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Mercoledì 5 Gennaio 2011
PRIMO PIANO
CampusPRO svela che la presidente della commissione istruzione dice no a parentopoli, ma a parole
Università, l’Aprea tiene famiglia
Il marito insegna a eCampus, ateneo ora equiparato ai privati DI
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GIAMPAOLO CERRI *
l bubbone di parentopoli»: c’era andata giù dura, Valentina Aprea, presidente della Commissione istruzione della Camera dopo l’approvazione della riforma Gelmini. Nelle prime ore di giubilo dopo il via libera di Montecitorio al ddl, il deputato pidiellino aveva dettato alle agenzie poche righe al vetriolo esaltando «la volontà del governo e della maggioranza» di eliminare il nepotismo accademico del quale, «negli ultimi anni c’è stata una deriva». Peccato che, come rivela CampusPRO, il quindicinale telematico dei professionisti dell’università e della ricerca, la Aprea abbia il marito, l’ingegner Carlo Spennati, fra i docenti di eCampus, l’università telematica del Cepu, cara a Silvio Berlusconi e al ministro Mariastella Gelmini che ha previsto nel suo recente Decreto di programmazione la possibilità per gli atenei online di convertirsi in università private tradizionali. CampusPRO che sarà online martedì 11 gennaio (consultabile previa registrazione su www. campus.it/campuspro), presenta l’ex-sottosegretario come grande sponsor dell’università fondata da Francesco Polidori, tanto da accorrere prima il 9 marzo all’inaugurazione della sede romana, insieme a Catia Polidori
(deputato ex-Fli che ha negato ogni parentela con Mr.Cepu) poi il 25 settembre scorso, questa volta a Novedrate, sede principale dell’ateneo. «Due inaugurazioni, con due discorsi, nello stesso ateneo, in un anno: un record difficilmente battibile nella storia parlamentare e in quella universitaria», scrive CampusPRO. Una passione, quella della 55enne barese, direttore didattico a Milano 3, azzurra dal 1994, che si riscontra anche in alcune dichiarazioni pubbliche, come l’intervista rilasciata a Radio Formigoni, l’emittente personale del presidente lombardo, proprio l’indomani dell’approvazione alla Camera della riforma e della quale il quindicinale propone un ampio stralcio. «eCampus è una grande università telematica», dice Aprea, «che però ha già superato tutta una serie di controlli e ha già oggi dei requisiti e che è ben nota al ministero per l’attività che svolge e per il tipo di studenti, numero di studenti che ha». «La passione», osserva CampusPRO,
Valentina Aprea
«è foriera di amnesie visto che l’università a distanza, al contrario, è salita alla ribalta delle cronache per essere l’unica a essere stata attivata dall’allora ministro Letizia Moratti, nel gennaio del 2006, ultimi scorci del Berlusconi II, con il parere contrario del Comitato nazionale della valutazione del sistema universitario-Cnvsu». E, in quel governo, la Aprea era sottosegretario proprio al ministero dell’Istruzione. Ebbe quindi un ruolo, in quell’iter anche se, come ricorda il giornale, Aprea si occupava prevalentemente di scuola? Chissà se è anche in virtù dell’amicizia con Mr. Cepu che l’ingegner Spennati, napoletano, classe ’49, consorte dell’Aprea, sia approdato alla docenza a contratto dell’ateneo brianzolo, come professore nel corso di laurea in Ingegneria industriale. L’«anche» è d’obbligo, perché Spennati ha un curriculum di tutto rispetto: dopo un inizio nella scuola come docente, ha lavorato nel privato fino a diventare manager di importanti gruppi privati di logistica per poi passare nel ’95 alla Ferrovie, mentre la moglie era assurta alla politica nazionale.Il nome di Spennati non compare fra i docenti ufficiali del corso nel sito del ministero
Carriera lampo anche per il figlio Un altro filone della parentopoli di Valentina Aprea, porta al figlio Stefano Spennati. Milanese, neanche 30enne, laureato in Scienze politiche alla Cattolica, per lo Spennati jr, si sono subito aperte le porte del Parlamento europeo, come assistente dell’eurodeputata Lara Comi. Ma non basta, sul suo profilo di Linkedin, il network professionale molto diffuso sul web, il giovane assistente inserisce anche il ruolo di «consulente del ministero dell’Istruzione per gli affari esteri», incarico che gli sarebbe stato conferito dal luglio 2009. Precedentemente, Spennati aveva fatto uno stage di quattro mesi presso lo staff del Commissario Antonio Tajani e aveva lavorato per un eguale periodo e fino al giugno 2009, presso la segreteria di Mario Mauro, allora vicepresidente del Parlamento europeo. Carriera folgorante e tutta in quota Forza Italia prima e Pdl poi. ma è presente in quello dell’ateneo: il suo insegnamento, Gestione logistica della produzione, vale sei crediti, è un esame facoltativo e dalla frequenza libera. Non è dato sapere la remunerazione dell’ingegner Spennati a eCampus, se il suo sia un contratto poco più che onorifico, come accade in molte università, o se preveda uno stipendio più importante. Conoscere quella somma, potrebbe far capire se il conflitto d’interessi è in sedicesimo o è più rilevante. Ma conflitto rimane. Perché Valentina Aprea ha avuto un ruolo attivo nell’accesa discussione dell’articolo 12 della riforma, quello che alcuni deputati d’opposizione intravedevano come il cavallo di Troia per finanziare l’università del Cepu.
Dopo un’accanita discussione, l’articolo è tornato in aula dalla commissione presieduta dall’Aprea con una formula che lascia aperta la porta del finanziamento delle università telematiche a discrezione del ministro, sentiti gli organismi di valutazione. D’altra parte, che la presidente avesse le idee chiare in proposito, lo aveva rivelato proprio il discorso settembrino all’inaugurazione di Novedrate: «In questa legislatura», aveva detto, «un nuovo impulso all’eccellenza dell’offerta accademica tutta e delle università telematiche in particolare potrà arrivare, ne sono certa dalla prossima riforma dell’università annunciata dal governo Berlusconi». *Direttore di Campus © Riproduzione riservata
SE FOSSIMO UN PAESE NORMALE IL TERRORISTA PLURIASSASSINO DOVREBBE ESSERE NELLE PATRIE GALERE
Ma siamo poi sicuri che sia meglio che Battisti torni? In Italia sarebbe ben presto messo ai domiciliari e trasformato subito in un opinionista tv DI MASSIMO TOSTI (di sinistra e di destra, ma in luoghi separati) manifesti contro la decisione dell’ex eri Silvio Berlusconi ha incontrato presidente brasiliano di restituirci un criAlberto Torreggiani, figlio dell’oreminale condannato a due ergastoli. fice ucciso trentuno anni fa dai ProDetto questo, è legittimo porsi una letari italiani per il comunismo di domanda: ma siamo davvero sicuri che Cesare Battisti. Un gesto importante, l’estradizione sarebbe stata la soluzioalmeno dal punto ne migliore? C’è di vista simbolico. qualcuno convinto Il giorno prima il che, nel caso la neSe Battisti fosse riconsegnato presidente del Conopresidente Dilma a Roma si riaprirebbe subito, siglio aveva parteRousseff cancelda noi, il dibattito sull’opportucipato ai funerali lasse la decisione nità di concedere i domiciliari dell’alpino ucciso in del suo predecessoa uno scrittore di successo che Afghanistan l’ultimo re e mentore Lula, gode delle simpatie della signora dell’anno. Per diverBattisti sconterebCarlà. Il dibattito si avvarrebbe si motivi le altre alte be fino in fondo in cariche dello Stato Italia le condanne di interventi illuminati di molti non erano presenti pronunciate conintellettuali nostrani che sono alla cerimonia svoltro di lui? Siamo forcaioli nei giorni pari e pietosi tasi nella basilica proprio certi che nei giorni dispari: dipende romana di Santa non si riaprirebbe, da chi è l’indiziato, Maria degli Angeli. da noi, il dibattito l’imputato o il condannato La sensibilità isti(con gli interventi tuzionale del capo illuminati di molti del governo merita intellettuali forcadi essere segnalata, anche perché spesso ioli nei giorni pari, pietosi nei giorni diin passato, in circostanze analoghe, la sespari. Dipende dal profilo dell’indiziato, dia a lui riservata era rimasta vuota. Le dell’imputato e del condannato) riguardo famiglie delle vittime di azioni di guerra all’opportunità di concedere i domiciliari o di delitti particolarmente efferati meria uno scrittore di successo, che gode della tano di ricevere un abbraccio da chi rapsimpatia della signora Carlà? presenta l’Italia. È altrettanto giusto (e, Bene o male, da quando è approdato soprattutto, comprensibile) che la gente in Brasile, Battisti non lo si è mai visto
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occhi degli altri, mai con i propri) Giua passeggio nella spiaggia di Copacabalio Andreotti mentre si sbaciucchiava na, o impegnato a rilasciare interviste con Totò Rijna), ma che ha trattato sul futuro del Sudamerica o sul destino da infami i pentiti del terrorismo, non di Ronaldinho. Qui da noi, parecchi credendo a una sola parola di quel che giornalisti farebbero a gara per procuraccontavano. rarsi un permesso per fargli visita a San C’è sempre qualcuno che dice che le Vittore, o a Regina Coeli, e raccogliere sentenze vanno le sue opinioni su rispettate, ma non Berlusconi, su SerBene o male, da quando Cesare sempre (soprattutgio Marchionne o Battisti è approdato in Brasile to se a farne le spesulla deriva autorinon lo si è mai visto impegnato se sono i loro amici taria del TgUno da a rilasciare interviste sul futuro o gli amici degli quando a dirigerlo amici. c’è Augusto Mindel Sudamerica o sul destino Il garantismo zolini. E questo di Ronaldinho. In Italia invece (tanto per chiariverrebbe persino molti giornalisti farebbero re) dovrebbe valere interpretato come a gara per andarlo a intervistare nei confronti di chi un segno di demoa Regina Coeli o a San Vittore non è stato ancora crazia, da contrapper raccogliere le sue opinioni su condannato in va porre alle ataviche Berlusconi, o su Marchionne o definitiva (una cainclinazioni dittategoria che va saltoriali del Sudamesulla deriva autoritaria vaguardata, come i rica, oggi smentite del Tg1 da quando a dirigerlo panda, soltanto se dalla nuova aria c’è Augusto Minzolini è contigua). Per gli che tira. altri dovrebbe valeC’è sempre in giro re il concetto del rispetto della legge e dei qualcuno che rispolvera le teorie sulle verdetti. Troppo complicato, in un paese leggi speciali che, negli anni di piombo, come il nostro. avrebbero consentito la persecuzione dei Di problemi ne abbiamo già parecchi. ragazzi che lanciavano bombe per alleTenetevelo pure il vostro Battisti. Non è gria, o di «compagni che sbagliavano». cinismo, questo. È una presa d’atto dell’opC’è sempre in giro qualcuno che ha portunità di evitare rogne ulteriori. creduto fino in fondo ai pentiti di mafia © Riproduzione riservata quando sostenevano di aver visto (con gli
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Giovedì 21 Aprile 2011
PRIMO PIANO
Il leader della Lega ticinese, Nano Binasca, minaccia ritorsioni contro l’Italia. Trattative in corso
Segreto bancario contro frontalieri Le nostre banche non si toccano, dice, mettetevelo nella crapa DI
GIAMPAOLO CERRI
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ettete in riga Tremonti e nessuno toccherà i 60mila frontalieri italiani. È questo il succo della richiesta di Giuliano «Nano»Bignasca, leader della Lega ticinese, al suo omologo e confinante Umberto Bossi. Bignasca, un minuto dopo gli exit poll di domenica 10 aprile, che lo davano al 29% nelle Consiglio nazionale, aveva cominciato a parlare di ridurre i permessi di entrata e i ristorni delle imposte alla fonte a favore dei comuni italiani confinari, previsti da un trattato Roma-Berna. E alla Lega Nord lo prendono molto sul serio, perché molti di quei municipi sono padani e buona parte di quanti attraversano le dogane ogni giorni per entrare nel Cantone sono elettori del Carroccio.Incaricato della trattativa con Bignasca è il delfino del Senatur è Giancarlo Giorgetti, figlio di pescatori del Lago di Varese. Al bocconiano di Via Bellerio, sede federale padana, spetta anche l’ingrato compito di tentare di ammorbidire il ministero dell’Economia il quale, pur
essendo un habitué dei raduni agostani col Senatur a Ponte di Legno, non notoriamente è incline a ritornare sulle sue posizioni. Com’è noto, Tremonti, approvato lo scudo fiscale, ha inaugurato la linea dura verso i paradisi fiscali circonvicini, San Marino e la Svizzera, richiedendo alle Fiamme gialle un controllo dei confini ai fini valutari cui i ticinesi non erano abituati e che li ha indotti a temere per il proprio sistema bancario. Di qui il chiaro appello di Bignasca ai cugini leghisti. E non per parafrasi. Intervistato il 15 aprile dalla Prealpina, il quotidiano varesino più addentro alle cose leghiste, Nano va giù duro: «Il segreto bancario non si tocca, mettetevelo nella crapa» e poi declina la sua ricetta far pagare ai frontalieri «gli oneri sociali svizzeri», perché «questi qui fanno i furbi, non versano né di qua e né di là. Ciula!», ruggisce nell’orecchio del giornalista, «siccome voi non siete buoni a far pagare le tasse, ci pensiamo noi». Idea
che s’accoppia, per forzare l’assedio tremontiano al segreto bancario, con quella di pagare all’Italia i frutti del maxi-deposito tricolore nelle banche ticinesi, i quattrini di quanti non si sono fidati dello Scudo di via dell’Economia.Anche qui il Bignasca-pensiero ha il pregio della chiarezza: «Nelle nostre banche ci sono depositati 120 miliardi di euro di voi ‘taliani», spiega, «per i quali noi vi storniamo una una tantum di 12 miliardi, l’equivalente di
Umberto Bossi
due finanziarie. Dopo di che vi mandiamo ogni anno il 12 per cento dei dividendi». L’alternativa, lo dice senza troppo ricamarci su, è chiudere i valichi: «Tutte le mattine ci sarà una coda di chilometri alla frontiera, controlleremo tutti fino all’ultima virgola». Uno scenario che i lavoratori andata e ritorno non faticano a credere dopo che, l’anno scorso, gli ultradestri dell’Unione democratica di centro - stretti alleati della Lega, tanto d’avere rinunciato ai propri candidati nel Ticino - hanno lanciato la campagna di affissioni Balla i ratt, che raffigurava i topi (italiani, anzi ‘taliani) ballare, rodendo di gusto il formaggio elvetico. Insomma Bignasca minaccia un foera di ball bello e buono. D’altra parte sa come farsi intendere dai suoi dirimpettai lumbard, essendo il suo un frasario molto bossiano. In attesa del chiarimento, il segretario della Lega ticinese tiene caldo il dossier prendendo di mira i sindaci dei comuni sul confine italiano che paventano la riduzione dei già citati ri-
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storni, attualmente al 38,8%, fino a quota 12,5, percentuale restituita dall’Austria a compensazione delle tasse pagate dai frontalieri altoatesini che vanno a lavorare ogni giorno oltreconfine. Nell’ultimo numero del Mattino della Domenica, il settimanale fondato prima ancora della Lega, Bignasca ha attaccato il primo cittadino di Luino (Varese), Andrea Pellicini, definendolo spregiativamente «bambela», vale a dire stupido. Per la cronaca, Pellicini è stato eletto con una sua lista civica, La nuova frontiera, appoggiata dalla Lega Nord. ©Riproduzione riservata
DECRITTAZIONI di Marco Cobianchi - Corrado Passera: «Per Parmalat serve un’operazione industrialmente solida». Voleva dire: - Non contate su di me.
