TESI SPADONI

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ISFOA

Istituto Superiore di Finanza e di Organizzazione Aziendale Libera e Privata UniversitĂ Telematica a Distanza di Diritto Internazionale Ente di Ricerca Senza Scopo di Lucro e di Interesse Generale

Massimo SPADONI

Gestione strategica delle risorse umane TESI in Economia Aziendale

ISFOA Edizioni Accademiche Scientifiche Internazionali Digitali


Massimo Spadoni , vanta un importante e denso percorso professionale maturato integralmente nelle fila dell ‘ Esercito Italiano in qualità di alto ufficiale con incarichi di elevata responsabilità , attualmente con il grado di Tenente Colonnello opera all’ interno dello Stato Maggiore della Difesa – Ufficio Generale della Sanità Militare quale responsabile dell’ Attività Certificativa dell’ Ispettorato Generale della Sanità Personale . In data 23 settembre 2006 Il Cardinale Carlo FURNO Gran Maestro dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme, designato da S.S. Giovanni Paolo II, lo ha nominato Cavaliere dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme . In data 27 dicembre 2007 il Presidente della Repubblica Italiana gli conferisce l’Onorificenza di Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana . In data 29 settembre 2008 riceve un Elogio scritto dal Colonnello Alessandro Carile, Comandante del Centro Militare di Equitazione . In data 12 aprile 2011 il Ministero della Difesa gli ha conferito la Croce d’Oro per anzianità di servizio militare . Nel Giugno 2011 la NATO lo insignisce della “Medaglia NATO Non Articolo 5” per l’Eccellente Supporto fornito in vari periodi relativamente alle Operazione condotte nei Balcani. In data 05 Luglio 2011 riceve un Encomio Semplice dal Generale Ispettore Capo Ottavio Sarlo , Direttore Generale della Sanità Militare . In data 03 novembre 2011 il Ministero della Difesa gli ha conferito la Medaglia di Bronzo (10 anni) al Merito di Lungo Comando . Il 06.06.2012 è eletto quale Rappresentante della categoria “A” (Ufficiali), all’interno del COBAR nr.62 (Igesan e Collegio Medico Legale della Difesa), Comitato di cui è stato Membro e Presidente fino al 29.05.2018 . In data 02.04.2014 gli viene concessa l’autorizzazione ad indossare il “Nastrino di merito per servizio prestato presso lo Stato Maggiore della Difesa”. In data 18 febbraio 2014 il Primo Ministro della Sassonia (Germania) gli ha conferito la “Sachisen Fluthelfer – Orden 2013” (Medaglia per le operazioni di soccorso dell’alluvione del 2013 verificatasi in Sassonia). In data 27.10.2015 riceve un Encomio Semplice dal Contrammiraglio Gerardo Anastasio, Capo del Reparto Politica ed Organizzazione Sanitaria dello Stato maggiore della Difesa - Ispettorato Generale della Sanità Militare . Il 16 aprile 2016 S.A.R. Pietro Borbone, Duca di Calabria, Gran Maestro dell’Ordine Militare Costantiniano di San Giorgio, gli conferisce la Medaglia d’Argento di Benemerenza Giubilare . Il 29.11.2016 è eletto quale Rappresentante della categoria “A” (Ufficiali), all’interno del COIR del Comando Militare della Capitale, Comitato di cui è stato Membro e Presidente fino al 27.03.2017 . In data 06 giugno 2017 il Ministero della Difesa gli ha conferito la Medaglia d’Oro (20 anni) al Merito di Lungo Comando . In data 01.09.2017 riceve un Encomio Semplice dal Contrammiraglio Gerardo Anastasio , Capo del Reparto Politica ed Organizzazione Sanitaria dello Stato Maggiore della Difesa - Ispettorato Generale della Sanità Militare . Il Presidente della Repubblica Italiana, su proposta del Ministro della Difesa, con decreto in data 12.02.2018 gli ha conferito la Medaglia Mauriziana al Merito di Dieci Lustri di Carriera Militare . In data 19.03.2018 riceve un Encomio Semplice dal Generale di Brigata Vito DALESSANDRO , Capo Ufficio Coordinamento Generale dello Stato Maggiore della Difesa - Ispettorato Generale della Sanità Militare . Il 30.05.2018 è eletto quale Rappresentante della categoria “A” (Ufficiali), all’interno del COBAR Interforze nr. 41 (Igesan e Collegio Medico Legale della Difesa), Comitato di cui è attualmente Membro e Vicepresidente .


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INDICE

Prefazione Capitolo I Organizzazioni e Gruppi 1.1 Organizzazione aziendale 1.2 Il Gruppo in azienda 1.3

Processo decisionale nel gruppo aziendale

Capitolo II Stile di leadership e cultura aziendale 2.1 La Leadership 2.2 Le radici emozionali della Leadership 2.3 Leadership e clima organizzativo 2.4 Leadership e conflitto: le lotte interne 2.5 La gestione del conflitto 2.6 Leadership e comunicazione

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Capitolo III

La gestione delle risorse umane e la formazione 3.1 Il cooperative Learning nelle organizzazioni 3.2 Il coaching Aziendale

Conclusioni Bibliografia Sitografia

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Prefazione Mario Perini, nella prefazione del libro, L’Organizzazione nascosta, scrive: “Freud sosteneva che la capacità di lavorare rappresenta una delle colonne portanti della salute psichica e della maturità civile, insieme con la capacità di amare. E’ intuitivo che il lavoro ha a che fare con le fondamentali passioni umane. Howel Baum, scrive; “il lavoro richiede che si agisca su un oggetto con aggressività sufficiente per modificarlo nel modo desiderato, ma con amore sufficiente per preservarlo dalla distruzione” (Baum 1980, pag. 80). 1” All’interno del nostro corredo di base sono presenti, numerose predisposizioni in riferimento al rapporto con i nostri simili, una predisposizione ovvia se viene considerata la natura sociale della nostra specie, per cui, anche se il gruppo, costituisce un’esperienza inevitabile e ineluttabile, della nostra esistenza sociale, la capacità di muoversi ed agire, lavorare, discutere in gruppo si costruisce lentamente, per esperienza diretta e con una certa fatica. La nostra vita personale è generalmente in gran parte, una vita sociale e quindi di gruppo: riuscire dunque a decodificare le dinamiche di gruppo, ad avere una competenza sociale per agire ed essere propositivi nel gruppo, sono elementi distintivi non solo per contribuire all’evoluzione della vita sociale stessa, ma anche per riuscire ad opporsi agli esiti distruttivi che in alcune circostanze vengono a prodursi. La mia pluriennale esperienza di Ufficiale delle Forze Armate è stata da sprone per la scelta ed il completamento di questo corso di studi che non è affatto casuale, poiché il gruppo, il coaching e la leadership sono elementi imprescindibili di una sana gestione strategica delle risorse umane che un buon Comandante di uomini, per ottenere dei risultati significativi e condivisi, deve saper possedere ed opportunamente applicare.

1 Mario Perini, L’organizzazione nascosta: dinamiche inconsce e zone d’ombra nelle moderne organizzazioni; Franco angeli 2007 pag. 14

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Capitolo I Organizzazioni e Gruppo

“La cooperazione si basa sulla profonda convinzione che nessuno riesca ad arrivare alla meta se non ci arrivano tutti”. Virginia Burden

1.1 Organizzazione aziendale Un’organizzazione aziendale è una entità sociale guidata da obiettivi e strategie ed è concepita come architettura di attività coordinate, in grado di interagire con l’ambiente esterno, viene inoltre rappresentata dall’insieme dei materiali, dei processi e delle persone che li gestiscono e li operano attraverso il coordinamento atto al raggiungimento di uno scopo comune. Può essere considerata come un sistema socio-tecnico e dunque costituito dalle tecnologie caratterizzate dall’insieme dei mezzi strumentali e know how e dalle persone rappresentato dalle risorse umane che costituiscono l’organismo personale dell’azienda. Tenendo conto dei vincoli ed in funzione delle opportunità fornite dall’ambiente esterno, l’organizzazione aziendale definisce i propri obiettivi e le proprie priorità e dalla costante e caratterizzante interazione tra tecnologie e risorse umane deriva il comportamento aziendale, rivolto al raggiungimento degli obiettivi, che producono dei risultati2. A partire dagli anni ‘80, si è iniziato a pensare alle organizzazioni come a delle vere e proprie “arene emozionali “, all’interno delle quali si manifestano, si generano, circolano profonde ed intense emozioni che diventano l’oggetto principale delle relazioni interpersonali all’interno di un gruppo. Un’organizzazione competente ed efficace deve imparare, sia a sviluppare emozioni strettamente correlate al compito nei propri collaboratori, così come deve imparare a valutare e gestire ansie, emozioni tipicamente

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Brusa L., Dentro l’azienda. Organizzazione e management, Milano: Giuffrè, 2004

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insite all’interno del contesto organizzativo. Nella vita organizzativa alcuni fattori inconsci come ad es. meccanismi difensivi, emozioni, fantasie su una cultura organizzativa irreale, plasmano e caratterizzano le relazioni umane ed è sempre necessario non perderli di vista, affinché la gestione del conflitto poi sia efficace. Una cultura organizzativa, è composta appunto dagli elementi inconsci suddetti e da elementi espliciti, come ad es. le regole, la struttura organizzativa gerarchica, la mission, le procedure. Apportare un cambiamento, che permetta la risoluzione dei conflitti, prevede non soltanto fissare tempi, risorse, modalità attuative ecc. ma è necessario non perdere mai di vista gli elementi inconsci, repressi, che possono influenzare i comportamenti dei membri all’interno delle organizzazioni.

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1.2 Il Gruppo in azienda Possiamo però iniziare col dire che un gruppo non è un semplice aggregato o un insieme di individui anonimi, ma un vero e proprio organismo vivo che possiede una sua traiettoria evolutiva: il suo personale modo di costituirsi, crescere, morire. I gruppi sociali sono definiti da Kurt Lewin come un insieme di due o più persone che interagiscono reciprocamente e sono interdipendenti, nel senso che sono spinti dai propri bisogni e obiettivi ad affidarsi l’uno all’altro e a influenzare reciprocamente il proprio comportamento. L’appartenenza ad un gruppo è certamente, un’esperienza condivisa da tutti. Nell’infanzia apparteniamo ai compagni di gioco, in seguito a scuola, ai compagni di classe fino ad arrivare nell’età adulta ai colleghi con i quali conviviamo e ci confrontiamo nell’ambiente di lavoro. Quotidianamente, le persone affrontano il complesso gioco delle appartenenze di gruppo, che come sottolinea Giuseppina Speltini: “definiscono l’identità sociale dell’individuo e ne permettono l’integrazione.3” All’interno del nostro corredo di base sono presenti, numerose predisposizioni in riferimento al rapporto con i nostri simili. Se consideriamo la natura sociale della nostra specie, paradossalmente anche se il gruppo, costituisce un’esperienza inevitabile e ineluttabile, della nostra esistenza sociale, la capacità di muoversi ed agire, lavorare, discutere in gruppo si costruisce lentamente, per esperienza diretta e con una certa fatica. E’ assai evidente che gran parte della nostra vita personale è inequivocabilmente, una vita sociale e quindi di gruppo, ma riuscire a decodificare le dinamiche di gruppo e ad avere una competenza sociale per agire ed essere propositivi nel gruppo, è un elemento distintivo necessario, non solo per contribuire all’evoluzione della vita sociale stessa, ma anche per riuscire ad opporsi agli esiti distruttivi che in alcune circostanze vengono a prodursi. Il bisogno profondo degli esseri umani, di riunirsi in gruppo, risiede nel significato che la relazione con gli altri, ha per ogni individuo e dunque entrare in relazione con gli altri significa soddisfare primari bisogni umani che per alcuni ricercatori, risiedono nel corredo genetico ed innato di ognuno di noi; una sorta di script primordiale, che ci rende bisognosi di appartenere ad un gruppo sociale. Speltini classifica i vari tipi di gruppi, come segue:

3 G. Speltini, A. Palmonari, I gruppi sociali, Ed: Il Mulino 2007, pag 156

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· “I piccoli gruppi, detti anche ristretti, composti da pochi componenti che interagiscono frequentemente fra loro e hanno relazioni dirette e continue, ma non c’è nessuna strutturazione interna; un esempio, ce lo forniscono le classi scolastiche o le compagnie di amici o una compagnia teatrale ad es. di solito si fissano le dimensioni di un piccolo gruppo ad un massimo di 10-20 persone. Le dimensioni numeriche del piccolo gruppo dipendono dagli obiettivi del gruppo ed una caratteristica fondamentale è costituita dall’interazione faccia a faccia tra i membri che interagiscono direttamente tra di loro e si influenzano a vicenda. · I grandi gruppi, denominati anche gruppi estesi, che comportano, data la dimensione ampia una difficile interazione e una mancata conoscenza fra i partecipanti, nonostante l’incisiva presenza di vari livelli di strutturazione interna (pensiamo ai ruoli, status ecc.) molti aspetti di unione fra i membri e condivisione di identità. Esempi di questa tipologia gruppale ben specifica, possono essere le organizzazioni sociali, religiose, etniche, militari, politiche, ecc. · un’altra tipologia di gruppo si basa sul carattere di volontarietà o di obbligatorietà che sta alla base della loro organizzazione, rispettivamente, amici, volontariato sociale, gruppi culturali, ecc. nel primo caso e gruppi di lavoro nel secondo. All’interno di questo complesso esistono poi sfumature caratteristiche dei vari gruppi. Gruppi volontari o gruppi di fatto, gruppi imposti, gruppi formali ed informali. · esistono poi i gruppi primari e quelli secondari. I gruppi primari sono contraddistinti dal profondo significato psicologico che li caratterizza, per le potenti relazioni fra i membri e per la loro significativa incisività sull’identità dei partecipanti, che si sentono riconosciuti come persone, soggetti, trovando quindi nel gruppo di appartenenza, il soddisfacimento dei loro più profondi bisogni. I gruppi secondari invece hanno una più formale caratterizzazione e contribuiscono al perseguimento di obiettivi decisi, nonostante un minor senso dell’appartenenza.4” Ogni individuo quindi, trova una sua dimensione, all’interno dei vari gruppi che ca-

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Ibidem

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ratterizzano la sua crescita e la sua formazione, ed è in considerazione di questo, che l’interesse sui gruppi sociali ha sempre evidenziato un largo interesse nel panorama scientifico. Intorno agli anni ’30 del secolo scorso, negli Stati Uniti le caratteristiche ed il funzionamento dei gruppi, diviene oggetto d’interesse scientifico sotto la spinta di eventi storici significativi, tra questi certamente, la grande crisi economica della fine degli anni ’20. La psicologia sociale, sentì dunque l’esigenza di spostare l’interesse scientifico dalla misurazione degli atteggiamenti verso lo studio dei processi di gruppo, che all’epoca avevano avuto un ruolo importante, e di scoprire in che modo l’azione sociale potesse essere controllata e manipolata al fine di cambiare il comportamento e gli atteggiamenti, invece che limitarsi semplicemente a misurarlo. Subito dopo, la metà degli anni ’50 del XX secolo, la ricerca sui gruppi, vigorosa negli Stati Uniti fino a quel momento, si spostò in Europa, dove continuò ad occuparsi di fenomeni di gruppo, seppure da prospettive diverse. Nella prospettiva individualistica, la psicologia sociale concentrò il focus di interesse sul comportamento individuale all’interno del gruppo, che diviene secondo questo approccio semplicemente, una dinamica interpersonale, nella quale il comportamento del singolo, non cambia, nonostante sia in gruppo. Nella prospettiva collettivistica o sociale invece, i ricercatori stabilirono che il comportamento umano all’interno dei gruppi sia influenzato da particolari processi sociali e da rappresentazioni cognitive che possono originarsi ed emergere esclusivamente all’interno di un gruppo. E’ necessario evidenziare che un gruppo sociale è: un insieme di due o più persone, interagenti fra loro all’interno del quale i membri si percepiscono come partecipanti ad una unità che dura nel tempo e nello spazio e legati da un obiettivo comune. La nostra attuale conoscenza, sul funzionamento dei gruppi, certamente la dobbiamo a Kurt Zadek Lewin che con i suoi studi poté affermare che un Gruppo è un’entità diversa rispetto all’insieme dei singoli individui che lo compongono, è infatti una totalità dinamica, basata sull’interdipendenza dei suoi membri, o secondo la sua definizione, dalle sotto parti che fanno parte di esso. A tal proposito afferma: “(…) Un gruppo è definito al meglio come una totalità dinamica basata sull’interdipendenza invece che sulla somiglianza.5”

5 K. Lewin, “Resolving social conflicts: selected papers on group dynamics,” Harper & Row, New York, 1948, p.184.

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Per Lewin dunque qualsiasi comportamento individuale o sociale è il prodotto di certe forze o condizioni. Il gruppo è dunque un insieme di individui in interazione fra loro e la realtà che ne scaturisce è un prodotto delle loro menti. Ogni gruppo quindi è un organismo complesso, con una sua personale vita ed una sua particolare trama, per comprenderne il significato e la struttura, è necessario analizzarne, la dinamica che è composta da una sua caratteristica struttura, all’andamento delle relazioni gruppali ed il suo fluire. E’ evidente che all’interno di un gruppo, si stabiliscono legami mutabili, che derivano da una interferenza fra le condizioni individuali specifiche di ogni membro e quelle gruppali, dovute alle percezioni interpersonali ed alle interazioni sociali. Il gruppo, così come il singolo individuo deve essere considerato come un sistema, che entra in relazione con l’ambiente circostante, attraverso un’infinità di scambi, dotato di vita propria, con regole interne che vanno oltre quelle del singolo individuo. Il gruppo deve necessariamente essere osservato come un organismo complesso, pieno di regole, significati e valori. E’ un insieme di individui, che in modo più o meno strutturato, ne condivide gli obiettivi, a volte i valori, in taluni casi è contraddistinto da legami affettivi molto forti. I gruppi diventano un tassello importante della nostra identità e ci consentono di definire chi siamo, stabilendo regole e norme sociali, che dettano i comportamenti accettabili6.

