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FEBBRAIO 2020
Astronauti d’altri tempi Gli astronauti di oggi superano se stessi ma il mondo si prepara a nuovi uomini dello Spazio
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Periodico ufficiale dell’Aeronautica Militare dal 1925,
144 pagine di attualità , tecnologia aerospaziale, storia dell’aviazione ed altro ancora. 2 - global science
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giorni nello spazio, oltre 200 esperimenti condotti in orbita, 4 attività extra-veicolari (tre da capitano), il ruolo di comandante della Iss – una prima assoluta per l’Italia – centinaia di tweet, decine di collegamenti con la Terra. È un bilancio, quello di Luca Parmitano e della sua missione Beyond, che è andato ben Oltre i già importanti risultati raggiunti nel 2013 con Volare, esperienza che gli valse il titolo di primo spacewalker italiano e il credito del management Nasa per il sangue freddo con cui seppe gestire l’emergenza, quasi letale, dell’acqua nel casco. Quello atterrato a Baikonur in Kazakistan lo scorso 6 febbraio è la versione 4.0 dell’@astro_luca che aveva spopolato su Twitter per le sue immagini spettacolari e poetiche del pianeta Terra scattate dalla Cupola italiana. Oggi è senza dubbio un essere umano più ‘spazialmente’ avanzato, un veterano della vita in orbita e del passaggio in atmosfera, capace di riadattarsi in fretta sia alla leggerezza dello spazio che al peso della gravità. Ma più di tutto, ci è parso che Parmitano abbia saputo incarnare quello che è il ruolo istituzionale dell’astronauta che si fa ambasciatore dell’umanità nello spazio. E della Terra dallo spazio. Bellezza e fragilità sono diventati un binomio inscindibile nei suoi tweet che narrano di atolli che scompaiono, di deserti che avanzano, dell’Amazzonia che brucia, denunciando l’allarme sull’ambiente e il ruolo svolto dall’uomo che, in un provocatorio cambio di prospettiva, viene descritto da Parmitano quale vittima inconsapevole delle proprie azioni: «La vita continua ben oltre i danni che stiamo facendo perché l’universo è predisposto per la vita». A rischio invece «è l’uomo e bisogna agire». E mentre ci chiediamo quale sarà la prossima missione di Luca, se una terza sulla Stazione spaziale o una spedizione verso la Luna per il programma Artemis, all’orizzonte si delinea una nuova era dell’astronautica. Quella commerciale. Perché se da una parte la Nasa ha aperto le selezioni per la nuova classe di astronauti designata alla riconquista del nostro satellite, dall’altra, ha annunciato che a bordo delle future navette per equipaggio, Dragon e Starliner, potranno volare anche ricercatori con i propri esperimenti. Questo in un contesto in cui l’accesso dei privati alla Iss inizia già a essere una realtà e l’avvio dei voli suborbi-
L’EDITORIALE
PARMITANO VERSIONE 4.0 di Manuela Proietti @unamanus
«Lo status di astronauta perderà il suo fascino elitario»
tali è ormai imminente. Ed ecco che la nascita di una nuova figura professionale astronautica, ad ‘addestramento ridotto’, appare prossima quanto indispensabile. Ed è lecito immaginare che anche lo status di astronauta, restando comunque - almeno per ora - privilegio per pochi, sia destinato a perdere un po’ di quel fascino elitario che oggi gli è proprio. Proprio come accadde per la professione di pilota dei voli di linea, la cui iniziale esclusività, scemando, ne ha ridimensionato l’aspetto straordinario, così in un futuro non molto lontano, incontrare qualcuno che è andato nello spazio farà parte del nostro quotidiano. Un po’ come oggi lo è prendere un aereo.
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OMMARIO
N.20 - FEBBRAIO 2020
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“L’editoriale” DI MANUELA PROIETTI
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“Un bagliore nel cielo” DI DENISE PERRONE
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“Uno sguardo verso il Sole” DI FULVIA CROCI
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“Mai così vicini al Sole” DI REDAZIONE
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“Svelando i misteri roventi del Sole” DI REDAZIONE
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“Missioni lungimiranti” DI FRANCESCO REA
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“Melting pot 2100” DI FRANCESCO GRASSO
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“Marte: partenza estiva, soggiorno invernale” DI FRANCESCO REA
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“Il futuro privato della ISS” DI FRANCESCO REA
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direttore responsabile Gianni Cipriani direttore Francesco Rea progetto grafico Paola Gaviraghi grafica Davide Coero Borga
coordinamento redazionale Manuela Proietti redazione ASI - Globalist pubblicità Paola Nardella redazione@globalscience.it
“Il rebus degli orti spaziali” DI REDAZIONE
“Spazio privato: SpaceX in testa” DI REDAZIONE
TESTATA GIORNALISTICA GRUPPO GLOBALIST Reg. Tribunale Roma 11.2017 del 02.02.2017 online www.asi.it - globalscience.it
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“Come i neutrini hanno salvato l’Universo” DI ILARIA MARCIANO
“L’intelligenza artificiale inganna?” DI MANUELA DI DIO
“I nuovi sviluppi del rapporto tra scienza e cinema” DI PAOLO DI REDA
“Buona caccia, zio Paperone!” DI MANUELA DI DIO
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La scienza è solo scienza... Finchè non viene applicata. Per 3M la scienza rappresenta il cuore di ogni scelta, è ciò che ci porta a esplorare, creare collegamenti e inventare. “Scienza applicata alla vita” racconta la nostra capacità di innovare per il benessere delle persone. Rendiamo più facile, ricca e migliore la vita. Questo è ciò che rende unica 3M.