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Martedì 5 Aprile 2011
PRIMO PIANO
Tocca alla deputata Pdl Centemero trovare la quadra, anche coinvolgendo i leghisti, sempre più forti
La Brianza nel mirino di Silvio
Berlusconi vuole vincere ad Arcore e dintorni e sceglie gli uomini DI
GIAMPAOLO CERRI
A
lla fine anche qui conta Silvio. Nelle elezioni comunali che interessano alcuni importanti centri della Brianza monzese, a Nord di Milano, da Arcore a Desio, da Varedo a Vimercate, Silvio Berlusconi pesa moltissimo e non solo per quel nome sui simboli elettorali capace di drenare consenso un po’ dappertutto. Il Cavaliere ha personalmente incontrato, domenica 27 marzo, il candidato a sindaco arcorese, Enrico Perego, leghista, in quel di Villa San Martino. Ad accompagnarlo, l’onorevole Elena Centemero, la 42enne docente di latino e greco nei licei, che il premier volle in Parlamento tre anni fa, secondo i maligni perché era stata insegnante dei suoi figli. La Centemero, che dal luglio scorso, coordina il Pdl in Brianza, avrebbe verificato tutte le candidature con il presidente del Consiglio, anche per battere i mal di pancia interni degli ex-aennini e per mettere in riga le due anime ex-forziste degli Azzurri del ’94, quelli vicini al ministro Paolo Romani, e quelli detti formigoniani, piuttosto forti in quest’area lombarda e non solo perché storica zona di
radicamento ciellino. La professoressa ha anche il compito di tenere a bada gli appetiti leghisti che, fra politiche e regionali, hanno raccolto un livello di consenso mai raggiunto in questa terra, che sarebbe pure quella di Alberto da Giussano, l’icona storica dei leghisti. Qui, per anni, l’eredità della Balena bianca, divisa fra Forza Italia e Margherita, aveva fatto la differenza: a giunte di centrodestra, col rinforzo di An, si opponevano, a Paderno come a Giussano, amministrazioni di centro-sinistra, supportate dai Ds. Ora però che il vento del Nord è tornato a soffiare impetuoso (oltre 90mila voti a Monza e Brianza pari al 24,4 dei consensi nelle regionali di un anno fa) il partito di Umberto Bossi, che ha il suo uomo di punta nell’amatissimo sindaco di Seregno, Giacinto Mariani, vuole i suoi nei comuni da rinnovare, minacciando corse in solitaria. A Varedo, la Centemero ha dovuto addirittura cambiare candidato pidiellino, Diego Marzorati al posto di Fabrizio Figini, per avere il placet dei lumbard, mentre a Vimercate, provocando la rivolta del Pdl locale, la professoressa ha detto sì al leghista Elio Brambati. A preoccupare la coordinatri-
ce è invece Desio, città che ha visto sciogliersi il consiglio comunale eletto un anno fa, per il contraccolpo dell’inchiesta sulle ‘ndrine calabresi in città e sui loro rapporti con il Pdl locale, inchiesta che va a processo domani a Monza per una serie di reati “minori”, stralciati dal procedimento-madre che si terrà a Milano in maggio. Una vicenda, questa, che era costata l’incarico di all’assessore regionale all’Ambiente e coordinatore provinciale del partito, Massimo Ponzoni, proconsole formigoniano in Brianza e mister preferenza con 11mila voti alle regionali. A sbrogliare la matassa di Desio è stato mandato un desiano doc, l’ex-giornalista Renato Farina, l’agente Betulla del Sismi di Niccolò Pollari, che sta cercando di trovare la quadra imbarcando l’Udc, per tenere botta, almeno al primo turno, alla candidatura in solitaria della Lega. Ma, a poco più di un mese, un nome non c’è. Delle tensioni a destra non pare avvantaggiarsi il Pd, che non riesce a scuotersi da una crisi profonda, documentata anche di recente dall’abbandono della storica senatrice brianzola, Emanuela Baio, passata ai rutelliani. Il partito, governato dal mancato presidente provinciale
Gigi Ponti, le sta provando tutte, fino ad affidare la segreteria del capoluogo, a un industriale molto noto, Marco Sala, socio della ItalSilva di Seregno, famosa per il suo antico sapone di Marsiglia. Il partito di Pier Luigi Bersani, oltre alla concorrenza con
dipietristi e rossoverdi di Sel, sta temendo un’ulteriore erosioni di voti ad opera dei grillini, piuttosto aggressivi sul tema dell’ambiente, che la bolla speculativa dell’immobiliare, abbattutasi sulla Brianza con cubature pauliste, ha reso incandescente. © Riproduzione riservata
A CIASCUNO IL SUO DI
RICCARDO RUGGERI
Fine settimana a Bordighera, occasione per andare a Ventimiglia, oggi Lampedusa del Nord. Non occorre essere un seguace di Lombroso per capire che tra i clandestini non ci sono rifugiati (ne vedi uno, vero, e capisci tutto: ha gli occhi, il volto, i gesti di chi soffre, è disperato). Questi sono tutti sani, giovani, tunisini che vogliono ricongiungersi con i loro famigliari, in Francia. A Ponte San Luigi, i francesi hanno creato barricate (credono di essere ancora nel 1871?), utilizzano furgoni blindati, li respingono. Accertare chi ha diritto all’asilo politico? Schengen? Sono regole che valgono per noi, non per loro. L’Onu, l’Europa, le organizzazioni umanitarie, i politici e i media (anche nostrani) sono tutti lì a compiacersi per il coraggio (?) di Sarkò, Carlà, Bernard Henri-Levy che irrorano di missili la Libia. Pochi mesi fa, l’Europa ci ha minacciato: “ basta respingimenti o avrete gravi conseguenze”. In questo lembo estremo di Ponente, cinquant’anni fa era iniziata l’integrazione vera fra calabresi (uomini) e liguri (donne); i loro figli e nipoti oggi sono dei liguri, la contadina che mi vende i carciofi violetti di Perinaldo ha la soluzione: “ci penseremo noi a trasferire i tunisini attraverso i sentieri di montagna”. Li conosco, sono quelli scoscesi, pericolosi, dei passeur, del “Vento Largo” del poeta Biamonti. Poveri tunisini, alla frontiera credevano di trovare ad accoglierli i philosophes sans frontieres (copyright FT), invece c’era la Gendarmerie. I ricongiungimenti avverranno in Italia.
AVEVA ESORDITO NEGLI ANNI SETTANTA DEL SECOLO SCORSO E SI RITIENE ANCORA UN NUOVO FILOSOFO
B-Henry Lèvy: un uomo, un ciuffo, una zaffata di parfum Tous ensemble contre Gheddafì! Pour la gloire! Pour l’eau de Cologne! Pur le camembert! DIEGO GABUTTI
citato con l’aria di chi ne approva ogni parola le opere antikantiane del filosofo Jeanernard-Henry Levy: un uomo, Baptiste Botul. Peccato che Botul (autore, un ciuffo, una zaffata di parfum. nel 1946, d’un saggio sulla vita sessuale Aveva esordito, negli anni setdi Kant) non esista. È stato inventato da tanta dell’altro secolo, da nouveun giornalista del settimanale satirico Le au philosophe, cioè Canard enchaîné, scoprendo l’acqua ma Bernard-Henry Come philosophe BHL non è mai calda: il comunismo Levy, oltre a credestato un genio. Anzi, filosoficanon era il paradiso re nell’esistenza di mente parlando, è incline agli in terra (ma va) e, questo scherzo da incidenti clamorosi. Nel suo libro dovendo scegliere candid camera, ha con chi bere un perpreteso che i suoi De la guerre en philosophie, nel nod, se con Mao e Pol lettori credessero quale si proponeva semplicePot oppure con Alekche lui ne conoscemente di ridurre in coriandoli sandr Solzenicyn, un va perfettamente le idee di Kant, si è addirittura gentiluomo brinda le opere, tanto da appoggiato al fi losofo Botul. alla salute del seconcitarle in nota. Peccato che Botul non esista. È do e non del primo. Chissà cos’alstato inventato per scherzo e di Dovendo scegliere, tro non ha letto e però, tra Solzenicyn quali altre barzelsana pianta da un giornalista e Cesare Battisti, lette non ha capito del famoso settimanale satirico il terrorista italien, questo giovanotto francese le Canard enchaîné BHL sceglie quest’ulinvecchiato, con la timo: l’ollalà oblige. sua perfetta maniCome philosophe, a parte l’incedere cure e con le sue camice sbottonate che ne pomposo e sculettante insieme (strana fanno (così ha scritto il giornalista Angelo combinazione) dei suoi pamphlet, BHL Rinaldi, direttore in pensione del Figanon è mai stato un genio, diciamolo. Anzi, ro) «le plus beau décolleté de Paris», con la filosoficamente parlando, è incline agl’insua prosa caramellosa da boudoir, i suoi cidenti. Giusto un anno fa, per esempio, in abitucci firmati, le citazioni spericolate, le un libro intitolato De la guerre en philososmorfiette e i bonbon e le pernacchiette, phie, nel quale si prefiggeva di ridurre in la giacca gettata sulla spalla, le banalità coriandoli tutte le «critiche» d’Immanuel spacciate per teorie platiné. Chissà quante Kant, «questo pazzo furioso del pensiero, altre cosa ignora e quante non ne capisce questo arrabbiato del concetto», BHL ha questo philosophe quando esorta la France
B
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mità e il diritto». Dopodiché, allons enfants a battersi contro Gheddafi senza paura. de la patrie et voilà, via con les Mirage, ché Pour la gloire! Pour l’eau de Cologne! Pour le jeux sont fait et rien ne va plus. Chissà la grandeur! Pour le camembert! Anche se come sarà contento il presidente francese non ha mai votato Nicolas Sarkozy, BHL da quando BHL ha fatto sapere ai lettoha scritto sul Corriere della sera di qualri italiani del Corriere della sera che lui, che giorno fa che Monsieur le Président il nemico di Kant, ha «subito il riflesso il collega di Botul, giusto, non il calcoChissà quali altre barzellette l’erede di Tartarino lo, il riflesso, uno di non ha capito questo giovanotto e Louis de Funès, quei riflessi puri che, invecchiato, con la sua perfetta oggi è nuovamente come il calcolo o la manicure e con le sue camicie «fiero del suo patattica, fanno la maese, cosa che non teria della politica», sbottonate che ne fanno, come gli accadeva dal 16 cioè (per venire al ha scritto l’ex critico letterario maggio 2007» (forse punto, cosa alla quade il Figaro, Rinaldi, «le plus era il compleanno di le il collega di Botul beau décolleté de Paris» con la Brigitte Bardot). si rassegna con difsua prosa caramellosa da budoir, Secondo Gerard ficoltà) «lo stesso i suoi abitucci fi rmati, le sue tipo di reazione che Depardieu, che citazioni spericolate, le smorfietebbe François Mitnon sarà un filosofo terand il giorno in ma che sa riconoscete e le pernacchiette, la giacca cui, in circostanze re un gigione quangettata sulla spalla, le banalità tragicamente simili, do ne vede uno, BHL spacciate per teorie platinè quando la Bosnia «è un motorino intelbruciava, lo chiamai lettuale sputacchioda Serajevo per annunciargli che avrei so e chi ha voglia di seguire un motorino? portato da lui il presidente bosniaco IzetImpartisce lezioni e punisce le persone. È begovic». Così BHL ha chiamato anche uno truccato da cavaliere bianco, anzi è Sarkozy per dirgli (e l’altro «giusto, ben una sciarpa bianca, come il Duca di Guidetto, che profondità, e che tête la sua, sa nel Cyrano. Non ha i coglioni. È come mon cher Levy!») che «c’è una cosa, forse quelle auto scappottate belle da guardare una sola, che una democrazia può fare, cioè ma sulle quali non salireste mai». E se lo dichiarare che Muammar Gheddafi non tratta così Depardieu, pensate cosa non è più degno di rappresentare il paese e che gli farebbe Kant, se fosse vivo. O Botul, soltanto voi, rappresentanti della Comune se esistesse. Libera di Bengasi, ne avete ormai la legitti© Riproduzione riservata
