Semestre, house organ del Collegio di MIlano

Page 1

7.VERSIONE OK.Semestre 1-13:Semestre1-A3/AA

21-02-2013

18:05

Pagina 1

semestre

2 12

Anno IV, n. 6 – Febbraio 2013 – Poste Italiane s.p.a. – Spedizione in Abbonamento Postale – 70%-DCB Milano

FEDELI A SE STESSI PER CONSOLIDARSI IN QUESTA CRISI Intervista a Giancarlo Lombardi a sua "testimonianza" è quella che ha registrato il gradimento più alto nelle valutazioni, rigorosamente anonime, che vengono somministrate agli alunni dopo ogni incontro.

L

Giancarlo Lombardi, 75 anni, tra i fondatori del Collegio di Milano e presidente sin dalla sua nascita, ne sorride ma si capisce che non ne è stupito per niente. “Forse perché ho una grande simpatia dell’uomo”, risponde se gli chiedete come se lo spieghi, “una posizione antropologica, che implica rispetto per le persone e per le loro idee, e un’attenzione per la loro crescita personale, professionale e umana. E poi...”

E poi, Presidente? C’entra con la mia storia: le realtà più importanti della mia vita sono state la mia famiglia e gli scout. Non un diversivo, lo scoutismo, non un’attività fra le tante ma una realtà importante, per me, in termini educativi. E mi lasci aggiungere...”

Essere leader cioè costruttori di futuro

5 INAUGURAZIONE De Benedetti METTERSI IN GIOCO

Al Collegio, il 28 novembre scorso, testimonianza del Ceo di Intesa S.Paolo, Tommaso Enrico Cucchiani, fra lezioni di vita e alta strategia di impresa. Da Stanford a Via Monte di Pietà passando per Allianz. Come capire la performance osservando una partita di basket Enrico Tommaso Cucchiani a cosa più importante nella mia vita è stata quella di frequentare scuole di qualità, di fare esperienze anche inusuali, di conoscere persone e organizzazioni straordinarie e d’aver avuto la fortuna e il privilegio di guidare persone che hanno dato molto alle organizzazioni di cui ero responsabile e di conseguenza anche a me. È facile montarsi la testa quando si ha successo ma, quando una persona si trova al vertice di una società, in realtà rappresenta la sommatoria di quello che fanno altre persone. L’università a Stanford è stata decisiva. Era ed è il punto di riferimento in tanti campi. È grazie a Stanford che si è sviluppata la Silicon Valley, che rappresenta il concentrato più straordinario di imprenditorialità, di intelligenza, di conoscenza e anche di ricchezza.

L

segue a pag. 2

6 PROGRAMMA CULTURALE BILANCIO I SEMESTRE

Prego... poi c’è un sentimento che mi arrogo e cioè il senso della giustizia per gli altri più che per me stesso. Nell’ingiustizia, infatti, metto la penalizzazione delle nuove generazioni. Tutto ciò che le vecchie generazioni fanno, mortificando le nuove, è una forma di ingiustizia. Presidente, un altro anno per il Collegio. Un anno diverso dagli altri perché immerso in una crisi che non ha precedenti. Quali restano gli obiettivi di questa istituzione? Diventa molto importante, per il Collegio, riuscire da una parte a consolidarsi, consolidare una realtà visto che l’evoluzione del contesto economico può mettere in difficoltà chiunque, e rendere poco attenti a sviluppare discorsi nuovi, e a perdere di vivacità. Come si allontana un rischio simile? La garanzia maggiore a che ciò non avvenga è data dagli studenti stessi che, per loro natura, sono diversi, cambiano, sono vivaci e interessanti e portano la spinta al cambiamento. Il risultato più importante del 2012 è che il Collegio esiste e funzioni bene, perché questa è la sua libertà. Da che cosa lo capisce? Per esempio dal fatto che, nell’ultimo semestre, abbiamo avuto un numero di domande che è stato il più alto nella storia del Collegio.

segue a pag 3

7 OPEN LESSON/1 Tremonti COSÌ VEDO LA CRISI

Carlo D’Asaro Biondo, vi racconto le mie ventiquattro monete a Google di Giampaolo Cerri la società di cui, probabilmente, si parla di più negli ultimi anni. Per come sta penetrando nel nostro modo di lavorare e nel nostro tempo libero. Per il suo business, in espansione. Per le querelle che sempre più spesso la oppongono ad altri grandi operatori economici, particolarmente quelli old economy, come gli editori, o anche agli Stati, per ragioni di interpretazione della normativa fiscale o dei diritti civili. Google, da motore di ricerca che era, sta sempre più diventando una filosofia, un sistema omnicomprensivo, un criterio del tutto nuovo di intendere il mondo. E visto che c’è un italiano ai piani alti di Mountain View, la sede californiana della compagnia, non lontana dalla Stanford University che ha visto fiorire il talento dei fondatori, Sergey Brin e Larry Page, e che quell’italiano dirige la compagnia in Europa, è stato naturale invitarlo al Collegio.

E

Martone L’EQUITÀ POSSIBILE 9 PROGETTI QUELLI DELLE START-UP VERDI

10 PROGETTI SPEDIZIONE O.A.S.I.S.

segue a pag 4

12 OPEN LESSON/2 Angelo Petroni ETICA E P. A.


7.VERSIONE OK.Semestre 1-13:Semestre1-A3/AA

21-02-2013

18:05

Pagina 2

2

semestre

segue da pag 1

L’INTERVISTA Lombardi: bilancio 2012 e prospettive. Da Michele Salvati a Salvatore Carrubba

C’è un’idea di studio che cambia, rispetto al passato? Un’idea più seria? Può darsi, ma non penso che la motivazione principale sia frequentare il nostro Programma Culturale. Poi lo scoprono, l’apprezzano e lo seguono. No, la motivazione principale è la ricerca di un ambiente stimolante e, in qualche modo, che permetta una identità. È un problema di tutti, dei giovani in particolare: in una società dispersiva, trovare un ambiente raccolto e identificato e sicuramente di qualità è l’elemento principale. Ed è la maggiore ricchezza del Collegio: 100 e passa studenti che frequentano facoltà diverse, che sono persone di qualità e che passano il tempo assieme, questa è la ricchezza maggiore.

in una società dispersiva, trovare un ambiente raccolto e identificato e sicuramente di qualità è l’elemento principale Per Milano, che cosa è il Collegio? Due fatti. Pur essendo il Collegio rivolto a studenti anche di altre regioni (compreso il 15% che viene dall’Estero), abbiamo cercato di segnare di più la nostra presenza a Milano, facendoci carico di alcuni problemi e vedendo di dare un contributo. Sono due realtà importanti, Expo College e il Master Milano per lo Stato. Poi ovviamente ci sono le singole iniziative, come per esempio la mostra dei disegni di Mirò che è stata apprezzata da moltissimi milanesi. Andiamo per ordine: Expo College. Abbiamo messo a disposizione la competenza a gestire dei college, non analoghi al nostro perché non c’è valutazione del merito come qui, però resta pur sempre una gestione di qualità rivolta a studenti stranieri e ricercatori che arrivano a Milano per l’Expo. Stiamo mettendo a fuoco la prosecuzione del progetto e speriamo che ci sia un’attenzione e un’interlocuzione delle forze amministrative che ci permetta di valorizzare l’iniziativa. Uno sforzo che il Collegio ha fatto con risorse proprie: una delle poche iniziative di questo genere in vista di Expo 2015. Certo e questo aveva ipotesi di previsione che non si sono realizzate e va detto. Dato che esiste un certo budget per Expo, bisogna avere la voglia di fare. Si era ipotizzato di arrivare a 500

posti entro il 2015, arriveremo presto a 250 con le nuove strutture.

Poi c’è il Master. Nasce da una riflessione molto condivisa, e approfondita, sulla necessità per il nostro Paese di persone di qualità per le amministrazioni pubbliche, locali e nazionali. Siamo caduti in un momento non facile: il master comporta un costo di partecipazione e, d’altra parte, implica che ci siano enti disponibili all’assunzione. Nel mezzo di questa crisi, due variabili difficili. Sia per la disponibilità economica di studenti e famiglie, sia per il blocco delle assunzioni, di fatto o di diritto, in molte amministrazioni. Come si pensa di uscirne? Speriamo che questi due limiti possano essere in parte superati e stiamo studiando la possibilità di una formulazione diversa, con una maggiore flessibilità che possa permettere la frequenza a persone già inserite nelle amministrazioni. Resta il valore di una iniziativa che attesta la sensibilità della Fondazione e un tentativo di risposta a un bisogno reale. Più in generale che cosa ha da dire ai giovani italiani l’esperienza matura di un collegio di merito come questo? La questione di una formazione di persone che hanno attitudine allo studio più degli altri, o per volontà o per carattere intrinseco, è riconosciuta da molti centrale se non prioritaria. Purtroppo nel nostro Paese non corrisponde uno sforzo economico e organizzativo adeguato. Abbiamo ottime università che fanno un eccellente lavoro, così come la scuola italiana è meno malmessa di quanto si dica per merito di molti insegnanti che si impegnano con grande dedizione. Resta il fatto, però, che l’attenzione politica su questo tema è modesta, come modesto è il contributo economico. E non si può negare che, senza risorse, sia ben difficile fare qualcosa di importante. L’educazione rimane un caposaldo... Nel suo primo programma di contrazione di costi, per rispondere alle necessità del bilancio, il presidente americano, Barack Obama, ha tagliato tutte le voci, salvo la formazione e l’educazione. E questa è la linea che caratterizza anche altri Paesi. Da noi invece... Da noi è stata la voce più tagliata. Ora, è vero che è un capitolo grosso, e che nello stesso esistono, ancora oggi, sprechi rilevanti che potrebbero essere corretti. Però non può essere ridotto l’insieme, cioè eventuali recuperi dovrebbero restare in questa voce di bilancio. Torniamo al bilancio dell’anno: Michele Salvati ha lasciato la presidenza del Comitato scientifico dopo tre mandati. La collaborazione con Michele, in questi anni, è stata una bella esperienza per me personalmente e per il Collegio. Il professor Salvati è un uomo di grande qualità come lo è Salvatore Carrubba, che ha preso il suo posto nel Comitato, come lo era il compianto Guido Martinotti, che l’aveva preceduto. Che tipo di uomo e di intellettuale è Salvati? Un forte intellettuale, con un forte interesse politico e che ha una grande simpatia per il

mondo giovanile, cioè è ricco di umanità. L’ho conosciuto sui banchi del Parlamento, lui deputato dei Ds io della Margherita. Abbiamo fatto battaglie insieme, pur avendo formazioni diverse, lui marxista io cattolica, ma i valori che ci hanno unito ci hanno permesso di superare ogni divergenza. Salvati ci ha aiutato, di volta in volta, a fare scelte giuste e importanti. Essendo diventato presidente de Il Mulino, lui che è anche docente universitario ed editorialista apprezzato, non aveva più tempo a disposizione. Nel Pantheon del Collegio, lui c’è già.

E a Salvatore Carrubba, che ne ha raccolto l’eredità, cosa augura? Era ed è espressione del liberalismo italiano di cui incarna i valori. Ho iniziato a collaborare con lui quando ero presidente del Sole 24 Ore e lo nominai direttore del quotidiano dopo Gianni Locatelli e abbiamo lavorato molto bene insieme, con grande stima da parte mia. Di nuovo, come Salvati, unisce l’interesse di alto profilo, di giornalista in questo caso, all’interesse politico che ha dimostrato facendo l’assessore alla Cultura a Milano, con la prima giunta di Gabriele Albertini, ed essendosi sempre occupato anche di politica con grande equilibrio e con grande chiarezza di comportamento. Era già membro del Comitato scientifico e la sua presidenza sarà certamente motivo di prestigio per il Collegio. È significativo che questo luogo sia spesso l’incrocio di culture diverse? C’è un imprinting in questo senso? Credo che questo sia vero. È fondamentale nella scelta degli uomini e fondamentale nella collaborazione. Sono i valori di riferimento importanti che soggiacciono alle stesse formazioni culturali. Oggi una persona intellettualmente rigorosa, rispettosa della democrazia e della libertà, attenta agli altri, cioè attenta al problema della convivenza e della solidarietà, ha valori che possono essere coniugati, cioè tradotti in azione politica ed educativa diversa, ma largamente prevalenti. Qui però nessuno ha una cultura frazionistica, cioè di contrapposizione, di parte, che in politica è così diffusa. Questa è una ricchezza importante per il Collegio, che rispecchia anche la diversità del corpo studentesco stesso.

Qui nessuno ha una cultura frazionistica, di contrapposizione, di parte, che in politica è così diffusa. Dove vorrebbe vedere il Collegio fra un po’ di tempo? Da una parte che il Collegio mantenga sempre questo livello di qualità ma diventando più incidente nella realtà cittadina, universitaria e non. Lo stiamo facendo, con uno sforzo notevole: stiamo per iniziare un ampliamento per ulteriori 55 posti, senza tradire la finalità del Collegio, senza tradire la propria missione statutaria, cioè senza impoverire la qualità. L’altro obiettivo: arrivare a una normalità di gestione economica che non ci obblighi a una ricerca di risorse spasmodica. Una grande ricchezza, perché il fatto che il Collegio stia in piedi, con l’aiuto dello Stato, con le rette degli studenti e con il forte contributo di molte aziende che sottoscrivono borse di studio. Ma questo costa fatica, non lo nego. E poi ho un altro desiderio... Quale? Il consolidamento dell’Associazione Alumni, ancora un po’ precaria. Ci sono ragioni oggettive: per fortuna i nostri allievi trovano lavoro molto presto e anche fuori dall’Italia, sono quindi molto impegnati, hanno poco tempo a disposizione. Ormai però sono già molti quelli che sono usciti e quindi ci auguriamo che l’Associazione possa valersi del contributo di più persone.

