Smallsat Revolution
Nuove frontiere per l'esplorazione, costi ridotti, servizi altamente innovativi: come i piccoli satelliti modifcano lo Spazio e il nostro quotidiano.
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Rivista dell’Agenzia Spaziale Italiana | Ottobre 2022Nuove frontiere per l'esplorazione, costi ridotti, servizi altamente innovativi: come i piccoli satelliti modifcano lo Spazio e il nostro quotidiano.
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Rivista dell’Agenzia Spaziale Italiana | Ottobre 2022NUMERO 6, OTTOBRE 2022
Un render del cubesat ArgoMoon con le immagini reali della Terra e della Luna scattate dal satellite tra il 16 e il 19 novembre 2022.
Crediti ASI/NASA
4
Smallsat la rivoluzione dei piccoli di Emilio Cozzi 9
Nanosatelliti cavalieri dello spazio in versione small di Silvia Natalucci 12
Infografca: La fotta Alcor di Alberto Fedele, Giuseppe Leccese e Manuela Proietti 14
LiciaCube, made in Italy nello spazio profondo di Giuseppe Nucera 18
LiciaCube scienza e tecnologia in una scatola di Giuseppe Nucera 20
Iss trampolino per cubesat di Giulia Bonelli
22
Pionieri alla volta della Luna di Manuela Proietti 26
Un pieno di cubesat per Vega C di Fulvia Croci 28
Vedi alla Voce ‘mini’ di Vleria Guarneri 30
Ofcina stellare, da start-up a integratore verticale di Silvia Ciccarelli 32
Faremo grandi cose di Marco Di Clemente 34
Tecnologie spaziali per un pianeta più sostenibile di Redazione
36
Gli Starlink e la nuova frontiera della banda larga satellitare di Giuseppina Pulcrano 38
A che cosa servono i cubesat? di Giulia Bonelli 40
In difesa degli asset spaziali di Andrea Cardellicchio 42
Diventare astronauta, la realtà di un sogno di Paolo D'Angelo
Rivista dell'Agenzia Spaziale Italiana Supplemento di Global Science Testata giornalistica gruppo Globalist Reg. Tribunale Roma 11.2017 del 02.02.2017
Stampato presso Peristegraf srl Via Giacomo Peroni 130, Roma
A cura di Unità multimedia ASI Responsabile Giuseppina Pulcrano
Direttore responsabile Gianni Cipriani Coordinamento redazionale Manuela Proietti, Unità Multimedia ASI
Progetto grafco Paola Gaviraghi
Si ringraziano i colleghi ASI Silvia Natalucci responsabile dell’Unità Sviluppo di Micro e Nanosatelliti, Alberto Fedele e Giuseppe Leccese.
Il 17 giugno del 1946, a Saint Louis, un uomo sollevò la cornetta del telefo no e la storia rispose: si trovava in auto e quella chiamata sarebbe stata la prima da un dispositivo mobile Nel 2021 alcune testate hanno ricordato l’occorrenza dopo 75 anni sotto lineando una curiosità vintage: quel telefono, testato dalla Southwestern Bell, una delle compagnie locali della AT&T, «occupava molto dello spazio del portabagagli» e «pesava 80 libbre», circa 36 chilogrammi. Detto altri menti, per essere un dispositivo stricto sensu portatile, aveva bisogno di un’auto che lo rendesse mobile Mutatis mutandis, una cosa simile sta accadendo nell’ambito della tecno logia destinata a operare oltre l’atmosfera terrestre.
Il primo satellite costruito e lanciato dall’uomo, il sovietico Sputnik, pe sava 83 chili; ora lo chiameremmo “microsatellite”, della famiglia degli smallsat, apparati con una massa inferiore ai sei quintali. Primato storico a parte, però, lo Sputnik aveva ben poche utilità: emettere un segnale radio, ascoltato anche dai radioamatori di tutto il mondo, e spaventare a morte gli americani.
Nei sei decenni successivi, i satelliti spediti in orbita sono stati come il telefono mobile di Saint Louis: grandi, pesanti, costosi e, per muoversi, bisognosi di un veicolo di trasporto, un lanciatore in parte esclusivo, cioè scelto per soddisfare le loro esigenze. Ma come nella telefonia mobi le, anche nella tecnologia aerospaziale si sono fatti passi da gigante, che hanno permesso di tornare alle dimensioni contenute del primo Sputnik estendendone a dismisura le capacità e l’utilità. È un processo in grado
di cambiare in maniera radicale le strategie di alcuni settori di business.
Secondo un’analisi di Bryce Tech sul decennio com preso fra il 2012 e il 2021, dei 5.681 satelliti lanciati nello spazio, oltre 4.600, cioè l’82%, sono smallsat. Nel 2021 i satelliti di dimensioni ridotte sono stati il 94%, vale a dire il 43% della massa complessivamente spedita ol tre il cielo. Il boom, negli ultimi due anni, si deve alle mega costellazioni per internet a banda larga Star link e OneWeb, che insieme hanno visto partire più di
2mila unità. Più piccole, più economiche e più numero se, come gli smartphone.
Le agenzie spaziali stanno muovendosi nella stessa di rezione: la Nasa, per esempio, porterà gli smallsat attor no alla Luna. L’Agenzia spaziale italiana lancerà presto nuovi programmi satellitari nati attorno al medesimo concetto, beninteso, senza abbandonare la strada per corsa fnora con gli apparati large. Sarà, anzi, un’inte grazione del grande con il piccolo, laddove il secondo è frutto della ricerca portata avanti per sviluppare e
costruire strumenti “pesanti” e altamente prestazionali come Co smo-SkyMed e Prisma: competenze e know-how all’avanguardia nelle tecnologie dell’osservazione della Terra.
A fare da apripista è il programma Platino (Piattaforma spaziaLe ad Alta TecNOlogia), la promessa di un nuovo paradigma extra-atmosfe rico: è una struttura standard, adattabile, in grado di ospitare stru menti diversi per scopi non meno assortiti.
A “battezzare” la seconda, Iride, è stata Samantha Cristoforetti, du rante una diretta dalla Stazione spaziale internazionale lo scorso mag gio. Sarà una costellazione composta da dozzine di smallsat diverse: una fotta con gruppi di satelliti dedicati a misurare aspetti spe cifci, dalla qualità delle acque ai movimenti del suolo. A questi si aggiun gerà la fotta di cubesat Alcor, cui è dedicato l’articolo nelle pagine seguenti.
Platino è un “jolly ”. Signifca che lo stesso modello di veicolo, il satelli te, può essere dotato di strumenti diversi a seconda delle funzioni richie ste: osservazione della Terra, telecomunicazioni, rilievi scientifci. Finanziato dall'Asi e dal Governo con 100 milioni di euro, Platino sarà realizzato dal raggruppamento temporaneo di imprese costituito dalla mandataria Sitael con Thales Alenia Space, Leonardo e Airbus De fence and Space. Sempre nella classe degli smallsat, si avvarrà di apparati più leggeri, satelliti di circa 200 chilogrammi: «A partire dal 2017 - ricor da Francesco Longo, responsabile dell'unità di Osservazione della Terra dell'Agenzia spaziale italiana – abbiamo sviluppato questa piattaforma multi-missione, concepita per avere la giusta fessibilità e imbarcare nu merosi strumenti. L’obbiettivo è aumentare le performance e ridurre le dimensioni». Detto altrimenti, ofrire un “modello” di spacecraft con cui trasportare il telefono, per tornare a Saint Louis – piccolo ma con prestazioni sempre più importanti, da integrare con quelle dei satelliti più grossi e costosi. Un approccio, quello dell’operatività in tandem, che oggi non registra equivalenti.
Ne sarà un esempio proprio Platino 1: decollerà entro il 2023, avrà uno strumento Sar in banda X - cioè un radar ad apertura sintetica, tecnolo gia in cui l’Italia primeggia da anni - e opererà con Cosmo-SkyMed, per esempio nel misurare i movimenti del territorio, come vulcani, frane sui versanti delle montagne, ma anche ponti ed edifci.
«Lavoreranno in quella che in gergo si indica come confgurazione bista tica: Cosmo-SkyMed, come un radar, è un illuminatore, emette e riceve un segnale (l’emissione elettromagnetica in onde radio, ndr). Allo stesso modo Platino avrà sia la capacità di trasmettere che di ricevere, ma potrà anche osservare l'energia rifessa da Cosmo-SkyMed. È come se guar dasse la stessa scena da un altro punto di vista, cosa che aumenterà di molto le informazioni contenute in ogni immagine, con indubbia utilità, per esempio, per la Protezione Civile».
Sviluppata con la Nasa, la missione Platino 2 trasporterà invece uno stru mento nell’infrarosso, dedicato alla misurazione della qualità dell’aria, del particolato e delle polveri sottili. Ora si chiama Maia (Multi-Angle Imager for Aerosols) ed è previsto decolli nel 2024: «Sarà una missione fantastica, orientata al cittadino - rimarca l’ingegnere dell’Asi - non f nalizzata solo alla conoscenza biochimica, ma in collaborazione con le comunità sanitarie. Non è un caso, nel nostro advisory group e nella co munità scientifca, fguri l’Arpa Emilia Romagna. Platino 2 è progettata per osservare le zone critiche come quella di Taranto, di Gela, la Pianura Padana, e incrociare le informazioni sul particolato atmosferico con le statistiche delle patologie respiratorie».
Platino 3 inaugurerà una strada poco battuta per quanto riguarda la sen soristica italiana: l’alta risoluzione di camere ottiche, ambito oggi a lea dership francese (basti pensare alla coppia di satelliti Pleiades). Dotato di
è un illuminatore, emette e riceve un segnaleUn'immagine di Chongqing, Cina scattata da Cosmo-SkyMed. Crediti: Asi
una vista da falco, Platino 3 vanterà una risoluzione al suolo di mezzo metro. Infne, Platino 4 andrà a esaltare i "superpoteri" di un’altra eccellenza nazionale, il satellite multispet trale Prisma (PRecursore IperSpettrale della Missione Applicativa), che monitora lo stato di salute del Piane ta osservando la frma chimica degli elementi di cui è composto: «A essere interessante, in questo caso, non è tanto la risoluzione spaziale, di 30 metri, ma quella spettrale. Prisma lavora su 240 bande: per ogni parte della Terra che osserva fornisce 240 immagini. Questo permette di comprendere le caratteristiche biofsiche della materia. Prisma di seconda generazione avrà una risoluzione spaziale di 10 metri, qualcosa che non ha nessuno. Platino 4 aggiungerà le sue prestazioni multispettrali, leggermente inferiori, ma ottenute con un satellite di appena 250 chili. Un giorno potremmo pensare di lanciarne cinque o sei e avere una capacità di osservazione on demand, quando serve e dove ser ve, grazie al tempo di rivisita di poche ore».
Il “tempo di rivisita” è l’intervallo che intercorre tra un passaggio e il successivo sulla stessa area territo
riale. È uno dei punti di forza portati dalle costella . L’esempio oggi più noto è costituito dai già menzionati Starlink e OneWeb, infrastrutture pensate per garantire, dallo spazio, una connessione a internet ubiqua, a banda larga e a bassa latenza: viaggiando in orbi te prossime alla Terra, e quindi ad alta velocità, ogni loro unità spa risce presto oltre l’orizzonte. Per garantire la continuità del servizio, occorre dunque una rete “a maglie strette”, composta da migliaia di sa telliti. «Non solo è necessario che le performance migliorino progressiva mente, occorre farlo sfruttando og getti di dimensioni ridotte - sottolinea Longo, riportando il discorso sui pro grammi italiani - sarebbe impensabile lanciare venti satelliti Cosmo-SkyMed di seconda generazione. Però potremmo ottenere prestazioni di assoluto rilievo e a costi ridotti con 30 small satellite. Ecco perché l’alta rivisita è un concetto fonda
Moltiplicare gli apparati costa, ma la miniaturizzazio ne delle componenti e la possibilità di lanciarne deci ne con un singolo razzo hanno decretato il successo di un nuovo tipo di architettura orbitale. E, insieme, l’esplosione del mercato: un rapporto Euroconsult sti ma che nel decennio più recente gli smallsat abbiano mosso, a livello globale, più di 23 miliardi di dollari. Pronti a lievitare fno a 84 nei dieci anni a venire: «la peculiarità di Iride è di essere una costellazione co stituita da dozzine di satelliti di dimensioni ridotte rispetto a quelle degli apparati principali che l'Italia ha sviluppato, come Cosmo-SkyMed - spiega Guido Levrini, project manager di Iride per l’Agenzia spa ziale europea, responsabile, sino a pochi mesi fa, del segmento spaziale del programma Copernicus - non saranno tutti identici, ma di taglie diverse. Si partirà da quelli più piccoli, intorno ai 25 chilogrammi, e si arriverà ai più grossi, della serie Platino, nell'ordine dei 350 chili. Questo perché ospiteranno sensori e strumenti di natura e complessità diversa, quindi an che di peso diferente».