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Un bagliore nel cielo di Denise Perrone @ASI_spazio
« Il rumore, le vibrazioni, la luce abbagliante»
È il 9 febbraio, sulla costa est degli Stati Uniti sono le ore 23.03, le 5.03 del mattino in Italia, quando il lanciatore Atlas V inizia la sua corsa verso lo spazio e rilascia la sonda Solar Obiter sul cammino che in due anni la porterà nell’orbita solare, per farci vivere un’esperienza di conoscenza senza precedenti. Ad assistere al lancio, oltre la stampa e le istituzioni, le decine di ricercatori che hanno permesso la realizzazione di questa missione. Abbiamo chiesto ad uno di essi di raccontarci la sua esperienza. Si è appena perso il suo bagliore nel cielo buio di questa notte in Florida, ma ne posso percepire ancora il calore e l’emozione. Chiudendo gli occhi rivivo distintamente il rumore, le vibrazioni, la luce abbagliante nell’attimo in cui i motori dell’Atlas V si sono accesi ed hanno permesso alla sonda Solar Orbiter di vincere l’attrazione della Terra e iniziare il suo viaggio verso una meta speciale e vitale: la nostra stella, il Sole. Solar Orbiter è una missione nata dalla collaborazione tra l’Agenzia Spaziale Europea e la Nasa e ha una forte partecipazione italiana, tre esperimenti su dieci sono stati, infatti, ideati e realizzati nel nostro paese ed è il motivo primo del mio essere qui a Cape Canaveral, ad assistere a questo storico lancio. Solar Orbiter sarà la prima sonda a puntare i suoi occhi direttamente sul Sole da una distanza mai raggiunta prima da nessun telescopio e, spostandosi fuori dal piano dell’eclittica, per la prima volta sarà possibile osservare i poli della nostra
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stella per cercare di svelare i misteri che ancora vi si nascondono. Inoltre, grazie ai suoi strumenti in situ sarà possibile studiare direttamente e in grande dettaglio intorno alla sonda il plasma del vento solare, mettendo così in relazione gli eventi osservati sul Sole con il plasma che si propaga nell’eliosfera. Questa connessione permetterà di fare luce sui meccanismi attraverso i quali il Sole governa le condizioni fisiche dello spazio circostante e che a volte, attraverso violente eruzioni di plasma, possono avere effetti importanti sulla vita e sulla tecnologia terrestre. Finalmente inizia questa grande sfida, con le immense speranze ed aspettative che tutti noi che abbiamo contribuito a renderla possibile, riponiamo in questa missione. È stata un’attesa carica di emozioni, non solo di questa notte, ma dei giorni, mesi, anni, che l’hanno preceduta, che però hanno trovato la sintesi in queste ore prima del lancio per poi liberarsi nella fiammata che si è persa nel buio. Nelle diverse riunioni precedenti al lancio, tra un coordinamento scientifico ed uno sulle operazioni, si aspettavano trepidanti i risultati sugli ultimi test sul razzo e sul monitoraggio del meteo. La possibilità di pioggia o di vento forte faceva aumentare in ognuno di noi la paura di un ritardo nella data di lancio, ma per fortuna tutto è andato bene ed eccoci qui a festeggiare questo pri-
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mo risultato tutti insieme. Urla, applausi, qualche lacrima di felicità. Scienziati da tutto il mondo che hanno lavorato e continueranno a lavorare per un obiettivo comune, comprendere la nostra stella per migliorare la nostra vita sulla Terra, non importa sotto quale bandiera ma per il fatto che siamo tutti sotto lo stesso cielo: #WeAreAllSolarOrbiters. Il clima di festa si respirava già il giorno precedente al lancio, quando il Kennedy Space Centre della Nasa ci ha aperto le sue porte per ritirare il badge ospiti e poter quindi assistere al lancio di Solar Orbiter. Si poteva sentire a distanza la felicità di ognuno, sorrisi carichi di emozione avevano pervaso le strade del KSC e l’emozione è stata resa pubblica durante il briefing della missione. Esperti sia della parte scientifica che di quella tecnica, nonché del lanciatore, hanno risposto alle tante domande e curiosità dei presenti. L’aspettativa era grande per il lancio e lo è ancora di più ora per le conquiste scientifiche che arriveranno grazie a Solar Orbiter. Per ora, quindi, non ci rimane che augurare ‘Buon viaggio Solar Orbiter, continua a farci emozionare!’
Gli strumenti a bordo. A sinistra: un dettaglio della superficie solare. Crediti: ESA.
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INTERVISTA A BARBARA NEGRI
UNO SGUARDO VERSO IL SOLE di Fulvia Croci @ASI_spazio
A tu per tu con Barbara Negri, responsabile dell’Unità Esplorazione e Osservazione dell’Universo dell’Asi, per raccontare la missione Solar Orbiter. Quali sono le caratteristiche che rendono unica Solar Orbiter? Solar Orbiter è la prima missione che effettuerà un flyby ravvicinato del Sole a una distanza di 0,28 UA. La sonda fornirà una panoramica dei poli solari e trasporta con sé sia la strumentazione per il rilevamento in situ sia quella per le rilevazioni da remoto. Quali sono i principali obiettivi della missione? Gli obiettivi principali della missione sono capire quale zona della corona solare da origine al plasma del vento solare e al campo magnetico, comprendere in quale modo i flare e le espulsioni di massa coronale guidano la variabilità eliosferica e producono radiazioni di particelle energetiche e come funziona la dinamo solare il suo ruolo nelle connessioni tra il Sole e l’eliosfera. Quali sono i payload e che compiti svolgono? Il carico utile è composto da 10 strumenti: 6 telescopi di telerilevamento e 4 strumenti in situ. L’insieme della strumentazione fornirà una visione del Sole dalla parte inferiore della fotosfera fino all’eliosfera esterna. Solar Orbiter, sarà in grado di studiare il campo magnetico fotosferico e di ottenere le misure eliosismiche con Phi le immagini degli strati atmosferici al di sopra della fotosfera con Eui e Spice, il monitoraggio dei flare con Stix (spettrometro a raggi X / telescopio) e le immagini della corona e dell’eliosfera esterna con Metis e Solohi. Contemporaneamente la sonda campionerà le particelle energetiche in situ generate dai flare e dai getti di massa coronali con Epd, il vento solare con Swa e misurerà il campo magnetico locale con il magnetometro Mag e le onde radio e al plasma con Rpw. Che ruolo ha l’Italia in questa missione? L’Asi ha finanziato lo sviluppo del coronografo Metis, oltre a tre altri strumenti, a diversi livelli. Metis è stato progettato da un consorzio di istituti scientifici italiani, tra cui l’Inaf, le Università di Firenze e Padova e il Cnr. La progettazione e la produzione industriale sono state curate da un team industriale guidato da Ohb Italia e Thales Alenia Space con la collaborazione del Max Planck Institute e dell’Accademia Nazionale delle Scienze della Repubblica Ceca.
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L’Asi ha inoltre finanziato lo sviluppo dell’unità di elaborazione dati di Swa e lo sviluppo del software di Stix, sviluppato dall’Università di Genova. Cosa potremo scoprire e in che modo queste nuove conoscenze saranno utili nello sviluppo di applicazioni pratiche? L’obiettivo è capire come la dinamo solare modella il campo magnetico e come quest’ultimo determina il comportamento dell’eliosfera. Studiare il Sole non ha solo l’obiettivo di migliorare la nostra conoscenza dell’Universo e della fisica che lo governa, ma ci permette di comprendere meglio lo space weather, ovvero come il Sole influenza l’ambiente terrestre.
Il viaggio intorno al Sole della sonda. Crediti: ESA.
Quali misure speciali sono state prese per proteggere la sonda e i suoi strumenti dal calore solare? La sonda è protetta dal calore da uno scudo termico realizzato in multistrato di titanio rivestito da Solar Black, sviluppato per Solar Orbiter. Tutta l’elettronica del veicolo spaziale e del carico utile è in grado di sopravvivere alle radiazioni emesse dal Sole per l’intera durata della missione. Quanto durerà la missione? La missione dovrebbe durare circa 10 anni, di cui poco meno di due anni per la fase di crociera, 5 anni per la missione nominale e 3,5 anni per la missione estesa quando l’orbita del veicolo spaziale raggiungerà un’inclinazione di circa 33 gradi rispetto al piano eclittico.