Giancarlo Lombardi Milanese, classe 1937, laureato in Ingegneria elettronica al Politecnico di Milano nel 1960, Giancarlo Lombardi ha attraversato da protagonista un pezzo di storia del nostro Paese e non solo. Anzi, la sua formazione umana comincia forse nell’anno, successivo alla laurea, che trascorrerà in Ciad in una Missione cattolica potendo collaborare anche con Albert Schweitzer. Dopo aver lavorato alla Olivetti General Electric nell’ambito del calcolo elettronico, è passato alla Filatura di Grignasco, azienda che il padre, manager, aveva rilevato. Azienda che ha condotto da presidente e amministratore delegato. Un impegno, quello imprenditoriale, alternato a quello associativo industriale che l’ha portato a essere responsabile di Confindustria Education, presidente di Federtessile, del ll Sole 24 Ore, vice Presidente del Banco Lariano, e consigliere di Bocconi, Cattolica, Luiss e recentemente della Statale di Milano. Terzo grande impegno di Lombardi, cui non è mai venuto meno neppure quando gli altri due si facevano pressanti, è sempre stato quello sociale e per i giovani nell’Associazione guide e scout cattolici italiani-Agesci, che ha presieduto dal 1976 al 1982. Un impegno che in qualche modo l’ha condotto, dal 1995 al 1996, a essere ministro della Pubblica Istruzione e, dall’aprile 1996 al maggio 2003, deputato. Oggi, oltre alla presidenza della Fondazione Collegio delle università milanesi, è consigliere di amministrazione di varie società, fra cui il Touring Club. Cavaliere del Lavoro, Lombardi è stato insignito anche del titolo di Cavaliere di Gran Croce al merito della Repubblica.


7.VERSIONE OK.Semestre 1-13:Semestre1-A3/AA

21-02-2013

18:05

Pagina 3

semestre

3

segue da pag 1

Enrico Tommaso Cucchiani

TESTIMONIANZE/1 Enrico Cucchiani

E consigliere delegato e Chief Executive Officer di Intesa Sanpaolo, il primo player del mercato italiano e tra le più grandi banche a livello europeo. Precedentemente è stato membro del Consiglio di Gestione di Allianz SE. Attualmente è membro del Comitato Esecutivo e dell’International Advisory Council dell’Università Bocconi; nell’Advisory Council della Graduate Business School dell’Università di Stanford. È membro del Comitato Esecutivo della Trilateral Commission e dell’Aspen Institute Italia. Dopo il dottorato in economia con lode all’Università Bocconi di Milano, ha conseguito l’MBA a Stanford, dove si è distinto come Fulbright Fellow e ha svolto attività di ricerca presso l’Università di Harvard.

Un giorno ho fatto l’autostop e sono andato a visitare Berkeley. Ho avuto un passaggio da un furgoncino in cui c’erano quattro hippies e un cane e mentre mi davano il passaggio ridevano come dei pazzi perché, dicevano, la mattina avevano dato una zolletta di Lsd al cane. Ero un giovane bravo ragazzo milanese ed ero un po’ preoccupato. Poi ho visitato l’università di Berkeley e, il giorno dopo, sono andato a Stanford. Quando sono entrato nel vialone che porta all’università, Palm Drive, sono rimasto colpito dalla bellezza del luogo: le colline dietro, le palme, il parco, e quando ho imboccato quel viale in quel momento ho deciso che avrei studiato lì. Non sapevo cosa fossero i ranking, secondo i quali Stanford era in testa, ero andato lì per curiosità. Quando poi si trattò di far domanda per andare alla business school, presentai l’application a quattro università: Harvard, Wharton, Columbia e Stanford. Mi rispose Harvard. E quella fu un’altra esperienza straordinaria. Dopo di che feci un’esperienza di lavoro: prima in una multinazionale americana, una farmaceutica, poi lavorai in banca negli USA, poi tornai in Italia perché mi ero detto che se non rientravo dopo tre anni non l’avrei fatto più e perché, come italiano e come europeo, ritenevo d’aver acquisito un vantaggio competitivo. Iniziò la mia carriera in McKinsey e, in seguito, feci varie cose: il capo di una multinazionale del lusso, del private equity per conto mio, per entrare poi in assicurazione, la filiale italiana di Allianz. Lo feci per una ragione molto semplice, era una cosa che non avevo mai fatto. L’assicurazione è un mondo piuttosto chiuso e io non ne sapevo assolutamente niente. E furono talmente “folli” da assumermi come direttore generale con una serie di responsabilità nell’area tecnica-assicurativa in cui quindi viene richiesta una conoscenza specifica nel commerciale e nella gestione operativa. Dopo un anno e mezzo divenni amministratore delegato e poi anche presidente. Quella compagnia, anno dopo anno, ha migliorato la performance, arrivò ad averne una del 20-30% superiore alle altre concorrenti d’Europa e divenne la società più performante all’interno del gruppo a dell’intero mercato assicurativo europeo. Dopo di che Allianz mi chiamò in Germania, per guidare il primo vero programma di trasformazione di questo gruppo mondiale. L’anno successivo, entrai nel consiglio degli amministratori delegati che hanno le responsabilità del gruppo. Ora vado fast forward all’anno scorso. Un anno fa, di questi tempi nacque il governo Monti e l’amministratore delegato di Intesa San Paolo, Corrado Passera, fu chiamato a fare parte del governo. Questa cosa successe di mercoledì, mentre stavo tornando da Monaco. Quando atterrai mi trovai nella segreteria telefonica la chiamata da Intesa Sanpaolo. Andai all’incontro, suggerii una serie di persone che potevano prendere il posto dell’ex-ceo e mi dis-

sero: “Guardi, noi vogliamo che sia lei”. Risposi che non era fa,cile perché stavo facendo un altro mestiere, ero all’estero, avevo un impegno morale a rimanere almeno due anni, non mi ero mai occupato di banca. Per farla breve, sono andato lì. La mia storia, tutto quello che avevo fatto, aveva sempre migliorato la performance di tutte le aziende in modo significativo. Le avevo portate sempre ad essere le best in class, best performer nei loro mercati. Ed è quello che sto cercando di fare anche adesso. C’è chi è ossessionato con le procedure e la pianificazione della carriera. In Germania, per esempio, è una convinzione diffusa. Come se la vita fosse pianificabile. Ma non lo è. Ci sono tali e tanti eventi! Se uno matematicamente cerca di modellizzare la sua vita, capisce che nulla è pianificabile. La vita è unpredictable. Non ci sono procedure. L’unico consiglio che mi sento di poter dare è che bisogna fare molto bene quello che si fa. Secondo voi Pietro Scott Jovane (amministratore delegato di Rcs, ndr) stava pianificando di andare in Rcs? Ve lo dico io: no. Il fatto di pianificare le cose implica un aspetto positivo, perché si sviluppa l’attenzione, la determinazione, il livello di ambizione, però bisogna essere consapevoli che le cose nella vita vanno in altri modi. Si pensi a quante variabili interagiscono. La probabilità che il risultato sia quello a cui si ispira a priori è inesistente. L’importante è “programmarsi dentro”, ovvero fortificarsi dentro. Ciò che deve essere incrollabile è la motivazione a migliorarsi, a superare se stessi. Le persone non si rendono conto delle loro potenzialità. Anche fisiche, intendo. Fare molto bene vuol dire essere eccellenti, outstanding, avere qualche cosa che ci differenzia in modo unico, sia che si studi, sia che si lavori. La cosa importante è eccedere le aspettative di chi ti osserva, avere l’iniziativa, il drive che ti punta a cercare l’eccellenza. L’energia ce l’abbiamo tutti. La cosa vera è che si deve scoprire la motivazione. Dopo di che se uno ha questo tipo di atteggiamento le opportunità capitano, ma non con la sincronia con cui uno si aspetta; quando ti arrivano, devi saperle cogliere. Quelli che in azienda sono ossessionati dalla mossa successiva sono quelli che magari per un po’ vanno anche bene perché ci hanno pensato talmente tanto che tre passi in fila riescono a farli, ma prima o poi si fermano. Perché? Perché consumano le loro energie a pensare al prossimo lavoro. Il segreto della vita è sempre quello di essere concentrati su quello che ti succede adesso. Faccio un esempio sportivo. Sono appassionato di basket. Un modo di leggere questo sport è la statistica: quanti rimbalzi, quanti canestri, le percentuali di tiro, le palle perse e così via. Allora voi pensate ai professionisti della Nba. Immaginate di essere un giocatore che è in scadenza di contratto. Quando sei lì, che hai la palla in mano, è facile essere presi dall’ansia e dire: se la butto dentro segno e aumento la mia media partita, la mia percentuale di tiro e faccio vincere la squadra. Se va fuori

succede esattamente il contrario. Allora, quando uno è preso dall’ansia aumenta la probabilità che la palla, invece di entrare nel canestro, vada sull’anello o fuori. Bene, il giocatore vincente è quello che, quando ha la palla in mano, guarda che cosa c’è, se c’è un compagno libero passa al compagno libero, se invece è libero lui, si concentra sul canestro e pensa solo a quello. Quando si è lì, bisogna essere concentrati su una cosa sola, buttarla dentro, essere presenti in quel momento. Se uno è la sommatoria di una serie di “concentrazioni assolute” in quello che succede in quel momento, riesce ad avere una performance migliore e nel frattempo riesce anche a fare altre cose che sono diverse e non programmabili. Se io penso a me, sono andato a lavorare nel settore dei beni di lusso e avevo una formazione che era l’esatto contrario, non sapevo assolutamente niente. Sono andato a lavorare in assicurazione e non avevo mai visto una polizza e dopo pochi anni divenni l’esperto – ero considerato l’esperto – ma non perché sapessi più degli altri, mi ero fatto questa reputazione perché ero più performante e le mie organizzazioni erano le più performanti. In banca, più o meno, succede la stessa cosa. Una grossa parte dello sforzo di crescere è quello di crescere dentro, di acquisire la serenità interiore e di fare in modo che tutte le energie siano disponibili per quello che devi fare. Come lo yoga e la meditazione. Svuotare la testa perché, più la svuoti e più sei in grado di essere concentrato, di riempirla e di essere performante. Le decisioni più importanti non le prendiamo noi. Dove nasciamo, da quale famiglia, con quale intelligenza, in quale Paese, con quali doti complementari rispetto all’intelligenza, queste sono tutte cose che non sono merito nostro. Essere fortunato non vuol dire nascere ricco. Ho perso mio padre a 18 anni, ero povero in canna. Avevo un piccolo gruzzoletto, che mi era stato dato in azioni. I miei studi me li sono finanziati con borse di studio. Fortunato vuol dire nascere con quello che ti serve potenzialmente per aver successo, poi sta a te farlo. Se hai questa fortuna, devi essere consapevole di essere in debito con la società, devi assicurarti di ritornare una parte di questa fortuna ai tuoi consimili, ed è questo che spinge me ad impegnarmi in alcune cose per esempio nell’education, nella corporate social responsibility. Nelle aziende che ho gestito, ho sempre dato quasi il 100% in borse di studio, in sostegno ai giovani. La cosa migliore è investire sui giovani, sul futuro di un Paese, sul futuro di una generazione. La mia generazione è stata di un egoismo spaventoso: ha creato un grossissimo debito pubblico, ha consumato una quantità di risorse, di energie impensabile e così via. Se magari ci ricordiamo che, invece di cercar di prendere e di consumare, possiamo dare anche qualche cosa e costruire per il futuro aiutando i nostri giovani, credo che sia una cosa positiva. Posso chiedervi, chi è un leader? Descrivetemi le

sue qualità. Secondo voi leader si nasce o si diventa? Che differenza tra c’è tra leader e manager? Chi pensa di essere un leader? La miglior definizione che abbia sentito sul manager rispetto a quella di leader l’ho sentita da Shimon Perez: “Un manager è una persona che gestisce qualcosa che esiste. Un leader è chi costruisce il futuro superando ostacoli e resistenza al cambiamento”. In qualsiasi organizzazione c’è un manager. Per definizione in ogni organizzazione che deve gestire quello che c’è, quello che deve firmare, c’è sempre. I leader sono pochi. Non tutte le organizzazioni ne hanno uno. Non basta essere capo di un’azienda, che si chiami amministratore delegato, direttore generale, per essere leader. E leader non si nasce. La leadership non può essere insegnata ma tutti possono impararla. La dote più essenziale per crescere come leader è la capacità di introspezione, guardare dentro se stessi, scoprirsi dentro, scoprire i propri fantasmi le proprie ansie. Il giocatore di basket, quando tira, magari in allenamento, è bravissimo: gli vanno dentro tutte. In partita magari non riesce, perché, come accennavo prima, ha il fantasma della statistica e quindi del giudizio. Guardarsi dentro non è un esercizio facile. Ci riescono meglio le persone che sono vicine a noi, come i famigliari, gli amici, i colleghi. Se voi chiedete, in facoltà o al lavoro, molto spesso scoprirete che la loro percezione di voi stessi è molto diversa da quella che voi avete. La leadership è una cosa che si acquisisce con l’esperienza. Sapete perché i comandanti di Boeing 747 o di Airbus 380 non sono dei giovani con i riflessi pronti? Spesso hanno gli occhiali e hanno una certa età, perché devono avere 30-40 mila ore di volo. Hanno esperienza, hanno visto tante situazioni. Esperienza deriva dal latino ex periculo. Fino quando uno non ha maturato l’esperienza del pericolo, non può essere un leader e questo è fondamentale. La leadership è una cosa strana. Se uno diventa bravo a tennis, negli anni ci sarà un decadimento, i riflessi non saranno più pronti, i muscoli meno rispondenti, il fiato si farà corto, e così via. Però la tecnica no, la tecnica rimane dentro. Invece il leader, nel momento in cui perde la capacità dell’introspezione, la capacità di ascoltare gli altri, la capacità di cogliere i segnali deboli, è allora che rischia di commettere gli errori più gravi. Dunque la leadership è una cosa che si può imparare ma che richiede un apprendimento continuo. L’applicazione della medesima determinazione a guardare dentro se stessi, a cercare di capire in che cosa si sbaglia. Sino alla fine. Potrei definire la mia attività professionale ma anche la mia passione come gestione del cambiamento e ossessione per la performance. “Gestione del cambiamento” vuol dire che uno ha la convinzione che tutto possa essere migliorabile. Sono convinto che in qualsiasi azienda al mondo, anche nella più performante, segue a pag 12


