperata ricerca di un qualsivoglia ambito vitale. Infatti, il degrado della Caduta implica la progressiva perdita, negli uomini, della fondamentalità ideativa reale, riducendoli a manas che finisce con rappresentarsi solo la propria egoità, e cioè il niente; nelle donne, l’assenza di ideazione le conduce al medesimo effetto, ed il loro campo esistenziale viene ad essere completamente oscurato, riducendosi ad esclusiva illusione di possesso. A questo punto tali entità, un tempo uomini e donne viventi nella Luce, tendono costantemente all’invasamento del campo altrui: primo fra tutti quello di Malkuth, il Regno. Malkuth è, infatti, visto come il nemico principale dell’Archetipo degenerato, il 24


Lucifero della Caduta, poiché ha la capacità di fungere da tramite all’Emanazione per volere del padre e nel sacrificio di Cristo: conseguentemente è il massimo ostacolo al tentativo demonico di possedere tutto il mondo emanato e di ridurlo al proprio ego. In particolare gli enti femminili cercano un elemento ideativo da strumentalizzare, che le sottragga da un lato alla spietata dominazione dei vecchi degenerati compagni, e fornisca insieme un campo rappresentativo vicario alla loro incapacità: energia primieramente, poi emozioni e un qualche dinamismo esistenziale. Questa è la situazione del ricercatore che voglia oggi, in Malkuth, emanciparsi dal legame karmico e dalla ruota delle vite successive. Egli incontra le difficoltà del suo itinerario vitale nell’ambito a lui proprio, ma soprattutto è sotto l’induzione di potere e possesso di campi sefirotici distorti, i quali scaricano nel migliore dei casi su Malkuth le proprie incompletezze e che, nel peggiore, tentano - possedendolo - di trasformarlo in un proprio schiavo: al limite, ridurlo a sé. Naturalmente esiste il sostegno e la ferma decisionalità del Cristo, e di coloro che in Lui s’incontrano ed agiscono. Ma nessuno può sostituirsi all’atto di scelta della persona autocosciente, e l’attuale Malkuth rappresenta un precipitato, un campo in cui tutte le conflittualità del Glifo tentano di comporsi e di soverchiarsi reciprocamente. Malkuth è in sintesi un momento di decisionalità, di libertà e di rinascita che può essere frainteso e fallire, nel nostro tempo/spazio, il suo compito. Malkuth deve riportare al Glifo l’ideazione divina, contro tutta la Caduta che lo ferisce e nonostante l’implacabile volontà dissolutrice di buona parte dell’Emanazione. Quindi l’esoterista incontra formulazioni distorte, difficili e lontane dalle sue motivazioni di realizzazione, tanto quanto gli è più difficile supporre e – lungi dal renderle nullità e abisso – deve tentare di riportarle quanto meno nelle direzionalità divine primordiali, fornendo l’occasione a molte o ad alcune di loro di riprendere, sia pure all’inizio, il cammino, o di poter scegliere il Cristo rendendosi così, nel Suo sostegno, emendato dal degrado subìto. Questo è il primo ostacolo nel cammino di risalita per un ente di Malkuth, ed il primo grave impegno esoterico cui tutti gli altri sono poi coordinati. Poiché l’attuale situazione manifesta il Kali-Yuga, le condizioni dell’operatività sono rigorose ed oltremodo difficili da essere pienamente comprese. Come non mai è necessario il sostegno del Maestro, la Guida in Cristo, e l’attivazione del Centro Atmico onde recuperare l’intuizionismo discriminativi d’amore, e le modalità dell’azione teurgica. Esaminiamo nel prossimo paragrafo alcuni fattori incidenti sull’interpretazione del Glifo, che hanno immediato riscontro nell’operatività esoterica. ************ La simbologia del Glifo non concede nessun tipo d’interpretazione che non sia 25


fondato sull’intuizionismo e sull’Amore. Nato per fornire un metodo sintetico d’ascesi e di contatto con il Divino, il Simbolo è un tracciato d’estrema importanza sia per l’espressione della propria capacità operativa che per l’individuazione del piano in cui esse devono esplicarsi. In effetti, ben poco è possibile se non si comprendono le vie sefirotiche e se queste non vengono interpretate con esattezza. Nel caso di un atto di modifica e innovazione del campo autorappresentativo il Glifo indica la via di realizzazione: il preciso intendimento del piano di Hod, la forma dell’operazione che deve essere assunta in Netzach, l’induzione centrale su entrambe le componenti energizzate del proprio impulso interiore – intuìto nel Centro – e la condensazione in Yesod, che è la forma sottile di Malkuth. Qui il Glifo si ferma e qui ci occorre risalire. Da Malkuth a Tiphareth, dove l’esplicazione diventa realtà affidata al Padre in Cristo, e da Tiphareth in sintesi con Malkuth verso il campo esistenziale, e cioè condensata, precipitata in quella zona indicata come Regno, ed ora impropriamente come “Malkuth”. Il primo tracciato indica l’attivazione psichica e di elezione, il secondo quella operativa conseguente. Il problema interpretativo è specificamente Malkuth: esso è indubbiamente il punto di convergenza delle potenze operative del Mondo Manifestato, e quindi è il campo dove le ideazioni, le formulazioni conseguenti che specificano aspetti ideativi e le induzioni d’esistenza e di direzionalità si esprimono o in forme o in atti o in eventi. Ma quest’aspetto di Malkuth, che è certissimamente sotto questo profilo campo formale e quindi femminile, non è il Malkuth cui alludiamo quando consideriamo il Glifo sotto l'aspetto di personalità e di polarità: in quel caso, infatti, per noi Malkuth è il tramite ideante di Kether, e la riproduzione in senso cristico e specificatamente innovativo del primordiale tramite, caduto per empietà d’essere pari e superiore al Padre. Malkuth è dunque, sotto quest’angolazione, centro d’evidenziazione dell’ideazione fondamentale, in attuale fase di formazione o – meglio – di svelamento. Quindi il processo del Glifo dovrebbe essere questo: da Kether a Binah, che esprime (Iside trascendente) l’infinita Potenza di Ain Soph e che determina in Chokmah, il Figlio, - e cioè l’Ideazione Fondamentale creativa - il vettore manifestante. Questo sotto il profilo ideativo puro. Sotto quello esplicativo il tracciato si differenzia. Da Kether a Chokmah come “idea primaria” e da Chokmah a Binah come Potere/Potenza manifestante: che nella creatura determina l’ideazione d’esplicazione del vettore esistenziale. Quindi Binah attiva il momento virile più consono, Chesed, l’Equilibrio e la Mitezza, il quale “filtra” l’Ideazione e la trasmette al fattore energetico di Geburah, dove essa è analiticamente portata a esplicazione di specifica vettorialità, ma Geburah di per sé è insufficiente e quindi – essendo essa un aspetto del campo femminile – la equilibra compiutamente al Centro del Glifo, in quel Punto che è solare e quindi 26


maschile in senso ideativo, e lunare e pertanto femminile in senso esplicativo. Qui il fattore causante che ha seguito il suddetto tracciato incontra l’altro fattore, procedente da Kether a Binah, da questa a Chokmah (qui inteso come momento trascendente attivatosi in Kether tramite la Sua Potenza e rivolto al mondo formale), da Chokmah a Geburah, che riceve l’ideazione primaria d’esplicazione e quindi si rivolge a Chesed per essere attivata dal suo contenuto ideativo. In questo istante il percorso s’incontra nel Sole di Tiphareth, dove avviene l’immissione del fattore totalmente equilibrante dato dalla presenza, dal sostegno divino in Cristo, il Salvatore ed il Pastore della Manifestazione. Qui le inevitabili imperfezioni di Geburah e Chesed che si riverberano nell’androgine Tiphareth (androgine come sintesi: noi, infatti, interpretiamo il Centro come unità polare di Tiphareth e Malkuth, Uomo e Donna) si compensano nell’indotto salvifico della Misericordia e del Sacrificio divino rivolto verso tutte le creature. Solo a questo punto il vettore manifestante affidato al mondo (e alla persona) formale può procedere verso l’evidenziazione: verso Netzach, Hod, Yesod da un lato, verso Hod, Netzach, Yesod ed il Regno dall’altro. Nel Regno il vettore appare finalmente come forma limitata, oggetto, effetto, vita. Tale “discesa” avviene pertanto su due tracciati, che devono essere simbiotici e contemporanei, e che implicano l’accordo polare dei due elementi manifestanti, la virilità e la femminilità. Questo è il fenomeno dell’aspetto manifestante osservato sotto il profilo della Ideazione fondamentale e sotto quello dell’atto di “scelta” della creatura, uomo e donna che sia. L’atto di scelta puntualizza, se reale e dunque d’amore, un vettore eletto fra i molti, gli innumeri che il Padre ad ogni istante dona ai suoi figli: dona ad entrambe le polarità, non solamente all’uomo o solo alla donna, poiché i campi esistenziali esprimono sempre la sinergia di entrambi. Quindi, sotto l’angolazione di visuale della scelta, il tracciato è esatto. Sotto quella dell’operatività personale, trattandosi di un atto compiuto più specificatamente nel proprio ambito d’autonomia, il percorso è quello invece prioritariamente indicato: dal Regno a Netzach, Hod, Tiphareth e poi a Yesod ed infine – concretamente – al Regno. Questo è proprio dei casi d’attività femminile, simultanea e necessariamente empatica con quella della controparte maschile. Dal Regno a Hod, Netzach, Tiphareth per scendere a Yesod e successivamente sempre al Regno nel caso d’ideazione operativa virile. Questo processo è teurgico, etico, psicologico e fattuale, e non deve venir frainteso: se consideriamo il Glifo sotto questa simbologia, meglio forse è vederlo nella sua distensione tridimensionale come Ottaedro (due piramidi contrapposte) con la considerazione che i vertici dei triangoli costituiscono i punti significativi delle specifiche ideazioni e i centri di convergenza e dinamicità che chiamiamo “Sephirah”. Il tracciato seguirà dunque i lati delle Piramidi polari, e la simbologia risulterà analoga nel suo valore manifestante. Ma i simboli sono validi nel momento che agiscono come attivatori di potenzialità intuitive, e non vanno mai presi come 27


espressioni di valenze intellettuali da affrontarsi ai livelli di conoscenze manasiche e di razionalizzazioni varie. In tale ipotesi manca il Centro e si definisce l’arbitrio che conduce al decadimento dell’intero Glifo. Il simbolismo va considerato come tracciato intuitivo, e può dimostrarsi esatto, incompleto o erroneo. Totalmente inesatta è, per inciso, l’induzione da Binah a Geburah se è supposta dalla stessa Geburah quale momento aggressivo e prevaricante di femminilità in cerca d’autonoma capacità ideativa non polare: esatta di contro se l’induzione è realtà di Binah. Idem per il rapporto Chokmah/Chesed, che può facilmente degenerare per l’assenza del polo femminile: escludere, infatti, Geburah risulterebbe errore madornale ai fini della completezza ideativa, ma può essere sbagliato anche far discendere l’Ideazione da Binah a Geburah e da Chokmah a Chesed per incontrarle in Tiphareth. Il rischio in tal caso è di escludere l’indispensabile rapporto fra Geburah e Chesed, che deve risolversi in Tiphareth. Le due linee ideative devono essere simultanee, ecco un punto che dobbiamo esplicitare: la discesa da Binah a Geburah e da Chokmah a Chesed sarebbe precisa “se” esistesse nell’attualità un Centro Atmico attivo nel Glifo e nelle persone. Ma il Centro è oscurato, è come assente, ed è qui il dramma della Manifestazione. Il Glifo può dunque indicare elementi di frantumazione dell’Ideazione primordiale, la divisione fra Malkuth – isolato – e Tiphareth, la femminilità centrale del momento manifestante, la quale deve riassorbire in sé Geburah e Netzach nella sua sintesi polare con Malkuth comprensivo a sua volta di Hod e Chesed. Se gli universi sefirotici, che sono forma e concretezza, non sono fusi ma contrapposti come fattori incomunicabili ed estranei di ideazione ed esplicazione, è la Caduta, e l’archetipo nascente in Malkuth (il principio ideante virile di tramite cristico) è oppresso e perseguitato dai suoi oscuri fratelli e dalla feroce incomprensione della Femminilità globale. Quest’indicazione è grave, molto grave: esprime graficamente tutta la tragedia dell’Emanazione ed il peso gravitante su quanti – nel ciclo di svelamento del Regno (il ciclo breve) cercano d’essere uomini rinnovati per nuove compagne, riconducendo i campi sovrastanti alla primeva realtà. Occorre meditare i simboli ed intuirne il nascosto messaggio: ciò che dicono e ciò che celano, perché pochi sono in grado di leggerli in quanto pochi si pongono nell’intuizione dell’Amore del Padre. Con il cuore, con l’amore è possibile raggiungere il grado di comprensione del problema e del “campo” richiesti per operare con l’Uomo nel Suo Regno. Altrimenti è irrealtà, illusione e caduta. ************ Il concetto di “piano” è stato più volte accennato, ed ora desideriamo precisarne alcuni aspetti salienti. La nostra intenzione è, infatti, di fornire gli strumenti di conoscenza adeguati alla necessaria esperienza. In più, vogliamo consentire al 28


ricercatore un margine d’apprendimento che lo ripari da alcuni rischi, immanenti all’esistere e che da tempo immemorabile gli rendono difficile la vita. “Campo autorappresentativo” è tutto ciò che acquista un contenuto mentale, e che può essere suddiviso nel momento “esteriorizzante” (l’ambito del proprio esistere) e nel momento interiorizzante (il mondo spirituale e intellettuale con i molteplici aspetti che manifesta, appartenenti al soggetto senziente e costituenti i punti di contatto con altre personalità). Il piano “esterno” è, sotto l’angolazione che adesso adottiamo, orizzontale: qui si collocano i parametri più direttamente percepiti nello spazio/tempo, lo scenario del nostro processo cognitivo ed i luoghi in cui ci direzioniamo e compiamo le nostre più immediate esperienze. E qui incontriamo le personalità che condividono più o meno “fisicamente” la nostra zona dimensionale: personalità che non a caso entrano in comunicazione, empatia o comunione con noi, e che non a caso ci amano, ci sono amiche, ci rifiutano e ci odiano. Ma l’ambito orizzontale non è il solo della nostra globalità: esiste, ed è estremamente attivo e presente, quello che diciamo “ambito verticale”, nelle sue innumeri puntualizzazioni ed implicazioni. I campi sefirotici sono fattori immanenti a tutta la nostra esistenza, e devono quindi essere immediatamente considerati come concreti ed attivi. Essi sono di diverse nature e collocazioni, che spaziano da quelle più oscure e demoniche alle più luminose, fino al Centro della personalità, l’Atma, il Campo Fondamentale di tutta l’Emanazione e specificatamente della nostra realtà individuale, in cui esistiamo e che si colloca come momento emanante d’eternità e di tempo. Più specificatamente vogliamo ora considerare la nostra attualità nella Manifestazione: posizione intermedia fra luce ed ombra, conflittuale, alla ricerca di ciò che siamo nell’essenza e nella effettiva dimensione personale di vita. Esistiamo in una zona estremamente soggetta ad induzioni distorte e distorcenti, che si trova – genericamente parlando – in una fase di progressivo scadimento. Se siamo qui (e giova rammentarci che la legge causale è la base del divenire nell’Essere) c’è un altro motivo cogente, che dipende dalle nostre scelte o – più esattamente – dal nostro arbitrio. Siamo qui perché abbiamo abiurato alla nostra realtà, alla condizione di enti della luce, di figli che vivevano presso il Padre in sapienza e consapevolezza. Siamo caduti, e Malkuth è il luogo odierno della scelta e del faticoso recupero: scelta e recupero che ci appartengono, ma che influiscono su tutta l’Emanazione, in quanto vettori di reintegro nella Volontà divina d’amore e libertà. Siamo dunque nel conflitto fra ciò che diventammo cadendo e ciò che vogliamo tornare ad essere rinascendo all’amore del Padre: conseguentemente siamo nell’ambito del passato, delle età d’oscuramento, ed i contatti interiori con le induzioni di tante zone sefirotiche sono duri, possessivi e sovente demonici. Contatti che ci demmo, disvalori che volemmo, modalità egotiche che condividemmo: superarli e liberarcene è difficile, e le entità che ci possedettero e 29


tuttora ci assediano non sono disposte a cedere la loro prevalenza e a perdere quel “campo” d’energia, di sensazioni, di passioni e d’eventi che le rendono vicariamente vive e senza le quali perderebbero troppo della loro identità. Questo è il problema. I campi sefirotici di più dolente ingerenza sono il nostro passato, che fu Luce e divenne tenebra, ed hanno il potere che noi concedemmo alla Caduta, al male: sono dimensioni in cui vivono entità a vari livelli di paura, d’angoscia, di dolore e di disperazione. Dobbiamo comprendere bene le induzioni che provengono da queste zone, e sapere che esse furono in un tempo remoto dolci e splendenti, e che il degrado attuale – l’orrida Maya del loro stato – non è definitivo e non è la volontà di un dio giustiziere ed implacabile. Ovviamente è necessaria la difesa: ma come, con chi e con quali intenzioni? Questa è la problematica più delicata del processo emancipativo, durante il quale si può cadere in eccessi di ogni tipo per mancanza d’idee portanti esatte, d’intuizioni adeguate e, sostanzialmente, di vera discriminazione d’amore. Vediamo dunque in qual modo affrontare quest’arduo nodo interiore ed esteriore, il quale condiziona la globalità della nostra esistenza nei rapporti, negli incontri e negli eventi: in tutto ciò insomma che si svela nel dinamismo che noi siamo. ************ Il massimo impegno dell’esoterista, che si trovi in contatto con entità appartenenti a piani in fase di decadenza – e quindi molto conflittuali con lui –, è di renderle suscettibili di reintegro nel suo campo a livelli accettabili di rapporto. Già altrove demmo informazioni sufficientemente approssimative sulle polarità di tipo arcaico, ed in particolare su quell’aspetto assai ignorato che pone un ente ideante virile al centro di un insieme costituito da varie personalità “femminili”, ognuna delle quali costituisce un vettore esplicativo sostanzialmente unidirezionale. L’esoterista che voglia rinnovare la configurazione principale deve dunque prevedere e riequilibrare in senso positivo personalità che si sono spiritualmente dissolte per l’assenza di un’ideazione adeguata, e che hanno decisamente contribuito, e nei modi più differenziati, al frantumamento dell’unitario campo originale. La Tradizione iniziatica, facendo purtroppo propria una definizione di sostanzialità dell’involuzione, tende a considerare entità di questo tipo come non più recuperabili, irrimediabilmente demoniche e da annientare nel Nome supremo di Dio. Ciò radicalizza la scissione del Glifo ed implica un limite enorme, abnorme, alla stessa Misericordia suprema, che non può abbandonare definitivamente all’estremo dolore ciò che Essa crea, e che vive in Lei in identica sostanzialità e specificazione di personalità. Ma il compito di ricondurre all’esatta posizione esistenziale esseri degradati è davvero arduo e non privo di grandi rischi. Occorre dunque avere idee chiare, per quanto è possibile, sia su quanto s’incontra, sia sulle tecniche di difesa le quali, lungi dall’annullare l’aggressore, vogliono renderlo suscettibile di incontro e di 30


comunicazione. Le entità dell’ambito sefirotico che si viene via via manifestando appartengono, almeno in questo lasso di tempo/spazio, ai processi involutivi del Glifo e non certo a quelli stabilizzatisi nella Luce. Sono pertanto difficili, astiose, vendicative, ingannevoli e prevaricanti ma – come dicemmo – terrorizzate e disperate per il degrado che le investe e di cui, più o meno confusamente (per opera della sempre presente Misericordia cristica), si rendono conto. Hanno capacità induttive e antichi punti di contatto nell’inconscio delle persone, che è la porta di tutte le interferenze perché è la sede di tutte le distorsioni che la mente conscia non sa e non vuole accettare. Occorre quindi primariamente aumentare la propria capacità ricettiva al grado di rendere consce le induzioni e le linee di potere di queste personalità per saper, nel quadro del proprio stato obbiettivo, provvedere a decantarle nel migliore dei modi. Questa ricerca, che è meditativa per l’attivazione delle capacità introspettive e per la vitalizzazione dell’Amore/armonia nel centro cardiaco, è accompagnata da esperienze di contatto nelle quali più puntualmente si stabiliscono canali di colloquio e rapporto a vari livelli. Qui occorre la massima attenzione perché quello che si percepisce è in genere differente da quanto effettivamente lo determina, e che rappresenta per lo più un insieme di menzogne e di inganni direzionati al controllo capillare della persona contattata. Come avviene questo controllo? Mediante l’opacizzazione delle zone dello spirito e dell’intelletto che più si manifestano capaci d’ideazione e di discriminazione d’amore, ed insieme con il potenziamento induttivo di quelle più affini alle entità sefirotiche tese al possesso e alla prevaricazione: zone dunque distorte dalle esperienze passate, condizionate da schemi di pensiero e da codici mentali arbitrari e devianti, ricche di velleità egotiche ed acquisitive. L’entità che procede a quest’operazione è relativamente consapevole di quello che fa, ed è per lo più condizionata in misura massiva da altre, su di lei incombenti e che la sfruttano a livelli bradi onde sopravvivere a sue spese: quindi è persona feroce, dura e menzognera, ma non del tutto responsabile delle sue attuali azioni, al contrario, completamente responsabile per essersi lasciata plagiare a tal punto. Ma cosa essa fu nel passato remoto, quando il degrado non esisteva ancora o almeno si manifestava soltanto nei primi inosservati sintomi? Fu compagna di un’altra modalità di vita, alle volte molto esplicata e sovente semplicemente fraterna ed amichevole: ma fu tale per un periodo assai esteso, e comunque di gran lunga superiore a quello (di per sé immenso) che determinò il degrado e la scissione del campo. Essendo entità che furono polari nel senso esoterico e teurgico del termine (ed il contenuto di quest’aspetto va lasciato all’Ideazione cristica e non alle proprie fantasie erotiche), l’esoterista può percepire in sé, nell’intuizione atmica di profondità, amore e nostalgia per ciò che fu, ed insieme la precisa determinazione di recuperare alla vita e all’incontro le antiche, arcaiche compagne. 31