Non è secondario che Iride possa considerarsi un esi to dell’approccio – della flosofa - alla base di Platino: tante tipologie di satelliti implicano un ampio venta glio di capacità, frutto di un progresso tecnologico del nostro Paese che dai grandi satelliti ha voluto concen trare in dimensioni sempre più agili sensori e potenza di calcolo. Riuscendoci. Quanto evidente con Platino è infatti comune a espe rienze come quella di Argotec, che ha realizzato e por tato i cubesat dell’Asi LiciaCube e ArgoMoon a volare con la Nasa nelle missioni Dart, puntando l’asteroide Dimorphos nel primo test di difesa planetaria della storia, e a bordo di Artemis I, verso la Luna.
Una rappresentazione del satellite Cosmo-SkyMed Seconda Generazione. Crediti: Asi
Così è nata anche Iride: «le sue saranno missioni mono sensore - prose gue Levrini - radar ad apertura sintetica, sensori di tipo iperspettrale e infrarosso, payload ottici con risoluzioni di due o tre metri, in alcuni casi anche inferiori al metro. Iride spazierà dall’osservazione delle co ste al monitoraggio dell'atmosfera, dalla qualità delle acque e del sistema idrico ai movimenti del terreno e delle grandi infrastrutture. Sono tutte capacità traducibili in servizi di sicurezza, di prevenzione e gestione delle emergenze, oppure in applicazioni a supporto dell’agricoltura, alla ge stione del patrimonio boschivo e molte altre».
In emergenza, per esempio attraverso i radar, anche di notte si potranno osservare le zone alluvionate per riconoscerne le aree sommerse, oppure, poche ore dopo un terremoto, sarà possibile identifcare gli edifci dan neggiati. Allo stesso tempo gli occhi della costellazione eseguiranno un monitoraggio costante, per fare in modo che le eventualità criticità siano previste, afrontate o almeno arginate il prima possibile. Nuove sentinel le, più numerose e pronte, potranno avvertire l’approssimarsi di un crollo o di un cedimento: «Iride è un programma end to end, che promette un salto qualitativo nell'utilizzazione dei dati satellitari a chi, oggi, non li usi in modo sistematico - riprende Levrini - un caso importante è quello della pubblica amministrazione, sia a livello regionale che locale. Le os servazioni aiuteranno il Comando dei Carabinieri per la Tutela Forestale, che ha il compito di sorvegliare lo stato di tutto il patrimonio boschivo italiano, non solo per gli incendi. Parlando ancora di coste, sarà possibile monitorarne l’erosione, la qualità delle acque, i sedimenti depositati da gli scarichi dei fumi. In ambito agricolo, prestazioni satellitari migliori e più puntuali equivarranno ad applicazioni rilevanti anche in ambito commerciale: penso al cosiddetto precision farming, a servizi di gestione della crescita delle colture e dello sfruttamento delle risorse idriche, im portante nel settore agricolo».
È una sottolineatura tutt’altro che marginale: nel 2016 più della metà de gli smallsat operava nell’ambito dell’osservazione della Terra, in vigorosa foritura nell’era della new space economy. Moltiplicare i satelliti signifca poter avere uno sguardo costantemente rivolto su quel che di più inte ressa al suolo. Disporre di apparati large e small, e con la possibilità di afancarne le capacità, promette di migliorare ulteriormente la qualità di quello sguardo. E di trasformare il dato e la sua elaborazione in materie prime ancora più preziose per un’industria di servizi e applicazioni in crescita costante.
Ecco perché l’investimento pubblico nel programma Iride, 1,1 miliardi di euro del Pnrr, ha l’ambizione di diventare un volano per l’iniziativa pri vata: «i dati saranno condivisi con gli investitori disposti ad afrontare il rischio di impresa per fornire servizi al settore commerciale, facendo anche business», conclude Levrini. Ed è indicativo che i tempi del pro gramma siano stretti: entro la fne del 2025 Iride dovrà essere in orbita, dove arriverà grazie a Vega C, altro signifcativo successo dell’ecosistema spaziale italiano.
Anche Platino punta a diventare un incentivo all’impresa. Anzitutto per il satellite, da produrre magari in serie. Si tratta di un approccio al setto re relativamente nuovo: non costruire più progettando da zero satelliti o anche ambienti spaziali, ma avere un modello standard già testato da cu stomizzare, come un prefabbricato. Quindi esportarlo. «Il tessuto indu striale deputato alla realizzazione di Platino sta registrando un successo signifcativo, e anche questo è uno degli scopi portanti: far sì che gli asset necessari al monitoraggio siano appetibili sul mercato internazionale», conclude Longo.
Qualcosa di molto simile a quanto successo dopo quella telefonata, nel 1946, a Saint Louis.
Alcor e Mizar sono due stelle della costellazione dell’Orsa Maggiore che insieme formano una delle binarie visuali più famose del cielo. Alcor, an che nota con il nomignolo di “piccolo cavaliere”, è la più piccola delle due che generalmente passa inosservata a causa di Mizar, che le ruba la scena. Solo una vista acuta permette di vederle entrambe tanto che, in un anti co testo persiano del X secolo, si narra di vedette e soldati che venivano scelti proprio fra coloro in grado di distinguere le due stelle. Ed è proprio da questo aneddoto che nasce l’idea di chiamare Alcor uno dei programmi più innovativi dell’Agenzia spaziale italiana, un progetto che guarda lon tano, a quel futuro dello spazio sempre più caratterizzato dall’interesse verso satelliti di piccole dimensioni chiamati in gergo nanosatelliti: un concentrato di alta tecnologia spaziale in un paio di decine di kg contro le tonnellate dei satelliti tradizionali.
L'attenzione verso questa classe di satelliti è cresciuta nel corso degli anni, sulla base di una serie di fattori che, lavorando in sinergia, ne han no reso la realizzazione, il lancio e le operazioni sempre più accessibili e low cost. A giocare un ruolo fondamentale in questo senso, sono stati la miniaturizzazione dei componenti e dei sottosistemi, lo sviluppo del lo standard cubesat, l'utilizzo di componentistica commerciale (COTS) e occasioni di lancio più frequenti ed economiche grazie allo sviluppo di sistemi di trasposto spaziale commerciali.
La società di ricerche di mercato Allied Marked Rese arch prevede che il settore dei micro e nanosatelliti, che non ha subito contrazioni neanche negli anni della pandemia, raggiungerà nel 2030 un valore di mercato pari a 8,69 miliardi di dollari. La concezione di nuove applicazioni e servizi spaziali basati su piattaforme nanosatellitari ha infatti trovato negli anni l’interesse di un numero sempre maggiore di nuovi soggetti svi luppatori, utilizzatori e fnanziatori non tradizional mente legati al mercato spaziale come piccole medie imprese, centri di ricerca, università e Paesi in via di sviluppo, contribuendo in maniera determinante al fenomeno della democratizzazione dello spazio e diven tando utili strumenti nei tavoli delle diplomazie spa ziali di tutto il mondo. Alcor nasce dall’idea di creare un programma conti nuativo dedicato ai nanosatelliti che agisca da incuba tore tecnologico, dando l’opportunità, a chi ha nuove idee o a chi è alla ricerca di nuovi servizi, di sviluppare almeno il primo prototipo per poi poter portare avan ti il proprio business in un’ottica fortemente custo mer oriented individuando, in autonomia, i potenziali utilizzatori tra una grande varietà di attori, tra cui le istituzioni come la Difesa e la Protezione Civile. Il pro gramma, fnalizzato a porre la nostra comunità spa ziale in una condizione di leadership sia a livello euro peo che internazionale, ha iniziato a prendere forma a luglio 2021, a seguito della selezione di venti missioni altamente innovative di cui ad oggi, se ne contano un dici pienamente avviate e nove ai blocchi di partenza. Le venti missioni di Alcor, non solo coprono tut ti i principali domini applicativi del settore spaziale come l’osservazione della Terra, le telecomunicazioni, l’in orbit servicing, la space sustainability, l’astrofsica e l’esplorazione dell’universo, ma inglobano anche tutte le tendenze emergenti osservate negli ultimi anni quali ad esempio l’uso di costellazioni dotate di capacità di cooperazione fra i singoli satelliti sempre più performanti, l’impiego di sistemi di propulsione miniaturizzati, un aumento della potenza disponibile e della capacità di trasmissione dei dati a terra, l’uti lizzo dell’intelligenza artifciale per l’elaborazione dei dati a bordo, l’impiego di sistemi di deorbiting attivi e passivi, nuove soluzioni high-tech per le antenne pie ghevoli ed infne un maggiore utilizzo di nanosatelliti per l’esplorazione dello spazio. Vediamole più da vicino queste venti missioni del programma Alcor, iniziando dalle quattro dell’osser vazione della Terra, che avendo come target le orbite basse terrestri, note con l’acronimo di LEO (300-1000 km), risultano storicamente il dominio applicati vo con più heritage per il settore dei nanosatelliti. In questo contesto l’elemento emergente è sicuramente quello legato alla riduzione dei tempi di rivisita a bas so costo ottenibile con le costellazioni, mentre i limiti maggiori sono quelli intrinsecamente legati alla mi niaturizzazione dei payload e delle piattaforme: bassa risoluzione delle immagini, limitate potenze in gioco e ridotta capacità di trasmissione dei dati a terra. Le
missioni di Alcor implementano varie strategie per il superamento di questi limiti, a partire da SATURN e RODiO che utilizzano uno sciame di cubesat per realizzare un’antenna radar ad apertura sintetica SAR distribuita e riconfgurabile grazie ad un’oppor tuna combinazione di segnali provenienti da ciascun nodo dello sciame, con diverse scelte tecnologiche e architetturali per ciascuna delle due missioni. Earth Next invece, punta a sfruttare le potenzialità oferte dalla vicinanza alla Terra di un cubesat progettato per operare ad altitudini molto basse, comprese tra 300 e 350 km, ed equipaggiato con un propulsore elettrico ed una telecamera multispettrale. Strategia diversa per VULCAIN che dimostrerà in orbita la capacità di ottenere immagini stereoscopiche della Terra, sia nell’infrarosso (VNIR) che nel visibile (VIS), per il mo nitoraggio dell’attività vulcanica e delle zone costiere sfruttando il volo in formazione di due cubesat dotati di propulsione elettrica. Quello delle telecomunicazioni è un altro settore in cui l’utilizzo di costellazioni di satelliti di piccole dimensioni può portare grande vantaggio, in vir tù della capacità di ofrire una copertura ubiqua del globo a basso costo da orbite LEO, fermo restando la necessità di superare gli stessi limiti evidenziati per le missioni di osservazione della Terra. In BISS l’au mento della potenza disponibile e della capacità di downlink saranno garantite dallo sviluppo di soluzio ni innovative implementate a bordo di un cubesat che costituirà il primo prototipo per una futura costella zione che si pone come obiettivo quello di fornire un servizio di internet of things (IoT) compatibile sia con la rete terrestre che con quella satellitare. Il servizio potrebbe trovare un utile applicazione nel monitorag gio di infrastrutture critiche nazionali ma anche nel settore della logistica, dell’agricoltura e dei traspor ti marittimi, solo per citarne alcuni. Obiettivo simile per PiCO-IoT che dimostrerà in orbita un concetto di costellazione di picosatelliti, ciascuno con una massa pari a meno di mezzo chilo, per il recupero di pacchet ti compatti di dati IoT trasmessi attraverso una rete di sensoristica distribuita a terra. La costellazione sarà inoltre concepita in modo da consentirne un dispie gamento rapido, efcace ma al tempo stesso aderen te alle normative sulla non proliferazione dei detriti spaziali. La terza missione di telecomunicazioni, de nominata SAILS, è dedicata alla realizzazione di un sistema autonomo di identifcazione e localizzazione da imbarcare su un cubesat, potenzialmente utile per un'ampia gamma di applicazioni come il monitorag gio dei detriti spaziali, la navigazione e il supporto alle manovre di rendez-vous e collision avoidance
Le missioni fno a qui descritte hanno come target le orbite LEO, ma negli ultimi anni è fortemente cresciu to l’interesse per l’impiego dei nanosatelliti anche in spazio profondo, settore nel quale l’Agenzia spaziale italiana può vantare il recentissimo successo del pic colo satellite LiciaCube che, primo in Europa, è riu scito a raggiungere lo spazio profondo testimoniando
con successo l’impatto della sonda madre Dart della Nasa contro il piccolo asteroide Dimorphos. Un suc cesso tutto italiano, che lascia ben sperare per le due missioni di esplorazioni planetaria del programma Alcor, denominate TASTE ed ANIME . La prima di queste missioni validerà in orbita tecnologie abilitanti per l’esplorazione robotica di una delle lune marzia ne imbarcate su una piattaforma cubesat-in-cubesat, composta da un orbiter e da un lander. La seconda in vece esplorerà, da un’orbita eliocentrica situata nello spazio profondo, tre Near-Earth-Asteroids (NEA), par ticolarmente interessanti sia dal punto di vista scien tifco che di difesa planetaria. Entrambe, dovranno superare sfde importanti legate all’esposizione ad un ambiente particolarmente ostile in termini di radia zioni e alla difcoltà di ricezione e trasmissione dei dati amplifcata dalla distanza da terra che impatta vari aspetti, fra i quali quello della navigazione, guida e controllo.