1.3 Il processo decisionale nei gruppi aziendali Tecnicamente il termine decisione rimanda alla scelta di intraprendere un’azione, tra più alternative considerate, da parte di un gruppo o di un individuo(decisore). In ogni decisione convergono valutazioni e pregiudizi, suggestioni emozionali, motivi razionali, valori e simpatie, informazioni e sentimenti, in un intreccio la cui complessità diventa inestricabile. Comunemente il processo decisionale viene definito, come una azione in cui un certo insieme di conoscenze viene utilizzato per raggiungere un obiettivo considerato come valore e si articola in due dimensioni fondamentali ovvero la dimensione delle informazioni possedute rispetto all’oggetto della decisione e la dimensione costituita dal valore che viene attribuito all’obiettivo, che grazie alla decisione va raggiunto e

6 Polmonari, op. cit.

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sono soprattutto tipiche di ogni processo di interazione umana. Il processo decisionale di un gruppo è dunque lo svolgimento di una sequenza complessa di interazioni e di comunicazione tra vari membri. Afferma Alberto Gandolfi, nel suo testo “ Decidere nell’incertezza”: “Le decisioni collettive pongono particolari problemi; ovvero devono essere accettate dai membri del gruppo, chiamati a porre in essere le azioni decise; occorre, pertanto, che chi decide abbia il potere (in particolare, un potere sociale) di prendere decisioni per tutti; quando la decisione è presa da una pluralità di individui, occorrono delle regole per trasformare le scelte di ciascuno di essi nella scelta collettiva (ad esempio, la regola della maggioranza).7” Estremamente rilevante all’interno dei gruppi di lavoro, è il processo che conduce alla decisione, che andrebbe valutato proprio per garantire una comprensione profonda sull’origine di decisioni adeguate o cattive ed è strettamente correlato, principalmente dalla gestione delle informazioni facendo attenzione per esempio ad una serie di “trappole cognitive” oppure facendo attenzione alla trappola dell’aggiustamento e quindi a quelle decisioni prese sulla base di un parametro definito dall’esperienza, “aggiustato” poi in base alla situazione attuale di riferimento. Secondo gli autori Sheth, Newman, Gross ogni decisione solitamente si articola in cinque passaggi successivi: “- la determinazione dell’obiettivo che la decisione deve consentire di raggiungere; - la raccolta e la selezione dell’informazione necessaria e sufficiente per compiere una scelta motivata; - la formulazione di una o di più proposte alternative; - l’aggregazione del consenso intorno ad una proposta; - l’inizio dell’azione intesa a raggiungere l’obiettivo. È evidente che ognuno di questi cinque passaggi si fonda su di un processo di comunicazione.8” 7 A. Gandolfi, “Decidere nell’incertezza”, Ed. Casagrande, Bellinzona, 2012, pag. 121 8 J.N. Sheth , B.I. Newman, B.L. Gross, “Consumption Values and Market Choices: Theory and Applications”, Cincinnati, OH, South Western Publishing Company 1991, pag.123

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1.2.1. I passaggi del processo decisionale nel gruppo Il primo, è l’espressione da parte del gruppo di uno o più valori rispetto al sistema di riferimento dello stesso gruppo e consiste nell’individuazione dell’obiettivo. Dunque le norme del gruppo, ovvero i valori che il sistema di riferimento raccoglie devono essere considerate dei veri e propri orientamenti affettivi del gruppo. Individuazione e scelta dell’obiettivo è un processo attraverso cui i membri in interazione esprimono i loro sentimenti rispetto alle necessità di adattamento del gruppo stesso. Nel secondo passaggio, diventa necessaria la raccolta e la selezione dell’informazione essenziale alla decisione strettamente connesse ad un processo di comunicazione tramite cui il gruppo manifesta le conoscenze possedute e simultaneamente, la sua capacità di ricercare ed appropriarsi di quelle che prende dall’ambiente sociale in cui è inserito. Le interazioni in questa fase sono prevalentemente centrate sui contenuti conoscitivi e non sui sentimenti ed emozioni. Il terzo passaggio, è al confine tra la comunicazione che privilegia il contenuto e quella che privilegia la relazione, si tratta di quello della proposta, che deve essere conseguente alle informazioni raccolte e selezionate dal gruppo e parallelamente ottenere il consenso da parte dei membri del gruppo che non può che essere l’espressione di un sentimento. Questa fase va dunque considerata, come un confine tra la comunicazione centrata sul contenuto e quella centrata sulla relazione. Il quarto passaggio, può avvenire solo all’interno del sistema di riferimento di quello dei suoi singoli membri e/o del gruppo ovvero, quello dell’aggregazione del consenso in cui i membri del gruppo condividono la proposta, riconoscendola efficace coerente con il sistema di valori e norme degli individui che lo formano e del gruppo ed efficace per la soluzione del particolare problema di adattamento del gruppo. I membri del gruppo potranno accogliere unanimemente una qualsiasi proposta, solo se prima si costituisce un sistema di norme comuni. Qualunque proposta che afferisce in qualche modo all’adattamento del gruppo non viene solo accolta sulla base di una valutazione di ordine razionale, ma principalmente perché è in grado di suscitare una positiva reazione affettiva ed emozionale. Si giunge dunque al quinto ed ultimo passaggio, strettamente connesso all’azione indispensabile per il raggiungimento dell’obiettivo che inizia nel momento in cui i membri del gruppo hanno costruito un comune sistema di riferimento rispetto all’argomento della decisione, oppure quando una persona o una

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parte del gruppo impone la sua proposta, in virtĂš del suo potere. Uno schema sequenziale definisce il processo decisionale in questo modo: Fig. 1:

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9 htm

http://static.gest.unipd.it/~tecsisim/DIDATTICA/EAI/PROCESSODECISIONALE.

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Capitolo II Stile di leadership e cultura aziendale?

“Una leadership non si misura sul conferire una grandezza all’umanità, ma sul farla emergere, perché la grandezza è già là.” James Buchanan

2.1 La Leadership Il termine inglese Leader, ci rimanda a colui che nella gerarchia del gruppo, occupa la posizione più elevata. E’ il membro capace di influenzare gli altri membri del gruppo o in modo naturale o in modo strategico. Con il termine leadership dunque evidenziamo il processo che coinvolge il leader con gli altri membri del gruppo. Gli opposti che abitano le organizzazioni oggi sono: “alterità-identità”, nemico-amico”, “straniero-prossimo”. Molte volte ci si sente espropriati, infastiditi, derubati, messi in profonda discussione, dalla diversità dell’altro. Tutte queste forme conflittuali hanno bisogno di una ri-mediazione che può avvenire grazie ad una leadership efficace e dunque: “una leadership percepita come una serie di attività condivise e non come tratto caratteriale” che in questa riformulazione può guidare in questo cammino all’interno delle relazioni organizzative, di qualunque natura siano. Il Leader dunque deve assumere il ruolo di contenitore della sua possibilità di coniugazione, della differenza e declinazione. Afferma Hillman: “témenos: recinto, vaso”, contenitore colmo di fiducia legata “attraverso la promessa, il patto, la parola.10”

10 A. M. CASTELLANO, Leadership come Philia della differenza, in Leadership, negoziazione e gestione del conflitto, N. 9 – Maggio 2011 https://docplayer.it/1611200-Ferdinando-castellano-1-leadership-come-philia-della-differenza-anna-maria-castellano-2-intervista-monica-bergamaschi.html

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La leadership non si esprime nel comando e non è una dote innata, ma si sviluppa e riposa su competenze e abilità, che possono essere apprese o sono legate al modo di stare in relazione. Petrini, nel suo libro, riassume le funzioni fondamentali della leadership in quattro tipi di capacità: stretching, empowering, coaching, sharing: - “streaching (lett. “tendere, stirare“ ).E’ la capacità di assumere dei rischi e di sfidare le abitudini di un gruppo. Implica la capacità di creare situazioni di pressione e sfida, di spingere a fare meglio e ad andare oltre. Questa capacità è fondamentale per promuovere il cambiamento ed ottenere risultati. - empowering (lett. “potenziare“). E’ la capacità di aiutare gli altri a trovare il proprio potenziale individuale, per realizzare un comportamento organizzativo più efficace. Permette di aiutare gli altri e di favorire i membri del gruppo ad esprimersi più profondamente riconoscendo il valore del loro lavoro e stimolandone la crescita professionale, personale e l’autostima. Capacità essenziale per promuovere lo sviluppo delle persone e ottenere i risultati. - coaching (lett. “allenare“). Il coaching è capacità di essere un formatore e una guida. E’ basato sull’attitudine di ascoltare le persone con attenzione, considerazione e disponibilità e di rispettarle. Richiede il riconoscimento del proprio potenziale individuale e di sviluppare un patrimonio di competenze tali che permettano di cogliere il potenziale sottoutilizzato dagli altri membri. Attitudine essenziale per promuovere lo sviluppo delle persone e realizzare valori. - sharing (lett. “condividere“) E’ la capacità necessaria di scambiare conoscenze e informazioni. Implica l’attitudine al coinvolgimento delle persone rispetto agli obiettivi prefissati, permettendo loro di partecipare ad incontri dove si scambiano informazioni ed idee, allo scopo di agevolare l’accesso alle risorse, ottenere una vera collaborazione e riconoscere che queste devono essere a disposizione di tutti. Capacità importantissima per promuovere il cambiamento e realizzare valori.11” Secondo un recente modello di leadership, il c.d. “modello full range”, sviluppato da Bernard Bass e Bruce Avolio, il comportamento di leadership varia lungo un continuum che va dalla leadership laissez- faire, alla leadership transazionale a quella trasformazionale. Per “leadership laissez-faire” si intendono quei comportamenti

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A.Palmonari, G.Speltini, I gruppi sociali, Ed. Il Mulino 2007 pag 131

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che denotano incapacità di assumersi responsabilità, di fornire indicazioni precise ai collaboratori e scarsa presenza; tutti comportamenti negativi che vanno evitati. La “leadership transazionale” si basa sull’assegnazione di premi o penalizzazioni ai collaboratori per promuovere la loro motivazione e la performance. In questo caso leader e collaboratori sono agenti di negoziazione che cercano di massimizzare la propria posizione relativa. Bass ed Avolio affermano che: “La “leadership trasformazionale” invece è quella che promuove maggiori gradi di coinvolgimento, fiducia, lealtà ed impegno nei collaboratori. I leader trasformazionali possiedono un’intelligenza emotiva più sviluppata ed attuano i seguenti quattro insiemi di comportamenti: · motivazione ispiratrice: i leader si comportano in modo tale da motivare e ispirare chi sta loro intorno, rendendo significativo e sfidante il lavoro dei loro collaboratori e originando spirito di gruppo, entusiasmo e ottimismo; · influenza idealizzata: i leader considerano le necessità degli altri, condividono il rischio con i collaboratori, si comportano in modo coerente e non arbitrario e dimostrano elevati livelli di condotta etica, in modo tale che verso di loro ci sia ammirazione, rispetto e fiducia tali da renderli dei modelli da seguire per i collaboratori; · considerazione individuale: i leader sono estremamente attenti alle necessità di successo e di crescita di ciascuno e si comportano come allenatori e mentori, instaurando un clima supportivo che prevede offerte di sostegno, incoraggiamento, empowerment e coaching ai collaboratori; · stimolazione intellettuale: che comprende atteggiamenti volti a promuovere la creatività, l’innovazione ed il problem solving tra i collaboratori12.”

2.2 Le radici emozionali della leadership La leadership, svolge all’interno di istituzione e gruppo una funzione molto simile a quella esercitata dall’Io nella vita mentale dell’individuo; la sua natura poliedrica per12 B.M Bass B.J. Avolio, “A Manual for Full-Range Leadership Development”, New York, Center for Leadership Studies, 1991 p. 124

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mette di coglierne, non soltanto le funzioni razionali, coscienti e orientate al compito dell’organizzazione e del gruppo, ma esattamente: “come l’Io individuale emerge al pari dell’Es da una matrice di tipo istintuale così la leadership prende forma accorpando alle componenti razionali e visibili, una grande varietà di elementi irrazionali, emotivi e nascosti dietro la facciata della struttura organizzativa.13” Le innumerevoli grandi e piccole tragedie e le forti passioni, che si muovono nella vita sociale intorno a tutte le strategie di comando dell’autorità e del potere, dimostrano e sottolineano, quanto potenti e spesso devastanti possono essere gli affetti primitivi che vi sono coinvolti. Considerare ed analizzare le radici emozionali della leadership, è il punto di partenza per comprendere le dinamiche nascoste e conflittuali che si generano all’interno di un’Istituzione e/o organizzazione. In psicologia delle masse e analisi dell’Io, Freud esplora gli aspetti psicologici della leadership e le relazioni tra un capo e il suo seguito. Egli sostiene che: “il leader di una massa svolge le sue funzioni di guida, grazie al fatto che ogni membro del gruppo lo interiorizza come un oggetto idealizzato e lo mette al posto del proprio ideale dell’Io e in un certo senso, anche al posto della propria capacità di pensare.14” Il rapporto capi-collaboratori ripete molte delle situazioni che mettono a confronto la responsabilità filiale e l’autorità parentale. Assumere ruoli direttivi in qualunque organizzazione comporta per la persona designata, oltre ad un conferimento di autorità al vertice ed un’accettazione dalla base, un profondo e intricato negoziato interiore che la teorizzazione della Tavistock chiama: “l’autorizzazione dall’interno” (Obholzer,1994) e che coinvolge la qualità degli oggetti interni, quindi le figure parentali interiorizzate, la presenza di un super-io normativo, ma non troppo sadico, l’autostima, l’equipaggiamento libidico e l’equilibrio narcisistico che sono venuti evolvendo nello scenario familiare e che poi viene riproposto come uno script dirigenziale all’interno dell’Istituzione. Molti problemi nell’esercizio della leadership, hanno la loro origine nei primi conflitti familiari.15”

13 Ibidem 14 Ibidem 15 M. K. De Vries, Leader, giullari impostori: sulla psicologia della leadership, Cortina Raffaello 1994, pag. 79

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Leadership e clima organizzativo Il problema più evidente del funzionamento di ogni gruppo è strettamente connesso alla problematica del comando ed allo stile di leadership esistente in un gruppo. Il compito fondamentale di una leadership, sia essa rappresentata da un individuo o da un team direttivo è quello di imparare a distinguere il ”logoramento” normale del clima e del gruppo di lavoro causato dall’esposizione prolungata ed inevitabile di consumo di risorse energetiche e ai problemi insiti nel lavoro stesso, al degrado patologico, non necessario, evitabile e con un’evoluzione ad alto rischio. Se il clima lavorativo si deteriora quindi, l’ansia non riconosciuta che si sviluppa aumentando di intensità, apre la strada a paura, rabbia e conflittualità che tendono a diventare croniche. Se non si interviene, compaiono nel personale, la diffidenza, il sospetto, l’ostilità, oppure lo scoraggiamento e l’abulia o ancora un’iperattività apprensiva e megalomanica. Tutto questo produce difficoltà operativa, biasimo, ricerca di un colpevole e la denigrazione del lavoro degli altri, l’isolamento nel proprio compito, l’arroccamento difensivo all’interno della “propria squadra” o del proprio settore. Questi stati emozionali collettivi sono insieme alla sofferenza individuale dei capi, dei collaboratori e degli utenti coinvolti, gli indicatori più comuni del disagio e di rischio per il team di lavoro e per l’intera organizzazione. Le cause di questo degrado organizzativo possono essere: mancanza del leader, che viene spostato o viene a mancare anche solo in termi- ni di autorevolezza o sul piano emozionale. -

presenza di leader deboli, corrotti o patologici che arrivano a corrompere o “pervertire” la mission organizzativa originaria imprimendole linee o direzioni che restano segrete o non vengono condivise e che sono quindi perseguite per vie sotterranee, mentre in superficie continuano ad essere affermati gli obiettivi e i valori tradizionali. aumento delle richieste e delle responsabilità globali o viceversa la riduzione - delle risorse -

Presenza di ambizioni eccessive da parte del leader.

Diverse sono le teorie sui tipi di leadership e sul loro impatto sul gruppo, tra le più importanti e note, quella elaborata da White e Lippit. I due autori distinguono tre stili diversi di leadership:

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-lo stile autoritario; -lo stile democratico; -lo stile permissivo, detto anche di delega o laissez-faire. Lo stile autoritario è caratterizzato dalla decisionalità autoritaria del leader: come, cosa con che tempi e in che modo fare qualcosa, è il frutto della volontà e dell’intuizione del capo che non fornisce nessun genere di spiegazione sulle scelte adottate, ai membri del proprio gruppo di riferimento, ma vengono semplicemente comunicate ai subalterni a cui viene distribuito il lavoro16. Il rispetto di ogni forma decisionale viene ottenuto attraverso punizioni, sanzioni e le comunicazioni vengono sempre centralizzate. Questa tipologia di leadership permette di ottenere, sicuramente un’ottima produttività, ma comporta una stretta dipendenza dal leader. Genera chiaramente una grossa fonte di aggressività, conflitto sotteso e nascosto tra i membri del gruppo, che non si sentono motivati, da un capo che palesa una fiducia limitata nei loro confronti. Lo stile democratico implica davanti ad un problema, le decisioni vengano prese in gruppo. Questo stile di leadership, favorisce la partecipazione democratica di tutti i membri del gruppo, ai processi decisionali. Il gruppo, è coinvolto nelle scelte, è parte attiva del processo e del gruppo stesso e quindi ogni attore è profondamente motivato. Il capo rappresenta una parte attiva nel gruppo con il quale collabora armoniosamente. È una leadership in cui il capo esprime fiducia nei confronti del proprio gruppo, sostenendoli durante le loro attività, senza perdere però l’autorevolezza nella scelta finale. È uno stile di conduzione che favorisce una buona produttività, discreta comunicazione tra i membri, ottima motivazione e capacità di autogestione e un clima di lavoro comunicativo e sereno17. È uno stile di conduzione che comporta una bassa produttività, caos comunicativo e lavorativo. Uno degli elementi cruciali dunque per la salute dell’organizzazione è il rapporto equilibrato tra risorse e compito, sia sul piano quantitativo che qualitativo. Lo stile permissivo, detto anche del laissez-faire o di delega, prevede un’autonomia ampia e caratteristica dei membri del gruppo che sanno come svolgere i loro compito. La leadership

16 R. Lippitt , R.White The «Social Climate» of Children’s Groups, in Barker R.G., Kounin J., Wright T H. (eds.), Child Behaviour and Development, New York, McGraw-Hill. 1943 17 Ibidem

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è quasi assente, nonostante sia comunque il capo, il responsabile delle decisioni finali ed assunte e che interviene solo se sollecitato.