Proposito questo che va attentamente decantato da qualsivoglia tensione egotica ed impura, o il disastro che determinò il crollo dell’antica esistenza si ripresenterà arrecando incalcolabili danni a tutti coloro che si trovano coinvolti nel processo. Ottenuto pertanto il contatto (per le femminilità sefirotiche purtroppo esclusivamente mentale) e la percezione del proprio stato d’induzione, occorre attivare un campo di riequilibrio e di decantazione di tutte le personalità incontrate, di pari passo con l’attivazione di un vettore sempre più puntuale ed efficace di purificazione delle proprie tendenze e d’annientamento d’ogni aspetto consolidato del carattere che appaia scompensato, il che implica l’emersione parziale e lo smistamento del karma. Infatti, la forza delle Sephirah aggressive sta qui: nelle enormi lacune delle persone di Malkuth, da queste stesse più o meno razionalizzate e mentite, e nel karma che incombe – individuale e globale – su di loro. Il karma, infatti, permette, se non viene dissolto, incredibili pressioni e l’incremento di fattori scompensanti, generatori d’altro karma, d’ogni tipo: in questo però, se appare la guida di un Maestro cristico, esegue anche un compito d’affinamento e d’emancipazione dell’allievo il quale, incontrando sé stesso e opportunamente reagendo, annulla con il suo sforzo e la sua fatica e dolore vettori altrimenti distruttivi in ben differente impatto. Ciò “se” appare ed è ascoltato il Maestro cristico. Se invece il karma emerge soltanto come strumento di controllo e di pressione di entità involute – a causa dell’inadeguatezza dell’esoterista – è davvero notte e nebbia quella che si profila: notte e nebbia di sofferenza e d’imprevedibili frustrazioni, anche gravissime. L’esoterista deve essere con il Maestro, un Maestro realmente cristico, capace di insegnare ad amare essendo Lui stesso Amore: questo è possibile mediante il progressivo, profondo, totale affidamento al Padre, come la Tradizione insegna e la parola di Gesù esplica, con le specifiche direzioni dell’operatività reperibili nei Vangeli, quali anche il Baghavad Gita focalizza in modo tecnicamente perfetto. Scopo dell’iniziazione è quindi il ristabilimento della nostra realtà interiore e conseguentemente esterna: quale si manifesta nel campo autorappresentativo. Ma è scopo fondamentale (e qui giova ricordare l’insegnamento della Tavola Smeraldina) anche il ristabilimento dell’Ideazione primaria, mediante l’emancipazione nei limiti possibili, di coloro che furono un tempo compagne di vita e d’azione. Il che implica il riscatto del piano ordinario dell’esistenza e di quello sottile, perché entrambi convergano nell’unità. Quest’effetto è ovviamente possibile solo nel Cristo, nella Misericordia divina che salva e santifica quello che negli eoni difende col sacrificio della Sua Croce. Dobbiamo dunque, nel prossimo paragrafo, esaminare i rapporti intercorrenti fra allievo e Maestro, e le specificazioni dell’operatività esoterica alla luce dei principi generali dell’atto manifestante. La difesa è necessaria e va compresa tanto come azione teurgica che come intenzionalità di riscatto. Ma la difesa deve essere “sempre” mirata al ripristino dell’Emanazione secondo la Volontà attuale del Padre, il quale 32


tiene conto in ogni “ora e qui” della complessa condizione reciproca dei suoi figli e del contesto in cui vivono. E’ dunque indispensabile intuire, nella profondità del nostro amore per l’Amore, il tracciato reale cui aderire con l’intelligenza cristica: la sola capace di vivificare eternamente quanto – da solo – non può che rinnovare la propria sofferenza e la propria morte. ********* Il rapporto fra allievo ed istruttore è da considerarsi come “dinamicità d’amore” che deve istruire il primo sui fondamenti essenziali ed ideativi del suo mondo reale, nel contempo dissipa gli aspetti oscuri del passato che determinano, con la loro presenza nel suo spazio mentale, sclerosi spirituale e l’insorgenza del Karma. Il Maestro non appare conseguente all’ideazione d’amore che deve seguire i tortuosi meandri dell’intelletto, le stratificazioni della mente e le attuali condizioni del suo protetto nei due aspetti conscio ed inconscio, onde distruggerne gli elementi negativi e liberarlo da tutte le influenze che una situazione precaria adduce inquinandone l’esistenza. L’apparente contraddittorietà di un Istruttore è tutta qui: egli riflette, dissolvendola, l’arbitrarietà del suo discepolo e per far questo lo segue nelle innumerevoli implicazioni del campo interiore, invaso e funestato da interferenze d’ogni tipo e corroso da “non scelte”, arbitri compiuti in tutto il suo precedente tragitto vitale. Quando il campo personale è sufficientemente capace di sopportarne il peso, il Maestro induce l’allievo a prendere contatto con entità che appartennero all’ambito che fu comune esperienza, e che ora si trovano a differenti livelli d’ideazione. Con rare occasioni, data la situazione di risalita dell’iniziando, le entità del campo globale sono oscurate, talvolta assai radicalmente: ne consegue un violento stato di conflittualità perché esse, razionalizzando quanto rammentato del passato, imputano al principio ideante il loro attuale degrado e risultano comunque estremamente condizionate da influssi qelliphotici capaci di possederle e strumentalizzarle. Lo scontro è inevitabile, ed occorre che l’allievo comprenda nel suo intimo la realtà delle personalità contattate: in sé, nel suo cuore dove l’Idea divina che esse sono, rifulge intatta, e dove egli può trovare l’eco di un’immagine, di un ricordo o di un sentimento. E se questo accade, è possibile il recupero di molte personalità e la ricostruzione del primitivo sistema polare. Ma è, ripetiamo, conflitto, e ciò implica la necessità di difesa esoterica e la riabilitazione delle femminilità del campo, unitamente alla profonda purificazione dell’allievo. Difesa si. Ma quale? Diciamo subito che è difesa mirata al ripristino della originaria purezza in tutte le personalità coinvolte nel processo le quali – dovendosi reciprocamente confrontare a livelli anche molto intimi – devono assolutamente essere capaci di superare i propri limiti ostativi con un metodo che permetta sempre ed ovunque il superamento d’ogni distorsione nell’amore del Padre. 33


Amore del Padre: è la difesa, il metodo, il tragitto di purificazione ed il fine d’ogni scelta e di ogni momento esistenziale. Nell’amore di Dio le creature, lungi dal vanificarsi in un impossibile reintegro con l’Informale, si attivano secondo la fondamentale ideazione creatrice di vita e di gioia: perché è la vita e la gioia dei figli e delle figlie la Volontà di Kether, e questa felicità dinamica ed espansiva non può sussistere che nella crescente libertà delle creature. Esse sono immagine divina, quale imperfettamente riflettono in successivi cerchi d’approssimazione: e la Matrice suprema, la Triade causale, è Amore e libertà d’essere Amore. Il problema della difesa, che è conseguentemente rivolta tanto alla tutela dell’allievo che delle sue momentanee antagoniste, è quello d’avviare tutti all’intelligenza dell’Amore e a realizzare in sé stessi quell’aspetto basilare della ideazione principiale che è la Polarità d’Amore, la Sizigia. La vera, unica, totale difesa dell’allievo – che così operando protegge e vivifica le femminilità che l’assalgono – è nel Cristo, nell’aspetto Gesù e Maria della Volontà creatrice: il quale, nelle due ipostasi di divinità reale e di Vero Uomo e Vera Donna (Uomo assolutamente dispiegato come Idea divina in atto, Donna perfettamente attualizzata nell’ideazione totale di Chakti/Potenza), identiche e differenti nell’Assolutezza, conduce a compimento (a patto d’essere fermamente ascoltato e seguito) il Suo compito salvifico oltre ogni previsione, intenzione o speranza dei suoi Figli. Occorre dunque sapere, e lo si comprende con l’esperienza delle proprie incompiutezze, e lo si sa nell’intuizione del proprio cuore, in che modo possiamo affidarci al Cristo nelle violente e talvolta assorbenti condizioni di conflittualità che si vengono delineando, e che rappresentano il peso e la resistenza del passato, di tutto il passato, alla volontà redentrice del Padre. Il Padre è perdono: perdona sempre, perdona ovunque, perdona tutto in presenza di un sincero atto di remissione al Suo amore. E’ dunque a quest’abbandono semplice e profondo che tutti devono essere persuasi, perché è lì l’inizio di un nuovo corso esistenziale da compiersi “con” l’Amore, e la fine del passato e di quanto di lui permane nel presente. Ma l’abbandono non è atto passivo, di inerte rassegnazione ad una Volontà imperscrutabile che esiga rinunce alla propria tipicità. L’abbandono è un atto d’amore, attivo, profondo, entusiasta, talvolta anche molto dolente, che è il rifugiarsi nel cuore del Padre per essere vivi, concreti, e poter ritornare nel nostro cammino di gioia incontrando – per quanto è possibile nel presente e per quanto sarà possibile in futuro – la primordiale condizione d’esistenza e di felicità. L’abbandono è al Padre: di sé stessi come persone, di sé stessi come intelletto-mente-io in specie. Quindi, tralasciando ogni individuale intenzione, ideazione e desiderio ci si affida alla realtà dell’Amore, e a Lui si affidano coloro che ci appaiono come persecutrici, prevaricanti ottuse e feroci nel loro immenso, e per larga misura inconsapevole, dolore. Così al Padre vengono rimesse tutte le dure induzioni che provengono dalle entità sefirotiche, senza intenzioni, senza finalizzazioni e specificazioni oltre a quella 34


d’amore e di riscatto per quanto possano essere riscattate, come solo il Cristo sa e può attuare. Non è atteggiamento facile perché implica la capacità d’amare l’Amore con la scelta d’amore del proprio cuore: e nell’amore non esistono condizioni, non c’è un “se” e un “ma” da opporre al volere divino. La Volontà di Kether è infinito di luce, di Ananda: tutto è lì, e Lui è Tutto ed oltre il Tutto. Che dirgli dunque se non: “Tu sei il Padre, Tu sei Amore, io sono Te in Te”? Che chiedergli se non l’intelligenza dell’Amore, nella quale ogni cosa si svela e si ritrova, e che conduce al Principio del nostro cammino, interrotto ed oscurato dalla Caduta? Le entità sefirotiche reagiscono, si oppongono, mentono, aggrediscono con linee induttive, notte e giorno sospinte da violente compulsioni di possesso, che il Male scarica su di loro fino ai limiti dell’annientamento nel più infame degrado. Sono, esse, dolore, paura, ansia di sopravvivere al minimo consentito dal momento, non riconosciuto come tale ma piuttosto come altezza ideativa e dignità. Sono plagiate, e di ogni loro capacità concreta non rimane che la distorta caricatura, l’inversione di percezione della realtà vissuta e del Valore. Con queste infelicità viventi si confronta l’allievo sotto la luminosa e sovente fraintesa guida del Maestro. Deve poter amare, amarle amando l’Amore, amare ogni cosa, sia che appartenga al mondo “sottile” che a quello “normale”, perché ogni cosa è simbolo di un aspetto emergente, o di verità, o d’insegnamento o di necessità d’attenzione e risveglio, o di caduta. Ogni cosa - piccola o grande che sia -: dall’incontro all’insorgenza karmica, dal dolore fisico a quello morale, da ciò che si acquisisce a quanto si perde, inevitabilmente quanto transitoriamente. Se l’allievo regge, il Padre salva tutto. Ma l’allievo “deve” reggere, contro tutte le razionalizzazioni del suo mondo intellettuale, contro le tendenze consce ed inconsce, contro ciò che gli appare evidente e che tale non è. Deve reggere nell’Amore, per l’Amore, con l’Amore. Mai da solo. Da solo perde il contatto con la sua fede, dispera e cade. Con il Cristo risorge. Può morire nell’anima, cadere nel tragitto iniziatico, spogliarsi d’ogni cosa che gli sia preziosa e tenera: ma con il Padre risorge e risorgendo ritrova ogni aspetto reale, vivificato in una veritiera fase di risveglio. Talvolta l’allievo deve combattere. L’abbandono al Padre è fondamento, ma Egli dice al Figlio: “Sei più adulto, utilizza il Mio Amore nel tuo amore. Lotta per il riscatto tuo e del tuo ambito di vita. Mi abbandonasti e fui crocifisso: riscatta il tuo abbandono come Io dico e so. Così avrai la tua verità, la tua certezza, la tua gioia. Così saprai e – sapendo – non mi lascerai mai più”. Allora è lotta contro il passato, la sofferenza ed il terrore; contro la torsione del campo e la morte di tutto, che è l’orrida ideazione del demone, inversione dovunque di ogni valore, e brama d’uccidere la Vita per uccidere il Padre, ed essere l’unico padrone della Manifestazione assorbendola ed annientandola in una totale bramosia di potere. 35


Lotta contro il Cristo, ecco cosa è il demone: vinto sempre, se il discepolo resta con il maestro, oltre quello che avrebbe sperato e supposto iniziando il sentiero. Ma è sempre il Maestro dell’Amore che regge ogni momento, ed insegna i mezzi ed i modi dell’operatività teurgica. Occorre parlare se il Cristo lo indica, tacere se è necessario il silenzio. Abbandonare al Cristo la nostra esistenza e la propria polarità ogni volta che occorra: e occorre sovente, per lungo tempo. Va quindi attivata la capacità intuitiva, che va oltre la stessa “parola” ascoltata nell’intimo dal Maestro, per coglierne la vera intenzionalità nel Centro interiore, magari proprio nel “silenzio” del Centro interiore. Tacere se occorre, anche se Egli dica che è possibile e lecito discorrere, abbandonare pur se sembra consentito conversare, e se si è invitati a farlo, reggere ed amare mentre forse l’Istruttore consiglia di soprassedere, temporaneamente o definitivamente, se nel cuore c’è questa verità. Occorre “sempre” amare: ecco il mezzo ed il problema. Amare è avere l’intelligenza dell’Amore, del Centro. E’ attivare la nostra spiritualità al punto da renderla intuitiva dell’ideazione atmica, onnipresente e perfetta. La spiritualità, la zona interiore che circonda l’Atma, è intelligenza intuitiva d’Amore, e si forma con le scelte coerenti al Principio, così come si disperde per ogni arbitrio. E’ la base dell’autocoscienza, che nell’intelletto/mente/io si rende consapevole e sapiente del proprio campo d’esistenza e delle infinite implicazioni dell’autorappresentazione esistenziale. Se manca la spiritualità d’amore (ma quale, altrimenti?) la guaina intellettuale e mentale è senza fondamento, e non può che riflettere sé stessa con tutte le razionalizzazioni, arbitrarietà, schemi e falsificazioni che a livello inconscio e conscio, contiene: è la Maya del dolore, l’illusione del momento di Caduta. Occorre pertanto ritrovare la propria capacità di scelta coerente con l’essenza del nostro Atto creatore, che è Amore. Nasciamo d’Amore, viviamo nel Suo Amore, cademmo per ego, per feroce rifiuto del Padre che è Amore di Tutto, oltre il Tutto. Ci riscattammo per il Suo sacrificio d’Amore, e con Lui risorgiamo al Suo Amore, che è scelta, vita, dinamicità, gioia. Questi sono i primi – insufficienti ma basilari – concetti da far propri nel momento iniziatico dell’incontro con sé stessi, col proprio campo e la realtà del presente. Il resto appartiene alla specificità dell’apprendimento e alle modalità del campo polare d’esistenza. Ma se il Punto Centrale è attivato – e si attiva con la presenza e l’intuizione del Cristo – tutto si chiarifica e ciò che appariva lontano s’avvicina, ciò che era malato risana e, ai limiti, quel che sembrava morto risorge. Sia questo il nostro messaggio, ora e qui: “Sia viva la nostra Vita, sia vivo il nostro Amore. In Cristo, per Cristo, con Cristo: io sono Te, Padre, e vivo in Te con Te.” OM

36


ANATOMIA DELLA CADUTA I° Fissiamo, innanzi tutto, alcuni postulati interpretativi. Il primo è questo: la caduta implica in principio un’eguale responsabilità da parte di quelli che furono, in effetti, i “detentori del potere” e delle loro vittime, che tali diventarono solamente perché ne condividevano ideazioni e comportamenti. In caso diverso – ed accadde moltissime volte – le personalità soggette all’aggressione si sarebbero potute difendere molto efficacemente rifugiandosi nell’Idea fondamentale, ossia nell’immanenza divina. Tuttavia, e questo è un secondo punto di valutazione, l’arbitrio colpì zone estese dell’Emanazione con effetto devastante, e dura tuttora. Abbiamo affermato che le parti dominanti (definite come “detentori del potere”) assalirono molte aree, contaminandole. All’ideazione d’armonia e d’amore che era la base naturale dell’evento manifestante, sostituirono quindi quella di potere e di dominio, assicurandosi un immenso vantaggio a spese dei sottoposti. Quest’evento determinò una frattura del campo, esattamente come in un’individualità possono manifestarsi disarmonie capaci di condurre alla sua disintegrazione, fisica o psichica. Notiamo qui che l’assenza di ordine a livello mentale/intellettuale sfocia sempre in un decadimento fisiologico, nel piccolo e nel grande: infatti, questa situazione determina l’incapacità di ricevere ed assorbire la forma più sottile e fondante dell’energia vitale, comunque eternamente ed incessantemente irradiata dal Dio Creatore, il prana. Il prana è direttamente dipendente dalla coerenza della creatura con il suo centro di realtà e, benché il Padre sostenga al limite il proprio figlio in attesa di un necessario recupero, la sua carenza può determinarne alla lunga il crollo e la conseguente comparsa di una ricorrenza ciclica, nella quale si ripresentano i limiti rimasti insuperati e le restanti opportunità di eliderli. In effetti, l’evento ciclico è sfruttato ampiamente per ben altri scopi dalle entità demiurgiche (le “detentrici del potere”), ma di ciò più avanti. Occorre considerare le caratteristiche, le qualificazioni ed i comportamenti dell’organo autorappresentativo della personalità: la mente. Come abbiamo sempre ricordato, la “mente/intelletto/io” costituisce la modalità discriminante dell’intuizionismo, il quale è l’attività fondamentale del Sé. Ne consegue – e ci ripetiamo – che la mente esige il fondamento sulla sottostante area spirituale (effetto dell’attività del Sé) che specifica la realtà del soggetto percipiente nella sua coerenza con la propria base ontologica, il Dio Creatore. La mente (e le sue modalità operative, compreso il suo centro di riferimento esistenziale, l’io) possiede una caratterizzazione: essa è “plastica”, ossia è in grado d’assumere in modo stabile le “forme” e le “strutture” delle ideazioni che puntualizza nella propria capacità rappresentativa, per utilizzarle nel campo operativo tanto interiore che esterno. Ne consegue che la mente reagisce agli stimoli del mondo oggettivo e a quelli interiori e soggettivi, che provengono dai propri contenuti tanto consci che – e questo è il problema – inconsci. 37