Proprio a questa problematica è dedicata la missio ne FUTURE il cui obiettivo è quello di sviluppare una capacità di stima autonoma della posizione, basata su appositi sensori ed algoritmi di intelligenza artifcia le, in grado di ridurre la dipendenza della navigazione dagli operatori e dai servizi e strutture di supporto a terra. In primis la validazione verrà efettuate in orbi te LEO per poi passare a future applicazioni in spazio profondo. Stesso percorso di trasferimento tecnologi co per la missione INNOVATOR , una costellazione di due cubesat fnalizzata alla sperimentazione in orbite LEO di un nuovo strumento scientifco per osserva zioni di radio scienza molto precise, in particolare nel campo della gravity science (determinazione di masse e campi di gravità planetari) e della atmospheric scien ce (determinazione delle proprietà delle atmosfere neutre e ionizzate), che consentirebbero in prospet tiva di efettuare una serie di missioni di esplorazione interplanetaria di altissimo proflo. I costi limitati ed i rapidi tempi di sviluppo fanno dei nanosatelliti le piattaforme ideali anche per la dimo strazione in orbita (IOD) di tecnologie che successiva mente potranno essere impiegate in molteplici ambiti scientifco-applicativi, è questo il caso ad esempio del la missione EXCITE che validerà in orbita due thruster a propulsione chimica ed elettrica, un dispositivo per la gestione dei fussi di calore, un’unità di elabora zione grafca commerciale per il computer di bordo e un’antenna a microonde orientabile ad alte presta zioni oppure la missione RAMSESS, dedicata alla va lidazione tecnologica di un innovativo sensore di ra diazioni cosmiche in grado di misurare la dose totale assorbita simultaneamente all’energia e alla natura di ogni singolo evento di interazione, che può trova re un utile impiego per la progettazione di metodi di schermatura delle elettroniche oppure nell’ambito dell’astronomia multi-messagera. La dimostrazione in orbita è anche il focus della missione e-Cube che validerà tecnologie e metodologie dedicate alla carat terizzazione dell’ambiente circumterrestre in termi
ni di detriti spaziali ed atmosfera al fne di garantire maggiore autonomia nell'esecuzione, rispettivamen te, di manovre di Collision Avoidance e di rientro. Grazie al continuo miglioramento delle performance e dell’afdabilità, i nanosatelliti sono divenuti oggetto di interesse crescente anche per missioni a vocazione scientifca. Nel programma Alcor ne troviamo addi rittura cinque che spaziano dall’astrofsica, allo space weather passando per l’astrobiologia. BOREALIS ad esempio valuterà gli efetti della microgravità e del le radiazioni ionizzanti su bioflm microbici, testando anche l’efcacia combinata di sistemi di radiopro tezione basati su schermaggio fsico e trattamento farmacologico, con l’intento di fornire informazioni cruciali per la preparazione di future missioni umane sulla Luna e su Marte. La missione CHIPS ha obiet tivi non meno ambiziosi a partire dalla realizzazione del primo telescopio spaziale criogenico ad infrarossi con dimensioni tali da poter essere imbarcato su un CubeSat, che consentirà indagini scientifche all'a vanguardia nel campo dell’astrofsica. Grande inte resse anche per lo studio del Sole e dello Space We ather, settore nel quale Alcor conta ben tre missioni. Una prima missione, denominata HENON dimostrerà in orbita che l’utilizzo di un cubesat su un'orbita re trograda distante (DRO) mai esplorata prima, con sentirà di estendere signifcativamente la fnestra di osservazione dei fenomeni legati allo space weather aumentandone drasticamente la capacità di previsio ne. La missione CUSP invece porterà un polarimetro per l’osservazione dei raggi X-duri in orbita polare eliosincrona, ottimale per l’osservazione continuativa del Sole e dei fenomeni legati alla sua attività. Stessa orbita per la missione SEE , che studierà l’emissione elettromagnetica della nostra stella nello spettro dei raggi ultravioletti, soft-X e Gamma consentendo stu di sull'attività solare, sulle relazioni Sole-Terra, sullo space weather e sulla sicurezza spaziale.
Concludiamo con la missione SPEYE che copre un ambito applicativo dove l'utilizzo dei nanosatelliti po trebbe dimostrarsi enormemente vantaggioso anche a supporto di missioni che impiegano piattaforme di dimensioni decisamente più importanti. La missione si pone l’obiettivo di dimostrare le capacità di un na nosatellite trasportato in orbita da un carrier o da un satellite più grande, di volare autonomamente intor no al carrier stesso acquisendo immagini mediante un sistema di visione multispettrale per il volo in forma zione e l’ispezione autonoma.
Tornando alle stelle quindi, anche chi non riesce a di stinguere Alcor da Mizar non può non apprezzare la capacità del “piccolo cavaliere” di intensifcare la ma gnitudine della sua compagna più grande, allo stesso modo, è indiscutibile la potenzialità dei nanosatelliti di lavorare in sinergia con quelli tradizionali suppor tando e spesso completando il raggiungimento degli obiettivi della missione fnale.
i costi limitati ed i rapidi tempi di sviluppo fanno dei nanosa telliti le piattaforme ideali anche per la dimostrazione in orbita.
SAILS (12U) E.CUBE (12U)
BOREALIS (6U)
SEE (12U)
SPEYE (6U) TASTE (9U+3U) HENON (12U) ANIME (6U) EXCITE (12U) CHIPS (12U)
LiciaCube ce l’ha fatta! Il nanosatellite di Asi ha su perato con successo la sua grande sfda nello spazio profondo: immortalare a 12 milioni di km dalla Terra il primo impatto di una sonda contro un asteroide. Piccolo gioiello tecnologico costruito nei laboratori torinesi di Argotec, LiciaCube ha documentato da vi cino lo scontro tra la sonda Dart di Nasa e l’asteroide Dimorphos, impatto avvenuto quando in Italia erano le 01:14 del 27 settembre 2022. La missione dell’ Agen zia spaziale italiana vede il coordinamento scientifco di Inaf e la collaborazione di Politecnico di Milano, Università di Bologna, Parthenope e Cnr-Ifac. Nel primo test di difesa planetaria in assoluto messo in atto da Nasa, Dart si è schiantato con una velocità di oltre 6 km al secondo con il fne di sperimentare la
Illustrazione artistica che raffgura la sonda Nasa Dart, a sinistra, che si sta scagliando contro l’asteroide Dimorphos, mentre a destra LiciaCube di Asi riprende la scena. Crediti: Argotec.
tecnica dell’impattore cinetico, ossia provare a modi fcare l’orbita di un corpo celeste tramite la collisione intenzionale di una sonda. Una strategia sperimentale che, grazie al grande successo di Dart, le future mis sioni di difesa planetaria potranno rendere più ef cace e concreta contro eventuali asteroidi minacciosi. Sviluppata dalla Johns Hopkins University, Dart è di fatto la prima sonda realizzata per essere scagliata contro un corpo celeste e disintegrarsi. LiciaCube, dal canto suo, è l’unico superstite e il testimone ocula re di questa missione autodistruttiva.
Corpo dal diametro di 160 metri, l’asteroide Dimor phos è stato scelto come bersaglio nonostante non fosse assolutamente pericoloso per la Terra, ma in quanto satellite naturale che orbita attorno all’aste roide maggiore Didymos. La sua natura di luna all’in terno di un sistema asteroidale doppio ha, infatti, reso Dimorphos il candidato ideale per il primo test attraverso cui verifcare la strategia dell’impattore cinetico: risulta infatti più facile misurare eventuali modifche della sua orbita attorno a Didymos rispetto all’orbita solare di un asteroide indipendente. La missione di Dart è stata lanciata dalla base di Van denberg in California, quando in Italia erano le 7.21 del 27 novembre. Decollata a bordo di un razzo Falcon 9 di SpaceX, la sonda Nasa ha ospitato nel suo grembo LiciaCube. Circa un’ora dopo il liftof Dart si è separa to dal secondo stadio avviando con successo il proces so di dispiegamento dei suoi due pannelli solari, della lunghezza di circa 9 metri ciascuno.
La navicella spaziale Nasa ha quindi iniziato il suo lungo viaggio interplanetario durato circa dieci mesi e con destinazione il sistema binario Didymos, tra sportando con sé LiciaCube. In realtà, Nasa aveva inizialmente progettato Dart senza il cubesat italia no, prevedendo di osservare con telescopi da Terra o dall’orbita terrestre l’efetto dell’impatto. In seguito, LiciaCube è stato selezionato dall’agenzia statuniten se per essere integrato alla missione Dart e semplif care, così, la testimonianza della collisione cosmica. Grande quanto una scatola per stivali, grazie alle sue piccole dimensioni il nanosatellite italiano ha potu to afrontare il cammino spaziale in seno alla sonda Nasa, che presenta invece le dimensioni di un frigo rifero.
Il cubesat di Asi, dal peso di circa 13 chilogrammi, è stato poi rilasciato alle 1:14 ora italiana del 12 settem bre, circa 15 giorni prima dell’impatto previsto contro Dimorphos. La fase di distacco ha tenuto con il fato sospeso il team di LiciaCube per circa 50 intensi mi nuti, in attesa dell’aggancio del segnale con la tecno logia italiana, avvenuto alle 2.04. Dopo il distacco, la sonda Dart ha ripreso il suo assetto pre-rilascio per proseguire la sua crociera, mentre il team di Argotec e dell’Università di Bologna, responsabili della naviga zione di LiciaCube, e il team di Asi hanno continuato a comunicare per tutta la notte con il piccolo satelli te italiano attraverso il Deep Space Network, la rete di antenne radio della Nasa che supporta le missioni spaziali interplanetarie.
In grado di navigare e operare autonomamente nel lo spazio profondo, una volta separatasi dalla sonda Nasa, LiciaCube è diventata a tutti gli efetti il pro tagonista della prima missione nello spazio profon do sviluppata e gestita autonomamente da un team italiano. LiciaCube è dunque la nostra prima sonda interplanetaria.
Una volta rilasciato, il nanosatellite italiano è entrato nella fase più calda della sua missione con le opera zioni di calibrazione in volo e navigazione verso la traiettoria di avvicinamento ottimale da cui osserva re, da vicino ma in sicurezza, l’impatto di Dart sull’a steroide Dimorphos.
In questa impresa di autonavigazione nello spazio profondo, la grande prova tecnologica per LiciaCu be è stata non perdere mai di vista strada e bersa glio: utilizzando l’intelligenza artifciale a bordo per correggere eventuali errori di traiettoria. Grazie a tecniche di tracciamento, il gioiellino italiano è ri uscito ad avere sempre in camera il sistema binario Didymos.
Gli occhi di LiciaCube che hanno afrontato questa impresa si chiamano Luke e Leia, le due camere a bordo sviluppate con il compito fnale di flmare l’impatto di Dart. La camera principale, Leia (Licia Cube Explorer Imaging for Asteroid), è in grado di scattare immagini in bianco e nero ad alta risoluzio ne, con un campo di osservazione molto dettagliato, mentre Luke (LiciaCube Unit Key Explorer) è una ca mera RGB a campo largo. Ancor prima di assistere all’impatto di Dart, Licia Cube ha anche rivolto il suo sguardo verso il punto di partenza della sua grande avventura, puntando i suoi strumenti verso di noi e fotografando il pianeta Terra e la Luna dalla distanza di 12 milioni di km. Quindici giorni dopo il distacco, LiciaCube ha sigla to il suo vero successo testimoniando in prossimità l’urto di Dart contro Dimorphos. Avvenuta alle 1:14 ora italiana del 27 settembre 2022, la collisione è stata mostrata quasi in diretta dalla camera Draco situata a bordo della sonda Nasa. Essendosi tuttavia schian tata sulla superfcie dell’asteroide insieme a Dart, la camera Nasa non ha potuto riprendere l’impatto vero e proprio contro Dimorphos, comprese le sue conse guenze sulla superfcie dell’asteroide. Ed è qui che subentra il grande valore di LiciaCu be: efettuando uno dei fyby più veloci della storia, il nanosatellite è transitato al fanco della scena da testimoniare, riuscendo a mostrare il cono di detriti espulsi dalla superfcie di Dimorphos attraverso le immagini scattate dalle due camere Leia e Luke. Ne gli scatti realizzati prima di superarlo, il bersaglio di Dart è visibile in alto a destra rispetto all’asteroide maggiore Didymos.
Storiche fotografe della prima collisione intenzio nale di una sonda contro un asteroide, le prime im magini di LiciaCube sono giunte al Centro di Con trollo di Torino appena 3 ore dopo l’impatto di Dart, alle 4:23 italiane del 27 settembre 2022. Immortalan
L'asteroide Dimor phos visto dalla camera Draco a bordo della sonda Dart 11 secondi prima dell'impat to. Questa im magine, scattata da una distanza di 68 chilometri, è stata l'ultima a contenere tutto Dimorphos nel campo visivo di Draco.
Crediti: Nasa/ Johns Hopkins Apl
Immagine scat tata dalla camera Luke di LiciaCube in cui è visibile sotto l’asteroide Didymos e sopra la sua luna Dimor phos. Scattata da una distanza di 56,7 km, l’imma gine rende ben visibile il cono di detriti espulsi da Dimorphos dopo l’impatto di Dart.
Crediti: Asi/Nasa
do i detriti espulsi dalla superfcie dell’asteroide, que ste immagini mostrano come un lampo di luce la nube di polvere generata da Dart, un fash causato dalla collisione cosmica tra la sonda Nasa e Dimorphos, te stimoniando così l’impatto avvenuto.
