Global Science 11/2016 - Space Art, tutti sotto lo stesso cielo

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NOVEMBRE 2016

SPACE ART: TUTTI SOTTO LO STESSO CIELO global science - 1


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L’EDITORIALE di Steven Tingay, direttore dell’Istituto di Radioastronomia @stingay

n un mondo in così rapido cambiamento e sempre più guidato dalla tecnologia, è importante per gli scienziati - ora più che in passato - approcciarsi al pubblico spiegando non solo le diverse scoperte, ma soprattutto il significato e lo scopo della ricerca scientifica. La maggior parte delle attività di divulgazione è studiata per essere per attrarre gli appassionati di scienza. Come possiamo, quindi, raggiungere il resto della popolazione che magari non ha familiarità con il linguaggio scientifico? La chiave è usare approcci e punti di vista diversi. La mostra d’arte Shared Sky è un perfetto esempio, perché combina scienza, arte e un approccio interculturale per comunicare la scienza. La mostra, presentata a Genova nella meravigliosa cornice del Palazzo della Borsa, unisce le tradizioni di artisti aborigeni australiani e di artisti delle tribù sudafricane, quindi due delle civiltà più antiche sulla Terra. Questi popoli hanno prospettive del cielo notturno differenti ma allo stesso tempo simili, storie di un passato lontano che arriva fino a noi con l’arte e con il progresso scientifico. Gli artisti hanno collaborato con gli astrofisici per unire idee antiche e moderne sull’Universo esplorando i punti di connessione tra questi due punti di vista. La mostra si ispira al fatto che in queste zone desertiche e remote abitate da popoli antichissimi, sono in costruzione moderni e sensibili telescopi che guarderanno indietro nel tempo per studiare la nascita di stelle stelle e galassie subito dopo il Big Bang. Proprio dal materiale sprigionato durante la prima esplosione, siamo nati noi, è nata la Terra, è nato tutto ciò che conosciamo… e non conosciamo ancora. Per questo conoscenza antica e scienza moderna diventano due fili intrecciati nella narrazione della mostra. L’arte va oltre il tempo, la cultura, la gente, la geografia e le stelle sopra di noi. Shared Sky riassume, attraverso quadri e arazzi, ciò che è il pa-

“Attraverso l’arte, Shared Sky riassume ciò che è il patrimonio scientifico comune di ogni essere umano”

trimonio scientifico comune di ogni essere umano. Magari non tutti i visitatori del Festival della Scienza sono appassionati di astrofisica, ma molti (dai bambini ai nonni, passando per gli studenti) sono interessati all’arte, alla cultura e alla storia, ai segni (tema del festival genovese, appunto) lasciati dall’uomo sulla Terra. Credo fortemente che Shared Sky possa essere d’esempio a molti divulgatori, così come la stessa rivista che state leggendo (Global Science), per attirare sempre più persone verso il mondo scientifico dimostrando che non si tratta solo di fredda tecnologia, ma del nostro passato e del nostro futuro. All’interno di questo numero troverete un inserto staccabile con qualche informazione in più sui quadri e sui miti che hanno ispirato gli artisti.

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OMMARIO

N.05 - NOVEMBRE 2016

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“L’editoriale” DI STEVEN TINGAY

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“Segni: indizi, sintomi e simboli per conoscere” DI MARCO PALLAVICINI

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“Shared Sky: sotto lo stesso cielo” SPECIALE FESTIVAL

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“Scoprire la scienza in un modo diverso” DI ELEONORA FERRONI

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“Shared Sky fra miti e leggende” DI REDAZIONE

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“Lorem ipsum dolor sic amet aliquando modus rubus hic” DI DANA BARRETT

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“Lorem ipsum dolor sic amet aliquando modus rubus hic” DI DANA BARRETT

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“Lorem ipsum dolor sic amet aliquando modus rubus hic” DI DANA BARRETT

Global Science Supplemento d’informazione sulla scienza Media INAF in collaborazione con Globalist e Agenzia Spaziale Italiana Reg. Tribunale Bologna n. 8150 dell’11.12.2010 4 - global science

direttore responsabile Marco Malaspina direttore scientifico Nichi D’Amico direttore editoriale Gianni Cipriani progetto grafico Paola Gaviraghi

grafica Davide Coero Borga coordinamento redazionale Eleonora Ferroni redazione Media INAF - Globalist - Asi TV web media.inaf.it - globalist.it - asitv.it


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Cosa non bisogna perdere Due settimane di laboratori, mostre, incontri, caffè scientifici, spettacoli e tanto altro.

