Global Science 4/2017 - Innovazione

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APRILE 2017

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di Roberto Battiston - presidente ASI @Rb_Bat

Il nostro futuro, non solo del nostro Paese ma del pianeta tutto, può essere roseo solo se si scommette sull’innovazione. L’innovazione è propedeutica al futuro. Per questo ho salutato felicemente la scelta della Festa di Scienza e di Filosofia di Foligno di dedicare a questo concetto l’edizione di quest’anno. Scelta che mi spinge a una riflessione che riguarda il nostro continente. L’Europa è spesso vista muoversi in ritardo nei processi di innovazione, se confrontata con i segnali che arrivano da Stati Uniti e Asia. Per fortuna questa narrazione non è però sempre veritiera. In molti campi il Vecchio Continente ha molto da dire, dalla digitalizzazione alla robotica, dall’intelligenza artificiale al settore spaziale. Non è un caso che la Commissione Europea abbia deciso di dedicare alle politiche spaziali una delle occasioni per celebrare i sessant’anni dalla firma dei Trattati di Roma. Programmi come Copernicus, per l’osservazione della Terra, e Galileo, per la navigazione satellitare, sono un successo dell’Unione Europea, strumenti concreti che contribuiscono a rafforzare le politiche di integrazione in molti settori tra loro anche profondamente diversi: dai trasporti alla sicurezza, dalle politiche migratorie all’ambiente. Secondo un recente rapporto della società di venture capital londinese, Atomico, le start-up europee stanno ponendosi alla testa della corsa all’intelligenza artificiale, grazie alla costruzione di nuovi poli tecnologici e al sostegno di investitori normalmente impegnati in settori industriali tradizionali. Tutte le grandi aziende digitali si stanno affrettando a sfruttare i talenti europei nel campo dell’intelligenza artificiale: Google, Facebook, e Amazon, hanno annunciato importanti ampliamenti dei loro hub europei di tecnologia. Si tratta di uno scenario promettente per la new space economy che sarà sempre più fondata sullo sfruttamento dei Big Data provenienti dall’osservazione della Terra, campo in cui gli europei – e in particolare noi italiani – hanno una grande capacità. L’Europa non deve perdere questo treno e deve mantenere un ruolo guida in questo processo.

di Nichi D’Amico - presidente INAF @mediainaf

Il tema scelto per la Festa di Scienza e Filosofia di quest’anno è quanto mai attuale: innovazione e futuro sono le parole chiave e mai come oggi il futuro è davvero in mezzo a noi. È con orgoglio che posso affermare che l’Italia, con il nostro Istituto Nazionale di Astrofisica, ne è protagonista. Il prossimo mese sarà GLI EDITORIALI infatti posata la prima pietra di un’opera monumentale e futuristica, che sarà realizzata grazie anche al contributo fondamentale del nostro paese e delle sue eccellenze in campo scientifico ed industriale. Si tratta dell’Extremely Large Telescope, ELT, che con il suo specchio principale di 39 metri di diametro, sarà il più grande telescopio in banda ottica e infrarossa mai costruito. Il supertelescopio europeo del futuro sorgerà sul Cerro Armazones, nel deserto cileno di Atacama, un luogo remoto dove si trovano altre importanti strutture per l’osservazione da terra dell’European Southern Observatory, organizzazione internazionale di cui l’Italia è un partner di primissimo piano. L’ELT affronterà i più grandi problemi scientifici dei nostri tempi, verrà usato per scovare pianeti simili alla Terra nelle “zone abitabili” – quelle in cui potrebbe essere possibile la formazione della vita – intorno ad altre stelle, effettuerà studi di archeologia stellare nelle galassie vicine e darà contributi fondamentali alla cosmologia, misurando le proprietà delle prime stelle e galassie e investigando la natura della materia oscura e dell’energia oscura. Gli astronomi sono anche pronti a qualcosa di inaspettato, infatti nuovi e imprevedibili quesiti sorgeranno sicuramente grazie alle scoperte fatte con l’ELT. Per sfruttare appieno questo gioiello della tecnologia serviranno strumenti hi-tech e nella loro progettazione l’Italia con l’Inaf è protagonista: tra tutte la tecnologia sviluppata per le ottiche adattive in grado di compensare gli effetti della turbolenza atmosferica e restituire così riprese astronomiche praticamente perfette. Con ELT il futuro è adesso.

L’EUROPA E IL TRENO DELL’INNOVAZIONE

“Le grandi aziende digitali si stanno affrettando a sfruttare i talenti europei”

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OMMARIO

N.07 - APRILE 2017

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“Gli editoriali” DI ROBERTO BATTISTON E NICHI D’AMICO

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“La Terra più unica che rara” DI MANUELA PROIETTI

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“Sul Pianeta Perduto” DI GIUSEPPINA PULCRANO

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“La vita è una sfida difficile” DI DANIELA BILLI E AMEDEO BALBI

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“Orion e SpaceX puntano alla Luna” DI GIULIA BONELLI E FULVIA CROCI

16-17

“L’innovazione in rampa di lancio” DI GIUSEPPINA PICCIRILLI

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“Pollice verde per colonizzare Marte” DI AGNESE CERRONI

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“CubeSat, piccoli satelliti che crescono” DI ILARIA MARCIANO

SPECIALE INNOVAZIONE “Festa di Scienza e di Filosofia” DI PIERLUIGI MINGARELLI

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“Astronomia e industria insieme” DI ROSSELLA SPIGA

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“Foligno città in festa” DI NANDO MISMETTI

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“L’innovazione è il motore della civiltà” DI FRANCESCO REA

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“Il buco nero si mette in posa” DI CORRADO RUSCICA

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TESTATA GIORNALISTICA GRUPPO GLOBALIST Reg. Tribunale Roma 11.2017 del 02.02.2017 online www.asi.it - www.media.inaf.it - www.globalist.it 4 - global science

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“Molecole organiche sulla superficie di Cerere” DI MARCO GALLIANI

direttore responsabile Gianni Cipriani direttore Francesco Rea vicedirettore Marco Malaspina direttori scientifici N.D’Amico, R.Battiston

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“Due miliardi di galassie per Hubble” DI ELISA NICHELLI

progetto grafico Paola Gaviraghi grafica Davide Coero Borga coordinamento redazionale Manuela Proietti redazione ASI - Media INAF - Globalist


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atti una vacanza a 40 anni luce su uno dei sette pianeti simil-terrestri del sistema TRAPPIST-1. Se a dirlo è la NASA in un tweet, allegando un ‘poster turistico’ da agenzia di viaggi, allora potrebbe essere la volta buona, e forse abitabile potrebbe davvero voler dire abitato. Chi di noi non l’ha pensato? Sarà perché è dai tempi della Guerra dei mondi degli Wells, romanzo e pièce radiofonica rispettivamente di H. G. e Orson, che immaginiamo incontri ravvicinati di ogni tipo e ad oggi il tema della ricerca della vita dell’Universo è uno dei più dibattuti e seducenti, che si guardi da una prospettiva scientifica, filosofica o teologica. Tanto che, mentre la NASA annunciava al mondo la scoperta dei sette magnifici pianeti di TRAPPIST-1, almeno sei di tipo roccioso, tre dei quali in fascia abitabile, già ci si ci chiedeva come superare il problema, per niente banale, della distanza: 39 anni luce, seppur pochi in termini astronomici, percorsi a 20 km al secondo, che è la velocità con cui oggi ci spostiamo nello spazio, richiedono un ‘viaggetto’ di un milione di anni. L’alternativa? L’energia sprigionata da un grammo di antimateria, peccato che per produrla qui sulla Terra, ci voglia - e rieccoci al punto di partenza un milione di anni. Impossibile dunque, almeno per il momento, verificare con i nostri occhi che aria tira sui TRAPPIST. La faccenda però è troppo importante per tenere il mondo scientifico con

IL CASO TRAPPIST

LA TERRA PIÙ UNICA CHE RARA di Manuela Proietti @unamanus

Terraformando... Marte Metti un pianeta nella fascia abitabile. Mettici acqua, atmosfera e un campo magnetico. Se l’ultimo viene a mancare la seconda viene strappata via dal vento solare e la prima finisce per evaporare per sempre 6 - global science

nello spazio. Potrebbe essere il caso delle tre simil-Terre di TRAPPIST-1. Ed è la storia di Marte, che circa 4,2 miliardi di anni fa avrebbe misteriosamente, di colpo, perso il proprio campo magnetico, quindi parte dell’atmosfera e poi la quasi totalità degli oceani che scorrevano sulla sua super-

ficie. È possibile che un giorno l’acqua torni a bagnare il pianeta rosso? Per Jim Green, direttore della Planetary Science Division NASA, e del suo team, la risposta è sì. La loro idea? Posizionare uno scudo magnetico dipolare nel punto lagrangiano L1 di Marte per creare una magnetosfera


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Il poster NASA recita: “TRAPPIST-1e, votato come migliore destinazione in zona abitabile”.