L’incoscio è mente, e come tale possiede un proprio centro organizzativo. Per meglio dire, l’Io si colloca in parte (modesta nella generalità dei casi) a livello della normale consapevolezza e in larga misura oltre la sua soglia. In quest’ultima zona agisce sulla base delle sue forme più segrete e per fini che il soggetto giudica pericolosi o inamissibili per la sua censura etica od opportunistica. Esiste quindi un’area molto estesa del campo interiore normalmente ignota all’ente, che è tuttavia capace di indirizzare e condizionarne molte scelte concrete. Il problema è ulteriormente aggravato – e complicato – da quel fenomeno che l’odierna psicanalisi ha denominato “inconscio collettivo”, riscontrandone la costante presenza in quello individuale. L’inconscio collettivo è – ovviamente – mentale, e come tale postula la presenza di soggetti capaci di una fattiva autorappresentazione. In altri termini, questo fenomeno evidenzia per proprio conto l’interferenza fra il campo generale e le individualità che contiene, le quali in tal modo si definiscono nello stesso tempo come 1) personalità in varia misura libere ed autonome, ossia centri d’autorappresentazione esistenziale, e 2) parti di un tutto sul quale influiscono direttamente con i loro comportamenti, e dal quale sono ovviamente più o meno condizionate. A questo punto della nostra analisi constatiamo dunque la reciproca inferenza fra individuale e globale, e conseguentemente consideriamo l’inconscio collettivo come parte – più o meno cospicua e più o meno influente – dell’organo mentale che possediamo. Come e perché si evidenzia quest’interferenza? In linea di principio (ossia ontologica) notiamo che per l’Entità fondamentale (il Dio Creatore) esistono e sono reali le singole personalità e l’unità del tutto, nella quale Egli riconosce il frutto della Sua volontà: in quest’ottica l’Interità della Manifestazione divina costituisce il “Figlio” nel suo momento sintetico e reale, nel quale i singoli centri d’autocoscienza rappresentano i momenti dinamici ed esplicativi dell’Idea fondante. Ripetiamo: non meno reali, questi ultimi, del globale d’appartenenza, del quale costituiscono momenti fondanti, originali e necessari. In altre parole, ogni personalità, che s’evidenzia come tale per un atto divino di volontà, costituisce un aspetto non mutuabile con alcun altro e sintetizza un vettore manifestante dell’Idea generativa. Di qui la necessità dell’armonia fra le infinite “parti” di questo campo generale, al quale è appunto affidato il compito di evidenziare, con le proprie scelte, l’Intenzione basale. Possiamo adesso trarre qualche considerazione sintetica. L’Interità dell’evento manifestante è insieme unitaria ed infinitamente specificata, così come nel singolo individuo è riscontrabile una precisa caratterizzazione sintetica (personalità) e l’immensa estensione delle cellule che ne costituiscono gli organi indispensabili per la vita. “Così nel Piccolo come nel Grande”, recita la Tavola di Smeraldo ponendo per tutti, come criterio interpretativo generale, la Legge delle Corrispondenze fra micro e macrocosmo. Quanto abbiamo finora indicato sull’interferenza fra inconscio individuale ed inconscio collettivo deve essere meglio specificato. La mente è un campo – 38


energetico e formale – molto particolare, per le sue specifiche qualificazioni che la rendono in grado di percepire, giudicare e fronteggiare le indeterminate situazioni che l’esistenza implica. La mente si compone assumendo determinati funzionamenti specifici che attiva nei confronti di situazioni tipiche, ed utilizza per questo fine concettualizzazioni che possono presentare un elevatissimo grado di permanenza e che nel tempo costituiscono una sorta d’archivio ideativo ricco d’implicazioni e particolarismi. Quest’ambito è, come abbiamo indicato, in piccola parte situato nella consapevolezza ordinaria e in grande misura in quella zona “oscura” che è situata sotto la soglia di percezione ordinaria. Inoltre queste formulazioni mentali si rapportano fra loro secondo processi alle volte deliberati dall’ente e più spesso in modi pressoché automatici, generando risposte agli stimoli o adeguate o condizionate da fattori ignorati o addirittura – essendo ignota la loro eziologia – impreviste. Questa modalità d’interrelazione fra concetti costituisce, nella nostra interpretazione, la zona dell’intelletto che (essendo egli stesso un aspetto mentale particolare, ossia appartenendo all’organo dell’autorappresentazione) è in gran misura oltre la comune coscienza di veglia. Le cose finora accennate ci indicano i limiti e le qualificazioni dello strumento interiore - mente/intelletto/io - e le sue capacità di sfuggire, in assenza di una concreta capacità introspettiva, ad un appropriato controllo soggettivo e al conseguente rischio d’errore. Ma non è tutto. Sappiamo che l’inconscio indicato come collettivo penetra nella mente individuale costantemente ed inavvertitamente. Perché? Perché la mente personale contiene delle affinità con quella globale che permettono a quest’ultima di invadere la prima, determinando particolari e temibilissimi condizionamenti. Questo è di per sé grave, eppure c’è di più. Accennando alla frattura intervenuta in un arcaico passato nel corpo stesso della Manifestazione abbiamo parlato dei detentori del potere, i cosiddetti “Arconti” dell’ambito archetipico generale che si sono allontanati dall’Ideazione fondamentale. Abbiamo inoltre indicato che un tale allontanamento provoca una penuria energetica crescente, essendo la forza vitale che proviene dal Centro trascendente essenzialmente costituita dall’amore che Dio vuole e mantiene nei confronti di tutte le sue creazioni, e che implica la necessaria coerenza di queste ultime con la loro stessa natura ontologica. Infatti, tutta la Manifestazione accade nel Cit (Coscienza) divino e non in un impossibile luogo oltre Lui. Ne consegue che gli archetipi deviati soffrono di una carenza di vitalità, che vogliono compensare senza rinunciare al loro arbitrario potere e rendersi nuovamente alla principiale volontà del Padre. Così essi cercano di strutturare gli ambiti a loro soggetti in modo da ricavarne energia, estendendo questa zona di dominio quando essa si depaupera troppo, e sfruttandone al limite le capacità. La Manifestazione è pertanto lacerata dalla contrapposizione di una feroce ideazione arbitraria alla Volontà divina che l’ha creata, ed in tal modo si determina una condizione generalmente involutiva che determina la necessità del Sacrificio d’Amore e di Sostegno del Padre, mirato al ripristino della situazione naturale. Quest’atto fondamentale è eternamente presente ed attualmente incontra, nelle aree contaminate, un durissima opposizione 39


che s’alimenta anche da centri archetipici insospettati: in altre parole, la deviazione antica è tuttora in atto e con conseguenze nefaste. Comprenderne le cause, le motivazioni e gli effetti in tutte le loro tragiche implicazioni è necessario, perché solo in tal modo possiamo fornirci gli strumenti ideativi esatti per affrontare la situazione. Una conseguenza dell’arbitrio è la riduzione delle zone contaminate dal potere demiurgico in cicli ”brevi”, nei quali la continuità dell’esistenza generale ed individuale è spezzata dall’evento “morte”, nel quale l’assorbimento energetico operato da altre aree sfocia nell’impossibilità di reggere la forma fisica oltre un certo limite. La morte, che noi conosciamo come inevitabile fenomeno individuale, colpisce tuttavia anche la globalità d’appartenenza quando il punto critico è superato. Il ciclo breve determina quindi la fine anche di quello “lungo”, e gli arconti stessi ne sono tremendamente coinvolti: certamente più e più a lungo delle loro vittime nella grandissima maggioranza dei casi. Ma abbiamo trattato questo problema in altri scritti, e ad essi rimandiamo. Quello che adesso ci importa definire sono alcune strette implicazioni fra l’individuale ed il globale, ossia fra le singole personalità ed il campo archetipico che le controlla e per lo più le sfrutta. Le affinità ideative sussistenti fra le menti consente che le ideazioni arcontiche diventino parte operativa e portante anche delle personalità assoggettate, e che conseguentemente la liberazione personale comporti necessariamente una modifica di questo arbitrario rapporto. Non è, in effetti, configurabile una ricostituzione della vera personalità senza l’elisione dei fattori che l’oscurano e la deviano. Le menti arcontiche (le quali, ricordiamo, hanno un peso enorme nelle nostre) devono allora essere o ritrasformate in senso evolutivo o allontanate oltre le loro capacità d’interferenza. In quest’ultimo caso esse dovranno essere in sostanza distrutte, e per un tempo che solo il Padre conosce. Rammentiamo che l’atto di scelta conforme alla Volontà divina è necessario, e che il conseguente comportamento è altrettanto indispensabile. Tuttavia l’atto di scelta implica l’utilizzo di forme mentali ed intellettuali coerenti con il Principio, o semplicemente non sarà neppure configurabile. Da queste considerazioni deriva la totale importanza dell’Atto di redenzione e perdono assunto dal Divino in Cristo ed in tutte le Sue manifestazioni, perché esso garantisce la potenzialità generalizzata del reintegro nell’Ideazione basale. Tuttavia le difficoltà per giungere a tanto sono immense: Gesù e Maria insegnano. La scelta è dunque possibile perché sussiste, immanente e ininterrotta, l’immanenza divina. Dio conseguentemente agisce sempre per condursi alle sue creature, nel piccolo e nel grande, ed opera contemporaneamente a livello individuale (nei singoli enti) e generale (nell’Interità, ossia anche nelle sfere archetipiche con caratterizzazioni operative). Mai solo a livello totale o a quello particolare: le due aree sono, agli occhi del Padre, differenza ed identità. Cosa ne consegue? Innanzi tutto, la necessità di una purificazione profonda dell’organo interiore per 40


renderlo di nuovo capace di cogliere costantemente il principio euristico puntualizzato nel Sé personale, ai limiti dell’Atma. Questo processo, in base al principio di costante inferenza fra individuale e globale, implica tuttavia la progressiva modifica delle strutture mentali ed intellettuali delle entità arcontiche, in particolare di quelle che puntualizzano il loro intervento sotto il controllo di altre, secondo un criterio di gerarchia che conduce ai vertici di questa piramide invertita le più negative ed irriducibili. Se il procedimento è compiuto in modo esatto, con il sostegno, la guida e l’amore di un vero Maestro (il Testimone interiore) coinvolge alla lunga tutto il campo demiurgico, provocando una durissima e malevola opposizione. Come abbiamo altrove accennato, l’Uomo di Eden fu tradito da coloro che avrebbero nominalmente dovuto sostenerlo, e così accade anche ora. Affrontare il processo di ritorno nelle Case del Padre, in Tiphereth, è quindi un compito difficile che esige tempo e costanza oltre la stessa ricerca ed acquisizione d’idee fondamentali adeguate. I dubbi possono essere molti ed imprevedibili, e devono essere superati con la Fede alimentata dalle acquisizioni che sono donate nel sentiero. Sempre. Queste considerazioni spiegano le ragioni del comportamento del Maestro Interiore, che spesso appaiono immotivate o assurde all’allievo. In effetti, il Maestro deve rendere il discepolo edotto della reale situazione in cui egli versa, ben differente da quell’immaginata, e a tal fine occorre che abbia coscienza e conoscenza anche delle aree sottili, perfino di quelle che possono essere definite “arcontiche” o “demiurgiche”: ovvero dominanti nella gerarchia invertita della “caduta”. Ovviamente tutto questo provoca difficoltà e resistenze, ma mai oltre le effettive capacità dell’alunno: anche quando questi possa sentirsi abbandonato e solo di fronte a forze imprevedibili e cattive. Nel combattimento, insegna Krisna, l’ente ritrova sé stesso, comprendendo e formandosi. Ricapitolando, la conoscenza della “caduta” e delle formulazioni in cui si struttura è necessaria a forgiare l’esatta ideazione capace di percorrere il Sentiero verso la liberazione. Altrettanto importante è la piena coscienza d’agire non semplicemente per un risultato individuale, ma in vista di un effetto la cui portata è ben oltre le comuni previsioni, e che è conseguentemente affidato all’immanenza divina. Un effetto con qualificazioni generalizzate secondo l’insegnamento dell’Istruttore, ed in cui l’allievo esattamente si ritrova. La scelta di campo e di direzione è indispensabile, ma essa si evidenzia nella continuità, nella costante coerenza con il Principio. In ogni giornata della nostra vita emergono innumeri momenti di questa scelta, ed ognuno contribuisce a riaffermare o a velare quella che vogliamo mantenere. Occorre dunque la massima attenzione, perché il campo dominante è ostile e ci conosce soprattutto nei nostri fattori oscuranti, e li usa per i propri fini; molto meno o nulla comprende della positività che ci diamo e che cerchiamo, dimostrando con questo limiti immensi e perfino grotteschi. La mente, distaccata dallo spirito, si rende immancabilmente assurda e cattiva: così come un’obbiettiva valutazione del nostro stesso ambito attuale, con tutte le contraddizioni e le infamie che denota, ampiamente evidenzia. Sottolineiamo, a questo punto, un determinante aspetto dello strumento interiore 41


dell’autorappresentazione (mente/intelletto/Io): la condensazione di formulazioni fortemente accettate (per scelta o per coazione) in concettualizzazioni che contengono schemi di comportamento pressoché automatici, i quali poi si ricollegano con altre simili puntualizzazioni in base ad un identico meccanismo. Passivamente e per lo più inconsciamente. Queste formulazioni autorappresentative sono particolarmente persistenti, e ne abbiamo esempi nella vita comune: una soggezione ad un’abitudine anche se dannosa è difficile da essere vinta, nonostante la conoscenza della sua stessa pericolosità. Così com’è arduo vincere un tic nervoso, o lo stesso funzionamento “automatico” dell’attività mentale durante la meditazione: il “silenzio” è nello stesso tempo un dono e una conquista. Il lettore potrebbe meditare su quest’accenno alla contemporaneità di “dono” e “conquista” per risalire, da un’esperienza particolare, a principi generali immensamente importanti per la sua vita. La struttura mentale codificata e cristallizzata è dunque difficile da essere rimossa; è tuttavia anche molto ostica ad essere avvertita o compresa. Prima di tutto, notiamo che l’ingerenza del campo sottile (demiurgico) s’oppone ad ogni presa di coscienza del nostro stato. Per l’arconte, l’ignoranza della vittima è enormemente utile a mantenerne il controllo, e quindi cerca – e trova – tutti i mezzi possibili per riaffermarla. Tuttavia l’arconte stesso si trova in un’identica e peggiorativa situazione interiore, che gli rende oltremodo difficoltoso afferrare punti di vista diversi dai suoi. Se noi incontriamo ostacoli a modificare il nostro organo interiore, il campo demiurgico li condivide ad un livello immensamente più diffuso, ed effettivamente non è adeguato a formulare una valutazione sufficientemente precisa sul proprio stato. Tuttavia, se tramite un proprio allievo il Maestro può raggiungere l’arconte, nel tempo qualcosa di positivo accadrà: certamente, e con un processo molto lungo, tramite la vanificazione delle strutture mentali che l’arconte stesso oppone ad ogni atto d’armonizzazione e d’amore, e poi “comunicandogli” idee di ben differente valenza, spesso tramite i colloqui che intrattiene con l’alunno. Mai vani, nonostante tutta la contraria apparenza: infatti, c’è sempre chi ascolta, anche se non appare. Qui il discorso si complica, ed accenneremo soltanto ad un altro problema. Le aree dell’Interità contaminate dalla “caduta” sono molteplici, e non s’esauriscono con quelle d’immediato contatto, che in genere sono anche le più tese al dominio, alla coercizione ed allo sfruttamento energetico. Come sul nostro pianeta sussistono molte tendenze religiose o sociali, mistiche o atee, pacifiste o aggressive, così nella Manifestazione s’evidenziano aree differenziate da molte connotazioni, e sovente nel “Nome stesso di Dio”. Ovviamente, con molte contraddizioni, approssimazioni e fraintendimenti. Queste zone, purtroppo, sono più o meno tese ad affermare a priori il loro punto di vista, considerato l’unico esatto e veritiero. Quello che, tuttavia, rende noto l’effettivo stato in cui si trovano è la volontà oppositiva che emerge nei confronti del Padre compreso come Amore, e dell’Ideazione creativa quale Atto che informa l’Amore stesso in un Figlio. Qui, purtroppo, emergono assolutismi e concettualizzazioni astratte, che poco o nulla hanno a che vedere con l’intuizione, 42


ossia con l’attività dello Spirito. Ed allora queste aree, anche se si considerano “alte” e “nobili”, sono contaminate, ed inclini ad evidenziare nei fatti la loro “caduta” dal piano teurgico a quello egocentrico e possessivo. Il problema dell’inconscio aiuta a comprendere questo brutto fenomeno, che implica insieme la continuità e l’attualità dell’antico arbitrio. La conoscenza del problema è indispensabile per la sua soluzione. I pochi e brevi accenni or ora dati devono essere una traccia per gli opportuni approfondimenti che ogni seguace dell’Amore cristico è tenuto a darsi. Il Sentiero è infinito, e non facile da percorrersi; tuttavia verrà il momento nel quale le odierne difficoltà svaniranno, ed appariranno attorno a noi – ed in noi – le dimensioni dei figli di Dio: quelli che non l’hanno tradito o che hanno saputo trovare la strada del ritorno nelle Case del Padre. Egli aspetta. Ψ Il problema dell’interferenza d’idee anomale - rispetto a quella basilare che determina gli ambiti formali - anche nel nostro campo, esige d’essere esaminata ulteriormente. Come sappiamo, l’esecuzione concreta della Volontà principiale è affidata alla creatura, con il sostegno (intuizionismo come base reale dell’autorappresentazione) dell’immanenza divina. Questo principio implica che ogni zona dimensionale è controllata dal Pleroma che dovrebbe guidarla e sostenerla, in ogni aspetto rivelato e soprattutto nella puntualizzazione di personalità autocoscienti. Questo stato di fatto esige la profonda coerenza delle entità pleromatiche, archetipi della Manifestazione, con la Realtà emanante, pena un allontanamento del vettore manifestato dalla sua esatta configurazione. In pratica, cosa avviene se quest’arbitrio si verifica? Accade che tutto il campo esistenziale subisce uno scadimento, il quale colpisce i singoli enti secondo il loro stato oggettivo, e si è consolidato nel lungo periodo intercorso dalla crisi principiale. Sostanzialmente, gli uomini che nascono nel ciclo breve sono intrinsecamente soggetti ad un’ideazione imperfetta, che ne condensa le strutture formali sottili e dense (il corpo fisico) secondo concettualizzazioni gravemente inesatte, capaci di condizionarli intimamente nelle loro percezioni e soprattutto nelle scelte conseguenti, riducendoli ad un impoverimento energetico che avvantaggia i loro dominatori e contemporaneamente determina l’insorgenza di fenomeni quali la malattia, la limitatissima durata delle singole vite ed infine la morte. Le entità pleromatiche tuttavia agiscono ignorando la vera realtà e consistenza dell’Atto di Manifestazione che arbitrariamente interpretano a questi livelli: in pratica, l’immenso tempo che le separa dalla condizione principiale le ha rese dimentiche dell’esistenza di Dio oltre le loro sfere operative, inducendole a considerarsi esse stesse divine: un secondo “dio” impersonato proprio da coloro che avrebbero dovuto e potuto vivere 43


nella Luce del vero Dio. Questo “dio minore” fu chiamato dalla meditazione gnostica demiurgo: termine che ne evidenzia insieme la qualificazione esecutiva ed operativa della funzione affidatagli. In effetti, il demiurgo (ed il campo pleromatico delle sue entità archetipiche) gode di un’immensa libertà d’azione, e del potere di condurre ad emersione le proprie deliberazioni. Da questo stato discende l’immensa nobiltà del Pleroma originale, e la sua capacità d’interferenza che la “caduta” ha pesantemente offuscato e distorto, ma che tuttora si mantiene con grande incidenza. Perché? Ci ripetiamo: il Padre agisce per la salvazione di tutte le Sue creature. Prima d’interferire con la loro libertà di scelta Egli cerca sempre l’occasione, nel piccolo delle singole vite e nel grande di un universo, per un recupero prima di tutto ideativo e susseguentemente formale. Ne consegue che il potere dei campi oscurati si mantiene finché non è compiuto un vero atto di scelta, che implichi un reintegro nell’ideazione principiale o il rifiuto completamente responsabile della sua immanenza. Una negazione, dunque, di Dio ed un’aggressione alla Sua volontà in tutti coloro che la dovrebbero affermare. In quest’ultima disperata ipotesi si rinnova l’emersione del rigore divino, che implica l’esperienza dei propri stati e la loro completa dissoluzione: questa è l’ipotesi, come sappiamo, del Kali-Yuga, che implica l’assorbimento del campo manifestato nell’Informale e la sua successiva riproposizione – dopo una adeguata purificazione – in un nuovo e successivo atto d’emanazione. Notiamo tuttavia due aspetti: il primo è che il rigore divino non costituisce (come sovente suppone il demiurgo oscurato) un atto di giustizia astratta, ma è sempre e comunque finalizzato al recupero del reprobo. Conseguentemente specifichiamo che l’onnipresenza dell’amore cristico implica sempre la possibilità della redenzione anche per le più distorte personalità. Tuttavia proprio l’azione immanente di questo Amore rende l’insorgenza del rigore completamente giusta e motivata: il reo è veramente tale, e la giustizia che lo colpisce si svela come l’estremo metodo per il suo futuro recupero. Non esiste, nella volontà divina, un’esigenza retributiva che motivi una punizione o un castigo. Il dolore, frutto delle proprie azioni arbitrarie, insegna quando la libertà di scelta è degenerata a tal punto nell’arbitrio che non vi è effettivamente la capacità di esercitarla. Solo allora il Padre si “sostituisce” alle intenzioni dei figli, e li conduce all’esperienza dei loro stati. Più esattamente, il Padre non li sostiene nel proseguimento dei loro vettori esistenziali, e l’emersione karmica – non più controllata e moderata – agisce. A questo proposito notiamo che le entità demiurgiche, gli arconti, hanno ridottissime capacità d’autoanalisi reale, essendo la loro mente più o meno priva del sostegno del centro interiore, il quale determina l’insorgenza di una “zona” di spiritualità al centro delle personalità. Possiamo quindi affermare che la mente arcontica è prevalentemente costituita da fattori inconsci, cristallizzati e remotissimi, tali da renderla incapace di percezioni esatte e d’autorappresentazioni reali. La generalità di questo stato implica una profonda uniformità delle ideazioni e delle strutture intellettuali di riferimento, che ovviamente consentono una reciproca interferenza a livelli praticamente abissali. Questo stato del pleroma implica 44