2.4 leadership e conflitto: le lotte interne Come abbiamo detto in precedenza la leadership costruisce un senso nel preciso istante in cui nella relazione la sua azione è orientata, una leadership capace di governare il conflitto, negoziando i significati ricostruendo il loro significato, che governa i conflitti prodotti e generati dalle paure, dalle difficoltà e dalle incertezze. Che si confronta con le ombre e che negozia l’appartenenza e che si confronta con il mutare degli eventi stabilendo il mutamento. Una leadership efficace ha il compito di abbandonare schemi rigidi per affrontare resistenze e negazioni che impediscono di prendere in considerazione strade bizzarre, alternative, inizialmente contro intuitive o inconcepibili, producendo una gestione dei conflitti riparativa e creativa. Sclavi afferma che è necessaria: “Autoconsapevolezza emozionale: in quanto in occasione di situazioni conflittuali o contesti difficili emerge una dimensione emotiva molto profonda. Distorsione della comunicazione o interruzione della stessa, mancanza di riconoscimento reciproco, desiderio di vendetta, rigidità fisica e mentale, violenza e sfiducia, sono esempi riconducibili ad emozioni fondamentali come rabbia, paura, imbarazzo, senso di colpa, vergogna, invidia, disprezzo, gelosia.18” Le emozioni emergono più chiaramente ed intensamente con un linguaggio non verbale, corporeo, che adopera vie digitali ed analogiche, un aspetto, quello emotivo dell’interazione sociale che viene percepito spesso come disturbante, al raggiungimento degli obiettivi o alla costruzione delle relazioni che ci prefiggiamo di raggiungere nelle attività sociali. Sviluppare la capacità di leggere le proprie emozioni aiuta l’individuo a porsi in una posizione di scelta attiva: ogni emozione chiarisce e informa sulla situazione e su di sé, aiutando ad adattarsi di conseguenza a ciò che sta avvenendo o ad usare strategie alternative ed ancora cambiare ottica sulle proprie reazioni, accettandole e comprendendole. Scotto afferma: 18 V. D’urso, R. Trentin, Introduzione alla psicologia delle emozioni, Roma, Editore Laterza, 2006 p. 76

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“l’ansia e il timore, prima e durante il conflitto, sono aspetti fisiologici: l’ansia deriva dal timore che il confronto con l’altro mi destrutturi, cioè metta in crisi, mini le mie basi, la mia fiducia in me, la mia immagine di me; in tal senso, il confronto con l’altro è un’eco del mio confronto con le parti diverse di me stesso/a.19” 2) Ascolto attivo-empatico L’atto comunicativo esplicita la definizione che ogni individuo ha di sé stesso, una buona leadership ha il compito di cogliere i sottesi di ogni comunicazione e di canalizzarli e ripararli, affinché il clima comunicativo del gruppo ne tragga beneficio, identificando la modalità di comunicazione presente: – “il rifiuto presuppone il riconoscimento di ciò che si rifiuta: “tu hai torto”; – la disconferma che nega la realtà del soggetto come emittente della comunicazione e si esemplifica con tutti quei comportamenti non-verbali volti alla trasmissione del messaggio: “tu non esisti”; – la conferma rappresenta il passo iniziale verso nuove soluzioni e verso la possibilità che l’interlocutore si senta “al sicuro.20” Ciò che permette un’efficace interazione comunicativa è, la capacità del leader di aiutare i membri del gruppo ad ascoltare e rispettare il punto di vista altrui, riconoscendo che in questo processo, vi è l’immagine sottesa e celata, che ogni interlocutore ha di sé. L’Ascolto attivo – empatico è un “ascolto efficace” che permette di entrare nel punto di vista dell’altro, condividendolo, escludendo il giudizio, e l’impellenza di un consiglio, per superare la difficoltà. Ascolto attivo significa “ascoltare con tutto il corpo e con tutti i sensi” stimolando la capacità di cogliere l’interezza della comunicazione dell’altro. Diversi sono gli elementi che generano conflitto e che ogni Leader deve considerare. Patrick Lencioni nel suo libro “La guerra nel team: Racconto sulle 5 disfunzioni del lavoro di squadra” evidenzia le 5 caratteristiche disfunzionali, che impediscono ad un gruppo di lavoro di raggiungere gli obiettivi ed ottenere il risultato e che in maniera meta-comunicata affiorano creando una nuova forma di organizzazione occulta, impenetrabile e imperscrutabile che Perini

19 M. SCLAVI, Arte di ascoltare e mondi possibili: come si esce dalle cornici di cui siamo parte, Milano Mondadori, 2003, pag.107 20 Ibidem

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definisce un’Organizzazione Nascosta. Lencioni sintetizza in una piramide le cinque disfunzioni nei team di lavoro:

21

Fig. 1 Il cambiamento organizzativo dipende fondamentalmente, dal modo in cui funziona la performance e l’efficacia di un team. Ma nonostante il lavoro di squadra sia pratica comune in tutte le organizzazioni, non è sempre semplice, raggiungere la performance in un gruppo. Dunque costruire team efficaci e performanti è certamente un obiettivo complesso perché il rischio di costruire un team disfunzionale e conflittuale è molto alto. Nell’ambito formativo, dunque una delle priorità principali è proprio quello di far emergere e gestire la disfunzione “nascosta”. Nel suo libro Lencioni presenta cinque caratteristiche essenziali affinché un team risulti coeso ed efficace, rappresentandole come abbiamo visto, con una piramide alla cui base c’è la “fiducia” e sulla cima della stessa, “gli obiettivi comuni di business”. Una metafora di quello che è necessario ad

21 P. Lencioni, C. Roglieri, La guerra nel team. Racconto sulle 5 disfunzioni del lavoro di squadra, Ed. Rizzoli 2007 immagine tratta dall’articolo di Andrea Farioli: https://www. semplicemente.eu/articoli-pensieri/?post=le-5-disfunzioni-del-team&date=2017-02

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un gruppo per funzionare al meglio. Infatti in un team efficiente ed efficace, i membri •

“Sono capaci di usare in modo produttivo il conflitto d’idee

Si fidano uno dell’altro

Si dedicano alle decisioni e agli action plan concordati

Si ritengono reciprocamente responsabili rispetto a questi piani d’azione

Si concentra sul raggiungimento degli obiettivi di business comuni.22”

Ogni formatore deve necessariamente comprendere ed osservare le disfunzioni “pericolose” che possono apparire all’interno di un team, quali: L’ assenza di Fiducia che Lencioni definisce «mancanza di conoscenza e desiderio di invulnerabilità» che emerge da una profonda paura nel creare una base solida e sana con il proprio team. Ciò che fa emergere la sfiducia, è la mancata conoscenza delle vulnerabilità proprie e altrui. I meccanismi difensivi dunque ai membri di non chiedersi supporto vicendevolmente e che non si scambino le esperienze23. Paura del Conflitto o «armonia artificiale» generata solitamente dal desiderio di preservare un’armonia presunta in grado di soffocare i conflitti produttivi e necessari. Lencioni afferma: “Nei Team che cercano di evitare i conflitti regna un’atmosfera di armonia artificiale in cui ognuno tende a trattenere le proprie opinioni e dubbi anziché manifestarli per favorire la ricerca delle migliori soluzioni per il gruppo.24” Mancanza d’impegno «no coinvolgimento e ascolto» solitamente prodotto dal mancato “buy-in“ e da una mancata chiarezza impedendo così a tutti i membri del team di impegnarsi profondamente nelle decisione e nel raggiungimento dell’obbiettivo. Sottrarsi alla responsabilità attraverso l’evitamento di un disagio interpersonale generato da situazioni controproducenti rispetto all’obiettivo comune del gruppo. Questo tipo di atteggiamento comporta spesso disattenzione rispetto ai risultati comuni, che vengono anteposti agli obiettivi dei singoli. Scrive Lencioni: “E’ importante sviluppare un senso di responsabilità reciproco, ogni membro deve

22 23 24

Ibidem Ibidem Ibidem

23


sentirsi responsabile per tutto il Team. In questo modo ogni membro non lascerà mai solo un altro componente in difficoltà ma lo aiuterà per mantener fede alle scadenze e raggiungere i risultati prefissati. Ogni membro deve rispondere delle altrui responsabilità e deve accettare che gli altri si assicurino dell’adempimento delle proprie.25” Disinteresse verso i risultati e in merito a questa categoria Lencioni evidenzia: “Se ogni membro non è responsabile di ciò che fa il Team, ognuno anteporrà i propri interessi personali. Questo atteggiamento egoistico riduce l’abilità di raggiungere obiettivi comuni e di conseguenza perderanno tutti.26” In un gruppo coeso ed unito, dove c’è costruttivo confronto, diffusa fiducia, mutua responsabilità, costante impegno ogni membro del Team, tenderà sempre al raggiungimento di un obiettivo comune e quindi al risultato. E’ chiaro che i membri di un gruppo, se riescono a superare queste disfunzioni, possono assolutamente raggiungere una decisione efficace e soddisfacente e possono farlo attraverso il dialogo, la contrattazione e la negoziazione, quindi attraverso la comunicazione tra le parti opposte di un conflitto, in cui entrambe fanno delle offerte e delle controfferte, finché non si raggiunge una soluzione in cui convergere. A partire dagli anni ‘80, si è iniziato a pensare alle organizzazioni come a delle vere e proprie “arene emozionali”, all’interno delle quali si manifestano, si generano, circolano profonde ed intense emozioni che diventano l’oggetto principale delle relazioni interpersonali all’interno di un gruppo. Un’organizzazione competente ed efficace deve imparare, sia a sviluppare emozioni strettamente correlate al compito nei propri collaboratori, così come deve imparare a valutare e gestire ansie, emozioni tipicamente insite all’interno del contesto organizzativo. Nella vita organizzativa alcuni fattori inconsci come ad es. meccanismi difensivi, emozioni, fantasie su una cultura organizzativa irreale, plasmano e caratterizzano le relazioni umane ed è sempre necessario non perderli di vista, affinché la gestione del conflitto poi sia efficace. Una cultura organizzativa, è composta appunto dagli elementi inconsci suddetti e da elementi espliciti, come ad es. le regole, la struttura organizzativa gerarchica, la mission, le procedure. Apportare un cambiamento, che permetta la risoluzione dei conflitti, prevede non soltanto fissare tempi, risorse, modalità at-

25 26

Ibidem Ibidem

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tuative ecc. ma è necessario non perdere mai di vista gli elementi inconsci, repressi, che possono influenzare i comportamenti dei membri all’interno delle organizzazioni. Secondo Bion: “ogni cambiamento, per quanto positivo e desiderato, è comunque anche una catastrofe” (Bion, 1960). Ostruzionismo, dissenso, sono alcune delle dinamiche che possono presentarsi durante il processo di cambiamento organizzativo. Questo “soggetto disturbante” ha il compito non esplicitato, di rendere manifeste le “resistenze istituzionali”, ovvero tutte quelle forme di resistenza latenti presenti nell’organizzazione e negli altri membri, di cui si fa portavoce. Durante la gestione del conflitto, tutti questi aspetti che sono stati annoverati in questo paragrafo, non devono essere mai persi di vista.

2.5 La gestione del conflitto Per poter gestire costruttivamente un conflitto, è necessario non mirare a ledere l’avversario (o comunque il gruppo che non condivide la nostra idea) promuovere soluzioni che possano permettere di tener conto dei bisogni essenziali di tutte le parti coinvolte; mantenere sempre canali comunicativi aperti che aiutino al cambiamento profondo. Diverse sono le strategie per risolvere i conflitti all’interno delle organizzazioni, tra queste, sono importanti: - II distacco emotivo; questa strategia ci permette di osservare il conflitto, nella sua intrinseca natura e di poterlo analizzare e in seguito risolvere, eliminando la componente emotiva che lo caratterizza. E’ necessario, riuscire a prendere “uno spazio”. -

Non perdere mai il focus: è necessario focalizzare l’attenzione sull’obiettivo.

-

Trovare punti di contatto comuni.

- Riconoscere i propri errori: questo permette anche agli altri di rendersi disponibili. -

Formula richieste precise e specifiche.

È di fondamentale importanza scegliere i luoghi adeguati e il momento adatto per proporre e mettere in atto, la gestione di un conflitto. Esplicitare e circoscrivere il

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problema che genera la divergenza. È fondamentale, per gli aspetti inconsci e non manifesti che invece lavorano all’interno della dinamica conflittuale, esprimere le proprie emozioni in merito all’accaduto o al proprio sentire rispetto al problema in discussione. Sottolineare le motivazioni che hanno indotto ad esplicitare lo stesso conflitto. Definire la richiesta specifica da fare alla controparte, in relazione al proprio bisogno. Specificare una decisione del conflitto, che possa essere adeguata per tutti i membri del gruppo. Queste strategie di base servono poi a costruire un percorso ben più strutturato e solido, nella gestione dei conflitti all’interno di un’organizzazione27. Dobbiamo innanzitutto partire dal presupposto, che il conflitto si genera nell’interazione relazionale e interpersonale e che fattori inconsci ed espliciti sono alla base di disapprovazione, divergenza, e disaccordo. Una strategia che può essere applicata a tutto questo “bagaglio di fattori inconsci ed espliciti” è certamente la Negoziazione che è un processo di ricerca volontario e dinamico che avviene attraverso il riposizionamento e la ricollocazione di se stessi, rispetto all’altro e rispetto anche a Sè, che tende a ricercare e quindi poi trovare esisti parziali, temporanei e accettabili per tutte le parti coinvolte, attraverso competenze di tipo emotivo e comunicativo. Nel processo di Negoziazione, possiamo aggredire il problema che è ben distinto dalla persona e tale deve rimanere, questa strategia rende efficace la risoluzione. È importante orientarsi verso un “come”, quindi verso il futuro. La comunicazione deve essere rispettosa e ricca di accettazione reciproca. È fondamentale dirigere la propria attenzione sui bisogni, i desideri e i timori in gioco e non sulle posizioni da prendere o prese. Bisogna sviluppare una serie di soluzioni che procurino un beneficio reciproco e soprattutto è importante assumere compiti che possano essere sostenuti nel tempo prevedendo la possibilità di soluzioni intermedie28. Altra strategia importantissima per la risoluzione del conflitto è la mediazione, in cui le parti coinvolte, fanno ricorso ad una parte terza e neutra non coinvolta nel conflitto. il mediatore ha il compito di ripristinare una nuova forma relazionale e di attivare una negoziazione che potrà condurre ad un accordo. La mediazione è un processo che permette la trasformazione di un conflitto, aiuta infatti a diminuire la portata degli effetti indesiderati di una divergenza, facendo evolvere la stessa in un’occasione per 27 Ibidem 28 M.Perini, L’organizzazione nascosta. Dinamiche inconsce e zone d’ombra nelle moderne organizzazioni, Ed. Franco angeli 2015

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ristrutturare le relazioni e renderle costruttive, favorendo l’empowerment e restituendo alle parti, responsabilità e capacità decisionale. Restituisce al conflitto un proprio spazio-tempo e aiuta le parti a ritrovare e riconoscere progressivamente i risultati raggiunti e quelli che potrebbero essere ulteriormente sviluppati. Stimola la ricerca di soluzioni al problema reciprocamente accettabili e aiuta la costruzione di possibilità praticabili e nuove che possano potenziare gli elementi costruttivi nella relazione. Permette il distanziamento dagli affetti e le emozioni e le fantasie che sono proprie e potenti del conflitto per togliere ad esso la potenza impulsiva ed automatica che lo caratterizza. Sviluppa una dinamica e un’atmosfera amichevole e collaborativa rompendo la monopolizzazione della discussione, prediligendo l’esposizione di concetti sinceri e chiari. Il Problem solving di gruppo, è un’altra strategia efficace per la risoluzione dei conflitti. E’ la capacità di passare in rassegna una serie di ipotesi, vagliarle e scegliere adeguatamente e in modo veloce ed efficace, quella utile a fronteggiare il problema. E’ la possibilità, di realizzare un incontro di nuove mappe rappresentazionali di un particolare quesito diverso dalle mappe di partenza che lo hanno generato. E’ un modo diverso e costruttivo, di pensare al problema, totalmente opposto a quello che lo ha generato, anche questo metodo è composto da: -

Sintomo: tutto ciò che fa emergere il problema e lo genera

-

Causa: tutto ciò che mantiene e sottende il sintomo

-

Obiettivi: tutto ciò che si desira ottenere, l’obiettivo da raggiungere.

-

Risorsa: tutto ciò che permette di raggiungere l’obiettivo previsto e desiderato.

-

Effetto: tutto ciò che può derivare dall’esito raggiunto.

Le fasi per realizzarlo sono: - Individuazione e definizione del tema: questo processo è possibile attraverso il metodo del Brainstorming -

analisi dei sintomi: grafico con rilevazione dei dati

-

Individuazione delle cause: attraverso diagrammi

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-

Prefigurazione della situazione futura: metodo Brainstorming

- Individuazione delle soluzioni: Diagrammi di flusso e a matrice e brainstorming -

Valutazione degli effetti

-

Standardizzazione del processo: Diagramma, tempo, attività ecc29.