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In grafica, tutte le missioni dedicate allo studio del Sole. Crediti: ESA.
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LANCIATA LA SONDA SOLAR ORBITER
MAI COSÌ VICINI AL SOLE di Redazione @ASI_spazio
olar Orbiter è la prima delle missioni M (Medium) del programma Cosmic Vision 2015-2025 dell’ESA e ha come obiettivo principale lo studio del Sole e di come questo determini le condizioni fisiche dello spazio interplanetario. Con un set di 10 strumenti, Solar Orbiter sarà in grado di osservare simultaneamente diversi strati dell’atmosfera solare e di analizzare contemporaneamente in-situ le caratteristiche del plasma che dall’atmosfera solare stessa viene espulso e accelerato nello spazio interplanetario. L’impiego combinato di strumenti di remote sensing e a bordo della sonda permetterà di fare luce sui meccanismi attraverso i quali il Sole governa le condizioni fisiche dello spazio circostante e che a volte, attraverso violente eruzioni di plasma, possono avere effetti importanti sulla vita e sulla tecnologia terrestre. Spingendosi all’interno dell’orbita di Mercurio, Solar Orbiter riprenderà immagini dell’atmosfera del Sole da una distanza ravvicinata mai raggiunta prima, consentendo di individuare le sorgenti del plasma che investe la sonda ed operare una connessione tra l’atmosfera solare e l’eliosfera senza precedenti. «Grazie a Solar Orbiter il Sole avrà un vicino che lo studierà approfonditamente utilizzando degli strumenti italiani. Un altro corpo celeste dell’intero Sistema Solare sarà osservato o studiato da qualcosa che abbiamo pensato, progettato o realizzato nel nostro Paese. Siamo molto orgogliosi di questo». Così il presidente dell’Agenzia spaziale italiana Giorgio Saccoccia commenta il lancio della missione dell’Esa Solar Orbiter. «Il lancio della sonda europea Solar Orbiter ci aiuterà a comprendere meglio come il Sole possa condizionare i cambiamenti climatici del nostro pianeta e se un giorno riusciremo a porvi rimedio lo dovremo anche al lavoro dei nostri tecnici o scienziati. Solar Orbiter - prosegue Saccoccia - è un lavoro corale, che nasce da una cooperazione internazionale non solo Europea. Il suo lancio è un nuovo passo verso il consolidamento di una leadership italiana a livello globale in un settore strategico come quello dello sviluppo scientifico e tecnologico». Fanno parte dei dieci strumenti della missione il coronografo Metis realizzato dall’Agenzia Spaziale Italiana ) in collaborazione con l’Istituto Nazionale di Astrofisica e con il CNR, diverse università italiane e istituti di ricerca sparsi in tutto il mondo, la Dpu (Data Processing Unit) di Swa (Solar Wind Analyser) e il software di Stix (Spectrometer/
«Lancio eccezionale per una missione speciale»
Telescope for Imaging X-rays) rilevatore di raggi X. Per Nichi D’Amico, presidente dell’Istituto Nazionale di Astrofisica, «Solar Orbiter è una missione molto importante e molto attesa, con un notevole contributo italiano che vede il coordinamento scientifico in capo all’INAF». «È stato il lancio più bello che abbia mai visto con questa luna piena spettacolare e il razzo che saliva. Un lancio eccezionale per una missione speciale» è il racconto emozionale di Fabio Favata, coordinatore dei programmi scientifici dell Esa, appena dopo il lancio. «Solar Orbiter è una missione grande e ambiziosa che rivoluzionerà la fisica solare come la conosciamo oggi» è la convinzione di Fabio Favata «l’influenza del Sole sulla Terra è grande, Solar Orbiter ci permetterà di capire come il sole determina l’ambiente della nostra terra, come la bolla in cui la nostra terra vive viene generata e alimentata. Quindi ci permetterà di cominciare a capire come il Sole ci permetterà di evolvere in futuro. È una missione europea, in cui l’Italia ha avuto un ruolo importante nella fornitura di uno degli strumenti chiave che farà le immagini della corona solare».
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THALES ALENIA SPACE FA LA DIFFERENZA
SVELANDO I MISTERI ROVENTI DEL SOLE di Redazione @ASI_spazio
Inizia il viaggio di Solar Orbiter con a bordo l’eccellenza della tecnologia italiana.
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La partenza di Atlas V411 da Cape Canaveral ha lasciato uno spettacolare arco luminoso nel crepuscolo dell’alba: ha iniziato così la coraggiosa e affascinante missione di Solar Orbiter verso il Sole, lo scorso 10 febbraio, per studiarlo a distanza ravvicinata, per aiutarci a svelare i segreti più profondi della nostra stella e osservare per la prima volta le sue regioni polari. Grandi sfide quelle affrontate da Thales Alenia Space in questa missione: consentire lo studio della corona solare e proteggere la sonda nel suo lungo viaggio. Il coronografo Metis, progettato da un team scientifico di INAF e realizzato da Thales Alenia Space per conto dell’ASI, il primo in grado di ottenere immagini della corona solare simultaneamente in luce visibile e ultravioletta, permette l’identificazione della strutture e delle dinamiche dell’intera corona, districando la loro evoluzione intrinseca dagli effetti della rotazione solare. Solar Orbiter sarà esposto a un’intensità 13 volte maggiore rispetto a quella della energia solare terrestre, con temperature oltre 500° C. Lo scudo termico, progettato e costruito da Thales Alenia Space, impedirà al veicolo spaziale di danneggiarsi e fondersi, e allo stesso tempo consentirà a Metis e ad altri sensori di osservare direttamente il Sole. Con questa missione Thales Alenia Space rafforza il suo ruolo da leader nell’esplorazione spaziale, generando enormi progressi nelle capacità e nelle prestazioni di sofisticate apparecchiature. L’azienda ha fornito i contributi fondamentali ai principali programmi di esplorazione spaziale europea, come BepiColombo, la missione per l’esplorazione di Mercurio, Herschel, l’osservatorio spaziale a infrarossi, Planck, la missione che ha guardato indietro agli albori del tempo, ma affronterà anche sfide future con Euclid, la missione ESA, che mapperà l’Universo e ci aiuterà a comprendere meglio la materia oscura e l’energia oscura, prevista per il lancio nel 2022.
