ISFOA Istituto Superiore di Finanza e di Organizzazione Aziendale Libera e Privata Università Telematica a Distanza di Diritto Internazionale Ente di Ricerca Senza Scopo di Lucro e di Interesse Generale
CARLO ALFREDO MARIA GILIO
Flora SaSSo
RAPPORTO AMBIENTE - TERRITORI URBANI LA DIMENSIONE AMBIENTALE NEL l’UmoriSmo : PROGETTO DELLA CITTA’
Un raggio nella vita
ISFOA Edizioni Accademiche Scientifiche Internazionali Digitali
Carlo Alfredo Maria Gilio ha conseguito presso la Facoltà di Ingegneria Industriale di ISFOA Libera e Privata Università di Diritto Internazionale il Diploma di Laurea Magistrale in Pianificazione Territoriale Urbanistica ed Ambientale con specializzazione in Sociologia dell’ Ambiente e del Territorio . Carlo Alfredo Maria Gilio riveste la Posizione Organizzativa Politiche Comunitarie e Connessione al Bilancio Direzionale all’ interno della Direzione Generale dell’Ambiente, del Territorio e dell’Energia della Regione Basilicata .
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Facolta’ di Ingegneria Laurea Magistrale in Ingegneria Ambientale Specializzazione in Pianificazione Territoriale, Urbanistica ed Ambientale (LM 35)
RAPPORTO AMBIENTE - TERRITORI URBANI La dimensione ambientale nel progetto della città
Laureando: Carlo Gilio Relatore: Ch.mo Prof. Dott. Vincenzo Mallamaci Correlatore: Arch. Angelino Mazza PhD
AnnoAccademico 2020/2021 Matricola 436675/21
A mio padre e a mio zio Giorgio, maestri di vita e di valori
INDICE Introduzione Dalla città ai territori urbani 1. Rapporto fra città e territorio 1.1Evoluzione storica del rapporto fra città e territorio 1.1.1 Spazio eterogeneo: il periodo pre-moderno o classico 1.1.2 Spazio tematizzato e continuo: il periodo moderno 1.1.3 Spazio frattale e frammentato: il periodo contemporaneo 1.2 Le forme della città e del territorio nella lettura fenomenologica Dal territorio alla città 2. Il progetto dei territori urbani fra Natura e artificio 2.1 Città, ambiente e territorio 2.2 Il progetto del territorio come presupposto 2.2.1 La forma del territorio 2.2.2 Il progetto ambientale 2.3 Prodromi del progetto ambientale 2.3.1 Il movimento conservazionista 2.3.2 La Landscapearchitecture 2.3.3 Il regional planning 2.4 Progetti a confronto 2.4.1 L’ambiente da preservare: l’approccio conservativo 2.4.2 L’ambiente come decoro: l’equivoco del “verde” 2.4.3 L’ambiente come struttura: forma e processo dell’urbano 2.5 Filoni di ricerca 2.5.1 Ecological Planning 2.5.2 Landscape planning 2.5.3 LandscapeUrbanism Barcellona: la metamorfosi da metropoli a postmetropoli 3. La pianificazione urbanistica e paesaggistica di Barcellona 3.1 La pianificazione urbanistica e paesaggistica in Italia 3.2 L’evoluzione della pianificazione di Barcellona 3.3 L’evoluzione della pianificazione nell’area metropolitana di Barcellona 3.4 Le recenti evoluzioni della geografia metropolitana di Barcellona 3.5 Il caso studio: i processi di trasformazione urbana dell’area Diagonal Mar Conclusioni
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INTRODUZIONE Una delle questioni urbane del XXI secolo a cui il progetto deve rispondere, come sottolineato da diversi autori, è indubbiamente legata ai problemi ambientali. Oggi, come nel futuro prossimo, ogni area urbana sottoposta a trasformazioni si dovrà misurare con questo aspetto. Come ogni nuova questione che si è presentata nella storia, anche quest’ultima necessita di figure diverse da quelle del passato. Questa premessa implica la necessità di un nuovo sguardo verso la città, capace di descriverla e quindi progettarla. In primo luogo, è necessariocapire con quale tipo di città ci stiamo raffrontando. È ancora pensabile riferirsi solo alla città compatta o alla città diffusa? O è più opportuno parlare di forme urbane che si disperdono sul territorio? Questo lavoro utilizza la locuzione territori urbani per descrivere la complessità della città contemporanea e come campo di indagine e di progetto per capire il rapporto fra la città,il territorio e il paesaggio. La realtà che si presenta, che vede forme urbane diluite nel territorio, ci impone un ripensamento degli strumenti del progetto atti a comprendere e gestire questi fenomeni, che necessariamente si legano a questioni generali di ordine ambientale e più specificatamente ecologico. I fenomeni di prevaricazione dei sistemi costruiti e delle reti infrastrutturali nei confronti degli elementi ambientali del territorio, iniziati durante la costruzione della città industriale del XVIII secolo, hanno raggiunto negli ultimi cinquant’anni un alto grado di irreversibilità. Questo rende necessario nel progetto una maggiore consapevolezza delle problematiche ambientali. I vari filoni di ricerca e le tendenze disciplinari presentano però equivoci e fraintendimenti riconducibili a un disordine semantico nei confronti dei termini ambiente e paesaggio. A tal proposito, la tesi tenta una ricognizione dei termini e delle discipline progettuali che le afferiscono per scomporre e per meglio comprendere la questione ecologica nel suo rapporto con il progetto dell’ambiente urbano e del territorio. Il campo di indagine si concentra sul legame e sulle relazioni tra la dimensione dei territori urbani e la dimensione ambientale. Legando queste due condizioni, contrariamente alla dissoluzione dei confini e della corporalità che la città contemporanea sembra imporci, propone una riflessione su come le esperienze legate al progetto dell’ambiente possano offrire un’opportunità per il progetto della città e del territorio. In tale solco si inserisce il caso della città di Barcellona analizzato nel presente lavoro di tesi in relazione alle trasformazioni urbanistiche degli ultimi trenta anni che hanno visto protagonista la città e la sua area metropolitana. Alla “razionalità” che il Piano Generale Metropolitano (1976) aveva dato alla crescita urbana, subentrano, a partire dagli anni novanta, questioni importanti (Olimpiadi del 1992, Forum delle Culture del 2004) che hanno rappresentato un cambio di scala nella dimensione urbana di Barcellona città, modificandone il rapporto con il territorio.L’analisi condotta per la città di Barcellona si aprirà anche ad una riflessione sulla situazione italiana.
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DALLA CITTÀ AI TERRITORI URBANI 1. Rapporto fra città è territorio Le grandi trasformazioni che investono la città e il territorio hanno messo in crisi le modalità della loro costruzione e costituzione. Questo impone una rilettura della loro forma e della loro struttura, differente rispetto all’idea e alle immagini che la modernità ci ha consegnato. Uno dei primi passi da parte delle discipline del progetto che è stato compiuto durante gli anni Sessanta, durante i quali, nel contesto culturale europeo e Nordamericano, si svilupparono posizioni critiche e in contrasto, anche se distanti ed eterogenee far loro, sull’approccio funzionalista dell’urbanistica. Le trasformazioni territoriali che si presentavano non potevano essere gestite con gli strumenti che la disciplina metteva a disposizione: lo zoning e il piano degli standard. La “tabula rasa” della Carta di Atene viene messa in discussione nelle sue radici più profonde e ci si avvia ad una riflessione sul senso del progetto che sia capace di mettere in relazione i nuovi ed inediti materiali urbani che la contemporaneità presenta. Inizia a delinearsi un’idea di urbanistica maggiormente basata su un criterio qualitativo dello spazio oltre che su criteri prestazionali. I filoni di ricerca seppur non omogenei negli intenti e nei risultati, mettono in luce la necessità di individuare nel paesaggio e nel territorio i campi di studio con cui il progetto di architettura e di urbanistica si devono confrontare. Alcuni di questi filoni, in maniera differente, hanno dato un contributo importante nella pratica e nei fondamenti teorici del progetto contemporaneo. Oggi la questione con cui sembra debba confrontarsi il progetto della città e del territorio è costituito dall’assenza del limite, ossia la dissoluzione della dicotomia storica fra città e campagna. Questo obbliga un rinnovamento profondo dei presupposti su cui il progetto si fonda, aprendo all’interno delle discipline del progetto punti di crisi e argomenti di dibattito supportate dall’ingresso di temi e questioni inedite. A tal proposito, la tesi tenta una ricognizione dell’evoluzione1 della città contemporanea o, come verranno definiti all’interno della tesi, dei territori urbani. Lo scopo non è quello di riorganizzare una storia dell’evoluzione del rapporto fra città e territorio, né una cronologia del modo di pensare questo rapporto, ma piuttosto di delineare ed esplorare il suo andamento discontinuo. Per indagare i rapporti mutevoli fra città e territorio, che nella storia si configurano in modi ed usi differenti, viene utilizzata come chiave di lettura la proprietà e la nascita del soggetto. A tal proposito si propone un’interpretazione dell’evoluzione di questo rapporto articolata in tre fasi che determinano, più che una successione, una stratificazione del rapporto fra città e territorio.
1.1Evoluzione storica del rapporto fra città e territorio Come sostiene Jean Gottmann, la città e il territorio sono entità in “evoluzione”, un’evoluzione costante durante nella storia. Questo è testimoniato da quello che oggi intendiamo per città e per territorio, entità difficilmente descrivibili e difficilmente separabili. Il sistema urbano si sviluppa in ogni luogo, partendo dalle città si è propagato nelle campagne e non fa distinzione nelle diverse realtà urbane. 3
Il rapporto fra la città e il territorio modificatosi nella storia, si presenta oggi come lo spazio contemporaneo della vita urbana. A tal proposito si propone una lettura e interpretazione degli spazi che sono stati generati dal rapporto mutevole fra queste due realtà. Quando la città si è annessa progressivamente porzioni sempre più vaste di territorio, non sempre è riuscita a trasferirvi le sue qualità urbane; anche quando non si è provocato il degrado delle aree rurali precipitate in una sorta di limbo, dove non sono più campagna e non sono ancora città.
1.1.1 Spazio eterogeneo: il periodo pre-moderno Con il crollo dell’Impero Romano emerge una differente forma di territorialità rispetto alla continuità. Il territorio è disegnato da una geografia articolata e complessa, che vede la presenza di diversi centri del potere. La città pur emergendo come ambiente significativo per l’organizzazione del territorio non ne rappresenta il centro. Come sostiene Giovanni Ferraroa visione romana del territorio, che vedeva quest’ultimo come uno spazio puramente materiale completamente disponibile alle trasformazioni, uno spazio liscio e omogeneo, inizia a frammentarsi e intrecciarsi. Diversi fattori, fra cui la scomparsa della centralitàdi Roma, mettono in luce un modo diverso di concepire lo spazio che si manifesta anche in un modo differente di concepire il rapporto fra lo spazio e la norma. Durante il medioevo emerge una concezione del territorio che vede lo spazio come “finito”, e, come sottolinea Lidia Decandia, formato da “luoghi “avvicinati” uno all’altro, esito di storie spazio-temporali diversificate, irriducibili le une alle altre” (Decandia, 2008). Questo modo di concepire il territorio si manifestava anche nella geografia articolata dei poteri e delle istituzioni che su esso insistevano, fatto anche di contrapposizioni e sovrapposizioni di centri di potere, ma che in qualche modo recuperava il senso del genosdei Greci, quest’ultimo caratterizzato da un legame con il territorio. Quando con il tempo questi frammenti sempre di più incominciarono a coincidere con ambiti territoriali precisi si venne a determinare una nuova realtà in sediativa, dove consuetudini e abitudini erano radicate ai luoghi. Ognuno di questi ambiti territoriali rendeva possibile una congiunzione univoca fra l’uomo e il territorio che viveva. Il territorio non era una realtà separata, così come ci mostra la logica scientista del periodo moderno, ma i limiti fra l’oggetto e il soggetto; quindi, fra l’uomo e il suo territorio erano ormai inseparabili. Così come sottolinea Paolo Grossi, il diritto altomedievale e quindi la norma che lo “progetta”, invece di caratterizzarsi per la sua astrazione, preferiva registrare la complessità che sul territorio si manifestava, una sorta di carnalità dello spazio giuridico medievale. A differenza del mondo romano, che vedeva la legge come una proiezione sul territorio di un livello superiore, nel territorio altomedievale è la consuetudine registrata a diventare fondamento del diritto che si esercita su di esso. Le norme in questo periodo nascono e sviluppano dal logos, da una condivisione di un patrimonio culturale comune che permette agli uomini di riconoscersi e rendersi partecipi ad un determinato territorio. 4
Con la nascita di alcuni poli significativi per l’organizzazione come le città, con le nuove forme del governo comunale, questo metodo normativo e questa complessità organizzativa del territorio non vengono messi in crisi, l’articolazione dello spazio e delle norme rimangono inalterati. Le città e l’ambiente non venivano visti come organismi sperabili e dicotomici, ma erano considerati come un insieme complesso non separabile. La città e il territorio, pur mantenendo i caratteri di complessità e di varietà che caratterizzavano lo spazio giuridico alto mediovale, assumono caratteri di appartenenza ad un luogo e alle sue consuetudini. Recuperando un rapporto tipico della polisgreca, che vede nel genose nel logos il criterio fondamentale del radicamento terraneo, un radicamento a tradizioni e costumi tipici di un luogo.
Lorenzetti A. Allegoria degli Effetti del Buon Governo in Città (1338-1339)
Allegoria degli Effetti del Buon Governo in Campagna (1338-1339), Palazzo Pubblico, Siena
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1.1.2 Spazio tematizzato e continuo: il periodo moderno Con il Rinascimento e ancora maggiormente durante l’illuminismo, la città assume il primato nei confronti del territorio. La città moderna è il risultato di un lavoro durato cinque secoli, che vede nella continuità la figura principale di questo lungo processo.Con il Rinascimento e con l’affermarsi della rappresentazione prospettica (Panofski, 2001) un altro modo di concettualizzare lo spazio avrà importanti risvolti anche nel progetto della città e del territorio. L’idea dell’occhio esterno al mondo, la prospettiva, sancisce la separazione tra oggetto e soggetto. A partire dal XV secolo la concezione dello spazio e del ter ritorio che fino ad allora aveva caratterizzato tutto il perio do medievale subisce una profonda modificazione. Questa nuova forma simbolica di rappresentare lo spazio sancisce una separazione fra il soggetto e l’oggetto, scaturendo in un modo nuovo di concepire e di dare forma allo spazio che necessariamente avrà risvolti sullo stesso modo di pensare il “progetto” del territorio. La separazione tra soggetto e oggetto tipica del pensiero della modernità, attuata tramite la rappresentazione prospettica, renderà possibile e concretizzerà l’idea dell’occhio esterno al mondocapace di concepire, normare e progettare un territorio inteso come materiale passivo. Contemporaneamente, sempre nello stesso ambiente fiorentinorinascimentale, i geografi riprendendo i fondamenti della geografica tolemaica, attuano unamessa a punto degli strumenti di rappresentazione cartografica in ottica scientista, recuperando uno strumento di rappresentazione del territorio abbandonato da molto secoli. A differenza del Medioevo, dove lo spazio era pensato come frammentato e dove ogni frammento possedeva un’organizzazione interna, con la ripresa della geografia tolemaica il territorio comincia ad essere trattato come una superficieneutrale e comincia ad essere pensato come un quadro. La rappresentazione su unico piano permette di pensare la terra come un elemento esteso, facendo emergere la figura della continuità. Come sostiene Franco Farinelli nell’operazione di riduzione continua “del globo alla terra, della terra alla sua superficie e di quest’ultima ad una tavola”, ha reso possibile una riduzione del territorio in una superficie piatta disponibile alle trasformazioni. L’operazione di riduzione del territorio in uno spazio isotropo permette un suo rimaneggiamento che si spinge fino alla costruzione della stessa realtà. Il territorio è reso spazio astratto misurabile e trasformabile, dove è possibile imporre un ordine precostituito. Nelle mappe il territorio appare come pura forma istantanea e non come risultato di un processo, ambientale e antropologico, che può essere trasformata senza il sistema che l’ha prodotto. La carta crea l’illusione di trovare un ordine, di crearlo, che possa essere trasposto al territo rio, il territorio esistente diventa il territorio rappresentato e quindi modificabile.