Per poter risolvere un conflitto di gruppo, è necessario dunque utilizzare tecniche di decisione collettiva e tecniche di discussione di gruppo, consapevoli e chiare. Una di queste tecniche presenti nel processo di problem solving è il Brainstorming o ”tempesta nel cervello”, che serve a generare nuove idee, a stimolare un pensiero nuovo e nuove prospettive. Si può utilizzare sia nella fase iniziale del problem solving per identificare meglio il problema, che in quella più specifica in cui sollecita la formulazione di obiettivi e delle soluzioni che permettono al gruppo, di raggiungerli. La discussione deve essere condotta da un membro esterno al gruppo se è possibile, che potrà garantire oggettività e parzialità. Può essere condotta: - giro di tavolo: è utile per raccogliere le opinioni, ma solitamente è lunga e “costringe” all’espressione del proprio pensiero di ogni membro del gruppo. -

a ruota libera: è utile per interventi creativi e generare nuove idee

- iscrizione a parlare: permette l’intervento di chi ha voglia di parlare in quel preciso momento e offre la possibilità a chi vuole restare in silenzio, il rispetto della propria posizione. La negoziazione A volte non ci sono soluzioni magiche ed onnipotenti per superare un conflitto; trovare la giusta distanza, che ci permetta di accomodare la situazione abbassando il livello del danno, è già un’ottima strategia risolutiva. La negoziazione ci permette, di mantenere il conflitto su un piano meramente simbolico e quindi di non passare all’agito nel comportamento, una strategia utile è certamente quella di: Definire il confine: questa modalità di affrontare aspri conflitti, ci offre la possibilità di

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F. Diozzi, Mediazione e negoziazione assistita, Ed Giuffrè 2017

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non essere in balia di intolleranza o “invasioni” da parte dell’altro. Riuscire a definire il confine, riuscire a trovare la giusta distanza, ci impedisce di soccombere all’aggressività difensiva tipica del conflitto stesso. Aspettare che la tensioni cali, permette poi di accedere al confronto che possa accontentare entrambi, rispettando le esigenze reciproche. Elencare le possibili situazioni conflittuali: è importante ad es. annotare tutta quelle serie di sgradevoli episodi, nei quali abbiamo replicato con un atteggiamento conflittuale. Sarebbe opportuno soffermarsi sia su episodi in cui abbiamo reagito “con sottomissione”, sia su quelli in cui siamo stati più reattivi ed aggressivi30. Questo ci permetterà di comprendere profondamente alcune dinamiche inconsce e implicite con le quali possiamo confrontarci e sulle quali possiamo fornire una visione di noi, all’Altro. Indagare sul motivo che scatena il conflitto: questo esercizio è importante far emergere la causa che ci ha condotto alla reazione. Generalmente nei conflitti non reagiamo a ciò che ci sta succedendo, ma al contrario, a come noi interpretiamo ciò che sta accadendo. Questo genere di reazione è veloce, automatica e reattiva e la potenza di tale automatismo, si fonda su due grandi pilastri quali un’equivalenza arbitraria e lo stress. Tendiamo a soffermarci sugli aspetti minacciosi di tutta la situazione, supportati dallo stress che ne comporta, perdendo di vista la realtà. L’interpretazione fa emergere il contenuto a cui reagiamo in modo automatico ed istintivo e l’affiorare delle equivalenze al fatto e al significato dell’episodio, sposta il nostro punto di vista. Riconoscere l’interpretazione a cui solitamente reagiamo produce uno spazio fra la risposta che diamo e l’interpretazione stessa. Inoltre questo tipo di passaggio e di osservazione del meccanismo, ci permette anche di valutare e riflettere sulle emozioni che tendiamo a disconoscere e negare agendo in modo automatico e reattivo. Formulazione dell’ipotesi sulla genesi del conflitto e verifica delle stesse: lo scopo di questa strategia offre alternative diverse a quelle automatiche e automatizzate e permette la verifica dell’efficacia attraverso una serie di domande che possiamo porre all’Altro affinché chiarisca bene, il proprio punto di vista. Mediare e gestire un conflitto, non è un compito semplice. Necessita di tanta competenza e soprattutto di un bagaglio emotivo esperienziale di un certo spessore. La gran

30

Ibidem

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parte dei conflitti e delle relazioni complesse, sono il prodotto di comunicazioni inadeguate. Riveste certamente un ruolo molto importante, il lavoro di gruppo, nonostante non bisogna mai dimenticare che quando due o più persone hanno interessi apparentemente incompatibili, si genera il conflitto31.   2.6 Leadership e comunicazione Si evince dai paragrafi precedenti che la leadership è definibile come una forma di influenza, caratterizzata dalla capacità di determinare un consenso volontario, un’accettazione soggettiva e motivata nelle persone rispetto a certi obiettivi del gruppo o dell’organizzazione. La leadership implica la persuasione degli altri a mettere in secondo piano, per un certo tempo, i propri personali interessi al fine di perseguire uno scopo comune, importante per il gruppo. Hollander distingue tra: “leadership e potere, il primo è un processo di influenza, mentre il secondo implica aspetti di coercizione e controllo che portano a produrre atteggiamenti e comportamenti di compiacenza o acquiescenza (compliance). Ne deriva quindi che la leadership si realizza attraverso la relazione tra leader e membri del gruppo32”. Nel 1892 Sir Arthur Conan Doyle, nel suo “Le avventure di Sherlock Holmes” scriveva: “Dalle sue unghie, dalle maniche del suo cappotto, dai suoi stivali, dai suoi pantaloni al ginocchio, dai suoi calli su pollice e indice, dalla sua espressione, dai suoi polsini, dai suoi movimenti - da ciascuna di queste cose l’intenzione di un uomo viene chiaramente rivelata. Che tutti questi indizi, uniti insieme, falliscano nell’illuminare l’osservatore esperto, è quasi inconcepibile.33” Ognuno di noi è coinvolto fin dall’inizio della sua esistenza in un complesso processo di acquisizione delle regole di comunicazione, una conditio sine qua non della vita umana e dell’ordinamento sociale. Dal punto di vista evoluzionistico, siamo istintiva-

31 Ibidem 32 E.P. Hollander E.P. Leadership and Power, in LINDZEY G., ARONSON E. (eds.), The Handbook of Social Psychology, New York, Random House, vol. 2. 1985 p. 182 33 A. C. Doyle, Le avventure di Sherlock Holmes, Ed. Bur 2011, pag 45

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mente predisposti e culturalmente preparati a cogliere gli indizi, provenienti dai nostri simili e dall’ambiente, che siano di minaccia o disponibilità. Siamo certamente tutti esseri comunicanti, in quanto la comunicazione è una dimensione costitutiva di ciascuno di noi, non si può scegliere se comunicare o meno, ma si può scegliere solo il modo in cui comunicare, che è un atto strettamente correlato alla relazione. Scrive Anolli: “si può considerare infatti come la prosecuzione dei modi di sentire, delle esperienze e dei punti vista dei diversi partecipanti che si incontrano e scontrano nell’arena pubblica a tutti i livelli, dalla famiglia alle nazioni e alle culture. L’interazione tra gli individui all’interno di un gruppo o fra più gruppi tra loro influenza, costruisce e norma la concezione del mondo di un dato gruppo. Sotto questo profilo, la comunicazione è anche partecipazione, poiché prevede la condivisione fra individui dei significati e dei sistemi di segnalazione, nonché l’accordo sulle regole sottese a ogni scambio comunicativo.34” L’etimologia del termine, comunicare rimanda al latino communis (“comune, condiviso”), distinto in cum-munis (“obbligo”, ma anche “dono”). La comunicazione dunque ci riporta a “la parola che sta in mezzo”, ad un profondo atto di cui i partecipanti condividono oneri e onori. Una comunicazione chiara ed efficace, principalmente votata all’ottimizzazione dei legami e dei rapporti con il gruppo, certamente è uno dei pilastri su cui ogni leadership dovrebbe basarsi per la costruzione di un successo duraturo e stabile35. Senza sinergia, condivisione, affiatamento, e relazioni fruttuose tra collaboratori e leader il gruppo è destinato a perdere gradualmente impegno ed interesse, per il proprio lavoro e conseguentemente a sfaldarsi. Per tutta questa serie di motivi è necessario, inserire una buona strategia di comunicazione in qualsiasi approccio di leadership e quindi garantire una formazione vincente. Paul Watzlawick, insieme a Don D. Jackson e Janet Beavin Bavelas nel Mental Research Institute di Palo Alto, sviluppò la teoria della comunicazione umana, in cui sostenne che la comunicazione non si applica come un processo interno, che sorge dal soggetto, ma è il frutto di uno scambio complesso e complicato, di informazioni che ha origine in una relazione.

34 35

L. ANOLLI, Fondamenti di psicologia della comunicazione, Ed. Il Mulino 2012 pag. 56 http://www.treccani.it/vocabolario/ricerca/comunicare/

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Fin dalla nascita, senza rendercene conto, partecipiamo ad un profondo processo quasi inconsapevole, di acquisizione delle regole di comunicazione immerse nella rete relazionale. Dunque, senza la comunicazione, ogni individuo, non avrebbe potuto evolversi. Di seguito i principi fondamentali sui quali si basa la teoria della comunicazione umana di Paul Watzlawick: • “È impossibile non comunicare: La comunicazione è insita nella vita: tutti i comportamenti sono una forma di comunicazione, sia a livello implicito che esplicito. Persino stare in silenzio trasmette un’informazione o un messaggio, di conseguenza risulta impossibile non comunicare. La non-comunicazione non è esiste. • La comunicazione ha un livello di contenuto e un livello di relazione (metacomunicazione): nella comunicazione non è solo importante il significato del messaggio in sé (livello di contenuto), ma è altrettanto rilevante come vuole essere compresa la persona che parla e come pretende che gli altri la capiscano (livello di relazione). •

La natura di una relazione dipende dalla punteggiatura delle sequenze di scambi comunicativi tra i comunicanti: ciascuno di noi costruisce sempre una versione di quello che osserva e sperimenta, e in base a essa stabilisce la relazione con altre persone. • La modalità digitale e la modalità analogica: ciò che viene detto attraverso le parole, le quali sono il veicolo del contenuto della comunicazione e la comunicazione non verbale, vale a dire, la forma di esprimersi e il veicolo della relazione. • La comunicazione simmetrica è complementare: quando la relazione che manteniamo con un’altra persona è simmetrica, ci muoviamo sullo stesso livello; in altre parole, vi è una condizione di uguaglianza e un potere equo durante lo scambio comunicativo, ma non ci integriamo. Se la relazione è complementare, come per esempio, nelle relazioni padre-figlio, maestro/alunno o negoziante/cliente, ci troveremo in condizioni di disuguaglianza, ma accettando le differenze e permettendo, così, che l’interazione venga completata.36”

36 P. Watzlawick,J. H. Beavin,D. D. Jackson, Pragmatica della comunicazione umana. Studio dei modelli interattivi, delle patologie e dei paradossi, Ed.Astrolabio Ubaldini 1971, pag 101

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Nell’ambito delle differenti reti di comunicazione, la fondamentale funzione, la riveste il Feedback, inteso come una modalità di risposta al comportamento che abbiamo generato. Luft ne evidenzia cinque: • “Informazione: la persona che dà il feedback ripete a quella che lo riceve ciò che questo ha detto, permettendole di modificare o confermare il suo messaggio. • Reazione personale: la persona che dà il feedback informa chi ha parlato dell’effetto che ha su di lui. • Reazione giudicante: la persona che dà il feedback valuta l’altro esprimendo sue opinioni; questo tipo è uno dei meno efficaci per favorire la consapevolezza ed il cambiamento. • Feedback forzato: chi lo dà richiama l’attenzione sulle aree cieche del comportamento dell’altro. • Interpretazione: chi parla da una spiegazione del comportamento altrui collegandolo a qualche causa.37” Questi messaggi di ritorno di un comunicato possono trovarsi all’interno di una stessa comunicazione, con potenzialità e valenze differenti in base al percorso che il gruppo stesso sta effettuando o che i singoli membri stanno attraversando. La diversa modalità di feedback è originata dal modo di comunicare specifico a quel contesto. Afferma Luft: “La mancanza di informazioni necessarie o comunque di chiarezza ed il conseguente timore possono indurre una comunicazione incompleta che a sua volta causerà una discussione inconcludente, ripetitiva e frustrante mentre in una situazione caratterizzata da conflitti e sensi di colpa o inferiorità lo scambio risulterà necessariamente ambiguo ed oscuro, come molte comunicazioni indirette e forti tensioni latenti. Anche la mancanza di chiarezza nel linguaggio, può creare ostacoli, così come la parallazione, intesa nel senso di essere in contatto, ma agire in modo indipendente, senza coinvolgimento, se non intesa implicitamente, causa divari interpretativi e fraintendimenti.38”

37 J. Luft Introduction a la dynamique des groupes; trad.it. Introduzione alla dinamica di gruppo, Firenze, La Nuova Italia, 1973. Pag.47 38 Ibidem

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Negli scambi comunicativi uno degli aspetti determinanti, se non quello principale, è l’interazione tra il livello di relazione e quello del contenuto, ovvero la capacità di comunicare su implicite informazioni che riguardano sia il rapporto tra chi comunica, sia sul modo di interpretare. Afferma Daniel Goleman: “Ogni tipo di rapporto umano, incluso quello lavorativo, deve il suo esito positivo o negativo al modo in cui si scambiano le informazioni. Per questo una leadership che porti davvero verso il raggiungimento degli obiettivi prefissati non può ignorare l’aspetto della comunicazione, ma anzi, deve farne la sua prima arma nella strada verso il successo.39” Anolli sostiene che comunicare, è sempre “agire in un certo modo nei confronti di un altro” visto che nessun atto comunicativo è poi in realtà indifferente o neutro, ma tramite un processo di influenza reciproca configura uno specifico modello di relazione con l’interlocutore e produce sempre effetti sulla sequenza di scambi tra i partecipanti. Scriveva E. T Hall: “la comunicazione costituisce il cuore della vita e della cultura stessa”: riti, simboli, meccanismi di approvazione e disapprovazione, sanzioni e ricompense non sono che atti di comunicazione dei quali l’appartenenza a un medesimo contesto facilita l’adesione.40” Una comunicazione adeguata efficace ha certamente bisogno di una profonda carica empatica, soprattutto nell’ambito della formazione. L’empatia è la competenza emotiva che ci consente di entrare in piena sintonia con le altre persone, condividendo con esse, pathos pensieri, sentimenti ed emozioni. Essere dei Leader efficaci significa anche riuscire a trarre il meglio dagli altri valorizzandoli e aiutandoli ad esprimere al meglio le loro capacità ed abilità. Per riuscire ad entrare in profonda relazione con l’Altro e a promuovere un processo empatico un buon formatore deve ricorrere allo strumento principe della comunicazione efficace, ovvero: l’ascolto attivo, un approccio applicabile genericamente nelle

39 D.Goleman, Leadership emotiva. Una nuova intelligenza per guidarci oltre la crisi, Ed. Best Bur 2013 pag. 37 40 E.T.Hall, The hidden dimension, New York, Doubleday; trad. it. La dimensione nascosta, Ed. Bompiani, 2001.

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relazioni, ma indispensabile nelle formazioni di gruppo. Consente l’espressione delle emozioni, delle ragioni e dei sentimenti altrui e soprattutto di stabilire un contatto autentico e profondo con l’Altro. Il modo in cui ascoltiamo gli altri, crea uno stile di comunicazione che influenza, l’ambiente che ci circonda, significa infatti contribuire a creare un ambiente sicuro, che permetta a tutti di esprimersi al meglio evitando una serie di trappole comunicative che inibiscono il flusso tra i membri di un gruppo. Un ascolto attivo permette ad ogni bravo formatore, di essere attento e partecipe ai sentimenti e vissuti emotivi che accompagnano ogni tipo di comunicazione e che invece solitamente restano sullo sfondo impercepibili a chi si sofferma solo sulle caratteristiche verbali di una comunicazione41. Offre inoltre la possibilità di un “buon incontro” con gli altri, capace di sviluppare sentimenti di fiducia e accettazione, rinforzando il sentimento di coesione e integrità fra i membri. E’ possibile avvalersi di diverse tecniche basilari per un ascolto attivo efficace: il silenzio attivo – caratterizzato dalla capacità di entrare in profondo contatto con l’interlocutore, consentendogli spazi di silenzio senza intervento, e che danno la possibilità all’altro di riflettere sulle proprie affermazioni, sentimenti e pensieri. L’uso del silenzio attivo va tuttavia attentamente valutato in relazione al contesto ed al nostro interlocutore Segnali di contatto, i messaggi di accoglimento, gli inviti calorosi – sono una serie di stili ed atteggiamenti comunicativi che possono essere impiegati nell’ascolto attivo e che si avvalgono generalmente del canale non verbale. I segnali di contatto indicano la presenza incoraggiante e rassicurante del formatore che con sguardi benevoli, sorrisi, cenni di assenso, movimenti di avvicinamento all’interlocutore e brevi frasi di rinforzo il comunicano disponibilità: “la capisco”, “comprendo”, “è chiaro”, “vada pure avanti”, etc. o l’eco stesso delle ultime parole, rilancia la comunicazione. Il rispecchiamento empatico – tecnica fondamentale nell’ ascolto attivo, comprende alcune tecniche comunicative essenziali quali la riformulazione, la delucidazione, abilità nel porre le domande, uso dei messaggi in prima persona.