l’ingerenza costante e pesantissima nelle aree dominate, che generalmente non conoscono la loro effettiva condizione e quindi finiscono col condividere molti aspetti dei loro nascosti padroni. I quali cercano in ogni modo di mantenere le loro strutture di potere, opponendosi visceralmente e concretamente a tutti i tentativi di quanti vi si oppongano. La gravità dello stato generale dipende proprio da questo. La mente inconscia domina la consapevolezza ordinaria ben oltre i limiti supposti dall’autoanalisi di molti ricercatori, i quali tendono a trascurare il momento spirituale dei soggetti e ben poco comprendono la situazione generale. In effetti, l’induzione di potere indica generalmente vie astrattamente intellettualistiche, ben poco efficaci nel garantire un effetto stabile e positivo per tali metodologie. Quale è l’incidenza dell’inconscio sulla mente globale di un individuo? Nel caso delle entità del piano sottile (ovvero oltre la soglia della comune percezione) è praticamente totale: le entità non hanno che una parvenza di libertà di scelta e quindi ridottissime possibilità d’analisi e di approfondimento. A livello astrattamente mentale sono abili ed astute: godono di una lunghissima esperienza conoscitiva degli stati involuti, ma comprendono solo quelli. Il resto, quello che noi conosciamo come amore, sentimento, armonia e fraternità, esula dai loro schemi e quindi risulta incomprensibile. Un accenno adesso al funzionamento dell’organo rappresentativo, il quale è come sappiamo - costituito dalla mente, dall’intelletto e dal punto di riferimento dell’attività: l’io. La mente è il ricettacolo di tutte le formulazioni ideative, frutto di precedenti fattori d’esperienza e d’astrazione. Ha la caratteristica di conservare nel tempo, e perfino indefinitamente, le concettualizzazioni che considera importanti per la personalità ed il suo dinamismo; inoltre, la ripetitività dei comportamenti e delle successive formalizzazioni conduce a una cristallizzazione dei concetti, che diventano operativi in pieno automatismo ed in tal modo si sottraggono all’analisi ed all’eventuale censura del soggetto percipiente. L’organo intellettivo, che raffronta i singoli contenuti mentali e li struttura in vista di un determinato comportamento, agisce in modo analogo. Possiamo allora affermare che tutto lo strumento interiore si rende sclerotico ed inerziale, e che le scelte in quest’ottica sono egualmente condizionate e coattive. La reciproca induzione opera ben oltre l’immaginabile, e costringe le personalità a comportamenti che possono apparirci immotivati ed assurdi ben oltre le più pessimistiche previsioni: comportamenti dettati dalla mente inconscia più che dalla superstite consapevolezza, e questo fenomeno – immensamente diffuso nei piani sottili – tende a consolidarsi anche nel nostro. Il problema è grave. Il Maestro indica quindi l’unica strada agibile, che è iniziatica ed esoterica: innanzi tutto induce l’allievo ad una conoscenza del campo quanto più esauriente gli sia possibile, e nel medesimo tempo gli suggerisce (a livello spirituale ben più che a quello discorsivo e mentale) i metodi e gli strumenti per un’efficace difesa e per il superamento di questo stato. Ricordiamo sempre che il Maestro opera nei confronti di tutte le entità che siano coinvolte in questo sentiero, tentando – secondo le circostanze e le singole emersioni – di purificare l’intero campo affidatogli. 45


Infatti, per quanto abbiamo indicato, una liberazione non può essere semplicemente individuale. L’Alto ed il Basso costituiscono effettivamente una continuità, e non è possibile agire su singoli enti trascurando il globale in cui si evidenziano. Queste valutazioni hanno rilevanza per identificare il giusto atteggiamento verso le forme cosiddette “minori”, ossia dotate di un’autocoscienza limitata nel confronto degli Uomini e delle Donne. Il nostro stato influisce positivamente o negativamente sul loro, agendo profondamente sulle singole menti e sulla stessa formulazione fisiologica che le supportano. In altri termini noi siamo – come dice l’Antico Testamento - responsabili nei loro confronti perché essi ci sono stati affidati dall’Ideazione Principiale. Ne consegue la necessità di rinnovare il rapporto che intratteniamo con gli esseri viventi in tutto il campo, e perfino con il campo stesso nei suoi aspetti più inerziali e statici ossia strettamente elementali. Attualmente ci configuriamo nei loro confronti esattamente come le Intelligenze arcontiche si rapportano con noi. È un abuso che esige d’essere modificato e, alla fine, risolto. Queste note non esauriscono certamente il tema che ci siamo proposti, ma possono essere un discreto avvio per un approfondimento ed il susseguente comportamento. Dio è Amore: questa è la base ontologica ed interpretativa di tutto l’esistente, ivi compresa la nostra particolare realtà. La discriminazione di questa brevissima frase è infinita, se noi ci rendiamo alla giusta dimensione interiore, spirituale ed intellettuale. Occorre farlo. Ψ I campi “sottili”, ossia di tangenza con il nostro ambito formale, risultano prevalentemente esplicativi: questa constatazione ci informa che essi sono costituiti in larghissima maggioranza da entità autocoscienti “femminili”, e con tutte le implicazioni del caso. Nella Manifestazione non esiste la prevalenza di un principio polare sull’altro, perché l’Idea fondamentale implica - secondo la logica dell’Immagine - la profonda empatia e l’accordo paritetico fra gli enti. Tuttavia la “caduta” ha determinato, fra i tanti effetti dissolutivi, l’insorgenza di un conflitto durissimo fra uomini e donne, spesso e per un tempo immenso praticamente insanabile. La frantumazione dell’unità principiale del campo in zone separate, e spesso antitetiche l’una all’altra, ha cagionato nelle moltissime aree involute del campo eterico (non percepibile dai sensi comuni ma comunque concreto) una netta separazione fra il principio femminile e quello virile, con la conseguenza primaria della generale emarginazione di quest’ultimo. Come da un “punto” (sintetico) hanno origine innumeri “linee” (esplicative) così l’ente maschile, seguendo la sua formulazione basale, si pone quale elemento ideativo/operativo della volontà divina, che trasmette all’elemento 46


operativo/ideativo femminile per la sua pratica attualizzazione: la quale esige in ogni caso il concorso fattivo d’entrambi i poli. Nella formulazione originaria della “sizigia” (termine gnostico che indica la coppia polare) un fattore ideativo si colloca in un ambito composto da vari elementi esplicativi, e senza che questa configurazione implichi una prevalenza di un polo sull’altro. L’ideazione e l’attualizzazione sono dunque “funzioni” dell’attività polare, e a questo proposito notiamo che ogni persona, uomo o donna che essa sia, è “immagine” dell’Ente Causale che la specifica, ed in tal modo contiene in sé stessa entrambi gli aspetti del dinamismo: la capacità di percepire un aspetto reale mediante l’intuizione e di condurlo conseguentemente a forma definita dall’analisi di tale contenuto (autorappresentazione). E’ fondamentale, a questo proposito, affermare oltre ogni dubbio quanto segue: l’intenzione divina che affida all’Adam lo svelamento dell’idea di Manifestazione non ha come finalità primaria la definizione di un campo formale, ma essenzialmente quella di conferire vita concreta (libera nelle scelte, autonoma nelle attività e altamente positiva) a determinati contenuti della Coscienza assoluta. Lo svelamento dell’ambito esistenziale è in realtà la conseguenza necessaria dell’attualizzazione di questa vita, ma è appunto un effetto. La vita delle creature è il principale scopo dell’Atto manifestante. Cosa ne consegue? Innanzi tutto, che la “caduta” infrange in primo luogo il rapporto polare, e che conseguentemente tutto il campo formale è alterato. La mancanza di sinergia fra uomo e donna, che si evidenzia in primis a livello archetipico (pleroma) e poi si diffonde secondo una logica “gerarchica” alle formulazioni operative, genera l’alterazione del piano divino, e la sua frammentazione in livelli distinguibili da un alto valore alla sua negazione più feroce. La degenerazione di molte entità archetipiche implica la formulazione di ambiti formali altrettanto contaminati, e le conseguenze sono gravissime sotto tutti gli aspetti. In effetti, il compito degli Archetipi (entità elementali: noi stessi lo siamo, anche se offuscati) è quello di condurre le idee a forme specifiche, e se quest’attività è arbitraria o scompensata le risultanze distorcono inevitabilmente la zona che ne è oggetto. Abbiamo indicato la causa di questo scadimento, che è nato dalla perdita di rapporto polare fra gli enti affidatari di tanto svelamento; tuttavia l’origine di tale situazione è ben più sottile, e s’identifica con la “perdita del Centro interiore”, del Sé personale immagine di quello trascendente, che è indicato nell’esatta terminologia orientale come “Atma”. Le tragiche conseguenze le abbiamo più volte indicate, per cercare di definire la distorta situazione esistenziale in cui tutti versiamo. Tuttavia occorre nuovamente specificarci. Il campo di massima tangenza (quello definito, nel simbolismo dell’Albero della Vita, come Jesod) è costituito da entità in massima parte esplicative, femminili. Questo fatto caratterizza il loro comportamento sotto molteplici profili, e dobbiamo comprenderlo. Essendo “donne”, le personalità jesodiche soffrono duramente per l’assenza dell’ente ideante, non reperibile nel loro ambito in cui i pochi “uomini” che 47


sussistono sono degenerati ben più delle loro antiche compagne. Inoltre, l’intenzione di queste femminilità è coerente con la storta ideazione che si sono date, di prevalenza e di dominio sull’elemento virile; essendone carenti, tendono a conferirsi una vita immaginativa fondata sulle percezioni emotive provenienti dalle aree che controllano, stimolandole ed alterandole mediante induzioni filtrate nell’inconscio delle vittime. L’omosessualità per esempio, effetto immediato della perdita di un vero nesso polare, è così trasmessa ed incrementata nelle dimensioni assoggettate, e così accade per le deviazioni della sessualità, in particolare per quelle sadiche e masochistiche che esprimono il massimo dominio sull’altro. Notiamo nuovamente, per inciso, che l’idea di potere e di possesso ha sostituito in queste aree quella originaria d’amore, che è divenuta nel tempo ignota e incomprensibile. La struttura di queste menti non contiene concettualizzazioni capaci di acquisirla e di averne una qualche intelligenza. L’induzione tramite la mente inconscia delle personalità controllate è dunque il metodo prevalente per esercitare il dominio di Jesod; a tal fine, per prima cosa, la mente delle vittime è resa incapace di percepire direttamente i campi intrusivi e le loro esplicazioni, e conseguentemente ogni tentativo di risolvere la propria condizione vitale secondo un principio d’armonia e d’amore è duramente combattuto e, se possibile, vanificato. Le intrusioni che, tramite l’inconscio, filtrano nella comune coscienza di veglia sono variamente configurate, secondo gli scompensi che le entità individuano nelle personalità controllate: queste distorsioni, infatti, rappresentano veri e propri varchi per suggestioni similari ma altamente negative, che il soggetto succube avverte poi come moti propri, spontanei, ai quali è difficile opporsi. La principale difesa, che consiste nel riconoscimento dell’alterità di uno stato emozionale, è elisa in partenza, ed allora il soggetto senziente si colloca in una situazione difficilmente equilibrabile. Possono, fra l’altro, nascere sensi di colpa e di fragilità difficili da essere compresi e cancellati, che richiedono nel tempo compensi psichici altrettanto dannosi. L’effetto è, sempre, un più facile controllo dell’entità succube che in certi casi agisce come in automatismo, senza rendersene veramente conto. La frase che definisce questa passività è: “Io sono così, e cosa posso farci?”. Questa però è una resa, e non una constatazione. Le induzioni del campo sottile dipendono dallo stato del percipiente, e quindi hanno innumeri aspetti. Possono essere d’irritazione, di sessualità, d’interesse per qualcosa anteriormente indifferente, e perfino di stanchezza e di sonno se il soggetto si occupa di cose ostiche all’entità dominante. E possono configurare – il ché è gravissimo – un assorbimento energetico specifico, conseguente all’infusione nella mente asservita di stati deleteri propri di quella dominatrice. Il furto d’energia vitale compiuto da questo Jesod è tipico e costante, e impoverisce tutta l’area dominata, con poche eccezioni. La breve durata della nostra vita, le malattie ed infine la morte fisica ne sono gli effetti più comuni. Tuttavia a questa fenomenologia diffusa possono sovrapporsi fatti particolari, che l’aggravano e la rendono maggiormente deleteria. L’inconscio collettivo è mente, e la mente implica sempre un soggetto senziente. 48


In effetti, l’inconscio collettivo è costituito da ideazioni generalmente condivise ed affermate che unificano, in qualche modo, le attività d’innumeri centri di coscienza rendendoli simili fra di loro. Il fenomeno si diffonde dunque da un livello esistenziale all’altro, provocando l’indebolimento di tutti quelli che lo subiscono, dominatori e dominati: possiamo affermare che il decadimento di un’area formale implica sempre un’identica situazione in quelle ad essa più legate, e che il crollo di una ha conseguenze disastrose su tutte. Questa considerazione dovrebbe essere nota al campo sottile, che ha incontrato nel suo lungo passato molte crisi; tuttavia esso ha scarse o nulle capacità d’introspezione e d’analisi, e questo aggrava il nostro problema. Occorrerebbe trasmettere a Jesod delle idee e delle informazioni capaci di scuoterlo profondamente e di rinnovarlo, ma prima è necessario distruggere gli schemi e le concettualizzazioni astratte che si è dato e che mantiene da un tempo indeterminato. Fare tabula rasa di questo mentalismo è quindi il compito primario che un Maestro affida agli allievi, ai quali è poi demandato il secondo, quello d’essere tramiti dell’Idea basale che è di natura divina. Ci collochiamo allora nell’ambito della Teurgia, perché una tale opera esige il sostegno della Volontà trascendente ed i mezzi che Essa conferisce. O sarà costantemente vanificata. Da quanto abbiamo esposto deriva la necessità di un’analisi accurata del nostro stato vitale per raggiungere la capacità di rinnovarlo positivamente. E’ un cammino ostacolato e difficoltoso, da compiersi sempre con il Maestro atmico e con fede sicura. E’ un cammino necessario.

49


ANATOMIA DELLA CADUTA II° Approfondiamo adesso alcuni temi strettamente collegati alla nostra precedente analisi, che proponiamo all’attenzione del ricercatore perché li valuti e possa conferire poi il suo personale e necessario contributo. La struttura del campo generale che abbiamo individuato (l’Interità) è stratificata in molteplici zone a differenti livelli di potenzialità e d’attualità. Esse indicano gradi di coerenza con l’Ideazione fondamentale più o meno realizzati, che si conducono da quelli più effettivi – il campo prossimo al Fattore causale – ai più oscurati ed involuti, i quali costituiscono nell’esperienza dei principi coscienti più decaduti un inferno vero e proprio: il nulla della forma e della sua dinamicità. La nostra ricerca ha un quesito di base: perché, in questo dramma generale che coinvolge tante aree della Manifestazione, le personalità più evolute non “ sembrano” interferire con quelle, infelicissime, delle zone oscurate? La meditazione buddhista - molto precisa e concreta - individua in proposito dieci strati d’emancipazione, i quali rappresentano i rapporti d’attualità e di potenzialità reale degli enti che li costituiscono. Le aree dimensionali più elevate denotano un livello di realtà coerente con la Volontà primaria (brahmanica) e quindi una potenzialità negativa assente o quanto meno impercettibile; all’opposto, le aree basse mostrano un’attualità grandemente involuta e gli aspetti positivi sono remotissimi o praticamente impercettibili (quest’ultimo è, al limite, il caso della Qelliphoth nella quale la libertà della scelta è scomparsa, e che conseguentemente può essere salvata soltanto da un intervento esterno a lei). I dieci strati rappresentano, naturalmente, una semplificazione necessaria ed indicativa della situazione esistenziale generale, nella quale ogni livello mostra tante particolarità quante sono le persone che contiene. La meditazione buddhista è molto obbiettiva e reale, ed aiuta immensamente la comprensione del nostro problema. Le aree compromesse dalla “caduta” si collocano approssimativamente dal settimo livello (compreso) al più basso, il primo; l’ottavo dunque contiene una coerenza con la Realtà già elevata, che s’illumina nel nono e risplende nel decimo ai limiti del Divino puro. Il comportamento delle dimensioni oscurate, le cui proiezioni riscontriamo quotidianamente nella nostra, è già stato genericamente indicato. Cerchiamo adesso di cogliere qualche aspetto che ci consenta l’intelligenza anche delle zone reali, e ci aiuti a comprendere perché, se esse s’ispirano all’Amore di Dio, in apparenza nulla accade che allievi il dolore di chi è reso lontano da questa condizione. Prima di tutto, notiamo che nessun Ente può sostituirsi alla libera scelta altrui, e che quindi il problema è prioritariamente la ricostituzione di questa libertà in coloro che l’hanno in molti modi negata. L’atto di scelta è il vero fattore principiale che puntualizza l’Idea divina in una Forma dinamica, capace di svelarla a sé medesima ed 50


al Padre come libertà nella Sua creatura. Insistiamo: il Dio Creatore vuole che l’ente creato rappresenti la Sua “immagine” nel limite e nel conseguente dinamismo esplicativo, e quindi gli conferisce tale capacità nel Suo immanente sostegno. Se l’atto di scelta viene a mancare, od è insufficiente, il Padre non abbandona il figlio ma cerca di ricondurlo a sé stesso: anche con l’esperienza degli effetti di comportamenti inadeguati ed erronei. L’intervento cristico richiede quest’interpretazione, o non sarà compreso nella sua essenzialità fondamentale. Gesù riafferma l’immanenza del divino assumendo completamente i limiti della nostra umanità attuale, e superandoli nell’Amore. Egli in tal modo non si sostituisce alla nostra libertà, ma la rende comunque possibile, ed è dono inestimabile perché noi, in effetti, l’avremmo vanificata. Le aree emancipate si conformano quindi a quest’insegnamento: non possono impedirci l’errore, ma vogliono renderci edotti del nostro stato e dei mezzi per rischiararlo, sostenendoci da un lato nei nostri tentativi (che altrimenti sarebbero condannati al fallimento dallo stato generale in cui ci ritroviamo) e dall’altro elidendo sottilmente e costantemente le emersioni di potenzialità più negative, che altrimenti costituirebbero barriera ad ogni desiderio d’affrancamento. In termini brevi, il karma individuale e personale è “guidato” finché sia possibile farlo, ed affidato al giudizio del Padre in ogni altro caso. Questa considerazione ci aiuta ad affermare che il “silenzio” di Dio nei suoi figli è illusorio, e dipende soltanto dalla loro sordità. Quelli che sanno ascoltare odono la Parola, ed agiscono conformemente. Occorre tuttavia prestare attenzione. La vita degli Archetipi Maggiori, che sono in diretto rapporto con gli Arcangeli delle Sfere (per usare una simbologia sephirotica, dedotta dal Glifo della Vita) non è del tutto comparabile con quella che ci è nota e comunemente sperimentata. In quel “loka” (area dimensionale) l’immanenza divina mantiene costante la scelta nell’ordine reale, e conseguentemente i criteri di giudizio e di comportamento di tali personalità, che sono uomini e donne a tutti gli effetti ma collocatisi a livello “normale”, ossia oltre la “caduta” che ci opprime, si fondano su ideazioni e su parametri percettivi molto diversi, e certissimamente ben più obbiettivi rispetto ai nostri. Innanzi tutto, il tempo. Osserviamo prioritariamente che la dinamicità degli enti si concreta in un costante passaggio da virtuale ad attuale delle infinite potenze che essi reperiscono nel loro campo interiore, e che richiedono appunto - per atto costitutivo della Manifestazione - di essere tradotte in forme esistenziali. Per inciso, l’esperienza esistenziale è necessaria per tradurre l’infinito contenuto virtuale delle coscienze-“Immagini” in sapienza reale, portando in tal modo a svelamento costante l’Atto emanativo. Abbiamo più volte affermato che la massima finalità di quest’Atto è la vita stessa nella sua completezza, e che il processo è infinito; la vita si fonda poi sulla libertà personale, che si concretizza in scelte e conseguenti attività tanto nel campo interiore quanto in quello esterno, in tal modo reso mobile ed evolutivo. Questa dinamicità è centrata sulla legge causale e si esplica secondo i parametri temporali e spaziali, i quali – notiamo attentamente – non vengono mai meno. 51