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Ore 18:00 Palazzo della Borsa, Sala del Telegrafo, Via XX Settembre 44. Square Kilometre Array (SKA). Il telescopio che scruterà dentro le nostre origini. In occasione dell’inaugurazione della mostra Shared Sky, Steven Tingay, scienziato di fama internazionale attualmente direttore dell’INAF Istituto di Radioastronomia di Bologna, parlerà del progetto SKA, il più grande network di radiotelescopi mai concepito. Una macchina del tempo che riuscirà a vedere la nascita di stelle e galassie subito dopo il Big Bang.

Ore 19:30 Palazzo Ducale, Sala del Maggior Consiglio, Piazza Matteotti. Tracce del tempo dall’Universo. L’archeologia spaziale. Roberto Battiston, Rosa Lasaponara e Nicola Masini. Siamo abituati a pensare all’archeologia come a un’attività intimamente connessa alla ricerca sul campo, gli scavi e un paziente lavoro di archivio. Le cose vanno diversamente per gli archeologi “spaziali” che, senza muoversi dal laboratorio, analizzano le immagini satellitari alla ricerca di città perdute, piramidi e antiche vie commerciali.

Ore 19:30 Teatro della Tosse, Sala Dino Campana, piazza Renato Negri. Starlight: settemillimetridiuniverso. Di e con Filippo Tognazzo. Una narrazione che vi accompagnerà attraverso la Storia d’Italia, tra le vicissitudini e la passione di uomini che hanno trovato nella ricerca scientifica e nell’astronomia la loro ragione di vita. All’Italia si devono risultati importanti, quali una prima classificazione spettrale delle stelle e la costituzione della prima società scientifica dedicata all’astrofisica.

Ore 18.00 Aula Polivalente San Salvatore, Piazza Sarzano. Onda su onda. La radioastronomia da Marconi ad Einstein Con Nichi D’Amico, Presidente dell’INAF. La radioastronomia è oggi una scienza di punta, che permette di spingere lo sguardo ai confini dell’universo, di verificare la teoria della Gravitazione di Albert Einstein, di scoprire che esistono nella nostra Galassia dei veri e propri “orologi cosmici”, le pulsar. Eppure si può dire sia nata per caso, a seguito di una delle più fortunate invenzioni della storia della tecnologia: la radio di Marconi.

Ore 18.30 Palazzo Ducale, Sala del Minor Consiglio, Piazza Matteotti. Lectio Magistralis: ExoMars: l’Italia è su Marte, alla ricerca di segni di vita sul Pianeta rosso Con Massimo Della Valle e Francesca Esposito, dell’INAF Osservatorio Astronomico di Capodimonte e Barbara Negri, ASI. Ci sono segni di vita extraterrestre su Marte e nella nostra galassia? L’uomo potrà mai arrivare sul pianeta rosso? Questi sono alcuni degli interrogativi ai quali cercherà di rispondere la missione europea ExoMars.

Ore 15.30 Galata Museo del Mare, Calata De Mari 1. I robot sono tra noi. Dalla fantascienza alla realtà Incontro con Enrica Battifoglia, giornalista scientifica. Gentili, simpatici, tuttofare: i robot cambiano look e si preparano a entrare nelle case. Saranno elettrodomestici molto speciali e, nel 2035, potrebbero essere proprio come immaginava la versione cinematografica dei racconti Io, robot di Isaac Asimov. Laboratori di tutto il mondo sono al lavoro per progettare straordinari tuttofare capaci di imparare.

Ore 21:00 Palazzo Ducale, Sala del Maggior Consiglio, P.zza Matteotti. Lectio Magistralis: Singolarità. Con che velocità arriverà il futuro Con David Orban. Da quando l’uomo si è affacciato sul pianeta ci si chiede se rappresenti un elemento unico e irripetibile. La sua intelligenza potrà essere replicata? Che cosa succederà all’umanità? La singolarità tecnologica è il momento in cui l’intelligenza artificiale potrebbe prendere il sopravvento. Uno dei momenti più promettenti e più pericolosi della storia dell’umanità.