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K.E.G. Geladard, Parlami ti ascolto, Ed. Erikson 2005

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La riformulazione è una tecnica comunicativa che consiste nel re inviare il messaggio ricevuto dall’ emittente utilizzando la stessa identica struttura oppure riformulando il concetto in modo più conciso ma senza aggiungere nulla di proprio al contenuto, evitando così qualunque interpretazione. Il riepilogo - Tecnica utile soprattutto quando l’interlocutore si dilunga in elementi di comunicazione non necessari. Questa tecnica permette al formatore di sintetizzare gli elementi salienti di una comunicazione senza giudizio e senza intolleranza, rimandando a specchio la sua disponibilità ad accogliere, aiutando l’altro nel rintracciare le priorità del suo racconto. La riformulazione come parafrasi: consiste nel ripetere con altre costruzioni sintattiche e con uno stile di sintesi, il pensiero espresso dall’altro, attraverso il collegamento implicitamente presente nella parole più significative per lui. Uno stile comunicativo che stimoli e consenta al gruppo di esprimersi, certamente non deve perdere di vista questo insieme di tecniche. E ‘anche vero che una comunicazione non ha mai luogo in condizioni asettiche o di isolamento, ma esistono sempre dei contesti che il professionista di relazioni pubbliche deve conoscere e interpretare42.

42 F. Cavallin, L’ascolto attivo: tecniche per migliorare la relazione, in Gruppi, Organizzazioni, Comunità 3, Ed. Città Studi 1995

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Capitolo III La gestione delle risorse umane e la formazione

Le persone interdipendenti combinano i loro sforzi individuali con quelli degli altri per conseguire un successo più grande (Stephen Covey)

3.1 Il Cooperative Learning nelle organizzazioni Quando si tratta di lavorare in gruppo e di lavorare con un gruppo, non bisogna mai perdere di vista l’importanza di una continua formazione della leadership e della costruzione di un team capace di proiettarsi verso il raggiungimento del risultato comune. Certamente è un lavoro certosino e molto impegnativo che va fatto con accuratezza ed attenzione. Oggi, infatti, le moderne organizzazioni, per ottenere migliori risultati derivanti dai talenti collettivi del team, puntano molto sul lavoro di gruppo, come strategia. Attraverso la capacità dei membri di sostenersi l’un l’altro e grazie alla possibilità di moltiplicare le opzioni e le idee che vengono generate da un continuo confronto il gruppo diventa l’ingrediente principe, in un’attività di team-working. Le caratteristiche essenziali per un gruppo di lavoro efficace certamente devono essere: la presenza di ruoli definiti, la condivisione degli obiettivi, il senso di appartenenza al gruppo e l’interdipendenza e la collaborazione fra i membri, ed è necessario, di possedere tutta una serie di competenze più specificatamente comunicativo-relazionali che rendano possibile un’interazione proficua e costruttiva con gli altri membri. Il Cooperative Learning o CL o ancora l’apprendimento cooperativo, è un metodo efficace in grado di coinvolgere i membri singoli, in un lavoro di gruppo per raggiungere un fine comune. Affinché un lavoro di gruppo possa essere considerato come CL è necessaria la presenza dei seguenti elementi secondo il Prof. Emilio Esposito:

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“Positiva interdipendenza. I membri del gruppo fanno affidamento gli uni sugli altri per raggiungere lo scopo. Se qualcuno nel gruppo non fa la propria parte, anche gli altri ne subiscono le conseguenze. Gli studenti si devono sentire responsabili del loro personale apprendimento e dell’apprendimento degli altri membri del gruppo. Responsabilità individuale. Tutti i membri di un gruppo devono rendere conto sia della propria parte di lavoro sia di quanto hanno appreso. Interazione faccia a faccia. Benché parte del lavoro di gruppo possa essere spartita e svolta individualmente, è necessario che i componenti il gruppo lavorino in modo interattivo, verificando gli uni con gli altri la catena del ragionamento, le conclusioni, le difficoltà e fornendosi il feedback. Uso appropriato delle abilità nella collaborazione. I membri nel gruppo vengono incoraggiati e aiutati a sviluppare la fiducia nelle proprie capacità, la leadership, la comunicazione, il prendere delle decisioni e il difenderle, la gestione dei conflitti nei rapporti interpersonali. Valutazione del lavoro. I membri, periodicamente valutano l’efficacia del loro lavoro e il funzionamento del gruppo, e individuano i cambiamenti necessari per migliorarne l’efficienza.43” Vengono distinte due forme di CL, il cooperative learning informale, in cui vengono assegnati esercizi brevi a gruppi non fissi di due o più membri, ed il cooperative learning formale, in cui vengono al contrario affidati esercizi più lunghi e impegnativi assegnati a gruppi più estesi che lavorano insieme per una parte significativa del corso. In entrambi i casi i risultati sono comunque molto efficaci. Centinaia di studi hanno dimostrato che l’apprendimento cooperativo garantisce un migliore apprendimento, facilita lo sviluppo di abilità cognitive di alto livello e l’attitudine a lavorare con gli altri. E’ stato dimostrato che il cooperative learning approfondisce le capacità di comprensione e rende significativo e stabile nella memoria ciò che si è appreso. E’ evidente che l’efficacia del metodo è ascrivibile ad un profondo «impegno individuale responsabile» che poi però si sviluppa in una struttura d’interdipendenza. Nel CL un’attività viene organizzata secondo una distribuzione di ruoli, compiti, risorse, ma anche associata a scopi misurabili in base a criteri di successo, o a compiti che implicano necessariamente il contributo di più soggetti per essere completati, questo fa sì che si creino condizioni utili a favorire nei singoli alunni la disponibilità a portare a termine il compito contribuendo direttamente a un risultato condiviso.

43 E.ESPOSITO, Psicologia Counselling Mental coach, in http://emilioesposito.altervista.org/lapprendimento-cooperativo-cooperative-learning/coopertive-learning/

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Dunque, la responsabilità individuale, se la si pensa in quest’ottica, è sempre l’effetto di un’interdipendenza positiva e si manifesta come l’impegno offerto da un singolo individuo per il raggiungimento di un obiettivo di gruppo. La cooperazione non è il disimpegno di molti a scapito del lavoro di pochi, è piuttosto l’impegno dei singoli per il risultato di tutti, la cooperazione è responsabilità individuale, ed è questo l’elemento caratterizzante del CL. Secondo Comoglio: “Creare situazioni di apprendimento cooperativo significa considerare e mettere in pratica alcuni principi essenziali, che si differenziano da ciò che tradizionalmente viene considerato lavoro di gruppo.44” Secondo Dishon e O’Leary cinque sono i principi che caratterizzano i gruppi cooperativi: •

“il principio della leadership distribuita;

il principio del raggruppamento eterogeneo;

il principio dell’interdipendenza positiva;

il principio dell’acquisizione delle competenze sociali;

il principio dell’autonomia del gruppo45.”

3.2 Il coaching aziendale J.Whitemore nel suo interessante testo “Coaching” afferma: “Il coaching, nel significato moderno, è stato supportato dalla “Teoria dell’apprendimento costruttivo” di Williams & Irwing (2001) la cui credenza centrale è che non esiste una sola vera interpretazione della realtà. Se Socrate invitava a “Conoscere se stessi”; Pindaro era solito salutare i suoi discepoli dicendo: “Diventa ciò che sei”; Parmenide sosteneva che tutto è possibile: “Basta trovare il coraggio di percorrere la

44 45

M. Comoglio, M.A.Cardoso, Insegnare e apprendere in gruppo, il cooperative Learning, Ibidem

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via” fino ad Eraclito che affermava: “L’unica cosa permanente è il cambiamento.46” Dobbiamo a Tim Gallwey con il suo Inner Game of Tennis, la promozione del coaching nel contesto degli affari nel lontano 1974. Altri coach sportivi di fama notevole continuarono la sua promozione, tra questi certamente il campione di corse automobilistiche, John Whitmore che si approcciava al coaching affermando che fosse: “un processo di responsabilizzazione degli altri. Per Coaching non intendiamo semplicemente una tecnica escogitata lì per lì e rigorosamente applicata in determinate circostanze: si tratta piuttosto di un modo di guidare e gestire le persone, un modo di pensare, e quindi anche un modo di essere.47” Certamente il presupposto principale nel coaching è la consapevolezza e la conoscenza di sé e delle proprie risorse. E’ essenzialmente, la capacità di consapevolizzare e focalizzare mete specifiche per poi trovare le strategie mirate ed adeguate, per raggiungerle. Scrive ancora Whitemore: “E’ un progetto di crescita mirato, con traguardi specifici, che facilita il cambiamento, attraverso un percorso autorigenerativo. Il cliente è responsabile di ogni suo passo, il Coach lo aiuta a diventare consapevole dei suoi obiettivi e a realizzarli al meglio.48” Dunque, il Coaching può essere pensato come ad uno strumento profondamente efficace che, attraverso un processo creativo, stimola la riflessione, ed è in grado di aiutare le persone nei rapporti con gli altri e rispetto alle proprie skills, e che consente loro di scoprire e quindi utilizzare, strategie più adeguate per raggiungere il proprio potenziale personale e professionale. È un “percorso” che permette di conciliare il rispetto delle più profonde caratteristiche della persona con l’esigenza dell’organizzazione di ottenere prestazioni sempre più elevate. Luigi Gentili definisce il coaching come: “una filosofia a cui ispirare la relazione, un modo di trattare le persone che consenta a queste di trovare nella performance il risultato di una scelta, l’espressione e la realizzazione di se stesse. Quindi il coaching è uno stimolo e uno strumento di cambiamento

46 47 48

J.Whitemore, “Coaching”. Ed. Sperling&Kupfer Editore 2006, pag 78 Ibidem Ibidem

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sia a livello culturale, sia individuale che organizzativo.49” Abbiamo evidenziato le caratteristiche principali del coaching che ci consentono di comprendere quanto sia una tecnica essenzialmente concepita per aiutare i clienti a implementare ed accrescere le loro conoscenze e performance e quindi migliorare la qualità della vita e le competenze professionali. Un bravo coach ha il chiaro compito secondo Whitemore di: “1. scoprire, rendere chiari ed allineare gli obiettivi che il cliente desidera raggiungere; guidare il cliente in una scoperta personale di tali obiettivi; 2. far in modo che le soluzioni e le strategie da seguire emergano dal cliente stesso; 3. lasciare piena autonomia e responsabilità al cliente.50” Il Coach deve essere predisposto all’ascolto ed desiderio di mettersi sempre in discussione, deve possedere una grossa competenza empatica che gli consenta di creare un rapporto, una relazione profonda con i membri del proprio gruppo senza mai sovrastarli ed impedendogli la piena espressione. Deve essere una guida attenta ed efficace in grado di consentire ai propri clienti di raggiungere l’autorealizzazione e la consapevolezza di sé, senza giudizio alcuno. Non deve dare pareri personali o consigli e tantomeno informazioni, ma semmai deve fornire supporto nel raggiungimento di un risultato e soprattutto deve sapere comunicare efficacemente. Alla base del coaching c’è la relazione, caratterizzata da un reciproco e crescente rispetto e apprezzamento come persone e che si instaura lentamente durante tutti gli incontri, nei quali è il cliente stesso a scegliere l’argomento della conversazione, ed il coach lo ascolta ponendo osservazioni e domande. Tutto questo aiuta il cliente a divenire proattivo consentendogli di concentrarsi sul presente e il futuro. Un percorso di coaching solitamente viene avviato attraverso un colloquio personale in cui vengono valutate le opportunità e sfide del cliente, e con il quale si definiscono le finalità della relazione e le priorità di azione che consentano di raggiungere risultati. Tecnicamente la sessione di coaching si divide in tre parti:

49 L. GENTILI, Innovare il management. L’arte di dirigere nell’era del caos. Ed. Armando Editore 2009, Pag 36 50 J.Whitemore, “Coaching”. Ed. Sperling&Kupfer Editore 2006, pag 101

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Apertura: nella quale si stabiliscono le regole dell’incontro, si esplicita la metodologia di lavoro e soprattutto si sondano le aspettative dei membri del gruppo necessarie per fare una analisi della domanda. Seconda fase: nella quale, si mettono in pratica le dinamiche della sessione, si pongono le basi per la relazione e soprattutto la strategia adeguata per raggiungere gli obiettivi. Fase finale: rappresenta il momento della chiusura ed è la fase in cui si puntualizzano gli elementi più importanti emersi dal colloquio e nella quale si stabilisce l’incontro successivo. Generalmente si chiude questa fase affidando un lavoro pratico che il cliente o il gruppo deve svolgere su se stesso. La tecnica di coaching è stata studiata e programmata per consentire ai clienti di produrre risultati e una grande fiducia nelle capacità che gli occorrono. Chiaramente la durata di una relazione di coaching varia in base alle esigenze della persona o del team, può fermarsi ad un minimo di tre sessioni fino ad arrivare ad incontri settimanali che abbracciano i dieci mesi, i fattori che influiscono sulla durata dipendono dal tipo di obiettivi e di risultati che si vogliono raggiungere, le risorse finanziarie disponibili, la frequenza delle sessioni, il modo con cui le persone o i team amano lavorare.

3.3 Gestione del conflitto nell’organizzazione aziendale: negoziazione, mediazione e problem solving Per poter gestire costruttivamente un conflitto, è necessario non mirare a ledere l’avversario (o comunque il gruppo che non condivide la nostra idea) promuovere soluzioni che possano permettere di tener conto dei bisogni essenziali di tutte le parti coinvolte; mantenere sempre canali comunicativi aperti che aiutino al cambiamento profondo. Diverse sono le strategie per risolvere i conflitti all’interno delle organizzazioni, tra queste, sono importanti: - II distacco emotivo; questa strategia ci permette di osservare il conflitto, nella sua intrinseca natura e di poterlo analizzare e in seguito risolvere, eliminando la componente emotiva che lo caratterizza. E’ necessario, riuscire a prendere “uno spazio”. -

Non perdere mai il focus: è necessario focalizzare l’attenzione sull’obiettivo.

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-

Trovare punti di contatto comuni.

- Riconoscere i propri errori: questo permette anche agli altri di rendersi disponibili. -

Formula richieste precise e specifiche.

È di fondamentale importanza scegliere i luoghi adeguati e il momento adatto per proporre e mettere in atto, la gestione di un conflitto. Esplicitare e circoscrivere il problema che genera la divergenza. È fondamentale, per gli aspetti inconsci e non manifesti che invece lavorano all’interno della dinamica conflittuale, esprimere le proprie emozioni in merito all’accaduto o al proprio sentire rispetto al problema in discussione. Sottolineare le motivazioni che hanno indotto ad esplicitare lo stesso conflitto. Definire la richiesta specifica da fare alla controparte, in relazione al proprio bisogno. Specificare una decisione del conflitto, che possa essere adeguata per tutti i membri del gruppo. Queste strategie di base servono poi a costruire un percorso ben più strutturato e solido, nella gestione dei conflitti all’interno di un’organizzazione. Dobbiamo innanzitutto partire dal presupposto, che il conflitto si genera nell’interazione relazionale e interpersonale e che fattori inconsci ed espliciti sono alla base di disapprovazione, divergenza, e disaccordo. Una strategia che può essere applicata a tutto questo “bagaglio di fattori inconsci ed espliciti” è certamente la Negoziazione che è un processo di ricerca volontario e dinamico che avviene attraverso il riposizionamento e la ricollocazione di se stessi, rispetto all’altro e rispetto anche a sé, che tende a ricercare e quindi poi trovare esisti parziali, temporanei e accettabili per tutte le parti coinvolte, attraverso competenze di tipo emotivo e comunicativo. Nel processo di Negoziazione, possiamo aggredire il problema che è ben distinto dalla persona e tale deve rimanere, questa strategia rende efficace la risoluzione. È importante orientarsi verso un “come”, quindi verso il futuro. La comunicazione deve essere rispettosa e ricca di accettazione reciproca. È fondamentale dirigere la propria attenzione sui bisogni, i desideri e i timori in gioco e non sulle posizioni da prendere o prese. Bisogna sviluppare una serie di soluzioni che procurino un beneficio reciproco e soprattutto è importante assumere compiti che possano essere sostenuti nel tempo prevedendo la possibilità di soluzioni intermedie. Altra strategia importantissima per la risoluzione del conflitto è la mediazione, in cui

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le parti coinvolte, fanno ricorso ad una parte terza e neutra non coinvolta nel conflitto. Il mediatore ha il compito di ripristinare una nuova forma relazionale e di attivare una negoziazione che potrà condurre ad un accordo. La mediazione è un processo che permette la trasformazione di un conflitto, aiuta infatti a diminuire la portata degli effetti indesiderati di una divergenza, facendo evolvere la stessa in un’occasione per ristrutturare le relazioni e renderle costruttive, favorendo l’empowerment e restituendo alle parti, responsabilità e capacità decisionale. Restituisce al conflitto un proprio spazio-tempo e aiuta le parti a ritrovare e riconoscere progressivamente i risultati raggiunti e quelli che potrebbero essere ulteriormente sviluppati. Stimola la ricerca di soluzioni al problema reciprocamente accettabili e aiuta la costruzione di possibilità praticabili e nuove che possano potenziare gli elementi costruttivi nella relazione. Permette il distanziamento dagli affetti e le emozioni e le fantasie che sono proprie e potenti del conflitto per togliere ad esso la potenza impulsiva ed automatica che lo caratterizza. Sviluppa una dinamica e un’atmosfera amichevole e collaborativa rompendo la monopolizzazione della discussione, prediligendo l’esposizione di concetti sinceri e chiari. Il processo di Mediazione è caratterizzato da più fasi:

-

la Pre-mediazione: che serve a definire quanti e quali conflitti sono presenti, a chi appartengono e se una mediazione è necessaria. - me.

Contratto e regole del gioco: in cui si stabilisce che cosa può essere fatto insie-

-

individuazione del problema: definire ciò che è accaduto e quali sono le difficoltà che si stanno sperimentando - Definizione degli interessi in gioco: Quali sono i bisogni e gli interessi di ogni membro del gruppo. - Proposta degli esiti: la capacità di far evolvere la situazione in modo sufficientemente buono per ogni elemento del gruppo. -

Stipulazione di un accordo: Proposta per migliorare l’accordo.

Problem solving di gruppo, è un’altra strategia efficace per la risoluzione dei conflitti.