WE BRING A NEW DIMENSION TO YOUR HORIZONS
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o scorso 10 febbraio se fossimo stati sulla costa est degli Stati Uniti avremmo visto alzarsi nel cielo l’Atlas V che ha messo letteralmente in viaggio la missione ESA-Nasa Solar Orbiter. Dopo due anni di viaggio la sonda raggiungerà il suo obiettivo, una orbita vicina al Sole più che il pianeta Mercurio, un obiettivo di vita operativa di un anno forse due. E proprio su Mercurio è attesa un’altra sonda, la Bepi Colombo. Frutto della collaborazione tra l’agenzia spaziale europea, esa e quella giapponese Jaxa, la sonda è dedicata ad uno dei padri della fisica, l’italiano Giuseppe Colombo a cui si deve l’intuizione dell’effetto della fionda gravitazionale, il cosiddetto fly by, il passaggio ravvicinato della sonda ad un pianeta che prima ti attrae e poi ti lascia andare con maggiore slancio. Era il novembre del 2018 quando fu lanciata, raggiungerà il suo obiettivo nel 2025. Quello che spesso non si sa è che missioni come Solar Orbiter o Bepi Colombo, come tante altre, hanno trovato il proprio concepimento almeno dieci anni prima di essere lanciate e probabilmente ancora in precedenza nella testa dei loro ideatori. Sia Solar Orbiter che Bepi Colombo sono nate come ipotesi di missione nel 2010, per divenire realtà 2 o 3 anni dopo ed essere inserite nel programma di Cosmic Vision dell’ESA. Provate allora ad immaginare quale visione del futuro si deve avere a pensare una missione che diverrà reale dieci anni dopo e che troverà il suo obiettivo, in alcuni casi, dopo ancora altri dieci anni. La tecnologia da mettere a bordo della sonda deve essere talmente avanzata che, anche se arretrata al momento dell’arrivo, non debba essere obsoleta e di pari passi la capacità di analisi dei dati ricevuti deve crescere tecnologicamente in maniera esponenziale, così da permettere di compensare quell’inevita-
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VISIONE SPAZIALE PIONERISTICA
MISSIONI LUNGIMIRANTI di Francesco Rea @francescorea
bile ritardo innovativo che viene a crearsi in una missione di così lunga durata. E per ricordarci di questa visione pioneristica del futuro proponiamo una breve panoramica delle prossime missioni dedicate allo studio dell’universo, dei sistemi
stellari della nostra galassia e dei pianeti del nostro sistema solare, in cui la scienza italiana ha un ruolo rilevante se non determinante. Cominciamo da Juice che selezionata dall’ESA nel 2012 è la prima missione interamente europea diretta ai pianeti esterni del sistema solare, il sistema gioviano e le tre lune ghiacciate Europa, Callisto e Ganimede, dove dovrebbe arrivare nel 2030, dopo 8 anni di viaggio. Il suo lancio
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Crediti: ESA.
è infatti previsto nel 2022 dalla Guyana francese con un vettore Ariane 6. Dallo studio dei corpi celesti del nostro sistema solare alla ricerca di esopianeti nella nostra galassia. È questo il compito della missione Plato. Ipotizzata nel 2007 ha trovato approvazione nel 2014 e dovrebbe essere lanciata, il condizionale è d’obbligo, nel 2026. E allora ne vedremo delle belle. Dagli esopianeti alla caccia
dell’energia e materia oscura di cui è costituito il 95% del nostro universo. Si tratta della missione Euclid, una copartecipazione ESA-Nasa presentata nel 2012 con l’obiettivo di guardare nell’universo primordiale, a oltre dieci miliardi di anni luce da noi, quando l’energia oscura diede il primo fondamentale contributo all’espansione dell’universo. Lancio previsto a metà del 2022 dalla Guyana francese. Chiudiamo con Athena altra missione con obiettivo l’osservazione dell’universo remoto, nella banda X con la quale si colgono gli eventi più energetici e non si è oscurati dalla materia circostante. Come fare una lastra e guardare le ossa, senza che la pelle, i muscoli e quant’altro, possano oscurare la vista. Noi abitiamo un sistema planetario protetti da un Sole bonario, in una zona medio periferica della nostra galassia. Ma l’universo è un condensato di energia, capace con un singolo gamma ray burst di annientare un pianeta come la fantascientifica Morte Nera di Guerre Stellari il pianeta Alderaan. Una realtà che conosciamo ancora poco, pochissimo, una goccia di conoscenza a fronte di un oceano di ignoranza, come ebbe a dire il padre della fisica moderna Isacco Newton.
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Melting pot 2100 di Francesco Grasso
Francesco Grasso è nato a Messina nel 1966. Ingegnere Elettronico, vive e lavora a Roma. Ha pubblicato una dozzina di romanzi e un centinaio di racconti. Ha vinto numerosi riconoscimenti letterari, tra cui il premio Urania (2 volte), il premio Cristalli Sognanti, il premio Space Trucker, il premio Cuore di Tenebra, il premio Città di Ciampino, il premio Camuni Narrativa, il premio Argentario, il premio Città di Sarzana. Ha scritto anche sceneggiature cinematografiche, una delle quali è giunta finalista al premio Solinas.
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In molte città della Terra è istruttivo usare i mezzi pubblici. Soprattutto se la vostra specie non respira ossigeno. Guida Michelin alla Galassia Periferica - ediz. 2119
«Il branchiosauro vegano è imbottito di esplosivo »
«Voglia scusarmi, molto onorevole conducente...». L’autista si produsse in un gesto del pollice, con annesso grugnito, verso il cartello “NON DISTURBARE”. L’importuno, un esapode centauriano, insistette con l’ossequiosa inflessibilità della sua razza. «Sono costernato, onorevole conducente. Devo purtroppo rispettosamente informarla che il branchiosauro vegano che è salito a bordo alla stazione Ostiense è imbottito di esplosivo e intende farci saltare tutti in aria». L’autista inchiodò. I freni del 761 ulularono. I passeggeri senza appiglio ruzzolarono tra cozzare di arti, picchiare di carapaci e imprecazioni in tutte le lingue conosciute. Una coppia di testuggini rigeliane, d’istinto, assunse forma sferica e carambolò tra i finestrini, travolgendo come birilli una comitiva di turisti orionidi in viaggio tutto-compreso. I viaggiatori arturiani pigolarono. I cefeidi squittirono. I leonidi stormirono. Gli spicani sublimarono. E. Il controllore arrancò verso il posto di guida. Era un omone irsuto, dai muscoli gonfi, insaccato a fatica in una tuta dell’ATAC visibilmente undersize. «Romole’, che cazzo fai?». «Il pe... pesce... lì» balbettò l’autista, additando con terrore il vegano.