7.VERSIONE OK.Semestre 1-13:Semestre1-A3/AA

21-02-2013

18:05

Pagina 4

4

semestre

segue da pag 1

Carlo D’Asaro Biondo

TESTIMONIANZE/2 Un top manager italiano a Google. Il mondo visto da Mountain View

Romano, classe 1965, Carlo D’Asaro Biondo, è presidente Seemea (Europa meridionale e orientale, Medio Oriente e Africa) di Google. Dopo una laurea in Economia alla Sapienza di Roma, è entrato nel mondo della revisione e della consulenza in Kpmg Francia, passando poi Unisys e in American On Line, sempre Oltralpe, seguendone lo sviluppo. Passato quindi, nel 2007, alla casa editrice Lagardere come Ceo for International Operations, due anni più tardi era in Google.

Lui, Carlo D’Asaro Biondo, 49 anni, romano, una laurea in Economia presa alla Sapienza, s’è presentato in via S.Vigilio 10, mercoledì 21 novembre, nel più perfetto understatement, vestendo abiti comodi, con un approccio del tutto informale, chiedendo che gli alunni gli dessero del tu. Accompagnato dalla moglie, una bella signora bionda, francese. Ne è scaturita una testimonianza appassionata, col mega-dirigente che non s’è sottratto a nessuna domanda, neppure a quelle scomode, sui dossier del momento, dal fisco al diritto d’autore, per le quali ha chiesto riservatezza all’uditorio. Prima, raccontando la sua carriera in Francia, nella grande consulenza di Kpmg, poi in American on line, in Unisys, quindi, dopo un breve passaggio al mondo editoriale di Lagardere, l’ingresso nella compagnia dal marchio variopinto. Ed è nel mondo Google che ha accompagnato chi lo ascoltava. A cominciare dalla grande divisione strutturale della compagnia, fra “quel 50% dell’azienda costituito da ingegneri che dei soldi, dei ricavi cioè, se ne fregano”. Si tratta, di chi deve sviluppare prodotti che siano usati dagli utenti finali “e la cosa su cui ognuno di loro viene valutato è se il suo prodotto viene usato”. Complessivamente, ha spiegato D’Asaro Biondo, “a fronte di 40 miliardi di dollari ricavati, 15 sono investiti nello sviluppo”. L’altro 50% di chi lavora in Google è composto da persone, che vanno a cercare ricavi, a fare partnership, o gestiscono il marketing: “Fanno cioè quello che può servire affinché questi prodotti vengano utilizzati e adottati”, ha detto, chiarendo che clienti sono le imprese

perché da noi, quando vai a trovare un cliente che ti parla del suo desiderio di vendere un prodotto, gli devi cercare il mercato, gli devi definire un approccio, gli serve cioè gente che abbia competenza nella consulenza

“che con noi possono fare pubblicità e tante altre cose e il nostro mestiere è rendere il web utile per loro”. Quindi si è trattato di focalizzare invece il proprio lavoro, la descrizione è divenuta articolata. “È diviso in più parti”, ha detto, “la prima è vendere la pubblicità, e si capisce da sola. La seconda è gestire le persone, perché da noi, quando vai a trovare un cliente che ti parla del suo desiderio di vendere un prodotto, gli devi cercare il mercato, gli devi definire un approccio, gli serve cioè gente che abbia competenza nella consulenza”. Perché un cliente può chiedere d’essere aiutato a gestire il marchio e a presentarlo; “quindi lì è un lavoro più tradizionale di branding”. La terza parte, ha proseguito il manager, “è rappresentare l’azienda: andare in giro a parlare con i Governi, con la stampa e, in generale, con chi è interessato a questo ecosistema e alle conseguenze che crea”. La quarta, “è definire una strategia”. Il passaggio appunto alla strategia di business della casa californiana è stato breve. Con uno sguardo al passato: “Quando Google ha cominciato”, ha esordito D’Asaro Biondo, “non sapeva fare i soldi”. E la cosa non preoccupava neppure troppo i due dottorandi di Stanford: “Si partiva da un principio: se si crea un prodotto che è in mano a tantissime persone, prima o poi, un modo per far soldi si troverà”, ha confermato. Ragionamento “bellissimo ma anche molto rischioso”, considerando che parecchie aziende che hanno avuto la stessa intuizione poi non hanno trovato come fare i soldi. Finché un giorno l’idea “si è accesa”, a Eric Schmidt, il Ceo chiamato dai fondatori e agli stessi Brin e Page: “Vendere le parole”. E da allora, a Mountain View fanno soldi “in questo modo, per tutte le parole che potete immaginare, in tutti i Paesi del mondo, per ogni settore”. Con meccanismi di remunerazione equi, ha spiegato, in grado di non uccidere il mercato e salvaguardando la clientela visto che chi fa pubblicità scorrette o infedeli viene penalizzato ed escluso. Ricavi, ha spiegato D’Asaro Biondo, arrivano poi dalle gestione dell’inventory cioè le pubblicità di siti web “per la quale abbiamo creato piattaforme tecnologiche per vendere l’advertising”, con You Tube, e quindi sul settore della telefonia mobile, “dove non facciamo ricavi direttamente con Android, che forniamo gratis, ma guadagniamo sull’utilizzo dei nostri software sugli smartphone, quando c’è il nostro sistema operativo”. Per l’Europa, si opera dalla sede in Irlanda, che occupa quasi 3mila persone. “Molti sono ragazzi che escono dall’università, è una specie di Babele dove ci sono persone che vengono dal mondo intero e che poi lavorano, da lì, per ciascun Paese: 70 persone che lavorano per l’Italia, altre per la Francia, altre ancora per la Germania, ecc.”. Quanti stanno a Dublino, rispondono al telefono alle piccole medie imprese che cercano di comprare sulle nostre piattaforme, le aiutano, rispondono ai loro quesiti ma fanno anche le cosiddette outbound call, “cioè li possono anche chiamare”, ha spiegato il manager, “quando vedono che utilizzano i prodotti e si rendono conto che ci sono alcune situazioni per le quali, nell’interesse del cliente, è utile contattarlo”. In ciascun Paese ci sono strutture locali che servono le 200-300 più grandi aziende nazionali, andandone a trovare il management e aiutandolo a definire e a ottimizzare le campagne

pubblicitarie, rispondendo ai problemi i più diversi. “Vendere con queste formule”, ha ammesso D’Asaro Biondo, “ti permette di vendere ‘al risultato’. E quando a sera torni a casa, puoi dire di aver venduto qualcosa che è possibile quantificare”. Si tratta di una formula con cui Google è in grado di creare “una forte confluenza di interessi”, perché il cliente paga solo per quello che ha realmente utilizzato. “Il nostro interesse”, ha chiarito il Ceo d’Europa, “non è che quello compri molto oggi e poi smetta domani, ma che si trovi la formula per cui guadagna, in modo che tutti i giorni continui a comprare”. Una situazione che, ha spiegato il dirigente, ha determinato una situazione particolare: “Oggi una piccola media impresa, anche di 15 persone, può vendere all’estero, con un sito web, usando questo tipo di cose e competere qualche volta anche con grandissime aziende”. Insomma, con Google si afferma la democrazia dell’intrapresa. “Grazie a Google”, ha rivendicato D’Asaro Biondo, “non è più la dimensione sola a contare, per crescere e svilupparsi. Molte cose che erano a costo fisso, come creare uffici, organizzare forza vendita, oggi diventano a costo variabile, vale a dire io, imprenditore, compro quello che mi serve”. E a costo variabile diventa anche la tecnologia, con il cloud computing. Un principio che valeva solo per il marketing, quelli di Mountain View, cioè di Dublino, lo stanno esportando. “È la cultura di Google”, dice il manager abbandonando più volte il divano della caffetteria, sede tradizionale delle Testimonianze, per combattere il mal di schiena. Dettaglio anche questo un po’ in stile Google, in quanto luogo di lavoro descritto come “agerarchico”, libero e creativo. Fama questa che ha spinto inevitabilmente molti alunni a chiedere lumi. E il Ceo non ha certo glissato, ma ha voluto separare il vero dal leggendario. “Da noi si crea pressione positiva”, ha detto, “per il fatto che le persone, in azienda, stanno bene, e attraverso una gerarchia molto diretta, che consenta di andare avanti, piuttosto che con il terrore”. Un approccio costituito da una serie di sentimenti positivi, che portano le persone “a lavorare per rispetto dell’azienda, per soddisfazione, per amore di quello che fai o anche, per esempio, per il fatto che da noi si mangi gratis”. Quanto alla gerarchia, comunque, non è vero che a Google non ci sia ma, ha spiegato D’Asaro Biondo, “le decisioni vengono prese sempre di più sulla base di informazione e di dati maneggiati dai giovani, cioè da chi è sulle campagne, sul lavoro, ecc”. Ovvero conta l’operatività e la conoscenza diretta dei problemi più che l’autorità. “Quando va presa una decisione su una proposta da fare a qualche cliente, magari sullo sviluppo di un nuovo prodotto, molto spesso sono i giovani a fare le analisi migliori, siano essi ingegneri o commerciali. E chi è nella posizione di dover prendere decisioni tiene conto di tutto ciò. Non siamo gerarchici nel senso”, ha proseguito, “che le decisioni cercano di essere spostate sempre di più vicino al territorio”. Non è leggenda, invece, l’informalità che domina tutto: vero che non si va in giro in giacca e cravatta, vero che ci si veste un po’ liberamente, vero che c’è una certa atmosfera. “Però devo essere onesto”, ha aggiunto, “da noi se il nostro capo mondiale prende una direzione, se si è deciso che si fa questo e non

Quando va presa una decisione su una proposta da fare a qualche cliente, molto spesso sono i giovani a fare le analisi migliori quello, siamo più rigorosi dell’esercito svizzero, si va avanti per quella strada in modo molto chiaro”. E non è mito neppure che ad ingegneri e sviluppatori venga lasciata la libertà di gestirsi il 20% del loro proprio tempo di lavoro su progetti liberamente scelti. “Da questa modalità sono nate molte applicazioni, da Gmail ad Android”, ha enumerato D’Asaro Biondo. Così è nato il potentissimo Google Maps, sistema di cartografia, topografia, geolocalizzazione: “Quando è uscito nessuno aveva capito che poteva far soldi e ora è una fonte di ricavi spaventosa”. Un dialogo senza filtri quello del manager. Anche se quando ha detto che la mamma del motore di ricerca non sa cosa farà tra tre anni, qualcuno in sala ho sorriso come dinnanzi a un ordine di scuderia: “La gente ci guarda”, ha confermato lui, leggendo lo sconcerto nei volti di qualche interlocutore, “pensano che raccontiamo balle. Ma è così: n-o-n l-o s-a-pp-i-a-m-o”, ha scandito. Rilanciando subito: “Andate a trovare Mark Zukerberg (il fondatore di Facebook, ndr), chiedetegli se lui pensava di creare il social network che ha creato oggi. Non credo”. Per poi spiegare che “certo gli ingegneri hanno alcune idee che stanno sviluppando ma non sanno quale funzionerà. Perché nel mondo della tecnologia, e questa è una grande lezione che ho imparato, bisogna sempre essere pronti a reagire sulla base di quello che si vede con i clienti”. E la famosa macchina che si guida da sola fa parte di quella sperimentazione, ha ammesso. Accommiatandosi, questo romano dall’aria simpatica e dai modi diretti, che dopo tanti anni di Francia, infila inevitabilmente qualche francesismo o italianizza qualche “mot français”, ha regalato a chi lo ha ascoltato la sue personale filosofia di vita che chiama “delle ventiquattro monete”, quante sono le ore della giornata. “Le ventiquattro monete le devi spendere bene”, ha spiegato all’uditorio, “se lo fai solo per lavorare, a lungo termine non ce la fai. È necessario trovare gli equilibri attraverso i quali uno si gestisce la sua giornata, le proprie cose”. E oggi, in Google, l'equilibrio “tra monete spese a soffrire e monete spese a far cose che mi soddisfano è positivo”.