“Non è esattamente la stella madre che ogni pianeta vorrebbe avere”

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Gli anni luce che ci separano da questo mondo lontano.

artificiale attorno al pianeta in grado di contrastare il vento solare. Ciò permetterebbe a Marte di conservare la propria atmosfera innescando una serie di effetti a catena ‘positivi’ per l’abitabilità. Primo fra tutti, l’aumento medio della temperatura superficiale di circa 4 gradi centigradi che

sarebbe sufficiente a sciogliere il rivestimento di ghiaccio di anidride carbonica sopra la calotta polare settentrionale. L’evaporazione della CO2 innescherebbe poi un effetto serra, riscaldando ulteriormente l’atmosfera e causando lo scioglimento dell’acqua ghiacciata nelle calotte polari,

le mani in mano fino all’’accensione’ degli ‘occhi’ all’infrarosso di E-ELT e James Webb, che dovrebbero dirci se e quali di questi mondi presentano un’atmosfera. Se da una parte c’è il SETI che ha puntato i suoi radiotelescopi in cerca di segnali, al momento senza riscontri, dall’altra, c’è la comunità di astronomi con la ‘febbre da TRAPPIST’ che sta analizzando tutti i dati disponibili per dirci se davvero questi mondi, in orbita strettissima attorno a una nana rossa ultrafredda, cui con ogni probabilità rivolgono sempre la stessa faccia, possano effettivamente presentare le giuste condizioni per consentire alla vita di sbocciare ed evolversi. E salta fuori che TRAPPIST-1 non sarebbe esattamente la stella madre che ogni pianeta vorrebbe avere. Misurazioni fotometriche effettuate dal telescopio Kepler suggeriscono che la nana rossa sarebbe intenta a ‘sparare’ getti di plasma circa ogni 28 ore. Eruzioni di materia la cui energia rilasciata si presume essere pari a quella di diverse bombe atomiche. Improbabile dunque, se non impossibile, che una qualche atmosfera, se presente, possa resistere ad attacchi così frequenti e potenti, se non in presenza di un campo magnetico ultra potente. Il caso TRAPPIST ci dimostra dunque che nonostante i proclami, la ricerca della vita è una questione complessa. Ma se è vero che la Terra è unica, non può però essere la sola, considerato che solo nella Via Lattea vi sono miliardi di soli, ognuno dei quali potrebbe ospitare un pianeta come il nostro. L’alchimia della vita, sicuramente per come la conosciamo noi, sembra però un fatto più unico che raro se paragonato alla vastità dell’Universo e scovarla resta ancora un’impresa. Come a dire che gli alieni esistono, ma forse, non li incontreremo mai.

dove si stima sia imprigionato circa un settimo degli oceani che una volta scorrevano su Marte. Il pianeta rosso potrebbe così tornare, nel giro di qualche decennio (forse, di nuovo) ad essere un mondo abitabile e, in futuro, perfino abitato. Parola di Jim Green. global science - 7


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ul Pianeta Perduto il rapporto tra l’uomo e l’innovazione non è idilliaco, anzi la tecnologia è bandita dalla colonia di terrestri, perché? Quando scrivo le mie storie il rapporto tra uomo, scienza e tecnologia è la cosa che mi appassiona di più. E penso che la scienza abbia degli elementi di grande positività e ci abbia consentito di evolverci in una direzione che potremmo definire, tra virgolette, “buona”. Più difficile invece che sia buono l’uomo. Quindi l’uomo non buono che ha tra le mani un potere che può avere diversi margini di utilizzo, produce il fatto che io abbia dei dubbi su come l’uomo stesso applicherà questo potere che ci siamo creati da soli. Quindi il rapporto tra uomo e innovazione per me è sempre difficoltoso e passa attraverso una certa forma di sofferenza e di fatica, al punto che in questo romanzo a fumetti che ho scritto, Sul Pianeta Perduto, a causa di una esperienza pregressa terrificante, i protagonisti addirittura decidono di bandire la tecnologia. Come sempre questo concetto è difficile perché non possiamo veramente bandire la tecnologia. Per dirne una, io indosso degli occhiali e anche alcuni dei personaggi della storia lo fanno e l’occhiale è inevitabilmente un prodotto della tecnologia. Quindi l’idea di bandire la tecnologia non è solo sbagliata ma anche vaga e difficile da definire.

INTERVISTA AD ANTONIO SERRA

SUL PIANETA PERDUTO IL RISCATTO DELLA SCIENZA

Che rapporto ha con l’innovazione e con la scienza? Il mio rapporto tra innovazione e scienza lo vivo nel quotidiano. Fare i fumetti è sempre stato un lavoro di tipo manuale ma, ormai, lo facciamo con strumentazione tecnologica. Si lavora in modalità digitale, con tavolette grafiche, tavoli da disegno elettronici, penne ottiche, realizzando dei file e non dei fogli. La scienza invece è proprio una passione che coltivo da molti anni. In particolare mi affascina quello che è il rapporto tra la scienza e la fantascienza. Cerco di capire quanto di “vero” c’è nei racconti e nei film o telefilm di science-fiction, e noto che nel tempo, l’attenzione di chi scrive è sempre più incentrata sul rispetto dei principi generali scientifici che invece qualche anno fa venivano tranquillamente ignorati. Nei suoi testi si nota un certo scetticismo verso la capacità dell’essere umano di dominare la scienza e la tecnologia a protezione della vita e del proprio habitat. Pensando che l’uomo non sia buono, ma avendo fiducia nella scienza,

di Giuseppina Pulcrano @jupulcra

“Cerco di capire quanto c’è di vero nei racconti e nel cinema di sciencefiction”

vivo una contraddizione costante e nelle mie storie esprimo una forma di perenne scetticismo. Nella serie di Nathan Never (1991) il personaggio vive in un mondo sempre meno umano e in un futuro piegato alle esigenze della tecnologia. Nelle prime storie il personaggio si lamentava del cibo (allora si pensava che in futuro avremmo mangiato cibo artificiale e insapore) ma come possiamo vedere, la scienza ci ha permesso di scoprire nuovi sapori e non solo, ci ha consentito di incrementare la qualità delle coltivazioni e di rendere i cibi più ricchi e creativi. Questo è un esempio che ci fa capire che le cose possono andare meglio di quello che scrittori pessimisti come me pensano.