Tuttavia cambiano le capacità autorappresentative, e sovente (rispetto alla nostra ordinaria esperienza) in modo radicale. Il tempo archetipico è, come altrove notammo, sferico: nel senso che il passato in generale e un aspetto emergente dello stesso futuro possono essere percepiti come attualità. Il passato, innanzi tutto, è complesso, perché esso contiene in primis i vettori esistenziali che sono stati scelti ed attualizzati, ma anche quelli – se dotati di una certa realtà – che abbiamo lasciato semplicemente potenziali. Nella Mente Assoluta essi atemporalmente sussistono, e conseguentemente un adepto può, in certe specifiche situazioni, conoscerli, comprenderli e perfino in un certo modo attivarli. Questo fattore consente certamente un immenso approfondimento dell’esperienza esistenziale, ma anche la conservazione infinita di fattori che incorporano un valore sempre attuale, in sè stesso o come momento particolare della vita. Praticamente, nulla di quello che ci è veramente caro e che amiamo è smarrito nei meandri del tempo, poiché la dimensione archetipica ci consente tanto di rinnovarne la rappresentazione quanto di approfondirla negli aspetti che ci appaiono, alla luce della nuova coscienza acquisita, imperfetti, o perfezionabili o degni d’essere più profondamente compresi. E’ impossibile raffiguraci con un’effettiva approssimazione questo particolare momento dell’autorappresentazione esistenziale, che accenniamo come elemento “a quo” per una personale riflessione. Tuttavia – e la cosa ha rilevanza odierna – questa sfericità del tempo archetipale implica un ben differente approccio alla problematica della “caduta”, che è percepita dagli Enti del vero Pleroma – sotto la guida degli Arcangeli delle Sfere, necessari ed immanenti Maestri – come attuale in tutte le sue formulazioni ed accadimenti. In termini più propri, ciò che nella nostra comune esperienza ci appare come un passato vicino, remoto o arcaico è, in effetti, una particolarità autorappresentativa immersa e condizionata da un’autorappresentazione globale molto illusoria, mayanica in sommo grado e quindi prevalentemente irreale. In quest’individuale tipo di coscienza i soli elementi che hanno un fondamento di verità e d’effettiva permanenza sono quelli improntati all’amore, che in altri termini esprimono di fronte al Padre la nostra vera capacità di coerenza con la Sua essenzialità. Questi fattori sono generalmente conosciuti da noi stessi in modo imperfetto ed incompleto, ma mantengono la piena capacità di un progressivo approfondimento, e conseguentemente non si dissolvono al venir meno dell’illusione personale e collettiva. Il nostro esame c’informa allora che, per il Pleroma di Cristo, la “caduta” dei singoli è attuale, e le formulazioni in cui s’estrinseca – pur in sé medesime illusorie e tremendamente negative – accadono sempre ora e qui, e non sono la mera continuazione di un arbitrio semplicemente passato. Questa approfondita percezione del nostro stato implica prima di tutto un aspetto: gli archetipi devono condurci ad un atto di scelta capace d’emendarci dall’errore che commettiamo e dall’illusoria e conseguente autorappresentazione. Non si tratta soltanto di lenire le sofferenze, ma di riformare le coscienze capaci di provocarle. L’intervento in sostegno da parte di questi Archetipi obbedisce dunque in prima istanza a questa necessità, la quale al limite esige che ci sia lasciata l’esperienza 52


esistenziale delle nostre condizioni vitali quando siamo tanto attaccati alle nostre imperfezioni da non saperle abbandonare, nonostante gli insegnamenti e gli aiuti che ognuno singolarmente riceve. Come insegna Gesù, occorre che noi sappiamo tendere la nostra mano, con spirito puro e nel modo più intimamente reale, per ottenere il Suo soccorso. Ricordiamo inoltre che per il Padre, e conseguentemente per i suoi enti più qualificati, le persone sono reali nella realtà del Figlio, il qual è l’Interità manifestata. L’azione delle Entità archetipiche converge quindi sugli aspetti individuali e sul globale, cercando di salvaguardare con i primi la situazione generale dell’Adam. Per questo l’Istruttore sephirotico deve formare l’allievo al punto da indurlo a cercare la propria effettiva verità nel modo più autonomo e libero possibile, a prescindere perfino dalle comunicazioni verbali che gli sono donate, in principio indispensabili ma poi progressivamente sostituite da un migliore ascolto interiore: il quale richiede sempre l’incentramento nel Sé e un contemporaneo atto di scelta per condurre l’intuizione alla necessaria autorappresentazione del suo contenuto. Il primo fattore (incentramento) obbedisce alla necessità di corrispondere all’atto d’amore divino con un coerente atteggiamento: il nostro sentimento si impronta alla sottilissima intuizione del Sé, ai limiti del campo esistenziale che ci definisce, percependo lo stato pressoché informale del sentimento che ne scaturisce e poi scegliendolo per renderlo proprio. In effetti, noi amiamo Dio con l’accettazione del Suo immanente amore, reso tuttavia nostro e soltanto nostro in questo processo interiore. L’azione che ne consegue dovrà naturalmente essere specificata da quest’acquisizione, che richiede il suo mantenimento quanto più permanentemente ci sarà possibile. L’interferenza dell’Entità sephirotica, che puntualizza un analogo processo al proprio livello spirituale, obbedisce quindi a criteri tanto formativi che informativi, personali e generalizzanti: i casi particolarissimi in cui troppo spesso ci disperdiamo esulano quindi in buona parte dall’intento primario dell’Istruttore, anche se Egli, conoscendo i nostri limiti o per puro amore, può aiutarci a puntualizzarli. Infatti, la vita ha un indefinito campo d’espressione dove anche le cose di per sé stesse “superflue” possono, in una certa prospettiva, apparire importanti: almeno come sostegno e compenso per la fatica che una condizione di ricerca comporta. In effetti, ricordiamolo, il sentiero implica la soluzione progressiva quanto necessaria dei nodi karmici, ossia l’emersione dei loro contenuti. Questo fatto non è mai leggero e può essere in massimo grado impegnativo: è il nostro modo specifico d’affrontare la “caduta” elidendone le conseguenze nell’ambito che ci è attuale, e comporta conseguentemente le più tenaci resistenze dei livelli (di sette, che si configurano con crescente negatività verso il basso) dai quali siamo circondati. Anche qui la meditazione buddhista, insegnandoci la contemporanea presenza di tutte le zone esistenziali in ciascuna – che è definita dalla sua situazione prevalente – a differenti stati di potenzialità ed attualità, ci è di grande aiuto. La conferma della sua esattezza ci può pervenire poi dall’osservazione obbiettiva dell’ambito nel quale viviamo per le qualificazioni che più lo caratterizzano, e non certamente belle nella maggioranza dei casi. 53


Il comportamento delle aree più elevate, e la loro apparente lontananza, ha dunque ragioni complesse e sottili di non facile reperibilità, mentre quelle dei livelli involuti si definisce sempre come prevalenza d’istanze egocentriche su quelle integrative dell’amore reciproco. Ma anche qui la differenziazione degli stati (reperibile facilmente anche in questa nostra odierna condizione) implica la necessità di giudizi di merito attenti e motivati, per poter assumere atteggiamenti e deliberazioni operative davvero adeguate al compito affidatoci, e all’Intenzione che esso svela.

Ψ Una specificazione, generalmente ignorata nella ricerca dei principi metafisici, concerne la struttura particolare che la Manifestazione assume nelle sue componenti più significative: i principi autocoscienti capaci di libertà ed autonomia operativa, ai quali è poi assegnata la funzione primaria di svelamento (con la loro vita concreta) dell’Idea basale. Gli enti elementali creano rapporti interpersonali non fondati sulla semplice casualità, ma che esprimono (un tempo in modo puntuale ed ancora rilevantemente in moltissimi casi) valenze unitive profonde, empatie ed affinità che si collocano nella struttura delle singole coscienze e che dipendono soprattutto dall’atto di scelta principiale del campo d’esistenza. Un accenno al problema potrà condurci ad una più attenta definizione. La formulazione esplicativa della Suprema Coscienza (la Madre, ossia la Chakti) contiene puntualizzazioni esecutive primarie, capaci di tradurre “in forme” i contenuti della ideazione creativa (il Padre: Brahma ovvero l’Ente noumenico fondamentale). Sappiamo dalla Tradizione che il Dio Creatore può essere in qualche misura compreso in una configurazione trinitaria, nella quale s’identificano appunto un Principio ideante, uno esplicante e la loro Sintesi, che – nell’Identità – li assume e li trascende. Comprendere questa Trinità è intellettualmente impossibile, perché essa è oltre la nostra limitatezza; ci sostiene allora la “Rivelazione” conferita agli innumeri meditanti d’ogni ordine e tempo, che ci indica costantemente questa base ontologica: Brahma, Shiva e Chakti per l’Oriente, Kether, Chokmah e Binah per l’ebraismo oppure Ra, Osiride ed Iside in una validissima interpretazione dell’antico Egitto. Noi, eredi di molte linee metafisiche, siamo soliti indicare queste Realtà come Padre, Figlio e Spirito Santo, il quale ultimo è poi la Potenza che sostiene e soccorre, ossia la Madre. La Polarità, che poniamo a fondamento dell’interpretazione dell’esistente, deriva dalla logica dell’Immagine da noi stessi impersonata, e possiede dunque basi ontologiche essenziali: i rapporti dinamici esigono l’inferenza reciproca di un principio prevalentemente ideante/sintetico ed uno prevalentemente esplicante/ analitico, nella perfetta parità sostanziale. Questa configurazione implica che 54


l’interscambio fra i protagonisti del nesso polare (che attualizza la dinamicità della Manifestazione) accade prioritariamente nell’intuizione dei singoli stati, e poi come immediata conseguenza dell’intuizione di complementarietà che essi implicano. Un rapporto d’amore nella coppia polare è la presa di coscienza di questa profondissima affinità, che trae un’origine causale dall’atto di scelta primordiale: quello che conferisce ad elementi dinamici della Chakti una particolare consapevolezza di sé, ovvero la base della personalità. Noi, infatti, crediamo che – per volontà divina – le modalità originariamente operative (esecutive) della Potenza possano scegliere fra la vita impersonale nel Campo Causale e quella, individuata e sommamente responsabilizzante, del campo causato. La quale ultima esige il sostegno costante dell’amore di Dio, perché l’ente così specificato si distingue dal Creatore in quanto è “limite nell’Illimite”, e come tale deve rapportarsi naturalmente con Colui che lo determina in Sé. Il passaggio dallo stato impersonale a quello personalizzato richiede, nella logica della Manifestazione, un preciso atto di scelta dello stato e del sentiero che così si specifica. Scelta compiuta e sorretta nell’immanenza divina, la quale fa emergere la consapevolezza necessaria perché i soggetti possano configurarsi adeguatamente in un processo esistenziale, spaziale e temporale. La scelta tuttavia è fra molte possibilità, differenti ma tutte egualmente reali nella sostanza ontologica. Gli enti autocoscienti conseguentemente si polarizzano fra loro, costituendo “sfere” esistenziali altamente motivate e suscettibili di un indefinito spiegamento. Quest’atto principiale è inoltre suscettibile, nel corso dell’esistenza, di molte modificazioni che tuttavia non ne negano la sostanzialità. In termini differenti, con questa puntualizzazione si specificano nessi che possono anche essere modificati, annullati o perfezionati, ma solamente con un simile procedimento, il quale evidenzia il “Potere delle Chiavi” della nostra tradizione spirituale. Questo potere appartiene alla creatura ed implica la presenza ed il sostegno del suo Creatore, il quale richiede una piena coscienza e un’adeguata ideazione per sostenerlo. Sciogliere o legare è atto eccezionale, se è compreso nella sua vera natura, ed implica sempre un processo interiore molto attento e preciso per configurarlo; altrimenti, i nessi permangono e, nell’ipotesi di una perdita di realtà nei protagonisti, consentono – per loro gravissima colpa – innumeri abusi. Queste considerazioni tendono a dare indicazioni sul fattore induttivo ora presente in tutti i campi formali, e agli abusi che generalmente contraddistinguono i comportamenti delle personalità variamente offuscate. In effetti, una sfera precostituita permane come ambito di rapporti anche nel caso di una frantumazione del suo aspetto formale in diverse dimensioni esistenziali, che poi evidenziano le specificità delle autorappresentazioni individuali. Nella mente delle persone sussistono pertanto punti d’affinità, che restano attivi anche quando gli enti ne perdono una precisa consapevolezza, e che possono conseguentemente essere utilizzati da quanti invece la mantengono. Come, in particolare, le entità archetipiche che si configurano quali “detentrici di potere” su altre, ingiustamente assoggettate. Questa è la base dell’intromissione che i campi oscuri costantemente compiono nel 55


nostro ambito, e che esige – per essere attualizzata – una condivisione di stati di coscienza, una comune perdita di realtà. In effetti, un ente arcontico non sostiene che per un tempo limitato il confronto con chi si riferisca alla Realtà divina nella propria configurazione interiore: l’impatto con uno stato d’amore e d’armonia consente un rapporto transitorio e difficoltoso, che può anche determinare un principio di risveglio per coloro che siano precipitati nel sonno mayanico. Purtroppo, la cancellazione d’antiche strutture mentali e la loro sostituzione con altre più veritiere richiede un tempo imprevedibile, ma sempre esteso. La mente priva di sostegno spirituale, infatti, da un lato tende a mantenere le proprie strutture autorappresentative nelle quali s’identifica, e dall’altro non comprende nulla delle nuove, che le appaiono pericolose, illogiche ed assurde. Come più volte dicemmo, questo fattore apre la porta alle innumerevoli intromissioni del campo oscurato, che difende a tutti i costi i propri privilegi e teme sommamente la loro scomparsa, che reputano coincidente quasi sempre con la “morte” fisica dei soggetti coinvolti. Questo comportamento generalizzato in molti strati della Manifestazione - determina le difficoltà dell’iniziazione, e la necessità di perseguirla con la maggiore fermezza possibile. Il nemico è forte e numeroso, e non concede alternative. Una diretta conseguenza di questi fattori è la permanenza del campo nonostante le sue molteplici ed infelici vicende, e finché un atto di scelta nuovo e concreto non ne modifichi i contenuti o li cancelli. Naturalmente quest’ultima ipotesi è gravissima, e l’Amore divino la considera come estrema soluzione di un dramma altrimenti non risolvibile. Fino a questo limite l’antica struttura dei rapporti interpersonali è difesa, e si tenta il ripristino dell’Ideazione fondamentale. Queste considerazioni spiegano le ragioni dell’incidenza del piano demiurgico sul nostro, le modalità operative che il Maestro insegna e le vicende conseguenti, altrimenti illogiche e vanificanti. In effetti, per camminare nel Sentiero occorre una sufficiente “sapienza” dei principi informanti per indirizzare adeguatamente la nostra attività pratica; la prima “sapienza” indispensabile da acquisire è la Fede in Dio, e il conseguente distacco dagli esiti delle nostre azioni. Sempre e comunque. Questo è l’antico insegnamento della meditazione esoterica, in particolare del Baghavad Gita che dovrebbe essere conosciuto in Occidente ancor più che in Oriente, data la capacità di traino che la nostra mentalità manifesta nei confronti delle altre culture. L’estensione e la diffusione del problema denota la presenza di fattori dissolutivi in atto, nel piano fisico ed in quello interiore delle coscienze: come sappiamo, questi due momenti sono strettamente coordinati, e così lo scadimento spirituale diviene sempre più quello del pianeta. In particolare, un fondamentale aspetto dell’autorappresentazione è dunque la sua capacità di caratterizzare il campo formale delle nostre vite. Questo “potere” è nell’attuale periodo l’ombra distorta dello stato principiale, nel quale le entità autocoscienti (principi elementali di svelamento dell’Idea creatrice) operavano nella formulazione e nell’evidenziazione del Mondo manifestato. Le conseguenze sono immense. Un “principio elementale” è un ente (jiva: personalità autocosciente) capace di 56


condurre a forma con le proprie volizioni aspetti dei Quattro Elementi formativi dell’ambito generale, condensando le idee in strutture variamente permanenti. Sappiamo che i Quattro Elementi costituiscono il fattore “potenziale” dell’emanazione, quello che l’Adam ha il compito d’attualizzare in un processo infinito. Consideriamo adesso che gli uomini e le donne, non importa dove essi momentaneamente sussistono, sono tutti “principi elementali”: possiedono quindi il potere di plasmare qualcosa nell’ambito che percepiscono, e secondo le loro più attive e profonde concettualizzazioni. Naturalmente questa è un’attività specificatamente mentale ed intellettualistica la quale, purtroppo, non è nella nostra situazione sorretta da un’adeguata spiritualità. In tal modo è assente, o molto indiretta, la capacità intuitiva relazionata al Reale e le conseguenze sono estreme. Affidiamo al ricercatore una puntualizzazione di questo stato delle cose, secondo le sue capacità interiori e le conseguenti modalità autorappresentative. Ci limitiamo ad affermare che, se l’Adam del pianeta Terra vuole davvero un certo risultato sul piano considerato scientifico o di reciproca relazione, finirà col determinarlo e – probabilmente – considererà una sua “scoperta” di una “legge naturale” quello che è all’origine il proprio particolare modo di configurarsi nell’insieme d’appartenenza, in questo specifico settore dell’Interità.

Ψ Questo potere è una facoltà superiore conferita in principio all’Adam, e specifica ulteriormente l’idea d’”Immagine” che egli impersona. Conseguentemente è un potere immensamente responsabilizzante, che nella nostra fase storica è altrettanto immensamente abusato e corrotto. L’Adam può operare come e dove vuole, e nessuno gli impedirà di distruggersi se ne accetta e persegue l’eventualità. Qui le aree più elevate dell’Interità possono soltanto sostenere coloro che davvero le scelgono nel cammino individuale e, come sappiamo dall’insegnamento cristico, “molti sono i chiamati e pochi gli eletti”. Ne consegue che i “pochi” hanno precise responsabilità nei confronti dei “molti”, i quali (ora e qui o in un altro tempo) hanno bisogno di un preciso aiuto. L’approfondimento del problema esistenziale nelle sue molteplici implicazioni è finalizzato a questo, e certo non costituisce una semplice ricerca conoscitiva o l’esercizio interpretativo di un fenomeno che poi non ci riguardi. Noi apparteniamo ad un “insieme” per una nostra scelta di libertà e d’azione sostenuta, nel tempo personale”, dal sacrificio di Dio in Cristo: non possiamo negarci dimenticandone il senso e l’impatto. Questo “insieme”, in effetti, attraverso innumeri ed oscure vicissitudini si è conservato oltre il crollo della condizione originaria fino ai nostri giorni; ha consentito immensi abusi e deformazioni, ed ha sofferto oltre le nostre stesse possibilità di comprensione. Tuttavia è il campo che ci definisce, pur se disperso in zone dimensionali anche lontane e contraffatte, che mantengono in ogni caso un rapporto con il nostro stato più intimo ed individuato. 57


Queste considerazioni spiegano alquanto le ragioni del comportamento dell’Istruttore Atmico nei nostri confronti ed in quelli dell’ambito sottile, e definiscono le modalità possibili del nostro impegno. Finché esiste un barlume di libertà di scelta sussiste anche la capacità dell’inversione di tendenza nei principi coscienti più annegati nell’ego: è per questo che, oltre un certo limite, occorre l’affidamento fondamentale all’Istruttore, che comprende il campo nella sua particolarità e nella generalità, e ci indica sempre il cammino possibile oltre le nostre astrazioni. Questo non ci esime dalla personale ricerca di sentiero, e dalle conseguenti decisioni, ma implica un rapporto veramente empatico con il Maestro, che vuole principalmente questa collaborazione ad un fine comune. Ricordiamo in proposito che la Manifestazione è un atto principiale del Padre Creatore (Padre/Madre) ed il suo svolgimento è affidato al Figlio così puntualizzato, e nel sostegno costante dell’Emanante. Ovviamente, il rapporto fra Maestro ed allievi ricostituisce questo schema fondamentale, che è operativo al più alto livello possibile nel momento presente. E per sempre.