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E’ la capacità di passare in rassegna una serie di ipotesi, vagliarle e scegliere adeguatamente e in modo veloce ed efficace, quella utile a fronteggiare il problema. E’ la possibilità, di realizzare un incontro di nuove mappe rappresentazionali di un particolare quesito diverso dalle mappe di partenza che lo hanno generato. E’ un modo diverso e costruttivo, di pensare al problema, totalmente opposto a quello che lo ha generato, anche questo metodo è composto da: -

“Sintomo: tutto ciò che fa emergere il problema e lo genera

-

Causa: tutto ciò che mantiene e sottende il sintomo

-

Obiettivi: tutto ciò che si desira ottenere, l’obiettivo da raggiungere.

-

Risorsa: tutto ciò che permette di raggiungere l’obiettivo previsto e desiderato.

-

Effetto: tutto ciò che può derivare dall’esito raggiunto.51”

Le fasi per realizzarlo sono: - Individuazione e definizione del tema: questo processo è possibile attraverso il metodo del Brainstorming -

analisi dei sintomi: grafico con rilevazione dei dati

-

Individuazione delle cause: attraverso diagrammi

-

Prefigurazione della situazione futura: metodo Brainstorming

- Individuazione delle soluzioni: Diagrammi di flusso e a matrice e brainstorming -

Valutazione degli effetti

-

Standardizzazione del processo: Diagramma, tempo, attività ecc.

Per poter risolvere un conflitto di gruppo, è necessario dunque utilizzare tecniche di decisione collettiva e tecniche di discussione di gruppo, consapevoli e chiare. Una di

51 Jean Watson, Nursing:Human Science and human care: a theory of nursing, Jones & Bartlett Publishers 2008

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queste tecniche presenti nel processo di problem solving è il Brainstorming o ”tempesta nel cervello”, che serve a generare nuove idee, a stimolare un pensiero nuovo e nuove prospettive. Si può utilizzare sia nella fase iniziale del problem solving per identificare meglio il problema, che in quella più specifica in cui sollecita la formulazione di obiettivi e delle soluzioni che permettono al gruppo, di raggiungerli. La discussione deve essere condotta da un membro esterno al gruppo se è possibile, che potrà garantire oggettività e parzialità. Può essere condotta: - giro di tavolo: è utile per raccogliere le opinioni, ma solitamente è lunga e “costringe” all’espressione del proprio pensiero di ogni membro del gruppo. -

a ruota libera: è utile per interventi creativi e generare nuove idee

- iscrizione a parlare: permette l’intervento di chi ha voglia di parlare in quel preciso momento e offre la possibilità a chi vuole restare in silenzio, il rispetto della propria posizione. Esistono conflitti di tipo distruttivo e quelli di tipo costruttivo, la risoluzione degli stessi è afferente alle capacità del leader ri-leggere le dinamiche e offrire al gruppo, la migliore strategia per superare la divergenza.

A volte non ci sono soluzioni magiche ed onnipotenti per superare un conflitto; trovare la giusta distanza, che ci permetta di accomodare la situazione abbassando il livello del danno, è già un’ottima strategia risolutiva. La negoziazione ci permette come ho scritto sopra, di mantenere il conflitto su un piano meramente simbolico e quindi di non passare all’agito nel comportamento, una strategia utile è certamente quella di: · Definire il confine: questa modalità di affrontare aspri conflitti, ci offre la possibilità di non essere in balia di intolleranza o “invasioni” da parte dell’altro. · Riuscire a definire il confine, riuscire a trovare la giusta distanza, ci impedisce di soccombere all’aggressività difensiva tipica del conflitto stesso. · Aspettare che la tensioni cali, permette poi di accedere al confronto che possa accontentare entrambi, rispettando le esigenze reciproche. Elencare le possibili situazioni conflittuali: è importante ad es. annotare tutta quelle serie di sgradevoli episodi, nei quali abbiamo replicato con un atteggiamento con-

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flittuale. Sarebbe opportuno soffermarsi sia su episodi in cui abbiamo reagito “con sottomissione”, sia su quelli in cui siamo stati più reattivi ed aggressivi. Questo ci permetterà di comprendere profondamente alcune dinamiche inconsce e implicite con le quali possiamo confrontarci e sulle quali possiamo fornire una visione di noi, all’Altro. Indagare sul motivo che scatena il conflitto: questo esercizio è importante far emergere la causa che ci ha condotto alla reazione. Generalmente nei conflitti non reagiamo a ciò che ci sta succedendo, ma al contrario, a come noi interpretiamo ciò che sta accadendo. Questo genere di reazione è veloce, automatica e reattiva e la potenza di tale automatismo, si fonda su due grandi pilastri quali un’equivalenza arbitraria e lo stress. Tendiamo a soffermarci sugli aspetti minacciosi di tutta la situazione, supportati dallo stress che ne comporta, perdendo di vista la realtà. L’interpretazione fa emergere il contenuto a cui reagiamo in modo automatico ed istintivo e l’affiorare delle equivalenze al fatto e al significato dell’episodio, sposta il nostro punto di vista. Riconoscere l’interpretazione a cui solitamente reagiamo produce uno spazio fra la risposta che diamo e l’interpretazione stessa. Inoltre questo tipo di passaggio e di osservazione del meccanismo, ci permette anche di valutare e riflettere sulle emozioni che tendiamo a disconoscere e negare agendo in modo automatico e reattivo. Formulazione dell’ipotesi sulla genesi del conflitto e verifica delle stesse: lo scopo di questa strategia offre alternative diverse a quelle automatiche e automatizzate e permette la verifica dell’efficacia attraverso una serie di domande che possiamo porre all’Altro affinché chiarisca bene, il proprio punto di vista. Mediare e gestire un conflitto, non è un compito semplice. Necessita di tanta competenza e soprattutto di un bagaglio emotivo esperienziale di un certo spessore. In questo capitolo, ho evidenziato una serie di strategie che permettono la risoluzione della divergenza o in alcuni casi, laddove questo non può avvenire, l’abbassamento del livello aggressivo insito nel conflitto. La gran parte dei conflitti e delle relazioni complesse, sono il prodotto di comunicazioni inadeguate. All’interno dell’organizzazione aziendale, questo è un argomento centrale, esso diventa uno spazio in cui le persone entrano in contatto, condividono tempi e luoghi e in cui c’è necessità di una cura “della parola” che comunica, indispensabile per la genesi di un ottimale rapporto di fiducia tra i membri di un team. Sostiene la psicologa Roberta Guerra: “Situazioni conflittuali sono esperienze comuni, ed inevitabili, in tutti gli ambienti lavorativi. Riveste certamente un ruolo molto importante, il lavoro di gruppo, nono-

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stante non bisogna mai dimenticare che: “quando due o più persone hanno interessi apparentemente incompatibili, si genera il conflitto.52” ●

ambiente stressante;

relazioni gerarchiche;

imprevedibilità;

ruoli e responsabilità poco chiare o mal definite;

assenza di consapevolezza sull’importanza della risoluzione dei conflitti;

assenza di priorità di obiettivi:

assenza di comunicazione;

trattamenti percepiti come preferenziali;

possono chiaramente coinvolgere il personale di un’organizzazione in forme più o meno evidenti di divergenza, che se non ben gestita, scatena situazioni conflittuali inarrestabili. Nella gestione di tali situazioni, dobbiamo fare riferimento a due forme di conflitto ed evidenziarne le particolari peculiarità: ●

conflitto legato al compito: generalmente prodotto dal disaccordo tra i membri del team sul risultato di un compito o sul contenuto dello stesso che è stato effettuato; ● conflitto legato alla relazione: è una forma conflittuale connessa alle caratteristiche di personalità di ogni membro del gruppo o di uno in particolare, indipendente dal compito (status, personalità, reputazione ecc.). Ron Kreybill individua diverse forme di gestione del conflitto: Lo Stile Direttivo: che si preoccupa soltanto della propria autodeterminazione. E per raggiungere questo obiettivo si tende ad utilizzare strategie di attacco e il rifiuto di una negoziazione. Lo stile Evitante: in questa forma di gestione, evitamento e ritiro sono le strategie che

52 Psicologa specializzanda in psicoterapia cognitivo comportamentale presso la ASL 5 di Pisa, libero professionista in Toscana ed Emilia Romagna, relatrice del corso di formazione “Emotional Skills competenze per lo sviluppo dell’intelligenza emotiva”.

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permettono di non entrare nel conflitto, senza esprimere il proprio punto di vista e sopprimendo le emozioni. Lo stile Accomodante: ci si impegna a salvaguardare la relazione, piuttosto che focalizzarsi sul compito. Lo stile Cooperativo: alla base di questo stile c’è una comunicazione assertiva, apertura a nuove informazioni e ad opinioni diverse e condivise. Lo stile Diplomatico: è uno stile di mediazione e negoziazione del “ci troviamo a metà strada”. Altre possibili strategie di gestione sono: Focalizzazione sui contenuti della divergenza e non sulle caratteristiche delle persone: travolti dalla rabbia, il punto di vista e le idee altrui possono essere interpretate, in modo discordante, non veritiero e come un attacco personale. Investire energia per risolvere il problema, invece di criticare le idee altrui: che possono essere promotrici di un cambiamento e il passo iniziale ed indispensabile per sbloccare una situazione conflittuale ormai ingestibile. Trovare lo spazio/ tempo adeguato per condividere il nostro punto di vista e quello altrui: una buona negoziazione implica avere ottime doti di ascolto attivo e di comunicazione ecologica ed efficace. Pensiero creativo e assertività: strategie efficaci e necessarie alla risoluzione di una divergenza importante, attraverso la tecnica del brainstorming che consente di generare nuove soluzioni e considerare idee nuove; Utilizzazione di un linguaggio chiaro e non provocatorio: utilizzando un “io” e il “noi” preferendolo ad un “tu” direttivo e giudicante. L’io concentra l’attenzione sulle emozioni che sentiamo, il noi invece sposta l’attenzione sul gruppo e su una collaborazione “fatta in un insieme”. Due individui che hanno opinioni diverse possono risolvere un conflitto con un conseguente aumento dell’autostima reciproca e della fiducia. In conflitti controllabili e di un certo valore emozionale, si possono riscontrare risultati positivi che generano oppure rafforzano il rapporto relazionale e lavorativo dell’équipe.

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Per comprendere lo sviluppo un conflitto tra due o più colleghi, è necessario analizzare la causa iniziale della divergenza, la sua evoluzione, verificare se chi ha determinato il conflitto diverge con gli altri membri del gruppo di lavoro e bisogna evidenziare azioni e comportamenti che hanno determinato lo scontro. Analizzare e verificare la situazione da ogni punto di vista diventa necessario per constatare se sono avvenute modifiche in itinere e se le ostilità sono mutate o inasprite. Come abbiamo sottolineato nei paragrafi precedenti, la mediazione può avvenire attraverso la presenza di un terzo, di un coordinatore oggettivo e professionale con competenze tecnico-professionali, relazionali e comunicative idonee a formare e mantenere un gruppo di lavoro collaborante ed unito. Il coordinatore di un’équipe aziendale efficiente ed efficace deve: a) Conoscere caratteristiche personali e ruoli sociali di ogni suo membro del team b) Saper mediare i conflitti inevitabili all’interno di un gruppo di professionisti. c) Conoscere, comprendere e gestire le proprie e le altrui emozioni. d) Essere rispettoso, leale e corretto. e) Usare una comunicazione verbale efficace. È compito indispensabile del coordinatore, per migliorare la collaborazione all’interno della propria equipe e migliorare la produttività nell’ambito aziendale, mantenere buoni i rapporti tra tutti i membri del team. Non deve fare distinzione tra i membri del suo gruppo di lavoro, donando ad ognuno stessi diritti, risolvendo i problemi del turnover, congedi studi, ferie, validi e univoci per tutto il personale. Il coordinatore ha il compito di accompagnare i membri del suo gruppo, coinvolti nella disputa, a riconoscere le opinioni e i punti di vista reciproci. Non deve solo mirare alla cessazione di un’ostilità, tra i confliggenti e al ripristino dell’equilibrio, ma deve far comprendere lo stato d’animo e le emozioni, di entrambe le parti. Un buon coordinatore è prudente ed umile, mette in evidenza i sentimenti e le emozioni delle parti in conflitto, mentre le sue opinioni e il suo sentire, devono restare silenti dentro la sua mente; deve avere la capacità di sostenere e accettare la rabbia, di stare dentro il disagio altrui e di sospendere il proprio giudizio. La finalità di una mediazione efficace, è quella di mettere in risalto gli aspetti emozionali, le cause dell’ostilità, che ha impedito di trovare una soluzione prima del suo

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intervento. Il coordinatore deve ascoltare entrambe le parti avverse, e comprendere le profonde ragioni del conflitto, per consentire a loro di elaborare i vissuti e le cause della discussione, per poi trovare una soluzione attraverso un colloquio individuale, in uno spazio di ascolto che dia voce a tutte le istanze. Un coordinatore efficace, deve incoraggiare la comunicazione, deve essere imparziale e giusto, con tutti i suoi collaboratori, deve favorire il raggiungimento di un obiettivo.  

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Conclusioni Questo mio lavoro, ha cercato di individuare e descrivere i principali fenomeni che connotano la vita di gruppo, fornendo una descrizione, della complessa faccia oscura dei gruppi e di tutte le sue complesse dinamiche. Il gruppo deve essere osservato come un organismo complesso, pieno di regole, significati e valori e in quest’ottica ho cercato di analizzarne i tratti all’interno del primo capitolo. Per poter affrontare il tema centrale della tesi, ovvero la gestione del conflitto nei gruppi, è stato necessario, comprenderne la struttura, il significato che ha per ogni suo membro. E’ un insieme di individui, che in modo più o meno strutturato, ne condivide gli obiettivi, a volte i valori, in taluni casi è contraddistinto da legami affettivi molto forti. Certamente una sana ed efficace gestione di divergenze e conflitti, è resa possibile da un’attenta e analitica osservazione dei fenomeni che abitano un intero gruppo in cui si interviene. Ho poi affrontato il tema del conflitto, prima in modo generico e in seguito approfondendo il conflitto nelle organizzazioni, che è il tema principe del mio interesse. Fino ad arrivare a descrivere tutta una serie di strategie che possono essere applicate alla gestione del conflitto tra i membri. Gestire un conflitto nell’ambito aziendale, non è cosa semplice. E’ necessario comprendere cosa origina il conflitto, come prende forma, come si struttura ed evolve e con questo mio lavoro ho cercato di tracciarne i contorni, di ridefinirne i tratti. Vivere ed essere in conflitto crea forte stress, sia nell’ambito lavorativo che nella vita privata, cambiando la natura dei rapporti, dei legami e dei ritmi stessi dell’ambiente in cui si sviluppa. È necessario pensare al conflitto, come parte inevitabile ed integrante della nostra vita, in grado di darci la possibilità di abbattere le resistenze ai cambiamenti, per farci crescere e superare le crisi. Con questo mio lavoro ho voluto dimostrare che una corretta gestione del conflitto, aumenta l’autoconsapevolezza, accresce l’empatia, annulla le differenze aggressive, facendole diventare elementi importanti, cancella la coazione a ripetere affinché, non

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ci si trovi nuovamente coinvolti in conflitti dolorosi, violenti ed aggressivi sia sul piano personale che in un ambiente lavorativo. La miglior risposta alla conflittualità avviene attraverso la capacità di separare le paure e i sentimenti, riguardo situazioni e persone, dalla realtà delle circostanze. Separandoci e distaccandoci da tutte quelle emozioni riusciremo ad avere una visione più obiettiva e serena della situazione che ci impedisce di distorcere la realtà dai fatti attraverso il filtro dei sentimenti. È fondamentale riconoscere le emozioni, esse sono concrete, profonde e reali e in quanto tali coinvolgono gran parte delle nostre energie psichiche e fisiche. Quando le reprimiamo, finiscono con l’avvicendarsi ed accumularsi, aspettando il momento giusto per deflagrare ed esplodere. Quando, al contrario, le emozioni invadono il nostro essere, tutta la nostra persona impedendoci di ragionare, incorriamo nel grave errore di permettere alla collera di prendere il sopravvento e di perdere la capacità di restare saldi e consapevoli. Il problema dunque, non è quello di evitare un conflitto, ma di farlo emergere e di affrontarlo con la massima responsabilità e consapevolezza. Per questo motivo ho sentito l’esigenza, di approfondire alcune strategie interessanti ed efficaci che possano “stemperare” l’aggressività e la conflittualità che alcune situazioni lavorative e di gruppo possono generare. Mediazione, Negoziazione, Problem Solving sono sole alcune delle tecniche ci possono aiutare a disinnescare l’impianto conflittuale e aggressivo alla base delle divergenze duali e di gruppo. Essere un “medium”, un “faro oggettivo” che getta luce su dinamiche complesse è il compito principale di un coordinatore efficace ed adeguato all’interno di un’Organizzazione. Lo scopo di questo lavoro è quello di attenzionare, alcune strategie significative ed importanti che possono permetterci di Ri-conoscere nel conflitto, l’Altro diverso da noi, in quanto risorsa. Di riconoscere un’Alterità costruttiva e significante per il gruppo di riferimento.

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L’Altro non deve rappresentare una minaccia, ma una risorsa indispensabile al funzionamento sano ed equilibrato del proprio gruppo di riferimento. Una nuova ri-lettura di alcune dinamiche inconsce sottese, di alcune comunicazioni disturbate e una rimodulazione delle stesse, può permetterci, di dare una nuova vita e un nuovo significato al nostro gruppo di appartenenza. Di ritrovare una nuova collocazione dei membri, in una dinamica lavorativa positiva e collaborativa. Una buona leadership, permette al gruppo la Con-divisione versus la divisione e la frammentazione. Permette un accoglimento di ciò che è unico e creativo e che può diventare risorsa per tutti. Gestire il conflitto nel gruppo, dà la possibilità di ritrovare un clima serene ed efficace. Un’organizzazione aziendale complessa è un ambiente lavorativo all’interno del quale entrano in relazione elementi portatori di interessi eterogenei ed è dove si instaura una relazione che compaiono inevitabilmente conflitti tra individui. Attraverso il solo ascolto individuale e anche a seguito del confronto con l’altro o ancora grazie alla mediazione di una figura coordinatrice, è possibile che si veda la vicenda da una prospettiva diversa e forse condivisa da entrambe le parti in conflitto e che consenta il recupero di un rapporto di fiducia per i confliggenti. In ultima analisi conoscere bene l’ambiente di lavoro in cui avviene il conflitto, permette un’efficace gestione dello stesso. Ogni spazio all’interno di un’azienda, diventa un ambiente lavorativo nel quale entrano in relazione, individualità, alterità, elementi portatori di interessi diversificati o eterogenei, dove si instaura una relazione professionale ed emozionale in cui necessariamente compaiono conflitti tra individui. Attraverso il confronto con l’altro, attraverso una mediazione, è possibile rivedere la vicenda da punti di vista alternativi, da una prospettiva diversa e forse condivisa dalle parti in conflitto, una mediazione o una negoziazione che consenta il recupero di un rapporto di fiducia tra i collaboratori che divergono.