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Martedì 24 Maggio 2011
PRIMO PIANO
Il tramonto dell’ex insegnante dei figli del Cav. Per il flop elettorale critiche anche a Farina
Il Pdl boccia la professoressa
Partito sconfitto in Brianza, sotto accusa la Centemero DI
L
GIAMPAOLO CERRI
a professoressa ha le ore contate. Così si dice nei circoli pidiellini brianzoli di cui Elena Centemero, 43 anni, docente di latino e greco (anche dei figli di Silvio Berlusconi), prima di finire alla Camera, è coordinatore provinciale. L’arretramento complessivo del partito in Brianza, che alle regionali di un anno fa aveva votato compatta per il Cavaliere, le viene addebitato, senza se e senza ma. Del resto Centemero non è neppure amatissima: la sua nomina, nel giugno dell’anno scorso aveva già arroventato il dibattito interno fra le varie componenti. Quando, Massimo Ponzoni, desiano, colonnello formigoniano in Brianza e coordinatore, finito sotto inchiesta per i suoi presunti rapporti con le ndrine calabresi, si era autosospeso, il nome della Centemero era arrivato col placet diretto del premier. O almeno così dichiararono, in una frettolosa conferenza stampa, lo stesso Ponzoni e il suo successore. «Ringrazio Berlusconi che personalmente mi ha chiesto di assumere questo incarico, lo ringrazio per la fiducia che mi ha accordato due anni fa e mi conferma ora», aveva detto pubblicamente la professoressa, sostenuta anche da Guido Podestà, che all’epoca era re-
Elena Centemero sponsabile regionale. Poche ore dopo, da Milano, gli ex-aennini avevano dettato alle agenzie commenti velenosi: «Non erano questi i patti», avevano strepitato all’unisono il vicesegretario Massimo Corsaro e soprattutto di Roberto Alboni, leader brianzolo della componente. Ma ormai l’annuncio era stato dato: «Ponzoni consegna al Pdl un partito in ottimo stato», aveva continuato Centemaro, «come commissario unico assumo il coordinamento su di me, per arrivare alla preparazione dei congressi». Alla fase delle assise di par-
Renato Farina
tito, Centemero non ci arriverà, visto il severo responso delle urne: Arcore quasi consegnata al Pd, Vimercate non riconquistata, così come Verano. A Vedano, a due passi dall’autodromo di Monza, la decisione di scegliere un ragazzino ventenne, Fabio Blasigh, è costata al partito il dimezzamento dei consensi. E se a Biassono e Lazzate le vittorie sono tutte leghiste, a Varedo il primato è arrivato per il boom dei grillini, che hanno eroso l’11 per cento a sinistra, mentre a Limbiate il successo, al primo turno, è da condividere anche con una forte lista civica. Una
via crucis elettorale che conduce al Calvario di Desio, la città di papa Achille Ratti e di don Luigi Giussani, defunti come l’Autobianchi che aveva qui gli stabilmenti, ma anche la città dove il consiglio comunale si è sciolto per il coinvolgimento di alcuni membri nelle inchiesta sulla ndrangheta. Desio è stata il teatro di un clamoroso affondamento pidiellino: qui al ballottaggio con il Pd (37%) ci va la Lega nord (20,54%), che correva da sola. Il Pdl, guidato dal commissario Renato Farina, parlamentare e desiano doc, si era
Hanno un peso significativo. Se il Pdl non si cura di loro, ci pensano sindacati e patronati
Si chiamano elettori comunitari ma nessuno se li fila. Tranne Mastella
P
DI
MARCO BERTONCINI
ochissimi, come sempre in ogni elezione per sindaci e consigli comunali, ci hanno fatto caso, ma vi sono stati elettori non italiani che hanno espresso il proprio voto. Infatti, votano per il comune pure i cittadini appartenenti a uno Stato membro dell’Unione europea residenti nel comune interessato al turno, purché presentino apposita istanza al sindaco, entro il quarantesimo giorno antecedente quello della votazione. Non stranieri, dunque, bensì comunitari. Non si tratta di numeri insignifi canti, perché nel 2010 si calcolavano in 1.200mila i cittadini comunitari residenti in Italia. Di questi, quasi 890mila erano rumeni. Stiamo parlando del 2% della popolazione della penisola. Solo 37mila, però, sono quelli che si sono registrati nelle apposite liste elettorali aggiunte in questo turno. Attenzione: in alcuni grandi centri la percentuale dei cittadini comunitari iscritti sul totale degli iscrivibili è stata rispettabile (il 14% a Milano, quasi il 12% a Bologna). Si tratta di un peso di voti che potrebbe assumere valore determinante quando i
Clemente Mastella contrapposti schieramenti si confrontano con percentuali di differenza sotto l’1%. In ogni caso, si tratta di elettori dei quali bisognerebbe tener conto. A livello politico, l’unico personaggio che si era visibilmente mosso era stato Clemente Mastella,
candidando alcuni rumeni e cercando intese con partiti della Romania. Bisogna, infatti, ricordare che ai comunitari spetta anche l’elettorato passivo: possono essere eletti in comune. Alle elezioni ultime sono stati oltre 24mila i rumeni iscritti per il voto. L’unico candidato che abbia ottenuto un’affermazione palpabile è Valentin Valdman, candidato al comune di Milano per il Pdl, il quale ha portato a casa 646 preferenze. Si è trattato di uno dei pochi casi attestanti l’interesse del Pdl per questi particolari elettori. Una cosa è certa: se, anche attraverso partiti dei paesi di origine con i quali sia collegato a livello europeo, il Pdl non si cura dei rumeni (e poi dei polacchi, e via via delle minori comunità, soprattutto dell’oriente europeo), a preoccuparsene saranno essenzialmente patronati e sindacati. Potrebbe, cioè, ripetersi in certa misura il fenomeno del voto degl’italiani all’estero, seguiti soprattutto da sindacati e patronati (e coagulati dalle associazioni regionali o locali), con difficoltà per il centro-destra di trovare adeguato seguito. © Riproduzione riservata
alleato con l’Udc, rimediando un rovescio senza precedenti: fermi al 18,13%, perdendo oltre la metà dei voti, passati da 5.590 a 2.328, di cui solo un migliaio parrebbero aver fatto lievitare l’astensionismo L’ex-giornalista, che finì nelle inchieste sulla gestione del Sismi da parte di Niccolò Pollari, coinvolgimento che gli valse l’appellativo di agente Betulla e la radiazione dell’Ordine per la sua collaborazione ai servizi, è sulla graticola: accusato numero uno, oltre alla coordinatrice. L’informatissimo Esagono, settimanale controllato dal Policlinico di Monza, una spa da 155 milioni di euro di fatturato, e sin qui molto vicino a Massimo Ponzoni, lo ha attaccato duramente, rinfacciandogli «il presunto rinnovamento», l’alleanza con i casiniani e ribattezzandolo «agente cipresso», con allusione greve al funerale del partito. E dire che Farina, a differenza della Centemero, s’era dimesso subito, secondo un’antica tradizione democristiana. Intanto a Roma, il Pd ha scoperto Desio: negli ultimi giorni pre-ballottaggio arrivano in città Massimo D’Alema, Sergio Chiamparino accompagnato dal rottamatore Pippo Civati, e l’ex fucina Rosy Bindi, siamo pur sempre nella cattolica Brianza-, a chiudere sul palco con il candidato Roberto Corti. © Riproduzione riservata
Casini e Renzi fanno... acqua Con la scusa di parlare della privatizzazione dell’acqua potabile e dire no al referendum del 12 e 13 giugno, oggi a Roma si incontreranno Pier Ferdinando Casini e Matteo Renzi. Il leader dell’Udc e il sindaco di Firenze saranno i protagonisti dell’incontro intitolato «I servizi pubblici locali tra riforma e referendum», in programma oggi pomeriggio nel tempio di Adriano, nella romana piazza di Pietra, sede della Camera di commercio capitolina presieduta da Giancarlo Cremonesi. Oltre a Casini e Renzi, sono attesi il portavoce di Alleanza per l’Italia, Linda Lanzillotta, il ministro per l’ambiente, Stefania Prestigiacomo, l’ex ministro dell’industria Enrico Letta, l’ex titolare della funzione pubblica e presidente della fondazione Astrid Franco Bassanini, il ministro per i rapporti con le regioni Raffaele Fitto. Pierre de Nolac © Riproduzione riservata
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Martedì 7 Giugno 2011
PRIMO PIANO
Si chiama De Monticelli la filosofa-editorialista che batte cassa al neo inquilino di palazzo Marino
La Prof del Fatto agita Pisapia
Il sindaco cerca di smarcarsi dalla supporter troppo entusiasta DI
GIAMPAOLO CERRI
P
iù che dall’atteggiamento arcigno degli alleati in questa complessa fase di formazione della giunta, con il Pd che insiste su Stefano Boeri vicesindaco, Giuliano Pisapia ha il suo bel da fare a guardarsi dai tanti supporters, della prima come dell’ultima ora, pronti a lanciare messaggi, firmare appelli, prendere posizione, insomma stare nella sua onda lunga politica. Ma se è facile gestire un morattiano come Elio Catania, presidente di Atm che, a 48 ore dal successo, gli lancia profferte di collaborazione, in omaggio alla logica del civil servant ma non a quella dello spoil system, più spigoloso potrebbe rivelarsi smarcarsi da personaggi come Roberta De Monticelli, filosofa del San Raffaele, che dalle colonne del Fatto ha scandito la sua vittoria elettorale con toni elegiaci. La professoressa, 59 anni, è assurta alle cronache per un vibrato «non in mio nome» lanciato in
occasione della laurea a Barbara Berlusconi ma soprattutto dell’invito, fatto alla giovane da don Luigi Verzé, fondatore e rettore, a diventare un giorno docente dell’ateneo milanese. «Tengo a dissociarmi», aveva scritto De Monticelli, «combatto da sempre il corporativismo e i sistemi clientelari dell’università italiana, e il progressivo affossamento di tutti i criteri di eccellenza e di merito, oltre che dell’università stessa come scuola
Giuliano Pisapia
di libertà». Reazione sproposita, rispetto a quella che era poco più che una battuta, dato che all’insegnamento si accede per concorso. O per chiara fama, come nel caso della De Monticelli stessa. Nel 2003, quando arriva nell’ateneo da poco fondato da Verzé per dare più spessore culturale al modernissimo ospedale, la De Monticelli insegna a Ginevra. È un cervello di rientro che beneficia, ironia della sorte, di una legge di Letizia Morattiministro dell’Istruzione. È brava, è donna: per il San Raffaele un bel colpo di immagine. A don Verzé la segnala Daniela Franchi, all’epoca segretario generale di Science Park Raf, il parco tecnologico del San Raffaele. Un nome importante, e non solo perché nel gotha dell’industrialità bresciana ramo armi leggere, ma in quanto cognata di Giovanni Bazoli, nume tutelare della finanza cattolica con Intesa. Un mondo, quello del cattolicesimo progressivo bazoliano, con cui la De Monticelli s’accordava bene. Finché è stata cattolica.