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di Daniela Billi @billi_daniela

La scoperta del sistema Trappist ha rilanciato, se ce ne fosse mai stato bisogno, l’interesse per lo studio della vita nell’universo, facendoci credere nell’immediato, che trovare un gemello della Terra potenzialmente abitabile, e magari anche abitato, potrebbe essere un evento non così improbabile. Facendoci credere nell’immediato, che trovare un gemello della Terra potenzialmente abitabile, e magari anche abitato, potrebbe essere un evento non così improbabile. Una notizia così eclatante è stata quella di vent’anni fa sulla scoperta del primo pianeta extrasolare, la quale con le evidenze di un oceano di acqua liquida sotto la superficie di Europa, riaccese l’interesse per la ricerca di vita altre la Terra dopo il fallimento delle missioni Viking nel trovare vita sul suolo di Marte. Nel caso del sistema Trappist è apparso evidente che sebbene tre pianeti siano nella fascia di abitabilità superficiale e quindi potenzialmente ricoperti di acqua liquida, questa purtroppo rimane una condizione necessaria ma non sufficiente per ospitare la vita. E’ stata infatti riportata per la nana rossa una intensa attività radiativa nella banda X e ultravioletta, inoltre questi pianeti dovrebbero avere un faccia sempre riscaldata e una sempre fredda poiché probabilmente sono in rotazione sincrona con la loro stella. Tuttavia una serie di eventi potrebbe aver preso luogo e il clima essere più mite dell’atteso e l’atmosfera non essere stata ancora spazzata via. Dal punto di vista biologico, anche se elevate dosi di radiazioni sono un fattore limitante la vita, è pur vero che esistono batteri radiofili in grado di sopravvivere 20 kGy di radiazione ionizzante, così come a un anno di esposizione alle radiazioni solari in bassa orbita terrestre, se esposti nello stato disseccato e metabolicamente inattivo. Inoltre alcuni batteri producono pigmenti che assorbono nell’ultravioletto che ne potenziano la sopravvivenza in ambienti con intensità radiazione solare. Inoltre lo studio degli ambienti estremi terrestri ci insegna che quando le condizioni chimico-fisiche superficiali superano le potenzialità adattative, la vita si rifugia in nicchie sub-superficiali, come ad esempio al di sotto dei ghiacci nei laghi antartici oppure delle rocce nei deserti caldi e freddi. Se così fosse i tre pianteti del sistema Trappist rimarrebbero solo potenzialmente abitabili e trovare nelle loro atmosfere le firme chimiche di vita criptica potrebbe essere una vera sfida.

di Amedeo Balbi @amedeo_balbi

Sette pianeti grandi più o meno come la Terra, in orbita attorno a una stella non troppo lontana da noi (40 anni-luce sono un’enormità su scala umana, ma una bazzecola su scala cosmica) non capitano tutti i giorni. E infatti la scoperta di un sistema del genere attorno alla stella TRAPPIST-1, nel febbraio scorso, ha acceso la fantasia del grande pubSTRADA LUNGA MA FUTURO ROSEO blico, che ha seguito la notizia con enorme entusiasmo, pensando che fossimo finalmente sul punto di trovare una risposta affermativa alla domanda “Siamo soli nell’universo?” Naturalmente, scoperte come quella dei sette pianeti di TRAPPIST-1 ci avvicinano un po’ di più al giorno in cui la risposta arriverà davvero. Ma, per il momento, è opportuno mantenere la calma e riconoscere che quel giorno è ancora piuttosto lontano. Se valutiamo la questione con la dovuta obiettività, dobbiamo concludere che di questi nostri sette vicini di casa sappiamo ben poco: conosciamo la loro dimensione e sappiamo “Avere o che alcuni di loro (forse tre) sono alla distanza giusta no una dalla loro stella per avere una temperatura compatiatmosfera bile con la presenza di acqua liquida, uno dei requisiti è ciò che ritenuti indispensabili per la comparsa della vita. È un po’ poco per concludere che essi possano essere può fare la abitabili, o addirittura abitati. Non abbiamo idea se differenza” abbiano un’atmosfera, un fattore cruciale per poter dire qualcosa sulle condizioni ambientali che potrebbero esistere sulla loro superficie. Al momento, non sappiamo nemmeno se sia possibile che pianeti così vicini a una stella del tipo di TRAPPIST (probabilmente soggetta a bruschi cambi di luminosità accompagnati da violente emissioni di radiazioni) possano riuscire a mantenere un guscio gassoso, per quanto tenue. Gli astrofisici stanno appena iniziando a capire come osservare le sottili atmosfere di pianeti piccoli e rocciosi: avere tanti pianeti del genere a portata di mano ci permetterà, nei prossimi anni, di fare osservazioni più accurate permettendoci di trarre qualche conclusione più solida. Avere o no un’atmosfera, e di che tipo, è ciò che può fare la differenza tra un pianeta deserto e inospitale e un mondo vivo, come il nostro.

LA VITA È UNA SFIDA DIFFICILE

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FESTA DI SCIENZA E DI FILOSOFIA

SPECIALE INNOVAZIONE di Pierluigi Mingarelli @PMingarelli

È un grande onore per Foligno il fatto che la rivista Global Science, edita dall’Agenzia Spaziale Italiana in collaborazione con l’Istituto Nazionale di Astrofisica, dedichi un intero numero alla sua Festa di Scienza e Filosofia. La collaborazione e il sostegno dei due enti ne rafforzano il livello culturale e scientifico. Festa di Scienza e di Filosofia Virtute e Canoscenza si svolgerà a Foligno dal 27 al 30 aprile 2017. Il tema “L’Innovazione. Il Futuro in mezzo a noi” è uno dei più presenti nelle riflessioni di ogni genere, in ogni ambito della società. Il tema viene affrontato seguendo il filo conduttore: la scienza consente di spiegare ciò che avviene attorno a noi, di cambiare il modo di produrre, lavorare, viaggiare, acquistare, comunicare, quindi il modo di vivere e di pensare. La scienza ha garantito progresso e pace; è stata motore delle cause che hanno favorito l’allungamento e il miglioramento della vita media degli uomini. Nella comunicazione non vi sono più confini: sono state acquisite informazioni su sistemi di stelle e pianeti extra solari. La mancata previsione delle trasformazioni sta causando alti livelli di disoccupazione ed esclusione sociale. Sono previste alcune sezioni speciali per i 500 anni dalla pubblicazione delle tesi di Lutero, i rischi naturali, la democrazia nel tempo dell’innovazione, i giovani ricercatori italiani nel mondo, le fiabe a contenuto scientifico, l’educazione continua in medicina. I protagonisti della Festa saranno i giovani, come spettatori e anche organizzatori nell’ambito del progetto alternanza scuola-lavoro, realizzato in collaborazione con scuole dell’Umbria, delle Marche, della

“Il futuro è in mezzo a noi”

Puglia, della Sicilia e della Sardegna. Gli studenti svolgeranno anche il ruolo di ambasciatori della Festa attraverso relazioni con gli scienziati e i filosofi protagonisti dell’evento, molti giovani saranno relatori. Molti gli appuntamenti in programma presso palazzo Brunetti Candiotti: laboratori per ogni fascia d’età, in particolare per bambini e bambine dei nidi e delle scuole d’infanzia; la riproduzione dell’ambiente di Colfiorito, zona umida dell’Appennino; la mostra L’Artico realizzata dal CNR. Presso il Laboratorio di Scienze Sperimentali il CUSMIBIO di Milano proporrà attività sperimentali. Ma fra i partner scientifici si contano tutti i più importanti enti di ricerca: CNR, ASI, INAF, INFN, IIT, ENEA, INRIM e Fondazione Veronesi. global science - 13


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a NASA e SpaceX puntano alla Luna. L’agenzia spaziale statunitense – nonostante le incertezze sulle priorità in tema spazio dell’amministrazione Trump – ha reso noti i propri piani che vedono come obiettivo la conquista dell’orbita cislunare. Dal fronte privati, la compagnia di Elon Musk non è da meno e guarda ambiziosamente alla possibilità di mandare una coppia di turisti spaziali intorno alla Luna entro la fine del 2018. Il progetto NASA prevede la creazione di un avamposto il – Deep Space Gateway – per future missioni umane situato intorno al nostro satellite. La scelta dell’orbita cislunare, situata tra la Terra e la Luna, offre una serie di vantaggi: si tratta di una regione dello spazio profondo relativamente vicina al nostro pianeta da dove sarà possibile raggiungere facilmente il satellite con missioni robotiche. I piani della NASA, prevedono uno studio preliminare sugli elementi dell’avamposto cislunare e i materiali selezionati verranno imbarcati come carichi secondari a bordo dei voli dello Space Launch System (SLS). L’avamposto dovrebbe essere costituito da una serie di moduli di tipo abitativo e cargo in modo da poter sostenere le necessità dei coloni anche per lunghi periodi, mentre il servizio di navetta per astronauti verrebbe svolto dalla capsula Orion. La NASA intende sfruttare la base in orbita intorno al nostro satellite per sperimentare le tecnologie necessarie alle future missioni umane su Marte. Anche se non sono ancora state definite le missioni che si occuperanno della costruzione dell’avamposto, è già stato deciso che per il trasporto degli elementi verrà sfruttata la potenza dell’Exploration Upper Stage (EUS), lo stadio superiore dell’SLS disegnato appositamente per i viaggi al di là dell’orbita terrestre. Attualmente in fase di sviluppo, verrà posizionato tra l’Universal Stage Adapter e la capsula Orion e sarà idoneo al trasporto di equipaggio e payload per parecchie migliaia di chilogrammi. I progetti della NASA potrebbero subire rallentamenti, anche causa dei ritardi nella fase di sviluppo di SLS e Orion. Dopo una serie di verifiche, il NASA Office of Inspector General (OIG) ha annunciato nuovi rinvii per le Exploration Mission 1 e 2: in particolare la numero 2, calendarizzata per il 2021, era quella designata a porre le prime basi per la costituzione dell’avamposto. Come la NASA anche SpaceX, che condivide con l’agenzia spaziale americana gli stessi obiettivi di conquista lunare, ha dovuto modifi-