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Bibliografia/Sitografia

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STEFANO MASULLO Classe 1964, laurea in Scienze Economiche e Master in Comunicazione, Marketing e Finanza, Cavaliere dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme e dell’Ordine Costiniano di San Giorgio, Custode delle Insegne e Componente del Collegio Magistrale dell’Ordine dei Santi Contardo e Giuliano l’Ospitaliere, attivo nel settore finanziario dal 1984, già Rappresentante alle Grida alla Borsa Valori di Milano, autorizzato CONSOB, e Broker registrato al NASD a New York, è specializzato nella consulenza e gestione di patrimoni mobiliari ed immobiliari, nella finanza di impresa, nella pianificazione fiscale, nella comunicazione finanziaria e nella formazione. Ha iniziato a lavorare nella società Consulenti Finanziari SpA, creata da Pompeo Locatelli, in seguito, ha collaborato, per oltre un lustro, nello Studio di Agenti di Cambio Leonzio Combi, costituito a Milano nel 1907, uno dei più importanti in Italia. Dal 1995 fino alla vendita, avvenuta nel 2006, fondatore, presidente e azionista di riferimento, del gruppo di consulenza ed intermediario finanziario ex articolo 106 T.U.B., autorizzato Ufficio Italiano Cambi, Opus Consulting S.p.A., capitale sociale 625.000 euro. Socio fondatore, nel 1996, e tuttora segretario generale ASSOCONSULENZA Associazione Italiana Consulenti di Investimento la prima ed unica associazione di categoria riconosciuta a livello istituzionale in Italia; è inoltre socio fondatore, nel 2008, e segretario generale ASSOCREDITO Associazione Italiana Consulenti di Credito Bancario e Finanziario di cui è presidente Luigi Pagliuca, già presidente del Collegio di Milano e Lodi dei Ragionieri Commercialisti. Rettore Università ISFOA, autore di oltre 300 pubblicazioni e di 23 best sellers aziendali, di cui uno, nel 1999, adottato dall’Università Bocconi di Milano; opinionista presso i più importanti media di settore, quali CNBC Class Financial Network e Bloomberg Television, è stato chiamato come relatore, in Italia ed all’estero, da prestigiose istituzioni quali Marcus Evans, Istituto di Studi Bancari, ISTUD, IUAV Università di Venezia, Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano; nel 2002 ha realizzato il primo libro dedicato al Consulente di Investimento. Autore nell’ottobre del 2001, del primo testo dedicato al Bahrein, è direttore editoriale delle prima rivista svizzera di finanza islamica, Shirkah Finance, risultando uno dei principali esperti italiani del settore. Socio fondatore e direttore responsabile della testata internet di finanza www.trend-online.com, con oltre 80.000 I Like su Facebook e 2,5 milioni di visitatori annui, risulta essere la più importante ed influente testata giornalistica on line di finanza operativa, ranking Alexa in Italia pari a 1.669 ed a livello mondiale pari a 16.069, fondata nel 2000. Socio fondatore e direttore responsabile di Golf People Club Magazine, rivista leader assoluta ed incontrastata nel proprio segmento di riferimento, Golf-Business & Lifestyle, con oltre 250.000 copie diffuse tra la versione cartacea e quella digitale, destinata agli appartenenti alla specifica classe sociale degli high net worth individuals, cioè individui che possiedono un patrimonio netto globale personale, immobile di residenza escluso, superiore al milione di dollari; in passato vice direttore del magazine dedicato al lusso World & Pleasure Magazine e direttore editoriale Family Office: Patrimoni di Famiglia, la prima rivista italiana multimediale, internet e cartacea, specializzata nella tutela e conservazione dei patrimoni di famiglia. Ha svolto incarichi direttivi o consulenziali in gruppi bancari, assicurativi, finanziari, industriali quali: Norwich Union, CIM Banque, Broggi Izar, Henderson Investor, Fleming, Corner Bank, Lemanik, Nationale Nederland, Banca Popolare Commercio Industria, 81 SIM Family Office SpA, Prudential Vita, Banca Popolare di Milano, Cassa di Risparmio di Cento, Cassa di Risparmio di Perugia, Société Bancarie Privée, Liberty Financial, FMG Fund Marketing Group, Credito Italiano, IW Bank, ING Group, Colomba Invest SIM, MPS Banca Personale.

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LIBERA E PRIVATA UNIVERSITÀ DI DIRITTO INTERNAZIONALE INTERNATIONAL OPEN UNIVERSITY UNIVERSITÀ TELEMATICA A DISTANZA ENTE DI RICERCA SENZA SCOPO DI LUCRO E DI INTERESSE GENERALE

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ISFOA

Istituto Superiore di Finanza e di Organizzazione Aziendale Libera e Privata Università Telematica a Distanza di Diritto Internazionale Ente di Ricerca Senza Scopo di Lucro e di Interesse Generale

APPENDICE AL VOLUME E PRESENTAZIONE ISTITUZIONALE

ISFOA Edizioni Accademiche Scientifiche Internazionali Digitali 62


Persona Giuridica Legalmente Autorizzata e Riconosciuta tramite Certificato di Incorporazione, Decreto, Registrazione Ufficiale, Provvedimento e Delibera nelle seguenti nazioni: Stati Uniti, Repubblica di San Marino, Belize, Albania, Confederazione Elvetica. Persona Giuridica Legalmente Costituita ed Autorizzata ai sensi degli articoli 60 e seguenti del Codice Civile Svizzero ed in conformità agli articoli 20 e 27 della Costituzione Federale Svizzera e delle Leggi Cantonali. Ente Morale Autorizzato ai sensi della Legge 13 Giugno 1990 n. 68 della Repubblica di San Marino Fondazione Internazionale Autorizzata ai sensi della Legge 7 Maggio 2011 n. 8788 della Repubblica di Albania. Istituzione Autorizzata ai sensi della Section 108 of the General Corporation Law of Delaware Istituzione Autorizzata ai sensi dell’International Business Companies Registry Act Republic of Belize member British Commonwealth 31 December 2000. ISFOA Istituto Superiore di Finanza e di Organizzazione Aziendale è una Università libera, apolitica, aconfessionale di Diritto Internazionale, Riconosciuta ai Sensi dell’Art.60 del Codice Civile Svizzero in conformità degli Articoli 20 e 27 della Costituzione Federale Svizzera, è riconosciuta dall’ordinamento Giuridico Nazionale come Appartenente al settore Universitario Svizzero regolato dalla Legge Federale sulla promozione e sul coordinamento del settore Universitario Svizzero (LPSU entrata in vigore il 1 Gennaio 2015) ed è legittimata ad organizzare ed erogare attività di insegnamento di livello universitario, ricerca accademica ed alta formazione specialistica in ossequio alle prescrizioni ed alla legislazione vigente rilasciando a titolo libero e privato e su basi assolutamente legali, le relative attestazioni. Svolge attività di insegnamento a livello terziario ed attribuisce titoli di studio in virtù del diritto di libertà di insegnamento e della ricerca scientifica e della libera attività economica in conformità agli articoli (art.20) - (art.27) garantiti dalla Costituzione Federale Svizzera, essi sono conformi alle Direttive della Conferenza universitaria svizzera nell’ambito del processo di Bologna (Direttive di Bologna) del 4 dicembre 2003. I titoli conferiti sono validi ai fini del riconoscimento, secondo la Convenzione di Lisbona del 1997 del Consiglio d’Europa ratificata dalla Svizzera il 1 febbraio 1999 e dall’Italia con la legge n.148 del 11 luglio 2002. ISFOA Istituto Superiore di Finanza e di Organizzazione Aziendale, riconosciuta dall’ordinamento giuridico nazionale come appartenente al settore universitario svizzero regolato dalla Legge Federale sulla Promozione e sul Coordinamento del Settore Universitario Svizzero (LPSU), utilizza le tre lingue ufficiali Elvetiche, italiano, francese, tedesco, unitamente all’inglese ed opera a tutti gli effetti quale Università, offrendo corsi che portano al conseguimento di Bachelor Degree (Lauree Triennali), Master Degree (Lauree Specialistiche), Executive Master e Master of Advanced Studies, oltre che Dottorati di Ricerca - PhD, corrispondenti ai livelli 6, 7, e, 8 del sistema europeo E.Q.F.European Qualification Framework. Il Consiglio di Stato del Cantone Ticino con Delibera numero 706 del 14 febbraio 2006, ha autorizzato ISFOA ad utilizzare la denominazione “ ISFOA Libera e Privata Internazionale ” ai sensi dell’art. 14 cpv. 2 della legge sull’Università della Svizzera Italiana, sulla Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana e sugli Istituti di ricerca del 03 ottobre 1995 (LUSI).

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ISFOA Istituto Superiore di Finanza e di Organizzazione Aziendale ISFOA Libera e Privata Università Internazionale a partire dall’anno accademico 2010 ha inaugurato una rinnovata struttura organizzativa e dirigenziale attiva nelle città di Ginevra e di Zurigo presso una importante rappresentanza consolare diplomatica, messa a disposizione da un autorevole componente interno del proprio Senato Accademico, trasferendosi così dalla città di Lugano e dal Cantone Ticino. ISFOA Libera e Privata Università Internazionale, fondata nel 1999, con i suoi oltre 3.500 allievi formati nei vari percorsi, diplomi di perfezionamento, lauree breve, lauree magistrali, master di specializzazione, dottorati di ricerca, ha assunto tale importante decisione strategica in funzione del fatto che Ginevra, oltre 180.000 abitanti, capitale dell’omonimo Cantone, contro i 35.000 di Lugano, è la seconda città della Svizzera dopo Zurigo ed è considerata una piazza internazionale e cosmopolita a livello finanziario, industriale ed istituzionale, sede delle maggiori banche private nazionali ed estere e delle maggiori organizzazioni internazionali quali Croce Rossa, Nazioni Unite, Organizzazione Mondiale della Sanità, Organizzazione Internazionale del Lavoro, Alto Commissariato Nazioni Unite per i Rifugiati, Organizzazione Mondiale del Commercio, Consiglio Europeo per la Ricerca Nucleare, World Economic Forum, di conseguenza rappresenta la naturale ubicazione per un ente accademico di prestigio e caratterizzato da una innata propensione allo sviluppo ed al relativo consolidamento di relazioni sociali, istituzionali e professionali. I diplomi conferiti, per la propria peculiare natura privata, risultano essere diversamente equipollenti a quelli di analoghe istituzioni statali e non garantiscono automaticamente alcuna equivalenza con altri, sono però legittimamente considerati titoli accademici e possono, singolarmente, e nei casi e nelle modalità di specie, autonomamente previste dai vari ordinamenti universitari nazionali, essere valutati come ammissibili al riconoscimento in tutti i paesi d’Europa ai sensi della Convenzione di Lisbona del 1997 del Consiglio d’Europa sul reciproco riconoscimento delle qualifiche universitarie. ISFOA Libera e Privata Università Internazionale, in virtù del suo stato normativo e per l’interpretazione del Trattato di Lisbona, non può garantire l’accettazione del titolo rilasciato, per bandi e concorsi pubblici, albi e il riconoscimento di titolo da parte di istituzioni, enti pubblici o privati, enti universitari o altro. ISFOA Libera e Privata Università di Diritto Internazionale è considerata una delle più prestigiose, selettive, ambite e rinomate università a distanza.

ISFOA Libera e Privata Università di Diritto Internazionale vanta i seguenti record: ñ ñ ñ ñ

il 100% dei propri iscritti conclude nei tempi previsti il percorso accademico programmato ; il 100% dei propri laureati risulta essere un imprenditore, un professionista o un dirigente di conclamato successo; il 100% dei propri laureati appartiene alla classe sociale degli high net worth individuals; lo 0% è il tasso di abbandono dei propri iscritti.

ISFOA Libera e Privata Università di Diritto Internazionale, gode a livello internazionale, di un acclarato prestigio e di una riconosciuta reputazione in funzione del proprio corpo docente

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composto da banchieri, industriali, editori, giornalisti, diplomatici, accademici, prelati, militari, giuristi, economisti di chiara fama, provenienti dalle maggiori e più note istituzioni italiane ed estere, sia per le proprie importanti attività di lobbyng e di sviluppo di affari che per l’impegno profuso a livello sociale, avendo concesso numerose borse di studio a parziale e/o totale copertura delle rette previste a favore di discenti non particolarmente abbienti ma meritevoli e organizzando e/o finanziando innumerevoli opere filantropiche e caritatevoli. ISFOA Libera e Privata Università di Diritto Internazionale, attraverso l’opera indefessa e volontaria del pro rettore Vincenzo Mallamaci, ha perfezionato, proprio grazie alle generose donazioni ricevute durante le varie cerimonie di consegna dei titoli accademici, in stretta collaborazione con l’Associazione E Ti Porto in Africa ONLUS, l’acquisto di numerosi ettari di terra in Costa d’ Avorio, destinati alla coltivazione di piantagioni di Cacao, da donare ad un folto gruppo di famiglie povere che potranno con il loro lavoro ed il relativo insegnamento di Tecniche Agricole, Aziendali, Finanziarie e Commerciali, sopravvivere e prosperare per almeno 30 anni. ISFOA Libera e Privata Università di Diritto Internazionale agirà nella realizzazione di tale importante opera umanitaria, sempre sotto la diretta supervisione di Monsignor Giulio Cerchietti, Officiale della Congregazione per i Vescovi della Santa Sede, responsabile Ufficio Internazionale Ordinariati Militari e Presidente Associazione Amici del Benin e di Padre Constant Atta Kouadio, cittadino della Costa d’Avorio, Assistente Spirituale e Presidente Vicario per l’Africa dell’Associazione E Ti Porto in Africa ONLUS. ISFOA Libera e Privata Università di Diritto Internazionale, da sempre, progetta e sviluppa operazioni di livello internazionale a beneficio del progresso sociale, culturale ed economico, procedendo sempre nello spirito cristiano, in maniera concreta e reale, in silenzio ed umiltà, in evidente contrapposizione alle chiacchiere generali, poiché questo è uno degli insegnamenti fondamentali ereditati dal Maestro Gesù Cristo per risolvere, ad esempio, il problema dei profughi alla radice. Se dai del pesce ad un uomo, Egli si ciberà una volta. Ma se tu gli insegni a pescare, Egli si nutrirà per tutta la vita. Se fai progetti per un anno, Semina del grano. Se i tuoi progetti si estendono a dieci anni, Pianta un albero. Se essi abbracciano cento anni, Istruisci il popolo. Seminando grano una volta, Ti assicuri un raccolto. Se pianti un albero, Tu farai dieci raccolti. Istruendo il popolo, Tu raccoglierai cento volte.

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Sua Santità Papa Francesco, per tale importante impegno sociale, professionale ed accademico, ha voluto impartire, facendo consegnare direttamente nelle mani di Stefano Masullo, magnifico rettore ISFOA Libera e Privata Università di Diritto Internazionale, la propria Benedizione Apostolica, invocando speciale effusione di grazie celesti e la materna protezione della Beata vergine Maria per una costante crescita nella fede e nell’amore.

Oggi l’esperienza professionale può essere riconosciuta dalle Università italiane o straniere come credito formativo: significa che è possibile abbreviare il percorso che porta al conseguimento della laurea.