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«Nun se po’ porta’ dinamite abbordo»
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«Nun te preoccupa’, ce penzo io». Il controllore affrontò a muso duro l’alieno, il cui aspetto - effettivamente - ricordava un totano abbandonato sul bancone dei mercati generali ben oltre l’orario di chiusura. Soprattutto l’odore. «Ahò, susci» ringhiò il controllore, «famme vede er bijetto». Il vegano emise un verso a metà strada tra un gargarismo al mentolo e un geyser, concludendo con tre bolle sagomate a puntini sospensivi. «Che cazzo dice?». «A…arabo!» tartagliò ancora l’autista, tremando da capo a piedi. «P…parla a…arabo!». «Romole’, carmate, nun te capisco manco a te!». Il centauriano fu lesto a intervenire. «Sono umilmente contrito, molto onorevoli terrestri. Purtroppo la mia unità traduttrice bio-babelica non è tarata sull’idioma dei branchiosauri vegani. Colgo soltanto le espressioni “saltare in aria”, “Papa” e “San Pietro”. Tuttavia, le sacche ventrali di questo anfibio sono senz’altro colme del composto chimico che voi umani chiamate dinamite». «Un terrorista!» strillò l’autista. «Lo dicevo io! Dobbiamo staccarci dall’Unione Galattica, sbattere fuori gli ET che ci rubano il lavoro e ci stuprano le donne! Aiutiamoli a casa loro! Prima gli umani!». Il controllore s’immerse con fare bovino nel regolamento ATAC. Lo consultò a lungo prima di emettere il verdetto. «Noo-nee. Gnente dinamite. Nun se po’ porta’ dinamite abbordo». Il centauriano ansimò, pur con la massima educazione. «La prego di non gridare, onorevole terrestre: ho il traduttore acces... Oh no, troppo tardi!». Da dozzine di gole o attrezzature fisiologiche equivalenti sorse un grido di terrore. E sgomento. E panico. E. Il viso dell’autista divenne color Linea A della Metro. «Cos’è questo tanfo orrendo?».
«Per pietà aprite!» implorò un passeggero umano, smilzo e con mani da pianista. «C’è una famiglia di cefeidi, qui! Quando si spaventano, questi sono peggio delle moffette!». «Er Pinzetta?» azzardò il controllore, sorpreso. «Sei te? Nun stavi a Rebibbia, ar gabbio?». «Buona condotta» tagliò corto lo smilzo. Allarmato da un rumore improvviso, il controllore si voltò. Sbarrò gli occhi: in fondo alla vettura erano apparsi due, no quattro gommoidi arturiani. Bastò che il controllore battesse le palpebre perché divenissero otto. No, sedici. «Gli arturiani, di fronte al pericolo, si eccitano» mormorò lo smilzo. «E si riproducono. Sopravvivenza della specie, l’ho visto alla tri-vù». «Nun ve credete che potete fa’ li furbi!» sancì il controllore, caparbio. «Ce dovete d’ave’ ‘n bijetto per uno, o ve sanziono». L’autista boccheggiò. «Cazzo fai, Cesare? Multi i passeggeri quando abbiamo un terrorista a bordo?». «Be’, er bijetto lui ce l’ha, l’ho visto». «Aspettate, forse posso negoziare». Lo smilzo frugò nel borsone. Ne estrasse un campionario di collane, orologi, braccialetti, orecchini, anelli, portafogli. Solo sul fondo trovò ciò che cercava. «Ecco, questo traduttore l’ho grattat... l’ho preso stamani». Si rivolse al vegano «Dimmi che cosa vuoi, zi’». Il branchiosauro gargarizzò copiosamente, nebulizzando H2O bastevole per irrigare il Sahel occidentale. Lentamente, il viso dello smilzo s’illuminò di comprensione. Quando l’ultima bolla fu scomparsa, sorrise. «Tutto a posto, gente». «Come sarebbe?» esclamò l’autista. «Nun è un terrorista?» fece eco il controllore. «Affatto. Il qui presente reverendo laico Mar-loot-zaw è un pacifico pellegrino pan-eso-cristiano, e teme di non arrivare in tempo alla cerimonia di
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insediamento del Papa. Chiede se l’autobus può “saltare” in aria, o meglio su una corsia aerea. Non sa che un Vero Autista Romano non lascia MAI un bell’imbottigliamento di traffico». «E la dinamite?». «Non lo sapete? I vegani hanno un metabolismo chimico-esplosivo. È semplicemente la sua merenda. L’ha spiegato l’altro giorno Alberto Angela XIII». «Pinzetta, cazzo fai, segui documentari sugli ET tutto il giorno?». L’altro scrollò le spalle. «Come farei a lavorare, se no? Hai mai provato a mettere una mano in tasca a un leonide, per poi scoprire che quella NON è una tasca?». L’autista fissò il centauriano con astio. «Fesso d’un esapode, ci hai fatto cagare addosso per niente. Ti meriti un bel calcio nel...». «Guarda che quello non è il... Oh no!». Lo smilzo si coprì gli occhi con le lunghe mani da pianista. Alla tri-vù sul cruscotto, la cronaca dell’incontro di Milkyway League (Cloni-totti contro Resto dell’Universo - 1 a 1 al termine dei tempi regolamentari) s’interruppe per lasciare la linea, in diretta dal Vaticano, al primo Angelus del nuovo pontefice. «Se sbaglio, mi corriggerrete» gracchiò a reti unificate Benedetto-Qixbloborg I, muovendo in benedizione i suoi lunghi tentacoli ammantati di seta bianca.
«L’ha spiegato l’altro giorno Alberto Angela XIII»
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A LUGLIO SI APRE LA FINESTRA DI LANCIO
MARTE: PARTENZA ESTIVA, SOGGIORNO INVERNALE di Francesco Rea @francescorea
«Molta attesa per l’ambizioso tentativo cinese»
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Il prossimo luglio si apre la biennale finestra di lancio per le sonde con destinazione Marte. A partire dagli ’70 dozzine di sonde sono state inviate verso il pianeta rosso, non tutte con esiti positivi. Anzi per dirla tutta solo gli Stati Uniti con la Nasa possono vantare numerosi successi soprattutto per la capacità, ad oggi unica, di far ammarare con successo lander o rover. I tentativi sovietici e quelli europei ad oggi non hanno avuto altrettanta buona sorte. Diversa questione per gli orbiter, ormai numerosi, che orbitano il pianeta rosso per carpire più informazioni possibili. Raggiungere Marte non comporta grandi dispendi di energia ma la scarsa atmosfera e una gravità un terzo di quella terrestre, rendono l’operazione di ammartaggio molto delicata. È questo uno dei motivi per cui luglio sarà un mese estremamente importante per l’esplorazione marziana, ma lo sarà ancora di più il prossimo inverno quando tre delle quattro sonde che intraprenderanno il viaggio verso il pianeta rosso cercheranno di posizionare i loro rover sul suolo di Marte. La sonda Nasa Mars2020 vivrà il momento con la certezza di un’esperienza ormai consolidata, dal Mars Pathfinder ai numerosi rover che hanno solcato e solcano i terreni marziani: Sojourner, Opportuny, Spirit, Curiosity... Più adrenalico sarà l’arrivo della sonda ExoMars per la comunita scientifica europea e russa. La precedente esperienza con la sonda Mars Express e il lander Beagle non ebbe fortuna. Beagle si posò al suolo ma non divenne mai operativo. E andò peggio al lander Schiaparelli che fallì l’ammartaggio schiantandosi al suolo nel 2016. Ora tocca al rover Rosalind Franklin riaccendere le speranze russo-europee con obiettivo l’analisi del sottosuolo di Marte grazie ad un trapano e una analisi in situ frutto di scienza e tecnologia italiana. Molta attesa per l’ambizioso tentativo cinese. La missione HX-1 prevede di lanciare un orbiter, un lander e un rover a luglio del 2020 per arrivare a febbraio del 2021. Insomma per essere al primo tentativo la Cina non si fa mancare niente. E il mondo guarda curioso sapendo che tali ambiziosi obiettivi hanno avuto un discreto banco di prova sulla Luna, con le missioni Chang’è e l’allunaggio nella parte nascosta del nostro satellite. Inoltre la missione HX-1 fa parte di un piano più grande che comprende anche una missione del 2030 per riportare sulla Terra campioni di roccia, come il progetto Mars Sample Return per americani e europei. Quarti al via, anche se con un obiettivo diverso, posizionare un orbiter nell’orbita di Marte, gli Emirati Arabi con la sonda Mars Hope, una missione spaziale emiratina senza equipaggio umano con lo scopo di studiare l’atmosfera marziana e il suo clima. La missione degli Emirati Arabi, che si stanno affacciando adesso al mondo spaziale, conferma la scelta complessiva che gli emiratini hanno fatto, di puntare sulla ricerca e lo sviluppo tecnologico in ogni settore, spaziale compreso.