7.VERSIONE OK.Semestre 1-13:Semestre1-A3/AA

21-02-2013

18:05

Pagina 5

semestre

5

INAUGURAZIONE/1 De Benedetti, studenti ora mettetevi in gioco

enerazione perduta?” era un titolo che a Carlo De Benedetti, industriale, finanziere, editore, era piaciuto da subito quando Giancarlo Lombardi, Presidente del Collegio, glielo aveva proposto per la sua prolusione all’inaugurazione dell’anno accademico. Innanzitutto perché, quando l’idea era arrivata, l’editore stava ultimando la revisione del suo Mettersi in gioco (Einaudi), che era proprio idealmente rivolto ai giovani di questo Paese. Il presidente della Cir, l’Ingegnere secondo le cronache politiche ed economiche degli ultimi 40 anni, intervenendo sabato 6 ottobre alla cerimonia dell’anno del Collegio è infatti riandato spesso ai molti aspetti biografici contenuti in quel lavoro, parlando agli studenti ma anche ai molti presenti, c’erano gli assessori milanesi Bruno Tabacci e Cristina Tajani, c’era la moglie del sindaco Giuliano Pisapia, Cinzia Sasso, agli alumni, e molti docenti e rappresentati dei soci. Un racconto che poi si è sviluppato, senza ritrosie e senza infingimenti quando la parola è andata agli studenti, che hanno incalzato De Benedetti su tanti temi, anche legati al suo passato di industriale, toccando la politica e il tema spinoso delle primarie di coalizione di centrosinistra che si sarebbero disputate in capo a due mesi e la cui campagna era da poco cominciata. Partendo dalla crisi, violenta, che attanaglia questo Paese come buona parte del mondo, che l’Ingegnere ha assicurato, nel corso del suo intervento, continuare anche per il 2013. “Ridicolo parlare di ripresa per l’anno prossimo”, ha detto a un collegiale, “stimo che avremo un Pil negativo del 3%”. Per poi spiegare come l’avvento della globalizzazione, negli ultimi tre decenni, abbia cambiato profondamente il quadro. “Lo shift verso Oriente, per i minori costi della manodopera era evidente”, ha detto a uno studente che lo interrogava sulla epopea di Omnitel, compagnia telefonica italiana, creata da De Benedetti, ma poi ceduta a Vodafone, e in particolare la separazione da Olivetti, cioè dividere i cellulari dai pc, che a Ivrea, erano stati tra i primi a produrre. “Me ne resi conto nel ‘93”, ha raccontato, “fummo la prima azienda europea a lanciare i pc e la prima a uscirne. Nessun concorrente continentale di allora è sopravvissuto: da Bull a

“G

INAUGURAZIONE/2 Blanco: entro il 2013 la prima pietra della nuova ala da 55 posti

fummo la U prima azienda europea a lanciare i pc e la prima a uscirne. Nessun concorrente continentale di allora è sopravvissuto: da Bull a Nixdorf a Siemens.

n nuovo edificio da 55 camere singole per il Collegio di Milano: ospiterà altrettanti studenti eccellenti e richiederà complessivi 4 milioni di investimento.

Nixdorf a Siemens. E poi anche gli americani di Ibm avrebbero fatto lo stesso con i cinesi di Lenovo”. Quella storia aziendale, che fu “in soli cinque anni, la maggior creazione di valore nel dopoguerra” era segnata. Anche se, ha detto rabbiosamente, l’Ingegnere, “Olivetti era sanissima quando è stata venduta, malgrado ci sia ancora in giro qualche fascista che va a dire il contrario”. Semmai i problemi arrivarono quando, Roberto Colaninno, “amico e collaboratore”, cui l’aveva ceduta, volle usarla per scalare Telecom malgrado lui, l’Ingegnere, avesse “dato un parere negativo”. Mossa, ha detto De Benedetti, che “era stata l’inizio della distruzione di Telecom”, ragion per cui “parlare di fallimento dell’Olivetti è parlare di una cosa fuori dalla realtà”.

Lo ha annunciato Stefano Blanco, Direttore Generale, il 6 ottobre scorso, durante la cerimonia di inaugurazione dell’anno accademico del collegio di merito. Malgrado la crisi il Collegio di Milano accelera sulla strada dell’internazionalizzazione, del merito e dell’eccellenza, fedele al proprio mandato statutario. “La congiuntura ci spinge a essere sempre più efficienti ma senza arretrare sulla nostra missione formativa” ha spiegato Blanco, che ha ricordato anche la difficile situazione dei pagamenti ministeriali, “che ormai procedono a 365 giorni”. Il cantiere dell’ampliamento vedrà la posa della prima pietra nel corso del 2013 e la costruzione si innesterà all’edificio attuale disegnato da Marco Zanuso, secondo il progetto dello studio milanese PiùArch, vincitore di un concorso di idee. La nuova ala del Collegio, finanziata in gran parte dal Ministero dell’Università e dalla stessa Fondazione Collegio delle università milanesi, sarà ultimata entro il 2015, e costruita con i più moderni criteri di ecosostenibilità (“impatto zero”) e con soluzioni tecnologicamente avanzate. La Fondazione conferma il suo ruolo di supporto alla città universitaria milanese: oltre agli attuali 120 posti della struttura di S.Vigilio, da due anni ha aperto i battenti il primo Expo College, nel quartiere milanese di Baggio, che ospita 70 studenti e ricercatori stranieri, mentre altri edifici seguiranno, con l’obiettivo di realizzare, per il 2015, una rete di strutture che possa accogliere 500 fra studenti e giovani attirati a Milano per l’Esposizione universale. Blanco ha anche ricordato l’impegno della Fondazione per rafforzare il Programma culturale, per il quale si prevede la concessione di crediti formativi universitari: “Le convenzioni sono state approntate e sono in corso di sottoscrizione da parte di tutti gli atenei milanesi”.

FONDAZIONE Comitato scientifico: Carrubba succede a Salvati per la presidenza

iornalista, scrittore, attuale presidente dell’Accademia di Brera, Salvatore Carrubba è stato nominato Presidente del Comitato Scientifico il 20 settembre scorso. A farlo sono stati, unanimemente, i nuovi membri dell’organismo insediatosi per il triennio 2012-2014 nella stessa giornata. Catanese, classe 1951, già direttore del Il Sole 24 Ore, della Fondazione Luigi Einaudi e assessore alla Cultura e Musei del Comune di Milano, Carrubba prende il posto di Michele Salvati che era in carica dal 2005.

G

“Saluto con grande piacere la nomina di Salvatore Carrubba”, ha detto Giancarlo Lombardi, Presidente della Fondazione Collegio delle università milanesi, “e colgo questa occasione per ringraziare, con sentita amicizia, il professor Michele Salvati che, in questi anni, ha dato prestigio al nostro Collegio ed è stato per tutti maestro di impegno civile e di attenzione ai problemi dei giovani. La nostra gratitudine è sincera e profonda”. Del Comitato Scientifico fanno parte, indicati dai rettori dei rispettivi atenei, i professori Mario Anolli (Università Cattolica del S.Cuore), Maristella Botticini (Università Bocconi), Bruno Dente (Politecnico), Fabrizio Conca (Università Statale), Mario Negri (Iulm), Ruggero Pardi (Università San Raffaele) e Pietro Redondi (Università Milano Bicocca). Nominati dal Presidente Lombardi, fanno parte dell’organismo anche Rosellina Archinto, editore; Antonio Colombo , direttore generale di Assolombarda; Federico Montelli, dirigente di Camera di Commercio Milano e i docenti universitari Laura Boella (Università Statale), Fabio Corno (Università Milano Bicocca), Pippo Ranci Ortigosa (Università Cattolica del S.Cuore), Michele Salvati (Università Statale di Milano), Paolo Trivellato (Università Milano Bicocca). Completano il quadro il neopresidente Carrubba e il Direttore Generale della Fondazione, Stefano Blanco.


7.VERSIONE OK.Semestre 1-13:Semestre1-A3/AA

21-02-2013

18:05

Pagina 6

6

semestre

PROGRAMMA CULTURALE Dal Corno d’Africa al nostro Mezzogiorno passando per le meraviglie di Arduino

na lampada intelligente, capace di avvisare con un segnale a intermittenza se la luce della stanza sia scarsa e lo studio in quelle condizioni possa dare problemi di vista.

U

È uno dei progetti che gli studenti del Collegio hanno realizzato col laboratorio “How to be a maker”, ovvero come essere costruttori, in cui sono andati alla scoperta della tecnologia Arduino, un sistema di software aperto creato dall’italiano Massimo Banzi, per realizzare con sensori e altri micro controller qualsiasi tipo di macchina o applicazione.

Con pochi euro e un pc a disposizione si possono inventare piccole o grandi applicazioni di piccola o grande utilità. Con pochi euro e un pc a disposizione si possono inventare piccole o grandi applicazioni di piccola o grande utilità. È il caso di una scatola di caramelle che si apre sfiorandola appena, ma che si serra per alcune ore dopo troppi prelievi di dolciumi. O di un sistema che avvisa con un segnale luminoso se la temperatura della stanza è salita troppo e non è salubre studiare in quelle condizioni: dispositivo che i creatori hanno voluto chiamare, in omaggio a un noto spot tv di qualche anno fa, “Antoniofacccaldo”. Persino un sistema di sensori, applicato al più tipico calcio balilla, col quale si possano all’istante, e via mail, ricercare compagni per una scatenata partita.

I lavori sono stati presentati a tutta la comunità del Collegio nella serata finale del Programma Culturale 2012-2013, primo semestre, il 30 gennaio scorso. Ogni team ha mostrato un video esplicativo e spesso anche la costruzione. Curiosità: il papà di Arduino, Banzi appunto, che ora vive lavora a Lugano ma che era stato al Collegio per una lezione del laboratorio, ha rilanciato su Twitter, le foto e commenti che in diretta erano stati fatti nella serata delle presentazione. Nella stessa serata è stato presentato il project work realizzato da un altro team di alunni per la società energetica Edison, membro della Fondazione, che ha proposto agli studenti un progetto particolarmente ambizioso e “sfidante” nell’ottica della gestione consumi che il gruppo ha affrontato col piglio dei consulenti d’azienda navigati, ma con la passione tipica dei neofiti. Un progetto che, anche a detta di chi ne ha svolto il tutorato, è stato apprezzato dall’azienda committente a cui è stato presentato in una lunga e articolata esposizione. Workshop e laboratori si sono inseriti, come è tradizione, in un programma piuttosto articolato di corsi. Come il forum che ha focalizzato un teatro geopolitico forse oggi dimenticato ma che è stato al centro più volte di emergenze umanitarie gravissime e conflitti cruenti e poco noti. Stiamo parlando del Corno d’Africa, forum svolto interamente in inglese dal professor Uoldelul Chelati Dirar, docente di Relazioni internazionali all’Università di Macerata. Con Milano è un’opera d’arte, gli alunni hanno invece potuto guardare con un occhio diverso la città che lì ospita. Guidati da Marco Romano, emerito di Urbanistica dell’ateneo di Genova e noto esperto di Estetica della città. E si è trattato di uno sguardo vero: il forum ha infatti previsto sette itinerari all’interno dei quali sono stati osservati specifici “oggetti architettonico-urbanistici”: monumenti, palazzi, chiese, ma anche quartieri, edifici pubblici, vie e piazze, che sono stati occasione di approfondimento e, per alcuni di loro, di analisi dettagliate e visite sul posto. Il forum incentrato su La questione meridionale ha invece rappresentato l’occasione per immergersi in uno dei grandi temi sociali e politici che accompagnano questo Paese dalla sua unità. Con contributi storici, sociologici ed economico-politici di studiosi che hanno fatto della questione del nostro Mezzogiorno un oriz-

Il forum Corno d’Africa ha focalizzato un teatro geopolitico forse oggi dimenticato ma che è stato al centro più volte di emergenze umanitarie gravissime e conflitti cruenti e poco noti zonte per studi e ricerche, come, tra gli altri, Carlo Trigilia, dell’Università di Firenze, Guglielmo Wolleb, dell’ateneo di Parma e Michele Salvati, della Statale di Milano e membro del comitato scientifico del Collegio. L’area scientifica del Programma si è invece incentrata su due temi che presentavano anche forti caratteri di interdisciplinarietà. Il corso di Catastrofi naturali, previsione, prevenzione e percezione pubblica, tenuto da vulcanologi, geologi, oceanografi, analisti numerici ha offerto a quanti lo hanno frequentato uno sguardo di insieme sui grandi eventi naturali con cui la civiltà moderna deve continuare a fare i conti, cercando il più possibile di ridurne il drammatico impatto.