LA CONQUISTA DELLO SPAZIO CISLUNARE

ORION E SPACEX PUNTANO ALLA LUNA

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di Giulia Bonelli @giulia_bonelli e Fulvia Croci @ASI_spazio

“Turismo galattico: secondo Elon Musk potrebbero bastare meno di due anni”

care la sua serrata agenda a causa di diversi ritardi accumulati lo scorso anno. Responsabile è stato il sospirato e leggendario Falcon 9, primo razzo riutilizzabile che nella visione di Musk dovrebbe rivoluzionare il sistema di trasporti spaziali. Ma nel corso del 2016 il lancio del ‘falcone’ ha subito diversi rinvii, fino a un incidente in una fase di test che a settembre l’ha portato a schiantarsi sulla piattaforma robotizzata nell’Oceano Atlantico. Eppure quella che poteva essere una irrimediabile botta d’arresto per SpaceX si è trasformata ben presto in un’occasione di rilan-


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Blue Origin Blue Origin è pronta a sostenere la NASA nelle sue prossime missioni sulla Luna: lo farà con Blue Moon, un lander che promette di portare carichi di grandi dimensioni a costi contenuti. La compagnia sarebbe disposta a investire nello sviluppo del Blue Moon, come parte di una collaborazione con la NASA, con l’obiettivo di realizzare in futuro un vero e proprio servizio di consegna di risorse alle colonie lunari, da affiancare ai servizi dello Space Launch System. Il progetto del Blue Moon, oltre al New Glenn di Blue Origin, prevede la possibilità di volo anche con altri vettori, quali l’Atlas 5 della United Launch Alliance. Il progetto del lander si inserisce perfettamente nella visione dello spazio secondo Bezos: una ripresa delle attività umane sulla Luna consentirebbe preziosi ritorni scientifici e tecnologici per le generazioni future.

Sopra: due rendering della navicella Red Dragon mentre entra nell’atmosfera marziana e si posa al suolo. Crediti: SpaceX.

cio: con l’inizio del 2017 l’azienda statunitense ha raddoppiato gli sforzi per il riutilizzo della famiglia di Falcon 9. Impresa riuscita poche settimane fa con un liftoff e un atterraggio da manuale per il fiore all’occhiello di SpaceX, che ha portato in orbita con successo il satellite per le comunicazioni SES-10. Nel frattempo, ecco che Musk aggiunge il carico da novanta: «Manderemo i primi due turisti intorno alla Luna entro la fine del 2018». E così, mentre il numero uno dei SpaceX festeggia l’inaugurazione dell’era dei vettori riutilizzabili, comincia già a preparare il terreno per una nuova, imminente rivoluzione nel settore spaziale. In bilico tra sogno e realtà, il turismo galattico è uno degli obiettivi principali di molte aziende private aerospaziali, e il progetto lunare di SpaceX strizza l’occhio all’avamposto pensato dalla NASA per raggiungere il nostro satellite. Se i piani di Musk saranno rispettati, tra poco più di un anno a viaggiare verso la Luna saranno due persone ‘normali’, non astronauti, che in base a quanto annunciato avrebbero già versato nelle casse dell’azienda un significativo deposito. Ma i dettagli di questo accordo, così come i nomi dei due pionieri del turismo spaziale, non sono ancora stati rivelati. Per ora sappiamo che la missione prevede un viaggio di circa una settimana a bordo della navicella Dragon 2, nuova versione della capsula cargo. Dragon 2 verrà lanciata da Falcon Heavy, upgrade in corso di sviluppo di Falcon 9, che porterà i suoi due ‘inquilini’ a contemplare il nostro pianeta da una distanza massima di 640mila chilometri, quando la navicella sarà nel punto più lontano dall’altra parte della Luna.

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olleferro, remota cittadina nella provincia romana è il centro dei propulsori per i lanciatori europei. È qui che Avio favorisce il programma dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA) di avere un accesso autonomo allo spazio, ovvero la capacità di offrire servizi di lancio di satelliti. Un segmento strategico nel quale chi ha lanciatori affidabili e a prezzi contenuti conquista una fetta di mercato forte, cospicua e in grande crescita. E VEGA (Vettore Europeo di Generazione Avanzata) è il concentrato di queste caratteristiche. Avio, attraverso la controllata ELV partecipata per il 30% dall’Agenzia Spaziale Italiana, realizza questo gioiello di tecnologia a forte componente italiana. Il lanciatore VEGA nasce infatti come un progetto esclusivamente italiano, da sempre sostenuto all’Agenzia Spaziale Italiana che lo ha portato in Europa, superando le resistenze francesi. Francia che ha poi deciso di seguire il motto “se non li puoi sconfiggere fatteli amici, siglò sul vettore un accordo intergovernativo con l’Italia. E così il piccolo della famiglia dei lanciatori ESA, ha conquistato a grandi passi la ribalta internazionale per la sua versatilità, affidabilità e soprattutto per i suoi costi contenuti. Forte dei suoi nove lanci di successo che rappresentano nove dimostrazioni di capacità e precisione, VEGA ha completato la gamma di offerta dell’ESA di vettori per ogni categoria, affiancandosi ai lanciatori Ariane V e Soyuz. Tutti in servizio attivo nello spazioporto di Kourou in Guyana Francese.

VEGA SIMBOLO DELL’EUROPA SPAZIALE

L’INNOVAZIONE IN RAMPA DI LANCIO di Giuseppina Piccirilli @ASI_spazio

La strada dello spazio porta in Borsa Le vie tecnologiche per l’innovazione sono tante, ognuno sceglie la più adatta alle proprie esigenze di costo e produttività. «Quella di Falcon 9 è il reuseble, una strada possibile ma non obbligata. 16 - global science

Il nostro percorso all’innovazione è quello della standardizzazione e della produzione in serie dei pezzi. Una scelta che ha fatto di VEGA un lanciatore, oltre che affidabile, anche semplice». Parola di Giulio Ranzo, ingegnere e am-

ministratore delegato di Avio. «Grazie all’ESA e all’ASI, sono state fatte delle scelte strategiche consapevoli – racconta a Global Science il numero uno della società – basate su modularità e utilizzo di un motore comune per due diversi lanciatori, che ci hanno permesso di


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Realizzando grandi motori in fibra di carbonio si può risparmiare fino al 40% del peso delle strutture.

“VEGA nasce come un progetto esclusivamente italiano sostenuto dall’ASI”

essere più che competitivi. La società e VEGA, in particolare, sono in una buona fase industriale e commerciale. Una maturità completa dimostrata anche dalle performance del lanciatore». Sulla scelta di scendere nella Borsa di Milano, Ranzo ci ha detto: «C’è chi

vuole andare sulla Luna o su Marte noi invece abbiamo scelto di atterrare sul mercato finanziario. Riteniamo che sia uno strumento efficacie per accelerare gli investimenti. Siamo stati i primi e non saremo i soli. Abbiamo avuto grandi soddisfazioni da questa scelta.