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The first-ever commercial doorway to the International Space Station, and now part of the Italian space ecosystem.
PAYLOAD OPPORTUNITIES Power/Data 120 VDC; 350 Watts nominal Max 700 Watts Ethernet protocol data lines, 100 Mb/sec Data storage capability within Bishop Six external payload mounts | Four internal payload sites
External Payload Mounts
Microgravity Research Racks
Satellite Deployer
Nominal Payload Envelope .6m x .6m x.7m 227 kg Exceedances considered on case by case
Typical internal ISS Rack/Locker Similar electrical interface to ISS
Maximum single payload size 1.1m x 1.1m x 1.2m / 332 kg
Can operate hatch open (Node 3) or in various pressure conditions from 14.7 psi to vacuum (Node 3 closed)
Available to combine smaller payloads into one mission, including CubeSats
NANORACKS COMMERCIAL AIRLOCK MODULE
MANIFESTED ON SPACEX-21 | Contact: info@nanoracks.com
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SPAZIO ESCLUSIVO MA NON UNICO
IL FUTURO PRIVATO DELLA ISS di Francesco Rea @francescorea
È recente l’annuncio da parte della Nasa di aver affidato la realizzazione di un nuovo modulo abitativo, nell’ambito del programma Next Step, alla società Axiom. Moduli abitativi destinati ad usi commerciali. Scelta che va a braccetto con il commercial crew programme, voli da effettuarsi con la Starliner della Boeing o con la Dragon della Spacex con destinazione la Iss, per portare nello spazio turisti spaziali, certamente, ma anche sperimentazioni o altre attività per investitori privati. I turisti sulla stazione spaziale non sono mai mancati, dal primo, lo statunitense Dennis Tito, all’ultimo il canadese Guy Laliberté. Ma qui non siamo più di fronte all’eccentricità del mega miliardario, piuttosto ad un mondo diverso, dove l’esclusivo resta esclusivo ma non è più unico. Il futuro della Stazione Spaziale Internazionale sembra essere inevitabilmente affidato al settore privato. Sia per un sempre maggiore interesse delle imprese commerciali di poter svolgere attività sperimentali in condizioni di microgravità, sia perché poter svolgere tali attività appare sempre più a portata di mano. Non è nuovo, e in procinto di essere portato a compimento, il progetto Bartolomeo della compagnia Airbus. Una piattaforma di ricerca esterna della Stazione spaziale internazionale che verrà agganciata posteriormente del modulo europeo Columbus per effettuare esperimenti che non possono essere svolti internamente alla Iss e dedicato ad uno dei figli di Cristoforo Colombo. Le capsule Starliner e Dragon non porteranno in orbita solo materiale pubblico ma anche privato e nascerà, come indicato nell’editoriale, una nuova figura di astronauta, non più a tutto tondo ma specializzato al ruolo che dovrà svolgere. D’altronde la Stazione Spaziale dovrebbe concludere la sua vita operativa nel 2024, praticamente domani. Eppure mostra una piena efficienza rinnovata anche da un suo utilizzo pieno. È quindi più che ragionevole che mentre il mondo spaziale degli Stati muova verso altri obiettivi, come la Luna e Marte, la Stazione Spaziale Internazionale possa vedersi rinnovare l’esistenza al 2028 con qualche certezza in più che il contributo privato possa darle un’operatività ancora molto lunga.
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L’ASSENZA DI CAMPI FERTILI
IL REBUS DEGLI ORTI SPAZIALI di Redazione @ASI_spazio
Campi irrigati nel sud-ovest del Kansas. Riusciremo un giorno a essere autosufficienti su un altro pianeta?
Andare nello spazio è un problema sostanzialmente tecnologico. È restarci il difficile: dal punto di vista biologico prima di tutto. L’uomo è fatto per vivere sul pianeta Terra dove è nato e si è evoluto. Il suo organismo risponde alle leggi della fisica come valgono sul nostro pianeta. E questo riguarda anche la nostra capacità di mangiare, assimilare, ma anche produrre. Sulla Luna c’è la regolite, certamente non un terreno prospero e fertile, e lo stesso Marte, per quanto più promettente, rischierebbe di farci vivere ad asparagi e patate, tanto per citare due opere sul tema, di Giovanni Bignami la prima, di Andy Weir il secondo. È quindi naturale che siano allo studio tecnologie e soluzioni innovative a sostegno della vita dell’uomo nello spazio durante le missioni di lunga durata, che siano sulla Luna o su Marte. È questo l’obiettivo del progetto ReBUS, coordinato e finanziato dall’Agenzia Spaziale Italiana (ASI), al quale partecipano diversi istituti di ricerca, come ENEA, CNR, Istituto Superiore di Sanità (ISS), le Università di Tor Vergata, Pavia e Federico II di Napoli, e industrie, quali Thales Alenia Space, Kayser Italia, Telespazio. ReBUS è un progetto triennale che punta ad avviare una linea di ricerca nazionale per realizzare sistemi biorigenerativi di supporto alla vita degli astronauti, obiettivo fondamentale per l’esplorazione umana dello spazio. Il sistema biogenerativo sarà basato sull’integrazione di diversi organismi come piante, funghi, batteri e cianobatteri in modo da massimizzare l’uso delle risorse disponibili in situ e minimizzare contemporaneamente l’impiego di quelle esogene, riciclando la materia organica. Inoltre altre linee di ricerca riguardano lo studio di sistemi innovativi per la coltivazione di piante e micro-ortaggi in avamposti planetari. A tal fine nello studio è previsto l’impiego di ‘simulanti’ di suoli lunari e marziani integrati con bioprodotti ottenuti dalla degradazione delle biomasse di scarto, nel tentativo di riproporre una condizione lunare o marziano e testare la possibilità di produrre ‘ortaggi’ in loco.