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La partecipazione a stage e seminari, l’iscrizione a ordini professionali, la conoscenza delle lingue e dell’informatica, la frequenza a corsi di formazione e attività culturali, lo svolgimento di volontariato ed impegno sociale nel corso della propria vita lavorativa si traducono in crediti formativi e accelerano il raggiungimento della laurea. E’ possibile ottenere il Diploma di Laurea e il relativo titolo di Dottore, senza dover abbandonare la propria attività, senza alcun obbligo di frequenza e in alcuni casi senza dover sostenere nessun esame secondo un percorso accademico personalizzato strutturato attraverso un processo denominato CEVA Certificazione e Verifica Esperienza Acquisita. Un qualificato professionista, iscritto e certificato quale docente Assoconsulenza Associazione Italiana Consulenti di Investimento, la prima ed unica associazione di categoria dei consulenti di investimento riconosciuta ed accreditata in Italia, sarà in grado di offrire una consulenza assolutamente libera e gratuita in merito alla valutazione del proprio curriculum vitae. info@assoconsulenza.eu In Svizzera le università private non hanno alcun obbligo di sottoporsi ad una procedura di accreditamento, che è al contrario una semplice facoltà di ogni istituto universitario, teso ad aumentarne il prestigio ed ad ottenere i sussidi finanziari erogati dalla Conferenza universitaria svizzera; né ad offrire cicli di studio che soddisfino le condizioni per l’accreditamento, né tanto meno obbligata a menzionare la circostanza che non sia accreditata. In Svizzera non esiste il valore legale dei titoli (salvo per quelle formazioni che si concludono con un esame di stato es. medicina), le università private possono decidere volontariamente di sottoporre i loro corsi di studio al cosiddetto “accreditamento”, certificazione di qualità. Ne consegue che i titoli conferiti, in quanto rilasciati da una università riconducibile al sistema di insegnamento superiore, sono validi ai fini dell’ammissione al riconoscimento in tutti i paesi d’Europa, Italia compresa, ai sensi della Convenzione di Lisbona del 1997 del Consiglio d’Europa sul reciproco riconoscimento delle qualifiche universitarie, ratificata dalla Svizzera il 1 febbraio 1999 e dall’Italia con la legge n.148 del 11 luglio 2002. ISFOA Libera e Privata Università Internazionale rilascia titoli accademici, perciò, validi ai fini dell’ammissione al riconoscimento in Italia anche per finalità diverse da quelle precedenti ai sensi del DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 30 luglio 2009, n. 189 - Regolamento concernente il riconoscimento dei titoli di studio accademici, a norma dell’articolo 5 della legge 11 luglio 2002, n. 148. (09G0197) (GU n. 300 del 28-12-2009) note. Entrata in vigore del provvedimento: 12/01/2010. Il Cantone Ticino, come confermato da comunicazioni e delibere ufficiali del Consiglio di Stato e del Dipartimento dell’Educazione, della Cultura e dello Sport e dalla Legge del 3 Ottobre 1995 sull’Università della Svizzera Italiana, sulla Scuola Universitaria Professionale della Svizzera Italiana e sugli Istituti di Ricerca, regola all’articolo 14, unicamente l’uso del nome Università con il duplice scopo di evitare confusione con le istituzioni accreditate ed enti autonomi di diritto pubblico quali appunto USI Università Svizzera Italiana e SUPSI Scuola Universitaria Professionale Svizzera Italiana, e che le informazioni date agli studenti siano conformi all’effettivo valore dei titoli conseguiti, conferma inoltre che l’attività di formazione universitaria non richiede una autorizzazione specifica poiché si basa sulla libertà di scienza e sulla libertà economica dei sopra richiamati articoli 20 e 27

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Costituzione Federale Svizzera. ISFOA Libera e Privata Università di Diritto Internazionale ha insignito nel corso degli anni del titolo accademico honoris causa innumerevoli personalità di spicco universalmente rinomate ed in particolare ben quattro Ministri in forza 2001 - 2006 al Governo presieduto dall’Onorevole Silvio Berlusconi svolgendo le relative cerimonie ufficiali di consegna presso esclusive sedi istituzionali quali Camera dei Deputati, Senato della Repubblica, Ambasciate. I titoli accademici rilasciati da ISFOA Libera e Privata Università di Diritto Internazionale sono perciò validi titoli universitari in Svizzera e in tutti i paesi d’Europa. Quadro Normativo Generale ed Utilizzo Legale e Legittimo del Titolo Universitario Privato Svizzero in Italia I titoli rilasciati da ISFOA Libera e Privata Università di Diritto Internazionale non conferiscono in alcun modo il privilegio di accedere all’esame di Stato per l’abilitazione professionale e, per di più, chi è in possesso legittimo di quest’ultimo titolo dottrinale, deve sempre darne atto, indicando obbligatoriamente l’origine e la natura, possono però essere legalmente fruibili in Svizzera, nella lingua originale nella quale sono stati conferiti, in base all’articolo 27 della Costituzione Federale Elvetica, il tutto, rispettando i dettami dell’articolo 14 della Legge Cantonale sull’Università della Svizzera Italiana del 3 ottobre 1995; ed in Europa ai sensi dell’articolo 3 della Convenzione di Parigi del Consiglio d’Europa del 14 dicembre 1959. Il titolo di studio conseguito all’estero non ha generalmente riconoscimento professionale in Italia, salvo il disposto della Legge 1940 del 31/12/1962 che stabilisce il principio secondo il quale “chiunque ha diritto di portare un titolo accademico conferito da università estere, purché ne precisi l’origine.” Si richiama a questo proposito l’attenzione su di un importante adempimento, obbligatorio per i possessori di titoli appartenenti alla fattispecie in oggetto, sia ordinari che onorari, sul biglietto da visita, sulla carta da lettera, sul cartoncino e su tutti gli altri documenti, dovrà sempre citarne la fonte, appaiata al proprio nome e cognome. Per completezza si riporta un esempio di pura fantasia: Pinco Pallino Dottore in Economia e Finanza honoris causa ISFOA USA Il proponente potrà di conseguenza avvalersi del titolo, dr. o dr. ing., a lui conferito legalmente, nei biglietti da visita e nella carta intestata commerciale, professionale o personale, e nei rapporti con i terzi, ma, come già descritto in precedenza, trattasi di titolo, generalmente, non valido ad esercitare una professione riservata, né ad iscriversi ad Albi Professionali ed Ordini regolamentati a livello pubblico, né a partecipare a concorsi; in base al disposto normativo della Legge 262 del 13/3/1958, infatti, ci si può solo fregiare del titolo emesso da un “soggetto non residente”, quale è ISFOA Libera e Privata Università di Diritto Internazionale, e non farne uso. ISFOA Libera e Privata Università di Diritto Internazionale non ha l’obbligo di venire registrata in Italia in quanto il suo stato giuridico è già di per sé completo e compiuto, comprovato all’origine; accadrebbe

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l’inverso qualora i diplomi rilasciati possedessero titolo valido per l’avviamento agli Esami di Stato al fine dell’abilitazione professionale. I titoli conferiti impegnano solo l’istituzione stessa che li rilascia a livello libero e privato su basi assolutamente legali, non essendo in alcun modo responsabile in merito all’uso del titolo ed all’ottenimento del diritto all’esercizio della libera professione in quanto regolati dalle norme dei singoli Paesi. Ai fini del valore legale del titolo rilasciato esso non può essere paragonabile con quelli rilasciati da Università Statali della Repubblica Italiana, né con quelle considerate equipollenti, né con quelli di Università Statali dell’Unione Europea e/o della Confederazione Elvetica, per quanto, nel Regno Unito – Gran Bretagna il British Parliament 1988 Education Act reciti che “The awards made by overseas educational establishments should be recognized, and the assessment and recognition of such qualifications would be a matter for the individual employer and professional bodies”. L’Accordo tra la Confederazione Svizzera, da un parte, e la Comunità Europea ed i suoi Stati membri, dall’altra, sulla libera circolazione delle persone, concluso il 21 giugno 1999, approvato dall’Assemblea Federale l’8 ottobre 1999, ratificato con strumenti depositati il 16 ottobre 2000, entrato in vigore il 1° giugno 2002 - 1° giugno 2004, all’articolo 5, prevede, per le istituzioni accademiche quale è ISFOA, il diritto di fornire sul territorio dell’altra parte contraente, programmi di insegnamento e di formazione di durata non superiore a 90 giorni per anno civile. Riconoscimento titoli esteri in Italia legge 148/2002 circolare MIUR equipollenza cancellata Tutti i cittadini italiani residenti in Italia che hanno conseguito un titolo accademico all’estero possono esercitare tutti i diritti connessi al possesso del titolo senza dover richiedere l’equipollenza e rivolgersi ad una università italiana per il conferimento del corrispondente titolo italiano. La prassi dell’equipollenza, già prevista negli articoli 170 e 332 del RD 1592/1933 ora abrogati, è stata cancellata, con l’introduzione della procedura del riconoscimento finalizzato prevista dalla legge 148/2002, propria di una concezione più moderna e coerente con gli obiettivi attuali dell’insegnamento superiore a livello internazionale. Il MIUR Ministero Istruzione Università e Ricerca, in una circolare (Protocollo: n. 3600/Segr/Afam del 10 febbraio 2004), conferma l’applicazione della legge 148/2002 per il riconoscimento in Italia dei titoli esteri, e invita tutti i destinatari ad osservare ed attuare le norme sul riconoscimento dei titoli di studio effettuati all’estero. Confermata la spendibilità dei Titoli Accademici Svizzeri in Europa · Spagna. Il Ministero competente spagnolo ha riconosciuto la laurea triennale in Scienze Aziendali conferita da una università privata elvetica con indirizzo Consulenza del Lavoro come qualifica professionale abilitante ai sensi della direttiva 2005/36/CE, all’esercizio della professione di consulente del lavoro, dopo il superamento della prova attitudinale in diritto positivo spagnolo del lavoro e della

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sicurezza sociale. · Germania. La Procura del Baden Wuttemberg ha riconosciuto la spendibilità in Germania del Master in Business Administration rilasciato da una università privata elvetica con ordinanza N.123js 2193809 del 3 giugno 2011. Il Tribunale Civile di Stoccarda Atto nr. 25 O 92/11 del 22.03.2012 ha dichiarato legittimo in Germania l’uso del titolo con l’indicazione delle sue origini. · Italia. Le università di Catania, Padova, Chieti, Unisu, Guglielmo Marconi, E Campus, hanno riconosciuto la spendibilità accademica con il riconoscimento totale e/o parziale degli esami sostenuti presso una università privata elvetica. Il Ministero della Difesa Italiano ha autorizzato l’annotazione matricolare del diploma di laurea in Scienze della Comunicazione conferito da una università privata elvetica. Ammissione e conseguimento di numerosi laureati presso una università privata elvetica dell’attestato di MEDIATORE CIVILE E COMMERCIALE (Decreto Legislativo n. 28 del 20 Marzo 2010 e Decreto Interministeriale n. 180 del 18 Ottobre 2010).

La laurea triennale in Scienze Aziendali riconosciuta in Europa come qualifica professionale ai sensi della direttiva 2005/36/CE Il Ministero competente spagnolo ha riconosciuto la laurea triennale in scienze aziendali con indirizzo consulenza del lavoro come qualifica professionale abilitante ai sensi della direttiva 2005/36/CE, all’esercizio della professione di consulente del lavoro, dopo il superamento della prova attitudinale in diritto positivo spagnolo del lavoro e della sicurezza sociale. Valore dei titoli di studio universitari conferiti da università private in Svizzera In Svizzera la formazione universitaria è prevalentemente pubblica e di competenza dei Cantoni, salvo i politecnici federali e altre scuole universitarie federali (SUP) scuole universitarie professionali direttamente regolate e controllate dal Governo federale, esiste però anche una rilevante presenza di università private. In Svizzera non è richiesta preventiva autorizzazione e /o riconoscimento statale per offrire formazione nel settore universitario, organizzare esami o rilasciare titoli di studio. Non esiste il valore legale dei titoli. Autorità federali o cantonali, secondo le rispettive competenze, vigilano nei casi previsti dalla legge sull’attività delle università private. In Svizzera, all’infuori dei casi specialmente regolamentati dalla legge, giudice della qualità e del valore di una formazione è l’utente o il mercato del lavoro prima che lo Stato. Conformemente alle tendenze internazionali, sono state introdotte in Svizzera procedure di accreditamento facoltative (certificazione di qualità e/o marchi di qualità) non discriminanti tra offerta pubblica e privata. L’accreditamento è facoltativo e attesta solamente un controllo esterno della qualità e non implica alcun riconoscimento della validità di questa o di quella formazione da parte dello Stato.

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Il settore universitario in Svizzera è complesso e conseguente all’assetto federale del paese (terziario A secondo la classificazione internazionale): · la Confederazione regola e controlla i Politecnici federali e le Scuole universitarie professionali (SUP) pubbliche o private. · I Cantoni, secondo la Costituzione Federale Svizzera, hanno la sovranità sulle università cantonali pubbliche e su quelle private operanti sul proprio territorio. In ciascun Cantone quindi vi sono leggi cantonali universitarie che regolano in modo differente la materia. · La Confederazione e i Cantoni hanno competenze comuni riguardanti il coordinamento e lo sviluppo della qualità, tramite la Conferenza universitaria svizzera (CUS), organo comune della politica universitaria accademica pubblica. A livello nazionale svizzero una Agenzia nazionale di accreditamento (OAQ), accredita facoltativamente le università pubbliche e quelle private o loro singoli curricula, cioè concede loro un marchio di qualità, che comunque non conferisce di per sé alcun riconoscimento e/o la validità statale dei titoli conferiti. Un’istituzione può richiedere un accreditamento come università oppure puo’ richiedere l’accreditamento per certi cicli di studio soltanto secondo quanto stabilito dalla legge federale sull’Aiuto universitario (LAU, RS 414.20). Per quanto concerne il valore dei titoli universitari accademici rilasciati in Svizzera: · ai fini dell’ammissione all’esercizio di una professione regolamentata (p.e. medicina, avvocatura, ecc.), sono le leggi federali o cantonali regolanti la professione che stabiliscono quali titoli sono riconosciuti. · Per le professioni non regolamentate (p.e. management, giornalismo, ecc.) spetta di fatto al datore di lavoro “riconoscere” o meno il valore di un titolo di studio; significativo può essere l’accreditamento o comunque una certificazione di qualità rilasciata da enti privati generalmente riconosciuti. · Ai fini del proseguimento degli studi, è l’università dove si intende proseguirli che riconosce il valore di un titolo precedente. Analogamente a quanto avviene per l’equivalenza dei titoli, le università si basano sulle norme nazionali. Università private riconosciute appartenere al sistema d’insegnamento con sede in Svizzera, anche se non accreditate (cioè che non hanno richiesto la certificazione di qualità facoltativa), hanno comunque il diritto costituzionalmente garantito di rilasciare titoli di studio universitari che, senza alcuna differenza rispetto a quelli rilasciati dalle università pubbliche, sono validi per: · il diritto d’accesso ai fini del proseguimento degli studi nel sistema universitario (pubblico) svizzero e

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all’estero, ai sensi delle leggi nazionali e della Convenzione di Lisbona del 1997 del Consiglio d’Europa sulla reciproca riconoscibilità dei titoli; · ai fini dell’esercizio in Svizzera di professioni regolamentate ai sensi della direttiva della Unione europea CE/ 2005/36 in vigore anche in Svizzera dal 1 novembre 2011; · ai fini dell’esercizio in Svizzera di professioni non regolamentate, vale il libero apprezzamento del datore di lavoro.

RICONOSCIMENTO ACCADEMICO PER LA PROSECUZIONE DEGLI STUDI IN ALTRA UNIVERSITA’ I titoli conferiti, in quanto legalmente rilasciati da una università riconosciuta dall’ordinamento giuridico come appartenente allo spazio universitario svizzero, sono idonei ai fini del riconoscimento ai sensi della Convenzione di Lisbona del 1997 del Consiglio d’Europa sul reciproco riconoscimento delle qualifiche universitarie, ratificata dalla Svizzera il 1 febbraio 1999 e dall’Italia con la legge n.148 del 11 luglio 2002.

USO DEI TITOLI NEI PAESI MEMBRI DELL’UNIONE EUROPEA Tutti i cittadini italiani residenti in Italia che hanno conseguito un titolo accademico all’estero possono esercitare tutti i diritti connessi al possesso del titolo. Ai sensi dell’art. 54 della direttiva 2005/36/CE della Unione Europea lo Stato membro ospitante fa sì che gli interessati abbiano il diritto di usare il titolo di studio dello Stato membro d’origine, ed eventualmente la sua abbreviazione, nella lingua dello Stato membro d’origine. Lo Stato membro ospitante può prescrivere che il titolo sia seguito da nome e luogo dell’istituto o della giuria che l’ha rilasciato. A settembre 2011 il Comitato misto Svizzera-UE per l’Accordo sulla libera circolazione delle persone ha deciso l’applicazione in Svizzera a partire dal 1° novembre 2011 della direttiva 2005/36/CE. Di conseguenza l’Italia come stato membro ospitante deve garantire agli interessati l’uso nel proprio territorio del titolo di studio conseguito in Svizzera nella lingua dello Stato di origine.

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Il Premio Internazionale ISFOA alla Carriera, considerato uno dei più ambiti, selettivi, prestigiosi ed esclusivi riconoscimenti, volto a valorizzare le rinomate eccellenze italiane ed estere, attive nel settore culturale, industriale, accademico, istituzionale e professionale, che si inquadra in un più ampio manifesto programmatico, realizzato con successo fin dall’autunno del 1996, è stato inaugurato nel Maggio del 2004 con una cerimonia ufficiale, trasmessa in prima serata dalla televisione nazionale ungherese, ed avvenuta all’interno dell’Istituto Italiano di Cultura di Budapest, alla presenza di oltre 250 ospiti, del Ministro per gli Italiani nel Mondo, dell’Ambasciatore d’Italia in Ungheria, con il saluto ufficiale del Segretario Generale della Presidenza della Repubblica Italiana vantando i seguenti patrocini ufficiali: Provincia di Milano; Provincia di Lecce; Ministero Infrastrutture e Trasporti; Ministero Affari Esteri; ICE Istituto Commercio Estero; Ministero per gli Italiani all’Estero; ANC Associazione Nazionale Carabinieri; AIDDA Associazione Imprenditrici e Donne Dirigenti di Azienda; Comune di Milano; Regione Lombardia; Comune di Lecce; Camera di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura di Bari.

Il Premio Internazionale ISFOA alla Carriera ha come scopo il perseguimento dei seguenti obiettivi: Internazionalizzazione delle aziende italiane nel mondo; sviluppo della cooperazione multinazionale; valorizzazione delle Piccole e Medie Imprese; affermazione dell’immagine del marchio e dello stile italiani nel mondo; salvaguardia e riqualifica del Made in Italy attraverso supporti e contenuti culturali che contrastino il dumping cinese; ñ consolidamento delle responsabilità sociali, etiche e morali nelle attività produttive e professionali. ñ ñ ñ ñ ñ

Il Premio Internazionale ISFOA alla Carriera, nel corso della serata di gala inaugurale della prima edizione, conclusasi con un eclatante successo, ha potuto vantare il saluto istituzionale, in nome e per conto di Carlo Azeglio Ciampi, presidente della Repubblica Italiana, portato personalmente da Paolo Guido Spinelli, ambasciatore della Repubblica Italiana in Ungheria, e tra gli illustri premiati, presente alla serata in qualità di ospite d’onore ed istituzionale, il ministro per gli Italiani nel Mondo, onorevole Mirko Tremaglia, destinatario anche di una Laurea Honoris Causa conferita dal Senato Accademico della Facoltà di Scienze Aziendali ed Economiche di ISFOA Libera e Privata Università di Diritto Internazionale.

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