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UNA PAROLA, MOLTI SIGNIFICATI

SEGNI: INDIZI, SINTOMI E SIMBOLI PER CONOSCERE di Marco Pallavicini, presidente Festival della Scienza @KeesPopinga66

egni della natura e dalla natura, segni della salute o della malattia, segni dell’uomo, della società, dell’ambiente, segni dall’Universo, ma anche segni come simboli, messaggi, lingue, scritture o disegni. La parola, ricca e polisemica, ha stimolato la fantasia di centinaia di scienziati e divulgatori provenienti dall’Italia e dal mondo e ha ispirato un ricco programma, costruito pensando a tutti, dai bambini delle scuole primarie agli adulti di ogni età, curiosi e entusiasti di confrontarsi con idee nuove e affascinanti, talvolta anche difficili, ma sempre più importanti per formare adulti consapevoli e capaci di contribuire a comprendere e risolvere le sfide del mondo di oggi. Non mancheranno i grandi nomi e i grandi eventi, spesso organizzati e promossi dai più prestigiosi Enti di Ricerca italiani e dall’Università di Genova. Tra tutti voglio ringraziare l’INAF e l’ASI, che hanno dedicato alla XIV edizione del Festival questo numero di Global Science, un progetto che speriamo abbia un roseo futuro. Il Festival si presenta sul solco di una tradizione di successo, con una struttura profondamente rinnovata e la forte sinergia di Enti Locali, Università e Enti di Ricerca e con un grande sostegno di sponsor pubblici e privati. Tutti si sono impegnati al massimo per rilanciare l’azio-

“Potrete imparare, riflettere, ma soprattutto divertirvi”

ne dell’Associazione e continuare l’esperienza di questo festival. Non posso che ringraziare tutti per il sostegno e l’impegno profuso e per avermi offerto questo prestigioso incarico. Sarà il pubblico a giudicare il risultato, ma sono certo che molti troveranno l’occasione per imparare, per riflettere, ma soprattutto per divertirsi fra i molti eventi che raccontano la scienza come deve essere, una straordinaria e magnifica avventura.

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SPECIALE FESTIVAL DELLA SCIENZA 2016

SHARED SKY SOTTO LO STESSO CIELO La mostra a Genova nel Palazzo della Borsa

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opo Perth, Città del Capo e Manchester, la mostra Shared Sky arriva a Genova nella splendida cornice del Palazzo della Borsa, durante la 14esima edizione del Festival della Scienza. Dall’Australia al Sudafrica, un viaggio tra arte e scienza: questo e molto altro è Shared Sky, che nasce dall’idea della SKA Organisation di riunire artisti aborigeni della tribù Yamaji e artisti sudafricani discendenti della tribù San in una mostra collaborativa che celebra l’antica saggezza del cielo notturno. Questa visione incorpora lo spirito di interazione internazionale, scientifica e ingegneristica del progetto Square Kilometre Array (SKA), che riunisce diversi Paesi in tutto il mondo con lo scopo di costruire quello che sarà il più grande network di radiotelescopi del mondo tra Sudafrica e Australia. Il filo conduttore della mostra è la connessione tra arte e scienza, tra antico e moderno. Le opere, acrilici su tela e arazzi, sono state realizzate da artisti provenienti dai luoghi dove sorgerà, appunto, questo gigantesco radiotelescopio, per mostrarci come il cielo notturno sia eredità di ogni uomo e come la ricerca della conoscenza scientifica proceda mano nella mano con la cultura ancestrale. Shared Sky ha offerto a questi antichi popoli un’opportunità senza precedenti di incontrarsi per riflettere su un tesoro artistico, sociale e culturale inestimabile. Attraverso la mostra, le visioni del cosmo e i miti sulla creazione

DALL’AUSTRALIA AL SUDAFRICA

SCOPRIRE LA SCIENZA IN UN MODO DIVERSO di Eleonora Ferroni @ele_ferroni

La radioastronomia del futuro Lo Square Kilometre Array (SKA) sarà il network di radiotelescopi più grande al mondo. Oltre un chilometro quadrato di area di raccolta, un grande campo di vista, un’estensione di alcune migliaia di 10 - global science

chilometri, e tecnologie innovative per ricevitori, trasporto ed elaborazione del segnale. Questo gigantesco radiotelescopio, che verrà costruito in Sudafrica e in Australia Occidentale sarà 50 volte più sensibile e 100 volte più potente rispetto agli strumenti attuali. I due siti

selezionati (tra i più remoti al mondo) permettono una perfetta visibilità del cielo australe, della Via Lattea e delle più nostre dirimpettaie intergalattiche, le Nubi di Magellano. SKA sarà una macchina del tempo, riuscirà infatti a vedere la nascita di stelle e galassie dopo


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Ilgali Inyayimanha ‘Shared Sky’, di AA. VV., acrilico su tela.