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BOEING IN DIFFICOLTÀ
SPAZIO PRIVATO: SPACEX IN TESTA di Redazione @ASI_spazio
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Sembrerebbe ormai a un passo dall’essere vinta la sfida tra i due contractor del Nasa Commercial Crew Program, Boeing e SpaceX: il parziale fallimento della missione della capsula Starliner porta in vantaggio l’azienda di Musk, che nonostante i ritardi accumulati, si dice pronta a portare in orbita con la sua navicella i primi astronauti da suolo americano dai tempi dello Shuttle. Il malfunzionamento avvenuto durante la missione di Boeing, che inizialmente sembrava non grave, si è rilevata una battuta d’arresto significativa. Durante il lancio di prova senza equipaggio avvenuto a dicembre scorso, la capsula Cst-100 Starliner non ha completato la fase di aggancio alla Stazione spaziale internazionale. La causa del mancato docking sembra esser legata ad un guasto al timer di uno degli orologi di bordo, che avrebbe indotto il veicolo spaziale a pensare di trovarsi in una fase diversa della missione, immediatamente dopo la separazione dal suo veicolo di lancio Atlas 5. Dopo una serie di indagini, però, la Nasa ha identificato un secondo problema che riguarda il software di mappatura delle valvole, che implica una revisione più approfondita e l’aggiunta di nuovi test di verifica. La Boeing si dice disposta ad investire 410 milioni di dollari per l’aggiunta di un volo di prova senza equipaggio, una proposta che la Nasa deciderà se accettare o rifiutare entro la fine di febbraio. Un duro colpo per la compagnia, poiché questo sarebbe dovuto essere l’anno decisivo del primo test con equipaggio. Diversa è la situazione per SpaceX. Dopo aver identificato la causa che nell’aprile 2019, durante un test a terra per la propulsione, aveva portato all’esplosione di una Crew Dragon, la compagnia
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di Elon Musk ha completato con successo l’ultima decisiva prova della sua capsula. Obiettivo del test, condotto a dicembre, verificare le capacità del sistema in caso di emergenza e garantire la sicurezza dell’equipaggio in caso di anomalie legate al razzo. Dopo l’esito positivo, SpaceX sta ultimando, insieme alla Nasa, le ultime verifiche che potrebbero consentire alla navetta di volare con equipaggio già dal prossimo aprile. La partita non è ancora chiusa, ma a dieci anni dal successo della Dragon cargo – la prima astronave privata ad aver agganciato la Iss – SpaceX ha tutte le carte in regola per portare a casa anche questo secondo primato nel campo del trasporto spaziale commerciale e restituire agli States l’accesso autonomo allo spazio per i suoi astronauti, chiudendo così la dolorosa parentesi di dipendenza dalla Russia e dalla sua Soyuz aperta nove anni fa in seguito al pensionamento dello Space shuttle.
La capsula Dragon attracca alla Stazione Spaziale Internazionale.
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L
e onde gravitazionali, increspature nello spazio-tempo previste da Einstein e osservate di recente, potrebbero contenere prove che dimostrino la teoria secondo cui la vita è ‘sopravvissuta’ al Big Bang a causa di una transizione di fase. Un cambiamento di stato che ha permesso ai neutrini di rimescolare la materia e l’antimateria. Questo è quanto emerge da un nuovo studio pubblicato su Physical Review Letters. Secondo la teoria del Big Bang prevista dalla cosmologia moderna, nell’Universo primordiale materia e antimateria sarebbero dovute essere presenti in proporzioni uguali e di conseguenza avrebbero dovuto dare luogo ad un immediato processo di annichilazione che avrebbe dovuto far scomparire l’intero Universo neoformato. Poiché questo non corrisponde alla realtà che osserviamo, si ritiene che un leggero squilibrio in favore della materia abbia fatto sì che quest’ultima non venisse completamente annichilita, rendendo possibile la formazione dell’Universo in cui viviamo. In questo squilibrio entrano in gioco i neutrini. Poiché materia e antimateria hanno cariche elettriche opposte, non possono trasformarsi l’una nell’altra, a meno che non siano elettricamente neutre. I neutrini sono le uniche particelle di materia prive di carica elettrica che conosciamo, per cui non è detto che per ogni neutrino esista l’antineutrino corrispondente. Per questo motivo lo studio ritiene che siano stati proprio i neutrini ad aver ‘salvato’ l’Universo essendo, probabilmente, i responsabili dell’accumulo della materia nel cosmo. Un’ipotesi che confermerebbe la teoria sostenuta da molti ricercatori secondo la quale l’Universo avrebbe attraversato una transizione di fase – passando da uno stato molto caldo ad uno stato più freddo – durante la quale i neutrini avrebbero rimescolato la materia e l’antimateria. In che modo? Il comportamento della materia cambia in base a temperature specifiche, chiamate temperature critiche. Pensiamo ad esempio a ciò che succede all’acqua quando viene portata ad ebollizione fino allo stato di vapore o quando viene raffreddata fino a ghiacciarsi; o, ancora meglio, pensiamo a quando un determinato metallo viene raffreddato a bassa temperatura e perde completamente la resistenza elettrica mediante una transizione di fase, diventando un superconduttore.
DOPO IL BIG BANG
COME I NEUTRINI HANNO SALVATO L’UNIVERSO di Ilaria Marciano @iaia_marciano
«La vita è ‘sopravvissuta’ al Big Bang»
Proprio come un superconduttore, la transizione di fase nell’Universo primordiale potrebbe aver creato un tubo molto sottile di campi magnetici, chiamati stringhe cosmiche, portando a piccole oscillazioni dello spaziotempo, chiamate onde gravitazionali. Come spiega il coautore dello studio Hitoshi Murayama, professore di fisica presso l’Università della California: «Quando l’Universo avrebbe potuto essere da un trilione a un quadrilione di volte più caldo del posto più caldo nell’Universo odierno, è probabile che i neutrini si siano comportati esattamente nel modo necessario per salvarlo. Abbiamo dimostrato che probabilmente hanno anche lasciato dietro di sé uno sfondo di increspature gravitazionali rilevabili».