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Leonardo da Vinci. Mappa della città di Imola
Il predominio concettuale e strumentale della carta, non solo agisce sull’idea di territorio, ma condiziona notevolmente il modello della sua organizzazione e il rapporto fra le centralità organizzative e i territori di influenza. Come sostiene Foucault, è qui che nasce il concetto di sovranità che pone come problema determinante la sede del governo, la città, che rende possibile la capitalizzazione di un territorio. Ma allo stesso tempo è qui che si sviluppa la nozione di disciplina che rende possibile una distribuzione gerarchica degli elementi che compongono il territorio stesso, dando forma architettonica allo spazio. Come sappiamo, il rapporto fra la città e il territorio raggiungerà il suo apice proprio con l’istituzione e l’organizzazione dello Stato moderno. L’organizzazione non solo giuridica del territorio vede proprio nello Stato le premesse insite della costruzione dello spazio che concettualmente nasce e si sviluppa con lo spazio prospettico e quello delle mappe cartografiche. La città, in questo lungo processo di riorganizzazione territoriale, comincia ad assumere un ruolo predominante nei confronti del territorio. La città, nella sua forma di governo centrale, comincia ad imporre il suo sguardo sui luoghi che finoad allora avevano con essa un rapporto di interdipendenza. La città diventa il luogo dove si manifesta l’occhio del potere centrale, imponendosi come cardine di un nuovo ordine che si stava costituendo. Con la nascita dello stato moderno, fortemente influenzato dall’Illuminismo, avviene uno svuotamento del territorio e delle differenze del luogo. “Sgombrare” ilterritorio, in primo luogo, dalle consuetudini culturali che ne determinavano l’uso e la gestione, ha permesso successivamente la sua progettazione con un occhio esterno. La città diventa lo spazio neutrale dove organizzare l’intero territorio. Lontano da ogni peculiarità dei singoli luoghi e lontano 7
dall’influenza del particolare, diventa possibile organizzare ed elaborare la regola e il progetto da calare sui territori. In questo momento avviene anche il ripensamento dell’individuo con l’esaltazione della proprietà privata, che rende possibile immaginarlo come una soggettività autonoma e indipendente. Come sostiene Bernardo Secchi7 la città moderna è frutto di un lungo, e lento processo, che, come abbiamo visto, nasce con il Rinascimento e si spinge fino al XIX secolo, ed è fortemente caratterizzata dalla figura della continuità. La continuità è una figura, che nonostante tutto il periodo della modernità sia fortemente influenzato dall’aspetto visivo, non può limitarsi solo alla forma e agli aspetti visivi dello spazio ma ha radici molto più profonde anche nello stesso pensiero. Basti pensare all’origine della città moderna e la nascita delle discipline come continua divisioni del sapere.
1.1.3 Spazio frattale e frammentato: il periodo contemporaneo In Europa, o più genericamente in occidente, la città contemporanea non presenta i medesimi caratteri, sicuramente è possibile parlare del frammento come uno dei segni che principalmente la caratterizzano. Il frammento va inteso non solo dal punto di vista fisico, ma anche dal punto di vista sociale, economico, istituzionale e politico. La separatezza come carattere costitutivo della città contemporanea si manifesta in un’assenza di limite. Forse sarebbe corretto non parlare più di città, ma di diverse forme di vita urbana. La città contemporanea, o territori urbani, nasce con la città europea che ha come punto di partenza, non la polisgreca ma, la civitas romana (Cacciari, 2004). Infatti, come sostiene Cacciari, la pòlis, a differenza della civitas romana, indica un luogo preciso dove una determinata stirpe ha sede e dove ha sede il proprio ethos. Per la cultura romana la città rappresenta un confluire di persone diverse per cultura e perreligione che si concordano tramite la legge. Quindi a differenza della città greca, quella romana non contiene un’idea di cittadinanza determinata da un carattere etnico religioso. Questo permetterà a Roma di ampliare il proprio impero senza fine, mettendo assieme, un’idea ripresa dalla “globalizzazione” e dalla città contemporanea e fonda la sua natura sull’assenza del limite. Un’unica forma urbiscaratterizzata da un processo continuo di dissoluzione urbana. Le letture e le immagini della città contemporanea sono caratterizzate dal persistere del termine città; modificando in modo netto il punto di vista sui fenomeni, alcune ricerche10 propongono di mettere al centro il termine territorio. Questo ha permesso, tramite la rinuncia nella ricerca di analogie con la città, un’interpretazione differente delle condizioni insediative che lo caratterizzano. Proprio per questo nella tesi si utilizza come campo di indagine i territori urbani, riconoscendo nel termine “territorio” la dimensione fisica e spaziale e nel termine “urbano” quella dimensione che riconosce in esso differenti forme insediative e di vita. Il meccanismo che reggeva il rapporto fra città e territorio che, nel moderno,era retto in forma piramidale e centralistica dalla città, viene interrotto e nuovi modi di abitare si manifestano nella città contemporanea. Ci troviamo sempre più in presenza ad uno spazio frammentato e isotropico, dove le gerarchie del moderno vengono dissolte da nuove organizzazioni sociali e produttive. 8
1.2 Il rapporto fra città e territorio attraverso Lettura fenomenologica Attualmente i fenomeni legati alla comunicazione sembrano riflettere una condizione urbana connessa a processi temporali piuttosto che spaziali, prospettando una città priva di limiti in una situazione di sradicamento dai luoghi. “La città è ovunque: dunque, non vi è più città. (…) Non abitiamo più città, ma territori. (…) I suoi confini non sono che un mero artificio. (…) Ma è evidente che si tratta di un ‘confine’ sui generis: esso esiste soltanto per essere superato. Esso è in perenne crisi.” (Cacciari, 2004). Come sostiene Massimo Cacciari, ogni struttura per poter esistere necessita di confini, e si può abitare un luogo solo dove la sua compiutezza formale entra in relazione con la globalità delle informazioni, negando lo sradicamento dalla dimensione spaziale che la comunicazione sembra imporci. Davanti a questa complessità che mette in discussione l’idea consolidata di città, che tipo di approccio si può utilizzare perleggere, conoscere e progettare la città e il territorio contemporaneo? Il mutare della geografia e della formazione della città contemporanea unito al dilatarsi del concetto di abitare, nei territori con densità differenti come nelle realtà metropolitane, impone un ripensamento delle categorie interpretativetipiche delle diverse discipline progettuali, quali l’architettura e l’urbanistica fino alle scienze sociali e naturali. Non si concentra sulla perdita della dimensione urbana ma sulla ricerca della nuova estensione del fenomeno urbano, composto sempre più spesso da spazi territoriali diversi. Nell’ultimo secolo sono emersi e hanno proliferato i termini che tentano di circoscrivere gli elementi e le dimensioni urbane, portando ancora una volta la città al centro del dibattito intellettuale e politico. Per la prima volta nella storia la maggior parte della popolazione mondiale vive in città e una grande porzione di territorio è caratterizzata da fenomeni urbani. A tal proposito si è organizzato, in modo sintetico e argomentativo, forse non esaustivo, diverse posizioni che riguardano la città contemporanea suddividendole in due macro aggregati. Il primo si concentra essenzialmente sulla dimensione e sul ruolo della città contemporanea, il secondo sull’organizzazione dei nuovi modi con cui si struttura la città nel territorio. Ogni crisi porta con sé una riorganizzazione spaziale e/o tecnologica della produzione, e quindi nuovi rapporti sociali e nuovi assetti geopolitici. Per questo le differenti posizioni sulla città contemporanea verranno rilette attraverso i passaggi da un sistema all’altro. I discorsi sulle nuove forme di urbanità e i modelli di città che la contemporaneità ci consegna sono sempre più complessi. In questi ultimi anni numerose nomenclature teorico-concettuali, pensate ed elaborate da studiosi di diverse discipline, descrivono alcune delle principali forme della città e rappresentano differenti aspetti fenomenologici. Al di là dei caratteri specifici espressi dai diversi autori che accomunano le diverse teorie sulla città, c’è la certezza che debba essere proprio l’idea di città, così come si è sviluppata nel corso del periodo moderno, a essere messa in discussione. Nel corso degli ultimi trent’anni uno dei fenomeni più rilevanti che ha contribuito al mutamento dello scenario è stato l’intensificarsi del fenomeno della diffusione urbana. 9
Dopo un excursus dei termini teorico-concettuali si propone di utilizzare la definizione territori urbani nell’ipotesi che il termine sia indicatore della complessità e la diversità dei fenomeni urbani contemporanei. La città, rompendo i propri confini e invadendo il territorio, crea nuove forme a cui corrispondono nuove condizioni urbane. Lo schema successivo sintetizza alcune delle figure che nell’ultimo secolo sono emerse da questofenomeno.
Conurbation Con il termine “conurbazione” si intende un insieme di in sediamenti urbani che sono cresciuti formando cluster di grandi dimensioni. La sua formazione è dovuta alla crescita della popolazione e all’espansione spaziale degli insediamenti ed è caratterizzata dalla presenza di un forte sprawl urbano. L’origine della parola ‘conurbazione’ è associata ai lavori sugli studi urbani di Patrick Geddes. Nel lavoro del biologo, sociologo e urbanista scozzese il termine è aderente a centri urbani di importanza nazionale e internazionale, fortemente caratterizzati da distretti finanziari, commerciali e industriali. La presenza di centri di potere politico, istruzione e culturale, legata alla forte presenza economica, rende possibile la crescita dei centri fino ad abbracciare località vicine in precedenza isolate, annettendole completamente. La prima applicazione del termine conurbation da parte dell’autore di City in evolution, era pensata per descrivere la possibile comparsa di macro città del futuro che sarebbero nate da luoghi del XIX secolo come Liverpool, Manchester, Glasgow ed Edimburgo. “Need of inquiryintosmaller cities and city-groups. Buthere the samegrowthprocessappears, industrial towns and cities uniting intovast city-regions, “conurbations”, which the broadest surveys are needed to realize… Some name, then, for these city-regions, thesetownaggregates, iswanted. Constellationswecannot call them; conglomerationsis, alas! Nearer the markatpresent, butit may sound unappreciative: what of “Conurbations”? Thatperhaps may serve as the necessary word, as an expression of this new form of population-grouping, whichisalready, asitweresubconsciously, developing new form of social grouping and of definite and administration by and by also.”
Clyde and Forth townsagglomeratingas “Clyde-Forth.” - immagine tratta Cities in evolution 10
Exploting Metropolis Whyte, curatore del libro The Explodingmetropolis, che ospita cinque saggi fra cui quello di Jane Jacobs, introduce la raccolta dedicandola a coloro che amano la città. La premessa evidenzia il forte rammarico verso le politiche urbane delsecondo dopoguerra. Probabilmente Whyte è stato il primo autore ad aver descritto il fenomeno dell’urban-sprawl, definendolo deplorevole per le conseguenze che derivano dallaperdita di preziosi paesaggi rurali. The Exploding Metropolis è stato uno dei primi libri ad innescare una critica in cui lo sprawl era ritenuto inevitabile ed auspicabile, ponendosi in forte polemica con Gottman, che definiva in Megalopolis la catena di città del nord-est degli Stati Uniti come “uno stupendo monumento eretto da sforzi titanici“. “The Exploding Metropolis ranksas one of the first mostinfluentialmanifestos for choice, diversity, integration, anti-expertiseism, and citizens’ participation in urban design. Itprovides a windowinto the undertow of post-modernisthistoricism in the 1950s andintroducesproblemsthatper sist in currentdebatesabout theform and structure of urban life.” Whyte W. H. (1958), The Explodingmetropolis, Garden City, Doubleday
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Megalopolis Il geografo francese Gottman ha usato per la prima volta il termine megalopoli nel 1950 per descrivere l’area urbana che si estende da Washington fino a Boston, lungo tutta la costa orientale degli Stati Uniti, permutando il termine dal greco che sta ad indicare una” città molto grande”. Gottman descrive l’area come il risultato di cambiamenti nelle abitudini di lavoro e di rapporti sociali, caratterizzata da una vasta rete di relazioni interconnesse fra ambienti culturali e politici delle aree urbane, che influiscono notevolmente nei modi di vita degli abitanti. Boswash (la megalopoli fra Boston e Washington) è una vasta area urbana capace di fornire all’intera America molti servizi essenziali che solitamente venivano localizzati al centro delle città, tanto da farle meritare il so prannome di “Main Street” della nazione. La megalopoli viene identificata come un centro commerciale e governativo, dove hanno sede banche, centri dell’informazione e centri accade mici, tutti servizi che permettono di organizzare i trasporti in modo molto semplice. Le megalopoli si configurano non solo come “grandi città”, ma come centri urbani sovra statali e di potere economico e culturale. “We must abandon the idea of the city as a tightlysettled and organizedunit in which people, activities, and riches are crowded into a very small area clearlyseparated from its non-urban sur roundings. Every city in thisregion spreads out far and wide around itsoriginalnucleus; itgrowsamidst an irregularlycolloidalmixture of rural and suburbanlandscapes; itmelts on broadfronts with othermixtures, of somewhatsimilarthoughdifferent texture, be other longing to the suburbanneighborhoods of cities.” Gottmann J. (1964) Megalopolis: the urbanizednortheastern se aboard of the United States, The M.I.T. Press, Cambridge
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Urbanfield L’urbanfileld descritto da John Friendman e John Miller viene identificato dall’ampliamento dello spazio per la vita urbana,che esula dal semplice pendolarismo dalle periferie al centro della vita metropolitana. Questo passaggio verso una vita urbana a una scala più ampia è stato incoraggiato dai cambiamenti tecnologici e dall’economia e che è riscontrabili in alcuniaspetti della vita sociale. La città non è più solo un artefatto politico dove è ancora possibile tracciare una linea capace di distinguere i comportamenti dell’uomo rurale da quellocittadino. Per gli autori, la città non è più solo un’entità fisica capace di collegare flussi di persone, informazioni e materie prime, ma un campo urbano basato sul criterio di interdipendenza delle parti dove la vita urbana si svolge. “The urban field may be viewedas an enlargement of the space for urban living thatextends far beyond the boundaries of existingmetropolitanareas definedprimarily in terms of commuting to acentral city of “metropolitan” size-into the open landscape of the periphery.” Friedmann J. e Miller, J. (1965) “The urban field” Journal of the American Institute of Planners vol. 31 pp 312-319
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Rurbanisation Il neologismo mette in contatto due mondi, quello rurale e quello urbano, avvicinando archetipi che dovrebbero presentare dinamiche ed evoluzione molto diverse, alimentando in modo implicito rapporti di forza e di convivenza di due campi socioeconomici distinti. Osservando diverse mappe è possibile vedere la presenza di edifici singoli o sparsi lungo le strade dovuta a diverse espansioni urbane. Questo fenomeno, secondo Roux e Bauer, caratterizza non solo le periferie di grandi città, ma anche quelle di piccoli villaggi, ed è riconducibile sia all’impossibilità di accedere al mercato immobiliare dei nuclei abitati sia all’immagine stereotipata della vita nellanatura, che ha portato questi luoghi ad essere popolati anche dalla classe media. “La Rurbanisation» résulte de déploiement et de la disséminationdesvilles, dans l’espace; en conséquence, est «rurbaine»,selon une premiére definition approxìmatwe et provisoire, unezone rurali - proche de centres urbains et subissant l’apportrésidentiel d’une population nouvelle, caractériséecependant par lasubsistance d’un espace non urbanisétrèslargementdominant.C’est en ce la surtout que son organization spatiale distingue de celle de n’importe quelle l’espace rural agricole et de l’espace banlieue traditionelle. L’interpénétration de urbain devein talors A l’échelle de l’aménageur, une donnée permanente ducadre devie ...” Roux J. M. e Bauer G. (1976) La Rurbanisationou la ville épar pillée, Editionsdu Seuil, Paris: Fenomeno di Rurbanizzazione nella Francia del sud
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Suburbia_Technoburb Con il termine Technoburb si identifica un nuovo fenomeno legato al dinamismo economico e alla natura mutevole dei sobborghi. Le periferie non sono sede solo di quartieri dormitori, ma anche di quartieri altamente specializzati. Le innovazioni nel campo delle telecomunicazioni hanno permesso la nascita di uffici high-tech in zone decentrate. I tecnoburb fanno riferimento a fette crescenti di periferie che si costituiscono intorno a parchi industriali high-tech, dove si concentrano centri commerciali, culturali e di intrattenimento. Come osserva Joel Fishman, la crescita del technoburbs rende sempre più spesso il centro delle città una vecchia periferia obsoleta.Il risultato del fenomeno trasforma le metropoli in situazioni ancora più frammentate e specializzate. “The technoburbswhichmight stretch over seventymiles fromthe cores in alldirections, are often in more directioncommunication with one another - or with the other techno cities across thecountry - thanthey are with the core”. Fishman R. (1987) Bourgeois Utopias: the rise and fall of suburbia, Basic Books, New York.