Ψ Le entità dei campi jesodici sono nella massima prevalenza “femminili”, e questo fatto richiede molte attenzioni. Queste “donne”, in effetti, non hanno molto in comune con le compagne della nostra ordinaria esperienza, e possono forse più propriamente definirsi come “entità esplicative” dell’ideazione che si sono data, e che è contrapposta a quella principiale del Padre. Entità esplicative, sì; ma con forma femminile e conseguentemente con una più o meno esplicita richiesta d’incontro con l’ente virile, del quale soffrono da tempi immemorabili l’assenza. Gli “uomini” di questo Jesod oscurato sono, infatti, privi di una concreta e reale virilità, effeminati e senza rapporto con le donne del campo. Come loro, sono tesi al dominio dell’altro ed in particolare delle “femmine”, desiderate soprattutto per le loro capacità di tradurre le concettualizzazioni in forme e, specificatamente, le intenzioni in effettivo potere. Il conflitto, che ovviamente ne consegue, indica chiaramente nella vanificazione del nesso polare la causa immediata della rottura del piano unitario principiale, quella che tutti soffriamo (la causa sottintesa è, infatti, la perdita del Sé). Il rimedio che appare più necessario mira dunque alla rifondazione di questo nesso, ed alla pacificazione (qui ed altrove, perché l’evento ci riguarda sempre più da vicino) fra Uomo e Donna. Poiché le femminilità del campo sottile ebbero certamente rapporto con noi in un indeterminato passato, appare indispensabile una pacificazione con loro anche sotto tale dimenticato profilo. Come? Questo è il problema che vogliamo trattare per sommi capi, almeno in quest’ultima parte del nostro studio, invitando nel medesimo tempo il lettore a 58


considerare quanto abbiamo già indicato in precedenti scritti. Le entità di campo sono donne, ma – abbiamo rilevato – non identiche a quelle che conosciamo. Psicologicamente differiscono profondamente, e per molte ragioni tutte di grande incidenza. Innanzi tutto, il ciclo esistenziale è, nelle loro aree, esteso in misura estrema rispetto a quello che ci affligge: esse vivono per innumeri millenni, e i periodi di ricapitolazione in qualche modo rapportabili alla nostra “morte” non distrugge né i ricordi né le forme fisiche, per lo più armoniose ed eleganti. Le donne jesodiche hanno, infatti, gran cura del loro aspetto, e lo conservano a tutti i costi con metodi che purtroppo ci affliggono. Possiamo considerare che queste formulazioni elementali (sono archetipi, e controllano anche gli stadi potenziali della Manifestazione, la cosiddetta “materia” ai quattro quarti energetici) abbiano conservato – nonostante il degrado – qualcosa degli stati originali, ed in particolare una percezione del tempo differente dalla nostra. In effetti, l’esperienza di contatto con loro c’informa che il loro passato si mantiene molto incisivo e per così dire “presente” nelle loro menti, come se gli anni, i secoli ed i millenni non avessero un peso reale. Questa fenomenologia indica una percezione del tempo in qualche misura non semplicemente lineare com’è sostanzialmente la nostra, ma piuttosto “sferica”, nella quale anche gli eventi remoti sono sentiti presenti e, naturalmente, incisivi ora e qui. Questo modo di raffigurarsi il proprio stato implica una pietrificazione dei giudizi, se non è sorretto interiormanete dal Sé, e nelle menti jesodiche il Sé è assente. Conseguentemente gli stati di coscienza delle donne “astrali” sono difficilmente modificabili, e praticamente mai a livello semplicemente intellettualistico e discorsivo: esse, semplicemente, non comprendono le nostre argomentazioni che per conseguenza considerano superficiali, falsificanti e menzognere. Solo mediante un’esperienza esoterica che modifichi questi parametri di giudizio, distruggendo le antiche concettualizzazioni ed i modi di rapportarle fra loro, è possibile – nel tempo – condurre questa situazione verso una presa di coscienza più oggettiva e reale. Lo spazio, altro elemento fondamentale dell’autorappresentazione, è sotto alcuni aspetti, una funzione del tempo: deduciamo quindi che entrambi i parametri sono diversificati rispetto ai nostri, e che noi possediamo nonostante tutto criteri meno alterati di giudizio. Ovviamente, anche per noi il “passato” è racchiuso nella mente, ma la condizione attuale lo preclude perché è precipitato nell’inconscio; inoltre, le entità di campo vogliono proprio quest’effetto, e lo sostengono in tutti i modi. Conseguentemente il recupero del nostro stato generale esige la rimozione della mente segreta anche sotto questo profilo, necessario perché l’incidenza di Jesod è il nostro problema più pressante e perché esso non è risolvibile semplicemente rimuovendo il contatto con queste aree della globalità. La sephirah che ci affatica è, in effetti, la deviazione di un fattore essenziale della Manifestazione: Tiphereth. Tiphereth può essere definito, nella sua configurazione precisa, come il “giardino di Eden”, ossia il campo principiale d’incontro fra la creatura ed il Padre creatore, e specificatamente fra l’Uomo e la Donna in rapporto reciprocamente empatico. Possiamo affermare che le sfere sephirotiche coinvolte nella “caduta” si 59


condensano in Jesod per dominare l’ultima sfera, Malkuth. La quale, in questa prospettiva, deve essere intesa come punto di sintesi di tutte le sephiroth del Glifo e non semplicemente come zona della forma fisica, che attiene a tutte le aree dell’Emanazione poiché, come già sappiamo, essa è la tipicità dell’autorappresentazione di ogni soggetto senziente: dall’atomo all’Adam. In effetti, la situazione esatta del Glifo implica l’accordo di Malkuth e Tiphereth e la convergenza di tutte le sfere in questa risultante, che per inciso sussiste in ognuna di loro a livello più o meno attualizzato. Il ritorno nelle case del Padre è, sostanzialmente, la rinnovata coscienza del nostro stato reale, l’affioramento finalmente possibile delle vere personalità. Non è dunque una “perdita” - come ipotizzano troppi campi sottili - ma il recupero d’imponderabili contenuti della nostra vera sostanza, ora offuscati e dimenticati. Come indicammo, a questa condizione s’oppongono molti fattori oggettivi e psicologici, che insieme costituiscono un ostacolo insuperabile senza un processo adeguato, sorretto dall’immanenza dell’Amore cristico. In quest’itinerario occorre compiere un’opera di revisione e di rifondazione, non semplicemente di rimozione. Come accennammo, quest’esito esige la rimozione dei “punti d’interferenza mentale” che possiamo localizzare in noi, e la ricostituzione progressiva dell’empatia principiale. Effetto da maturarsi in un tempo adeguato, che non può essere certamente breve. L’elisione delle aree di contatto richiede un certo livello d’introspezione, perché esse colpiscono la nostra guaina “astrale” o “sottile”, e conseguentemente sono nascoste nella mente inconscia. Come abbiamo rilevato, quest’opera incontra una decisa opposizione, la quale tende a ricostituire nel minor tempo possibile quanto, con fatica, abbiamo vanificato; tuttavia, provando e riprovando, l’esito è raggiungibile, e costituisce nel medesimo tempo una conferma delle nostre opinioni e un avanzamento fondamentale nel Sentiero. L’impossibilità del dominio coattivo rende molto fragili le entità del campo, e può indurle ad un ripensamento dei loro stati. Può, e quindi non è un esito certo. Tuttavia, a questo punto le scelte sono per loro temibilissime, e sovente tali da indurle ad una maggiore mitezza. Ricordiamo in proposito che le strutture della mente sono enormemente statiche, se cristallizzate da un tempo immemorabile, e che le donne jesodiche utilizzano la simulazione e l’inganno con abilità ed astuzia. L’allievo necessita qui ancor più di prima del sostegno cristico, e deve sapersi conferire una capacità discriminante appropriata. I “punti di contatto”, infatti, non sono semplici abusi del campo sottile: essi implicano una nostra responsabilità. Se le donne astrali ci odiano (spesso accade) questo sentimento non è una semplice razionalizzazione del loro abuso, ma si fonda quanto meno su comportamenti inadeguati che noi adottammo nei loro confronti, in una zona che fu condivisa. Quest’affermazione implica un’esistenza comune, e una frattura del campo avvenuta anche per nostra colpa. Il problema del passato assume allora una particolare e personalissima valenza: cosa sono, in effetti, le entità di campo che rivelano la maggiore capacità d’interferenza ora e qui, e che sono in genere portatrici di intenzioni complesse, 60


proprie delle loro stesse dominatrici? La rete che esse introducono nel nostro mentale è stratificata oltre le più pessimistiche previsioni, eppure è personale lo strumento che la rende operativa. Questi nessi d’interferenza devono conseguentemente essere compresi a fondo, o la stessa difesa che adotteremo necessariamente potrà rendersi poco adeguata ed imperfetta: un’ideazione precisa deve reggere ogni nostra attività interiore, ed estrinsecarla secondo linee efficaci nell’Amore di Cristo. Ricordiamo tuttavia, ancora una volta, che il Maestro Atmico non agisce per l’allievo o per qualcuno soltanto. Egli ha un fine generale, che persegue tramite i suoi figli, e tutti – uomini e donne – sono pariteticamente tali al Suo sguardo. In effetti, gli allievi si rendono – in questo modo – tramiti dell’Ideazione fondamentale secondo le loro capacità di attualizzarla, e prioritariamente in sé medesimi. Se il campo sottile si rendesse al proprio Sé, riscoprendolo e valorizzandosi adeguatamente, costituirebbe un sentiero unitario con coloro che incontrano in un’identica intenzione, così che allievi della nostra area ed entità sephirotiche riformerebbero l’unità sperata di spirito, pensiero e forma, capace di trasmettere ad altri il proprio stato. Quest’esito costituirebbe per tutti il primo componimento del dramma antico in un nuovo equilibrio: la prima fine della “caduta” ed i primi passi del ritorno verso le Case del Padre, in Eden. Eden è il principio del vero sentiero, e non il termine del cammino. Giungere a Eden indica l’acquisizione della dignità di figli di Dio, quella che consente un campo infinito d’esistenza come modalità libere ed autonome dell’Amore fondamentale. Questa è allora la fine della “caduta”, la rinascita come “un” Osiride nell’Osiride fondamentale, l’incontro – anche a livello concreto – con l’Ente Creatore, il Padre/Madre. Solo così saranno veramente definite le nuove vie da percorrere, insieme agli antichi “nemici” ed in una rinnovata armonia. E’ un compito alto e difficile quanto necessario per la nostra vita.

Ψ Da quanto abbiamo affermato si possono dedurre alcuni criteri interpretativi. Innanzi tutto, il campo apparente è ben diverso da quello oggettivo, nel quale confluiscono settori non percepiti direttamente dai nostri sensi comuni. Conseguentemente, per raggiungere un grado di definizione del nostro stato veramente sufficiente si rende necessario un processo capace di dissipare gli impedimenti sensoriali, comunemente definiti con terminologia orientale quali “veli di maya”. Nonostante la levità di quest’immagine sono ostacoli durissimi e spietati, e consentono la rimozione soltanto dopo un itinerario esoterico, un’introspezione del nostro stato più intimo che soltanto con un Maestro qualificato è possibile ottenere. In effetti, i “veli” sono anche proiezioni mentali estranee con fini di dominio e di 61


possesso, e conseguentemente la loro eliminazione implica il confronto diretto con altre aree della Manifestazione. Queste sfere d’esistenza – simili e non identiche alla nostra – sono costituite da personalità che ebbero nel più frequente dei casi rapporti con noi in un imponderabile passato: rapporti inesatti e talvolta fortemente negativi, che hanno lasciato un oscuro retaggio di ostilità, desiderio di rivalsa e perfino volontà distruttiva. Quest’aspetto è il più complesso e difficile per la nostra comprensione, ed implica la necessità di un atteggiamento veramente iniziatico per evitare l’errore di un’apertura incauta e pericolosa, e quello di un rigetto generalizzato e totale. Le entità avverse dei campi eterici, infatti, devono (prima o poi) essere condotte ad un momento di scelta esistenziale e vettoriale, che le qualifichi oltre ogni possibile scusante. Questo punto implica un concetto del “tempo” molto particolare nel quale la “caduta”, per noi primordiale, è effettivamente odierna e le situazioni conseguenti definiscono nella realtà il nostro stato e quello dei campi di tangenza per un futuro che dovremmo rendere più reale. Per orizzontarci meglio in quest’ipotesi serviamoci di due punti fermi: il primo si fonda sulla considerazione che la percezione dell’ambito esterno è un’autorappresentazione mentale, soggetta alle condizioni e ai limiti del nostro organo interiore. Il secondo principio ermeneutico specifica come “effettivamente reale” soltanto quanto implica una sostanziale coerenza con il Principio, ossia con l’Idea fondamentale del Dio Creatore. Tutto il resto è una “maya distorta”, ben lontana dall’Intenzione della Madre (la Chakti: per noi Maria, che impersona nell’intervento cristico la divina Potenza di condurre l’idea a forma). Ne consegue che le autorappresentazioni ordinarie sono largamente fallaci in sé stesse, anche se ci conducono a condizioni gravose e dolenti che esigono d’essere trascese. In esse, infatti, è reale l’esistenza di principi coscienti in reciproca relazione situati in un campo formale, tuttavia percepito solamente in strutture irreali e distorte. I rapporti così intrecciati sono pertanto imperfetti ed illusori. Ma perché si manifestano? Nell’estensione delle nostre autorappresentazioni – singole e di campo – si evidenziano arbitrii ed esperienze non rapportabili alla Realtà, e tuttavia condizionanti dall’interno le nostre esperienze. Esse sono falsificate, se le rapportiamo al Principio divino, ma ciò non toglie tuttavia il loro enorme peso odierno sulle nostre decisioni, quelle che in genere perpetuano il ciclo di nascita e morte. “Che i deboli lo seguano”, recita in proposito il Tao Tè. Consideriamo inoltre che l’errore basale si consolida nella perdita del nesso polare fra Uomo e Donna, conseguenza dell’oscuramento per entrambi del Centro Cardiaco, e della conseguente incapacità dell’ascolto interiore e sintetico. Tutto questo è vero, ma perché - ciò nonostante - certi nessi unitivi determinano rapporti molto stabili in un’esistenza, e perfino ricorrenti nella indeterminata serie dei cicli? Occorre considerare che per ognuno di noi esiste un campo di scelta principiale, puntualizzatosi poi in infinite situazioni particolari più o meno coerenti con la originaria. La scelta è – se vera – estrinsecazione della nostra fondamentale libertà, quella che ci rende “persona”; quindi è modificabile ma solamente con la 62


necessaria chiarezza ideativa, che generalmente è al contrario assente. Respingere un nesso polare per lo stimolo di fattori incompresi ed imperfetti non è sufficiente a scioglierlo, neppure nell’ipotesi di ciclo breve: esso (se reale!) fu assunto con un atto di volontà accettato dal Padre della Manifestazione, ed è da Lui retto finché un analogo atto opposto e motivato non lo voglia sciogliere. Qui compare la massima difficoltà – per noi – interpretativa, e la necessità di liberarci di tutte le pastoie e le approssimazioni indotte da un campo irreale. Consideriamo che i campi sottili mancano di quello che più desiderano: una vita emotivamente erotica, capace di compensare le loro molte carenze e di stimolare l’immaginazione: la quale, tra l’altro, è l’elemento portante d’ogni nuova idea. I mondi, variamente stratificati in molti livelli di realtà/irrealtà, tendono a costituirsi secondo uno schema primordiale, ora di difficile comprensione e di difficilissima attualizzazione. In effetti esso, anche nelle aree del nostro campo in cui qualcosa d’arcaico permanga, ha assunto una struttura degenerata e completamente differente da quella che ne dovrebbe costituire il modello. Questa struttura può essere meglio compresa se le applichiamo il principio delle corrispondenze contenuto nella Tavola Smeraldina: ciò che è in alto è come ciò che è in basso, e viceversa. Qui alludiamo in particolare al tema di natività riportato nei testi d’astrologia, che colloca dodici costellazioni in un cerchio attorno ad un “centro”, contenente dodici “case” in correlazione. L’aspetto sostanziale è interpretabile (anche alla luce della concezione egizia di Nut e Geb) come dodici “femminilità” esplicative che si correlano ad un punto unitario dotato di specifiche qualificazioni. Il rapporto è ovviamente paritetico, e la risultante esprime una potenzialità e un’attualità esistenziale, collocabile a differenti strati: affettivo, ideativo, operativo, erotico ma sempre positivo. Che un simile schema esiga una maturità - oggi impensabile - è evidente: le sue distorte applicazioni, soprattutto nei paesi orientali ma non soltanto, ne sono la prova. Ci importa rilevare che il problema della “caduta” è anche, soprattutto e specificatamente, un problema polare, e che gli stessi campi sottili implicano una qualificazione fortemente erotica che influisce incisivamente sulla nostra area, nelle menti inconsce dei tanti. Considerare per conseguenza la “caduta” sotto questo punto d’analisi, immensamente delicato e difficoltoso anche nel nostro contesto occidentale, è compito ineludibile dell’allievo, in stretta coerenza con il Maestro interiore. Non ci soffermeremo adesso su questa problematica, accennata altrove e sulla quale ritorneremo al momento opportuno.

Ψ L’allontanamento dell’Adam dall’Idea principiale si puntualizza nell’insorgenza di un effetto individuale e collettivo molto incidente e spesso distruttivo, che con termine della meditazione orientale chiamiamo “karma”. 63


Il karma è, come sappiamo, il frutto delle azioni rapportate non al Sé ma all’ego, e conseguentemente compiute in una prospettiva interiore deviata. Può essere negativo o positivo ma, poiché contiene sempre quella distorsione, si risolve prima o poi in un danno per il portatore. Prima o poi: perché il karma può evidenziarsi con relativa celerità ma può anche accumularsi per tempi difficilmente comprensibili, nei quali generalmente l’emersione di effetti non cancella davvero il loro fattore generativo, il quale riproduce in tal modo un nuovo peso karmico. L’unico mezzo per dissolvere – gradualmente e nel tempo – questa inavvertita e feroce catena consiste nell’incentramento interiore verso il Sé, ossia verso l’Atma che è la vera sorgente del sé personale. Nell’Atma, infatti, le distorsioni si vanificano se l’ideazione è precisa, senza attaccamenti e colma d’amore. L’intelligenza di questo stato – l’Amore – è allora il massimo problema della ricerca, ed implica la soluzione di antiche catene pietrificate ed il risveglio delle nostre facoltà più nobili e vere. L’Amore realizza il rapporto essenziale ed indispensabile fra il Dio Creatore e la creatura, ed è la Forza massima affidata all’Adam per la sua operatività. E’ dunque ben più che un “sentimento” nobile e bello: rappresenta la realtà della dinamica esistenziale, e la possibile apertura di porte insospettate in un diverso futuro. Il karma è, in particolare, carenza di vero amore a livello di scelta, ed il problema si complica e si confonde quando consideriamo che le nostre motivazioni sono sempre il frutto di concetti in buona parte non propriamente chiarificati e mescolati ad esigenze largamente inconsce. In quest’attività si intersecano pertanto fattori spuri con altri più reali, aspetti mentali non ben compresi con altri nascosti e fortemente attivi: il vettore che ne deriva è per conseguenza colmo d’inquietanti carenze, e conduce in genere là dove non si vorrebbe davvero arrivare. Anche quanto, in apparenza, produce gli esiti desiderati celandone però altri, che il tempo svelerà. Come e perché il karma interferisce con le nostre esistenze, nel quotidiano e nel generale? Questo è il tema della presente nota, che intende accennare ad un’analisi, e richiede poi il contributo del lettore per l’indispensabile approfondimento con il suo Maestro. In effetti, noi conduciamo all’attenzione temi essenziali, che poi abbisognano di un processo interiore – esoterico – per essere penetrati. Il karma (abbiamo più volte affermato) è mente: questa è la base interpretativa che ci proponiamo. Mente conscia in piccola o minima parte, ed inconscia nella generalità. In effetti, tutti coloro che vivono negli strati della “caduta” sono variamente portatori di karma, e la loro zona vitale si qualifica genericamente in senso alquanto o molto negativo essendo la sintesi delle capacità rappresentative dei singoli. Dobbiamo, a questo punto, conferirci una premessa che discende direttamente dalla logica della “Immagine”: l’Adam, nato a somiglianza del suo Creatore, possiede una limitata ma specifica capacità, quella di tradurre in “forme” (interiori o esteriorizzate come gli oggetti) i contenuti ideativi che presceglie. Questa specie di deliberazione è tuttavia per la maggior parte delle persone formulata nella loro mente inconscia, la quale è sensibile alle menti estranee che ne condividano il contenuto, 64


fino ad assumerne le concettualizzazioni come proprie. Questo è il fattore che consente l’interferenza ed il dominio di altre sfere sulla nostra, e che alla lunga determina lo scadimento anche mortale di tutte. Possiamo indicare, allora, un effetto conosciuto fin dai tempi più antichi dai praticanti di “magia” che operino soprattutto nelle sephirah Hod e Netzach, condensatesi in Jesod. Esse costituiscono il cosiddetto “piano astrale” (contenuti ideativi che per noi sono in via di formulazione, soprattutto), e gli operatori tendono all’acquisizione d’effetti concreti mediante la manipolazione di quelle aree, che appartengono al continuum generale e a quello specificatamente individuale. Le persone comuni non conoscono queste difficili ritualità, eppure possono determinare inavvertitamente effetti altamente negativi. In pratica utilizzano un potere “demiurgico” senza averne la coscienza sottile, credendo d’agire solamente a livello formale, concreto. Le forme /pensiero di queste sfere sono entità elementali, per lo più demiurgiche ed ostili, che male accettano d’essere strumentalizzate. Se in apparenza “obbediscono” o assecondano certe intenzioni, possono perseguire proprio con questo metodo fini differenti ed inconfessati, che risultano nel prosieguo del tempo molto temibili. Questo è l’equivoco di certa magia rituale, ma anche della nostra scienza dominante che pretende di ridurre a fattori meccanicamente od intellettualmente misurabili tutto l’esistente. Non è così. L’inconscio globale, manovrato da altri o spontaneamente (meccanicamente), si polarizza in schemi d’attività che si fondano su stati di coscienza generalmente e genericamente condivisi, ed in tal modo polarizza “enti mentali” che assumono un’incidenza personale. I principi coscienti della nostra area non sanno nulla o ben poco di questo fenomeno, ma esso esiste ed è condizionante ben oltre la semplice induzione ad assumere un determinato atteggiamento: fenomeno di per sé grave, e che possiamo constatare nelle ”mode”, negli atteggiamenti psichici e fattuali di masse che si comportano all’unisono, e negli effetti deleteri in tal modo emergenti. Possiamo conseguentemente indicare nell’attività volontaria od inconscia d’individualità che si collocano a vari strati esistenziali – anche oltre il nostro! – un’importante causa diretta dell’affioramento karmico, che in tal modo esprime situazioni, tensioni, risentimenti o rivalse del passato capaci di esigere una gratificazione attuale. In quest’ipotesi il karma concretizza un’aggressione, un comportamento negativo che ha spesso l’assorbente intenzione di sfruttare, danneggiare e ledere qualcosa. Nel karma tuttavia si mescolano molti fattori differenti e sempre precari. Osserviamo quanto accade in un ambito fattuale: ogni elemento che vi si introduce provoca un mutamento più o meno rilevante nel suo stato generale e, talvolta, delle reattività che dipendono dall’interferenza dell’elemento nuovo con quelli già preesistenti, non sempre compatibili. Qualcosa di simile accade anche per le persone, le quali sono tutte portatrici di uno status individuale altamente complesso, capace di agire in molteplici direzioni sul campo che le attornia. Alcuni di questi effetti appartengono all’ambito fattuale ordinario, e sono ovvi; altri no, perché interagiscono con l’ambito “sottile”, collocato oltre la comune percezione sensoriale. 65