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COME TI TROVO L’EXTRATERRESTRE
L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE INGANNA? di Manuela Di Dio @ASI_spazio
«Oltre il nostro livello di conoscenza»
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L’intelligenza artificiale può aiutarci a scoprire civiltà aliene? Se l’occhio inganna, anche l’A.I. può essere fuorviante? È la domanda di Gabriel G. De la Torre, un neuropsicologo dell’Università di Cadice, Spagna, che, prendendo spunto da un intrigante esperimento visivo sul pianeta Cerere, mette alla prova l’utilizzo dell’intelligenza artificiale per la ricerca di vita extraterrestre. I risultati dello studio, pubblicato sulla rivista Acta Astronautica, mirano a confrontare il modo in cui gli esseri umani e le macchine riconoscono le immagini planetarie. L’idea è nata da una immagine del cratere Occator, sul pianeta nano Cerere, catturata dalla sonda Dawn della Nasa il 6 luglio 2018 a un’altitudine di circa 58 chilometri. La foto mostra una misteriosa forma geometrica nella regione di Vinalia Faculae. Sulla percezione visiva della figura il team di De la Torre ha condotto un esperimento che potrebbe avere implicazioni sull’impiego della A.I. nella ricerca della vita extraterrestre del programma Seti. Cosa c’è nel cratere Occator? Questa domanda è stata posta a 163 volontari, inesperti di astronomia, per capire quale figura geometrica vedessero nella foto. Parallelamente, la stessa immagine è stata sottoposta all’esame di un sistema di intelligenza artificiale addestrato a riconoscere quadrati e triangoli. «Sia le persone sia l’intelligenza artificiale hanno rilevato una struttura quadrata nelle immagini» spiega De la Torre «in aggiunta, l’A.I. ha anche identificato un triangolo. Il quadrato sembra inciso nel triangolo». La particolarità è che «quando l’opzione triangolare è stata mostrata agli esseri umani, la percentuale di persone che affermano di averla vista è aumentata significativamente» osserva il neuropsicologo. Lo studio ha messo in evidenza come anche l’Intelligenza artificiale potrebbe confondere gli esseri umani, rilevando elementi non veritieri e compromettendo la sua utilità per il programma Seti. L’A.I., poi, risente anche dei preconcetti dei propri supervisori e degli sviluppatori. «D’altro canto», spiega De la Torre, «se l’intelligenza artificiale identifica qualcosa che la nostra mente non può capire o accettare, potrebbe in futuro portarci oltre il nostro livello di conoscenza».
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Ready for a Space shopping? ASI’s gadgets & merchandising NOW available
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Crediti: per gentile concessione della Universal Pictures.
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Scienza o fantascienza? Fino a qualche anno fa, quando si accostava la scienza al cinema, non vi era possibilità di compromesso: la fantascienza era solo un modo per fare spettacolo e il rapporto tra scienza e cinema era possibile quasi esclusivamente nei biopic di grandi scienziati, o nel racconto di memorabili esplorazioni dello spazio. Negli ultimi anni, però, complice il fatto che i modelli attuali sono in fase di rielaborazione, il binomio scienza/fantascienza non rappresenta più un’antitesi assoluta. Basti leggere quanto ha scritto poco più di una decina di anni fa Stephen Hawking nella prefazione a un libro che di per sé è già un programma, La fisica di Star Trek di Lawrence M. Krauss: «La fantascienza», scriveva Hawking, di cui ricorre a marzo il secondo anniversario della scomparsa, «non è solo un buon divertimento, ma assolve anche a uno scopo serio, che è quello di espandere l’immaginazione umana […]Possiamo esplorare come lo spirito umano potrebbe rispondere a futuri sviluppi nella scienza e possiamo fare congetture su come potrebbero essere quegli sviluppi». Una funzione quasi ‘sperimentale’ della fantascienza, secondo Hawking, nel sondare le reazioni umane di fronte a questioni sollevate dalla ricerca scientifica e tecnologica di cui il cinema a volte rende visibili le conseguenze. Quanti dubbi sulla liceità di possibili quanto lontani sviluppi della robotica ha suscitato il cult Blade Runner di Ridley Scott, e quante domande ha posto Interstellar di Christopher Nolan sulle teorie dello spazio-tempo e su quel mistero che i buchi neri rappresentano per l’immaginario collettivo? Nei prossimi incontri di Spazio Cinema all’Auditorium ASI, il rapporto tra scienza e cinema sarà affrontato complice la nuova saga di Star Trek, diretta da J.J. Abrams: dopo le proiezioni del reboot Star Trek del 2009 a marzo e di Into Darkness (2013) ad aprile, si parlerà di viaggi interplanetari, teletrasporto, curvatura dello spazio, in poche parole de “La scienza di Star Trek”.
SPAZIO CINEMA
I NUOVI SVILUPPI DEL RAPPORTO TRA SCIENZA E CINEMA di Paolo Di Reda @ASI_spazio
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LUNA, MARTE E ASTEROIDI
BUONA CACCIA ZIO PAPERONE! di Manuela Di Dio @ASI_spazio
Crediti: gentile concessione di Disney Italia e Panini Comics.
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Come tutte le grandi imprese, dopo il Klondike zio Paperone ha fiutato l’affaire della Space Economy. Se dragare pepite nella zona mineraria dello Yukon ha segnato il primo passo per raggiungere la leggendaria Numero Uno, prima pietra di un deposito stracolmo di dollari, lo Spazio e i suoi tesori si schiudono alla intraprendenza del papero più ricco del pianeta Terra. La scommessa della nuova economia non poteva sfuggire alla zampata palmata del miliardario e, del resto, la tecnologia del Centro Spaziale Paperolese si rivela sempre all’avanguardia, capace di trasportare paperi su Luna, Marte, asteroidi e a zonzo nello Spazio. E’ una sfida all’ultimo asteroide quella che colora le pagine di un Topolino inedito, tutto da collezionare, in edicola dal 18 febbraio. L’ultima entusiasmante avventura paperolese, nata dalla penna originale e fantasiosa di Alessandro Sisti e dalla matita iconica di Francesco D’Ippolito, si colloca a metà strada nella trilogia a tema spaziale che accomuna la famosa dinastia pennuta alla esplorazione spaziale di ultima generazione. Realizzata grazie alla collaborazione tra Panini Comics e l’Agenzia Spaziale Italiana, la storia a fumetti Zio Paperone e la corsa all’asteroide segue a ruota l’avventura Zio Paperone e la Luna d’occasione e doppia il capo in attesa di pubblicare il terzo ed ultimo numero che piomberà, addirittura, sul suolo marziano. La tripletta a strisce mette su carta l’immaginario e le intenzioni degli attori pubblici e privati del settore spaziale per il prossimo decennio, raccontando di una rinnovata spinta pionieristica verso lo Spazio e le sue risorse e di un piano lunare che mira a stabilire una presenza umana sostenibile sulla Luna, e intorno ad essa, entro il 2028. Con il varo di Artemis, il nuovo programma della Nasa, l’esplorazione della Luna e di Marte si intrecciano, poiché la Luna sarà un banco di prova per Marte testando nuove tecnologie per avamposti autosufficienti al di fuori della Terra.
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