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Città diffusa La città diffusa si presenta come un territorio ampio, a sviluppo estensivo e a funzionalità urbana. Essa si manifesta con una progressiva reticolarizzazione dello spazio e destrutturazione delle vecchie gerarchie territoriali. Questo fenomeno urbano, osservato da F. Indovina sul territorio veneto, mostra una vi sione non unitaria e disorganica della città. Il territorio urbano non è più descrivibile come un tutto formato da parti, nelle qualiuna parte corrisponde una determinata tipologia di popolazione. Con l’unità delle parti, nella città diffusa, si dissolve anche il binomio abitanti-pendolari. Nella città diffusa tutto è diffuso, dai sevizi alle centralità, alimentando una mobilità che non prevede un centro. Il suo carattere non è più solo estensivo ma anche intensivo. “Questa diversa configurazione dell’urbanizzazione a bassa in tensità è quella che abbiamo chiamato città diffusa. Tale fenomenologia territoriale si caratterizza quindi per: • una massa consistente (da città, per intenderci) non solo di popolazione, ma anche, almeno parzialmente, di servizi e di attività produttive; • una dispersione di tale massa in un territorio tanto vasto da non presentare, nell’insieme, fenomeni di alta densità e intensità. Questo, ovviamente, non sta a significare che non ci possano essere singoli “punti” con alte densità, ma soltanto che la configurazione spaziale non da luogo a significativi fenomeni di densità e intensità di tipo urbano; • un’alta connessione tra i diversi punti del territorio. Si tratta, cioè, di un territorio che presenta connessioni molteplici di tipo orizzon tale (infrastrutture), tali da garantire la possibilità di un’altissima mobilità”. Indovina F. (1990) La Città diffusa, Istituto universitario di architettura di Venezia
New York. Immagine tratta da Tracce di città, di Tosi C. e Munarin S., F. Angeli 2001 16
Global City Molti teorici concordano sul fatto che la globalizzazione ridefinisce il rapporto tra produzione e territorialità, organizzazione economica, istituzioni e processi sociali. Ma in che modo? Come si riconfigurano le relazioni spaziali, dalla scala globale a quella locale, delle loro “popolazioni transnazionali”? Nel suo libro, Saskia Sassen, spiega come le realtà territoriali dominate dalla globalizzazione subiscono un processo che riconfigura lo spazio e il luogo. Lo fa utilizzando la città come testo analitico attraverso cui osservare e comprendere questi processi. Nella tesi esposta in “Global City” l’autrice illustra latrasformazione nelle dinamiche spaziali del capitalismo mondiale e gli accordi istituzionali attraverso i quali avvengono.Emerge una rete di città globali collegate da infrastrutture informatiche e coinvolte in nuovi flussi transnazionali di persone, di potere e di cultura, mettendo in luce un nuovo ordinespaziale della globalizzazione. global integrationhascreated a new “… The combination of spatial ldispersal and strategicrole for major cities. Beyond their longhistory as centers for international trade and banking, these citiesnowfunction in four new ways:first, ashighlyconcentratedcommand points in the organization of the world economy; second, askey locations for finance and for specialized service firms, whichhavereplaced manufacturing as the leadingeconomicsector;third,assites of production, including the production of innovations, intheseleadingindustries; and fourth, as markets for the productsand innovationsproduced…Cities concentrate control over vastresources, whilefinance and specialized service industrieshave restructured the urban social and economic order.Thus a new typeof city hasappeared. Itis the global city. Leadingexamplesnow areNew York, London, and Tokyo.” Sassen S. (1991) The Global city, Princeton University: New York, London, Tokyo. Princeton.
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Edge city L’autore di Edge city: life on the new frontier, riconosce alleperiferie il ruolo di città, non solo di oggetti di un accrescimento periferico suburbano, attribuendo a queste il ruolo dicittà distinte e non solo parte di esse. Joel Garreau per definire queste nuove città si avvale di una serie di caratteristiche acui esse devono rispondere, fra cui un elevato numero di spazi adibiti a uffici o a locali commerciali in affitto, una maggiorepresenza di lavoratori rispetto al numero di alloggi. L’autoreprecisa che queste città sono percepite dalla popolazionecome luoghi peculiari pur essendo relativamente nuovi. “Edge cities represent the thirdwave of ourlivespushingintonew frontiers in thishalfcentury. First, we moved our homes outpast the traditional idea of whatconstituted a city. This was thesuburbanization of America, especially after World War II. Then wewearied of returning downtown for the necessity of life, so we movedour marketplaces out to wherewelived. Today we have moved ourmeans of creatingwealth, the essence of urbanismour jobs-out to wheremost of ushavelived to the rise of Edge Cities.” and shopped for twogenerations. Thathas led Garreau J. (1992) Edge city: life on the new frontier, Doubleday, New York.
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Bit city Lo svuotamento di qualsiasi fondamento fisico della città arriva da William J. Mitchell nel suo libro City of bit. Partendo dal presupposto che molte delle funzioni che si svolgono in città, come le attività economiche, sociali e culturali, si sviluppano nel cyber spazio, Mitchell suggerisce una riformulazione dell’urbanistica e dell’architettura. La Bit city sarebbe il risultato del progetto e dello sviluppo di un software capace di ricreare ambienti virtuali e elettronicamente interconnessi tra loro. “The network is the urban site beforeus, an invitation to designand construct the City of Bits (capital of the twenty-first century),just as, so long ago, a narrowpeninsulabeside the Maeanderbecame the place for Miletos. Butthis new settlementwill turnclassicalcategories inside out and willreconstruct the discourse inwhicharchitectshaveengaged from classical times untilnow.” Mitchell W. J. (1995), City of bits: space, place, and the infobahn. MIT Press, Cambridge.
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Megacity Un tema importante nel lavoro e negli scritti di Castells è sicuramente la tecnologia, specialmente in relazione all’impatto che essa ha sulla società. Nella trilogia The Information Age (1996-98) si analizza l’influenza che le emergenti forme di comunicazione hanno sullo sviluppo economico, politico e culturale. Il messaggio centrale dell’opera si focalizza sulla crescente tensione tra le reti globali del capitalismo (‘Rete’) e la vita quotidiana della gente comune (‘Sé’). A tal proposito le Megacities non possono essere definite semplicemente dellecittà di grandi dimensioni, ma come i centri nervosi del sistema globale. “The new global economy and the emerginginformational societyhaveindeed a new spatialform, whichdevelops in a variety ofsocial and geographical contexts: megacities... They are the nodesof the global economy, concentrating the directional, productive,and managerialupperfunctionsall over the planet… Megacitiesare discontinuousconstellations of spatialfragments, functionalpieces, and social segments.” Castells M. (1996), The Information Age: Economy, Society andcultur, Blackwell Publishers, Oxford and Cambridge.
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Postmetropolis Negli ultimi decenni, il campo degli studi urbani ha registrato un notevole dibattito sui presupposti e sulle prospettive che definiscono lo studio delle città e degli insediamenti umani. In Postmetropolis, Edward Soja tenta di dare risposta a questa situazione intellettuale. L’autore sviluppa il termine Postmetropolispartendo dall’analisi di fenomeni socio-economici riscontrabili nella metropoli postmoderna. Fra i più rilevanti ed interessanti sono il discorso della ristrutturazione economica e il discorso della globalizzazione del capitale,del lavoro e della cultura. Tutto ciò rende la postmetropolis una città cosmopolita ed estremamente eterogenea, dove lospazio urbano subisce processi combinati di decentramento e centralizzazione. “Postfordisteconomicrestructuring, intensifiedglobalization, thecommunications and information revolution, the deterritorialization and reterritorialization of cultures and identity, the recomposition of urbanforms and social structures, and manyotherforcesshaping the postmetropolitantransitionhavesigni ficantlyreconfiguredoururbanimagin ary, blurringits once clearerboundariesand meaningswhilealsocreating new ways of thinking and actingin the urban milieu.” Soja E. W. (2000), Postmetropolis: critical studies of cities andregions, Blackwell, Oxford.
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Hyperville Fra tutte le definizioni finora citate quella di ipercittà di AndrèCorboz sembra la più interessante.La sua definizione di Hyperville è capace di comprendere tutti i materiali di cui l’essenza territoriale è composta, paragonandola ad un gigantescoipertesto. Va sottolineato come alla fine del suo saggio venga riscontrata l’incapacità delle parole: i fenomeni urbani sono più attuabili, l’omologazione della città contemporanea ha comportato una destituzione del senso di opposizione tra centro e periferia. L’incertezza semantica delle definizioni è emblematica della città contemporanea. “Dans le vide lexical qui caractéris eaujourd’hui les établissements humains de très grandes dimensions en Occident, le ter mes d’hyperville aurait l’avantage de ne paspré juger de la diffuse ») et de ne, pas s’opposer aux densité (contrairement à « ville extensive » ou « ville villes «historiques », puisquecelles-ci sont ells memes desconstituants de l’hyperville. Certes, il s’agit d’une métaphore, et l’analogie ne peutêtre poussée jusqu’à l’homologie, du moment le territoire, les « exts» sonttr qu’elle ne rend pas compte de toute la réalité: dans ce qui n’est jamais le casdans èssouventmê lés, superposés, partiellement effacés, l’ordinateur, comme Andrea Felicioni l’a noté. [...] Comme l’hypertexte, l’hyperville est accessible de diverses façons; on y entre, on en sort par une multitude de points - dumoins si l’on peut encore parler d’en trée et de sortie -; on y circule également par desitin éraires ex trêmement variés, du moment queles activités y sont dispersées, et surtoutqu’iln’y a pas de centre, un centre, mais despolarités. À ce point, une observation complémentaire s’impose: contrairement à ce que pensent les fétichistes de la ville historique, celle ci n’était pas non plus homogène, ne serait-ce que pour cette première raisonqu’elle n’a jamais été construite en une seule campagne. Elle était faite aucontraire de pièces’ et de morceaux, de trames et de tissus additionnés.” Corboz A. (2000), “La Suisse commehyperville”, Le Visiteur 6 – ville territoire, paysage, architecture, Société des Architectes, Paris
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Città-regione L’immagine della città regione descrive un’entità spaziale ca ratterizzata da specifici stili di vita. Nel 1915 Geddes introduce questa figura, parallelamente al neologismo Conurbation, per descrivere uno spazio esteso polinucleare, quasi interamente urbanizzato, dove una comunità vive. Ma già negli anni ’20 questa definizione viene ripresa per essere affiancata da nuovi significati, venendo quasi a contraddire l’espressione precedente. Per Mumford la city region, diventa una figura progettuale fatta di una rete di città satelliti da contrapporre alla città industriale congestionata. Molto più tardi, De Carlo lega la figura geddesiana e mumfordiana della città-regione ai mutamenti degli stili di vita e dei modi d’uso del territorio, dovuti al maggior benessere economico, all’accelerazione della mobilità sociale e territoriale. È la città fisica che gli interessa ed in modo particolare la struttura della nuova forma urbana, aperta e dispersa. “La città-regione è un organismo che non ha bisogno di limiti, perché rende possibile ad ognuno la scelta, momento per momento, esigenza per esigenza, dei limiti più opportuni. E questo è il punto, secondo me, importante dell’idea regione.” De Carlo G. (1962) “La Città Regione”. In: ILSES. Relazione del seminario: La nuova dimensione della città: Stresa, 19-21 gennaio 1962. Milano: ILSES.
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Ecopolis Secondo Alberto Magnaghi il progetto della città si deve confrontare con una nuova realtà territoriale: Ecopolis. Con questa entità territoriale, vista come regione rurale, l’autore invita a ritrovare una relazione virtuosa tra città e patrimonio territoriale e ambientale. Nella dissertazione del suo libro è evidente l’appello ad un passaggio obbligato dalla città metropolitana alla città di villaggi. Il territorio è visto come sistema vivente in cui si supera il modello centro-periferia e dove appare importante la cultura del limite e la cultura delle relazioni. In questo modo la campagna si integra con la città creando relazioni interconnesse che esulano dal semplice decentramento, ma che si basano sul potenziamento delle relazioni e delle identità. Un richiamo ad un nuovo senso civico che passa per un nuovo protagonismo della società civile. Più che un’analisi delle situazioni urbane, Ecopolis sembra un sogno a cui tendere per ritrovare rapporti fra urbs e civitas che la situazione ha completamente cancellato. “Lo sviluppo teorico da Ecopolis, città di villaggi, che affiora dalla scomposizione degli agglomerati periferici metropolitani verso il progetto di una costellazione regionale di città solidali, segue il filo conduttore di un modello implosivo che riduce il gigantesco prelievo di risorse ambientali e umane dalle periferie del mondo ritrovando al proprio interno, nei valori profondi del proprio territorio, “grandezza e potenza.” Magnaghi A. (1980) “Ecopolis, per una città di villaggi”. Housing num. 3.