plateale «not in my name» sulla Perché nell’ottobre 2008, per vicenda della berluschina. contrarietà alle posizioni delle Nello stesso periodo, dava gerarchie in tema d’eutanasia, alle stampe il suo La questioannunciava la sua uscita con ne morale, in cui attaccava «le una lettera al Foglio di Giutare endemiche del familismo liano Ferrara. e la mafiosità dei Nel frattemcomportamenti» depo anche al gli italiani e in cui, San Raffaele in molti individuano le cose s’erano una critica monocormesse al pegde al berlusconismo. gio. Una grossa Uno slancio che la delusione, anzi rendeva perfetta per due, gliele avele colonne de Il Fatva procurate to. Era infatti sotto Verzé: uscito l’egida di Antonio Massimo CacPadellaro&Marco ciari per gli Travaglio che, apimpegni politici a Venezia, sepunto, cantava le Roberta De Monticelli condo molti ossorti magnifiche e servatori la De progressive della MiMonticelli avrebbe aspirato al lano giuliana, (dal vezzo di chiaruolo di preside, ma il fondatore mare il neosindaco col nome di le preferì Ernesto Galli Della battesimo cui nemmeno lei si Loggia e, successivamente, Misottrae). «Ci vorrebbe un poeta chele Di Francesco. a dire il respiro della piazza ieri Eppure, la De Monticelli, con a Milano», ha scritto il 1 giugno pochi altri, aveva accesso al scorso, «la meraviglia che cresce cenacolo, qualche professore, con la luce rosa sulla facciata alcuni manager e alcuni laici del Duomo, per farsi col passare consacrati, che il sacerdote ridelle ore, a mano a mano che univa mensilmente. virava in pura gioia». Dall’indaForse anche per questo la gine filosofica alla poesia pura. © Riproduzione riservata scelta portava alla rottura e al
INFATTI NELLA CAMPAGNA ELETTORALE AVEVANO ENTRAMBI UN CHE DI ASSONNATO E DI IMBAMBOLATO
E se anche alla Moratti e al Cav avessero dato il sonnifero? Potrebbe essere una manovra volpina per poter chiedere l’annullamento del campionato elettorale DI
DIEGO GABUTTI
«Chi la dura la vince», come dice Tonino Di Pietro, oppure la vince chi «l’ha duro», come sostiene invece Umberto Bossi? *** «Pisapiani» (per dir così) della bicicletta, i ciclisti de sinistra sono guardati con sospetto dai «ciclisti della classe media, sostenitori d’un uso convenzionale della bicicletta, da sempre ossessionati da comportamenti rispettosi della legge». Ai ciclisti rivoluzionari, di cui ci racconta la storia Chriss Carlsson, autore di Now Utopia, Shake Edizioni 2009, la bicicletta piace «controculturale» e «sovversiva». Forse piace anche «altrui», oltre che «illegale», visto che Carlsson si congratula con le «comunità ciclistiche» perché sono use «sbeffeggiare il senso di proprietà» (e intanto preparano «un futuro postapocalittico con leggi fisiche differenti»). Un tempo Edmondo De Amicis, il più candido dei socialisti, abbinava l’amore alla ginnastica, ma ci voleva un marxista creativo come Carlsson, «una delle figure più innovative del Movimento americano», per trasformare la bicicletta in uno sputnik, come ai tempi della guerra fredda. *** Un referendum antinucleare senza una scelta nucleare da abrogare. È la nuova frontiera della lotta politica in Italia: la lotta dura senza paura ai fantasmi. Tra poco, demolite le centrali nucleari che non ci sono, e dopo aver messo sotto processo gli untori berlusconiani
che hanno provocato il terremoto in Abruzzo, i ghostbuster italiani chiederanno leggi speciali contro gli iettatori e la gogna per chi nega l’esistenza di Babbo Natale. Roberto Saviano, smettendo per un momento di camminare sulle acque, scriverà una prefazione al Malleus maleficarum, il manuale dei cacciatori di streghe. *** Al politico, secondo Ennio Flaiano, come a «colui che ruba», conviene «far mostra d’amare i bambini e di temere Iddio». *** Leoluca Orlando, con lo sguardo sognante dietro le palpebre gonfie, spiega la sconfitta dei berluscones a Milano con l’attacco alla procura perché «la Procura di Milano per i milanesi è un po’ come il Duono di Milano, come la Madunina». O anche come «el panetun», direbbe Alberto Sordi nei panni del vigile esiliato nelle nebbie milanesi. Come «la galeria, el sciur culega, el magun». *** «Sul finire degli anni ottanta il direttore delle Presses Universitaires de France, Nicos Poulantzas, si sforzava di completare una vasta collana di libri sul marxismo e la vita contemporanea, avviata negli anni settanta: Marx e la cucina, Marx e lo sport, Marx e il sesso, Marx e il traffico, Marx e vattelappesca. Ma non c’era verso: da tempo Poulantzas aveva esaurito gli scrittori francesi fissati con Marx. «La nostra sola speranza è l’America» egli confidò a un collega poco prima di suicidarsi» (Robert
Hughes, La cultura del piagnisteo. La saga del politicamente corretto, Adelphi 1994, p. 95). *** Angelino Alfano, ministro della giustizia, lascia il ministero per diventare segretario (o capataz, coordinatore, coberluscone, o quel che è) del Popolo della libertà. Sarà sostituito nel ruolo di Guardasigilli dall’attuale vicepresidente della camera Maurizio Lupi e, se non da lui, da qualche altro On. Trombetta (è il nome del leggendario deputato travolto e annientato da Totò nello sketch ferroviario di Totò a colori). Come si vede, dopo la batosta elettorale dello scorso weekend, i leader del partito di maggioranza hanno imparato la lezione e adesso ricorrono alla terapia d’urto, Crolla il consenso? Girino le poltrone. *** Ci ricordano che Massimo D’Alema, uscito con le ossa peggio che rotte dalle regionali del 2000, si dimise da presidente del consiglio. Perché Berlusconi non fa altrettanto? Be’, forse perché non ha come alleati gli ex democristiani biforcuti e i veterocoministi invasati che ai tempi non vedevano l’ora di scavare la fossa a D’Alema. O perché non ha per segretario di partito il suo peggior nemico (a D’Alema era toccato Walter Veltroni). *** E se saltasse fuori che anche al Cavaliere, a Letizia Moratti e un po’ a tutti i goleador del centrodestra hanno messo del sonnifero nel tè come ai pallonari propriamente detti? Non sembra
anche a voi che durante la campagna elettorale avessero un ché di sonnolento, d’imbambolato, un’aria per capirci da fumatori doppio? Dopo il giro di poltrone, via Alfano, dentro Lupi, anche questa potrebbe essere una mossa volpina per recuperare i consensi: chiedere l’annullamento dell’ultimo campionato elettorale. *** «Rifiutiamo le astruserie, che l’Aretino più propriamente chiama “abafamenti” o “farnetico di stoltizia” o “chiacchi bichiacchi” o “baiacce” o “frascariuole”. Attenti dunque agl’isbaiaffatori, tra i quali, s’intende, si colloca l’Aretino stesso e ognun di noi mortali; ma c’è modo e modo d’isbaiaffarsi, e s’ha da farlo senza eccessi» (Sergio Ricossa, Manuale di sopravvivenza a uso degl’italiani onesti, Rubbettino 2010, p. 18). *** Non intendo augurare sventure a nessuno, specie ai politici, poverini, ma non mi stupirei se il Palazzo facesse la fine del magazzino Aiazzone, che nei giorni scorsi è stato saccheggiato dai clienti che avevano pagato cucine componibili e letti a castello e divani fintapelle un attimo prima che il mobilificio fallisse senza fare più consegne. Anche i politici italiani sono di nuovo sull’orlo del fallimento. Tira una brutta aria. Troppi italiani hanno creduto che, dopo avere incassato i loro soldi e voti, lo stato avrebbe onorato gl’impegni, che invece sono passati, come sempre, in cavalleria (lo sa bene il Cavaliere). © Riproduzione riservata
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Venerdì 27 Maggio 2011
PRIMO PIANO
E adesso il Carroccio sembra schierarsi compatto con il Pd. L’arrivo di Chiamparino in città
Gallarate, laboratorio di sinistra
Dopo la sconfitta dell’ex consigliera Rai battuta da Bossi (Pdl) DI
GIAMPAOLO CERRI
D
a laboratorio a mattatoio politico. Gallarate, 51mila abitanti, grosso centro varesotto a due passi da Malpensa, fino a un mese fa, nei desiderata dei vertici leghisti, era lo scenario di un Carroccio che andava da solo verso il successo, alleato ma distinto dal Pdl. Dopo il primo turno, col clamoroso stop della candidata di alto profilo, la consigliera Rai, Giovanna Bianchi Clerici, proprio la politica gallaratese rischia di disintegrare, prima che altrove, l’alleanza fra Lega e Silvio Berlusconi. Dopo che, per una manciata di voti, era stato il pidiellino Maurizio Bossi, nessuna parentela col Senatur, assessore all’Urbanistica uscente, a conquistarsi il ballottaggio, in città la tensione politica s’era andata alzando, soprattutto lato Lega. Il “Laboratorio Gallarate” stava a cuore. Non solo i vertici lombardi erano venuti a far campagna per la futura “sindaca”, non solo Giancarlo Giorgetti e Marco Reguzzoni, enfants prodige spesso l’un con l’altro armati, s’erano spesi all’unisono, ma anche il governatore veneto Luca Zaia era corso a far comizi. Senza dimenticare il Senatur, arrivato almeno quattro volte al
Giovanna Bianchi Clerici fianco della Giovanna. Immaginabile lo scorno dei leghisti gallaratesi, cui è toccata la beffa d’essere il partito più votato in città ma perdente rispetto al Pdl che aveva costruito un’alleanza di ben cinque liste civiche più l’Udc e la Destra. Non che i leghisti non avessero le loro civiche d’appoggio: a fianco del Carroccio era schierata, oltre la finiana “Libertà per Gallarate”, “Gallarate onesta”, nata soprattutto per intercettare l’elettorato non leghista ma allarmato dall’estendersi del fenomeno mafioso della ndrangheta.
Andrebbe processato anche Iddio che non ha avvisato sul terremoto
Ed è stata proprio quest’ultima lista civica a rompere gli indugi, a pochi giorni dal voto, annunciando il sostegno al candidato Pd: «Abbiamo fatto campagna con lo slogan ‘Via le mafie da Gallarate’, il che vuol dire andare contro la gestione della città da parte dello schieramento che appoggia Massimo Bossi», ha dichiarato senza tanti giri di parole Stefano Deligios, «inventore della lista». Con Varese News, portale cliccatissimo, che subito notava come alla conferenza stampa «fossero presenti tutti e tre i consiglieri uscenti
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lasciato il comune di Torino, e che vagheggia un «partito del nord» nelle fila piddine, mentre il più romano Valter Veltroni andrà a chiudere la campagna a Varese. L’ex-sindaco, prima di parlare in una sala piuttosto piena a fianco di Guenzani, aveva passeggiato per il centro col candidato, capitando inevitabilmente dalle parti della sede della lista civica padana dove, come ha raccontato lui stesso nel comizio serale, si è intrattenuto piacevolmente con «militanti che si sono qualificati come leghisti e che hanno assicurato il voto per Guenzani». E al capannello di cronisti locali che lo seguivano, Chiamparino ha consegnato dichiarazioni imperniate sul federalismo: «Agli elettori leghisti», ha detto solenne, «dobbiamo parlare di quel che noi della sinistra riformista ci siamo fatti scippare negli anni ‘90: la promozione delle autonomie locali». E presto potrebbero ricomparire le foto del ’95, che immortalavano, a due passi da qui, in quel di Varese, Umberto Bossi e Massimo D’Alema, sorridenti e in maniche di camicia entrambi, in uno dei primi loro incontri. Il Berlusconi I era stato da poco ribaltato. © Riproduzione riservata
GUAI SE ANCHE SOLO UNA MEZZA MANICA VENISSE DEPORTATA FRA LE NEVI
Alemanno è convinto che, restando insieme, i ministeri si fanno compagnia
C
Rinviati a giudizio per omicidio colposo plurimo (e mancato vaticinio) i sette componenti della commissione antirischi, perché non hanno saputo prevedere il terremoto in Abruzzo, io consiglierei i magistrati d’indagare anche Iddio l’Altissimo in persona, Occhio a Triangolo e tutto, sia perché non ha avvertito nessuno del terremoto in arrivo (lui sapeva naturalmente Tutto in anticipo) sia perché non è escluso che l’abbia organizzato Egli stesso (un Diluvio più in Piccolo, una Piaga d’Abruzzo). E Sant’Antonio da Padova, il santo che fa trovare gli oggetti perduti, perché non rinviare a giudizio anche lui? Mai che faccia trovare un colpevole ai magistrati italiani! Mai che eviti alle procure una figuraccia! E San Michele Arcangelo, proclamato da Pio XII protettore di poliziotti e detective, perché non portare anche lui in tribunale, colpevole com’è di concorso esterno in ogni specie di reato impunito?
del Carroccio, Roberto Borgo, Antonio Trecate e Matteo Ciampoli». Un endorsement, condito con manifesti vagamente goliardici: dall’Amaro medicinale Guenzoni, dal nome dello sfidante piddino Edoardo, farmaco spiacevole ma necessario; a un allusivo «Il ‘Massimo’ sarebbe sapere chi tira i fili», che gioca sul nome di battesimo del Bossi pidiellino e sui suoi legami. Uno schieramento apertamente pro-sinistra, seguito anche da quello della lista finiana, che non è sfuggito né a destra né a manca. L’altro ieri è arrivato in città il governatore regionale Roberto Formigoni per un comizio nel quale è piombata, dopo le 22, anche il ministro dell’Istruzione, Mariastella Gelmini, arrivata appositamente da Roma. Ha parlato di «continuità», la ministra, di «coalizione e intese col Carroccio», della «necessità di andare avanti», ma la sensazione è che la Lega si schiererà compatta col Pd. Anzi, in città molti stanno già rievocando (rovesciandolo) il naso turato di un Indro Montanelli pro-Dc alle politiche del 1976, dinnanzi all’incipiente sorpasso comunista. Non a caso il Pd ha spedito a Gallarate il suo esponente più gradito a Settentrione, quel Sergio Chiamparino che,
DI
ISHMAEL
he Milano predona tenga giù le mani. Non ci provi neanche. Gianni Alemanno, sindaco della capitale, saprà difendere ogni singolo ministero (e anche ogni singolo «dipartimento», e persino ogni singolo burocrate, ogni singola risma di carta, ogni singolo pennarello a punta fine) fino al sacrificio — se necessario — dell’ultima mezzamanica. Umberto Bossi, il solito ingordo, vorrebbe portare almeno un paio di dicasteri lassù nelle nebbie padane, al freddo e al gelo, mentre al governatore del Piemonte Roberto Cota, parlando per la capitale sabauda, ne basterebbe anche soltanto uno (ma quello dell’industria, oppure quello del lavoro… niente ministeri del pentu, prego, come dicono a Torino). Ma c’è un limite a tutto, anche alle favole federaliste, e Alemanno non permetterà che i suoi ministeri se ne vadano raminghi, tra le nevi eterne, in terre incognite, terre d’orsi e di lupi, come migranti nordafricani in fuga dalle cannonate della Nato e dei Colonnelli Islamici. Che cosa c’è di male, in fondo, nel centralismo? E poi, restando insieme i ministeri si fanno compagnia, mangiano alla stessa mensa, frequentano gli stessi locali, prendono la metropolitana alla stessa ora, stessi film, stessi giornali, stesso totocalcio. Con che cuore volete separarli? No, niente da fare, non provateci neanche.