“Una mostra che insegna come scienziati e artisti guardano al cielo”

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L’anno in cui inizierà la costruzione del radiotelescopio SKA.

si intrecciano per celebrare il nostro patrimonio comune, ora osservato dagli astronomi: un cielo condiviso da tutti. Shared Sky esplora come questa sofisticata comprensione della meccanica celeste torna nel lavoro di artisti che condividono le loro intuizioni con gli scienziati, i quali cercano di svelare i segreti dell’Universo. La mostra riflette la ricchezza del cosmo attraverso la comprensione che ne avevano gli antenati degli artisti. Cosa unisce le generazioni del futuro con quelle del passato? Lo stesso desiderio di capire e conoscere ciò che è ignoto. Lo stesso istinto incondizionato di puntare gli occhi al cielo. La stessa pazza voglia di voler fuggire, magari solo con l’immaginazione, dalla Terra sognando cosa c’è là fuori, al di là della spessa atmosfera che ci protegge. Australia e Sudafrica, come detto. I due siti di SKA, trovandosi a simili latitudini, hanno permesso agli artisti di osservare il cielo potenzialmente allo stesso modo, insomma il cielo australe, magari osservando le stesse costellazioni, le stesse stelle che anche i loro avi osservarono centinaia e centinaia di anni fa. Shared Sky ci insegna anche che non esistono confini nel cielo e che il cielo notturno è una risorsa naturale condivisa da tutta l’umanità. Le due tribù e gli artisti - Yamaji e San, questi sono i due popoli le cui tradizioni hanno profondamente ispirato le opere della mostra Shared Sky. Due popoli, che per migliaia di anni hanno abitato i luoghi dove verrà costruito SKA. La cultura di queste popolazioni, fin dalla preistoria, è ricca di storie e di tradizioni legate al cielo. Queste

il Big Bang, 14 miliardi di anni luce fa. Se è vero che siamo fatti di “polvere di stelle” SKA andrà a guardare dentro le nostre stesse origini. E poi cercherà di rispondere ad altri quesiti, come quelli sull’evoluzione delle galassie o quelli sull’energia oscura, ma realizzerà

anche test sui forti campi gravitazionali utilizzando pulsar e buchi neri. L’Italia, tramite l’Istituto Nazionale di Astrofisica, è una delle prime nazioni che ha preso parte al progetto. SKA ha riunito alcuni dei migliori scienziati del mondo, ingegneri, 10 governi, oltre 100 aziende

e istituti di ricerca in tutto il mondo. La costruzione di SKA dovrebbe iniziare nel 2018 e le prime osservazioni scientifiche potrebbero arrivare nel 2020.

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Emù nel cielo

Wendy Jackamarra: «Nel cielo appare questa costellazione quando l’Emu inizia la posa delle sue uova. Da quel momento in poi la tribù sa di dover andare a caccia nella boscaglia».

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Lacerta

Margaret Whitehurst: «Questa costellazione mi ha fatto pensare a un’onda sonora dallo spazio. Sono stata incuriosita dal suono proveniente dall’Universo da sempre, ecco il significato di questo quadro».

Emù nel cielo

Margaret Whitehurst: «I bruchi che attraversano le strade cercano di nascondere le loro uova senza lasciare troppe tracce».

Croce del Sud

Kevin Merritt: «Una storia aborigena racconta di un cacatua rosa e un cacatua grigio, che, dopo aver discusso con altri uccelli, fuggirono verso il cielo trasformandosi in stelle».

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Fuoco

First People Centre: «Ecco cosa succede quando la Luna e il Sole danzano insieme».