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Territorio della dispersione Le aree della dispersione insediativa sono state in questi ultimi decenni motivo di dibattito alimentando diversi tentativi di interpretazione dei fenomeni urbani. Fino alla definizione della nuova condizione insediativa come una grande “città diffusa”, [Indovina 1990) le figure della dispersione elaborate sono caratterizzate dalla presenza del termine città. Solo recentemente, specialmente in Italia, alcune ricerche propongono di mettere al centro il territorio, modificando per alcuni aspetti il punto di vista sui fenomeni osservati. I “territori della dispersione” di Bernardo Secchi evitano l’osservazione di analogie o distanze con la città, descrivendolo come un fenomeno urbano differente rispetto alla condizione insediativa delle città.I territori della dispersione presentano differenti stili di vita e relazioni sociali, allontanandosi notevolmente dall’immaginario delle periferie urbane e conferendo a questi luoghi una propria autonomia. “Io vorrei che noi tutti fossimo consapevoli del fatto che oggi lo spazio periferico, della dispersione e della diffusione è altro dell’attenzione di tutta Europa… L’attenzione attuale per lo spazio periferico e della dispersione sembra invece essere il tentativo di capire che in quello stesso spazio si rappresenta qualche cosa di più importante, di più coerente alla nostra società, al nostro sistema di lo si sap pia cogliere.” valori, anche alle nostre aspirazioni, solo che Secchi B. (1994), “La domanda di ricerca”. A: Indagini sugli assetti del territorio nazionale.
I territori della dispersione insediativa: vista della piana tra Castelfranco Veneto e Bassano
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DAL TERRITORIO ALLA CITTÀ 2. Il progetto dei territori urbani fra Natura e artificio La ricerca si propone di destrutturare la rigidità assiale del sistema dicotomico che intercorre fra paesaggio e spazio urbano, partendo dall’individuazione delle relazioni semantiche, nel tentativo di avvicinare termini e situazioni che nella città contemporanea presentano confini sempre più sfocati e difficilmente divisibili. La crescente dilatazione della città è fortemente relazionata al dissolvimento delle strutture economiche tradizionali, che modellavano e conformavano il paesaggio “antropogeografico”, capace di disegnare il paesaggio e alla scomparsa delle strutture organizzative dell’urbanistica moderna che ordinano la società industriale. La parola Paesaggio si presta a una lettura plurisemantica del suo significato. L’ambiguità fra il nome e l’oggetto è alimentata dai diversi punti di vista propri delle varie discipline da cui il tema viene affrontato, dall’architettura alla geografia, fino alle arti figurative come la pittura e la fotografia. Il termine paesaggio, dal latino pagus(villaggio), ci porta a dimostrare la differenza fra il fondamento autonomo della natura, i caratteri della rappresentazione e l’essenza del termine stesso, che si manifesta nell’atto di conficcare il palo di confine in terra. Allo stesso tempo il termine Landscape che deriva da Landschaft, nella antica lingua anglo tedesca definisce in modo esplicito un campo politico di una specifica giurisdizione. A questo punto si può affermare, evitando l’allusione “proiettiva” dell’immagine, che il paesaggio è terreno dell’azione dove opera la vita associata, quindi realtà possibile in quanto luogo delle decisioni e delle trasformazioni dell’uomo (Venturi Ferriolo, 2002). Allo stesso modo la parola Urbano, dal latino Urbanus, indicaun’appartenenza alla città. La stessa urbanistica, termine assai recente, sia se definita come la scienza che regola e interpreta l’habitat umano, sia se la si intende come strumento pragmatico per la gestione e organizzazione, richiama a sé le modifiche che l’uomo opera per attuare i suoi insediamenti (Choay, 1973). Lo spazio urbano e il paesaggio, come prodotto dell’agire umano, sono oggetto della decisione e in quanto tali, come afferma Aristotele nell’Etica Nicomachea, sono elementi trasformabili, che possono essere altrimenti, quindi diversi da come erano prima. Entrambi si presentano a noi come entità difficilmente distinguibili non solo a causa delle diverse forme di “diluizione” dell’urbano nel paesaggio, ma anche in quanto realtà etiche e quindi inerenti alle decisioni. In questo senso l’etica, in quanto branca della filosofia pratica, può in entrambe le situazioni rimandare a sé le decisioni e le modificazioni che l’uomo opera sulla natura per generare i luoghi dell’abitare. IñakiAbalos, all’interno del suo libro Atlas Pintoresco, ci offre uno spunto interessante sul carattere ed il rapporto tra l’architettura e il paesaggio, o meglio una ricca riflessione fra il rapporto fra natura ed artificio. L’argomentazione prende forma dalla lettura di due immagini, una foto del Central Park newyorkese di Olmsted e uno schizzo della Ville Radieuse di Le Corbusier. Ad una prima visone le immagini appaiono in modo antitetico, da una parte il parco di Olmsted dove la natura assume un ruolo centrale, dall’altra le torri di Le Corbusier che rivendicano la centralità dell’artificio. Ma come dichiara Abalos “il vero pittoresco contemporaneo, dove alberi e edifici, crescendo assieme, formano un’unica modalità di 26
spazio pubblico in cui possiamo muoverci senza sentirci manipolati, un amalgama che riconosciamo e identifichiamo come il nostro mondo”.Una visione che conduce ad un’unica immagine, nella quale la figura e lo sfondo dialogano e si fondono, un avvicinamento che non consiste solo nella rilettura di queste due immagini ma dal mondo con cui si concepisce la relazione fra natura e artificio. La sovrapposizione di queste immagini suggerisce l’impossibilità di separare gli elementi della città e gli elementi della natura, una simbiosi nuova che è alla base di quello che oggi è considerato il territorio urbano.Quando si parla della dicotomia fra paesaggio e spazio urbano si fa riferimento alla contrapposizione presente nella città storica fra città e campagna. (vedi L. Mumford, 1938, The culture of cities, Secker and Warburg, London).
Olmsted, Central Park a New York.Le Corbusier, schizzo per la Ville Radieuse Così come affermava BrunoZevi: tentare una distinzione fra territorio, paesaggio, ambiente e assetto urbano diventa un atto empirico, essendo queste parole polisemiche e dato che rispondono a significati multipli e mutevoli. Questa distinzione oggi è resa ancora più difficile data la dilatazione della città alterritorio, territorio che posta con sé i temi del paesaggio e dell’ambiente.Il progetto dei territori urbani, assumendo il territorio come cardine della vita urbana, assume la dimensione del paesaggio e dell’ambiente come opportunità per il progetto della qualità urbana. Superando il confronto dicotomico fra natura eartificio, inattuabile nella città contemporanea. 2.1 Città, ambiente e territorio Il progetto urbanistico, come abbiamo visto precedentemente, è sempre più spesso chiamato a confrontarsi con forme urbane e frammenti di città che si diluiscono nel territorio, senza avere a disposizione strumenti propri atti alla comprensione e alla gestione di questi. Il processo di diluizione delle forme urbane nel territorio è sempre più profondamente legato a questioni di ordine ambientale, rendendo necessaria una maggiore consapevolezza dei temi di ordine ecologico che impongono un ripensamento profondo fra il progetto dell’ambiente e il progetto degli insediamenti. Parallelamente con l’approvazione della legge Galasso, in Italia si alimenta un dibattito, accademico e professione, con il tentativo di superare l’approccio puramente esteticovisuale verso i beni ambientali, che fino ad allora erano considerati come elementi esclusivamente da preservare. Tutto ciò ha imposto una ridefinizione dei temi 27
del piano urbanistico dirigendo l’attenzione verso i temi ecologici che il territorio possedeva. La letteratura e gli esempi di pianificazione, partendo dalla metà degli anni ’80, iniziano a proliferare, sollecitati da un sempre crescente numero di pianificatori e studiosi di altre discipline che vendono nei principi ecologici una nuova sfidaper il progetto. Per ovviare alle circostanze che la “deregulation” urbanistica ha posto in risalto, la Comunità Europea è entrata in campo con direttive sostenute da appositi finanziamenti che hanno posto in essere misure di microintervento urbanistico mirate a sortire obiettivi a diversa scala, incoraggiando la promozione di progetti di riqualificazione di città o di parti di città nelle aree ad urbanizzazione consolidata, interessando l’ambiente, il paesaggio, il sociale, il culturale, l’occupazionale ed il promozionale dell’imprenditoria, il tutto strutturato anche in alternativa alle prescrizioni di piano, previa incontri di concertazione tra le istituzioni di tutela e di governo del territorio chiamate a confrontarsi nelle cosiddette “tavole rotonde” nelle quali necessitava simultaneamente pervenire a concordate soluzioni approvative. Anche in questo le risposte sono state disomogenee nei paesi comunitari, chiamati ad elaborare ed attuare progetti finanziabili e ad impiegare i fondi elargiti per le attuazioni degli interventi progettati. In queste esperienze i termini progetto e ambiente vengono accostati per ricercare rapporti inediti nelle discipline dell’architettura e dell’urbanistica. L’utilizzo del termine ambientale, allontanandosi dall’imperativo morale della conservazione tout cours, ha imposto una maggiore comprensione dei processi propri e ha aiutato a fare emergere nuovi spazi e nuove modalità propizi alla vita organizzata. Si presenta di conseguenza la necessità di specificare quali possano essere gli apporti che questo indirizzo offre agli strumenti del progetto e con quali presupposti teorici e culturali. Il processo di modificazione, che negli ultimi decenni, ha presentato forti ripercussioni sugli insediamenti e sull’ambiente ha reso indispensabile una ridefinizione degli strumenti e delle metodologie progettuali a partire dai nuovi presupposti. L’indebolimento della opposizione tra città e campagna la “rappresentazione mentale tradizionale della città”, frena di “ideare i mezzi necessari a guidare il divenire”. A questo punto la ricerca tenta di delineare alcune rotte su alcune questioni fondamentali:il superamento di una certa semplificazione del dibattito sui temi della città/territorio e dell’ambiente partendo dal riconoscimento di una dimensione spaziale; il ricorso all’ambito operativo delle discipline analitiche e sperimentali dell’ambiente. 2.2 Il progetto del territorio come presupposto L’utilizzo dei temi dell’ambiente come elemento centrale e strutturante nelle metodologie di progettopuò essere fatto risalire alla seconda metà del secolo scorso. È in questo momento che in Europa e maggiormente negli Stati Uniti che parte una riflessione importante sui limiti dei fondamenti a quelli che erano i presupposti del progetto urbano moderno in chiave funzionalista. I filoni di ricerca di seguito presentati sono stati individuati per il loro approccio innovativo nel legare le tematiche spaziali del progetto urbano-territoriale ad aspetti che afferivano fino ad allora ad alcuni aspetti tipici dell’ambientepaesaggio. 28
Partendo da questo presupposto, questi approcci, pur distanti fra di loro, riconoscono un terreno comune che permette di articolare a scale diverse il progetto come strumento capace di legare: gli aspetti spaziali e sociali a quelli dell’ambiente: l’aspetto formale dello spazio a quello della morfologia delterritorio; il territorio in relazione al concetto di ambiente nel campo applicativo del progetto, da quello urbano a quello architettonico.
2.2.1 La forma del territorio Assunta la dimensione territoriale della città come questionefondamentale del progetto, negli anni Sessanta diverse posizioni sulle questioni del progetto dello spazio e delle trasformazioni che ne conseguono iniziano a prendere forma. Èin questo panorama culturale che Vittorio Gregotti scrive la prima versione di “La forma del territorio” pubblicato su un numero doppio di “Edilizia Moderna” 87-88/1966, che sarà ripresa nel 1991 nell’editoriale di Casabella 575-576 viene ripreso con il titolo “Progetto del paesaggio”, dove si afferma l’importanza relativa alla nuova dimensione della città e l’esigenza di descrivere la forma del territorio. Nella seconda metà degli anni ‘60 il dibattito sulla città e la sua dimensione, tocca importanti aspetti sul ruolo del progetto in relazione agli strumenti della tradizione urbanistica e soprattutto sulla autonomia disciplinare dell’architettura. 29
Nel corso di quegli anni sono emersi in Italia, e poi ripresi negli anni Ottanta e novanta, alcune posizioni disciplinari che si fondavano su alcune pratiche e principi del city design. Un’interpretazione dell’urbanistica e della pianificazione maggiormente radicata alla cultura architettonica, portando il progetto dell’architettura urbana al centro della sperimentazione progettuale al fine di definire e controllare la trasformazione della città e del territorio. Le matrici culturali di Gregotti si possono far risalire a certe posizioni strutturaliste e dello spatial planning, e da queste premesse si svilupperà la sua ricerca sul territorio e sul paesaggio e l’idea dell’architettura come strumento per la trasformazione dell’ambiente fisico. Il suo lavoro, diversamente dalle pratiche del Movimento Moderno, va letto in un’ottica in cui i problemi vengono po sti a partire dalla concezione dell’architettura come “insieme ambientale totale” dove viene privilegiata “l’organizzazione in figuredelle forme esistenti attraverso l’instaurazione di nuovosenso piuttosto che la produzione di nuove forme”. Rileggendo il testo di Gregotti, la questione centrale del suo pensiero viene subito esposta ponendo l’accento sul problema del progetto dello spazio: “[…] di indagare intorno alla fondazione di una tecnologia formale del paesaggio antropogeografico dal punto di vista dell’architettura. Indagare cioè quali problemi vengano posti in primo piano dal considerare il nostro lavoro di architetti come lavoro sugli insiemi ambientali a tutte le scale dimensionali”. Per meglio comprendere ed analizzare il suo pensiero vengono proposte due macroquestioni: 1.La Geografia, il Paesaggio e l’Ambiente 2.Il progetto del territorio.