Nel settore spaziale il trasporto è un fattore determinante e in forte ascesa, dove la domanda supera l’offerta. Il ritmo di crescita di ciascun paese è dato anche dal possesso di grandi e nuove infrastrutture satellitari capaci di offrire nuovi servizi scientifici, di telecomunicazioni, di sicurezza, di controllo dell’ambiente e meteorologici. Più i costi dei lanci di satelliti sono contenuti più si hanno benefici per gli utenti nel prezzo finale dei servizi che ricevono. L’innovazione, quindi, gioca il ruolo fondamentale per la conquista di importati fette di mercato. La strategia di Avio, supportata dal sistema paese e dall’interazioni con l’ESA, ha messo in campo una carta cruciale per l’imminente futuro: un motore per due lanciatori e un processo produttivo modulare. Il grande P120C è il nuovo motore a propulsione solida che equipaggerà sia Ariane 6 sia VEGA C e che sarà sviluppato da Europropulsion (joint venture tra Avio e ASL – Airbus Safran Launchers). Avio ricorda che realizzare grandi motori in fibra di carbonio ha un risparmio del 40% del peso delle strutture in favore del numero e peso dei satelliti da mettere in orbita. Gli stabilimenti sono già al lavoro alla versione potenziata di VEGA C e sui motori del primo stadio di Ariane 6, che voleranno tra il 2019 e il 2020, fino alla realizzazione della versione E di VEGA, previsto al lancio nel 2025. Intanto per Avio si è aperta anche la strada della quotazione in borsa, prima tra le società di costruzioni di lanciatori a scendere nel campo finanziario. Una scelta che ha premiato la società che già all’esordio a Piazza Affari ha afferrato il Toro per le corna ed è volata in orbita mettendo a segno forti rialzi per i suoi titoli azionari.

Ci speravamo nel successo, lo abbiamo ottenuto e ne siamo contenti – sottolinea - ma non stupiti. Questo perché il settore spaziale negli ultimi tempi sta riscuotendo molto interesse, mentre fino a qualche tempo fa era un comparto ignoto agli investitori». global science - 17


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Colonizzare Marte? Si può fare, con la giusta... coltura. Il progetto di esplorare il vicino pianeta rosso, sogno di generazioni di scienziati, diviene sempre più realizzabile grazie all’impegno dei ricercatori e, naturalmente, agli investimenti stanziati dai governi. Nello scorso mese di marzo, il Congresso americano ha “staccato un assegno” sostanzioso alla NASA – parliamo di 19 miliardi e mezzo di dollari per il 2017 –, accordandole il via libera per approfondire la conoscenza del cosmo e, tra le altre cose, studiare la strada verso Marte. E se le Agenzie internazionali e i privati si attrezzano per tornare sulla Luna e per spedire il primo selfie umano dal mondo rosso, l’attenzione degli esperti si concentra su qualcosa di pratico. Ad esempio su cosa mangerebbero i “coloni” una volta giunti a destinazione. Da scartare l’idea di traghettare le provviste fuori dall’atmosfera per via dei costi esorbitanti – circa 1 miliardo di dollari all’anno per ciascun membro della spedizione – mentre la soluzione potrebbe essere quella di impiantare colture in loco. L’agricoltura spaziale è dunque alla base di ogni progetto esplorativo che contempli la permanenza umana prolungata in un ambiente ostile alla vita: i ricercatori sono da tempo al lavoro per far crescere piante in grado proliferare in un habitat estremo – lo spazio, un nuovo mondo o climi terrestri inadatti – e fornire ossigeno, cibo e facilitare i processi di riciclo dell’acqua e dell’anidride carbonica. In poche parole, consentire il protrarsi dell’esistenza degli astronauti. Impossibile non pensare al protagonista di The Martian, la pellicola di Ridley Scott in cui Matt Damon riesce a sopravvivere completamente solo sul pianeta rosso mettendo in piedi una coltivazione di patate. Sembra solo finzione cinema-

FIORI E ORTAGGI CRESCONO NELL’ORTO SPAZIALE

POLLICE VERDE PER COLONIZZARE MARTE

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di Agnese Cerroni @CerroniAgnese

tografica, eppure i risultati preliminari del progetto Potatoes on Mars dimostrano che si può fare. Alla base dello studio c’è l’osservazione che in Perù i tuberi riescono ad attecchire persino nell’ecosistema arido del deserto di Pampas de la Joya. Il suolo vulcanico e riarso di questa distesa spoglia è molto simi-

le alla superficie di Marte e quindi ben si presta ad essere utilizzato come terreno di prova. E non è un caso che l’autore del Best Seller The Martian sia un biologo/botanico. E mentre l’idea dell’orto marziano resta ancora da coltivare, a due passi da casa sono sbocciati da tempo i fiori: annaffiate con cura dagli


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astronauti Scott Kelly e Tim Peake, nel 2016 sulla Stazione Spaziale, all’interno della facility Veggie, sono cresciute le zinnie. Nella stessa serra cosmica, è stata coltivata anche la lattuga rossa romana (e mangiata, dicono sappia di rucola). A breve arriveranno i pomodori. Nel frattempo, un nuovo sistema di coltivazione quasi del tutto autosufficiente, battezzato Advanced Plant Habitat Facility, è pronto per essere spedito in orbita con il prossimo volo cargo di Cygnus. L’espe-

Matt Damon in The Martian coltiva tuberi per assicurarsi la sopravvivenza sul Pianeta rosso.

rimento contiene più di 180 sensori, in grado di fornire ai ricercatori informazioni in tempo reale su diversi parametri vitali per le piante, come temperatura, ossigenazione e livelli di umidità. Il primo ad essere coltivato nel nuovo habitat vegetale della ISS sarà l’Arabidopsis, organismo modello negli esperimenti di

genetica e biologia molecolare delle piante. Il tema dell’agricoltura spaziale, all’attenzione della comunità scientifica dagli anni 50, ha rilanciato prospettive fantascientifiche e prodotto benefici anche per la vita sulla Terra, attraverso la messa a punto di nuove tecnologie. Ne sono un esempio l’illuminazione LED per l’agricoltura verticale o gli approcci idroponici per le colture sotterranee, in grado di ottimizzare (o addirittura di consentire) la resa in ambienti estremi. Come si evince anche dall’articolo di Raymond M. Wheeler, una recente pubblicazione che fornisce un esaustivo quadro storico sui contribuiti internazionali spesi in favore della messa a punto di sistemi bio-rigenerativi (o più correttamente, auto-rigenerativi), le sfide sono ancora molte ma puntare sull’agricoltura resta la chiave d’accesso alla strada verso Marte. global science - 19


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MINI SATELLITI LOW COST

CUBESAT, PICCOLI SATELLITI CHE CRESCONO di Ilaria Marciano @ASI_spazio

ubi di 10 cm per lato per un peso di circa 1 kg. Sono queste le dimensioni dei Cubesat, mini satelliti per la ricerca ideati con lo scopo di sviluppare missioni low cost e di rapida esecuzione, sfruttando la miniaturizzazione dell’elettronica. Un CubeSat consiste in una cornice metallica che contiene e protegge l’elettronica, gli strumenti e i sistemi di comunicazione ed energia. È dotato inoltre di pannelli solari e di un’antenna estensibile. Il design modulare implica che il satellite può essere lanciato in contenitori standard che ne ospitano più alla volta e li liberano quando il vettore ha raggiunto l’orbita desiderata. Dopo il primo lancio avvenuto nel 2003, il grande potenziale scientifico dei CubeSat ha dato il via ad una rapidissima crescita della domanda che li vede protagonisti di nuovi esperimenti scientifici sia come singoli satelliti che in gruppo come costellazioni. Inoltre, date le dimensioni ridotte e la massa limitata, anche il costo del lancio è molto inferiore a quello di un satellite classico. La messa in orbita e l’operatività di un satellite possono costare circa 100.000 dollari, che rappresentano una frazione di un budget tipico di una missione NASA. Da anni sono presenti sul mercato dei kit per realizzare CubeSat con un costo di acquisizione molto basso, che include anche quello del lancio. La versatilità di questo sistema di satelliti permette di utilizzarli sia per dimostrazioni tecnologiche che per missioni prettamente commerciali. I costi contenuti, tra l’altro, costituiscono certamente un forte appeal per nuovi clienti che vorranno utilizzare questi strumenti attraverso partnership. Il primo partner commerciale è stato il MIT, che con il progetto Micromas – 3U Cubesat lo ha utilizzato per le osservazioni meteo. Questi satelliti innovativi rendono, come

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“La messa in orbita e l’operatività di un satellite possono costare circa 100.000 dollari”

detto, lo spazio, accessibile a un’audience più ampia, composta non solo da istituzioni accademiche o di ricerca ma anche da aziende private. La riprova di questo, sono i 104 satelliti mandati in orbita con un solo vettore dall’Indian Space Research Organisation (IRSO); una grossa parte del carico – ben 88 microsatelliti degli oltre cento inviati nello spazio – è targato Planet Labs, azienda californiana emergente in questo mercato ed in continua espansione. Planet Labs – che realizza CubeSat da mandare in orbita con l’obiettivo di monitorare la terra – con questo lancio record potrà svolgere un servizio quotidiano di imaging totale del nostro pianeta. Questo lancio è l’ultimo di una serie che ha completato la più vasta costellazione di mini satelliti esistente.