Questi primi scatti hanno mostrato al mondo non solo la collisione cosmica, ma anche il valore della tecnolo gia nanosatellitare italiana, dato che la testimonianza oculare di LiciaCube è stata un’impresa ardua: le con dizioni di osservazione erano, infatti, assai complica te per il cubesat di Asi il quale è transitato al fanco di Dimorphos a una velocità di circa 6 chilometri al secondo. Come se, viaggiando in autostrada, fossimo in grado di voltarci nell’istante esatto in cui due mac chine si scontrano nella carreggiata a noi opposta e riuscissimo nel tentativo di documentare l’incidente mentre esso avviene.
Immagine da LiciaCube di Asi ri elaborata da Nasa con diversi livelli di contrasto per vedere meglio la struttura fne del cono di detriti che fuoriescono dall'a steroide Dimor phos. Lo studio di questi fussi di materiale, fornirà più informazioni sull'asteroide e sul processo di impatto.
Crediti: Asi/Nasa/ Apl
l’impatto. Con un cambiamento minimo inizialmente stabilito a 73 secondi per decretare il successo della missione di Dart, Nasa ha ufcializzato che Dimor phos ha accorciato, in realtà, di circa 32 minuti il suo periodo orbitale: un risultato oltre 25 volte maggiore le attese.
Se prima di scontrarsi con Dart, Dimorphos orbitava intorno all’asteroide maggiore Didymos in 11 ore e 55 minuti, ora ne impiega 11 ore e 23 minuti.
L'umanità è risultata dunque in grado di modifcare per la prima volta il moto di un oggetto celeste e lo ha mostrato attraverso il grande successo di Dart. Una chiara dimostrazione che la tecnica dell’impattore cinetico possa essere in futuro un’arma concreta ed efcace a difesa della Terra.
Per afnare questa tecnica, a favore di future mis sioni simili a quella di Dart, è ora necessario defnire con la massima precisione il nuovo periodo orbitale di Dimorphos, con l’obiettivo di annullare l’approssima zione di due minuti di cui sofre la stima ufcializzata e condivisa da Nasa. Per limitare il più possibile l’in certezza di questa misura, è necessario raccogliere sempre più informazioni sulla natura del materiale espulso, dunque sulla composizione e sulla struttura di Dimorphos, elementi per lo più sconosciuti prima dell’impatto di Dart e le osservazioni di LiciaCube. Tutto ciò verrà fatto analizzando in dettaglio il ma teriale espulso dalla superfcie dell’asteroide, ossia il cono di detriti lanciati nello spazio dopo la collisione con la sonda Nasa.
Dietro questa grande nube di polvere si cela dunque la natura di Dimorphos, che verrà scoperta grazie alle immagini in prossimità di LiciaCube. Arrivando fno a soli 55 km di distanza, la sua preziosa testimonianza del cono di detriti è dunque fondamentale sia per de fnire la quantità di materiale espulso dalla superfcie di Dimorphos sia per comprendere le proprietà fsiche dell’asteroide. Da queste informazioni potremo, inf ne, stabilire quanto il contraccolpo del cono di detriti, come il getto d’aria che esce da un palloncino, abbia aumentato in modo sostanziale la spinta di Dart con tro Dimorphos.
I primi scatti di LiciaCube hanno però documentato solo l’urto della sonda Nasa. Queste prime testimo nianze non sono state infatti sufcienti per capire se, oltre alla collisione, la missione di Dart avesse rag giunto il suo fne ultimo: ossia modifcare l’orbita di Dimorphos.
Per capire se l’uomo sia in grado o meno di deviare la traiettoria di un corpo celeste si sono dovute at tendere circa due settimane e numerose osservazioni post-impatto da diversi telescopi terrestri. Osservan do da Terra il doppio sistema asteroidale Didymos at traverso il Goldstone Planetary Radar del Jet Propul sion Laboratory di Nasa in California e il Green Bank Observatory della National Science Foundation in West Virginia, la Nasa ha confermato la modifca della traiettoria di Dimorphos l’11 ottobre 2022, dopo aver confrontato le osservazioni efettuate prima e dopo
Immagine dalla camera Luke di LiciaCube che mostra Didymos sotto e Dimor phos. Scattata a una distanza di 54 km da Dimorphos lo scatto immor tala i diversi fussi attraverso la nube dei detriti espulsi dall’asteroide che si espande nello spazio.
Crediti: Asi/Nasa
Il compito di trasmettere a terra le 627 immagini rea lizzate da LiciaCube con le camere Leia e Luke spetta al suo sistema di comunicazione in banda X.
Asi, tramite lo Space Science Data Center (Ssdc), è an che responsabile della gestione dati e dello Science Operations Center: qui sono stati sviluppati i software in grado di gestire il fusso dei dati in maniera auto matica, così da metterli a disposizione secondo uno standard internazionalmente riconosciuto e pensato per rendere il dato Fair (Findable, Accessible, Intero perable, Reusable), anche grazie al webtool Matisse di Ssdc.
La grande impresa afrontata da LiciaCube nello spa zio profondo è dunque il risultato di molteplici stru menti e diversi know-how messi in prima fla dal no stro Paese, dimostrando il valore e il ruolo di peso che l’Italia assume per la difesa planetaria.
Sono diversi i centri di ricerca, le università e i team scientifci che hanno contribuito alla storica missione del nanosatellite di Asi
di Giuseppe NuceraÈ ricca di scienza, tecnologia e di collaborazioni la scatola che costituisce il nanosatellite LiciaCube, il protagonista della prima missione nello spazio pro fondo completamente sviluppata e gestita da un team tutto italiano. Testimone oculare della missione Dart di Nasa, che ha realizzato il primo impatto intenzio nale di una sonda contro un asteroide, il successo di LiciaCube è il frutto della collaborazione di numerosi esperti della comunità scientifca nazionale. Progetto gestito dall’ Agenzia spaziale italiana con la realizzazione afdata ad Argotec, il team scientifco della missione è coordinato dall’Istituto Nazionale di Astrofsica (Inaf). Il nanosatellite vanta, inoltre, il fon damentale apporto di diverse università italiane come il Politecnico di Milano, l’Università di Bologna, l’Uni versità di Napoli Parthenope, oltre che dell’Istituto di Fisica Applicata “Nello Carrara” del Consiglio Nazio nale delle Ricerche (Cnr-Ifac).
Il loro contributo interessa molteplici livelli, dalla tec nologia che compone il piccolo gioiello italiano fno al processo di trasmissione e condivisione delle imma
LiciaCube ha acquisito questa immagine poco prima del suo massimo avvicinamento all'asteroide Dimorphos, e a seguito dell'impatto di Dart. Didymos in alto a sinistra, Dimorphos in basso a destra e il cono di detriti che si stacca da Dimorphos post impatto sono chiaramente visibili.
Crediti: Asi/Nasa
gini realizzate a 12 milioni di km dalla Terra, scatti che hanno immortalato l’impatto della sonda Dart di Nasa contro l’asteroide Dimorphos dello scorso 27 set tembre.
Dal punto di vista tecnologico, al Politecnico di Mila no è stata afdata la mission analisys, ossia lo studio di fattibilità per realizzare il cubesat in base alle diverse necessità: tra queste l’orientamento verso il Sole dei pannelli per caricarsi durante la navigazione autono ma, lasciare le camere Leia e Luke libere di guardare il proprio target Didymos e, infne, calcolare un angolo di rilascio opportuno per evitare urti con Dart duran te l’espulsione di LiciaCube, avvenuta due settimane prima dell’impatto.
Una volta rilasciato, il nanosatellite ha potuto sfrutta re la sua capacità di autonavigazione frutto del contri buto di Argotec e dell’Università di Bologna. Il primo ha realizzato il software di puntamento autonomo, che ha permesso al cubesat di individuare il proprio target luminoso Didymos tramite la camera principa le Leia e di tenerlo sempre sotto bersaglio, eliminando tramite un fltro il restante campo stellare, dunque eventuali falsi bersagli.
L’Università di Bologna è stata, invece, responsabile della determinazione della traiettoria di LiciaCube, studiando insieme al team Dart del Applied Physics Laboratory (Apl) i dati trasmessi quotidianamente dal nanosatellite. Individuando dove si trovasse esatta mente il cubesat, è stato così possibile comprendere quali manovre di correzione della traiettoria fossero necessarie.
Con 3 correzioni inizialmente previste nei 12 giorni precedenti all’impatto, il monitoraggio ha mostrato
l’ultima manovra in programma non necessaria, in quanto LiciaCube risultava sulla corretta traiettoria verso Didymos.
In base agli obiettivi di missione, Inaf ha identifcato i requisiti necessari per le due camere di LiciaCube. Oltre alla camera Leia fnalizzata a fotografare delle caratteristiche dettagliate dell’asteroide, l’ente ha vo luto portare a bordo una seconda camera, Luke, con un campo di vista molto più largo seppur con una ri soluzione minore. Una scelta rivelatasi fondamentale per il successo di LiciaCube data l’espansione inaspet tata con la quale si è manifestata la plume, ossia il cono di detriti espulsi da Dimorphos per l’impatto di Dart. Spetta ora al Cnr-Ifac confrontare l’espansione della nuvola di polvere realmente generata con le previsioni iniziali, un parallelo che fornirà tutte le informazioni possibili sulle caratteristiche geomorfologiche dell’a steroide.
Da sottolineare, infne, la presenza di elementi Cots, ossia sottosistemi sfruttati da LiciaCube già disponi bili sul mercato. Tra questi la radio di trasmissione in banda X e l’antenna, entrambe già pronti per lo spazio, oltre ai pannelli solari, alla batteria, e alla propulsione che sono stati, invece qualifcati per il volo da Argotec. Una disponibilità commerciale che ha permesso alla missione un risparmio economico e di tempo. I diversi know-how dietro alla grande impresa di Li ciaCube si stanno rivelando tuttora fondamentali, anche a impatto di Dart avvenuto, specialmente per quanto riguarda lo scaricamento delle immagini ac quisite. Il download da LiciaCube avviene, infatti, tra mite le antenne del Deep Space Network di Nasa ed è efettuato dal Mission Control Centre di Argotec si
Corpo dal diametro di 160 metri, l’asteroide Dimorphos è stato scelto come bersaglio nonostante non fosse assolutamente peri coloso per la Terra.
tuato a Torino.
Le immagini vengono messe poi a disposizione del Soc presso lo Space Science Data Center (Ssdc) di Asi a Roma, dove è ospitato lo Science Operation Center della missione LiciaCube.
Una volta giunte al Soc, si avvia il processamento degli scatti, i quali devono essere convertiti in Fits, ossia il formato standard per la conservazione delle immagini astronomiche.
Queste sono, così, accompagnate da una serie di parametri fondamentali che indicano, per esempio, quando lo scatto è stato efettuato e quale distanza avesse LiciaCube dal target Dimorphos e dal Sole, indicando, inoltre, l’angolazione di osservazione ri spetto alla nostra stella. Tutte informazioni utili per chi poi dovrà in futuro analizzare gli scatti di Licia Cube. L’Inaf ha, invece, fornito l’algoritmo per la ca librazione delle immagini.
Appena giungono al Soc, le immagini sono disponi bili anche per il team di Nasa, grazie all’acquisizio ne automatica e sincronizzata da parte di entrambi i team.
Con un download quasi completo già poche settima ne dopo l’impatto, il team di LiciaCube è ora pronto per inserire le immagini su Matisse, il webtool di Ssdc per la ricerca e l’analisi dei dati di esplorazione spa ziale. Lo strumento, ora attivo in una versione test, permetterà di visualizzare le osservazioni di Luke e Leia proiettandole sulla forma tridimensionale di Dimorphos: una strategia di analisi utilissima per comprendere meglio le indagini fotografche di og getti cosmici dalla forma non sferica, come nel caso di Dimorphos e Didymos.
La prima astronauta donna europea a camminare nello spazio è stata l’italiana Samantha Cristoforetti. Chi, in quel pomeriggio estivo del 21 luglio, ha segui to la storica passeggiata spaziale, ricorderà l’attività principale di AstroSamantha, svolta insieme al collega russo Oleg Artemyev: rilasciare nello spazio 10 nano satelliti. Già, perché la Stazione Spaziale Internazio nale è (anche) un’ottima base di lancio, che permette di posizionare cubesat in orbita bassa e a basso costo. Si tratta di un’ottima alternativa al metodo tradizio nale di rilascio dei nanosatelliti, il cosiddetto pig gyback (letteralmente, ‘a cavalluccio’), che consiste nell’aggiungere un carico secondario a bordo di un razzo che ha ancora un po’ di spazio rispetto al sa tellite principale. Questo però signifca che i cubesat sono del tutto vincolati al lancio del carico principale, e anche che il loro numero può essere relativamente limitato. Il rilascio di nanosatelliti direttamente dalla Iss, invece, permette non solo di abbattere i costi, ma anche di far partire queste piccole missioni in modo autonomo e in numero più elevato. Nel caso dell’attività extraveicolare di Cristoforetti e Artemyev, il rilascio dei 10 nanosatelliti russi per ri cerche sulle radiofrequenze è avvenuto manualmente. Una pratica non nuova nella storia delle passeggiate spaziali: già nel 2005 si erano svolti i primi esperi menti di invio manuale di cubesat dalla Iss. Esistono però anche metodi meno artigianali che nel corso degli ultimi anni hanno permesso alla Stazione di perfezionarsi come trampolino per nanosatelliti, grazie ai bracci robotici. I cubesat che giungono sulla Iss a bordo di navicelle cargo (le stesse che portano rifornimenti e materiali utili agli astronauti) possono infatti essere dispiegati nello spazio grazie a specifci sistemi di espulsione. Il primo nel suo genere è stato installato dalla Jaxa nel modulo giapponese Kibō: è il Jem Small Satellite Orbital Deployer, pensato appunto per il rilascio di piccoli satelliti. Ma il vero ‘decollo’ del mercato dei cubesat rilasciati dalla Iss è arrivato con il primo sistema di espulsione commerciale operato da Nanoracks, che già nel 2013 era diventata la prima azienda privata a gestire il rila scio di nanosatelliti dal modulo giapponese. Nel 2014, dopo aver ricevuto l’autorizzazione dalla Nasa e dalle agenzie partner per sviluppare un proprio sistema per cubesat, Nanoracks ha installato (sempre nel modulo giapponese della stazione) il Nanoracks cubesat De ployer.