Geografia, Paesaggio e Ambiente Pare evidente da subito la posizione critica verso la geografia come settore disciplinare che, pur coinvolto nello studio e nella rappresentazione dell’ambiente fisico, non avendo finalità progettuali, non costituisce proposte e si limita all’indagine delle relazioni dello spazio geografico. A tal proposito risulta importante, facendo rientrare il paesaggio antropogenico come oggetto estetico, la posizione di Gregotti rispetto agli strumenti di rappresentazione visuale. Nel suo saggio è data particolare attenzione agli strumenti insiti nell’arte moderna capaci di evidenziare dal punto percettivo nuovi punti di vista della realtà che emerge dal paesaggio e dal territorio. Le arti visive (fotografia, pittura e cinema) risultano particolarmente importanti perché capaci di leggere in modo molto più immediato le dinamiche che descrivono e che rappresentano il territorio. Utilizzando strumenti di lettura diversi diventano rilevanti anche nelle discipline, come l’architettura e l’urbanistica, per il loro ruolo anticipatorio della realtà. Un’ulteriore punto focale per il pensiero di Gregotti è la questione del paesaggio come dimensione e materiale operabile dal progetto. La questione del paesaggio aveva determinato in passato posizioni fortemente vincolistiche con una legislazione che tentava di tutelare solo le parti più peculiari del territorio. 30
La prima legislazione a riguardo che prevedeva l’istituzione di parchi nazionali risale ai primi decenni del Novecento. La normativa a riguardo ha influito enormemente sulla concezione dei territori: da una parte esalta il valore naturalistico su principi di conservazione, dall’altra il concetto di “non paesaggio”. Questa considerazione ha permesso a Gregotti di prendere posizioni, oltre che avanzare una critica nei confronti di questo approccio, per affermare l’importanza del progetto per regolare e controllare le trasformazioni dei luoghi. Nello specifico si sottolinea l’importanza del progetto nello strutturare anche quei luoghi considerati dalla legislazione meno importanti dal punto di vista paesaggistico, in modo da conferire loro nuovi contenuti dentro il più ampio sistema ambientale. Il progetto, servendosi di una lettura dei caratteri formali dei luoghi, deve per Gregotti sviluppare un’”arte dell’environnement” in grado di “porre gli oggetti l’uno in rapporto all’altro” anche per migliorare le condizioni costitutive del luogo. Ma come leggere i sistemi ambientali? Anche Gregotti sottolinea la complessità dell’operazione di lettura dell’ambiente ai fini del progetto e propone un’operazione, alla scala del territorio, riassumibile in due punti. Il primo, largamente rilanciato e approfondito da alcune ricerche sviluppate negli anni ’90 da Bernardo Secchi, è dedicato alla lettura delle unità operative. Viene proposto un metodo per il riconoscimento di insiemi formali omogenei che si servono delle nozioni della topologia spaziale, come il campo, l’insieme e l’interazione. Nello specifico, per campo viene inteso un insieme omogeneo di elementi ambientali, che tramite una lettura stratigrafica del loro processo di formazione, venge accomunato da aspetti formali e strutturali, nel tentativo di ottenere una collezione di “materie operabili”. All’interno di questi materiali elementari si possono annoverare le maglie riconoscibili del paesaggio, le sue polarità e le densità di significato, sia dal punto di vista simbolico che si uso. La seconda è più indirizzata ad una riforma degli strumenti di rappresentazione, mettendo in crisi l’utilizzo delle planimetrie fotogrammetriche e fotografiche, che pur essendo uno strumento utile al progetto non è in grado di restituire le valenze ambientali delle varie parti del territorio. Gregotti identifica negli scritti di Kevin Lynch uno degli apporti più significativi nello studio della figura dell’ambiente fisico edella forma della città in relazione non solo all’aspetto morfologico ma anche in termini di sistemi di significato. Lo studiodei suoi scritti, che si sono occupati delle questioni importantidella strutturazione della forma della città e della sua figura,ha permesso a Gregotti di traslare il problema proprio sulla “figura del territorio”. Con l’espansione spaziale relativa aiprocessi di trasformazione della città sul territorio non è andata a pari passo con la messa in opera di adeguati strumenti del progetto al punto e, come sottolinea Gregotti, le disciplinedel progetto si sono dovute avvalere di altre discipline per lacomprensione dei fenomeni e per la loro rappresentazione. Il discorso della figura del territorio e del paesaggio viene sviluppato da Gregotti partendo da tre considerazioni. La prima riguarda la possibilità di riconoscere nel processo di costruzione del paesaggio un campo operativo dell’architettura, che partendo dal riconoscimento delle situazioni esistenti, miri alla sua fruibilità. 31
La seconda rivede l’esigenza di rifondare la specificità della disciplina dell’architettura mirata alla configurazione spaziale del contesto, arricchendosi e confrontandosi in modo interdisciplinare con le discipline specialistiche. La terza sancisce l’ammissione di fallimento dell’architettura e dell’urbanistica di matrice funzionalista che ha come fondamentoprogettuale la forma come conseguenza della funzione. A distanza di mezzo secolo il ragionamento di Gregotti, pur sorpassato dal discorso sull’ecologia, dalla legislazione in vigore e dalle tecniche di rappresentazione, rimane attualissimo ed è stato l’occasione per approfondimento di ricerche successive. La visione di Gregotti è importante soprattutto per l’idea che vede la conoscenza come sviluppo degli orientamenti progettuali e non come presupposto, ponendo
come carattere distintivo dell’architettura lo spirito critico e la dote della sintesi, pur coadiuvata dall’apporto dei settori disciplinari che si occupano dell’ambiente (Palermo, Panzini, 2010).
Vittorio Gregotti, Università degli Studi della Calabria. Plastico, scema planimetrico e vi sta a volo di uccello.
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2.2.2 Il progetto ambientale Il “progetto ambientale” è un movimento disciplinare caratterizzato da una formula inedita che richiede un chiarimento sui termini per non essere considerata confusa. Fernando Clemente basa la sua ricerca sulla “città territoriale”, fortemente caratterizzata da una sensibilità orientata sulle tematiche dell’ambiente e propone il superamento della rappresentazione usuale del rapporto fra l’insediamento urbano e contesto, dando vita a un filone di ricerca sul “progetto ambientale”. “Ambientale” – termine abusato fino a perdere di significato – in quest’accezione dà un senso complessivo ai processi del territorio in cui popolazione, attività e luoghi si riconoscono. Questi diventano la base comune per la costruzione di un luogo per la vita organizzata. In questo contesto “ambiente” non è solo struttura fisica e materiale, ma un insieme di natura e storia, utilizzata per la costruzione strategica di economie strutturali per il territorio. Il carattere è evolutivo e aperto contro ogni funzionalismo a priori. Il progetto, allo stesso tempo, riconosce e richiama la dilatazione dell’abitare alla dimensione territoriale in un processo atto alla presa di coscienza delle dominanti ambientali. Queste ultime diventano elemento chiave nel progetto dello spazio urbano che non può non riconoscere al suo interno il fattore ambiente. L’importanza ambientale nel progetto della città e del territorio non può essere considerata una novità, anche se è difficile riconoscere un’unitarietà d’intenti e di metodologie del progetto nei diversi filoni di ricerca. La dialettica fra la città e il territorio sottende, nel progetto ambientale, una distanza dall’immagine dell’ambiente come spazio della contemplazione e richiede una ricerca rivolta al progetto capace di assumere nuovi significati urbani. In questo caso il progetto.superando una concezione conclusiva dell’immagine finale, favorisce una processualità costruendo nuove contrattualità fra l’ambiente e i nuovi modi dell’abitare della città contemporanea.
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Territorio e nuove urbanità Mumford affermava che “la città è della campagna”, riferendosi alla condizione di apparteneza della città preindustriale europea, ma nella città contemporanea il rapporto è capovolto, “la campagna è della città”. L’armamento infrastrutturale e la periurbanizzazione rendono l’intero territorio parte della città, trasformandolo nellabase spaziale della per la nuova vita urbana contemporanea. Benché i rapporti di connessione e gerarchia mutino da luogo e luogo, le riflessioni di Mumford posso essere considerate valide. Infatti, la prospettiva dell’abitare allargato, dell’estensione dell’urbano a un territorio potenzialmente infinito presenta infatti una interncossessione su livelli diversi. Proprio su queste riflessioni si fonda il concettodi progetto ambientale delle richerche di Clemente e successivamente di Giovanni Maciocco, ricerche che si interrogano su quali siano le forme emergenti della città contemporanea e su quale significato possa assumere il territorio nella vita urbana.La ricerca e i progetti che ne scaturiscono si concentrano sul senso del territorio, intendendolo come origine profonda degli elementi dell’abitare. Sono le “dominanti ambientali”, i segni della natura e della storia dei vari insediamenti che sul territorio si presentano a governare i processi di organizzazione dello spazio urbano. L’esternità del territorio offre nuove opportunità per il progetto di forme di urbanità diverse al modello della città compatta, estendendo i suoi confini tradizionali. In questo senso è lo stesso territorio che suggerisce nuove potenzialità per l’urbano, evidenziando aspetti fondamentali che caratterizzano la vita urbana e gli ambitispaziali della sfera pubblica. Le diverse forme dell’abitare vengono identificate nel territorio e si organizzano intorno ai riferimenti ambientali. Su questa premessa è identificata la potenzialità urbana del territorio, dove l’insediamento misura e si riconosce le diversità ambientali.
Ambiente e Territorio Il progetto ambientale suggerisce uno sguardo attivo sull’ambiente e sul paesaggio, permettendo a questi di diventare il presupposto per il progetto della città. La distanza è netta nei confronti di una concezione mercificatrice del paesaggio che ne ha permesso uno sguardo esclusivamente contemplativo e una distanza dai luoghi. Sguardo contemplativo che paradossalmente diventa bene di consumo nelle pratiche dell’abitare temporaneo (distruggendo proprio ciò che doveva essere contemplato) e una distanza dai luoghi che è insita in modelli superposti al territorio secondo logiche mutuate dall’economia globale. In questo senso, la comune logica solipsistica dell’oggetto architettonico viene sostituita da una visione più ampia in cui il territorio e la sua complessità è spazio complementare alla città. Come tale, non vengono riproposti i modelli urbani della città consolidata, ma costruiti modelli alternativi che riflettano proprio sulle alternative che un contesto diverso fornisce.
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Rispetto ai luoghi dell’alta densità, il progetto, condizionato dalla storia e dalla qualità della natura che i territori presentano, si dispone verso differenti principi. La differente densità e le matrici ambientali dei luoghi rendono possibile un modo diverso di progettare e organizzare le situazioni urbane, che diventano alternative a quelle dell’alta densità. Si propone una differenza quindi, una differenza che non sancisce bordi e limiti, ma che si evidenza nelle matrici ambientali e spaziali dei modelli proposti. 2.3 Prodromi del progetto ambientale L’aggiornata attenzione dell’urbanistica, e più in generale del progetto, nei confronti dei temi del paesaggio e dell’ambiente che negli anni Ottanta è stata alimentata dall’approvazione della legge Galasso, ha fatto emergere la necessità di scoprire relazioni nuove per l’interpretazione di questi elementi. Il tutto scaturito dalla necessità di una dimensione che corrispondesse maggiormente alle richieste della pianificazione ambientale del paesaggio e del territorio. La legge prevedeva un’integrazione all’esistente basata sulle caratteristiche esteticovisuali che fino ad allora aveva dominato il dibattito normativo italiano. La motivazione è da ricercare nell’ estensione del concetto di paesaggio verso i più ampi temi dell’ambiente. L’occasione proposta dalla Galasso consisteva nella sperimentazione di nuove forme di progetto ed esigeva la ricerca di matrici culturali diverse da quelle che fino ad allora avevano dominato il quadro legislativo. A tal proposito la tesi delinea un quadro più ampio delle esperienze da cui deriva il progetto ambientale, rintraccia i suoi prodromi e legge le esperienze che hanno condotto a questo filone di ricerca. Le prime avvisaglie del progetto dell’ambiente vanno lette sia in un’ottica dello sviluppo della teoria, sia in quella dello sviluppo della pratica e andrebbero ricercate in diverse direzioni, da quelle conservazionaliste a quelle multidisciplinari che hanno introdotto il pensiero ecologico nelle pratiche di trasformazione del territorio, del paesaggio e dell’ambiente. A tal proposito si indagano tre matrici importanti della tradizione anglosassone: • Il movimento conservazionista che ha come questione centrale la gestione del public domain; • La landscapearchitectureche ha portato all’istituzione di associazioni di professionisti e l’ingresso di nuove discipline nell’università; • Il regional planning, di matrice mumfordiana. • Sviluppo del concetto di regionalismo; • Connessione fra ecologia e pianificazione regionale; • Integrazione fra le attività dell’uomo e l’ambiente; • Integrazione dell’uomo nell’ambiente urbano. 2.3.1 Il movimento conservazionista Le prime riflessioni del pensiero ambientalista in concomitanza con il movimento conservazionista americano sono fra le fondamentali matrici della pianificazione 35
ambientale, che condizioneranno il governo federale sul governo e sulla regolamentazione delle terre pubbliche (public domain). Le esperienze del conservazionismo videro l’affermazione e l’inaugurazione delle agenzie federali di gestione del territorio e delle risorse che nacquero dalla crisi con la distribuzione delle terre avviate nel periodo post indipendenza con il sistema del rectangular survey. Questo sistema assegnava identiche quantità di terreno alle singole famiglie che decisero di insediarsi nei territori dell’Ovest. La partizione non teneva conto delle specificità ambientali dei territori che i nuovi occupanti anda vano ad insediare. Questo provocò grandi problemi di ordine ambientale. Fra i maggiori autori di riferimento del movimento conservazionista va annoverato George Perkins Marsch che, in Man and Nature (1864), propone una lettura dell’azione dell’uomo in relazione alla compromissione degli equilibri naturali. Altro esponente importante per la coscienza ambientalista negli Stati Uniti è John Wesley Powell con il suo Report on the Lands of the Aridregion of the United States, (1878),mostra davanti al Congresso Americano la necessità di un intervento di pianificazione per la gestione delle aree del public domain, definendone le criticità e le modalità di gestione.
2.3.2 La Landscapearchitecture Una delle esperienze che la cultura italiana ha osservato con maggiore interesse è sicuramente la landscapearchitecturedi tradizione anglosassone, con accenno anche a quella statunitense. La tradizione americana ha come radice culturale sicuramente quella della landscape gardening inglese, ma a cavallo delle XIX e XX secolo iniziò un processo di riflessione che portò ad un’autonomia disciplinare. Uno dei primi passi dell’affermazione disciplinare si fonda una riflessione appro fondita sui sistemi naturali. Tale riflessione trovò spazio nella progettazione dei parchi urbani. Nello stesso periodo una nota importante per l’approfondimento disciplinare fu la formazione di associazioni di professionisti e, al contempo, la nascita di percorsi educativi e didattici a livello universitario. Una delle prime azioni che favorì lo sviluppo e la nascita delle università pubbliche da parte dello Stato fu l’emanazione del Morril Act del 1862. La legge prevedeva la cessione gratuita di terreni da parte dello Stato per sperimentare ed iniziare l’insegnamento delle tecniche agricole e per la realizzazione dei landgrantcollege. L’istituzione di questi college va riconosciuta a due dei più importanti promotori della landscapearchitect, come Jackson Downing e Frederick Law Olmsted che in periodi diversi isti tuirono diversi corsi di educazione superiore. Importanti per la sperimentazione di questo campo disciplinare furono anche i giardini botanici, che diedero l’opportunità a molti college di instituire alcuni dipartimenti di botanica, attivando l’insegnamento dell’agraria, ma senza sfociare in corsi di laurea. Progressivamente in questo periodo il terminelandscape gardening fu soppiantato dal landscape architecture affermandosi sempre di più. L’Harvard University instituì il primo corso di laurea nel 1900, voluto da Charles Eliot e affidato Frederick Law Olmsted Jr. 36
L’anno precedente vide la nascita della American Society of LandscapeArchitectsche portò negli anni successivi, alla costruzione della rivista Landscape Architecture. Va sottolineato che a differenza dei corsi istituiti in precedenza, quello di Harvard aveva costruttivamente un legame maggiore con le discipline del progetto di architettura, rispetto a quelle dell’agraria. Le modifiche in atto anche sul versante della popolazione, da rurale ad urbana, contribuì all’affermazione della visione imposta da Frederick Law Olmsted Jr., ed impose un adeguamento negli anni successivi anche degli altri corsi di laurea sul versante dell’architettura.