Se avanzo, seguitemi, s’esalta il sindaco de Roma. Piuttosto le barricate intorno ai Palazzi! A fuoco gli sportelli del Bancomat! Ardisco, non ordisco! Vincere, e vinceremo! Marciare, non marcire. Ultimi di ieri, primi di domani! E boia chi molla! Anche se il Senatùr e i suoi nordisti trinariciuti non facessero sul serio, anche se stessero soltato straparlando di ministeri da trasferire al nord nell’illusione che ciò, in qualche misteriosa maniera, possa portare al voto i milanesi che al primo turno hanno disertato le urne evitando così di mandare definitivamente a bagno il centrodestra, be’, anche in questo caso Alemanno urlerebbe il suo sdegno. Ci sono materie sacre, delle quali non è lecito scherzare: una di queste materie (come direbbe Pino Rauti, suocero del sindaco de Roma) è la Tradizione con tutte le sue brave maiuscole e il suo frou frou guerriero, un’altra sono i ministeri con i loro clientes. Roma doma (e non perdona) fin dalle epoche più remote. Perciò attenti a come vi muovete, o leghisti, perché la causa dei ministeri inamovibili ha trovato il suo esercito, come si può leggere sul Secolo d’Italia (giornale de destra dopo essere stato per qualche tempo organo dei futuristi e quindi de destra e de sinistra insieme): «La destra romana (e non solo) a pronta a scendere in piazza se si dovesse continuare a vagliare l’ipotesi». Neanche l’ipotesi! Nessuno la vagli! © Riproduzione riservata
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Venerdì 27 Maggio 2011
PRIMO PIANO
Il bilancio 2010 di viale dell’Astronomia. Pesa l’assenza di dividendi distribuiti dal quotidiano
Colpo di Sole per Confindustria
I proventi calano da 48 a 41 mln. Contributi stabili a 39 mln DI
E
MICHELE ARNESE
ffetto Sole su Confindustria. Le entrate totali in calo nel 2010 per la confederazione di viale dell’Astronomia hanno un motivo: l’assenza dei dividendi distribuiti dal Sole 24 Ore, che invece nel 2009 fece affluire nelle casse dell’associazione degli industriali 6,4 milioni di euro. Così i proventi complessivi di viale dell’Astronomia, come si rileva dal bilancio di esercizio 2010 della confederazione presieduta da Emma Marcegaglia approvato due giorni fa dall’assemblea privata dell’associazione, si sono ridotti da 48,5 milioni di euro a 41,8 milioni. Sono rimasti stabili, invece, i contributi associativi, attestandosi a 39,3 milioni di euro. I tagli alle spese sono comunque evidenti. Il totale degli oneri passa dai 42,3 milioni di euro del 2009 a 39,1 milioni, raggiungendo il minimo storico degli ultimi 10 anni. Il costo del personale, pari a 17,2 milioni di euro, registra una riduzione rispetto al bilancio 2009 del 3,8%. L’organico complessivo alla fine dello scorso anno segnava 244 dipendenti, con 16 uscite e 21 entrate. L’organico totale è simile a quello del 2007,
quando i dipendenti erano 249. Inferiori ai 319 del 2004. Negli anni (si nota osservando le tabelle del rendiconto) c’è stato un calo degli addetti alla struttura confindustriale, mentre si è registrato un incremento dei collaboratori di viale dell’Astronomia e dei dipendenti delle società controllate dalla confederazione degli industriali. Anche gli acquisti di beni e servizi sono calati, ri-
spettivamente del 29% (toccando quota 1,4 milioni) e del 3% (per 13 milioni complessivi dopo le diminuzioni). I tagli più significativi si rilevano nelle voci «viaggi e trasferte» (meno 14%), «canoni di locazione e manutenzione attrezzature» (meno 17%) e «Rappresentanza e missioni estere» (meno 35,7%). Nella sequela di tagli non è incappata
Emma Marcegaglia
to al valore di costo iscritto in biinvece la voce «consulenze e lancio pari a euro 8.395.027», si collaborazioni», che ha regilegge nel bilancio, «non si ritiene strato una crescita dell’1,5%, che tale minor raggiungendo valore debba quota 2 milioni Si sono fatti sentire i essere motivo di euro. I vertitagli della Marcegadi abbattici della Confinglia. Il totale degli mento del codustria hanno sto originario, anche discusso oneri è passato da non avendo se abbattere o 42,3 a 39,1 milioni carattere di meno il costo di euro, con un costo persistenza in originario della del personale che si è consideraziopartecipazione ridotto del 3,8%. Le ne dell’implenel Sole 24 Ore, consulenze, però, sono mentazione in ma alla fine cresciute dell’1,5%, corso del piahanno deciso no industriale negativamenattestandosi nel 2010 (2011-2013) te. Ecco quanto sui 2 milioni approvato si legge nella dal consiglio relazione suldi amministrazione a gennaio la gestione dell’esercizio 2010 2011, che prevede un Ebitda a della confederazione: «Non abfine piano tornato ai livelli del biamo rilevato variazioni nel 2008». corso del 2010 nel valore della © Riproduzione riservata partecipazione ne il Sole 24 Ore, di euro 132.595.027, valutata al costo». Il gruppo 24 Ore ha chiuDECRITTAZIONI so l’esercizio 2010 con un risuldi Marco Cobianchi tato netto di 40,4 milioni di euro di perdita, contro i 53,3 milioni - Romiti: «Altri tempi, di euro di perdita dell’eserciquelli di Cuccia». zio precedente. «Sebbene alla data di chiusura dell’esercizio Voleva dire: la quota di partecipazione di Confindustria ai valori di bor- Quando si socializzavano sa a tale data ammonta a euro le perdite della Fiat e nessu124.200.000, rilevando pertanto no aveva niente da dire. una differenza negativa, rispet-
Succede a Collesalvetti (Livorno), dopo che il big svedese ha rinunciato ad aprire a Pisa un megastore da 350 addetti
Il baby-sindaco che vuole a tutti i costi l’Ikea DI
U
GIAMPAOLO CERRI
n’altra Ikea è possibile. A Collesalvetti (Livorno), il giovane sindaco Pd, Lorenzo Bacci, appena saputo che il gigante svedese salutava la vicina Vecchiano (Pisa), rinunciando all’apertura del suo megastore da 350 addetti, ha dettato un telegramma urgente alla segreteria, destinatario l’a.d. di Ikea Italia, Lars Petersson. Testo: «Offriamo 11mila metri quadri area Interporto, stop, necessari soli 30 giorni, stop». A Carugate (Milano), devono essere trasecolati: pochi chilometri più a nord, per sei anni, ben due giunte rosse avevano risposto picche alle loro proposte e poi, insediatosi il nuovo sindaco Giancarlo Lunardi, ex-diessino che conta nella zona, il massimo dell’apertura era stato: «Rimettiamoci al tavolo» (vedi ItaliaOggi, 21 maggio). Bacci, 30 anni, pisano, ex-scout, laureato in storia, sindaco dal 2009 col 75% dei voti, da certi artifici della vecchia politica è lontano mille miglia e certamente più dei 39 chilometri che dividono Collesalvetti da Vecchiano. «Per noi è un’occasione da non perdere: nell’area dell’Interporto abbiamo 30mila metri già destinati a uso commerciale, di cui 10 edificabili fino a 14 metri d’altezza: basta una dia», spiega, «e in 30 giorni possono partire i lavori», racconta a ItaliaOggi. E non scherza: in una mail più dettagliata, cui ha allegato planimetrie, ha segna-
lato anche la presenza di uno svincolo della superstarada Firenze-Pisa-Livorno ma, soprattutto, l’accordo di Luciano Pannocchia e Marco Susini, rispettivamente amminstratore e presidente di Interporto, società mista controllata principalmente da regione Toscana ma con una grande partecipazione di Banca Monte de’ Paschi e alcuni comuni della riviera livornese, fra cui il suo. Interporto possiede i terreni che possono essere affittati o venduti, senza le lungaggini di un ente pubblico. Da Carugate tutto tace. «Mi sarei stupito del contrario», commenta, «d’altra parte domani (oggi per chi legge, ndr), i vertici italiani dell’azienda incontrano a Firenze, il governatore Enrico Rossi, col quale ho già parlato e che assolutamente non vuol perdere questa opportunità. Sono molto fiducioso». Bacci del resto è stato subito investito da un’ondata di consensi dei propri amministrati: «Vedo molte persone», spiega, «che mi rappresentano problemi di occupazione. E tutti mi hanno detto di sperare molto in questo insediamento». A Collesalvetti, c’è un pezzo di Eni, con la raffineria di
Lorenzo Bacci Stagno, c’è il già citato Interporto, c’è anche un piccolo distretto della componentistica auto, stretto intorno alla
multinazionale Magna Closures, ma con il lavoro, anche qui, non c’è da scialare. Lui, il Bacci, ne sa qualcosa, ché dopo la laurea s’è messo a lavorare in un call center a Guasticce, perché «come dice il mio babbo, di sole passioni non si vive». Non che le passioni gli manchino: da scout s’era infilato in politica da indipendente, poi entrando nei Ds «se sei fuori non conti niente», e quindi in consiglio. Se non che, nel 2008, alle primarie, ha sbaragliato la concorrenza dei candidati di partito: uno ex-Margherita appoggiato da Enrico Letta (che è di Pisa), l’altro, ex-diessino, sostenuto dalla giunta uscente. Una storia alla Renzi: scout, fuori dagli schieramenti. «A parlare di rinnovamento generazionale, però ho cominciato prima di Matteo», precisa, aggiungendo che attualmente, nel Pd («di cui ero entusiasta, ora un po’ meno, ma non perdo la speranza»), gli piace Pippo Civati, rottamatore ma non troppo. Sui suoi compagni di partito di Vecchiano non si sbottona. «Hanno avuto problemi idrogeologici importanti», ci prova, ma poi, candidamente, ammette: «Certo non si possono far passere cinque anni senza rispondere». © Riproduzione riservata
Sabato 21 Maggio 2011
PRIMO PIANO
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Il colosso svedese fugge dai comuni di Vecchiano e Cormano
PERISCOPIO
Stoppata dalle giunte di sinistra
In questi decenni, Milano ha sofferto in modo terribile una dicotomia. È il dualismo tra economia e cultura. Ed è colpa degli intellettuali, che si sono preoccupati solo di un’istituzionalizzazione della cultura. La parabola delle università milanesi ne è l’esempio. Giulio Sapelli, economista. Vita.