Si è andati dai terremoti e dalle loro origini, ai cambiamenti climatici o di dissesto idrogeoligico che sono legati ad altri fenomeni come frane e alluvioni. Non è mancato neppure un approfondimento di Comunicazione ambientale che ha permesso di focalizzare la percezione del rischio nella pubblica opinione e il ruolo dei mass-media in questo delicato terreno. Grande attualità anche per il corso Nanotecnologie, dove la classe ha potuto comprendere la portata di una società nanotecnologica come quella che si va creando. Lezioni che hanno affrontato l’azione di queste scienze e tecnologie dell’infinitamente piccolo sulla vita e l’organizzazione del quotidiano in molteplici settori: dalla medicina, alle biotecnologie, alle scienze dell’ambiente. Hanno completato il semestre, anche un business game sulle logiche del project management, il laboratorio di voce e ritmo tenuto dalla cantautrice Mila Trani, il corso di lingua inglese realizzato con il British Council e l’Orto urbano, esperienza di coltivazione biologica guidata, cui era stato dato inizio già nei semestri precedenti. Stavolta il collegiali-contadini hanno potuto raccogliere i frutti del proprio impegno bucolico: vari ortaggi che sono stati apprezzati da tutta la comunità dopo essere stati cucinata dalla mensa del Collegio.

Comunicazione ambientale che ha permesso di focalizzare la percezione del rischio nella pubblica opinione e il ruolo dei mass-media


7.VERSIONE OK.Semestre 1-13:Semestre1-A3/AA

21-02-2013

18:05

Pagina 7

semestre

7

OPEN LESSON/1 L’uscita di sicurezza del prof. Giulio. Tremonti racconta la crisi

è un’uscita di sicurezza per questa crisi? Il 5 giugno scorso gli studenti del Collegio se lo sono potuti chiedere assieme a un testimone di eccezione, Giulio Tremonti, già Ministro dell’Economia.

C’

Tremonti, professore all’Università di Pavia, presidente dell’Aspen Institute, che due anni prima aveva inaugurato l’anno accademico, è venuto a parlare di crisi partendo da una riflessione iniziata da tempo e che, pochi giorni prima, era divenuta un libro di Rizzoli, intitolato appunto Uscita di sicurezza. L’ex ministro ha dato vita a un intervento piuttosto appassionato, non privo di punte polemiche, senza poi sottrarsi alle domande degli studenti, gli unici titolati a farne, benché l’incontro fosse aperto al pubblico. “Possiamo resistere alla crisi grazie alla nostra industria manifatturiera e al nostro risparmio: solo che quando lo dicevo io ero un ottimista, ora che lo dice il professor Mario Monti, è oggettivo”, ha esordito Tremonti, per poi riprendere la critica serrata alla globalizzazione intrapresa già con La paura e la speranza, altro lavoro di due anni prima, sempre col medesimo editore. Un intervento iniziato proprio dall’obiezione che gli è stata rivolta a più riprese nell’ultimo periodo: e cioè perché non avesse lui, Tremonti, protagonista della vita politica degli ultimi tre lustri, fatto qualcosa per impedire gli effetti della crisi, avendone intuite le ragioni. “La stessa domanda potrebbe essere rivolta con lo stesso fondamento al presidente Barack Obama”, ha controdedotto, citando le lettere, i documenti, gli atti ufficiali in cui aveva messo nero su bianco i rischi e i pericoli di una crisi “largamente peggiore di quella del 1929”. Tremonti d’altra parte, già nel 2006, cioè due anni prima dello scoppio della bolla dei mutui americani, dalle colonne del Corsera, aveva fotografato esattamente cosa stava abbattendosi. Così come, nei giorni in cui Lehman Brothers saltava, scriveva a Christine Lagarde, ministro europeo delle finanze di turno, una ricetta sintetica che prevedeva una via d’uscita rapida anche se non certo indolore: riscrittura delle regole finanziarie e contabili, uscita dalle borse dei titoli bancari per strapparli alle oscilla-

TESTIMONIANZE/3 Michel, io viceministro e l’equità possibile

zioni, pool di fondi ovvero Eurobond, e attacco deciso della speculazione. E della necessità di “bloccare la finanza derivata”, ha riparlato anche rispondendo agli studenti del Collegio, aiutandosi con grafici che documentano, fra la metà degli anni ‘80 e dei ‘10 del nuovo millennio, la crescita tumultuosa dei titoli derivati. Un Tremonti che si è scagliato sulla tempistica scellerata, secondo i furori, ha detto, “di un’ideologia mercatista”. “Dagli accordi Gatt nel 1984”, ha ricordato, “alla nascita dell’Organizzazione mondiale del commercio, nel 1995, all’entrata della Cina, nel 2001, e poi degli altri Paesi asiatici, passano pochissimi anni”. E sulle domande degli studenti, è venuto fuori il Tremonti più polemico. “Lo sviluppo non si fa per decreto”, ha detto con riferimento alla situazione italiana mentre, sollecitato, sul Mezzogiorno ha spiegato che “l’Italia è un Paese duale, ciò che si può fare al Nord non va bene per il Sud”, aggiungendo che, per quest’ultimo, “ci vuole più Stato” come, per esempio, finirla con “le opere a gara, che diventano preda della burocrazia infinita o della malavita e operare direttamente, come si faceva con l’Iri”, e dove rilancerebbe la sua Banca del Mezzogiorno. Guardando al futuro del Paese, Tremonti ha segnalato un problema di “struttura giuridica, che rende impossibile ogni cosa”, ricordando d’aver predisposto la proposta di modifica costituzionale che “permetteva tutto ciò che non fosse espressamente vietato”. L’Italia è ingessata, ha detto facendo esempi desunti dalle cronache: dall’Ikea, venuta a produrre in Veneto, cui non si permette di aprire un superstore a Treviso, alla British Petroleum, fuggita da Brindisi, dove dopo 10 anni di iter amministrativi non è riuscita a costruire un rigassificatore: “È il segno che la nostra struttura produttiva funziona, quella giuridica no”. Lezione appassionata con citazione shakespeariana finale, tratta dal Giulio Cesare del grande Bardo: “La colpa, caro Bruto, non è nelle stelle, ma in noi stessi, se siamo schiavi”. Un invito dichiarato a non essere schiavi delle logiche che governano questo mondo: in cui le nazioni e i popoli contano sempre meno, e dove “la finanza sta sopra gli Stati”.

oi accettiamo il licenziamento di tanti ma non di un lavoratore solo. Perché questo? Perché questo fa parte di un’ idea di operaio di massa che era ancora legata al ’900, molto ugualitarista. Distinguere non va bene, si diceva, perché gli operai sono tutti uguali”. È andato dritto dentro le questioni che stanno nell’agenda politica di questo Paese, Michel Martone, 38 anni, giuslavorista all’Università di Teramo, alla Luiss e alla Scuola superiore della Pubblica Amministrazione, intervenuto al Collegio per il ciclo “Testimonianze” il 15 ottobre scorso. Arrivava al Collegio di Milano preceduto da una pessima fama, quella costruita dalla stampa nazionale a causa di un battuta compresa male, quella dei giovani “sfigati” se non si laureano per tempo. Quella boutade costò al giovane vice-ministro del Lavoro un fuoco di fila di commenti duri e talvolta malevoli, sulla sua brillante carriera di professore universitario. E invece nelle due ore e un quarto di dialogo serrato con gli studenti, Martone ha dato vita a una delle più belle testimonianze del semestre, con tanti di quelli che erano stati a sentire, intenti a chiedere, a confrontarsi, a dire la loro anche nel prosieguo, tanto che il commiato non finiva mai. Martone s’è posto con gli studenti del Collegio così come tratta, e tornerà a trattare visto che non si è candidato alle prossime politiche, i suo studenti in facoltà: affabile e semplice. Il viceministro però non ha captato la benevolenza di alcuno. Ha raccontato com’è nato il suo interesse per la giurisprudenza, e poi per il diritto del lavoro, “mi sembrava, fra i tanti diritti, l’unico vicino alla storia, grande passione al Liceo”. Ma saranno le dinamiche del debito pubblico e quelle previdenziali, che indirizzeranno i suoi interessi e la sua ricerca, anni dopo. La domanda che lo assillava, ha raccontato, era quella sull’attitudine complessiva della politica, ma non solo, alla situazione dello Stato italiano: “Come può accadere che in uno Stato, in un Paese che ha il terzo debito pubblico mondiale, nessuno se ne preoccupi?”. Perché il Paese “che ha il primo debito pubblico del mondo, cioè l’America, ha anche il più forte esercito del mondo” e chiedere agli Stati Uniti di restituire i soldi è una cosa abbastanza complicata. E il secondo “è il Giappone, che è una società per alcuni versi simile alla nostra, ma che è la seconda economia del mondo”. Una situazione che, ha ricordato, si incrociava con le accelerazioni della globalizzazione, che arriverà a immettere nel mercato del lavoro internazionale “40 milioni di persone all’anno”. Persone cioè pronte “a lavorare senza tutela, senza alcun tipo di diritto,a un livello di esistenza basico, ad accettare salari bassi”. Fatti che cambiano completamente la competizione internazionale che, fino a pochi anni prima, non esisteva neppure. “Noi italiani come faremo a competere?”, si chiedeva il giovanissimo Martone e la domanda è risuonata di nuovo, quella sera, nella caffetteria del Collegio. E poi il sistema previdenziale, sulla “insostenibilità della gobba pensionistica”, sull’ingiustizia del sistema retributivo, in cui la pensione era calcolata sull’80% dell’ultima retribuzione o della media dei salari degli ultimi anni, a fronte di chi va a riposo con quello contributivo, nel quale si beneficiava in quiescenza solo di quanto si era effettivamente versato. È l’attitudine tutta italiana, ha detto il viceministro, “a scaricare la spesa, il peso, sui chi arriva dopo”.

“N

Una situazione, ha detto Martone, che richiede soprattutto alle giovani generazioni una consapevolezza e un impegno: “L’unico senso è quello di guardare i problemi che abbiamo davanti”, ha sottolineato, “guardarli in faccia e cercare di affrontarli e confidare che mentre noi cerchiamo di affrontarli arrivi la cavalleria e sperare che la cavalleria sia giovane, forte e piena di entusiasmo come sembrate voi. Mi raccomando venite a darci una mano perché i problemi che dobbiamo affrontare sono grandi e sono difficili”. Il viceministro ha difeso la riforma del Lavoro del Ministro Elsa Fornero perché, ha sottolineato, “cerca di migliorare la qualità dell’occupazione e di costruire un percorso che cominci con uno stage a ridosso della laurea, poi si traduca in un contratto di apprendistato sul quale le imprese non pagano i contributi e un incentivo sulla stabilizzazione per convertirlo in un contratto di lavoro a tempo indeterminato”. Un provvedimento, ha detto, che “cerca di riequilibrare le tutele tra insider e outsider, ridurre quella dell’articolo 18 mettendo un tetto” e che interviene “sugli ammortizzatori sociali, introducendo l’Assicurazione sociale per l’impiegoAspi che è un trattamento certo che va di 12 mesi per i lavoratori giovani e 18 per gli altri”. Martone ha anche riconosciuto che “il percorso di riforma non è finito. Le riforme hanno bisogno di manutenzione soprattutto in un periodo di crisi come quello attuale. La linea di tendenza”, ha concluso, “deve essere quella di riequilibrare i diritti”. Perché, ha proseguito, “dobbiamo riequilibrare per far sì che il posto di lavoro vada ai giovani non a chi ce l’ha. O a chi è più anziano perché ha fatto carriera per anzianità. Ma a chi se lo merita. Solo se noi scommetteremo su chi ha voglia di impegnarsi potremo far partire un circolo virtuoso. Oggi il circolo è recessivo”. La riforma, ha aggiunto, è solo “l’inizio di un processo riformista e però il tema vero è che non bastano le riforme per migliorare. Il posto fisso non ve lo garantisce la legge, ve lo garantisce la capacità di fare bene un lavoro”. Una lunga testimonianza in cui il viceministro non ha risparmiato ricordi personali, come quando si scontrava col padre proprio sulla lettura della società italiana di quegli anni, incosciente dell’ipoteca che, col debito, si andava creando per le generazioni successive. “Io che sono nato nel 1941”, osservava Martone senior, “ho conosciuto la fame, non ho avuto tendenzialmente niente e mi sono dovuto costruire tutto, mentre tu hai il telefonino, la macchina, ogni ben di Dio, sei tranquillo e stai bene. Eppure stai a protestare, contro di me.” Nella parte aperta alle domande del pubblico, l’esponente del Governo Monti, non s’è ritratto alle domande, tutt’altro. Ne è scaturito un dialogo serrato, sempre più curioso da parte del pubblico e sempre più coinvolto da parte del viceministro. Che ha descritto così il suo contributo all’Esecutivo: “È un lavoro difficile, è un grande onore alla mia età poter servire il Paese. L’unica convinzione vera che mi son fatto in questa situazione è che c’è bisogno di un nuovo impegno e di una nuova consapevolezza da parte delle nuove generazioni, ovvero di quelli che verranno dopo di noi. Noi”, ha proseguito, “siamo gli apripista, siamo quelli che hanno subìto in maniera più forte le conseguenze di questo debito, se riusciremo a fare qualcosa di buono sarà per dare a voi qualche opportunità in più”. A giudicare dall’applauso finale che ha accompagnato il suo commiato, l’hanno creduto in molti.