2.3.3 Il regional planning Un’ulteriore matrice di riferimento per la cultura italiana ed europea per l’indagine del rapporto fra progetto del terri torio e dell’ambiente è da indicare all’interno della corrente del regional planning statunitense. Questa si sviluppò nei primi decenni del XX secolo, proprio quando la pianificazione urbana diventa una professione autonoma, maturando diverse esperienze all’interno del progetto urbano. In questo periodo i governi delle grandi città iniziarono a rivolgersi ai pianificatori per affrontare problemi relativi alle reti di trasporto e l’estensione delle arre terziarie. In questo contesto e con queste esigenze, nel 1923 fu fondata la Regional Planning Association of America (RPAA), che vide fra i suoi promotori da Lewis Mumford e Benton MacKaye. Da qui negli anni successivi, tramite un lavoro di promulgazione e di incentivazione da parte degli iscritti all’associazione, si instituirono nelle università i primi corsi specifici. Nel 1929 il primo corso di city planning viene istituito ad Harvard. Nello stesso anno la grande depressione che colpì gli Stati Uniti segnò un grave ar resto delle commesse da parte delle amministrazioni pubbli che che non potevano più permettersi di pagare la redazione dei nuovi piani. Nel 1938, dopo un acceso dibattito all’interno della RPAA, l’associazione cambiò nome in American Institute of Planners per far fronte alla spinta dettata dal New Dealdi Roosevelt che vedeva nelle strategie regionali e nazionali la nuova sfida per la pianificazione. L’apporto più importante che fu dato dai regional planner all’evoluzione del progetto ambientale è quello della ricerca dello sviluppo e della conservazione delle risorse naturali in un contesto non solo urbano e nell’adeguamento degli strumenti e degli apparati pubblici per il governo del territorio e dell’ambiente.
2.4 Progetti a confronto Come abbiamo visto, nonostante il piano si dedichi da tempoalle questioni ecologiche e ambientali, l’ambiente rimane unmateriale ancora inedito per il progetto della città contemporanea mettendo in crisi gli strumenti dell’urbanistica tradizionale. Da molte esperienze progettuali affiorano disagio e difficoltànel cercare di rimodulare l’urbanistica secondo questo nuovopunto di vista. È evidente il tentativo di spostare l’attenzionerispetto lo studio delle discipline ambientali e sull’aspetto deidomini materiali, cercando da una parte di ricomprenderein chiave formale la dimensione
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ambientale del territorio edall’altra utilizzando le tecniche di valutazione ambientaleproprie delle discipline di matrice ingegneristica. Si propongono tre categorizzazioni corrispondenti a tre approcci disciplinari nei confronti dell’utilizzo e della visione dellacomponente ambiente all’interno del progetto. Per tutti l’ambiente diventa imperativo morale, ma le diverse concezioni evisioni evidenziano differenze di approccio e di conseguenzadi dimensione progettuale. Si propone un’esplorazione delletre categorie attraverso dei progetti esemplificativi del pensiero proposto, “quale ambiente” viene preso in considerazione, secondo quali criteri e come questo guidi l’approccioprogettuale. La lettura è resa necessaria per evidenziare gli equivoci e idisorientamenti disciplinari che la questione ambientale haprovocato nelle discipline del progetto Landscape architecture Pre scientifici Scientifici (sc. inglese) (sc. americana) - A. J. Dowing - F. L. Olmsted Sr. - C. Brown - W. H. Manning - H. Repton - C. Eliot - C. Vaux
Movimenti Proto-ambientali - G. P. Marsh - J. W. Powell - P. Geddes
Regional Planner - B. MacKaye - L. Mumford
Ecologici - A. Leopold - L. Odum
PRODROMI 2.4.1 L’ambiente da preservare: l’approccio conservativo L’atteggiamento protezionistico verso il paesaggio naturale e l’ambiente, minacciato dalle infrastrutture e dagli insediamenti che si sono diluiti sul territorio, ha prodotto un approccio nostalgico e generalmente conservativo nei confronti delle risorse naturali. La conservazione della natura, al pari di quella proposta per i centri storici, diventa occasione di protezione nostalgica con il risultato di marginalizzazione. L’ambiente non entra a far parte del territorio urbano, ma rimane parte altra in un’idea legata al concetto di patrimonio da salvare e cristallizzare, ma non da inventare. Esempi significativi sono in alcuni casi le zone dichiarate Parchi Nazionali, che a seconda della loro zonizzazione, prevedono intere aree urbane che vengono sottoposte a vincoli e non rientrano nella fase di progettazione dei nuovi territori urbani. Simile alla questione dei centri storici, in cui si propone una cristallizzazione spaziale dell’ambito di territorio interessato, seguendo una concezione non progressiva della storia, l’ambiente risulta cristallizzato, non rispetto ad un preciso momento storico, ma piuttosto rispetto ad una situazione spa ziale e ambientale. In Italia il tema della conservazione della natura prende piede durante gli anni Settanta quando la cosiddetta coscienza ambientalista, di origine nordamericana, pone l’attenzione sul rapporto uomo-ambiente. I primi movimenti ambientalisti nascono in Europa e negli Stati Uniti agli inizi del XIX secolo. Essi portarono l’istituzione nel 1872 del Parco di Yellowstone, che può essere considerato il più antico parco nazionale dell’era moderna. Mentre in Italia solo nel 1922 con R.D.L. n. 1584 viene istituito il Parco Nazionale del Gran Paradiso. 38
Tale data può essere considerata storica nel nostro paese anche se il concetto di “parco nazionale” risulta all’epoca poco maturo nella opinione pubblica. Nel 1939 con la legge del 29 giugno n.1497 viene introdotta ufficialmente in Italia la pianificazione paesistica volta a tutelare le “bellezze naturali”, atte a proteggere quasi esclusivamente gli aspetti visuali del paesaggio. La pianificazione dei parchi naturali in Italia è fortemente caratterizzata da una sorta di protezione istituzionale, che vincola i valori delle risorse naturali e che spesso li separa dal contesto insediativo. La tutela dell’ambiente viene attuata attraverso due tipi di protezione; la prima, che viene definita integrale, spinta dal predominio dei valori ambientali, la seconda comparativa, che vede il valore naturalistico comparabile ad altri fattori come quello economico e sociale. Nel modello dei parchi nazionali è evidente l’egemonia del primo tipo che impone la tutela dell’ambiente limitata ad aree ristette del territorio, imponendo una loro separazione e mettendo in difficoltà la loro gestione anche dal punto di vista economico. Una forma di limitazione normativa che esclude i valori ambientali dal resto del territorio, le porzioni delimitate, in funzione di una protezione assoluta, risultano rigidamente vincolare alla funzione di tutela e fuori dal contesto territoriale. La natura e i valori che ne conseguono vengono visti come qualcosa da conservare, ma nel tentativo di conservarli vengono separati e isolati, senza che questo possa essere intro dotti nei processi di costruzioni delle nuove realtà urbane che si spingono su tutto il territorio.
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Parchi regionali e nazionali nel territorio italiano
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Parco nazionale di Yellowstone, 1904 stampa
Parco nazionale di Yellowstone, 1917 mappa
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2.4.2 L’ambiente come decoro: l’equivoco del “verde” Sempre la questione ambientale ha prodotto negli ultimi tempi un’ambiguità fondamentale sulla questione del “verde”. Quest’ultimo, perdendo coscienza dei significati più profondi dell’ambiente, diventa un contenitore atto a risolvere i problemi della città. Atteggiamento riduzionista già evidente nella qualificazione semantica: l’ambiente è verde per antonomasia. Esemplificativi sono le riqualificazioni delle zone industriali dismesse come l’ex Fiera di Milano, il cui bando prevedeva che il 50% dell’area fosse destinata a verde senza specificare o indicare il ruolo che questo andava a ricoprire. Nel progetto vincitore è evidente l’ennesimo fallimento di rintracciare un rapporto inedito fra ambiente e insediamento, dove il “verde” viene chiamato ad occupare aree dismesse e abbandonate col solo tentativo di aumentare l’efficienza produttiva di quella parte della città. Riducendo l’ambiente ad un legante fra parti disomogenee della città, si rinuncia al progetto dello stesso. Il risultato è la riduzione a filari piantumati e aiuole,operazioni progettualiche, come definite da Repishti, si trasformano in azioni verdificatricidella città, limitandosi e riducendosi a riempitivo del vuoto fra gli edifici. L’area della ex Fiera di Milano, liberata dallo spostamento del polo fieristico, è interessata dal 2004 dal progetto CityLife, omonimo della società vincitrice della gara internazionale per la riqualificazione dell’area indetta dal comune di Milano. Sostanzialmente le parti del progetto si dividono in aree per la residenza, le tre torri per uffici firmate da Isozaki, Hadid e Libeskind, il nuovo Museo di Arte Contemporanea anch’esso da Libeskin, le zone commerciali, lestrutture di recupero come il Padiglione 3 (ex Palazzo dello Sport) e l’area destinata a parco. Quest’ultima presenta una superficie di circa 170 ettari, progettato in seguito ad un concorso internazionale Gustafson Porter(Regno Unito)! Melk, One Works e Ove Arup. Il progetto vincitore si presenta con il titolo “Un parco fra le montagne e la pianura” per enfatizzare la posizione del sito in relazione al contesto geografico delle pianure agricole del Po, a Sud, e delle rotte verso il Nord Europa attraverso le alpi. Il parco presenta un abaco di elementi che si posizionano fra verde urbano attrezzato e il verde “naturale”. Il primo ruolo è sancito dalla possibilità di ospitare eventi di varia natura: al centro la Piazza, il Belvedere, il Giardino del le Farfalle e delle Sculture. La seconda tendenza è ricercata nell’idea di “microcosmo” che ricostruisce le caratteristiche del territorio milanese. Il Giardino delle Prealpi e i Boschi di pini e querce, il Bosco di Faggi, il Giardino della Pianura sono ambienti fra il naturale e artificiale pensati per eventi o spazi di socializzazione. Il disegno del parco che cinge l’area delle tre torri e si propaga attraverso i viali nelle aree residenziali di Citylife, riporta alla mente la tradizione anglosassone e gli elementi propri del landscape gardening. Sembra però che il rapporto fra gli elementi architettonici e il contesto parco viva di elementi poco reciproci fra di loro, esasperando la tendenza “verdificatrice” in cui progetto del verde come elementoa séstante propone. La grafica di presentazione del progetto esalta l’abitare nel verde come promozione di un modello per l’abitare in linea con le tendenze sempre più in voga, basate su un’immagine di sostenibilità, appunto “verde”. 42
Citylife, Milano planimetria dell’area 10 dal sito del team vincitore Gustfson Porter.com
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Rendering del progetto Citylife, tratto dal sito Citylife 2.4.3 L’ambiente come struttura: forma e processo dell’urbano Alcune esperienze progettuali ponendosi l’obiettivo di far interagire l’ambiente con gli insediamenti, si sono confrontate con una nuova riconfigurazione disciplinare capace di sperimentare il ruolo dell’ambiente nel progetto del territorio. L’ambiente non è visto come qualcosa d’altro o come riempitivo degli spazi fra edifici ma viene interrogato per stabilire nuovi rapporti nei territori urbani. Nel 2007 dieci raggruppamenti di ingegneri e architetti - Atelier Castro Denissof Casi, Yves Lion del Groupe Descartes, Jean Nouvel con Jean - Marie Dutilheul e Michel Cantal - Dupart, Antoine Grumbach, MVRDV con ACS + AAF, Lin Finn Geipel, Studio O9 (Secchi + Viganò), DjamelKlouche dello studio AUC, Atelier Christian de Portzamparc, Rogers Stirk Harbour& partners - sono stati invitati da Sarkozy a 44
proporre visioni ed orientamenti progettuali per lo sviluppo di Parigi. L’obiettivo principale della “consultazione nazionale sul futuro della metropoli parigina” soprannominata “Le Grand Pari(s) de l’agglomerationparisienne”, era proporre visioni progettuali di Parigi come città sostenibile del XXI secolo. La proposta di Bernardo Secchi e Paola Viganò (Studio 09) suggerisce una “città porosa” che si sviluppa per stratificazioni dando spazio all’acqua e moltiplicando gli “scambi ecologici”. Il progetto è articolato su diversi scenari: descrizione ipotetica che vede una Parigi completamente sostenibile, il tema delle energie rinnovabili, la rete dei trasporti.
B. Secchi e P. Viganò, Grand Paris, consultazione internazionale, 2008-2009
La prospettiva da sud verso nord: La traversée verte 45
Filo conduttore dei vari scenari è l’opportunità di densificare il tessuto esistente per una ottimizzazione dell’apparato energetico dell’intera metropoli e per la risoluzione di gran parte delle necessità di nuovi alloggi necessari entro il 2030. A differenza degli altri gruppi che guardavano alla risoluzione degli obiettivi della sostenibilità in modo funzionale, secondo Secchi la natura deve essere preservata nella metropoli parigina integrandosi con il tessuto esistente. A scala urbanasi presenta l’opportunità di una riappropriazione degli spazi esclusi inserendoli nell’uso quotidiano, risolvendo i temi della marginalità e dell’abbandono che nel territorio urbano è fortemente presente. Molto più importante appare però a scalaterritoriale la green way, denominata traversée verte du Grand Paris, che attraversa tutta l’area metropolitana da Nord a Sud. Questa costruzione permette non solo la riconnessione degli spazi verdi e dello spazio pubblico ma anche di tutti i residui del tessuto urbano sia della città compatta, sia della città diffusa. La traversée verte appare come una nuova struttura generatrice della città e si propone come elemento strutturante del paesaggio urbano. Una visione strutturale dell’ambiente, che non si limita ai sui aspetti formali e visuali, che evita laprotezione sterile e che si propone come elemento fondante dell’indagine e del rapporto fra natura insediamento. La concezione di Secchi e Viganò si colloca nel filone dello spatial planning, ma è capace di interpretare in modo non banalele sfide che l’ambiente pone nel progetto, nei confronti dello spazio antropizzato.