Ora Ikea vede rosso DI
GIAMPAOLO CERRI
L’
annuncio è arrivato a urne chiuse, perché a Vecchiano, grosso comune alle porte di Pisa, a due passi dal lago di Massaciuccoli e la pineta di San Rossore, si votava per le amministrative. L’Ikea, il gigante svedese che fa mobili in tutto il mondo, e tanto apprezzato dalla sinistra italiana dopo l’affiche con i due clienti gay, ritira il proprio progetto di fare nella cittadina un superstore. Lo scarno comunicato parla di «eccesiva dilatazione dei tempi di risposta da parte dell’amministrazione locale». Eufemismi svedesi: da sei anni le giunte di centrosinistra decidevano di non decidere. Troppo, anche per una multinazionale presente in ogni angolo del globo e quindi abituata a trattare con le classi politiche più disparate. Addio quindi a un insediamento che prometteva almeno 350 posti di lavoro diretti e altri nell’indotto, in una zona che sull’occupazione non ha da scialare. A spaventare gli svedesi, più che le lungaggini passate, quelle future. Uscito di scena il sindaco Rodolfo Pardini, uno che ha fatto in tempo ad essere eletto nel vecchio Pci, ecco arrivare, o meglio tornare, Giancarlo Lunardi, un professionista della politica, sindaco negli anni ’70, consigliere provinciale, presidente del parco di Migliarino, ora tornato alla guida di una coalizione, Insieme per Vecchiano, che allinea oltre al Pd, anche Sel e Italia dei valori che però si è persa per strada circa il 11% dei voti dopo il bulgaro 62 per cento di cinque anni fa. In campagna elettorale era stato chiaro: «Ci siederemo al tavolo delle trattative con l’obiettivo di trovare un accordo, ma i matrimoni si devono fare in due». Di nuovo punto e a capo. E dire che per l’Ikea a Vecchiano s’era speso pure il governatore Enrico Rossi, che da queste parti è ascoltato anche per essere uno degli uomini forti del Pd pisano (ha fatto il sindaco a Pontedera), dove la componente ex-ds è ultramaggioritaria. «Conoscono da anni Lunardi», aveva detto, «la sua capacità e la sua esperienza saranno determinanti anche per dare soluzione alla questione Ikea, che dovrà insediarsi sul territorio, accrescendo posti di lavoro, nel rispetto dell’identità e della qualità della vita dei cittadini». Stavolta, però, gli svedesi che fanno i mobiletti economici in abete e i divani colorati e dai nomi impronunciabili, hanno detto basta. Anche perché Vecchiano non è l’unica situazione italiana in cui l’Ikea sbatte il
Enrico Rossi grugno col partito di Bersani. A Cormano, cintura milanese, la multinazionale non riesce a convincere il municipio di centrosinistra. E qui non c’è nemmeno un gran vincolo paesaggistico, perché l’area individuata è quella adiacente dell’esistente centro commerciale Le Giraffe, a due passi dalla traffi catissima MilanoMeda, in una delle zone più inquinate del Milanese. Il comune è guidato dall’exds Roberto Cornelli, classe 1974. Cornelli non è uno qualunque: due anni fa venne rieletto così bene al suo municipio mentre il Pd scivolava un po’ dappertutto, che fu eletto coram-populo, coordinatore provinciale, diventando il gio-
vane buono di casa Bersani in Lombardia, ché l’altro, il brianzolo Pippo Civati, si dà arie da rottamatore. Ma in giunta Cornelli ha Rifondazione, e per i post-bertinottiani il marchio giallo in campo blu dell’Ikea accende la mistica noglobal, quella dei chain workers, i lavoratori della grandi catene che si sentono più sfruttati di altri. Senza contare i grillini, che gli sono sempre col fiato sul collo. Il via libera all’Ikea da parte sua, non sarebbe un sì qualsiasi. Al punto che, in due anni, non ha neppure risposto alle prime avances degli svedesi che, nel frattempo, devono fronteggiare anche un’impennata dei prezzi di terreni. Secondo alcuni blogger locali, stanca d’aspettare Cornelli, l’Ikea si starebbe accordando con la vicina Paderno Dugnano, governata dal centrodestra. Contrappasso clamoroso: si parla della stessa area, in cui i due comuni confinano, con l’identico portato di traffico per la vicina. Senza problemi per Cornelli ma senza i posti di lavoro per Cormano. © Riproduzione riservata
CONVEGNI E BUFFET DI
BARTOLOMEO SCAPPI
Audi Terminal Roma – Valerio Veltroni, nipote dell’ex sindaco della capitale Walter, si è presentato all’inaugurazione di Audi Terminal Roma, in mezzo a una folla dove spiccavano Rita Rusic e Linda Batista: tra prosecco e mojito, uva con grana e sfiziose prelibatezze al curry. N.C. Campidoglio – Il sindaco di Roma Gianni Alemanno e il presidente dell’Istituto affari internazionali Stefano Silvestri presenteranno in Campidoglio, venerdì prossimo, il volume “Geopolitica delle prossime sfide”, di Gianfranco Lizza, pubblicato da Utet. Voto 7+ Camera di commercio di Roma – Promuovere borghi e centri abitati, beni storico-artistici, archeologici e paesaggistici disseminati lungo le vie Flaminia, Cassia, Claudia Braccianese, Aurelia, Portuense, Salaria, Ardeatina, Appia, Latina, Prenestina, Tiburtina, Nomentana e Severiana: è il progetto “Tesori in un palmo di mano”, promosso dall’associazione Civita e realizzato con il sostegno della Camera di commercio di Roma e il patrocinio della provincia di Roma. Con un sito www.tesorintornoroma.it e un’applicazione iPhone, in italiano e in inglese, scaricabile gratuitamente da App Store. Voto 8 RomExpo Franchising – Ottava edizione per il RomExpo Franchising, inaugurato ieri mattina al palazzo dei Congressi e in programma fino a questa sera. Da sottolineare la nuova edizione di Piacenza, Franchising 2011 Nord, che si terrà nelle giornate del 28 e 29 maggio al Piacenza Expo. Voto 7+ Parmigiano-Reggiano - Il Parmigiano-Reggiano è tornato in orbita. Il «re dei formaggi» è stato portato nella Stazione Spaziale Internazionale (Ssi) a bordo dell’Endeavour (la navicella spaziale che sta compiendo la sua ultima missione) dall’astronauta italiano Roberto Vittori. Voto 9+ © Riproduzione riservata
DI
PAOLO SIEPI
La sentenza di condanna a 16 anni per omicidio volontario dell’a.d. della Thyssen per l’incidente nello stabilimento di Torino nel corso del quale morirono sette dipendenti suona come se un’automobilista che investa un passante, uccidendolo, ne abbia avuto la volontà, quando ha trascurato di far registrare i freni della propria auto per risparmiare. Se questa è la giurisprudenza in tema di sicurezza sul lavoro, nessuno verrà più a investire in Italia e nessun manager si esporrà al rischio di anni di galera. Insostenibile era l’accusa di «omicidio volontario»; improponibile, in punta di diritto, la fattispecie di «dolo eventuale»; moralmente mostruosa sarebbe la sentenza se avesse «voluto colpirne uno per educarne cento». Piero Ostellino. Corsera. Fantozzi, che poi sarei io, ammira Berlusconi che glii ha dato la televisione gratis, il Milan campione d’Italia, ma vota sempre per la Lega perché ha una cultura medio-bassa. Paolo Villaggio. Il Riformista. La proposta di condono edilizio in Campania, avanzata da Berlusconi, è un’idea su cui ragionare in sede parlamentare per prendere in considerazione la casistica mo edili io di sorta in una certa zona d’Italia, distinguendo l’abusivismo edilizio chi specula e che non ha diritto a nessun tipo di condono e il caso delle famiglie magari con bimbi piccoli che si sono assicurate un tetto senza sapere di aver comperato un abuso. Laura Ravetto, sottosegretario ai rapporti con il parlamento, a Otto e mezzo su La7. Martine Le Pen è più abile di suo padre. Ha capito che rifarsi alla seconda guerra mondiale o a quelle d’Algeria non ha senso. La Le Pen parla di delocalizzazione delle industrie o dello stato sociale in crisi, cioè di quello che interessa la gente. Max Gallo, storico francese, socialista. La Stampa. Ai rottamatori debbo far presente che, quando si va a votare si valutano valu votare, le qualità, non l’anagrafe. Emanuele Macaluso, 84 anni, neodirettore del Riformista. L’Espresso. «In un dibattito, D’Alema ha detto che il ventre del paese ha sempre partorito i Berlusconi». «Penso che invece avesse ragione Leonardo Sciascia. Sosteneva che l’Italia non vede l’ora d’essere governata. E che non esiste un paese più paziente, capace di mettersi in fila di fronte a un qualunque servizio che naturalmente non funziona. C’è piuttosto, per molti, una grave responsabilità di non governo e non è che la sinistra al governo sia stata così brillante. Non voglio tirare in ballo il caso Campania, ma insomma...!». Emma Bonino. L’Espresso. L’Italia dei nostri giorni è modellata a immagine e somiglianza del Grande Fratello televisivo. Unificata sì, ma solo al livello più basso, dal sesso, dall’arrivismo e dall’ignoranza. Luca Mosca, musicista d’opera. Corsera. Da noi in Sicilia il rischio di avere a che fare con persone che possono creare equivoci è molto elevato. Calogero Mannino, ex ministro Dc, processato per un reato di mafia e assolto dopo 23 mesi fra carcere e arresti domiciliari. La Stampa. La Chiesa belga, cinquant’anni fa, aveva tutto: persoi i ti nale, prestigio, potere, finanze, chiese, sacerdoti, suore, seminaristi: forse il Signore vuole che impariamo a non far niente senza di lui e, forse, prima di capire questo, dobbiamo trascorrere un certo periodo di povertà. Non è facile, ci sono tante sofferenze e strappi, ma è necessario. Godfried Danneels, arcivescovo emerito della diocesi di Mechelen-Bruxelles. Il Foglio. Tra la fine della guerra e il ’47, Gerlando Miccichè è al fianco di Vittorio Emanuele Orlando e ha modo di conoscere Benedetto Croce («Venne in ufficio, uscendo si accorse di aver perso un bottone, lo cercammo per un bel po’ ansiosamente, ma non si trovò»). Jacopo Pellegrini. Il Foglio. Era così ignorante che credeva che la cedrata fosse un’opera minore del Tassoni. Enzo Biagi. Come vorrebbe essere ricordato? «Come un uomo che provò a dare una mano a quelli rimasti più indietro e, in certi casi, a offrire un consiglio ritenuto utile a chi marciava in testa al corteo». Ettore Bernabei. L’Espresso. Credevo di essere un amante eccezionale finché non scoprii che lei aveva l’asma. Woody Allen. © Riproduzione riservata
Martedì 25 Gennaio 2011
PRIMO PIANO Così il paese si appresta a diventare potenza mondiale
India, la scuola fa Pil
Il 96% dei bambini iscritto a istituti DI
GIAMPAOLO CERRI
N
uova Delhi, la scuola meglio dell’inflazione, i tassi di iscrizione meglio che i prezzi delle cipolle. Mentre il carovita che colpisce i carburanti e gli alimenti base della cucina indiana, come appunto le «onions» e le lenticchie, e una dura polemica sull’esportazione illecita di capitali hanno provocato una mezza crisi di governo, l’annuale rapporto della Pratham, ong che si occupa di educazione, celebra l’ennesimo avanzamento di Delhi sul fronte scolastico. Proprio mentre Manmohan Singh, il primo ministro voluto da Sonia Gandhi, lavorava a un rimpasto governativo e il suo fantoccio veniva bruciato in piazza nelle manifestazioni del Bharatiya Janata Party, la principale forza di opposizione, l’Annual survey of education riport relativo al 2010 mostrava cifre da orgoglio nazionale: il 96,5% dei bambini indiani fra i sei e i 14 anni va a scuola. Si tratta della fascia dell’obbligo che riguarda, statistiche demografiche alla mano, oltre 352 milioni di piccoli indiani. In India, la legge stabilisce che i bambini fra i sei e gli 11 anni frequentino la Lower primary school, corrispondente alla nostra elementare e suddivisa in cinque classi; dopo di che si procede, sempre obbligatoriamente, verso la Middle school, in tre anni, dalla classe VI all’VIII. La dispersione, che riguarda ancora 15 milioni di bambini, pari al 4,5%, risulta abbattuta di mezzo punto percentuale rispetto al 2009, quando si assestava a quota 5. Altro indicatore positivo, la crescita della bambine scola-
Paladino d’Abruzzo L’Abruzzo rinasce anche con l’arte di Mimmo Paladino. Oggi a Chieti sarà presentata la nuova sala permanente del «guerriero di Capestrano» realizzata da Paladino nel museo nazionale archeologico di villa Frigerj, e una sua mostra di sculture, incentrata sul «nuovo guerriero», inaugurerà il nuovo museo della fondazione Carichieti, nel palazzo de Mayo. Per la prima volta in Italia, un artista dà vita a una sala permanente destinata ad ospitare un capolavoro archeologico. Paladino ha realizzato, nella romana Ara Pacis, un grande mosaico che è esposto dietro una vetrata. Donato de’ Bardi © Riproduzione riservata
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PERISCOPIO DI
PAOLO SIEPI
Pensavo anch’io che Villa San Martino, ad Arcore, fosse soltanto un santuario politico. Destinati agli incontri riservati e ai think tank di pensatori del centro-destra. Un luogo dove, come in ogni paese, venivano elaborate le strategie del governo. Tutto sbagliato. La residenza del premier era anche un bordello privato, una corte dei miracoli zeppa di mignotte. Pronte a soddisfare le voglie di un signore ultrasettantenne. Persino i dettagli congiurano nel disegnare uno scenario farsesco. Pensate alla coppia Lele Mora & Emilio Fede. Due maschere che sembrano create apposta da un regista dello sghignazzo. Tutti sono gli eredi di Bombolo, Alvaro Vitali, delle Ubalde sempre calde, travestite da infermiere, da professoresse, da poliziotte. Giampaolo Pansa. Libero. Il conflitto fra potere politico e potere giudiziario è, forse, alle battute finali. Il risultato minaccia di essere la distruzione personale e politica del presidente del Consiglio (se le accuse a suo carico si rivelassero fondate) o la distruzione della credibilità della magistratura se non lo fossero. Nessuna delle due ipotesi è auspicabile. Piero Ostellino. Corsera. Berlusconi lo sconfiggi, non guardando che cosa fa di notte, ma su quello che non fa di giorno. Matteo Renzi, sindaco di Firenze. Agenzie.