Da quel momento, la piattaforma Nanoracks è sta ta una vera e propria porta d’accesso allo spazio per tutte quelle aziende che avevano deciso di investire sul mercato dei cubesat, senza però riuscire ancora a ottenere uno dei famosi passaggi piggyback sui razzi in partenza da Terra. Tra queste, anche diverse azien de italiane, come la startup di Brescia Gp Advanced Projects, che lo scorso gennaio si è guadagnata un pri mato non da poco: l’invio nello spazio del più piccolo satellite mai rilasciato dalla Iss. Chiamato Fees2 (da Flexible Experimental Embedded Satellite 2), questo
La coppia ha lavorato su una serie di compiti, tra cui il rilascio di dieci nanosatelliti.
Crediti: Esa/Nasa/ Roscosmos
A sinistra il Nanoracks Cubesat Deployer, installato nel 2014 a bordo della Iss come primo sistema commerciale per il rilascio di cubesat. Crediti: Nanoracks
micro satellite misura appena 10x10x3cm, con una massa complessiva di 300 grammi. Meno di un pacco di pasta.
Come suggerisce il nome, Fees2 è il secondo satelli te prodotto dalla Gp Advanced Projects a raggiunge re l’orbita terrestre. L’obiettivo iniziale dell’azienda è testare tutte le componenti di questi piccoli sistemi satellitari, compresi i mini pannelli solari che ne per mettono il funzionamento. Il progetto a lungo termi ne è quello di formare una costellazione di cubesat che operi nell’ambito dell’Internet of Things. Questo è soltanto uno dei tanti esempi delle nuo ve possibilità oferte dalla collaborazione tra settore pubblico e settore privato in orbita bassa. Una frontie ra che recentemente Nanoracks ha deciso di amplia re anche attraverso l’installazione del primo modulo commerciale permanente a bordo della Iss: Bishop,
Fees2, il più piccolo satellite mai rilasciato dalla Iss: 10x10x3cm di dimensioni e 300 grammi di massa. Crediti: Gp Advanced Projects
che signifca ‘alfere’ in omaggio alla sua mobilità. Sviluppato in collaborazione con Thales Alenia Spa ce, che l’ha assemblato nei suoi stabilimenti di Torino, Bishop è stato agganciato nel dicembre 2020 al nodo 3 della stazione Tranquillity. È pensato per diventare una vera e propria stanza aggiuntiva a bordo della Iss, da utilizzare principalmente come camera di com pensazione per il passaggio dei payload dall’interno all’esterno della stazione e viceversa. Grazie alle sue notevoli dimensioni (1.80 metri di altezza e 2 metri di diametro), permette di trasportare carichi molto più pesanti e ingombranti rispetto a quanto consentito fno ad oggi.
Ma non è tutto. Una delle prospettive più interessanti di Bishop riguarda proprio il rilascio di nanosatelliti, che grazie all’alfere della casa spaziale dispongono adesso di una nuova fnestra aperta sul cosmo.
Immaginiamo di voler esplorare un luogo che ci è quasi sconosciuto, lontanissimo da casa e da qualun que forma di civiltà e il cui ambiente sappiamo essere ostile alla vita. Un posto in cui vorremmo costruire un avamposto, non prima di aver individuato la lo cation migliore, che sia possibilmente vicino a una fonte d’acqua. Una strategia adottabile potrebbe es sere quella di mandare in avanscoperta una piccola squadra altamente specializzata, alla quale afda re il compito di raccogliere informazioni specifche sull’ambiente per verifcarne le criticità, e di testare tecnologie sviluppate ad hoc, in vista di una successiva spedizione, afnché questa abbia maggiori probabili tà di riuscita e sia il più possibile priva di rischi per chi dovrà afrontarla.
È un po’ questa la flosofa alla base delle missioni cu
besat che, nell’ambito del programma Artemis, la Nasa ha pianifcato di inviare verso la Luna. E se ne capisce facilmente il motivo. Low cost, fessibili, sviluppabili in tempi brevi, i satelliti in formato small sono un con centrato di alta tecnologia di ultimissima generazione e si stanno rivelando, anche nel campo dell’esplora zione dello spazio profondo, strumenti dalle grandi potenzialità. Basti pensare a quanto fatto dall’italiano LiciaCube della missione Dart della Nasa. Ed ecco che nel contesto tempestato di incognite come quello del programma lunare, questi nuovi tool possono giocare un ruolo di grande rilievo.
A fare da apripista è Capstone, acronimo che sta per Cislunar Autonomous Positioning System Technology Operations and Navigation Experiment, partito il 28
Illustrazione di ArgoMoon.
Crediti: Argotec
giugno scorso dalla Nuova Zelanda a bordo di un vet tore Electron di Rocket Lab. Come il nome suggeri sce, Capstone è una pietra miliare, perché, di fatto, è la primissima missione dell’era Artemis e ne segna l’inizio sul campo.
Il satellite, dal peso di appena 25 kg dovrà testare la stabilità della Near Rectilinear Halo Orbit (Nrho) che è l’orbita in cui sarà posizionato la stazione cislunare Lunar Gateway, elemento fondamentale dell’archi tettura Artemis.
Capstone, giunto a destinazione il 15 novembre scor so, è in assoluto il primo veicolo a transitare nella Nrho e vi resterà per circa sei mesi, con l’obiettivo di verifcare che i requisiti di potenza e propulsione necessari al mantenimento dell’orbita siano congrui
rispetto alle previsioni elaborate dalla Nasa. Oltre a ciò Capstone dimostrerà l’afdabilità delle comunica zioni con le stazioni a terra e soprattutto di soluzioni di navigazione autonoma basate sulla comunicazione tra due sonde, dialogando direttamente con il Lunar Reconnaissance Orbiter della Nasa, attualmente ope rativo attorno alla Luna.
La seconda spedizione di mini pionieri lunari è quella imbarcata nella missione Artemis-1, partita il 16 no vembre alle ore 7:47 italiane dal Kennedy Space Cen ter, in Florida: dei 10 nanosatelliti a bordo dello Space Launch System ben 5 sono dedicati al nostro satellite naturale.
A partire dall’unico passeggero europeo, ArgoMoon, satellite dell’Asi realizzato da Argotec per la Nasa con l’incarico di produrre immagini della missione. Rilasciato con successo dall’Icps (Interim Cryogenic
Propulsion Stage) circa 4 ore dopo il liftof, il 17 no vembre ArgoMoon aveva già inviato a terra due scatti signifcativi della Terra e della Luna.
Il primo, utile alla calibrazione dei payload, mostra il nostro Pianeta da una distanza di circa 125.000 chi lometri. Il secondo è un ritratto alla Luna, catturato quando Orion si trovava a 278.500 chilometri dal no stro satellite naturale.
ArgoMoon è stato rilasciato con successo, e grazie alle telecamere ad alta defnizione e a un software di ima ging avanzato di cui è dotato, ha registrato immagini della Terra e della Luna.
Il microsatellite ha eseguito le operazioni di punta mento target attraverso l’utilizzo di un software per la navigazione autonoma la cui validazione sarà utile a future missioni nello spazio profondo, Luna inclusa. Follow the water è invece lo slogan di Lunar IceCube,
cubesat sviluppato dalla Morehead State University in collaborazione con il Goddard Space Flight Center della Nasa e la Busek Company, progettato per ‘futa re’ l’acqua e altre risorse utili sulla Luna. Questo aiu terà le future missioni umane sul nostro satellite, per sfruttare al meglio le risorse in situ presenti sulla su perfcie lunare. Sempre a bordo di Artemis-1, il Lunar Polar Hydrogen Mapper (LunaH-Map) è un cacciatore di idrogeno in miniatura.
Progettato da ricercatori e studenti dell’Arizona State University, il cubesat ha l’obiettivo di studiare le ab bondanze di idrogeno nelle zone in ombra della Luna. Sorvolerà la Luna fno a una distanza tra circa 5 e 10 chilometri dalla sua superfcie, e costruirà una mappa dell’idrogeno lunare su una scala spaziale di circa 10 chilometri.
Anche LunIR , il cubesat realizzato da Lockheed Mar
Rappresenrazione di LunIR. Crediti: Lockeed Martin
Illustrazione del lander rilasciato dal cubesat Omotenashi. Crediti: Jaxa
tin, sorvolerà la Luna mappandone la superfcie. Il suo obiettivo sarà però più legato alla caratterizzazione della superfcie del nostro satellite, in modo da fornire dati aggiuntivi per la valutazione dei siti di allunag gio delle future missioni lunari con equipaggio.
Infne Omotenashi, che in giapponese signifca ‘ospi talità’. Ad ospitarlo sarà la Luna stessa: il cubesat, sviluppato dall’agenzia spaziale Jaxa, invierà un na nolander da 1 chilogrammo sulla superfcie lunare. Questo lander in miniatura misurerà la radiazio ne della superfcie del nostro satellite e ne studierà la meccanica del suolo utilizzando accelerometri.
Omotenashi (Outstanding Moon exploration Techno logies demonstrated by Nano Semi-Hard Impactor) vuole dimostrare che i futuri lander lunari potranno essere di ogni dimensione e costo.
13 luglio 2022, una data da ricordare per il settore lanciatori. Quel giorno Vega C, razzo europeo di pro gettazione e realizzazione italiana, ha spiccato il volo per la prima volta dallo spazioporto Esa di Kourou, in Guyana Francese. A bordo il payload principale Lares 2, un satellite per studi geodetici dell’Agenzia spaziale italiana realizzato dall’Infn su progetto dei ricercato ri del Centro Fermi e dell’Università ‘La Sapienza’ di Roma. Il suo compito è misurare con accuratezza il cosiddetto efetto di Frame-Dragging, come previsto dalla Teoria della Relatività Generale di Einstein.
Oltre a Lares 2 a bordo di Vega C tanta scienza e tec nologia all’avanguardia completamente made in Italy. Dei sei cubesat portati in orbita dal lanciatore tre sono frutto dell’ingegno dei nostri istituti di ricerca e del le piccole e medie imprese del settore spazio sparse sul territorio nazionale. Stiamo parlando di Astrobio e Greencube, costruiti per l’Asi da Inaf e Università 'La Sapienza' di Roma e di Alpha, ideato dall’azienda ro mana ArcaDynamics.
Il minisatellite AstroBio cubesat (Abcs), è frutto di un progetto coordinato dall’Inaf, in collaborazione con il gruppo di ricerca della Scuola di Ingegneria aero spaziale della Sapienza e con l’Università di Bologna.
Alpha satellite: il cubesat Alpha prima dell’integrazione a bordo del Vega C. Crediti: Arca Dynamics
Astrobio satellite: il minisatellite Astrobio pronto per il lancio. Crediti: Inaf/ John Brucato
Greencube satellite: il cubesat Greencube in fase di integrazione. Crediti: Enea
A bordo del volo inaugurale del razzo tre cubesat realizzati interamente in Italiadi Fulvia Croci
AstroBio è un laboratorio miniaturizzato basato su un’innovativa tecnologia in grado di eseguire in au tonomia esperimenti di bioanalisi nello spazio. Abcs ha permesso di testare alcune tecnologie innovative, in particolare la cosiddetta lab-on-chip, una miniatu rizzazione estrema di un laboratorio terrestre.
Nel dettaglio all’interno del satellite è stata installata una camera sigillata che contiene dei reagenti, alcune pompe e una serie di tubi: un sistema che permette di spostare e manipolare i liquidi e farli reagire con le molecole biologiche. Lo scopo della missione è va lutare la funzionalità complessiva del laboratorio in un ambiente ostile, caratterizzato dalla presenza di particelle energetiche provenienti dal Sole. I risultati saranno utili per valutare gli impatti dei raggi cosmici sulla salute degli astronauti impegnati nelle missioni interplanetarie.