2.5 Filoni di ricerca Le manifestazioni di “interesse” nei confronti del rapporto fra attività progettuale e aspetti ambientali vengono organizzate in una selezione mirata alla elaborazione e alla localizzazione dei diversi filoni di ricerca. 46
L’evoluzione recente dei filoni di ricerca presenta un’incessante trazione per avvicinare due posizioni estreme. Da un lato c’è una concezione comprensiva che riconosce nell’ambiente una testimonianza del rapporto fra luoghi, popolazioni e attività di un territorio. Dall’altra si riscontra il tentativo di incorporare i temi del paesaggio e dell’ambiente nel processo progettuale della pianificazione del territorio. Le due estremità corrispondono in parte alla necessità di incorporare il controllo ecologico nel processo dell’ambiente e, al contempo, quella di rispondere a categorie di giudizio puramente estetiche. La storia dei diversi filoni di ricerca, nell’elaborazione di strumenti e tecniche che si riferiscono al progetto dell’ambiente paesaggio, può essere illustrata tramite le teorie e le tecniche messe a punto dai diversi autori/progettisti. Va precisato che la storia dei filoni di ricerca non può essere lineare, in primo luogo perché autori molto influenti hanno modificato il loro pensiero modificando anche il nome della teoria per i quali erano conosciuti e, in secondo luogo, per la compresenza di al cuni di questi modelli propositivi in epoche contemporanee. 2.5.1 Ecological Planning L’Ecological Planning si basa su un processo di comprensione e valutazione che tramite alternative differenti, tenta di dare indicazione sull’utilizzo delle risorse ambientali in modo appropriato. L’obiettivo è una migliore integrazione fra gli insediamenti in specifiche situazioni ambientali, un obiettivo ambiziosoche si palesa in differenti approcci a questo processo di valutazione, offrendo diversi punti di vista per la comprensione del dialogo fra i processi di antropizzazione del territorio e quelli ambientali. Ndubisi nel suo libro “Ecological Planning: A Historical and Comparative Synthesis”, offre un importante analisi di questo filone di ricerca, ponendo le basi per una lettura dell’idee su cui si basa, analizzando e individuando i principali fautori e collaboratori che negli ultimi 150 anni si pongono alla base del pensiero ecologista. Individua proprio nella crescente consapevolezza ecologica globale la base di questa nuovo paradigma della pianificazione. Nella varietà di questa ricerca vanno comunque annoverati alcuni elementi e strumenti comuni quali: • • • •
Lo studio di procedure comparative per indicare gli usi auspi cabili e i criteri di gestione del territorio; L’implementazione delle forme di collaborazione fra diverse discipline; Il tentativo di individuare un metodo di analisi ripetibile in diversi contesti; L’utilizzo sistematico dell’overlayer mapping.
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2.5.2 Landscape planning I principi della Landscape planning sono contenuti in diversi documenti di indirizzo politico sia in Europa che negli Stati Uniti. Basti pensare Convenzione Europea del Paesaggio, con gli ampi sviluppi per la progettazione e la pianificazione, interconnessioni fra lo sviluppo economico e il paesaggio, e il National Environmental Policy Act fortemente influenzati dal lavoro di Ian McHarg sulla valutazione di impatto ambientale. Questi documenti, pur garantendo un elevato livello di controllo del territorio, mostrano un limite che consiste nell’attuazione dei progetti effettivi. Secondo ErvZube la Landscape Planning ha come scopo il processo progettuale atto ad accordare le spinte alla trasformazione con la protezione delle risorse naturali. Possono essereconsiderati esempi emblematici della Landscape planningi progetti che riguardano i sistemi dei parchi urbani e le greenways. La Landscape Planning non corrisponde sempre ad un metodo ecologico della pianificazione, ma come sostiene Steiner, questo tipo di pianificazione tende a servirsi di informazioni scientifiche e tecniche per raggiungere una un maggior consenso delle scelte progettuali. L’ecologia, come ambito di studio di tutti gli esseri viventi, persone comprese, viene utilizzata per suggerire l’opportunità e i vincoli circa l’uso del paesaggio guidando i processi decisionali. Anche qui i diversi studi e progetti possono presentare differenze evidenti, ma allo stesso tempo possono essere accomunate alcune propensioni che guidano il progetto: • una ricerca di equità sociale posta in modo paritetico nei confronti dell’ambiente (interazione fra gente e natura); • una spiccata propensione alla trandisciplinarietà, • un punto di incontro fra le diverse scienze naturali; • l’utilizzo di un approccio sistemico agli aspetti del territorio, della società e dell’ambiente.
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2.5.3 Landscape Urbanism Il landscapeurbanismè uno degli ultimi filoni di ricerca emerso dal tentativo di incorporare negli strumenti del progetto gli aspetti ambientali. Il termine, coniato da Charles Waldheim, avvalendosi dei contributi e della collaborazione di alcuni autori come Alex Krieger, James Corner, si pone in continuità con la tradizionale disciplina dell’urban design e come alternativa alle pratiche del “New Urbanism”. Il landscapeurbanismè considerata nonsolo una pratica progettuale, ma una vera e propria ideologia di progetto. Rifiutando il dualismo fra città e campagna, immagina il loro insieme come base per un progetto unico di paesaggio. Un paesaggio che non deve essere concepito come semplice piano scenico, ma letto come una molteplice interazione fra natura e cultura, capace di diventare il motore per lo sviluppo degli insediamenti urbani. Come sostiene James Corner il paesaggio ha sempre giocato un ruolo importante nella costruzione della forma della città, in questo contesto il landscapeurbanismsi pone come vero e proprio ponte fra diverse discipline e come pratica progettualemultiscalare. Una pratica e una ricerca così definita è volutamente plurale, inclusiva e proiettiva. • Il LandscapeUrbanism mira:“(…) to incorporate the processes and techniques thathavehistoricallymodulated the landscapeinto the domain of urbanism, empoweringitsability to cope with the wide range of scales, the diversity of domains and the rapidchangesatwhichitiscurrentlybeingchallenged to operate.” Ciro Najle, (2003) • Il LandscapeUrbanism è: “(…) more than a singular image or style: itis an ethos, and attitude, a way of thinking and acting … landscapeurbanismviews the emergentmetropolisas a thick, living mat of accumulated patches and layered systems, with no singular authority or control.”James Corner, (2003). Molte sono state le critiche ricevute a livello accademico e professionale rivolte alla teoria e alla pratica del landscapeur banism. Emerge più che una linea di ricerca chiara, una piattaforma inequivocabile o una linea guida per il progetto e lapianificazione urbana, una raccolta e schedario di progetti, dove sono evidenti le posizioni rilevanti delle due scuole principali, quella americana afferente a Corner e Waldheim, più propensa a fondare le basi teoriche di un approccio, e quellaglese di Najel e Mostafavi, palesemente più strumentale. Il movimento del Landscape Urbanism rappresenta un tentativo, forse affrettato, di istituzionalizzare una tendenza in atto, non risolvendo la nozione di paesaggio all’interno delle pratiche dell’urbanistica e del paesaggio, facendo riemergere vecchie specificità della Landscape Architecture concentratesui caratteri dell’oggetto e dello stile.
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Ecologia Planning
Landscape Planning
Landscape Ecology
Landscape Urbanism
P. H. Lewis I. L. McHarg G.A. Hills
F. Steiner E. Zube
Z. Navel A. S. Lieberman R. Forman M. Gordon
C. Najle M. Mostafavi J. Corner C. Waldheim
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BARCELLONA: LA METAMORFOSI DA METROPOLI A POSTMETROPOLI 3. La pianificazione urbanistica e paesaggistica di Barcellona L’urbanistica catalana tipicizzata dal guardare avanti, orientata più a ben costruire il nuovo che a ben custodire il vecchio, nella logica espressa dalla carta di Amsterdam, vecchia ormai di circa mezzo secolo che fissava il fondamentale principio “non si può ben custodire il vecchio, se non si sa ben operare nel nuovo!”. Questo indirizzo è stato “di casa” nella pianificazione e progettazione urbanistica di Barcellona dal suo primo porsi come città aperta, in progressiva estensione che trova le sue connotazioni fondative nel grande piano di Cerdà e nel “regolamento edilizio” che lo connotava, ponendo le basi di un sapiente interprete delle nuove regole che l’entrata in campo della “civiltà industriale” poneva irrimediabilmente in essere.
il Piano Cerdà La sua operosità nel pianificare è documentata non solo da un insolito proliferare di piani che negli ultimi decenni non ha trovato città che potesse ad essa confrontarsi, ma ha saputo con altrettanto insolita capacità ridurre al minimo l’iter burocratico amministrativo che ne ha guidato l’approvazione e l’entrata in vigore. Un piano, quello di Cerdà, che fa da cerniera tra l’età moderna e quella cosiddetta contemporanea, che veniva a rifiutare i limiti, le chiusure della murazione che ormai soffocava le esigenze di sfogatura delle soffocate realtà insediative, per uscire fuori dai recinti non erigendone altri ma puntando alla ordinata espansione del nuovo nel rifiuto di una crescita per successive addizioni fatte di suburbi parassitariamente addensantisi nell’immediato cerchio periferico extramurale in attesa che altri recinti venissero loro a conferire sicurezza, protezione e diritti di cittadinanza. 51
Il piano aperto di Cerdà, nella sua lungimirante espansione, ha fatto sì che la città crescesse sulla base di un ordine urbanistico sia geometrico che normativo, interprete di esigenze di traffico, infrastrutture, servizi e sottoservizi che andavano ben oltre la domanda dell’allora presente, ma che prefiguravano l’insorgere di regimi di traffico, di crescita demografica e di sviluppo economico che si sarebbero determinati nel corso dei successivi cinquant’anni e che avrebbero disciplinato armonicamente la crescita della città in bellezza, salubrità e confortevolezza, privilegiando il generale al particolare, il plurale al singolare, il pubblico al privato, senza che l’ordine geometrico facesse da ostacolo alla creatività della cultura letteraria ed artistica che fecero di Barcellona una delle sedi di privilegiato ambientamento.
Ortofoto Barcellona contemporanea Il regime vincolistico che in Catalogna come nell’intera Spagna, ha mirato a proteggere gli elementi più significativi del territorio naturalistico, di quello agricolo interessato dalla maggiore redditività, di quello paesaggistico e di quello culturale (città d’arte, siti archeologici, complessi monumentali, ecc.) non è entrato in urto con l’utilizzo urbanistico dei luoghi ma è stato complementare allo stesso, favorendo il costruttivo colloquio tra conservazione, protezione e trasformazione, in una logica di ottimizzazione degli usi, senza lasciare spazio ad interferenze speculative tese ad attecchire anche nelle sfere del proibito. In realtà si è salvaguardato di più nelle aree meno gravate dalla moltiplicazione dei vincoli dove la forza dell’interdizione diviene arma del potentato conservativo che interdice il fare non palesando di discernere il ben fare dal mal fare. Pianificare a Barcellona e nel territorio della Catalogna è diverso che pianificare altrove, specie se questo “altrove” si riferisce a quei territori pur di antica “appartenenza” catalana, che configurano oggi le regioni del Mezzogiorno d'Italia.
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3.1 La pianificazione urbanistica e paesaggistica in Italia Nel nostro Paese, anche negli ambiti regionali di spopolamento, caratterizzati da economia e dotazioni di risorse povere ben distanti dal contemplare processi edificatori speculativi, dove la domanda nasce dall’elementare esigenza di migliorare specifiche circostanze insediative, la vincolistica delle istituzioni tutelative esercita vigilanza su una ampissima scala di “valori ambientali storici e culturali” fondata sulla logica dell’“evitare il peggio”, ovvero dell’interdizione ponendo conflittuali ostacoli al fare e talvolta anche al ben fare che viene a configurarsi come un “attentato alla conservazione”, un anatema contro la storia, il paesaggio e l’eredità culturale che forniscono ragione di essere all’esercizio della tutela. la selva dei vincoli permanentemente gravanti sul territorio vengono ad assumere un sostanziale carattere di limitazione delle libertà e pertanto sono generatori di conflitti, di disobbedienze, di interdizione o di ostacolo alla pianificazione urbanistica che deve misurarsi con la giusta mediazione tra difesa e valorizzazione del territorio e promozione di uno sviluppo che garantisca una equilibrata risposta alla domanda sociale. I processi trasformativi dell’urbanistica visti come antitetici a quelli conservativi della pianificazione di tutela, accentuano i conflitti rendendo spesso impraticabili gli spazi di mediazione comportando l’irrigidimento delle posizioni, con allungamento dei tempi burocratici di istruzione che finiscono con lo svilire di significato la ragione di essere della pianificazione. Nel lungo viaggio approvativo il piano invecchia spesso senza arrivare alla meta lasciando spazio al “fare da sé”, a quell’abusivismo che sembra trovare legittimazione dal mancato entrare in vigore delle regole” che la pianificazione ha il compito di mettere in vita. In Italia non è il piano a segnare la storia delle trasformazioni delle città e del territorio, ma sono le tante “varianti al piano” che mosse da ragioni spesso occasionali e talvolta accidentali tendono a deformare gli originari scenari del piano per meglio adattarlo a circostanziati mutamenti delle sfere di interesse politico amministrativo ed imprenditoriale.
3.2 L’evoluzione della pianificazione di Barcellona Barcellona ha una storia, più medievale e moderna che antica di cui menare vanto, una storia di lotte contro la sudditanza, indirizzata al riscatto di una progressiva libertà di pensare, proporre, decidere ed operare per costruire un’autonomia gestionale che si facesse garante di poter disporre del proprio destino, di investire la propria intelligenza nel progettare, pianificare e realizzare un avvenire più confortevole e sicuro. La storia politica si porta al seguito la storia letteraria, quella artistica e quella produttiva, tutte coinvolte nella edificazione di un futuro migliore del presente e del passato, di un progressivo liberarsi delle altrui “appartenenze”, di sentirsi popolo unito da un comune parlare, da un comune sentire e da un comune operare; un popolo unificato non solo e non tanto da radici che si disperdono nelle notti dei tempi, quanto da una comune tendenza a sentirsi parte di un altro insieme, che guarda più avanti che indietro, più a realizzare che a ricordare e celebrare il realizzato. 53
La storia antica ha lasciato in Barcellona così poca documentazione di sé che il persistere delle sue poche tracce archeologiche non hanno mai costituito fonti di attrazioni e quindi di studio. Le mura romane erette a rifondazione della diruta città cartaginese, pur significando un patrimonio importante, più in virtù della età che della rarità o eccezionalità artistica, non hanno mai interessato pagine della letteratura pubblicistica indirizzata all’attrazione del turista colto. È la città tardo medievale che testimonia la sua rinnovata origine urbica, con il tortuoso reticolo delle sue strade, con la sua perimetrazione ancora riconoscibile più per la persistenza di piano che per quella del suo edificato, per la presenza di tipologie edilizie più che per la monumentalità delle sue architetture nobiliari, pervenuteci stratificate dai numerosi interventi ristrutturativi, più che restaurativi subiti, per le aperture dei suoi slarghi più che le piazze sulle quali prospettano gli episodi di maggiore rilevanza politica e religiosa assoggettate anche esse a geometriche rivisitazioni. La città rinascimentale allarga il perimetro murario di quella medievale, seguendone l’andamento irregolare, con una tessitura a ragnatela, incerta espressione di un “fare da sé” estraneo ad ogni filosofia e disegno di piano, anche quando in Barcellona, assurta a repubblica marinara, ebbe a competere con Venezia e Genova nella mercatura mediterranea allorché aragonesi e catalani ebbero a condividere organizzazione politica militare e soprattutto commerciale avendo a proprio supporto attivato uno sviluppo produttivo soprattutto artigianale nei settori manifatturieri, tessili, di lavorazione dei metalli e della pietra. Alfonso d’Aragona e di Castiglia assurto a re di Napoli, introdusse una parentesi di rinascimento nel Mezzogiorno d’Italia e nutrì l’ambizioso disegno di unificare il Mediterraneo, o per lo meno la sua sponda settentrionale in un governo preannunciante quello europeo; disegno che gli valse l’appellativo di “Magnanimo” in alternativa al “Magnifico” che parallelamente veniva a competere al suo amico e concorrente Lorenzo dei Medici. Alfonso portò al suo seguito un ampio stuolo di maestranze catalane che hanno lasciato traccia del proprio operare non solo nei principali interventi architettonici promossi dal monarca (primi tra tutti il Castelnuovo) ma anche nei tantissimi palazzi signorili che ornavano Napoli e le principali città del regno, in particolare numerosa è la persistenza dell’arco catalano a sesto ribassato che veniva a “modernizzare” quello angioino durazzesco ancora fastosamente interessato dal decorativismo tardo gotico. I principali palazzi rinascimentali di Napoli ancora conservano l’arco catalano e la originaria fascia bugnata in conci di piperno, mentre agli ordini superiori fanno bella mostra di sé le finestre finemente ornate in marmo statuario, opera delle maestranze toscane che esportavano nel Mezzogiorno i segni sobriamente decorativi del rinascimento centro-settentrionale. La fioritura dei commerci mediterranei entrò in crisi con l’entrata in esercizio dei traffici atlantici indirizzati verso le terre del Nuovo Continente. La circostanza economica si incrociò con quella politica. La Catalogna, pur conservando dopo l’unione alla Castiglia un discreto margine di autonomia amministrativa, si vide interdire i traffici verso i nuovi mercati, e sotto il subentrato dominio degli Asburgo subì col crollo del commercio anche l’interdizione all’autonomia linguistica parlata e scritta, la qual cosa approfondì la diatriba tra la regione e lo Stato, al punto da spingere i catalani ad allearsi con la Francia in guerra contro i castigliani; conflitto che ebbe ad accentuarsi allorché i 54
castigliani nella guerra di secessione (sec. XVIII) ebbero a parteggiare per l’arciduca Carlo. Pianificare non la città ma lo sviluppo delle attività che nella città andavano insediandosi con progressiva lievitazione, fu il compito degli urbanisti chiamati a riequilibrare i processi insediativi che tendevano a fare di Barcellona dei primi del novecento la città più prospera ed affollata della Spagna ed una delle più densamente popolate del continente, il tutto favorito anche dai processi attrattivi esercitati dalle mobilitazioni operaie che si trovarono ad essere il fondamentale stimolo a progredire nel “buon governo”.