Manmohan Singh rizzate: nel 2010 erano il 94% rispetto ai maschietti iscritti. Un dato incoraggiante, visto che nella fascia 0-14 anni (dati World Factbook-Cia 2010), le piccole indiane sono165 milioni, vale a dire l’89% dei maschietti, in tutto 185 milioni. Squilibrio dovuto al tragico fenomeno, tipicamente asiatico, definito dalle stesse Nazioni Unite delle «Missing girls», le bambine scomparse, e imputato agli aborti selettivi (se non degli infanticidi) praticati soprattutto per l’impossibilità, da parte dei genitori, di far fronte all’onerosa dote matrimoniale imposta dalla tradizione hindu. Ormai abituati ai successi del loro sistema formativo, gli Indiani sembrano preoccuparsi di alcune cifre esposte nello stesso rapporto: il calo delle abilità matematiche nei piccoli studenti della penisola. Non senza allarme, si è citato il caso dei 65,8 bambini su 100 che, in prima, erano in grado di riconoscere correttamente i numeri. L’anno prima la percentuale raggiungeva quota 69,3. E, a confermare il trend, i ricerca-
tori della Pratham indicano il 35,9% degli studenti della quinta in grado di svolgere, senza errori e nei tempi stabiliti, una divisione semplice: nel 2009, erano il 38. Una tendenza preoccupante per le famiglie indiane del ceto medio, che sognano per i figli una formazione ingegneristica, in una dei tanti atenei privati sorti in molti stati. Sono gli stessi nuclei che investono, anche indebitatondosi, sulla formazione delle prole fin dalle scuole dell’obbligo: il 24,3% degli studenti frequenta infatti istituti privati. In ogni caso la scolarizzazione di massa è un dato di enorme rilevanza per un Paese di quasi 1,3 miliardi di persone, il 25% delle quali vive sotto la soglia di povertà. Nei prossimi decenni, con tassi di crescita demografica superiori a quelli della Cina e con una scolarizzazione massiccia, l’India s’accinge a diventare una potenza economica mondiale. Quale che sia il prezzo delle cipolle. © Riproduzione riservata
A CIASCUNO IL SUO di Riccardo Ruggeri Sono a Parigi e, senza motivo, come al solito, sono a disagio. Della Francia non sopporto nulla. Dei loro chardonnay, l’unico bouquet accettabile è quello dei solfiti, alla Perrier preferisco l’anidride carbonica pura, il roux dei cuochi stellati lo vivo come un attentato, l’agneau prè salè lo considero un miraggio (davanti all’isolotto di Mont Saint-Michel ne ho contati solo 37, tutti destinati all’Eliseo). A Parigi vivo di burro salato, pane bretone e muscadet. Eppure subisco il fascino della francesità, e mi fa rabbia questa mia debolezza. Prendiamo Carlà. È il prototipo della donna plastificata, asimmetrica, finta, lo so, eppure ne subisco il fascino. È riuscita nel suo obiettivo della vita (dichiarato prima): sposare un uomo che avesse l’atomica. È vero, non ha avuto il coraggio di puntare sul maschio dominante Putin, si è accontentata di Sarkò. So cosa ha scritto Le Parisien «Carlà, con la sua presenza costante sui media, mette a dura prova i nervi dei francesi». Anche i miei. I suoi amici sono la crème de la crème, nomi doppi, tripli, sempre con trattino: Bernard-Henry Lévi, Frédéric Mitterand, Jean-Luc Godard, Daniel Cohen-Bendit, Simon Veil, Fred Vargas, Agnès Varda e così via. Come reagirei se costoro mi invitassero (un sogno) a bere vino rosso al Cafè Flore (ben spettinato come loro) e commentare insieme Libération? Non mi illudo, il loro perimetro culturale accetta un Battisti, non certo un parvenu come me. Oggi, anziché al Flore, porto la mia nipotina Carla Maria (senza trattino) sulla Tour Eifell, e che ci pensi il vento a spettinarmi.
Parafrasando Ganzugue de Reynold, direi che i fatti che la sinistr sinistra deplora ne premier sono generati delle idee che le sono care. Stefano Chiappatone, via Web. Quest’ultimo contro Berlusconi è l’unico caso giudiziario al mondo nel quale le presunte vittime smentiscono di esserlo. Non sono stato concusso dice il funzionario della Questura. Non sapeva che ero minorenne e non mi ha toccato, sostiene Ruby. Alessandro Sallusti. Il Giornale. È in grado, Palamara, segretario dell’Associazione nazionale magistrati, di documentare agli italiani che in qualsiasi altro provvedimento penale avviato nell’ultimo anno da qualsiasi altra procura italiana esiste un decreto di perquisizione la cui motivazione oltrepassi le dieci righe? L’obiettivo degli atti della procura di Milano sulla vicenda Ruby è infatti solo quello di gettare fango. Una motivazione lunga quasi 400 pagine prova che chi l’ha firmata è ben consapevole che il giudizio si risolverà in una bolla di sapone, all’insegna del «meglio-la-deligittimazione-oggi-che-la-sentenza-domani». Quando la motivazione è così lunga, quello che ordinariamente è un atto di acquisizione di elementi di indagine, contiene invece l’esposizione dell’indagine già svolti. Ciò consente di diffondere questi atti di indagine in assenza di qualsivoglia contradditorio. Alfredo Mantovano, sottosegretario all’interno. Corsera. La deriva più grande è pensare che vivere onestamente sia inutile. Corrado Alvaro in “Gente di Aspromonte”. Parlando di Berlusconi, che è un uomo solo e bisognevole di compagnia, mi è venuta in mente una frase letta in un libro: «Il re è solo e va a letto piangendo». Lele Mora. Agenzie. Cerco di capire le ragioni di tutti; capisco e rispetto meno quelli che dividono il mondo in berlusconiani e antiberlusconiani e criminalizzano chi è semplicemente liberale, cioè “dalla vite degli altri”, quindi, anche delle loro. Dico se se prevalesse la loro cultura, anche le loro libertà e le loro dignità finirebbero con essere in pericolo, perché, prima o poi, potrebbero toccare anche a loro di essere dati in pasto alla Piazza. Piero Ostellino. Corsera. Una che sembra scrivere sui giornaloni per diritto di nascita è la contessa Isabella Bossi Fedrigotti del Corsera. Quando partecipa, come guardiana, al Comitato del Decoro, usa il plurale maiestatico: «Siamo preoccupati per l’indecorosa immagine che l’Italia sta dando all’estero». Tal quale un antico scketch di Franca Valeri: «Chissà che cosa dirà la gente, signora mia!». E nessuno accusa la nobildonna, di pudore a corrente alternata, se soltanto pochi mesi addietro ha lodato il “Dito medio” eretto da Cattelan in piazza della Borsa; per lei, dare pacche sul sedere in casa propria è da porci schifosi, metterlo nel medesimo posto davanti a tutti è invece encomiabile, siccome approvato dal sinedrio dell’Arte globale. Camillo Langone. Libero. Infine arrivò l’attesa svolta del Lingotto: «Sono Veltroni è non ho altro da dichiarare». Jena. La Stampa. Veltroni va al Lingotto. Non si dovrebbe mai tornare dove si è stati felici. Giorgio Guazzaloca. Il Foglio. Serve stabilità, ma non fine a se stessa: serve stabilità per fare le riforme. Emma Marcegaglia, presidente della Confindustria, a “Che tempo che fa”. © Riproduzione riservata
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Mercoledì 1 Giugno 2011
PRIMO PIANO
Al secondo turno il Carroccio preferisce schierarsi con il centrosinistra. Anche a Varese e Malnate
La Lega per vincere si affida ai Dc
A Gallarate appoggia il candidato del Pd, vecchio democristiano DI
L
GIAMPAOLO CERRI
a Lega milazzista ha vinto a Gallarate. Spingendo con i propri voti il candidato di centrosinistra, come aveva pronosticato ItaliaOggi nei giorni scorsi, il Carroccio rievoca in questo lembo di Lombardia, a un passo dal centro della padanità (Varese), le vicende che portarono comunisti e missini a votare un outsider dc, Nino Milazzo appunto, alla guida dell’assemblea regionale siciliana nel lontano 1958. Edoardo Guenzani, che ha battuto (54,90 contro 45,10) il candidato pidiellino (un Bossi, per giunta), è un vecchio democristiano, già assessore negli anni ’70 e ora approdato nel Pd. Sul suo nome sono confluiti i voti post-rifondaroli di Sel, quelli dei dipietristi e, al secondo turno, quelli della Lega dura e pura. Il Lega point di Corso Italia a Gallarate, l’ex laboratorio leghista post-centrodestra divenuto, dopo il primo turno con la leghista Giovanna Bianchi Clerici rimasta al palo, la palestra per una nuova alleanza fra Carroccio e Pd, ha continuato a essere il termometro dell’inedita alleanza.
Le sue vetrine, nei quindici giorni precedenti il secondo turno, erano pavesate a festa con goliardate contro il candidato Pdl. E anche ieri è apparso un cartello eloquente: «Chi ha votato Bianchi, non ha votato Bossi (Massimo)». E per quanto laconicamente minimizzi la stessa consigliera Rai («Si vede che gli elettori hanno scelto così») nel Pdl lombardo lo strappo è stato patito eccome. «La Lega ha la responsabilità d’aver consegnato la città alla sinistra», ha detto cupo lo sconfitto. Mentre i fan del neosindaco Pd, secondo quanto riporta la Prealpina, hanno festeggiato inserendo il nome del vincitore nelle strofe del verdiano Va’ pensiero, come in un cordiale omaggio agli insperati alleati padani. E che il clima sia cambiato fra Lega e Pd, lo si capisce anche spostandosi più a Nord, in quel di Malnate, grosso centro alle por-
te di Varese. Qui, Samuele Astuti, 36 anni, ricercatore dell’università Carlo Cattaneo nella vicina Castellanza, ateneo degli industriali varesini, ha quasi doppiando la leghista Elisabetta Sofia (4.682 voti contro 2.702), ma nel dopo voto son state rose e fi ori fra vincitori e vinti. «Offro la nostra collaborazione», ha dichiarato gaia la leghista, d o p o av e r fatto i complimenti al vincitore, mentre l’altro ha contraccambiato con un «Si volta pagina, lavoriamo assie-
Umberto Bossi
Il numero uno dei leghisti meneghini nega la realtà del voto
Matteo Salvini dà i numeri e non si accorge di aver perso CESARE MAFFI
in questi anni di amministrazione, ha perso 75mila voti, mentre la Lega ne ha guadagnati na soddisfazione si può esprimere, 35mila». ascoltando o leggendo le dichiarazioImpeccabile, se ci si ferma al raffronto 2006ni dei politici dopo i bal2011. Le cose cambiano, però, se si lottaggi: sono stati evitati prende in esame quel che è avvei giustificazionismi cui siamo stati nuto «in questi anni di amministraavvezzi dopo ogni elezione. zione». Insomma, non abbiamo assistito Allora, confrontiamo. 2006, comuall’abituale sagra di «tutti vincitori», nali: Lega 22mila voti, 3,7% (come con i dati elettorali strapazzati all’incorrettamente dice Salvini). 2008, verosimile per rivendicare insussipolitiche: Lega 95mila voti, 12,3% stenti trionfi o, quando si sia presa una (silenzio di Salvini). 2009, europee: mezza batosta, pallide «tenute». Lega 73mila voti, 11,7% (Salvini Emblematica l’ammissione netta di tace). 2010, regionali: Lega 74mila Silvio Berlusconi: abbiamo perso. voti, 14,5% (omissis di Salvini). E nel Pdl tutti hanno riconosciuto il Ecco: basterebbe che il numero uno tracollo. dei leghisti meneghini spiegasse Matteo Salvini I leghisti, invece, hanno seguìto come mai il Pdl avrebbe perso, e la consolidati andazzi. La punizione, Lega no. stando a titoli e articoli de la Padania, riguarChiarisca, cortesemente, come mai i 74mila da il Pdl. Quanto alla Lega, messe in taglio milanesi che votarono Alberto di Giussano basso le sconfitte di Novara e Domodossola, l’anno scorso si siano oggi ridotti a 57mila: in due pagine intere sono dedicate alle «tre nuoun solo anno. ve vittorie»: Salsomaggiore, Montebelluna e Chiarisca, ancora, come mai il suo partito, Cordenons. dall’umiliante 3,7% del 2006 (umiliante per un E Milano? Sul capoluogo lombardo è circolapartito che aveva amministrato senza alleati, ta nel mondo leghista (l’hanno ripresa anche Milano dal 1993 al 1997) fosse salito al 12,3% esponenti del Carroccio intervistati da radio del 2008, per confermarsi sostanzialmente con e televisioni) la parola d’ordine di Matteo l’11,7% del 2009 e andare ampiamente avanti Salvini, mancato vicesindaco: «Cinque anni col 14,5% del 2010, mentre oggi si barcamefa la Moratti vinse, il Pdl aveva 245mila voti na sul 9,6%. I raffronti alla Salvini erano già e la Lega 22mila. Oggi la Moratti perde, il Pdl stantii nella prima repubblica. © Riproduzione riservata ha 170mila voti, la Lega 57mila. Qualcuno,
U
DI
me». Un candido botta e risposta che fa pensare a qualcosa di più di una parentesi di buone maniere, anche perché Malnate, per la cronaca, è il comune in cui un assessore uscente, la leghista Barbara Mingardi, in occasione del 150mo dell’unità d’Italia, si era iscritta al gruppo su Facebook «Io il tricolore lo uso così», con tanto di bandiera italiana a forma di rotolo di carta igienica. E, tanto per chiarire il concetto, aveva rincarato: «Non mi piace questa nazione e i suoi silenzi su piazza Fontana, sulla strage di Ustica e quella di Bologna». Miele anche in quel di Varese, cuore pulsante lumbard, forse più dell’asettica Via Bellerio, sede confederale in quel di Milano. Qui Attilio Fontana, che da sindaco uscente s’è ripreso la città al secondo turno (53,89 contro 46,11), contro ma la piddina Luisa Oprandi, un’altra exdc, s’era affrettato a rendere omaggio alla sconfi tta, come un gentiluomo d’altri tempi: «Ringrazio l’Oprandi per la correttezza della campagna elettorale, a Varese abbiamo dato il buon esempio». All’inviata della Padania, accorsa a
Palazzo Estense nel pieno del tripudio e prima dei complimenti di Umberto Bossi, il sindaco dettava parole d’ammirazione: «Un’avversaria degna di nota, una persona educata e corretta». Non che Fontana, avvocato 59enne, già sindaco di Induno Olona e attuale presidente Anci Lombardia, fosse un celodurista come il Senatur, ma certo questo sfoggio di fair play era inimmaginabile solo pochi mesi fa e rivela un clima nuovo fra avversari. O forse ex-avversari. Se, come dice il mantra piddino, il vento è cambiato, i refoli che soffiano sul varesotto, per quanto il ministro Roberto Maroni, maggiorente leghista di queste terre, s’affanni a giudicare stabile l’alleanza di governo, sembrano potersi trasformare in violente brezze di crisi. © Riproduzione riservata
PILLOLA di Pierre de Nolac
La Lega è stata sconfitta alle elezioni. Föra de ball...ottaggi.