Sole

First People Centre: «La Terra era fredda e sola… poi è nato il Sole».

storie e tradizioni sono ancora vive ai giorni nostri e sono state reinterpretate sfruttando la forza del linguaggio artistico, un modo di comunicare che non ha bisogno di traduttori e di spiegazioni perché l’arte - come la conoscenza - non teme confini o barriere. Le comunità aborigene Yamaji è nativa delle regioni Murchison e Gascoyne nello dell’Australia Occidentale. La parola “Yamaji“ deriva dalla lingua Wajarri dove ha il significato di “uomo” o “essere umano”, ma per tutti vuol dire - appunto - aborigeno. In Australia Occidentale, i discendenti Yamaji e gli altri artisti aborigeni che hanno creato le opere d’arte sono profondamente legati al territorio, perlopiù desertico, dove verranno costruite le antenne australiane del progetto SKA. Il sito si trova a 700 chilometri a nord-est di Perth, dove molti degli artisti del Yamaji Art Centre hanno avuto l’opportunità di parlare con gli scienziati, sotto le stelle, condividendo le loro storie sul cielo notturno. L’area (come il deserto sudafricano) è particolarmente adatta a progetti di radioastronomia perché è poco popolata e, quindi, pochi sono i segnali radio artifi14 - global science

“Le opere si ispirano alle tradizioni ancestrali di nativi africani e aborigeni australiani”

ciali che possono interferire con le osservazioni. Le opere australiane, per forza culturale e sociale, si collegano con quelle sudafricane, in cui il tema spesso è la perdita di identità culturale raccontata attraverso le storie dei loro antenati. Gli artisti discendono dai San (o Boscimani), cioè popolazioni che hanno abitato per secoli il deserto del Karoo. La forte repressione culturale operata nei secoli 18esimo e 19esimo alla fine ha portato alla estinzione della lingua /Xam. I nativi San sono i più antichi abitanti


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Natura

First People Centre: «La mantide è da sempre una figura oscura per la tribù Xam».

Morte

First People Centre: «La Luna ha portato la morte sulla Terra!».

dell’Africa australe, cha hanno abitato per 20 mila anni e più. Gli artisti del gruppo First People del Bethesda Arts Centre producono per la maggior parte opere collaborative, spesso si tratta di pittura su tessuto che esplora la creazione e la vita del loro popolo nel corso dei millenni. Magari non tutti gli artisti sono cresciuti camminando su queste terre incontaminate, ma per tutti loro è fondamentale continuare a promuovere le loro tradizioni e la lingua che si sta perdendo. Shared Sky riconosce quanto sia importante la resistenza di questi popoli, che tanto hanno fatto per la nostra comprensione del mondo e del cielo.

Via Lattea

First People Centre: «Abbiamo riscoperto visi di persone che sembravano lontani parenti. Essere Boscimani è una fonte di orgoglio, anche nella comunità Nieu Bethesda».

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on Shared Sky artisti sudafricani provenienti dalla regione Karoo e artisti aborigeni australiani hanno unito il loro talento e la loro ancestrale cultura per celebrare la saggezza dell’umanità.

STELLE, GALASSIE E PIANETI

SHARED SKY FRA MITI E LEGGENDE di Redazione Media INAF @mediainaf

Lo hanno fatto ricorrendo a quel patrimonio di leggende e miti che gli astri e la volta celeste hanno ispirato. Per secoli, ma è meglio parlare di millenni, la pittura e il racconto hanno attinto liberamente ai miti che nelle zone più remote del mondo hanno scandito la vita dei popoli nativi. Queste storie sono state tramandate attraverso la loro lingua, ormai quasi in disuso, nel corso di migliaia di anni, assegnando - ad esempio - un significato complesso ma imprescindibile alla Via Lattea, raffigurata in molte opere sia africane che australiane, così come alle diverse costellazioni. Particolare importanza è data, ovviamente, all’origine di Sole e Luna, ma anche all’origine della vita e della morte. Nel corso di molti migliaia di anni queste persone hanno sviluppato una conoscenza altamente sofisticata della meccanica celeste che è stata solo di recente apprezzata a pieno dagli scienziati. Entrambe le tribù protagoniste della mostra hanno elaborato, nel corso del tempo, storie della creazione con ampi e complessi riferimenti alle zone scure fra le stelle e ai cicli di movimento degli astri, a testimonianza delle loro attente osservazioni del cielo notturno.

Le sette sorelle, di Debra Maher, acrilico su tela.