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INAF IN PRIMA LINEA VERSO IL FUTURO

ASTRONOMIA E INDUSTRIA INSIEME PER GUARDARE LONTANO di Rossella Spiga @rossellaspiga

o sviluppo di nuove tecnologie astronomiche e la loro realizzazione è caratterizzata da una corsa senza precedenti sia dei principali Paesi industrializzati sia di quelli emergenti. Le migliori infrastrutture internazionali per l’osservazione dell’Universo sono, infatti, realizzate in stretta sinergia con l’industria. Le grandi infrastrutture astronomiche moderne costituiscono oggi i principali asset strategici di rilevante importanza per la sicurezza del pianeta, per esempio attraverso il monitoraggio dei cosiddetti “detriti spaziali”, di asteroidi in potenziale rotta di collisione col pianeta oppure attraverso lo studio di fenomeni cosmici “violenti”, quali le tempeste solari e i cosiddetti “lampi di raggi gamma”, con origine più remota, di cui si osservano a volte evidenti effetti nella ionosfera del nostro pianeta. In parallelo a una sempre più profonda conoscenza della Natura, l’astronomia moderna ci condurrà nell’epoca in cui troveremo tracce certe di vita in altre parti dell’Universo, portando cambiamenti culturali e sociali di portata epocale. L’Italia gioca un ruolo di prima linea su questo fronte, grazie all’impegno dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf) e dell’Agenzia Spaziale Italiana (Asi). L’Inaf, al vertice delle classifiche mondiali di produzione scientifica, sviluppa nuove tecnologie e strumentazione di avanguardia, trasferendo poi il know-how all’industria. L’Italia dal 1982 aderisce all’Eso (European Southern Observatory), l’organizzazione intergovernativa che gestisce le infrastrutture osservative più moderne collocate in Cile con lo sguardo rivolto al cielo australe. Lo sviluppo dei telescopi ha costituito da sempre il terreno della sperimentazione di nuove tecnologie all’interno dell’Inaf ed è stato accompagnato da una significativa crescita dell’industria nazionale, la cui eccellenza costituisce oggi un marchio distintivo di molti di que-

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“Sono targate made in Inaf le prossime sfide scientifiche e industriali del Bel Paese”

sti impianti. Contratti industriali hanno procurato un importante ritorno diretto dell’investimento pubblico sostenuto dal Paese all’interno dell’Eso, ma soprattutto hanno creato in Italia una competenza specifica che è stata capitalizzata nella realizzazione di altri impianti anche al di fuori del contesto europeo. L’industria italiana ha fornito strutture meccaniche per una grande quantità di infrastrutture internazionali, alcune di queste italiane o partecipate dall’Italia, ma si è anche affermata in gare competitive internazionali. Accanto alla meccanica, un’altra eccellenza italiana è l’ottica adattiva. La sfida di costruire specchi deformabili che consentono di compensare la turbolenza dell’atmosfera è stata vinta con un meticoloso lavoro di ricerca e sviluppo: un altro risultato tutto made in Italy.


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L’ITALIA VOLA IN ALTO CON LE PROSSIME MISSIONI SPAZIALI

2018-2020 PRONTI AL LANCIO, VIA! di Rossella Spiga @rossellaspiga

I progetti spaziali si configurano cruciali nell’astronomia moderna, perché permettono di osservare l’Universo con strumenti a bordo di satelliti e di esplorare il sistema solare attraverso l’utilizzo di sonde robotiche. Sulle missioni spaziali l’industria investe ingenti risorse anche in Italia attraverso una consolidata collaborazione di Inaf con Asi, Esa, Nasa e Jaxa (l’agenzia spaziale giapponese. Lo confermano le missioni ormai prossime al lancio, tra cui Bepi Colombo lancio previsto nel 2018 - missione cornerstone Esa-Jaxa dedicata allo studio di Mercurio, dell’interazione con il Sole e degli effetti gravitazionali previsti dalla relatività generale, con ben quattro strumenti italiani di cui tre guidati da Inaf. Il programma ExoMars è una missione europea-russa per l’esplorazione marziana con un fortissimo coinvolgimento italiano e prevede

“Sono in arrivo le osservazioni spaziali per Mercurio, Marte e i pianeti extra-solari”

due missioni: la prima (lanciata a marzo 2016) composta da un orbiter e un modulo di discesa, e la seconda prevista nel 2020 che farà sbarcare su Marte un rover. A Exomars l’Inaf contribuisce con la guida di due strumenti scientifici e con la partecipazione a diversi altri. Sempre nel 2018 sono attesi altri due lanci: Cheops e Jwst. La missione Esa Cheops è dedidcata all’osservazione di stelle con pianeti già noti (o potenziali) per misurarne i transiti con fotometria ad alta precisione. Il principale contributo italiano sarà proprio la fornitura del telescopio a bordo. Jwst - missione congiunta Nasa, Esa e Csa - porterà in orbita il più grande telescopio spaziale ottico-infrarosso per studierà i pianeti extra-solari, le regioni di formazione stellare, le popolazioni stellari e le galassie remote, fino a vedere quelle nell’universo giovanissimo.

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o European Extremeley Large Telescope, E-Elt, è il più grande telescopio al mondo, ora in fase di costruzione nel deserto cileno. Si tratta di un telescopio dal diametro di circa 40 metri che opererà nella banda visibile e nell’infrarosso. Si tratta di un telescopio dal diametro di circa 40 metri che opererà nella banda visibile e nell’infrarosso. Di particolare interesse per il nostro Paese la scelta recente di Eso di affidare a un consorzio di industrie italiane (Astaldi, Cimolai, Eie) la realizzazione della cupola e della struttura meccanica con una commessa di circa 400 milioni di euro, la più consistente mai assegnata in questo settore. E-Elt costituirà il più grande telescopio ottico e infrarosso al mondo, sul quale l’industria nazionale ha già impresso il suo prestigioso marchio e per il quale l’Inaf detiene la leadership dello sviluppo di strumentazione scientifica di avanguardia: lo spettrografo ad alta risoluzione Hires, il modulo di ottica adattiva Maory, la camera Micado e lo spettrografo multi-oggetto Mos. Sarà Bologna a ospitare il quartier generale di Cta (Cherenkov Telescope Array), l’ambiziosa infrastruttura di oltre cento telescopi da installare in Cile e alle Canarie che, una volta realizzata, sarà il più potente osservatorio per i raggi gamma di origine cosmica mai costruito. Cta rappresenta la nuova generazione di telescopi creati per studiare da terra la radiazione di altissima energia proveniente dall’Universo, e aprirà ufficialmente una nuova era dell’astrofisica e della fisica fondamentale. L’Inaf ha potuto consolidare la propria leadership in questa frangente anche grazie al finanziamento Miur del Progetto Bandiera ASTRI per lo sviluppo, l’installazione e la calibrazione di un prototipo innovativo di small size telescope per Cta. Il progetto Ska (Square Kilometre Array) costituisce il più ambizioso progetto radioastronomico attualmente in fase di studio. Sarà costituito da migliaia di radiotelescopi con un’area di raccolta pari a un chilometro quadrato, con un grande campo di vista e dotato di tecnologie innovative per ricevere, trasferire ed elaborare il segnale. Ska lavorerà su un grande intervallo di frequenze con un miglioramento di circa 50 volte in sensibilità e di oltre 100 volte in velocità di osservazione del cielo rispetto agli strumenti attuali. Considerate le proporzioni del progetto in termini sia di prestazioni sia di costi 24 - global science