Il secondo passeggero, Alpha, è uno smallsat a forma di cubo dal peso di 1,2 chilogrammi per 10 centimetri di lato realizzato da un gruppo di startup italiane gui dato dalla romana Arca Dynamics. A bordo del satel lite c’è una vela solare, Artica (Aerodynamic Reentry Technology In Cubesat Application), sviluppata dalla divisione spazio Spacemind della società Npc di Imola.
greencube è il primo esperimento in assoluto sulla coltivazione di piante oltre l’orbita bassa terrestre in condizioni di micro gravità.
La vela ha una superfcie di 2,1 metri ed è realizzata in mylar alluminizzato. Artica ofre un importante compito di in orbit servicing, la possibilità di efettuare operazioni su un satellite nello spazio, una funzione cruciale nelle missioni dei prossimi decenni. La vela si comporta come un aerofreno in orbita bassa, ridu cendo la quota del satellite alla fne della sua vita ope rativa, permettendogli di efettuare il deorbiting negli strati più elevati dell’atmosfera. Ad altezze maggiori invece Artica sfrutta la pressione della radiazione so lare, modifcando l’orbita del satellite.
GreenCube, terzo passeggero italiano, è uno smallsat, sviluppato dai dipartimenti di Ingegneria astronauti ca, elettrica ed energetica e di Ingegneria meccanica ed aerospaziale della Sapienza. Nato da un progetto coordinato dall’Asi, ha visto anche la collaborazio ne dell’Enea e dell’Università di Napoli Federico II. GreenCube è il primo esperimento in assoluto sul la coltivazione di piante oltre l’orbita bassa terrestre in condizioni di microgravità. Il cuore del satellite è costituito da una camera pressurizzata destinata alla coltivazione dei micro-ortaggi, all’interno della quale una serie di sensori monitora costantemente i para metri ambientali. Il sistema di controllo consente di regolare la luce, la temperatura e la distribuzione dei nutrienti, per ottimizzare la crescita delle piante.
L’obiettivo è raccogliere più informazioni possibili sul comportamento dei vegetali che costituiranno parte dell’alimentazione dei futuri astronauti nelle missioni sulla Luna o su Marte. Il microsatellite è totalmente autonomo e ha con sé sensori in grado di trasmettere a terra i dati ambientali e di crescita delle piante in ri sposta alle condizioni di stress. Dopo l’immissione in orbita è stata svolta la verifca del corretto funziona mento di tutti i sottosistemi di bordo e la temperatura interna alla camera di crescita è stata portata a livelli compatibili con la crescita delle piante.
Successivamente sono stati inviati una serie di co mandi da terra che hanno consentito l’inizio del pro cesso di irrigazione dei semi di vegetali per far partire la germinazione. I controlli presso le stazioni dei di partimenti de La Sapienza e al Broglio Space Center dell’Asi, a Malindi, in Kenya, hanno infne permesso il tracciamento della crescita.
Ad afancare i cubesat italiani un terzetto realizza to da enti di ricerca europei. Nello specifco i france si Mtcube-2 e Celesta, progettati dall’Università di Montpellier e lo sloveno Trisat-R, dell’Università di Maribor. Celesta ha come obiettivo confrontare l'am biente radiativo in orbita terrestre media e quello pro dotto all’interno di una camera di irradiazione. Il ca rico utile del satellite include un monitor di radiazione RadMon e l’esperimento Sel, entrambi sviluppati dal Cern di Ginevra. Infne Mtcube-2 e Trisat-R si occu pano della misurazione degli efetti delle radiazioni su diversi tipi di memorie elettroniche nello spazio.
La loro massa è inferiore a 500 chilogrammi, trovano impiego in varie tipologie di missioni e sono caratte rizzati da costi ridotti: sono questi i tratti salienti dei piccoli satelliti, strumenti sempre più al centro dei programmi degli enti spaziali (inclusa l’Agenzia spa ziale italiana) che prevedono ampi sviluppi scientifci, tecnologici e commerciali.
di Valeria GuarneriI satelliti in miniatura, infatti, presentano numerosi vantaggi. Tra essi, ricordiamo: riduzione sostanzia le dei tempi di sviluppo delle missioni e loro realiz zazione a costi contenuti, sviluppo di architetture di missione inedite e di tecnologie innovative, nonché capacità di rivolgersi ad una larga platea di utilizza tori/stakeholders con una vasta gamma di prodotti e applicazioni.
La famiglia dei satelliti in miniatura è ampia e al suo interno si distinguono diverse categorie, tanto da me ritare una guida, una sorta di ‘Wikipedia’ a tema Small Sat. L’elemento che contraddistingue i vari sottoinsie mi è la diferente massa.
Cominciamo con i minisatelliti , i ‘big’ della famiglia. Con questo termine si indicano i satelliti la cui massa è compresa tra 100 e 500 chilogrammi, una riduzione
già signifcativa rispetto ai satelliti tradizionali che possono raggiungere qualche tonnellata di peso. Il sa tellite PLATiNO che l’Agenzia spaziale italiana sta svi luppando insieme ad un consorzio di imprese italiane appartiene, ad esempio, a questa categoria.
Proseguendo in ordine decrescente, incontriamo i microsatelliti il cui peso è inferiore a 100 chilogram mi; non esiste invece un valore univocamente defnito per il limite minimo. Negli anni infatti la loro com plessità è notevolmente aumentata e questo valore si è adeguato di conseguenza, passando da 10 a 25 chilo grammi.
I satelliti con massa compresa tra 1 e 10 chilogrammi, o 25 kg nel caso in cui si utilizzi questo valore come limite inferiore della categoria precedente, sono def niti nanosatelliti
A seguire, incontriamo i rappresentanti della catego ria la cui massa è compresa tra 100 grammi e 1 chilo grammo: i picosatelliti
La ‘palma’ dei più piccoli della categoria spetta ai fem tosatelliti: in questo caso, la massa è inferiore a 100 grammi.
I satelliti appartenenti alle ultime quattro categorie sono spesso impiegati in costellazioni o formazioni e possono avere bisogno del supporto di un satellite maggiore per le comunicazioni.
Tra i satelliti miniaturizzati, inoltre, incontriamo una categoria speciale: i cubesat , che devono il loro nome alla forma e presentano un volume pari a 1 dm cubico e una massa non superiore a 1,33 chilogrammi. Questi dispositivi nascono in ambito universitario: scopo dei cubesat, infatti, era far esercitare gli stu denti nella costruzione di satelliti in miniatura che riproducessero quelli veri e propri.
Lo standard cubesat è stato defnito nel 1999 da due docenti universitari: Jordi Puig-Suari della Califor nia Polytechnic State University e Bob Twiggs della Stanford University.
Dai laboratori degli atenei i cubesat hanno poi lette ralmente spiccato il volo, rivelandosi uno strumento versatile ed economico che ha permesso a università, centri di ricerca e nazioni emergenti di guadagnar si un posto nel mercato satellitare senza afrontare spese ingenti.
Una vetrina per le piccole e medie imprese e start-up nazionali con l’obiettivo di evidenziare percorsi unici di crescita, modelli di busi ness in evoluzione e stra tegie di adattamento e anticipazione dei più avan zati trend del New Space, affnché siano di ispirazione per tutto il comparto.
Nata nel 2009, in soli 13 anni Ofcina Stellare è dive nuta leader mondiale nella progettazione, sviluppo e fornitura di sistemi e strumentazione opto-meccani ci complessi per applicazioni terrestri, aerospaziali e spaziali.
Nel 2019 l’esigenza di incrementare la capacità pro duttiva e di consolidare il posizionamento nei merca ti esteri ha portato alla decisione di intraprendere il percorso verso la quotazione in Borsa. Tale scelta alla soglia dei 3 anni si è confermata una iniziativa vincen te poiché consente di parametrizzare la raccolta delle risorse in funzione delle prospettive di sviluppo e del le opportunità attese in un’ottica temporale più lunga. Nell’era della New Space Economy la velocità di svi luppo e di produzione, la gestione del rischio e il rap porto tra prezzo e prestazione sono stati ottimizza ti attraverso una strategia di integrazione verticale volta all’internalizzazione delle fasi di progettazione, produzione, integrazione e delle campagne di collau do dei prodotti. La capacità di gestione interna di tut ti i processi della catena del valore richiede continui investimenti e viene riconosciuta da Ofcina Stella re come una delle chiavi distintive per il successo del proprio percorso. Grazie a questa strategia in pochi anni l’azienda è cresciuta in modo costante, sfruttan do anche le potenzialità derivanti da un’ampia pene trazione negli ambienti scientifci internazionali. Un
passaggio importante è stata l’apertura nel 2020 di Ofcina Stellare Corp., partecipata al 100% da Ofci na Stellare, con sede operativa negli Usa, uno dei mer cati strategici per ricerca scientifca, nuove tecnologie per le comunicazioni, dello Spazio e della Difesa. Più recentemente è stato inoltre chiuso un accordo per l’entrata nel capitale di Ofcina Stellare da parte di Satellogic Inc., leader mondiale nella raccolta di im magini ad alta ed altissima risoluzione. In ambito nazionale la collaborazione con gli enti isti tuzionali è andata di pari passo con la crescita indu striale, grazie anche alla maggiore visibilità ottenuta dalla quotazione in Borsa. Con l’Asi Ofcina Stellare ha da poco siglato il contratto per Earthnext, nano-sa tellite multispettrale compatto, destinato alla ripresa ad alta risoluzione della superfce terrestre dall’orbita molto bassa (VLEO), grazie ad un sistema di propulsio ne elettrica abilitante. Earthnext, cubesat realizzato in collaborazione con una fliera totalmente italiana di PMI con l’Università di Napoli “Federico II”, rientra nella fotta di Alcor, il programma Asi per nanosatel liti nell’ambito del quale le Pmi e le start-up trova no formidabili potenzialità di espressione. Earthnext rappresenta il primo importante conseguimento con l’Asi per Ofcina Stellare; un progetto estremamen te innovativo che mira ad esplorare, tra i primissimi al mondo, un ambito applicativo, quello delle riprese della Terra in orbita molto bassa, di grandissimo inte resse industriale e commerciale. Situata in provincia di Vicenza, Ofcina Stellare per il futuro è proiettata verso la realizzazione di una Space Factory, intesa come luogo dedicato allo svilup po di nuove tecnologie applicate all’Aerospazio. Con l’obiettivo di agevolare lo sviluppo di tutte le tecno logie abilitanti funzionali al conseguimento di una posizione di leadership, la società si propone inoltre anche come acceleratore e incubatore tecnologico di start-up innovative. Nel 2021, facendo leva sulle nu merose collaborazioni, Ofcina Stellare ha acquisito la partecipazione di due startup innovative: Think Quantum e Dynamic Optics, rispettivamente spinof dell’Università degli Studi di Padova e del CNR. Grazie alla fducia degli investitori è stato possibile inoltre dedicare un’ampia area dell’azienda all’Academy di Ofcina Stellare, un luogo nel quale poter accogliere studenti, ospitare iniziative legate al mondo dell’a stronomia e dello Spazio, e dove verranno presto atti vati master di alta formazione.
Segui la pagina di Offcina Stellare nell’Italian Space Industry Online Catalogue, con contenuti aggiornati e link ai canali uffciali dell’azienda: https://italianspaceindustry.it/ listing/offcina-stellare-spa/
Il processo di miniaturizzazione tecnologica, vale a dire la costante tendenza alla riduzione di dispositivi meccanici, ottici ed elettronici, si aferma come pa radigma dominante nell’età moderna. Basti pensare che il primo computer elettronico, costruito nel 1946 dall’Università della Pennsylvania, occupava lo spazio di un appartamento, pesava 30 tonnellate, consuma va 200 kW ed aveva una potenza di calcolo irrisoria se confrontata con quella di un moderno smartphone. Come già avvenuto in diversi settori tecnologici, quali appunto quello dell’elettronica di consumo (cellulari, televisori o altri dispositivi di uso comune), anche nel lo spazio si assiste in anni recenti ad un processo di riduzione signifcativa delle dimensioni dei satelliti, a parità o quasi di prestazioni rispetto ai satelliti tradi zionali. Come è avvenuta tale rivoluzione? Tutto ciò è reso possibile grazie all’avanzare delle moderne tec nologie e alla capacità di miniaturizzazione che be nefcia dei progressi nell’elettronica, permettendo di realizzare unità e sottosistemi di bordo di dimensioni ridotte ma con prestazioni all’avanguardia.
La diferenza nelle dimensioni non impedisce quindi ai piccoli satelliti di compiere quasi le stesse opera zioni dei satelliti tradizionali: possono scattare foto, girare video, ricevere e trasmettere dati d’ogni gene re e per tale motivo stanno rivoluzionando i settori dell’osservazione della Terra, delle telecomunicazioni e dell’esplorazione. La necessità di progettare satelliti di dimensioni e massa ridotte è nata principalmente dalle problematiche legate alla capacità massima di lancio per un lanciatore e dall’obiettivo di contenere e ottimizzare i costi di invio in orbita e di realizzazio ne di una missione spaziale, ma pone sfde tecnolo giche signifcative perché questa tipologia di satellite richiede innovative tecnologie in tutti i sistemi prin cipali quali quelli di gestione della potenza, propul sione, controllo d’assetto, comunicazione ed elabora zione dati.