7.VERSIONE OK.Semestre 1-13:Semestre1-A3/AA

21-02-2013

18:06

Pagina 8

8

semestre

INCONTRI Dall’archoastronomia alle HR Tutti i volti del secondo semestre

I Semestre Aperte dal presidente Giancarlo Lombardi, con un intervento molto apprezzato, le Testimonianze del I semestre, sono proseguite con la giornalista Rai, Tiziana Ferrario (intervistata dall’alumna Serenella Mattera), il manager Pietro Palella, direttore generale di StMicroelectronics, e la chimica Francesca Casadio che lavora all’Art Institute of Chicago. Quindi è stata la volta di Marina Forquet Famiglietti, a capo delle risorse umane di Borsa Italiana, dei giornalisti Anna Momigliano e Antonio Picasso (sulla drammatica situazione siriana) e dell’indologo Giuliano Boccali, intervenuto sulla “Condizione femminile in India”. Il ciclo è stato chiuso da un’appassionante testimonianza della giovane musicista pop Mila Trani.

Fabio Rossello

ilosofia, etnografia narrativa, economia, archeoastronomia ma anche managerialità: le altre testimonianze del secondo semestre, hanno condotto gli allievi del Collegio a esplorare i percorsi della conoscenza per mano a personaggi di assoluto rilievo.

F

E di esplorazione vera e propria si è trattato il 29 settembre, testimonianza inaugurale del secondo semestre, quando è toccato a Giulio Magli, professore del Politecnico di Milano. Magli, uno dei pochi archeoastronomi, ha aperto la serie delle Testimonianze introducendo una platea interessatissima di alunni al fascino di questa disciplina, all’incrocio fra l’architettura e la ricerca astronomica ed archeologica, in quanto studia gli allineamenti degli astri nei progetti dei grandi monumenti di epoche lontane, dalle piramidi di Giza al tempio di Machu Picchu, passando per Stonehenge. Con Fabio Rossello, Amministratore Delegato e socio azionista della Paglieri Spa, big della cosmesi italiana, il 3 ottobre si è invece passati ad ascoltare l’esperienza di chi opera nell’impresa e che deve misurarsi quotidianamente con il tema della competizione, della migliore valorizzazione delle risorse umane, del merito. Tutti temi che conducono a un altro: la leadership. Il 10 ottobre, le Testimonianze hanno seguito strettamente la piega dell’attualità: con Alberto Martinelli, docente di Politica Globale e Sistemi Politici e di Governo alla Statale di Mila-

Massimo Calvi con Giampaolo Cerri

no, si è messa a fuoco l’imminente sfida elettorale per le presidenziali americane fra Mitt Romney, repubblicano, a contendere la Casa Bianca all’uscente Barack Obama, democratico. Martinelli ha mostrato e commentato con gli alunni uno dei confronti che i due politici avevano realizzato alcune settimane prima negli studi della Cnn. Con Laura Boella, ordinario di Filosofia morale alla Statale di Milano, il 24 ottobre, si è invece parlato di etica. La studiosa, esperta di Luksas, Bloch e Simmel nonché profonda conoscitrice di Hannah Arendt, è partita da un suo recente lavoro, Il coraggio dell’etica (Raffaello Cortina), per spaziare sulla percezione di quello che è giusto o sbagliato, buono o cattivo, fin nella trama profonda della vita. Un incontro impegnativo, in cui tra l’altro è intervenuto un giovane alumno del Collegio, Amos Badalin, dottorando proprio in Filosofia morale, ma nel quale molti hanno preso la parola – e non solo studenti della materia – per scandagliare il significato profondo di una parola, etica appunto, spesso inflazionata negli ultimi tempi, soprattutto quando utilizzata come aggettivo: la finanza è etica, così come il commercio e c’è sempre, o dovrebbe, un’etica della politica. Tema in qualche modo confinante con quello trattato il 7 novembre da Massimo Calvi, caporedattore centrale del quotidiano Avvenire e

già responsabile della pagina economica dello stesso giornale. Calvi arrivava per svolgere una riflessione sulla crisi che tratta ed ha trattato tutti i giorni per mestiere e sulla quale ha scritto anche un saggio: Capire la crisi, edito da Rubettino. Il giornalista è partito proprio facendo strame della vulgata sulla crisi che, a suo dire, si ferma sulla superficie dei problemi, riduce molto a technicalities, circoscrive tutto a sigle spesso incomprensibili, dai credit default swap-cds i derivati all’origine dello scoppio di bolla del 2008, allo spread assurto ad emblema di quella attuale del debito. Per capire la crisi, ha spiegato Calvi, c’è da capire innanzitutto che è una crisi di avidità, cioè di comportamenti umani, dei comportamenti di milioni di singoli sommati assieme, tutti alla ricerca del rendimento speculativo, della maggior liquidità per comprare gli status symbol oltre alla casa, del rifiuto a riformare la previdenza per non impiombare di un debito insostenibile le generazioni che verranno.

e associati), più recentemente di Firenze, (Salviamo Firenze, Bompiani) e ha raccontato i grandi luoghi di culto in Cattedrali, edito da Garzanti. In una chiacchierata appassionata e appassionante, lo scrittore ha raccontato di sé e del suo modo di guardare (e raccontare) la realtà, particolarmente quella, unica, delle città che s’è trovato ad amare: Milano, luogo d’elezione, dello studio e della realizzazione professionale; Firenze, terminale di affetti familiari (era pronipote del pittore macchiaiolo Ottone Rosai).

Luca Doninelli, scrittore e drammaturgo, ha invece parlato di una disciplina nuova, da lui insegnata in un corso alla Cattolica di Milano: etnografia narrativa, ovvero il racconto dei luoghi e di chi li popola attraverso la narrazione. Doninelli s’è occupato di Milano, con un progetto collettivo (Milano è una cozza, Michetta addio e Vacanze milane, tutti usciti per Guerini Luca Doninelli

Tiziana Ferrario (a destra) con Serenella Mattera, alumna

Giuliano Boccali

Laura Boella


7.VERSIONE OK.Semestre 1-13:Semestre1-A3/AA

21-02-2013

18:06

Pagina 9

semestre

9

CALL FOR SOLUTION Forest Skill, start-up verdi grazie a Collegio e Fondazione Accenture

orest Skill è la call for solution lanciata nel 2012 dalla nostra Fondazione insieme a Fondazione Italiana Accenture, con la collaborazione scientifica dell’Università degli Studi di Milano Bicocca, l’Università degli Studi di Milano e la partnership di comunicazione di FederlegnoArredo e della Fondazione UniVerde.

F

L’iniziativa, che si è svolta con il patrocinio del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, del Ministero per le Politiche Agricole e Forestali e la medaglia di rappresentanza del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, aveva l’obiettivo di identificare soluzioni progettuali volte a valorizzare e sviluppare competenze e know-how per la creazione di nuove opportunità di lavoro attraverso l’uso intelligente del patrimonio boschivo italiano. Le 85 proposte arrivate sono state selezionate da una duplice giuria di esperti che ne ha valutato la rispondenza alle caratteristiche richieste di innovazione e originalità, alta sostenibilità ambientale, finalità educative e ricaduta positiva sul sistema Paese, sia accrescendo la funzione economica del bosco sia migliorando quella di fornitore di servizi. L’evento di premiazione tenutosi al Collegio di Milano ha visto la presenza di ospiti quali Almir Ambeskovic, Vice Presidente Giovani Imprenditori di Assolombarda; Carlo Andreis, Professore di Botanica Ambientale e Applicata dell’Università Statale di Milano; Andrea Barilotti, Capogruppo di E-Laser; Nicolò Giordano, Ufficio Relazioni con il Pubblico del Corpo Forestale dello Stato; Lorenzo Menguzzato, Fondatore del Bosco dei Poeti; Alfonso Pecoraro Scanio, Presidente di Fondazione UniVerde e Saverio Sticchi Damiani, Vice Capo di Gabinetto del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali. I relatori, introdotti dal Presidente Lombardi e dal Presidente di Fondazione Italiana Accenture Diego Visconti, hanno discusso sul tema “Creare occupazione sostenibile puntando sull’ambiente”, moderati da Paolo Migliavacca, Amministratore Delegato di Vita. Sono stati presentati i 10 progetti finalisti e sono stati premiati i due vincitori, destinatari di 30.000 € ciascuno, per realizzare la startup del loro progetto.

I due progetti premiati sono stati: Multifunzionalità della foresta integrata – Il recupero dell’Alta Val di Vara e FELCE – Forestazione Locale per la Compensazione di CO2. Multifunzionalità della foresta integrata è un progetto che intende recuperare 20 ettari di terre abbandonate nell’alta Val di Vara, in provincia di La Spezia, per creare opportunità di crescita individuale e di lavoro, tramite la valorizzazione e la pulizia di diverse zone di foreste miste riparie, aree di interesse naturalistico e aree agricole oggi sopraffatte dal bosco, nell’ottica di un recupero della loro multifunzionalità. Capofila del progetto è Gabriella Cozzani, originaria di Vezzano Ligure (La Spezia), agronoma, che ha lavorato al fianco del suo team composto da Serena Barbieri, Giovanni Capuozzo, Chiara Colla, Mariachiara Garbelli, Michele Nigro e Ilaria Pasquinelli. Ma il team ha attivato una collaborazione che prevede il coinvolgimento anche di organizzazioni e istituzioni della zona, tra cui Associazione Ezechiele36, Associazione I Ricostruttori, Caritas Diocesana e Comune di Maissana. I lavori sono partiti con l’aiuto di un consulente e di un esperto di botanica, grazie al supporto delle due Fondazioni, con la defini-

zione di un Business Plan che rispettasse i criteri di scalabilità, replicabilità e sostenibilità economica del progetto, caratteristiche volte a garantire la durata nel tempo e la possibilità di riprodurre il modello in altri territori che, come la Val di Vara, sono colpiti dal fenomeno del dissesto idrogeologico.

ca, Giacomo Magatti e Stefano Pontiggia, dal titolo “Carbon offset nazionale certificato”, con l’intento di promuovere la compensazione forestale di CO2 e le sue implicazioni anche nell’ambito di relazioni create con realtà sia pubbliche sia private localizzate sul territorio.

La fase operativa è partita con l’acquisto, grazie al premio in denaro che il team ligure si è aggiudicato, di alcuni strumenti e macchinari fondamentali per l’avvio delle attività. Da lì è iniziato il lavoro che procede a grandi passi ed è in piena fase di implementazione, superando anche diverse problematiche tecniche e burocratiche; passato l’inverno, in primavera si potranno apprezzare i risultati di tutto il lavoro già fatto finora dal team.

Il progetto che fin da subito si è distinto per il suo carattere innovativo e il forte impatto ambientale, oltre che per la facilità di replicabilità in diversi contesti territoriali, sarà avviato alla certificazione di RINA, uno dei più importanti enti di certificazione nazionali, per la generazione di crediti di carbonio.

Anche per il progetto FELCE – Forestazione Locale per la Compensazione di CO2, è già possibile apprezzare dei risultati visibili. È stata infatti effettuata una prima piantumazione nel sink urbano, ovvero una foresta protettiva che avrà il compito di assorbire CO2 e neutralizzarne le emissioni, nel territorio di Giussano. Per il battesimo dell’area è stato organizzato un convegno, sempre ad opera dei promotori del progetto e di ReteClima®, l’ente no profit fondato da Paolo Viganò, Andrea Pellegatta, Elisabetta Bran-

Questi crediti, una volta collocati sui mercati, saranno richiesti da aziende interessate alla neutralizzazione delle emissioni di CO2 delle proprie attività, in una logica di green marketing e di Corporate Social Responsibility (CSR). E questa è solo una delle applicazioni virtuose che questo progetto potrà avere sul territorio e che potrà essere replicato. Auguriamo quindi a entrambi i team di continuare a lavorare con successo come fatto finora e insieme a Fondazione Italiana Accenture continueremo a seguirli.


7.VERSIONE OK.Semestre 1-13:Semestre1-A3/AA

21-02-2013

18:06

Pagina 10

10

semestre

PROGETTI O.a.s.i.s., i Collegi di merito fanno rete archeologica

a rete dei Collegi di merito è anche questo, offrire a 4 studenti che arrivano da Milano, Torino e Roma la possibilità di prendere parte ad una spedizione archeologica in Egitto.