Quando un ente portatore di varie incompletezze e, probabilmente, di aspetti alquanto scompensati, inferisce su di un campo capace di per sé di una specifica reattività, possono determinarsi eventi che celatamente manifestano un simile effetto ma che, nella generale incomprensione di questi fenomeni, appaiono “casuali”. Il vaso che cade sulla testa di un passante è considerato una “sfortuna”, un incidente senza ragione, ma non è così: quel vaso colpisce in effetti qualcosa che l’ha in un certo modo “attirato”, provocando un’emersione distorta ma coerente con le altrettanto distorte situazioni esistenziali. L’interazione fra i soggetti, gli elementi di un ambito è fenomeno costante e generale, ed in fondo dipende dalla legge causale. Soltanto, essa accade nel piano fattuale ma non meno e prioritariamente in quello che lo sottintende, il quale di norma sfugge alla percezione ordinaria. Occorre sottolineare che la sfera d’esistenza comune, e vi comprendiamo anche i primi sette livelli specificatici dal buddhismo storico, obbedisce ad un’ideazione distorta e demiurgica, ben lontana da quella – primordiale e fondamentale – che conduce a forma (anche per l’indispensabile scelta creaturale) l’Atto emanante. Questa considerazione comporta che le leggi causali degli accadimenti in tale situazione sono inesatte, dure e in molti casi ferocemente tese a finalità che non s’accordano con il bene collettivo e generale, ma soltanto con i vantaggi di un gruppo di potere. Il fenomeno genera una sfera esistenziale involuta, nel grande e nel piccolo: noi percepiamo un’Interità velata da ideazioni pervertite, ma ne siamo anche parte integrante. Questo è il gravissimo problema che cerchiamo d’evidenziare. Sostanzialmente, i principi regolatori della sfera sottile (in particolare, quella di Jesod) sono stadi alterati della prevaricazione demiurgica, e tutto quello che ne consegue, noi compresi, è stato formalizzato in modo variamente inesatto. Ne consegue che il problema della libertà incontra ostacoli profondi nella nostra stessa costituzione ai tre livelli energetici (corpo, energia, mente), e che questo fatto non è modificabile senza l’attualizzazione del quarto livello, lo Spirito compreso come “intelligenza del Reale” che è amore, a livello del Sé. Possiamo specificare che l’ideazione demiurgica è totalmente mentale/intellettualistica, e ben lontana dall’intuizionismo che la dovrebbe invece specificare. Da questa condizione deriva la difficoltà ad attivare il Centro Interiore cardiaco, e la conseguente tendenza generale ad identificarsi con l’ego, collocando nel cervello (suo organo formale) la sede della personalità. Errore gravissimo, determinato da una formulazione demiurgica preesistente che si puntualizza ad ogni nostra nascita, quando la personalità riassume una forma fisica di contatto con il campo generale. Le barriere capaci d’ostacolare, assieme all’esatta percezione del nostro vero stato esistenziale, ogni processo di reintegro nelle “Case del Padre” sono conseguentemente profonde, e il risveglio alla Realtà implica il loro dissolvimento, progressivo e completo. Naturalmente quest’esito comporta anche un mutamento profondo nella stessa nostra organizzazione fisica come effetto necessario della purificazione operante ai livelli sottili: tuttavia la struttura formale è un aspetto del globale attualmente vissuto, ed allora recidere i vincoli implica un cambiamento capace d’incidere su questo continuum, e sulle entità ivi esistenti ad innumeri livelli. Le quali invece tendono a 66


mantenere il loro stato, nel quale s’identificano completamente credendolo (come tanti di noi) l’unico vero e possibile e temendo immensamente ogni modificazione. Queste considerazioni ci conducono a considerare il recupero dell’Idea fondante (quella che qualifica la Manifestazione) una necessità assoluta per determinare il cambiamento delle situazioni, a livello personale e generale. Limitarsi a controllare alcuni fattori, cercare d’attenuarli senza risalire alle cause, è gravemente illusorio e può risolversi in un disastro collettivo per molte aree di esistenza. Eppure questa è, come sappiamo, la strada che la mentalità odierna pretenderebbe di seguire, e nonostante l’evidente insufficienza dei metodi e delle intenzioni. Il problema sarebbe, in effetti, insolubile “se” l’Atto Manifestante non implicasse l’immanenza del suo Autore: il Dio Creatore (Kether, Brahma, Ra, Amida…) nella Misericordia del Padre impersonatosi nel Figlio divino, il Cristo. Questa presenza è continua e penetrante, e in particolare regola l’incidenza karmica per renderla meno distruttiva quando è possibile, e capace di ammonire ed insegnare in tutti gli altri casi. Ne consegue che la comprensione dell’affioramento karmico implica – come abbiamo accennato – una precisa conoscenza: quella che concerne l’inferenza fra la persona ed il suo ambito vitale (piano orizzontale), ma anche e sempre quella fra la sua essenza basale e l’immanenza divina, eternamente attiva e direzionata al giusto esito generale (piano verticale). Infatti, Dio non è mai sconfitto dalle scelte delle creature, anche se il tempo necessario per il recupero dipende proprio dal loro modo di configurarsi. L’interpretazione dell’evento manifestante, nel piccolo e nel grande, richiede dunque l’intelligenza di molti suoi aspetti che ne specificano lo stato attuale e potenziale. Questa ricerca personalissima, che tentiamo d’agevolare con alcune precisazioni, è necessaria ben oltre le comuni credenze, e coinvolge tutti i momenti della nostra vita. Rendersi coerenti con tale compito è quanto ci proponiamo d’agevolare ora e qui, anche con queste pagine. Un accenno sulla struttura di Jesod, la sephirah che sintetizza il piano detto “astrale”, e che - nella nostra situazione ordinaria - ignora la presenza di Tiphereth: ossia ignora l’esistenza di un Dio d’Amore che regge e determina l’Emanazione. Jesod è una sfera, un agglomerato mentale, nella particolare prospettiva che ora consideriamo, che concerne le fasi ed i processi dell’atto manifestante. Dal punto di vista propriamente divino tutto è nell’ordine dell’Amore, ma noi consideriamo adesso quello demiurgico, che è all’opposto potere e dominio egocentrico. Questo Jesod deviato (esiste anche un altro Jesod, vero e luminoso!) è l’area del processo interiore in cui i concetti e gli schemi di correlazione si fondono per condurre verso un risultato capace d’assumere una determinata “forma”. Questa può essere interiore come “esterna”, e qui soccorre l’esempio di un artista che medita la sua opera prima di tradurla oggettualmente. Gli schemi operativi, che accordano le idee per le finalità prescelte, obbediscono a volizioni che possono fissarsi in un ordine permanente e che agiscono secondo procedimenti in buona parte “automatici”, se si presenta la necessità del loro utilizzo. Il problema nasce quando queste linee 67


ideative si fossilizzano e diventano meccaniche perdendo la necessaria fluidità e capacità di adeguamento: ossia quando la mente non è sorretta dall’intuizionismo spirituale, che indica mediante l’ascolto interiore la verità del momento considerato. In questo caso i “modelli” operativi di Jesod precipitano in larga misura nella mente inconscia e perdono gravemente la capacità della vera discriminazione e della sintesi etica. Così Jesod agisce sempre nella formulazione degli enti (a qualunque livello essi siano) del campo che controlla, e se è privo dell’ideazione originaria applica concettualizzazioni astratte, perché estrapolate da contenuti mentali parimenti privi di una base reale. Questo è il nostro caso. Ne consegue che la rinascita alla vera condizione di Figli di Dio implica un’attività precisa e fondamentale sulle guaine spirituale e mentale; ma anche, e contemporaneamente, su quella energetica e fisica. Se ciò non accade, l’interferenza delle zone elementali d’ogni soggetto senziente, necessaria per la libertà fattuale nelle scelte non è adeguata, e l’ente, il principio cosciente, può restare privo di un sostrato sufficientemente solido per il compito che si prefigge. E può parimenti incontrare difficoltà impreviste nel suo cammino di ricerca e di rinascita, il quale implica la maturazione del karma preterito, la conseguente puntualizzazione dello spirito e la purificazione dell’organo interiore che determina l’autorappresentazione: mente/intelletto/io. Ripetiamo: la conoscenza del problema è funzionale alla sua soluzione. Non possiamo inoltrarci in un campo sconosciuto, del quale ignoriamo le condizioni ed i rischi, muniti soltanto di false o imprecise ideazioni che complicano la scelta o la interdicono, e la possono in ogni modo deviare. Questo è il fine che ci proponiamo. Ogni ulteriore approfondimento sarà possibile se lo collochiamo in un contesto chiarificato, servendoci di una mente davvero libera e consapevole per analizzare i contenuti dell’intuizione spirituale. 28/04/2007

68


DELITTI E TRADIMENTI E’ necessario, prima di procedere a questo studio, rammentare brevemente le condizioni che la situazione successiva alla “caduta” ha determinato nel gran corpo dell’Emanazione di Dio. In effetti, l’attuale situazione non è affatto nuova per il genere umano, ed è la ripetizione – con altre modalità “formali” e con una certa identità sostanziale – di quanto già accadde innumeri volte, senza che fosse possibile interrompere questo ciclo distruttivo per la maggior parte delle sue vittime. Anche oggi, “pochi sono gli eletti fra i molti chiamati”, perché la sordità e la cecità morale fanno costantemente una tremenda decimazione fra i figli dell’Amore divino. Queste brevi note, che il lettore dovrà completare e perfezionare con i propri mezzi, sono una guida interpretativa di un dramma che si ripercuote immutato da tempi remotissimi, e dal quale chiunque conservi una minima ragionevolezza dovrebbe tentare d’emendarsi. Quanto la cosa sia tuttavia difficile, lo sanno fin troppo bene i veri ricercatori, e quelli che hanno raggiunto uno stato di realtà vera e non illusoria. Non sono molti, ora come ora, in queste aree della Manifestazione, e proprio per questo essi si rendono importanti per tutti, anche per gli ignari e gli imbelli. Innanzi tutto, al sorgere del nostro tempo, accadde un abominio nel Pleroma preposto all’attuazione del disegno divino, che la tradizione veterotestamentaria indica soltanto con la “prima creazione dell’Adam” e che l’antica teologia egizia esemplifica nelle vicende dello ”Occhio di Rha”. L’Occhio di Rha è, in sintesi, il Pleroma creato, che doveva sovrintendere all’atto generativo mostrandone le direttrici e le componenti; tuttavia ci fu una pesantissima defezione, che implicò un conflitto con la Suprema Volontà e la conseguente dissoluzione di coloro che l’avevano negata più radicalmente. Altri, meno temerari, restarono in un atteggiamento equivoco o possibilista (i due termini, in fondo, s’equivalgono) intermedi fra l’accettazione dell’Amore del Padre e l’affermazione del proprio ego. Ebbero così spazio e tempo perché, come altrove dicemmo, la caduta dal piano originale è sempre l’effetto di una responsabilità collettiva e nessuno, allora, poté dirsi immune da colpa; e Dio regge al limite la Sua opera. Il Padre attese - ed attende - l’occasione opportuna per recuperare quanti si erano persi, e gli eoni si succedettero nel Suo sacrificio e nel tradimento continuato di troppi. A questo proposito ricordiamo che Dio affida la Manifestazione alla creatura nel Suo immanente sostegno, e - nel più profondo rispetto della libertà d’autodeterminazione - si prodiga per reggere e per salvare tutto ciò che si renda a Lui. Questa è l’interpretazione più esatta del simbolo cristico, nel quale l’originaria Croce di Vita si trasforma in quella del dolore, sulla quale gli uomini inchiodano, con Gesù, se stessi. Il tradimento del Pleroma (il “peccato di Sofia, l’ultimo Eone prima della necessaria sintesi d’ogni Sfera nell’unità, simboleggiata nell’Elementale Terra) 69


avvenne per gradi e per successivi tradimenti. Dopo la caduta principiale, il disordine e l’immensa costernazione spinsero molti enti verso un atto di recupero del proprio stato, in contrasto tuttavia con quanti – ligi a quelli peggiori, rimossi dalla Giustizia divina – preferivano in cuor loro l’affermazione egocentrica del potere ad un atto d’integrazione armoniosa e disinteressata. Il tempo e l’apparente “distanza di Dio”, non compresa ed illusoria, indussero questi ultimi ad elaborare uno schema d’intervento che li agevolasse quanto più nascostamente fosse allora possibile, rimandando la completa dimostrazione delle loro vere intenzioni al momento più favorevole, quando nulla potesse veramente opporsi. Corollario a questo progetto è l’erronea considerazione dell’assenza, della passività o dell’inesistenza di un Dio capace d’opporsi, e conseguentemente essi finirono col credersi gli unici veri “dei” del campo manifestato. Questi “demiurghi” vollero essere i facitori di sé stessi e del proprio ambito d’azione, a danno di tutto e di tutti. Così, in termini insidiosi e feroci, si rinnovò l’arbitrio antico e che tuttora continua, riproponendo il più abbietto fra tutti: il cosiddetto “peccato originale”. Il quale, ribadiamo, non è quello a cui generalmente s’allude, collocato tradizionalmente nel Giardino di Eden (che simboleggia la Manifestazione ancora vicina alla Sua sorgente): avvenne prima, e la vicenda di Adamo ed Eva ne costituì la ripetizione. La tragica, permanente ripetizione del più antico abominio, che perdura. Adamo ed Eva, simboli non di due persone ma di una generalità costituita intrinsecamente sul maschile e sul femminile, caddero perché trovarono, in Eden, il “serpente”. Come si spiega la sua presenza? E come realmente operò per indurli all’eccesso? Ecco il nostro tema. Il serpente della Genesi allude dunque ad un precedente arbitrio, che offuscò la coscienza creaturale. Quando gli elementi più positivi dell’Adam si resero conto del sotterraneo pericolo che li minacciava vollero porvi rimedio ma, con questo, si contrapposero a quanti volevano mantenere il loro centrismo, che non ammetteva alcun limite “esterno”. Questi ultimi, inoltre, pur avendo mantenuto un elevato grado d’operatività, constatavano un progressivo calo d’energia vitale, che nel tempo avrebbe condotto inevitabilmente alla loro distruzione; avendo infine perduto il senso dell’unità ontologica e l’idea stessa di un Dio Creatore argomentarono d’essere loro stessi la divinità, e che nulla potesse esistere oltre loro. Così s’opposero sul piano metafisico e fattuale a quanti avevano una ben differente ideazione, e che quindi concepivano la loro esistenza come un dono finalizzato all’autodeterminazione sì, ma “con” il Principio emanante. Le potenze involute temevano le capacità dei loro antagonisti, e quindi ricorsero all’inganno e al tradimento: in apparenza ammisero la necessità di ripristinare un campo fondato su principi integrativi ed armonici, ma in sostanza fecero il possibile per rendere questo proposito inerte e fallace. Come? Indussero gli avversari ad occuparsi non di aree ancora sufficientemente accessibili e libere tanto da poter ammettere ed accettare la loro ideazione, ma fecero convergere i loro sforzi proprio su quelle più oscurate e sotto il loro sottile controllo: sfere che si erano rese sostanzialmente incapaci di accogliere idee differenti e completamente condizionate ad aggredire incessantemente ogni opposizione. 70


Il fine era duplice: affaticare a tal punto quanti ancora credessero nel Padre da persuaderli alla fine della Sua inesistenza o almeno dell’incolmabile lontananza, così da renderli meno temibili e più manovrabili. Furono quindi agevolate concezioni che, pur mantenendo una parte di verità sufficiente a farle apparire accettabili e razionali, fossero suscettibili di creare innumeri deviazioni in senso egocentrico (potere) o almeno tali da non costituire che un marginale pericolo; nel medesimo tempo tutti coloro che per insufficienza o tiepidezza di sentimenti si mostrassero passibili di controllo, questi erano indotti ad incentrarsi in pericolose scelte capaci di acuirne la voglia di possesso e di dominio. Un controllo di questo tipo può essere esercitato solamente a livello mentale, e si ferma di fronte a quello spirituale che costituisce il nesso ontologico fra il Creatore e le creature. Conseguentemente, il massimo impegno delle entità demiurgiche fu di “oscurare” la percezione della guaina più interiore della personalità, che si irradia dal Centro atmico e consente il vivo rapporto con il Padre. Quest’esito fu perseguito con immensa assiduità, anche perché consentiva il controllo delle energie vitali di quanti fossero in tal modo plagiati, i quali diventavano conseguentemente il ricettacolo delle carenze e delle contraddizioni dei loro padroni, Per ottenere un tale effetto era necessario rimuovere dal piano comune tutti quelli che fosse possibile irretire, confinandoli in un ambito totalmente dominato (o quasi) che costituisse il supporto vitale per questo pleroma. Così la frattura, prima sussistente a livello di coscienza diventò anche separazione di campi, agevolata in questo da un fatto abbastanza naturale ma spesso pesantemente negativo: infatti, coloro che compresero, a vari livelli, quanto accadeva s’allontanarono in differenti aree, e molti non vollero avere alcun contatto residuo con quelle più compromesse. Certamente non pochi si rivolsero al Padre, e tentarono di limitare il danno emergente: ed ancora operano incessantemente in questa direzione. Tuttavia la sordità crescente di molte zone dimensionali rese difficile e precario il contatto con il Centro, e in tal modo l’infezione demiurgica s’accrebbe e si mantenne. Fu in questa prospettiva che il Padre inviò la Sua Misericordia in aiuto della creatura dispersa, e quest’opera è simboleggiata nella Tradizione con molte mitologie: qui ricordiamo quelle d’Osiride e di Mitra. Nella nostra epoca, che è così gravemente compromessa da prospettare la possibilità di un Kali-Yuga, la volontà salvifica emerse nell’intervento di Cristo in Gesù e in Maria, e costituì un punto fermo di sintesi per tutte le vie salvifiche che l’Adam cercava di conferirsi. Questo è dunque il nostro problema: comprendere le implicazioni della vicenda cristica nelle sue motivazioni e nei suoi possibili effetti. Il calo d’energia delle aree involute è in stretta dipendenza dal loro allontanamento dall’unico Centro d’irradiazione reale: il Padre, il Brahma o, se preferiamo, Kether. Se quelle zone oscure sussistono è perché Dio non distrugge mai ciò che crea, ed attende sempre il momento opportuno per riprendere nelle Sue case chi si è perduto. Inoltre, tutte le aree soggette al ciclo distorto sono parimenti colpevoli di quanto è accaduto ed accade, anche se a un livello meno pesante: esse sono costituite da personalità ottenebrate ma sovente suscettibili di un positivo o 71