IL FUTURO DELL’ASTRONOMIA DA TERRA

I GRANDI PROGETTI WORK IN PROGRESS di Rossella Spiga @rossellaspiga

“Nei progetti astronomici più ambiziosi l’Italia c’è”

si è resa necessaria una collaborazione su scala mondiale. L’Italia, tramite l’Istituto Nazionale di Astrofisica, è una delle prime nazioni ad aver preso parte al progetto per la costruzione dello Square Kilometre Array, che per la comunità scientifica internazionale rappresenta il futuro della radioastronomia con il network di radiotelescopi più grande del mondo. Il coinvolgimento dell’Inaf in Ska è stato pensato, sin dai primi anni, come un volano non solo scientifico ma anche economico e industriale, visto l’ampio coinvolgimento delle industrie italiane nel settore radioastronomico.


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i fa piacere ringraziare ASI e INAF per l’attenzione e il sostegno che rivolgono a Festa di Scienza e di Filosofia Virtute e Canoscenza.

FESTA DI SCIENZA E DI FILOSOFIA

FOLIGNO CITTÀ IN FESTA

di Nando Mismetti, sindaco di Foligno

Festa di Scienza e di Filosofia è una manifestazione scientifica, giunta alla settima edizione, che sta diventando un appuntamento di grande rilievo, ma, soprattutto, una carta di identità della Città. Foligno, dopo il terremoto del 1997, ha puntato molto sulla cultura come strumento per la crescita dei cittadini e per la valorizzazione della città. Si sta affermando una idea nuova di città, prima definita città ferroviaria o città commerciale, oggi sempre più città della formazione e della cultura. La presenza di alcune aziende operanti in settori produttivi ad alta tecnologia - aeronautico e aerospaziale - l’attività del Laboratorio di Scienze Sperimentali, la prima struttura pubblica messa a disposizione dei giovani dopo gli eventi sismici del 1997, hanno favorito il diffondersi di una grande attenzione verso la Scienza e le sue conquiste. La Festa di Scienza e di Filosofia è sempre più attesa e frequentata dai cittadini di ogni età, non solo folignati e umbri, ma provenienti da tutta Italia e anche dall’estero. La presenza, nell’arco di in pochi giorni, di un grande numero di personalità impegnate nella ricerca scientifica e filosofica, l’attenzione e la collaborazione delle maggiori Agenzie ed Enti di ricerca costituiscono un prezioso patrimonio. global science - 25


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l festival di Foligno è di scienza e filosofia. L’innovazione la considera più legata alla scienza o alla filosofia? L’innovazione è una categoria dello spirito, se così di può dire, applicabile a tutte le manifestazioni del genere umano. Che si tratti di filosofia o di scienza, di politica o di economia, di prodotti o servizi, di beni materiali o immateriali, di processi o relazioni, l’innovazione è il motore della civiltà. L’innovazione ha un costo, e spesso sia nel pubblico che nel IL PRESIDENTE DI CONFINDUSTRIA VINCENZO BOCCIA OSPITE A FOLIGNO privato si pensa sia risparmiabile. Lo pensa anche lei? No, come potrei pensarlo? L’indi Francesco Rea @francescorea novazione per un imprenditore è come l’aria: non può farne a meno se vuole vivere e prosperare. Tra le imprese italiane è molto diffusa e da questo dipende la nostra abilità a stare sui mercati, anche i più difficili, con capacità competitiva nonostante i tanti ostacoli. Inoltre, esiste una relazione diretta tra gli investimenti fatti in innovazione e l’attitudine a resistere oltre la crisi e reagire migliorando performance e posizionamento.

L’INNOVAZIONE È IL MOTORE DELLA CIVILTÀ

Molte delle realtà imprenditoriali giovanili sono frutto dell’innovazione, ma molto del tessuto industriale del nostro paese, quello delle piccole e medie imprese non è in grado di investire. Come se ne esce? Non è del tutto vero che le piccole imprese non possano investire. Si tratta di un problema culturale prim’ancora che industriale. Con le normative oggi esistenti, penso ad esempio al credito d’imposta, non c’è bisogno di essere dei giganti per accedere ai benefici della legge. Inoltre sono disponibili anche strumenti finan26 - global science

ziari diversi dalle banche, e penso ad esempio anche al progetto Elite di Borsa Italiana, che consente a imprese virtuose e promettenti di porsi all’attenzione di investitori nazionali ed esteri. Certo, se non c’è l’idea e manca il prodotto… La Cina sta passando da un’e-

spansione economica basata su tecnologie passate, inquinanti, ad una nuova economia basata sull’innovazione anche in ambito ambientale. I paesi arabi che detengono la maggior parte dei giacimenti petroliferi sono i principali investitori sulle nuove forme di produzioni di energia.


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ma con coraggio e tenacia si superano tutte le difficoltà.

L’occidente, inteso genericamente, è diviso. Che ci manca? La visione del futuro? Dal punto di vista della politica industriale non possiamo dire che in Italia manchino gli strumenti per costruire l’impresa del futuro che dovrà essere ad alta intensità di capitale, alta innovazione, alta produttività. Industria 4.0 è un grande progetto che mira proprio a favorire la quarta rivoluzione in-

Vincenzo Boccia è alla presidenza della Confederazione generale dell’industria italiana dal 2016.

dustriale che sembra fatta apposta per gli italiani che sono maestri nel concepire e realizzare prodotti di nicchia e personalizzati come oggi il mercato richiede. L’unica cosa che non possiamo e non dobbiamo fare è piangerci addosso pensando che ci sia preclusa la via del successo. Certo, nulla viene regalato

Per chiudere: è la prima volta che io ricordi che un presidente di Confindustria partecipa ad un festival della scienza. Cosa l’ha spinta? Intanto la cortesia degli organizzatori che mi hanno invitato. Poi la curiosità che non deve mai mancare. Infine la convinzione che non debbano esistere campi separati con saperi esclusivi di questo o quel settore ma una società aperta e vivace fertilizzata da irrinunciabili contaminazioni.

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EVENT HORIZON TELESCOPE

IL BUCO NERO SI METTE IN POSA di Corrado Ruscica @Corrado_Ruscica

Attesa, entusiasmo e qualche apprensione, per quella che è stata definita la “foto del secolo”, che avrà come obiettivo l’orizzonte degli eventi di un buco nero. Otto radiotelescopi sparsi sul globo hanno unito le loro forze agendo virtualmente come una singola e potente antenna delle dimensioni della Terra. L’Event Horizon Telescope (Eht) ha puntato i ricevitori verso il centro della Via Lattea, cercando di spiare il buco nero che si cela nel nucleo della nostra galassia. Se questo tentativo avrà successo, le spettacolari immagini (che saranno pubblicate tra la fine di quest’anno e gli inizi del 2018) potrebbero aiutare gli astronomi a verificare le predizioni di Einstein e conoscere più da vicino non solo la sorgente Sgr A* ma anche il buco nero supermassivo della galassia ellittica gigante M87. Le precedenti osservazioni di Sgr A* (la radiosorgente che indicherebbe il punto esatto del nostro buco nero) non hanno consentito di ottenere un’immagine dettagliata, perché il network era costituito da soli 3-4 elementi. Ma ora c’è qualche speranza, poiché il coinvolgimento di altri strumenti in banda millimetrica come Alma (Cile) e il South Pole Telescope (Antartide), rispetto alla sola rete di radiotelescopi situati in Hawaii, Spagna, Messico e Arizona, permetterà di migliorare la risoluzione angolare e le aspettative in termini di ricostruzione delle immagini. «Un elemento fondamentale per l’attuazione di questo piano è l’Atacama Large Millimeter Array (Alma), che è il radiotelescopio più sensibile mai costruito in banda millimetrica, situato nel deserto di Atacama nelle Ande Cilene, a 5100 m sul livello del mare, il deserto più alto e secco al mondo», ha spiegato Ciriaco Goddi, BlackHoleCam project scientist alla Radboud University. «L’inserimento di Alma nella rete di radiotelescopi è ciò che consentirà un salto di qualità nelle prestazioni dell’Eht, sia in termini di risoluzione che 28 - global science