3.3 L’evoluzione della pianificazione nell’area metropolitana di Barcellona La pianificazione dell’area metropolitana affida al potenziamento della rete dei trasporti una rilevantissima importanza strategica mirando a fare di Barcellona una città baricentrica tra l’economia dei paesi mediterranei ed il resto del mondo, coltivando l’ambizioso disegno di elevare di categoria il suo aeroporto sì da renderlo effettivamente intercontinentale così come ha teso a riqualificare e potenziare le sue attrezzature portuali che hanno da sempre costituito il punto di forza del suo sistema economico. La pianificazione dell’area metropolitana di Barcellona nasce da un approccio che mette a colloquio geografia e storia, morfologia ed istanze sociali, impegno politico e sfide imprenditoriali che vedono gareggiare in un protagonistico agone la mano pubblica e quella privata, sia nella promozione di iniziative di riassetto insediativo e produttivo dell’esistente, sia nel programmare interventi di sviluppo ecologicamente avveniristico. La geografia della città metropolitana nella sua morfologica discontinuità spinge i pianificatori a muoversi in un territorio non agevole, contrassegnato da rilievi montani ed alto collinari, conche, fondali vallivi ramificantisi a ventaglio in bacini pluviali e più ancora torrentizi, inerpicate cinte collinari fungono da cornice ad altipiani che vanno degradando verso la pianura rivierasca aprendosi nelle anse portuali e nelle foci del Besos e del Llobregat, i corsi d’acqua che aprono e chiudono le aree di più intensa espansione urbana: il Mediterraneo funge da limite sud orientale, servendo la città con darsene e moli che fanno da complemento strutturale alla profonda ansa portuale, dove l’uomo, gareggiando con la natura l’ha soggiogata alle sue ambiziose esigenze, mutandone i caratteri fruitivi, insediativi e paesaggistici con progressiva incisività senza peraltro violentare gli assetti morfologici del territorio, anzi adottando un criterio valutativo delle vocazioni da esso espresso e soprattutto senza arrecare compromissioni alle presenze insediative testimonianti arte, cultura e civiltà storicamente andatesi stratificandosi e comunque riservando spazi di rivisitazione creativa per le generazioni presenti e che seguiranno. Via via che la città, uscita dal suo originario nucleo insediativo, è andata espandendosi sul territorio con orditure viarie a maglie aperta nelle anse pianeggianti, asservendo all’edificato le aree agricole raggiunte dalla rete infrastrutturale e via via che gli insediamenti produttivi industriali guadagnavano la fascia litorale a ridosso del porto, si è avvertita l’esigenza igienica ed estetica di mantenere il verde nelle aree a morfologia più accidentata, convertendolo da produttivo a verde parco, di uso cioè sociale: parco 55
Montjuic a sud ovest che accoglie oltre alla rinascimentale cittadella fortificata convertita in museo militare, lo straordinario riassetto urbanistico architettonico del cimitero monumentale, il Palon Nacional, convertito in Museo nazionale dell’arte della Catalogna e la sede della fondazione Joan Mirò; parco della Ciutadella a sud est che accoglie la sede del Parlamento di Catalunya ed il museo nazionale dell’arte moderna di Catalunya facente sistema con il verde urbano della Barceloneta ed i giardini della Villa Olimpica di recente edificazione. Il parco fasciante la sede reale di Pedralbes a nord ovest ed il parco Guell a nord est, opera di Antoni Gaudì che accoglie la casa museo del maestro. Il verde attrezzato di quartiere fa registrare solo una modesta presenza, al limite della ideale cinta che conclude la griglia infrastrutturale di Cerdà, mentre il verde alberato diventa dominante a duplice e quadrupla fila lungo i viali urbani ed in più modesta consistenza all’interno delle corti degli isolati che, per dimensioni, vengono a strutturarsi come ampi spazi a fruizione condominiale. Barcellona è stata interessata da un processo di sviluppo e trasformazione urbana senza precedenti che ha coinvolto il limite fra città e territorio portando, in alcuni casi, anche a far emergere contraddizioni in seno alle politiche di trasformazione. Barcellona è una città che non si compiace della sua storia antica al punto da dimenticare quella che al momento sta scrivendo e vivendo, che guarda avanti più che indietro gratificandosi per quanto sta facendo o si ripropone di fare più che di quanto ha ereditato dall'altrui fare; è una città sveglia che procede ad occhi aperti, non avvezza a trarre conforto dalle altrui vedute; è una città che non ha mai abbandonato la lotta per il suo progredire, che non si è rassegnata a sopportare le altrui angherie: una città laboratorio che prende le distanze culturali sociali ed artistiche dalla città museo, una città che investe il suo presente per garantirsi un più promettente futuro non una città che offende il suo passato per godersi il suo presente. Una città che crede nella pianificazione continua riempiendo i vuoti insediativi del suo territorio metropolitano con interventi strategici spinti al perseguimento di più avanzati equilibri nel produttivo come nel sociale e nel culturale, non una città che rinuncia alla costruzione di un proprio avvenire, avvilita, mortificata, rassegnata, che non ripone fiducia nella politica, nelle istituzioni di governo, nei programmi e nei piani, che “si lascia andare” anche nel proprio assetto metropolitano, che non cresce ma si gonfia, deformando il suo aspetto fisico ed il suo stato di salute. Una città in definitiva che vive facendo leva sulle proprie capacità, risorse e volontà di procedere in salita, non una città che sopravvive, che si adagia stanca in attesa di eventi provvidenziali e di altrui solidarietà, che procede possibilmente in discesa.
3.4 Le recenti evoluzioni della geografia metropolitana di Barcellona La geografia del territorio metropolitano di Barcellona specie nelle aree a più denso insediamento urbano è esaltata dalla rete infrastrutturale viaria e ferroviaria superficiale e sotterranea che ha consentito alla città di poter ospitare eventi di eccezionale portata come due esposizioni universali (1888 e 1929) ed i giochi olimpici (1992). Tali eventi hanno fornito l’occasione di potenziare sia l’armatura ricettiva urbana che la sua rete infrastrutturale e dei trasporti, specie quelle su ferro che nell’arco di due decenni ha visto moltiplicare le sue linee metropolitane urbane, suburbane e regionali, favorendo 56
sia lo sviluppo delle attività produttive che l’afflusso turistico accorciando progressivamente le distanze dalla storica rivale castigliana: Madrid. Con le Olimpiadi vengono messi in atto processi di trasformazione nell’area nord est della città. Si rimodella il lungomare dove trova spazio il villaggio olimpico oltre all’importante intervento sulla collina di Montjuïc e all’inizio dei lavori in Plaça de Les Glòries.
Vista panoramica sull’Anello Olimipica sulla collina di Monjuïc Il succedersi dei piani interessanti il suo territorio urbano, periurbano e quindi metropolitano e soprattutto il rispetto della tempistica burocratica intervallante la progettazione e l'approvazione, viene a restituire ampia fiducia a quel fare urbanistica sia a scala locale che di area vasta, entrata in crisi di credibilità in altre circostanze territoriali al punto da promuovere l'avvilente stagione della “deregulation” non certamente superabile con le soluzioni alternative entrate in campo con l'equivoco termine battesimale di “programmi complessi” incoraggiate e soprattutto finanziariamente sostenute dalle provvidenziali misure della Comunità Europea, che all'insegna della “urgenza” vengono a privilegiare il particolare al generale, il settore all'ambito, il progetto al piano, sacrificando quell'ordine urbanistico che fa da sostegno all'ordine politico di governo delle trasformazioni del territorio.
3.5 Il caso studio: i processi di trasformazione urbana dell’area Diagonal Mar Le contraddizioni in seno alle politiche di riqualificazione della città di Barcellona sono emerse in alcune operazioni di trasformazione urbana più recenti come nel caso dell’area di Diagonal-Mar interessata da un ambizioso progetto di rigenerazione urbana in occasione del Forum delle Culture del 2004.Diagonal-Mar è un quartiere del distretto di SantMartí della città di Barcellona che siestende dall'inizio dell'Avenida Diagonal fino al mare,un'area destinata ad ospitare un complesso residenziale, attività commerciali, tre alberghi, uffici amministrativi, un centro per congressi ed un parco al centro. 57
Centralità del parco urbano nell’area residenziale della Diagonal-Mar L’intervento trasformazione urbana ha interessato il completamento del fronte marittimo del Poblenou e dell’area di Diagonal Mar con il prolungamento della Diagonal (così come previsto dal Piano Cerdà) e la realizzazione del parco linerare lungo l’asse dell’antica stazione di Sagrera. Questi tre elementi costituiscono un itinerario a S comprendente parchi, attrezzature urbane e di quartiere che ha inteso connettere la città al fronte marittimo.
Schema progettuale della Diagonal-Mar e del Forum 2004 Due gli elementi di novità: il carattere interamente privato dell’intervento e l’organizzazione morfologica adottata. Lo schema viario si discosta dalla maglia Cerdà e gli edifici, gran parte di quelli residenziali, sono inseriti nel parco (opere di Miralles e Tagliabue). 58
Lo schema progettuale del parco urbano centrale di Miralles-Tagliabue
Il progetto ambiva a ripetere il successo delle Olimpiadi del 92,che riuscirono a dare un nuovo volto e una nuova identità alla città, puntando sulla riattivazione di una storica area industriale al limite della città verso il mare, dove erano localizzati il depuratore, l’inceneritore e le centrali elettriche. Il progetto fu presentato come una iniziativa culturale aperta alla partecipazione dei cittadini e non contrattata dall’alto ma, nonostante le premesse, l’intervento, di natura residenziale, commerciale e ricreativa, si è concretizzato in una quasi totale privatizzazione dei suoli e in una marginale partecipazione dei cittadini con inevitabili ripercussioni sulla qualità urbana e sugli equilibri sociali. In modo contrario al modello di rigenerazione dell’area Diagonal Mar sembra invece orientarsi l’altro progetto di riqualificazione, 22@BCN, che interessa una zona adiacente a quella di Diagonal-Mar. Il progetto 22@BCN, mirante alla riqualificazione della vecchia area industriale di Poblenou, sembra perseguire una logica di sviluppo a lungo termine, in cui la ricerca di un equilibrio adeguato tra sviluppo economico, equità e coesione sociale è perseguita attraverso specifici meccanismi di regolazione del processo di riqualificazione.
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Ultima versione del Piano attuativo della area Diagonal Mar di 22@BCN
Vista panoramica Poblenou e Forum Il progetto a maxi scala del Forum si presenta oggi come un grande vuoto urbano, simbolo della globalizzazione che nega il carattere identitario dei luoghi. Inoltre, il progetto Forum doveva servire per riqualificare alcuni dei quartieri più degradati dell’area metropolitana di Barcellona: il Besos, la Pau, la Catalana e in particolare la Mina creando nuove attrezzature a servizio dei quartieri. Un intervento, pertanto, molto più complesso di quello che erroneamente viene identificato come Forum stesso. 60
La visuale di sfondo dei nuovi edifici della Diagonal Mar
L’operazione, in definitiva, doveva essere capeggiata e condotta dall’amministrazione pubblica che si comprometteva a re-localizzare le famiglie di popolazioni già presenti nell’area, mantenendo per quanto possibile, le piccole attività manifatturiere produttive. Un terzo della superficie edificabile doveva essere destinato ad uso pubblico, favorendo in particolare l’edilizia sociale.
Conclusioni E’ innegabile che quest’ultima esperienza di trasformazione urbana di Barcellona ha innescato una riflessione sul modello urbano di sviluppo della città: la città non può crescere infinitamente. Le contraddizioni in seno alle politiche di riqualificazione sono divenute maggiormente visibili in relazione alla parte del progetto di rinnovamento che ha interessato l’area della Diagonal-Mar (Mazza A., 2009). Tali processi si ripercuotono sul successo o sul fallimento della pianificazione urbanistica in un settore determinato; o al contrario, sono gli strumenti formali ed operativi di questa forma di pianificazione i veri responsabili di questi pseudo fallimenti (o cosi come vengono percepiti dalla popolazione residente)? Il caso del Forum Barcellona 2004, costituisce un modello di trasformazione della città e dello spazio pubblico risultato di una decisione istituzionale che ha scoraggiato la partecipazione della comunità locale, innescando a posteriori reazioni di protesta che tuttavia ancora ricercano una forma concreta e riconoscibile nelle dinamiche sociali della città. Il Forum 2004 poteva essere forse una occasione per accrescere il dibattito sociale ed intellettuale che faceva elogio della pluralità e la denuncia delle disuguaglianze, le così pero non sono andate in questa direzione. I grandi progetti urbani non generano più entusiasmo, i cittadini si sentono progressivamente meno possessori della propria città, l’architettura “dei grandi oggetti singolari” non rappresenta un elemento identitario della società. La città centrale, quella storica, monumentale e civica è occupata principalmente da turisti, le trasformazioni urbane dei quartieri tradizionali sono percepite come vere operazioni speculative che tengono poco conto delle reali necessità della popolazione residente. È opportuno, in conclusione, citare Castells: “Investire nella qualità degli spazi pubblici non deve considerarsi un lusso, ma giustizia democratica”. 61
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