“rapido” reintegro nell’Ideazione principiale, se le circostanze (guidate dall’Immanenza divina) si modificano in senso evolutivo. Così come il Cristo Gesù insegna, e la Madre Maria, Una con Lui, vuole. La “caduta” quindi permane, e s’estrinseca con le identiche modalità che hanno provocato innanzi tutto la frantumazione delle coscienze e conseguentemente quella dell’unità del piano emanato. Anche oggi, se le persone non ritrovano il cammino verso il Centro, esse ricostituiscono questa scissione e si costringono all’esperienza dei cicli, brevi o lunghi che essi siano. Il nostro ambito, denominato “ciclo breve”, è costretto a questo stato dal costante e feroce assorbimento energetico operato dalle aree dominatrici, in progressiva crisi energetica e molto, molto preoccupate per la loro sopravvivenza. Alcune, nell’illusione di poter osare tanto, progettano la totale distruzione dell’uomo del pianeta Terra e la ricostituzione di un nuovo “adam”, più capace di reggerle senza i problemi che oggi incontrano. Nell’ideazione demiurgica, di “questo” demiurgo involuto ed oscurato, emerge una crescente volontà di morte come metodo per il proprio perpetuarsi. C’è la totale ignoranza del vero Dio, dimenticato e comunque a questo livello incomprensibile per loro, e una spasmodica affermazione egocentrica: due elementi che possono essere tremendamente letali se nulla può dissiparli. In effetti, molte aree non si collocano a questo brutto grado d’involuzione, così come nel nostro pianeta sussistono differenti linee di pensiero capaci (a vari livelli) di porsi finalità anche luminose. Tuttavia, se si perde davvero il concetto esemplificato da Gesù e da Maria nel nostro tempo, la direzione spirituale può risultare imperfetta, e poco efficace per risolvere in profondità il problema dell’interferenza involutiva: il veleno della “caduta” allora resta, e si perpetua. Questo è da evitarsi in tutti i modi possibili, per noi e per il Tutto del quale siamo parti essenziali ed elementi dinamici. Le entità “demiurgiche” - che troppo spesso sono scambiate per “maestri” (ricordiamo le parole del Cristo!) o per amiche - sono sempre ferocemente oppositive quando è messa in discussione la loro egemonia: esse possiedono un vasto e generalizzato potere sulla mente degli uomini, e possono quindi valersi di innumeri risorse per conservarlo, a livello induttivo e fattuale. La difficoltà di liberarsi è qui: la mente inconscia è la sede preferenziale del controllo esterno, e la sua vastità – nata dalla “caduta” e dalla conseguente maya – è mantenuta e potenziata quotidianamente dai campi d’interferenza. Essi non conoscono soste né tregue, e i loro metodi sono (finché è possibile) l’inganno e la menzogna e poi, se questi tentativi falliscono, la pressione mentale e fisica sugli oppositori. In questa prospettiva, come è strutturata la Manifestazione? Cerchiamo di conferirci una provvisoria risposta. In alto e sopra tutti c’è il vero Regno, il campo dell’Adam redento e che ha ritrovato la propria identità: è un ambito felice e immensamente dinamico (nulla d’estatico ed inerziale dunque a somiglianza di certe rappresentazioni oleografiche dei “cori angelici”!), ed in quell’ambito l’unica vera “ombra” è la consapevolezza del dramma che investe tante dimensioni dell’Interità vulnerata, che ha perduto la principiale unità e si è frantumata come la coscienza dell’Adam. Le personalità del 72


Regno sostengono in tutti i modi possibili la volontà salvifica del Padre, che si esprime nella sua Misericordia e nel Suo Perdono: il Cristo in Gesù ed in Maria, nel simbolismo storico e concreto che preferiamo. La loro azione è costante, e regge – difendendoli – coloro che cercano sinceramente di liberarsi dal loro dolente passato. Tuttavia la percezione formale del Regno è possibile solo per quanti abbiano riattivato l’ascolto e la vista “sottili” (spirituali), restando interdetta agli incapaci di raggiungere questo stato fondamentale. Ricordiamo che per l’Atto generatore della Manifestazione la creatura ha il preciso compito d’autorealizzarsi nel cosciente sostegno di Dio, e che nulla può elidere questo fattore: se manca la scelta nel Padre la “caduta” mantiene i suoi effetti oscuranti ed impedienti. “Sotto” questa altissima zona (il “sotto”, come altrove ricordammo, è figurativo: qui il Buddismo ha dato un contributo immenso, specificando la contemporaneità dei Dieci Livelli) sussistono aree variamente configurate, che si collocano imperfettamente nella Volontà creatrice. Non sono zone dimensionali tanto negative da qualificarsi come involute, ma certamente conservano problemi ideativi ed operativi tali da determinare un distacco dal Padre, con conseguenze spesso molto gravi. A somiglianza di quanto accade nel nostro pianeta (ricordiamo la Legge delle Corrispondenze!), sussistono differenti interpretazioni dello stato esistenziale e del Divino, che possono giungere anche alla negazione di Dio in nome dell’identità personale. In ogni caso, il Padre è interpretato in molti modi, ma raramente come “Amore”: è ipotizzato il Potere Assoluto, la “divina indifferenza”, la coesistenza ontologica di un principio oscuro di “male” accanto a quello chiaro (il “bene”), e Dio sarebbe la sintesi di questi due momenti distinguibili soltanto nella nostra limitata visione. Il dramma ed il dolore della Manifestazione sono giudicati quindi l’effetto di un “gioco” dell’Assolutezza, che contempla tranquilla le infinite potenzialità attualizzate dal Suo momento emanativo, le cui vicende in fondo non la toccano. Queste, e tante altre, sono le caratterizzazioni di tali zone dimensionali che trovano poi un parallelo nelle nostre religioni, nelle filosofie e nelle multiformi correnti di pensiero “rallegranti” – ora più che mai – il consorzio umano. L’effetto generalizzato di questo distacco dal Centro, tanto interiore che fondamentale, del campo manifestato è l’indifferenza verso le vicende di chi non goda di certe condizioni esistenziali, e che per questo è considerato un “paria”, un reprobo giustamente isolato e punito: un ente degradato che merita soltanto di vivere nelle condizioni che egli stesso si è imposto. Lo stato dell’Adam, e specialmente di quello più fondato sull’Elementale di sintesi, la Terra, è frainteso o ignorato, e in genere è temuto; manca quindi il senso dell’unità ontologica, della fraternità e l’intelligenza dell’amore, spesso considerato una “debolezza” transitoria, un’illusione e un inevitabile effetto dell’innata sensualità. L’amore è conseguentemente valutato sotto il suo esclusivo momento fisico, mentale e formale, ignorandone la sostanza spirituale ed unitiva. Il fraintendimento è gravissimo e nega la comprensione dell’Immagine che la creatura impersona nei confronti del Creatore: il momento qualificante dell’Atto emanativo è conseguentemente ignorato o frainteso, con innumeri conseguenze negative. 73


Queste zone, abbiamo detto, temono l’uomo soggetto al ciclo breve, considerato capace di scompensare quanti lo contattino soprattutto a livello erotico; e temono non meno le aree veramente involute, aggressive e feroci, dalle quali – in assenza di una chiara visione del rapporto con il Padre – non sanno difendersi molto efficacemente. Ne deriva un duro distacco da tutto quello che può rappresentare un rischio di scadimento, e la conseguente sfiducia nell’immanenza divina. Il danno è quindi immenso. Le zone che conservano un certo potere esplicativo sono vaste, e fra queste le più incidenti sono quelle che, nell’ignoranza ormai cristallizzata dell’esistenza di Dio, si sono fossilizzate nell’ideazione di potere, demiurgica, giungendo a credersi esse stesse il vero dio della Manifestazione. Sappiamo che mancano d’energia vitale, pranica, e che questo stato le conduce ad aggredire tutto quello che possa sostenerle; e sappiamo che esse hanno reso l’uomo del nostro stesso pianeta un suddito e uno schiavo, da sfruttare e – se possibile – godere. Tuttavia, per quanto involute e temibili, ed alcune lo sono a livello demonico, tutte queste zone sono costituite da “figli di Dio”, da modalità esplicative della Sua volontà. Il problema, in quest’ottica, si semplifica da un lato e si complica dall’altro: occorre tentare di rendere al Padre quanto contribuimmo a togliergli, ma occorre anche prima di tutto reperire gli strumenti adeguati per tale compito, il quale implica l’unità e la comune salvezza. Solo il Maestro atmico può sostenerci in questa ricerca, e renderla operativa: ogni altra via conduce, inevitabilmente, all’illusione della “caduta”.

Ψ Abbiamo configurato l’Interità, concetto unitario che costituisce globalmente l’Immagine del suo Creatore, suddivisa in varie zone a differenti stati d’esistenza, dai più elevati a quelli incredibilmente infimi. Abbiamo anche accennato ad una verità messa in luce particolarmente dal Buddismo (vedasi in proposito il Bardo Todolt tibetano), ossia che tutte le differenziazioni coesistono in ogni livello a specifici gradi di potenzialità e d’attualità. In effetti, ogni area della Manifestazione è qualificata dalle condizioni dei soggetti senzienti che la costituiscono, ed il suo aspetto formale e sostanziale è determinato dalla media delle autorappresentazioni dei singoli individui, le quali finiscono con l’influenzare positivamente o negativamente anche gli enti a loro soggetti, dagli esseri viventi alle formulazioni elementari che supportano i piani. Analizzando specificatamente il nostro campo, notiamo che esso è soggetto ad un ordine d’entità strutturate in formulazioni gerarchiche molto coattive, nelle quali l’ideazione dominante è quella del potere e del conseguente possesso su tutto ciò che può essere acquisito: uomini e donne in particolare. Questa ideazione, che chiamiamo “demiurgica” in senso stretto (ossia opposta al concetto d’operatività nel Nome Santo del Padre), implica una pesante strumentalizzazione del nostro campo esistenziale, che ottunde la capacità di percepire il Centro interiore e che modifica duramente l’autorappresentazione mentale e formale. Ne deriva la maya del nostro comune stato, 74


che condiziona ogni soggetto senziente per il semplice fatto dell’appartenenza ad un ambito generalizzato in quanto suo elemento costitutivo fin dalla nascita, e quindi con parametri individuali di percezione e di giudizio formulati secondo una volontà operativa che non è divina ma demiurgica. Occorre allora modificare questi termini del nostro problema, rifondando la nostra personalità e gli strumenti di contatto con il campo secondo un differente progetto, capace di recuperare progressivamente lo stato principiale perduto con la “caduta”. E’ facile comprendere la grande difficoltà di quest’assunto, che deve principalmente rischiarare la mente totale e specificatamente quella inconscia, difficile da essere raggiunta. Tuttavia quest’impedimento non è il solo, perché nell’inconscio si celano ed allignano le linee induttive di un’altra area ben più involuta della nostra, che è ben decisa a conservare il potere ottenuto e sul quale si fonda per sopravvivere. La struttura dei livelli è specificatamente mentale, nel senso che essi sono organizzati e compresi secondo le categorie intellettive e cognitive che ci siamo dati nel tempo. Se queste ultime sono condizionate e manipolate da altri tutta la nostra percezione è falsificata, e la difficoltà di renderla obbiettivamente reale è immensa: l’ostacolo non è neppure sospettato, ed i mezzi che possono in genere essere escogitati in assenza del Centro sono comunque e sempre mentali e, conseguentemente, inadeguati all’assunto. Su di loro, infatti, s’esercita un controllo sotterraneo capace di renderli “innocui” e di vanificarne in ogni modo gli effetti più liberatori. Il problema allora rimane, ma si evidenzia l’illusione di poterlo risolvere mantenendo lo stato attuale: questa convinzione determina la stasi della nostra area, che ripete incessantemente gli errori, le crisi e le cadute di un immenso passato, senza poter trovare una vera soluzione. Ed è quello che vogliono i detentori del potere, gli arconti demiurgici ben noti alla gnosi dei primi secoli dopo la venuta di Cristo. Notiamo, e forse non è superfluo, che questo procedimento è violentemente adottato proprio nelle aree “demiurgiche” che ci condizionano, le quali appaiono a chi le contatti in profondità come uniformi e completamente asservite ai vertici delle piramidi gerarchiche che erigono, e mantengono poi con spietata durezza. A questo punto dell’analisi, ricordiamo un fattore molto, molto importante e valido in generale: la modifica di qualche componente di un insieme implica il cambiamento – a molti livelli – di tutto l’insieme, ed in particolare di quegli elementi che abbiano rapporti diretti con il fattore considerato. Similmente, l’emancipazione di un ente agisce sugli enti che lo percepiscono o – peggio – pretendono d’usarlo, e determina in loro una mutazione molto difficile e complessa, generalmente temutissima e fraintesa. L’aspetto evolutivo del fenomeno sfugge completamente alla staticità di menti prive di supposto spirituale, ed esse ne colgono solamente l’effetto dissolutivo sul loro stato: di qui l’estrema tensione dei piani di tangenza e la loro feroce determinazione a rendere impossibile l’emancipazione di chiunque. Quest’ultima è considerata, in altre parole, come un attentato alla loro libertà e sussistenza: un pericolo ancor più grande dell’offesa che credono portata al loro stato divinizzato. In questa prospettiva, ogni metodo d’opposizione appare lecito; ogni inganno, legittimo; ogni tradimento, opportuno. Il cammino verso la propria libertà 75


diventa arduo, e solo con il Maestro atmico, il Testimone del nostro stato reale, possiamo perseguire il fine maggiore: il ritorno in Eden, il cammino verso le Case del Padre. Tutto, infatti, dipende da questo. Se procediamo nel Sentiero realizzativo le condizioni esistenziali si rischiareranno, con effetti precisi sul campo che ci attornia e sulla nostra capacità di percepirne la consistenza. Per questa speranza è giusto e necessario affrontare le fatiche del viaggio iniziatico, che il Testimone atmico guiderà nella Sua saggezza anche quando non lo sapremo (ed accadrà!) comprendere. A questo punto è opportuno conferirci qualche osservazione supplementare sulla sfera di massima interferenza, che è – purtroppo – fortemente oscurata. Le considerazioni che ne possiamo trarre, sul piano dei valori e dei disvalori, sono molte, e tutte si riassumono in fondo nel concetto di karma che implica la responsabilità di coloro ne siano soggetti. Per mettere meglio a fuoco il nostro problema accenniamo alla conformazione del campo sottile che ci controlla, Jesod, il quale è la sintesi (nell’esemplificazione fondata sull’Albero sephirotico) delle sfere sovrastanti, e che ha qualificazione prevalentemente femminile. Rimandiamo il lettore all’analisi gnostica del “peccato di Sofia”, specificando che gli enti originariamente di segno virile sussistenti in queste aree sono decaduti ancor più delle loro compagne, e si sono effeminati oltre ogni limite. Sotto questo profilo, Jesod è dunque un’area esplicativa di sole “donne”, o almeno di “pseudo-donne”. La struttura gerarchica che questi campi assumono ricorda pertanto una formazione piramidale. Sì, ma con l’avvertenza che questa “piramide” è rovesciata. In termini meno allusivi, le entità dominanti sono le più egocentriche ed impietrite, e sotto tutti i profili le più degradate. Esse non agiscono direttamente che in casi estremi, e si servono (usando ed abusando indiscriminatamente) delle personalità soggette, incuranti delle sofferenze che queste possono incontrare. Il dato implica che un processo d’emancipazione incontra un’opposizione stratificata e caratterizzata dalle particolari propensioni dei gruppi che l’esercitano, qualificati differentemente da Hod (mente) a Netzach (istinto) a Geburah (aggressività), e via dicendo in innumeri sottoclassificazioni. Il cammino iniziatico fu esemplificato come “superamento delle sfere planetarie” associate alle singole Sephirah (ricordiamo la Tavola di Smeraldo!), e si concreta in una serie d’ostacoli alquanto simili l’uno all’altro, ma ad un differente grado di negatività crescente. Soltanto nella ferma Fede e nel sostegno cristico possono essere superati, poiché l’esperienza insegna che l’elemento risolutore è l’Amore, e l’affidamento al Padre è il fondamentale strumento interiore per evocarlo in noi. L’Amore disgrega il muro – brutto e nemico – delle menti ostili, e le vanifica. Questo processo risolve, alla lunga, le strutture interiori delle entità rendendo possibile col tempo la formulazione di nuovi parametri, meno egocentrici e degradati. Il processo di chiarificazione che l’allievo compie su di sé in questo cammino si riversa quindi sulle intelligenze che l’attorniano, con minore o maggiore incisività, ma sempre le modifica in meglio. Poiché ogni cambiamento esige tuttavia un atto di scelta seria e consapevole, occorre una vera costanza nel proseguimento dell’opera che le entità tentano d’ostacolare con i metodi indicati in queste stesse pagine, e finché la dura esperienza del loro insuccesso non le induce a 76


cercare una diversa risposta. La discriminazione è necessaria, e non è certamente l’analisi mentale che la rende effettiva: occorre che l’allievo abbia attivato un sufficiente ascolto interiore per agire a livello intuitivo, nella guaina spirituale. In questo caso la discriminazione individua e precisa la situazione sulla quale converge, ed indica il metodo per affrontarla e risolverla. Ripetiamo, questo processo è spirituale ed intuitivo: accade nel Centro interiore, ossia nell’ascolto – tramite il sé personale – del SE’ impersonale: che è l’Atma, la presenza divina in noi e la base della nostra esistenza. L’affinità, ossia l’amore, che unifica il sé personale all’Atma implica la comprensione del nostro stato e delle situazioni che ne emergono, e conferisce la forza per risolverle e superarle. In questi stati si condensa l’immanenza ed il sostegno cristico alla nostra vita, e naturalmente se questi fattori sono carenti o mancano, il decadimento è inevitabile. Non immediato in genere perché Cristo attende, e sostiene nel Suo sacrificio le creature che lo abbandonano, ma inevitabile. Se questo supporto, che dipende strettamente dalla capacità di scelta (nel Bene!) degli enti, è costretto a celarsi, appare il giorno dell’annientamento d’ogni falsa ideazione: il Kali-Yuga della giustizia e della severità del Padre/Madre, che risolve l’abominio e riconduce i protagonisti a un nuovo momento esistenziale dopo una necessaria e difficile purificazione in un ambito informale. Tuttavia, come abbiamo già detto, il karma irrisolto di un ciclo manifestante si riversa su quello susseguente, e deve quindi essere comunque affrontato. Occorre allora interrompere questa catena ogni volta che ci sia possibile, per il bene nostro e di tutti: è questo lo scopo principale del processo esoterico, che non è mai individuale e sempre – se ben compreso – potenzialmente generalizzante. Ma il tempo, ribadiamo, appartiene alle creature e alle loro scelte, e può essere immenso. Se l’area di immediata interferenza è vanificata, e quest’aggressione in qualche modo risolta, il problema comunque rimane, perché esistono molte zone in apparenza “neutre” ed assenti, ma in sostanza lontane dall’Idea Principiale del Padre. La loro indifferenza cela in genere tanto il timore di un coinvolgimento con forze oscure e pericolose (ecco la lontananza da Dio!) quanto l’incomprensione della Volontà divina che si condensa e si specifica nella capacità d’amare. In queste dimensioni sussiste la sessualità, ma fortemente annebbiata nelle motivazioni e nella esplicazione; il rapporto polare – che costituisce la vita dell’Immagine – è conseguentemente frainteso e condotto ad un improprio stato esplicativo. Non è, forse, la piena attualità della “caduta” ma certamente il sintomo della sua imminenza. Sono zone a rischio. L’allievo naturalmente le percepisce e può incontrarle. Le percepisce a livello induttivo (il conscio o l’inconscio delle entità che le abitano non è mai inerte) e può anche incontrarle a quello mentale, se esse si risolvono a questo passo. E’ possibile, perché il cedimento della sfera che abbiamo chiamato “Jesod (Jesod della “caduta” a cui in effetti appartengono)” le stupisce e le allarma, e non comprendono le ragioni e le intenzioni che lo hanno provocato. E vogliono conoscerle. Il contatto, sottolineiamo, è ancora mentale, con tutti i rischi di fraintendimento e di falsificazione che esso implica. Tuttavia non è configurabile il rapporto anche 77


formale, che richiede la presenza del Padre e quindi una profonda assonanza fra gli enti. E’ allora da evitare? Questo problema richiede una soluzione molto prammatica, caso per caso e con il preciso sostegno del Testimone interiore. Non può essere aprioristicamente esclusa perché le entità possono richiedere un effettivo aiuto, e un esoterista non è mai sordo ad un’invocazione sincera; tuttavia la prudenza, imparata in passato, è ancora e sempre necessaria: prudenza, attenzione, Fede e disponibilità. Anche qui si ripete, in una diversa scala di valore, il fenomeno già incontrato nella prima esperienza: i campi possono succedersi o mescolarsi, ed ognuno conduce una problematica individuale e in genere alquanto frammentaria o confusa. Così si presentano entità che adottano i metodi oscuri per controllare, difendersi o dominare ed altre, più emancipate, che vogliono rinnovare il proprio stato: distinguere le une dalle altre è, nuovamente, un problema intuitivo risolvibile nel Centro interiore e confrontato – a livello intellettivo – con il Maestro. Quindi puntualizziamo nuovamente il metodo indispensabile per questo particolare ascolto che, avvenendo tramite la nostra mente, deve essere attento e rigoroso. Non può, in termini differenti, considerarsi scontata la presenza del vero Istruttore: ma occorre, da parte nostra, attualizzare le condizioni migliori che ci siano disponibili. Innanzi tutto, è indispensabile puntualizzarci nel Centro atmico, attivando tutto l’amore per il Padre in Cristo che ritroviamo in noi, e contemporaneamente “chiedendo” il dono dell’Amore di Dio. Poi, ci metteremo in ascolto. L’ascolto implica un rilevante “silenzio” dell’intelletto/mente e (come c’insegna Patanjali: “lo Yoga è il silenzio della mente”) nell’ascolto si raggiunge molto semplicemente questo stato ricettivo nei confronti della guaina spirituale, che può allora percepire i valori dell’interiorizzazione. Solo in questo “silenzio” ci sarà possibile reperire – se il tempo e l’intenzione sono esatti – l’indirizzo che concretizzerà la via verso Eden, in cerca della nostra vera identità del Principio. Ciò che ne seguirà, nel tempo della percorrenza, sarà l’esperienza formativa delle nostre strutture interiori (spirituali, mentali, energetiche ed infine formali), quella capace di renderci adeguati ad esplicare l’essenza che ci fu donata, quando decidemmo di vivere come figli ben oltre le “semplici” funzioni esplicative che ci erano proprie. Figli, enti elementali, libere modalità di svelamento dell’Intenzione divina. Le vere “Mani di Dio”, in Dio e con Dio. 1/05/2007

78


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.