La realizzazione di piccoli satelliti non può quindi prescindere da sviluppi tecnologici che permettano di realizzare sistemi miniaturizzati ma comunque ef cienti e l’attenzione dell’Agenzia spaziale italiana ne gli anni passati è stata diretta proprio in tale direzio ne, al fne di abilitare la realizzazione delle missioni basate su nano, mini e piccoli satelliti. In tale contesto, giova ricordare ad esempio lo svi luppo di Ssms (Small Spacecraft Mission Service), un sistema di lancio che associato al vettore Vega, per mette di lanciare un elevato numero di satelliti con un singolo lancio.
Una delle principali sfde tecnologiche riguarda la gestione della potenza di bordo: i satelliti utilizzano principalmente pannelli solari per convertire la luce in energia elettrica ma il problema principale è lega to alla limitata superfcie disponibile su cui applicare le celle solari. In tale contesto, l’Asi sta fnanziando lo sviluppo di batterie agli ioni di litio che hanno un ra
Celle solari ad alta effcienza, leggere e fessibili.
Celle solari, Crediti: Cesi
Camera ottica miniaturizzata del satellite ArgoMoon .
Crediti: Optec
La necessità di progettare satelliti di dimensioni e massa ridotte è nata principalmente dalle problematiche legate alla capacità massima di lancio
teo energia/massa molto elevato e quindi si prestano perfettamente per l’utilizzo su satelliti miniaturizzati, celle solari ad alta efcienza, leggere e fessibili, siste mi di movimentazione dei pannelli solari che riescono quindi ad ottimizzare la potenza di bordo ruotando il pannello stesso in direzione perpendicolare al Sole. In ambito telecomunicazioni, le bande di maggior inte resse sono la UHF ed S per quanto riguarda l’orbita
Propulsore elettrico Regulus-50
Crediti: T4i
bassa, la banda X e Ka per satelliti in spazio profondo.
In questo contesto l’Asi, sfruttando l’esperienza e le capacità uniche al mondo nel settore dei transponder radio di spazio profondo, ha avviato progetti di svi luppo, in collaborazione con l’Esa, per la realizzazio ne di una versione miniaturizzata dello stesso tran sponder che sarà utilizzato nelle missioni di prossima realizzazione.
Nel settore della propulsione vanno considerate le li mitazioni per quanto riguarda la pressurizzazione dei serbatoi, la quantità di energia chimica stipata e l’u tilizzo di materiali pericolosi, e pertanto ci sono sfde non trascurabili nella realizzazione di sistemi minia turizzati efcienti.
Anche in questo caso vale il concetto di adoperare tecnologie già consolidate per satelliti più grandi, ot timizzate e miniaturizzate ad-hoc per i piccoli satel liti. In tale settore, è stato sviluppato e qualifcato da Asi con successo un sistema propulsivo a gas freddi, che garantisce una elevata afdabilità, e sono in svi luppo sistemi a propulsione elettrica versatili ed a basso costo in grado di garantire capacità di manovre orbitali, controllo del puntamento e de-orbiting alla fne della vita operativa. Un altro elemento importan te riguarda la strumentazione scientifca installata a bordo dei satelliti che dipende naturalmente dal tipo di missione e di scopo previsti.
La sfda maggiore, in questo caso, riguarda la minia turizzazione di tecnologie, già consolidate per satel liti maggiori, legate alla realizzazione delle ottiche, nel caso di camere di osservazione, dell’elettronica di prossimità dove viene installato il detector e di tut ta la struttura che deve comunque mantenere caratteristi che di stabilità termica e meccanica.
Anche in questo caso gli sviluppi tecnologici in corso mirano a realizzare sistemi a basso consumo con prestazioni elevate che permettono comunque di conseguire dall’orbita bassa immagini ad alta risoluzione.
In conclusione, la miniaturizzazione è da un lato una sfda tecnologica, dall’altro una reale opportunità di innovazione. Degli sviluppi che ne derivano, realizzati nel settore dei piccoli satelliti e opportunatamente dimostrati attraverso missioni di validazione tecnologica in orbita, potranno benefcia re anche le missioni tradizionali, realizzando quindi una sinergia tra ‘grande’ e ‘piccolo’. Asi, grazie al proprio programma di sviluppo tecno logico, oltre ad aver raccolto tale sfda è in grado di supportare duraturi sviluppi abilitanti per tutto il settore dei piccoli satelliti. La strada è tracciata, fare mo grandi cose.
vita sulla Terra, per monitorare, analizzare e forni re soluzioni sia a livello globale che su piccola scala. Negli ultimi anni, l'Osservazione della Terra ha subito un'evoluzione particolarmente rilevante con un gran de impatto su tutti i diversi domini della sostenibilità. Osservare la Terra dallo Spazio ci aiuta a comprende re meglio quello che sta accadendo sul nostro pianeta, in termini di solo cambiamento climatico, analisi dei mari e degli oceani, monitoraggio dei poli, ma anche diminuzione del suolo e deforestazione, senza trala sciare aspetti più locali, come quelli legati all’agricol tura di precisione.
di RedazioneLe tecnologie spaziali sono, oramai, parte integran te della nostra vita e stanno abilitando una nuova e crescente economia, la Space Economy, considera ta, assieme alle tecnologie digitali, uno dei più pro mettenti motori per la crescita economica del nostro Paese. Thales Alenia Space, joint venture tra Tha les (67%) e Leonardo (33%), è l’azienda manifatturiera leader nel settore spaziale a livello globale che da oltre quarant’anni fornisce soluzioni ad alta tecnolo gia per Telecomunicazioni, Navigazione, Osservazio ne della Terra, gestione ambientale, ricerca scientifca e infrastrutture orbitali, che ha avuto il privilegio di avere un ruolo in primo piano nelle maggiori missioni spaziali a livello mondiale ed è, oggi, un attore impre scindibile dell’avventura spaziale in un percorso in costante evoluzione.
Oggi più che mai, la tecnologia spaziale si sta dimo strando un valido strumento per migliorare la nostra
Il satellite di terza generazione Mtg -I.
Crediti: Thales Alenia Space.
Attualmente le camere pulite di Thales Alenia Space ospitano tre satelliti chiave nell’ambito dell’osserva zione e monitoraggio del nostro pianeta che stanno per partire per le loro rispettive missioni: Mtg – I, il sofsticato satellite Meteosat di Terza Generazione, frutto della collaborazione tra l'Agenzia Spaziale Eu ropea (Esa) ed Eumetsat il cui lancio è previsto entro l’anno, Swot (Surface Water and Ocean Topography) realizzato in collaborazione con l'agenzia spaziale sta tunitense Jet Propulsion Laboratory (JPL) della Nasa per conto delle agenzie spaziali francese e americana, anch’esso con lancio entro l’anno e Sentinel 1 C del Programma Copernicus con lancio previsto entro il 2023.
Le tecnologie spaziali contribuiscono dunque, in di versi modi, ad un pianeta più sostenibile, con meno emissioni e maggiore ottimizzazione delle risorse. In questa corsa contro il tempo, l’enorme mole di dati che otteniamo grazie alle costellazioni satellitari di osservazione, è probabilmente, insieme alle tecnolo gie Digital Twin, lo strumento scientifco più potente a disposizione e lo Spazio è certamente un punto di osservazione privilegiato.
Arthur C. Clarke settantasette anni fa immagina l’uso di ripetitori in orbita geostazionaria per estendere la copertura di sistemi di trasmissione terrestre. Passa no circa 20 anni dall’articolo, pubblicato su Wireless World, per i primi lanci di successo dei satelliti Nasa Syncom II e III. Oggi l’internet via satellite ha superato la più visionaria delle idee dello sceneggiatore di 2001: Odissea nello spazio. Streaming, giochi, videochiamate e servizi internet sono forniti da satelliti miniaturiz zati, in orbita bassa, tra 300 e 1000 chilometri dalla Terra. Parliamo degli Starlink di Elon Musk, il cui servizio è disponibile anche in Italia. Nei primi gior ni di novembre, l’abbonamento è passato da 70 a 50 euro al mese, più 410 euro per l'hardware. Il pacchetto comprende un periodo di prova al termine del quale si conferma l’abbonamento o si restituisce il tutto. La rete Starlink è attiva su tutti e cinque i continenti con quasi un milione di abbonati. La fotta opera a 550 chi lometri di altezza e ha raggiunto, con il lancio del 65° lotto dello scorso 28 ottobre, le complessive 3.558 uni tà in volo. Obiettivo di Musk: arrivare a più di 40.000 unità nei prossimi anni. Le antenne in orbita, non più grandi di mezzo metro, sono montate sui singoli satel liti di 260 chilogrammi circa. Garantiscono una con nessione satellitare a banda larga tra Terra e Spazio, autonoma dall’infrastruttura terrestre. L’architettu ra di connessione funziona grazie a una ritrasmissio ne bidirezionale spazio/terra che utilizza il Starlink Gateway Site, un centro di terra che comunica con l’unità di volo. Il cliente riceve a casa il kit: antenna, una base, un router, un cavo starlink largo 2,9 cm e lungo 22 metri, un cavo di alimentazione. L’ antenna-
phased array- è composta da un singolo pannello so lare, capace di orientarsi in modo autonomo. Studiata per essere utilizzata in qualsiasi ambiente terrestre, vanta una capacità di scioglimento della neve fno a 40 mm/ora e una resistenza alle temperature tra i - 30° gradi C a 50°C. Il consumo energetico medio è com preso tra i 50 e i 75 Watt: una lampadina a basso con sumo di 1000 W per un’ora, costa circa 20 centesimi di euro. Dotati di sistema di anticollisione autonomi, sono in grado di evitare impatti con altri satelliti o con detriti spaziali. Un sistema che riduce il rischio di er rori umani, assicurando una eccezionale afdabilità. I sensori di navigazione rilevano in modo autonomo la posizione delle stelle, l’altitudine e l’orientamento di ciascun satellite. Dotati di laser ottici spaziali, ancora in fase di test, questi satelliti trasmettono dati senza passare per le stazioni locali a terra. La connessione via satellite della SpaceX non si limita agli Starlink ma comprende anche gli Swarm, satelliti operativi per i servizi l’Internet of Thinghs (IoT). Gli Swarm della SpaceX si distinguono per la dimensione: sono in as soluto i più piccoli satelliti presenti nello spazio, con
L’immagine mostra l’architettura del sistema di comunicazione via internet di Starlink. La comunicazione è bidirezionale: l’unità di volo comunica con il centro di terra e con il cliente. Crediti: 3G4G5G
dimensioni che non superano gli 11 x 11 x 2,8 cm. Sono pensati per occupare poco ingombro per la messa in orbita, abbattendo anche i costi di lancio rispetto alla maggior parte dei satelliti. Un risparmio che la SpaceX rivendica nelle sue politiche commerciali. Di fatto è la sola azienda al mondo autonoma nei sistemi di lancio e di rientro per umani e per satelliti.
del Sistema solare in supporto alle grandi missioni: moltissimi sono i servizi oferti dai nanosatelliti, e altrettante le possibili ricadute tecnologiche sul nostro pianeta.
Fino a qualche decennio fa, applicazioni di questo genere erano inimmaginabili. Ba sti pensare che i cubesat nascono come una sorta di giocattolo altamente tecnologico, inizialmente conce pito per scopi didattici. Siamo negli Stati Uniti, verso la fne degli anni ’90, Bob Twiggs e Jordi Puig-Suari, due pro fessori rispettivamente all’Università di Stanford e all’Università Politecnica della California, decidono di utilizzare in classe dei piccoli prototipi di satelliti: i primissi mi cubesat.
In quegli anni anche l’Italia, nelle aule dell’Università di Roma La Sa pienza, sperimenta con il Professor Filippo Graziani un programma di realizzazione di cube sat universitari, poi fnanziati dall’Agenzia Spaziale Italiana. In circa vent’anni le capacità italiane si sono consolidate, arrivando a progetti all’avanguardia come il nanosatellite LiciaCube dell’Asi, testimone oculare dello scontro tra la sonda Dart e l’asteroide Dimorphos. O ancora ArgoMoon, cubesat sempre ita liano, a bordo dello Space Launch System parte del la prima missione del programma Artemis verso la Luna.
Piccoli, agili, economici, versatili e altamente innova tivi. Sono i nanosatelliti, o cubesat, satelliti delle di mensioni di una scatola da scarpe o anche meno, che negli ultimi anni stanno rivoluzionando il modo di concepire l’accesso allo spazio. Ma a che cosa servono questi satelliti in miniatu ra? Dall’Internet of Things alla connessione globale, dall’In-Orbit Servicing ai sistemi di sorveglianza, dagli esperimenti in microgravità per la farmacolo gia e la scienza dei materiali, all’esplorazione robotica
I nanosatelliti, o cubesat, negli ultimi anni stanno rivoluzionando il modo di concepire l’accesso allo spazio. Crediti: Nasa
Ma al fanco delle missioni scientifche e tecnologiche, le applicazioni forse meno conosciute eppure altret tanto interessanti sono legate ai servizi oferti dai nanosatelliti. Non serve andare troppo lontano: ba sti pensare ad esempio all’Internet of Things, popo lata dagli ‘oggetti intelligenti’ che sempre più stanno entrando nella nostra vita di tutti i giorni: computer, smartphone e tablet, ma anche gli oggetti che ci cir condano all’interno delle nostre case, al lavoro, nelle città, e che sempre più spesso sono interconnessi. Le costellazioni di nanosatelliti possono fornire un uti lissimo aiuto in questo settore, poiché in grado di for nire una connessione globale a basso costo consenten do l’accesso internet anche alle zone più remote, non coperte dai servizi Tlc ‘standard’. Un passo importan te quindi verso la riduzione di quel “divario digitale” attribuibile per la maggior parte alla mancata dispo nibilità economica da parte dei paesi in via di sviluppo di dotarsi di una struttura Tlc in grado di fornire un accesso ad Internet afdabile ed economico.