L

Il Collegio di Milano si è fatto promotore della partecipazione dei ragazzi al Progetto O.A.S.I.S. (Old Agricultural Sites and Irrigation Systems) che ha effettuato nel gennaio 2013 la sua prima spedizione esplorativa nell’Oasi di Kharga (Deserto Occidentale Egiziano). I due siti su cui il Progetto OASIS ha concentrato la sua attenzione sono stati Umm al-Dabadib e Ain al-Lebekha, dove sopravvivono i resti di due antiche coltivazioni tardo-romane e degli acquedotti che le irrigavano. Al fianco di un team scientifico composto da Corinna Rossi, Direttrice del Progetto, Architetto ed Egittologa, un Botanico e Cartografo e un Idrologo provenienti questi ultimi dall’Università degli Studi di Napoli Federico II, i quattro studenti Francesca Bigi (Collegio di Milano), Nicoletta De Troia (Villa Nazareth, Roma), Giulia Gregnanin (Collegio di Milano) e Paolo Viviani (Collegio Einaudi), selezionati tra i Collegi di Merito legalmente riconosciuti, hanno seguito la spedizione dal 3 al 15 gennaio 2013 tra le sabbie del deserto. Arrivati nell’Oasi di Kharga è stato allestito un campo di tende a Umm al-Dabadib dove hanno lavorato per quattro giorni; per i successivi tre giorni si sono spostati al Ain al-Lebekha. Gli studenti hanno partecipato attivamente a tutte le ricerche e le esplorazioni che sono state compiute, e sono stati coinvolti in tutte le discussioni riguardanti l’interpretazione dei dati raccolti. Sono state inoltre offerte loro una serie di lezioni sul campo, svolte in presenza dei resti archeologici: storia della regione, problematiche del sito e natura del progetto; lezione sull’uso e lo studio della ceramica in archeologia in presenza di un grande deposito di ceramica del II e IV secolo AD; lezione sulle tecniche di mummificazione e sui riti funerari, effettuata in presenza di resti umani ben conservati.

Non sono mancate lezioni anche su aspetti tecnici quali il funzionamento degli acquedotti per gravità (qanat) e il loro ruolo nella discussione sull’origine dell’acqua e sulla composizione della roccia; una lezione di cartografia storica e ricostruzione del paesaggio antico; di idrologia e prevenzione di catastrofi Di fronte al tempio egizio di Hibis, la d.ssa Rossi ha illustrato agli studenti alcuni elementi di religione egizia inserendoli nel relativo contesto di storia antica egizia, così come presso il forte legionario di el-Deir è seguita una lezione sull’architettura militare romana del periodo imperiale e del periodo tardo. L’esplorazione delle coltivazioni di Umm al-Dabadib ha fornito ottimi risultati e permette di gettare le basi per uno studio da organizzare in un arco temporale di altri 2 o 3 anni. È stata stabilita una datazione per le coltivazioni, studiato come erano suddivise e come venivano irrigate. È stato accertato che si è in presenza di un caso più unico che raro di coltivazione romana conservata così com’era. La centuriazione, ovvero l’antica divisione in appezzamenti, sopravvive in tante aree agricole dell’impero che non hanno mai cessato di essere coltivate. Attualmente non si conoscono però altri casi in cui la stessa coltivazione ed i resti archeologici ad essa associati siano sopravvissuti a questo livello di conservazione. I quattro ragazzi si sono appassionati all’argomento e hanno partecipato a tutte le discussioni con il team scientifico suggerendo soluzioni e interpretazioni valide e coerenti. Benché due di loro non avessero mai avuto esperienza di campeggio, tutti hanno mostrato grande adattabilità, flessibilità, entusiasmo e soddisfazione per l’iniziativa. Per Nicoletta De Troia e Paolo Viviani si prospetta un’applicazione immediata di questa esperienza: Nicoletta chiederà la tesi su un argomento inerente al periodo storico studiato, mentre Paolo utilizzerà il patrimonio fotografico accumulato in questa occasione per incrementare la sua attività di fotografo free-lance.


7.VERSIONE OK.Semestre 1-13:Semestre1-A3/AA

21-02-2013

18:06

Pagina 11

semestre

11

ESPERIENZE Masterizzandi alla scoperta dei segreti della P.A. Diario di Bianca Merzagora e Michele Ispano

GIORNO PRIMO Bianca Merzagora Pioggia, grigio, vento, pozzanghere: i nostri compagni di viaggio nel traffico romano del lunedì mattina, meta Palazzo Chigi. Metal detector all’ingresso, auto blu, proprio loro, nel cortile interno, un comitato di ben quattro persone ad attenderci e a guidarci per le stanze dove i ministri si riuniscono in conclave per discutere le sorti del Paese. Non è facile descrivere l’ammassarsi dei pensieri mentre percorrevo quelle stanze, così dense di storia e di governi. Mi venivano in mente tra le tante cose le molteplici facce del potere, quelle che hanno reso grande il Nostro Paese e quelle che l’hanno portato alla guerra civile, una ad una ritratte con rigore storico in una delle sale che abbiamo attraversato. Da Cavour fino a Berlusconi, passando pure per Mussolini (inaspettato vedere capeggiare il suo sguardo a pochi centimetri da quello di Moro). Nota di colore: il ritratto di Monti verrà appeso a fine mandato. Non si può poi non citare la sala dove i ministri si riuniscono, con il tavolo rotondo, gli arazzi che ritraggono la vita di Alessandro Magno alle pareti, codici per ogni postazione, rigorosamente contrassegnata da un segnaposto. Altra nota interessante: proprio oggi, mentre era in corso la nostra visita, dei tecnici stavano informatizzando l’aula (nutro la speranza che i computer fossero già presenti e si trattasse solo di un aggiornamento dei software). Poi la sala stampa, proprio quella dove abbiamo visto commuoversi il ministro Fornero, sfondo azzurro e colonne a mo’ di tempio greco tutt’intorno, enorme attraverso lo schermo televisivo ma minuscola nella realtà: più o meno 50 sedie. Mentre i pensieri stavano ancora rincorrendosi l’uno dietro l’altro, ci siamo trovati in cima ad un’altra delle sedi della Presidenza del Consiglio, proprio accanto a Palazzo Chigi, su una terrazza mozzafiato sopra ai tetti di Roma, poco dopo aver incontrato il direttore del dipartimento “Rapporti col Parlamento”; molto gentile e schietto, tanto da farsi trovare al nostro arrivo con una sinfonia, forse di Mozart, ad allietare l’atmosfera del suo ufficio. Per oggi non era finita: il sole s’era riaffacciato e noi, forti di una pasta cacio e pepe, siamo approdati alla Funzione Pubblica, ricevuti dal ministro Patroni Griffi in persona. Internazionalità della classe dirigente pubblica ed etica, questo il suo messaggio, pronunciato con parole professionali, gentili e accoglienti. Insomma, la P.A. di cui tutti vorremmo far parte. Il diluvio purtroppo in serata è ripreso, annacquando le ballerine nuove e i capelli appena stirati ma non le risate della serata a Trastevere, momento di ilarità dopo una giornata di abiti ingessanti e scarpe scomode. Ora è presto, a differenza del Collegio di Milano qui entro le 23 bisogna rientrare. Ma saremo più carichi per domani... domani infatti andremo... non vi tolgo la sorpresa! Buona notte! GIORNO SECONDO Di nuovo pioggia, grigio, scarpe annegate, capelli arruffati dal vento e noi, ancora alle prese con il traffico romano, in direzione Ministero degli Affari Esteri. L’impressione che si ha di fronte all’architettura del palazzo della Farnesina è sempre la stessa, sia che splenda il sole sia che diluvi, cioè che si stia per fare ingresso in un libro orwelliano, in puro stile 1984. Squadrato, enorme, arcigno, bianco. Doveva essere la sede del partito fascista, oggi ospita uno dei ministeri più prestigiosi ed ambiti da

noi giovani laureati. Nonostante il primo impatto la Farnesina all’interno è molto accogliente, merito delle opere d’arte che popolano i suoi corridoi, alcune a dire il vero molto estrose, ma soprattutto merito delle persone che ci lavorano e che oggi ci hanno accolto. Tante note positive: una presentazione fatta di numeri, cifre, grafici, cose con cui troppo spesso non siamo abituati a confrontarci; modernità ed apertura verso l’esterno, verso il mondo; vero sostegno alla tanto agognata crescita economica attraverso la promozione delle nostre imprese all’estero e l’attrazione di capitali in Italia. Un dato che mi ha stupita: a differenza di moltissimi concorsi pubblici dove le donne stanno raggiungendo i primi posti in graduatoria, il concorso diplomatico è ancora dominio maschile... aggiungerei purtroppo. Altro dato significativo: anche il MAE, sotto i colpi della

Mi venivano in mente tra le tante cose le molteplici facce del potere, quelle che hanno reso grande il Nostro Paese e quelle che l’hanno portato alla guerra civile crisi, si trova costretto ad operare drastici tagli; a proposito ho notato che nessuno all’interno della P.A. riesce a vivere la spending review come un’opportunità per tagliare gli sprechi: a sentire la dirigenza le strutture pubbliche sono già ridotte all’osso... qualcuno non ci racconta tutta la verità, è evidente... chi? Mentre questi pensieri prendevano forma, fischi acutissimi e boati, invadevano minacciosi la Farnesina intera: già, una manifestazione sindacale, come a farci vedere un’altra dolorosa faccia della crisi. Crisi. Di crisi in effetti si occupa uno degli uffici più affascinanti e noti del MAE, l’Unità di crisi, faro di speranza per tanti connazionali che si trovano in situazioni di emergenza all’estero. Tanti orologi nella sala operativa dell’Unità, ognuno per indicare i diversi fusi orari delle capitali del mondo, ognuno a indicare il trascorrere del tempo, anche del nostro tra quelle mura, velocissimo davvero, tanto da non aver più neppure un attimo per ammirare le opere della collezione della Farnesina perché già un altro incontro istituzionale è alle porte e così, dopo un battibecco con un “cortese” taxista romano, ci siamo catapultati, appena in tempo, alla Cassa Depositi e Prestiti,

dove il prof. Bassanini in persona ci ha illustrato le funzioni di un istituto a me prima semi sconosciuto ma che a quanto pare è un vero e proprio gioiellino nel panorama italiano. Un altro tassello di Paese che contribuisce concretamente, su un fronte diverso rispetto al MAE, alla crescita dell’Italia. Gelato da Fassi, uno dei campioni italiani del gelato, serata in compagnia, ancora pioggia, un immancabile questionario di valutazione da compilare, la curiosità di vedere cosa ci riserverà domani la P.A. italiana. Buona notte! GIORNO TERZO Michele Ispano La giornata comincia un poco più tardi del giorno prima, e il risultato dell’ora di sonno in più è una grande reattività da parte di tutti. Nuovo appuntamento alla Presidenza del Consiglio, questa volta con il personale dell’ufficio di controllo interno. L’esperienza è molto coinvolgente sia per l’ambiente (sala delle colonne) sia per la presenza di una ventina di dirigenti, che si alternano tra loro nel corso della mattinata presentando la storia e le attività del loro ufficio. Qualche relazione è molto tecnica, altre più leggere, tutte oscillano tra la sfera giuridica e manageriale. A livello di contenuti, i punti di contatto con la parte d’aula del Master sono evidenti, soprattutto per quel che riguarda il ruolo della valutazione individuale e organizzativa e della motivazione nelle PPAA: riusciamo a cogliere a perfezione il senso delle presentazioni anche nelle loro sfumature, e a interagire con i dirigenti parlando esattamente lo stesso linguaggio: ci si intende a meraviglia. Al di là dei temi dibattuti, sorgono spontanee alcune metadomande: sembra proprio che abbiamo a che fare con dirigenti motivati e consapevoli del proprio lavoro e delle problematiche che la P.A. oggi si trova ad affrontare, insomma l’esatto opposto del luogo comune della P.A. burocratizzata e ferma al palo. C’è qualcosa che non torna: non è che il campione è un po’ distorto? Forse si è (giustamente) cercato di farci incontrare persone che sono esempi di eccellenza e di “buon governo”, ma non rappresentativi del dirigente “medio”. In generale, comunque, a proposito della necessità di un cambiamento radicale all’interno delle PPAA, tra innovazione tecnologica e digitalizzazione, spending review e tagli, cicli della performance e strumenti di valutazione individuale, l’impressione che mi sono fatto è che siamo sui blocchi di partenza: questa necessità di cambiamento sembra sia stata metabolizzata abbastanza bene dalla dirigenza, che oggi mastica facilmente questi argomenti pur non possedendo sempre un quadro generale delle prospettive verso cui occorre muoversi. Il problema è che il grosso del lavoro, cioè trasformare questa consapevolezza dei dirigenti in macchine organizzative, forse è ancora da fare. Altra considerazione: mi sorprende la diversa percezione che si ha guardando dal punto di vista del cittadino o dal punto di vista della pubblica amministrazione: il primo non ha idea della complessità del lavoro che la P.A. svolge, e tende a basare i propri giudizi su quello che vede dal front-office; la P.A., invece, è ben consapevole delle proprie problematiche e complessità, ma spesso rimane troppo autoreferenziale per capire cosa davvero fa la differenza agli occhi del cittadino. Ultimo spunto: tanto alla Prefettura di Milano quanto presso le istituzioni a Roma le persone con cui abbiamo parlato sono un po’ col fiato corto e si lamentano della carenza di personale e dei tagli, ma girando per gli