“La foto del secolo potrebbe arrivare a inizio 2018”

di sensibilità, permettendo così di mettere a fuoco il buco nero supermassiccio al centro della nostra Via Lattea». Operando insieme, le antenne hanno simulato un singolo gigantesco strumento dalle dimensioni della Terra in grado di “vedere” direttamente l’orizzonte degli eventi, quel confine che circonda i buchi neri dove tutto ciò che passa non torna mai più indietro, e rivelare la cosiddetta “ombra” di Sgr A*. Di fatto, grazie alla tecnica dell’interferometria radio a lunghissima linea di base (Vlbi), si otterrà il livello più alto di risoluzione spaziale di ogni altro attuale strumento astronomico. Le osservazioni sono state effettuate in una finestra temporale dal 5 al 14 aprile, per cinque notti. Poche - direte voi, ma si spera che siano state abbastanza. Ottenere un’immagine risolta di Sgr A* sarebbe già un trionfo.


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ulla superficie di Cerere, l’oggetto più grande tra quelli che popolano la fascia principale del Sistema solare, sono state individuate per la prima volta due mesi fa in modo inequivocabile tracce di materiale organico, in gran parte costituito da composti alifatici. La scoperta è stata realizzata da un team di ricercatori coordinati da Maria Cristina De Sanctis dell’Istituto Nazionale di Astrofisica grazie alle osservazioni dello spettrometro italiano VIR (fornito dall’Agenzia Spaziale Italiana) a bordo della missione spaziale Dawn della Nasa. «Mai prima d’ora avevamo avuto un’evidenza così marcata della presenza di molecole organiche alifatiche su un corpo celeste oltre la Terra da dati di missioni spaziali», ha detto De Sanctis, prima autrice dell’articolo che descrive la scoperta sulla rivista Science. «Per questo la scoperta è importante: il nostro gruppo, che vede coinvolti molti colleghi dell’Inaf, ha scoperto in modo inequivocabile su un’ampia area della superficie di Cerere, pari a circa mille chilometri quadrati, la presenza di materiale organico. Tali composti possono essere considerati i mattoni che costituiscono molecole legate a processi biologici». Il materiale organico è stato individuato in un’ampia regione di Cerere in prossimità del cratere Ernutet. Il materiale è distribuito in gran parte vicino al cratere, ma anche in piccole aree più distanti. Le osservazioni dello spettrometro VIR sono state condotte durante una serie di sorvoli nei quali la sonda Dawn si è trovata ad altezze comprese tra 4300 e 385 chilometri dalla superficie. Secondo i ricercatori, due sono le possibili cause della notevole concentrazione di materiale organico rinvenuto nella regione del cratere Ernutet: l’impatto sulla superficie di Cerere di un corpo celeste ricco di tali composti, oppure la formazione di molecole organiche direttamente sul pianeta nano. Gli scienziati, pur non escludendo del tutto il primo scenario, propendono per il secondo, secondo il quale i composti rinvenuti sarebbero il risultato di processi chimici innescati da attività idrotermale. «L’importanza di questa scoperta è data dal fatto che la superficie di Cerere è particolarmente ricca di fillosilicati (sostanzialmente argille), composti ammoniati e anche ghiaccio d’acqua in abbondanza», ha aggiunto De Sanctis. «Non solo: in una zona del pianeta nano

I DATI DELLA MISSIONE NASA DAWN

MOLECOLE ORGANICHE SULLA SUPERFICIE DI CERERE di Marco Galliani @mediainaf

Caratteristiche che potrebbero favorire lo sviluppo di una chimica prebiotica su Cerere

è stata riscontrata la più consistente distribuzione di carbonati al di fuori della Terra. Tutte caratteristiche che creano un ambiente favorevole a sostenere il possibile sviluppo di una chimica prebiotica su Cerere». «Lo spettrometro italiano VIR, fornito da Asi e realizzato dall’industria italiana sotto la guida del Team Inaf/Iaps, è una strumentazione di eccellenza a bordo della missione DAWN. La scoperta della presenza di molecole organiche sulla superficie di Cerere rappresenta una ulteriore conferma della leadership italiana in questo campo», ha concluso Barbara Negri, responsabile Asi dell’Esplorazione e osservazione dell’universo.

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embra che l’Universo sia più affollato di quanto avevamo fino ad ora previsto. Stando a un nuovo censimento realizzato grazie al telescopio spaziale Hubble, il numero di galassie potrebbe arrivare a un totale di duemila miliardi, circa dieci volte tanto rispetto alle stime precedenti. Un team internazionale di ricercatori, guidato da Christopher Conselice dell’Università di Nottingham, ha analizzato i dati raccolti da HST in un volume di spazio che risale a epoche primordiali dell’Universo, trovando un numero di galassie dieci volte superiore a ciò che ci si aspettava. I risultati sono stati presentati sulla rivista scientifica The Astrophysical Journal e hanno implicazioni importanti sui processi di formazione delle galassie. «I nostri risultati rappresentano una prova importante del fatto che le galassie hanno subito un’evoluzione rilevante nel corso della storia dell’Universo, riducendosi drasticamente in numero attraverso fusioni successive», ha spiegato Conselice. Tra la metà degli anni Novanta e i primi del duemila, il telescopio Hubble ha realizzato due osservazioni profonde del cielo: l’Hubble Deep Field e l’Hubble Ultra Deep Field, acquisiti puntando nella stessa regione di cielo per diverse ore, portando lo strumento al massimo delle proprie capacità osservative. Questi primi sguardi approfonditi sul nostro Universo hanno permesso di stimare il numero di galassie osservabili a circa 100 miliardi di oggetti. Il nuovo studio fornisce una nuova stima di questo numero, che arriva almeno a 10 volte tanto. Conselice e il suo team hanno raggiunto questa conclusione studiando in dettaglio le immagini profonde di Hubble e i risultati già pubblicati da altri gruppi di ricerca. Hanno ricostruito un profilo tridimensionale, per risalire alle diverse epoche storiche osservate. Inoltre hanno utilizzato modelli matematici grazie ai quali hanno potuto dedurre l’esistenza di una popolazione di galassie in questo momento non visibili dai telescopi a nostra disposizione. La stima finale evidenzia che circa il 90% delle galassie presenti nell’Universo sono attualmente troppo deboli e lontane per essere viste. Si tratta di una miriade di piccoli addensamenti di stelle che si sono fusi nel corso del tempo a formare le galassie come le conosciamo oggi. Uno dei migliori candidati per raggiungere in futuro questa grande porzione di oggetti piccoli è il James Webb Space Telescope 30 - global science

IL NUMERO TOTALE DI GALASSIE NELL’UNIVERSO

DUEMILA MILIARDI DI GALASSIE PER HUBBLE di Elisa Nichelli @lalalelisa

“Uno dei migliori candidati a raggiungere in futuro gli oggetti più piccoli è il NASA James Webb Space Telescope”

(JWST) della NASA, il cui lancio è previsto nel 2018. Tra i lavori precedenti, citati da Conselice, ci sono molti studi condotti da Adriano Fontana e il suo gruppo di ricerca presso l’INAF–Osservatorio Astronomico di Roma. «Il numero di galassie presenti nell’Universo è molto maggiore rispetto a quello che vediamo, e questo è noto da tempo», ha sottolineato Fontana. «I limiti attuali delle nostre osservazioni non ci permettono di arrivare a una stima precisa. Sicuramente con JWST, il successore di Hubble Space Telescope che verrà lanciato tra due anni, riusciremo a raggiungere galassie molto più piccole, e potremo cominciare ad esplorare questa porzione di Universo», ha concluso.


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