Tornando all’Internet of Things, le applicazioni pra tiche dell’impiego dei cubesat in questo ambito vanno dal controllo di infrastrutture nazionali come auto strade, ferrovie, ponti, dighe al monitoraggio ambien tale. A tal proposito, il servizio di Internet of Things basato su costellazioni di nanosatelliti po trebbe anche essere un valido aiu to per contrastare la crisi cli matica che stiamo vivendo. Ad esempio, fornendo in formazioni per migliorare i sistemi di irrigazione e risparmiare le risorse idriche.
Questi servizi sono tanto più efcien ti quanto più riescono a contare su costellazioni numerose, negli ultimi anni infatti la tendenza emergente è quella delle così dette mega costellazioni di nanosatelliti, re lativamente poco costose rispetto a quelle realizzabili con satelliti di taglia superiore e più facili da dispiegare in orbita con un numero ridotto di lanci. Diverse quelle già attive, fra le quali quella della compagnia Spire Global, che ofre una rete di oltre 90 cubesat per applicazioni che van no dalle previsioni metereologiche ai sistemi di sorve glianza marittima e di air trafcking. Ci sono poi tutti i servizi oferti dal settore sempre più in espansione dell’In-Orbit Servicing, che comprende un gran numero di attività orbitali come i cosiddetti servizi di life-extension di satelliti giunti al limite della propria capacità energetica, i servizi di refuelling o di deorbiting, o ancora i servizi di active debris removal (Adr). Questi ultimi sono forse i più urgenti, nell’ot tica di un utilizzo sempre più massiccio dell’orbita bassa - con un conseguente aumento della ‘spazza tura spaziale’. Secondo lo Space Environment Report 2022 dell’Esa, ci sono attualmente circa 30mila pezzi di detriti spaziali in orbita bassa. La missione Clear space 1 dell’Esa, che dovrebbe diventare operativa nel 2026, ha come obiettivo proprio quello di intercettare un grosso debris spaziale, catturarlo per poi rientrare in maniera controllata in atmosfera. In questa attività il satellite dall’Agenzia Europea sarà assistito da un nanosatellite, denominato e-Inspector, supportato dall’Agenzia Spaziale Italiana nell’ambito di uno dei programmi di sviluppo tecnologico dell’Esa. Questo cubesat avrà il compito di ispezionare il detrito for nendo informazioni utili per la sua rimozione proprio alla sonda madre Clearspace 1.
La futura missione Clearspace 1 dell’Esa per la rimozione dei detriti spaziali. Sarà affancata dal cubesat dell’Asi e-Inspector. Crediti: Esa
Un ‘drone spaziale’, in grado di svolgere manovre in orbita molto precise rispetto a un target virtuale predefnito con requisiti di safety compatibili anche con la ISS. È Iperdrone, un nanosatellite dell’Agenzia Spaziale Italiana il cui lancio è previsto nel 2023 che ha l’obiettivo di validare in orbita tecnologie propedeutiche all’In-Orbit-Servicing fra cui, in primis la capacità di ispezione, ad esempio della ISS o di altri sistemi in orbita bassa, incluso lo stadio alto del lanciatore dopo la separazione, ed in un secondo momento rendezvous e docking. In futuro, una versione avanzata di Iperdrone potrebbe portare anche allo sviluppo di sistemi di rientro non distruttivo in atmosfera. Questo permetterebbe di portare in orbita payload di vario genere, ad esempio anche esperimenti scientifci in microgravità, che potrebbero poi essere riportati a terra proprio come oggi accade per i carichi destinati alla ISS. Fornendo così un’alternativa altrettanto valida e molto più economica.
Questi e molti altri sono i servizi offerti dalla tecnologia cubesat, che permettono di rendere più accessibili, versatili ed economiche le applicazioni già attualmente in uso grazie ai satelliti tradizionali. Contribuendo così anche alla grande sfda della democratizzazione dello spazio.
ad alta potenza, ecc.); minacce elettroniche come in terferenze con le comunicazioni da o verso i satelliti (jamming, spoofng, ecc.); minacce cyber che impat tano gli stessi dati satellitari e i sistemi che ne utiliz zano, trasmettono e controllano il fusso; minacce de rivanti da satelliti di ispezione che avvicinano i nostri asset per ottenere informazioni o dettagli costruttivi.
Sovrafollamento delle orbite, fenomeni naturali, at tacchi da parte di nazioni ostili. Sono questi pericoli che minacciano gli asset spaziali, gli stessi da cui di pendono servizi irrinunciabili per la qualità della vita sulla Terra e per la sicurezza dei suoi abitanti. Le orbite spaziali più importanti sono già oggi con gestionate da una crescente spazzatura spaziale. Se condo l’Agenzia Spaziale Europea il numero di detriti regolarmente tracciati dalle reti di sorveglianza spa ziale è di circa 31.600, ma quello stimato è nell’ordine delle centinaia di milioni.
Ai danni volontari, causati dall’uomo, vanno poi ag giunti quelli accidentali, provocati da fenomeni natu rali. Nell’agosto del 1972, una serie di potenti tempeste solari causò un blackout dei satelliti e dei sistemi di comunicazione a terra. Fortunatamente in quel perio do non c'erano esploratori umani al di fuori del cam po magnetico protettivo della Terra. Se gli astronauti avessero incontrato queste tempeste dall'interno dei loro moduli, le massicce dosi di radiazioni avrebbero causato un avvelenamento acuto. Per un astronauta impegnato in una passeggiata spaziale l’evento sareb be stato fatale.
Numeri così elevati aumentano la possibilità di col lisioni, imponendo: costi operativi più elevati e una minore vita utile dei satelliti a causa delle frequenti manovre per evitare le collisioni; rischio di perdere importanti risorse spaziali e servizi associati; rischio per gli esseri umani nello spazio. L’avvento di me ga-costellazioni per le comunicazioni a banda larga e la cosiddetta democratizzazione dello spazio, abbas sando le barriere di accesso, sta contribuendo a peg giorare la situazione.
L'afollamento fsico delle orbite con satelliti e detriti può portare a una reazione a catena, nota come sin drome di Kessler, un fenomeno in cui la quantità di spazzatura in orbita raggiunge un punto tale da creare sempre più detriti spaziali e rendere difcile o im possibile l’accesso allo spazio, minando defnitiva mente la sostenibilità di questa risorsa.
I detriti, però, non sono l’unica minaccia per satel liti e altri asset fondamentali. Più il nuovo dominio spaziale diventa strategico per la difesa, più diventa conteso, con i diversi schieramenti che sviluppano ca pacità per danneggiare i beni spaziali in diversi modi. Fra queste elenchiamo minacce cinetiche con attacco diretto a un satellite o a una stazione terrestre; armi anti-satellite lanciate da terra (Direct Ascent ASAT); armi ASAT co-orbitali, manovrate verso il bersaglio previsto o in prossimità di esso e attacchi alle stazioni terrestri; minacce non cinetiche che provocano efet ti sui satelliti anche senza contatto (laser, microonde
Episodi come questo svelano il ruolo cruciale che le informazioni di Space Weather giocano nelle attività extraterrestri. Le mutevoli condizioni del sistema so lare hanno infatti un impatto sulle risorse spaziali e sui servizi associati, ad esempio: disturbi alle comu nicazioni radio e satellitari, efetti sulla salute degli equipaggi di voli ad alta quota/alta latitudine, inter ferenze radar, efetto sulla ionosfera e conseguenti impatti sui servizi di navigazione, impatto sull'elet tronica di bordo dei satelliti.
Tutte le minacce citate fn qui trovano un argine nella Space Domain Awa reness, l’insie me di atti
vità volte a controllare l'ambiente spaziale, compreso il monitoraggio dei fenomeni naturali e il tracciamen to degli oggetti in orbita. Le componenti principali della SDA sono: Space Trafc Management, attività mirate a evitare collisioni tra satelliti e detriti; Spa ce Intelligence, protezione dei satelliti che forniscono servizi essenziali e raccolta di informazioni volte ad avere un vantaggio competitivo nel dominio spaziale; Space Weather, rilevamento, previsione e valutazione dei fenomeni solari e meteorologici.
L'approccio integrato di Telespazio contro queste mi nacce si basa su una consolidata esperienza in attività di Space Situational Awareness. Fin dagli anni Sessan ta, infatti, Telespazio ha condotto attività di gestione dei satelliti, che implicano la prevenzione delle colli sioni e al rilevamento delle anomalie. Oltre a collabo razioni con istituzioni italiane, francesi ed europee, Telespazio è impegnata in progetti che coinvolgono tutte e tre le componenti della SDA, tra cui importanti progetti europei come H2020 Spaceways e EDIDP INTEGRAL.
Tutte le attività elencate fn qui non sa rebbero possibili senza una sorgente di dati afdabile e continua. Ad oggi le tecnologie più utilizzate sono radar e telescopi che da terra raccolgono informazioni sugli oggetti nello spazio. Telespazio ha investito in Northstar, la start up che per prima ha considerato la pos sibilità di raccogliere queste informazioni direttamen te nello spazio, superando così le limitazioni geogra fche e di condizioni atmo sferiche. La costellazione
Northstar sarà lanciata nel primo semestre del 2023 e Telespazio sarà il distributore esclu sivo di dati e servizi per le istituzioni e difese europee.
In conclusione, un approc cio integrato alla Space Domain Awareness prevede un unico am biente in cui tutti e tre i pilastri sono rappresentati, molteplici sorgenti di dati sono disponibili e le informazioni sono ra pidamente fruibili da utenti e operatori. Tra mite l’evoluzione del prodotto ease-ground, già dalla fne del 2022 Telespazio renderà disponibile una prima soluzione per realizzare l’approccio inte grato: una piattaforma digitale, completa e scalabile, basata su algoritmi e tecnologie avanzate, che con sentono la fusione di dati provenienti da fonti diverse e l’erogazione di servizi di STM, Space Intelligence e Space Weather in un ambiente integrato che sfrutta le più avanzate tecnologie di Intelligenza Artifciale/ Machine Learning ed uso di reti neurali.
L’unico giorno giusto per arrendersi è il primo romanzo scritto da Paolo Nespoli dopo i tre lavori precedenti dedicati alle sue avventure spaziali. È un libro che, per chi conosce l’autore, per lunghi tratti potrebbe sem brare un’autobiografa, cosa che lui nega. Il volume racconta la storia di Manlio Santachiara, un astronauta da poco in pensione, e Stella, una ragaz za brillante ma inquieta, fglia di Eleonora, una cara amica di gioventù di Manlio.
Il racconto, diviso in tre parti, inizia con l’incontro casuale dei due protagonisti in un piccolo paese della Toscana dove Manlio si reca per tenere una conferen za in una scuola e con la speranza di incontrare Eleo nora, la ragazza con la quale aveva stretto una tenera amicizia in gioventù condividendo con lei il sogno di diventare astronauta che aveva sin da bambino. Eleonora le aveva dato il coraggio e la volontà di cre derci ed è sua la dedica “Il giorno giusto per arren dersi è l’ultimo” scritta nel libro che aveva regalato a Manlio al momento della loro separazione. Saputa la triste notizia della morte di Eleonora tanti anni prima e incontrata casualmente la fglia di lei, Stella, Manlio decide allora di assecondare la richiesta che la don na le aveva fatto in una lettera tempo prima, ovvero aiutare la ragazza a trovare la forza e il coraggio per superare le sue insicurezze e i dubbi che la bloccano nel provare a realizzare i suoi sogni.
La parte centrale del romanzo, ambientata a Livorno alcuni mesi dopo, narra i giorni nei quali Manlio guida Stella in alcune prove fsiche a terra, in mare e in aria, le stesse sfde che l’astronauta aveva superato quando
titolo: L’unico giorno giusto per arrendersi autore: Paolo Nespoli editore: Mondadori anno edizione: 2022 Prezzo: 19,50 euro
Dal sapore autobiografco il primo romanzo di Paolo Nespoli è un incoraggiamento alla lotta contro le proprie paure
era Incursore nell’esercito, durante i vent’anni di ad destramento alla Nasa e nei 12 mesi di vita nella Sta zione Spaziale Internazionale.
Nella terza e ultima parte il racconto si sposta su quella che è la lotta più difcile da superare, quella di Manlio contro una malattia grave che nel giro di poco tempo gli toglie forze ed energie fsiche e gli spegne impietosamente ogni aspettativa futura. Ancora una volta la volontà e la determinazione pre miano e il messaggio, presente tra le righe di tutto il racconto, è rivolto a tutti soprattutto ai giovani, ed è molto chiaro: bisogna sempre lottare contro le proprie paure e insicurezze, sconfggere i dubbi e riconoscere le proprie capacità per metterle a frutto senza mai ar rendersi. Almeno fno all’ultimo giorno.