edifici c’è un numero spropositatamente alto di uscieri, addetti alla sorveglianza, custodi… forse bisognerebbe rivedere un po’ il tutto, a partire dall’allocazione delle risorse. GIORNO QUARTO ExpeRAIence: la mattina comincia di buon ora con un lungo viaggio in taxi verso gli studi RAI di Saxa Rubra. All’arrivo, veniamo catapultati nella cabina di regia della trasmissione radiofonica Radio anch’io, che si sta svolgendo in diretta. Tema del giorno: economia e UE, tra progetti di Eurobond e rischi di uscita dall’Euro della Grecia. L’esperienza è decisamente istruttiva, sia per i contenuti della trasmissione sia, soprattutto, per l’opportunità di vedere all’opera la regia e gli apparati tecnici invisibili a chi si limita ad ascoltare la radio. Tra canali del mixer che si aprono e si chiudono e addetti al filtraggio di mail, telefonate ed sms, è una bella prova di gioco di squadra. Dopo la pausa caffè, si chiude la mattinata con un’interessante lezione (per niente teorica) sulla comunicazione pubblica della P.A. tenuta dal dott. Giovannetti. Rientrati nel centro di Roma, il gruppo si disperde immediatamente per la lunga pausa pranzo, per poi ritrovarsi nel primo pomeriggio davanti al Quirinale. GIORNO QUINTO Bianca Merzagora Il nostro tour nell’Olimpo della P.A. non poteva che portarci anche a Palazzo Madama, al Senato della Repubblica. Passando per corridoi rivestiti di velluti rossi e raffinati parquet abbiamo varcato la soglia di un’aula a semicerchio, elegante, sui toni del verde, che ospita la Commissione sanità. Lì abbiamo avuto il piacere e l’onore di parlare con uno dei funzionari della Commissione Affari Costituzionali, uno dei consessi più delicati del Senato e fucina di una riforma molto attesa. Il lavoro è febbrile, ci rivela il nostro interlocutore, e il personale tecnico del Senato molto poco. Il colloquio si fa difficile per orecchie non abituate al discorso giuridico, in particolare discutiamo sul ruolo del Senato e sulla necessità di differenziarlo per certi aspetti dalla Camera, sulla legge elettorale, sulla razionalizzazione del parlamentarismo; vorremmo approfondire maggiormente ma la nostra tabella di marcia è serrata e il dott. Aquilanti in questi giorni è alle prese con un lavoro ciclopico così proseguiamo la nostra visita, soffermandoci qualche minuto nell’aula del Senato e proseguendo verso il MIUR, zona Trastevere. Veniamo ricevuti dal capo di Gabinetto e la conversazione prosegue con una giovane dirigente, appena 31 anni, allieva della SSPA, brillante e professionale, un esempio per tutti. Parla con franchezza, senza nascondere (meno male!!) i grandi cambiamenti che anche il MIUR deve affrontare (tra i tanti ricordo l’unificazione delle sue sedi, una a Trastevere e una all’EUR!). Una foto di gruppo prima di uscire, attorniati dai ritratti dei grandi ministri dell’istruzione. Ma a proposito di foto, la mattinata ci ha visti anche posare tutti insieme davanti alla macchina fotografica dell’ambasciatore Matacotta. Eravamo in 13... numero poco gradito, così, per arrivare a 14, l’illustre fotografo ha aggiunto una testa di marmo, dalle sembianze classiche, tra me e la dott.ssa Bertuzzi. L’avventura istituzionale è terminata. Ora, prima di rientrare a Milano, ci concediamo un po’ di svago romano tra musei, storia, cavalli, leccornie varie e risate. Ciao Roma!!!


7.VERSIONE OK.Semestre 1-13:Semestre1-A3/AA

21-02-2013

18:06

Pagina 12

12

semestre OPEN LESSON/2 Angelo Petroni: l’etica, la P.A. e un dialogo su Saxa Rubra

ezione d’eccezione per gli allievi del Master per la Pubblica Amministrazione, ma aperta alla cittadinanza, quella del 25 gennaio 2012. In cattedra, ma per l’occasione nell’auditorium del Collegio di Milano, Angelo Maria Petroni, 56 anni, umbro di Montefalco (Pg), docente alla Sapienza, consigliere di amministrazione Rai (dal 2003) e segretario generale dell’Aspen Institute.

L

Dopo un intervento su “L’etica della pubblica amministrazione”, Petroni non s’è sottratto alle domande degli studenti, molte delle quali vertevano sulla radiotelevisione di Stato. Petroni ha ammesso d’aver cambiato idea sulla privatizzazione della Rai: “Ricordo un botta e risposta sulla stampa col compianto Claudio De Matté che era contrario”, ha ricordato, ma la tv pubblica, ha aggiunto, la prevede “il modello sociale europeo, come recita tra l’altro il Trattato di Amsterdam che, nel nono protocollo annesso, stabilisce che ogni Stato può dotarsi di un servizio radiotelevisivo pubblico come eccezione al libero mercato”. Protocollo che, ha spiegato Petroni, individua “nella formazione della pubblica opinione per l’esercizio democratico” e nella “rappresentazione delle culture territoriali”, le ragioni di una sostanziale eccezione alla regola del libero mercato adottata da Bruxelles. E in Europa, ha aggiunto, “non c’è un solo Paese dove il servizio pubblico non coincida con la proprietà statale”. A rendere poi impossibile la privatizzazione di Saxa Rubra sarebbe il carico di addetti: “Quanto può valere secondo lei?”, ha chiesto Petroni a uno studente che gli aveva appena rivolto la domanda. E la risposta l’ha data lui stesso: “Nemmeno un euro”, precisando che non si trattava di “un giudizio negativo”, perché si può dire lo stesso “anche per il Duomo di Milano. Come si fa a valutarlo?”. Petroni ha poi proposto un confronto fra la Rai e il servizio pubblico tedesco, sottolineando come, in Germania, la tv di Stato “ottenga il 95% del proprio budget dal canone, mentre la Rai arriva alla metà (7,8 miliardi di euro contro 1,7), ha 40mila dipendenti contro i nostri 13mila e fa il 30% di share degli ascolti contro il nostro 42%”, ha detto il consigliere. Dati che hanno lasciato spazio a una chiosa venata di orgoglio aziendale: “Il prossimo che mi viene a parlare di ‘carrozzone Rai’”, ha detto in tono sarcastico Petroni, “gli darò questi numeri dell’European broadcasting union”. Durante la lezione, trattando invece il tema della trasparenza nella pubblica amministrazione, Petroni aveva già toccato il tema-Rai: “Il mio stipendio è pubblicato sul sito”, aveva detto, “ma quello che trovate, 200mila euro, non è aggiornato: per effetto della manovra Tremonti è sceso a 120mila”.

segue da pag 3

SEMESTRALE DEL COLLEGIO DI MILANO

TESTIMONIANZE/1 Enrico Cucchiani

tutto può essere migliorato, non qualche cosa. Quello che importa è capire che cosa fa la differenza; la mia fortuna, le skill che ho cercato di sviluppare, sono incentrate sul capire rapidamente cosa fa la differenza e come si fa la differenza. Questo è quello che mi ha fatto passare con grande tranquillità da un settore all’altro. Credo di riuscire a capire in ciascuna situazione -e fino a ora mi è andata bene -quali siano i fattori chiave che fanno la differenza. Bisogna saper fare leva sulle persone, quindi vuol dire saper sviluppare una visione, farla condividere all’organizzazione e fare in modo che ognuno nel suo ruolo sviluppi questa ossessione, per fare la differenza e per la performance. Nella vita, la parte più rilevante dobbiamo dedicarla all’attività professionale: il grosso della vita lo passi al lavoro. Tanto vale capire che quello che si fa ha un senso e riuscire a dare il meglio di sè. E se uno ha una posizione di leadership, deve riuscire a fare in modo che gli altri condividano una visione. Se solo io ho una visione è del tutto irrilevante, se invece è condiviso da tanti, diventerà una realtà. “Dare un senso” vuol dire che un numero sufficiente di persone si sentirà impegnato in qualcosa che trascende se stessi. La gente non lavora per i soldi, la nostra mente non è ossessionata: funziona in funzione di quello che noi sentiamo. Quello che faccio ha senso? Che livello di soddisfazione ho? Ho successo? Il successo è una medicina straordinaria, è quello che ti aiuta a migliorarti sempre, a mettere l’asticella sempre più in alto, avere sempre più soddisfazioni che non devono essere personali ma devono essere riferite a un gruppo. Viviamo in una società molto competitiva e spesso si pensa, erroneamente, che il successo sia una cosa esclusiva. A livello di organizzazione il successo è invece un concetto inclusivo. È come in una squadra. Si vince quando hai cinque giocatori ma è come se ce ne fossero sei. La generosità collettiva premia. Nel vostro curriculum cosa scriverete? Di essere parte di questo collegio. Essere parte di questo collegio è di per sè qualcosa che vi dà una collocazione superiore agli altri, che gli altri non hanno. Il Collegio già vuol dire che non sei un fesso, che hai passato certi filtri meritocratici. Il tuo successo si riverbera su tutti gli altri, su quelli che verranno anche dopo, così come voi beneficiate del successo di quelli che sono stati qua prima. In ogni caso la cosa più pericolosa, per me, è pensare di essere più bravo degli altri. Sarebbe una

2 12

concessione al narcisismo pericolosa sotto il profilo etico ma anche sotto quello personale. Penso di aver avuto molta fortuna, fortuna di aver fatto esperienze che altri non hanno fatto, di aver conosciuto persone che mi hanno colpito, di aver imparato molto da persone straordinarie in organizzazioni straordinarie e di aver avuto il privilegio di aver guidato persone straordinarie che hanno ottenuto risultati straordinari. Ne ho beneficiato di conseguenza. L’unico merito che mi prendo è quello di essere una persona molto dedicata a quello che faccio. Lo faccio con impegno e passione, di non avere l’ansia della performance personale ma l’ossessione della performance dell’organizzazione, la consapevolezza che la performance la si ottiene solo grazie alle persone e la capacità di riuscire a trasmettere questo a un gran numero di persone. Riuscire a far condividere un sogno e far sentire tutti parte di un grande successo. Mi dà grande soddisfazione dare una chance alle persone, come persone che non hanno mai fatto un certo tipo lavoro. Cerco di capire le persone non per il loro cv, ma per le motivazioni che hanno, per quello che sono. Ho preso le persone che altri evitavano. Io stesso ho avuto un periodo nella vita che, se fossi stato in America, sarei stato un borderline, un dropout a rischio espulsione, nel senso che non facevo assolutamente niente. Mi potevo vergognare di me stesso, mi divertivo molto, i risultati erano pessimi, però ero sicuro che me la sarei cavata bene nella vita. Poi, da un giorno all’altro, ho cambiato atteggiamento, mi sono laureato con la lode ecc., ecc. Che cosa sia scattato non lo so. Lo potrei dire con l’aiuto di uno psicoanalista, se mi mettessi su un divanetto. In sintesi potrei dire che si è trattato di un processo di maturazione interno, nel senso che non sono stato ossessionato da un modello, non sono cresciuto con l’idea di fare il manager, di fare l’amministratore delegato. Quando ero al liceo pensavo di fare una disciplina scientifica, o ingegneria, o filosofia, poi ho scelto economia e non ho mai pensato alla mia carriera in termini di posizione, non ho mai pensato di essere amministratore delegato. Oggi sento di avere una responsabilità per le migliaia di persone che lavorano per noi, per il ruolo che noi abbiamo nell’economia italiana, per il ruolo di leadership perché, se diciamo che facciamo certe cose, abbiamo un certo impatto. Ed è questo il driver.

Direttore responsabile Cristina Penco Redazione Giampaolo Cerri, Giorgia Padovani, Martino Pillitteri, Corinna Rossi Progetto grafico e impaginazione Beppe Re Fraschini e Laura Guffanti, Ergonarte Foto Alfredo Matacotta Cordella, Federico Tais, Paolo Viviani Stampato presso Arti Grafiche Fiorin spa Sesto Ulteriano - San Giuliano Milanese (MI) Registrazione Tribunale di Milano N° 729 del 4 dicembre 2008

FONDAZIONE COLLEGIO DELLE UNIVERSITÀ MILANESI Via S. Vigilio 10 - 20142 Milano Tel. +39.02.87397000 - Fax +39.02.8137481 info@collegiodimilano.it www.collegiodimilano.it Presidente Giancarlo Lombardi Vice Presidenti Alberto Meomartini, Giuseppe Cattaneo Direttore Generale Stefano Blanco Comitato Scientifico Salvatore Carrubba, Presidente Mario Anolli, Rosellina Archinto, Laura Boella, Maristella Botticini, Antonio Colombo, Fabrizio Conca, Fabio Corno, Bruno Dente, Federico Montelli, Mario Negri, Ruggero Pardi, Pippo Ranci, Pietro Redondi, Michele Salvati, Paolo Trivellato. La Fondazione Collegio delle Università Milanesi è un’istituzione promossa dalle sette università cittadine e sostenuta da importanti enti pubblici e privati. Le attività della Fondazione sono volte alla diffusione e promozione della vita di college, alla valorizzazione della cultura del merito e all’internazionalizzazione del sistema universitario; essa si propone inoltre come leva di incentivazione per la mobilità sociale e la cittadinanza attiva. La Fondazione Collegio delle Università Milanesi ha dato vita a diverse iniziative:

I il Collegio di Milano, un campus inter-universitario d’eccellenza delle sette Università milanesi;

I EXPO College, la prima International students’ accomodation a Milano;

I Il Master in Pubblica Amministrazione Milano per lo Stato.

MEMBRI DELLA FONDAZIONE COLLEGIO DELLE UNIVERSITÀ MILANESI

Libera Università di Lingue e Comunicazione


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.