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LOREM IPSUM DOLOR SIT AMET ALIQUANDO di Fabrizio Capaccioni, direttore INAF-IAPS Roma

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duciis aut mi, que debit repre velit fuga. Optaerupic tecabora sequundis solorepra eum qui officid ignihic iatquatias autem corum etur susape et apidebitiae repelec atiunt. Ut et litiame verroriae nonse comnima ximolorerum vernati remodit doloressed molor asperis a quia dit, ut volorestint parum elent, sunt asinci offictur am harunt abo. Endioss untorecea se num volupta sectem aut abor accabo. Nemporum qui alitatur sum si simi, invero eicatumet as et quiducit remoluptatet acepers perchillis volo odipsum quis ipsa sania porro te cullaut ea sandae volupta num.

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di Eleonora Ferroni @ele_ferroni

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Giove, visto da Cassini-Huygens nel 2001. Crediti: NASA/JPL/ Kinetikon Pictures.

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a viaggiato in lungo e in largo per il Sistema solare, per un totale di quasi otto miliardi e mezzo di chilometri rincorrendo il suo obiettivo, la cometa Churyumov-Gerasimenko, che ha accolto lo scorso 30 settembre sulla sua superficie Rosetta. La sonda dell’ESA ha scritto il suo capitolo finale e, come sempre, non ha disatteso le aspettative del pubblico e della comunità scientifica. L’ultimo giorno di vita operativa della sonda ha preso il via la sera del 29, quando alle 22:50 il centro di controllo di Darmstadt ha dato l’ok per la manovra di collisione da un’altitudine di 19 chilometri dalla superficie. Alle 10:00 del 30 settembre, gli ultimi comandi sono stati caricati seguendo l’indicazione delle immagini scattate poco prima. Proprio in quei momenti è stata resa nota l’ora esatta dell’impatto, da confermare circa 40 minuti dopo. E così è stato. Quando in Italia erano le 12:40, 67P ha accolto Rosetta sulla sua superficie, precisamente nella regione di Ma’at, zona ricca di crateri in attività situata nel lobo inferiore della cometa. La conferma dell’impatto è partita da Darmstadt alle 13:19 ed è stata prontamente rimbalzata dai social network e dai media in tutto il mondo. L’eccitazione per la riuscita della complicata manovra di impatto ha lasciato il posto alla tristezza per la fine di una missione che non ha mai smesso di stupire, rendendo possibile quello che prima del 12 novembre 2014 sembrava impossibile: l’atterraggio di un manufatto umano, il lander Philae, su di una cometa. L’avventura del lander su 67P è stata la vera scommessa della missione, vinta sotto tutti gli aspetti. Dopo aver completato la sequenza di esperimenti previsti, il lander ha esaurito le batterie entrando in stand-by, non senza aver trasmesso la mole di dati raccolti a terra utilizzando le energie residue fino all’ultimo. Philae ha interrotto il suo sonno solo dopo sette mesi e ripetuti tentativi di comunicare da parte di Rosetta, il 13 giugno 2015. Poi di nuovo silenzio. Il 27 luglio 2016 il modulo di comunicazione Electrical Support System (ESS), il dispositivo che consentiva alla sonda di tenere i contatti con l’orbiter, è spento definitivamente. Ma lo scorso 5 settembre, dopo 14 mesi di ricerca ininterrotta, Philae si è fatto finalmente vedere ed è stato chiaramente inquadrato dalla fotocamera ad angolo stretto OSIRIS a 2,7 chilometri dalla superficie. Il ritrovamento di Philae è l’ultimo successo per una missione da record che ha a bordo una forte presenza italiana. Quattro gli strumenti made in Italy: tre sull’orbiter VIRTIS, GIADA e la WAC (Wide Angle 22 - global science

UNA MISSIONE COSTELLATA DA RECORD

L’ULTIMO GIORNO DI ROSETTA di Fulvia Croci @ASI_spazio

“Sulla cometa è andato in scena il capitolo finale: l’impatto della sonda”

Camera) di OSIRIS. A bordo del lander, il sistema di acquisizione e distribuzione dei campioni (SD2). Oggi non rimane che raccogliere l’incredibile eredità scientifica della missione che ha prodotto e continuerà a produrre risultati di alto livello. Alla comunità scientifica, spetta il compito di valutare le conseguenze che queste scoperte avranno sulla comprensione di questi misteriosi oggetti celesti e del Sistema solare stesso.


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