A CIASCUNO IL SUO DI
RICCARDO RUGGERI
Per i miei appuntamenti italiani, privilegio sempre il lunedì, per non perdermi il «Processo» di Biscardi (il McLuhan de noantri). Aveva intuito, trent’anni fa, il format perfetto del talk show: individuare un nemico che si rifiuta di fare ciò che tu affermi di volere, mascherare il terrore che un giorno lo faccia. Questa geniale intuizione l’ha declinata con narrazioni e ospiti perfetti, versione ruspante di quelli presenti nei talk show più paludati. L’assicurazione sulla vita di Biscardi è che l’Uefa non metta mai «la moviola in campo». Se ciò avvenisse, il «Processo» sarebbe morto, Biscardi su una panchina ai giardinetti. È ciò che dicevo a un amico (importante) che vede Berlusconi come nemico suo e del suo business. Gli spiegavo, senza aver nulla di concreto in mano, che l’uscita di scena di Berlusconi è prossima. Lo invitavo a fare un «riposizionamento strategico», come suggerisce la scienza del business. Lo stesso faranno politici, industriali, sacerdoti, giornali, tv, «indignati» delle molteplici corporazioni, gestori di salotti e di terrazze (i più penalizzati: gli ospiti non sapendo di cosa parlare mangeranno più tartine, berranno più champagne). I palinsesti dovranno essere tutti rivisti, gli operatori culturali (si dice così?) diverranno inutili; occorrerà estendere i benefici della cassa integrazione anche agli intellettuali e a tutti quelli che saranno colpiti da questa (loro) sciagura: scomparsa del nemico-collante. Si sussurra che lo vogliano arrestare, potrebbe essere sufficiente una legge «contra persona» che mandi, d’imperio, il Milan in C2, aizzando contro di lui i tifosi, l’unico tintinnio che paventa.
Cota, processo sulle firme «Assoluzione perché il fatto non sussiste»: questa la richiesta dei legali di Michele Giovine al processo che vede imputati il consigliere regionale piemontese e suo padre Carlo per la presunta falsificazione delle firme a sostegno della lista «Pensionati per Cota» alle ultime elezioni regionali piemontesi del 2010, vinte da Roberto Cota. Il processo, ormai alle battute finali, proseguirà il 21 giugno. Donato de’ Bardi
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Mercoledì 18 Maggio 2011
PRIMO PIANO
La Lega non sfonda in molte città padane, tra cui Varese e Gallarate. Malessere nella base
Il Carroccio riparte da Mantova
Solo il successo nella provincia addolcisce il risultato elettorale DI
GIAMPAOLO CERRI
R
ipartire da Mantova. Nella città di Rigoletto, la Lega Nord trova alle provinciali il risultato con cui consolarsi della flessione meneghina (-4% rispetto alle regionali) e del più generale appannamento lombardo. Qui, Giovanni Fava detto Gianni, classe 1966, imprenditore, può dire al mondo che il Carroccio «è in controtendenza con il resto del paese». Se infatti il centrodestra perde «valanghe di voti», il partito di Umberto Bossi a Mantova migliora il dato di cinque anni prima. «Addirittura, quasi triplichiamo i voti», gongola il parlamentare, che è anche consigliere provinciale uscente e consigliere comunale in quel di Sabbioneta, ex-rugbista, che ama De Andrè e possiede «i primi 100 numeri originali di Dylan Dog». Anche se sarà costretto al ballottaggio con il piddino Alessandro Pastacci, in parità quasi perfetta, Fava sfodera ottimismo. È nel nome di Fava che in via Bellerio si fanno in conti con un
risultato inatteso. A cominciare dalla mancata vittoria al primo turno di Varese, dove al sindaco uscente, Attilio Fontana, è mancata una manciata di voti. Solo che qui siamo nel cuore della «leghistità», a due passi dalla dimora del Senatur a Gemonio, siamo nella città dove ha mosso i primi passi Bobo Maroni, ma soprattutto sul lago che ha visto crescere una delle teste più lucide del movimento: Giancarlo Giorgetti, il bocconiano, l’uomo dei conti da quando, nel 2007, le strade con Giancarlo Pagliarini, il Paglia, milanese e lumbard della primissima ora, ministro del bilancio nel breve Berlusconi I. La Lega che non sfonda nella sua città è uno dei crucci maggiori del leader. Insieme ovviamente a Milano, dove gli alleati già dicono, chi a mezza voce, chi apertis verbis come il formigoniano Maurizio Lupi a Porta a Porta, che l’atteggiamento distinto e, a volte, distante del Carroccio, non ha giovato a nessuno. E
dove anche il capogruppo Davide Boni, seppure smentito dal ras meneghino Matteo Salvini, ammette l’esistenza di qualche voto disgiunto antiMoratti. Secondo l’informatissima Prealpina, quotidiano varesino molto addentro alle vicende leg h i s t e, i l clima in Via Bellerio, il quartiere generale
Umberto Bossi
Come cambia il sostegno di Assolombarda per il dopo Marcegaglia
Confindustria, Pisapia trascina Rocca in pole
A
DI
MICHELE ARNESE
lla fine sarà Assolombarda, com’è capitato spesso in passato, a decidere il futuro presidente di Confindustria. Al momento, però, la federazione regionale degli industriali è di fatto solcata da due schieramenti, acuiti anche dall’esito del primo turno delle elezioni comunali a Milano che vede in vantaggio Giuliano Pisapia sostenuto dal centrosinistra. C’è chi, come in particolare le federazioni di Bergamo e Varese, punta su Gianfelice Rocca, presidente di Techint, candidato esplicitato a sorpresa, e con più di qualche perplessità per il metodo in ambienti del vertice confindustriale, da Alberto Bombassei, patron di Brembo e vicepresidente di Emma Marcegaglia come Rocca. Il tonfo di Pdl e Lega favorisce indirettamente l’ipotesi di Rocca al vertice della confederazione degli industriali. Vediamo perché. La sortita di Bombassei, con l’intervista a Dario Di Vico giovedì scorso, ha avuto anche una connotazione abrasiva rispetto alla gestione Marcegaglia, giudicata eccessivamente appiattita rispetto al governo, al di là di parole e dichiarazioni. Un passaggio dell’intervista è emblematico: la presidenza Rocca «sarebbe poco accentratrice» (a differenza di quella attuale, era la considerazione implicita) e Di Vico chiosa che Bombassei «ride sornione» dopo l’affermazione. S’è visto raramente che un vicepresidente strategico di Confindustria, come Bombassei, delegato alle delicate relazioni industriali, redarguisca il suo presidente a mezzo stampa. Ma tant’è. Di sicuro il patron di Brembo, e componente del consiglio di amministrazione di Fiat Industrial, è rimasto stupito di cene tenute da veri o presunti marcegagliani in cui si è parlato pure di potenziali successori, come Squinzi, Rocca e Aurelio Regina. Anche se ad analoghe e forse contrapposte cene tenute di recente hanno partecipato esponenti di primo piano di alcune fede-
razioni del nord, alla presenza di Rocca. La sortita di Bombassei, poi bilanciata sempre dal Corriere della Sera con l’intervista sabato scorso di Raffaella Polato all’ex presidente Giorgio Fossa, è anche sintomo di un’aspirazione degli industriali di Bergamo a esprimere finalmente un presidente dell’associazione di viale dell’Astronomia. Al lavoro per questo obiettivo è anche Guido Venturini, direttore generale di Confindustria Bergamo dal settembre 2008. Ex consulente dell’Eni, poi presidente di Alcantara, quindi direttore marketing e sviluppo di Benetton, nel 1989 è stato direttore generale di Federchimica, incarico lasciato nel 2002 per la direzione del Touring Club Italiano. Ma in Assolombarda c’è chi appoggia per il vertice della confederazione il presidente di Federchimica, Giorgio Squinzi. È noto che Marcegaglia stima Squinzi, con cui ha ottimi rapporti. Questo però non significa che se emergesse un’altra candidatura che con un largo e consolidato consenso, ad esempio quella di Rocca, ci sarebbero ostilità da parte dell’attuale presidente di Confindustria. D’altronde soltanto Gianni Agnelli riuscì a decidere nel 1976 il suo successore indicando Guido Carli alla testa di Confindustria. I risultati del primo turno delle elezioni milanesi, soprattutto se trasposti in una tendenza a medio termine a livello nazionale, potrebbe favorire una candidatura con minore etichettatura politica come quella di Rocca, dicono gli imprenditori più disincantati. A differenza di chi come Squinzi, aggiungono, nutre non smentite simpatie politiche verso il Pdl. Ma a bilanciare il vero o presunto berlusconismo di Squinzi c’è anche la politica nelle relazioni sindacali seguita dal presidente di Federchimica; una politica che gli è rinfacciata anche in ambienti di centrodestra più ostili rispetto alla Cgil: ovvero una collaborazionecondivisione di innovazioni contrattuali con la confederazione guidata da Susanna Camusso. © Riproduzione riservata
milanese e nazionale delle Lega è pesante. Lo testimonia la battuta, una delle poche, che il ministro dell’Interno Maroni ha consegnato ai suoi: «Almeno lo scudetto l’abbiamo vinto», intendo proprio quello calcistico, da milanista accanito qual è. Risate amare, anche perché oltre all’inceppamento varesino, in provincia c’è da fare i conti col mancato sorpasso di Busto, dove lo scalpitante Marco Reguzzoni non riesce a condurre i suoi alla leadership nel centrodestra che vince al primo turno, e con la dolce disfatta gallaratese. Quello che doveva essere il laboratorio per la Lega in solitaria, registra un risultato beffa: la consigliera Rai, Giovanna Clerici guida il partito più votato, ma Pdl e Pd, più guarniti di alleanze con liste e listarelle civiche, vanno al ballottaggio. Situazione fotografata dall’indispettito «non appoggeremo nessuno», pronunciato a caldo dalla sindaca mancata, chissà
se per ripicca o per non dover trattare col capobastone pidiellino locale che di cognome fa Caianiello e di nome Nino. Un insuccesso, quello di Gallarate, dal valore simbolico, che fa il paio con quello di Arcore, dove era stato Silvio Berlusconi a imporre a un riottoso Pdl, tramite la coordinatrice Elena Centemero, l’ex-borgomastro leghista Enrico Perego e che ora va a un ballottaggio con sei punti di ritardo sull’avversario del Pd. In queste ore, nella sede federale di Via Bellerio, che guarda con i suoi murales la trafficata Milano-Meda, Bossi sta cercando come districarsi fra pezzi di base che scalpitano per fare una sorta di Sinn Fein (il «noi soli» degli irlandesi) in salsa padana, e il suo realismo che gli suggerisce almeno di consolidare il federalismo fiscale prima di rompere. Senza dimenticare la stagione drammatica, a cavallo del 2000, in cui la Lega rischiava di non raggiungere il quorum del 4% al proporzionale. © Riproduzione riservata
LA SANTANCHÈ NON CI RAPPRESENTA CERTO
Meditazioni di Bossi dopo il disastro meneghino I DI
«I
SHMAEL
rritato» e «stupito», Umberto Bossi contempla le rovine del centrodestra meneghino, sconvolto dallo tsunami elettorale di domenica e lunedì, e non può darsene pace. Perché è toccato anche a lui, che non c’entrava niente, pagare il conto che gli elettori milanesi moderati, stanchi di smodatezze berlusconiane, hanno deciso di presentare al Cavaliere? Che cosa ho fatto? Che colpa ne ho? E qual è il delitto? Mica mi sono fatto trovare con un’escort tra le lenzuola! Quanto poi ai magistrati, per quanto non sia pappa e ciccia con nessuno di loro, non ho neanche delle faide in corso, diversamente da Berlusconi. Mi sono spinto (in piena campagna elettorale, cosa anche poco sportiva, ma mors tua vita mea, come si dice, e à la guerre comme à la guerre) fino a prendere pubblicamente le distanze dal presidente del consiglio e dai suoi affaracci personali sia giudiziari che erotici o altro. Francamente m’aspettavo, deve pensare il capo leghista, che gli elettori avrebbero punito il Cavaliere e premiato me, trasferendo i loro consensi, almeno in parte, anche in piccola parte, dal Pdl alla Lega. Invece hanno portato via voti (un bel po’) anche a me, innocente come sono, e sa il diavolo (sempre lui, e non potrebbe essere diversamente con tutto quest’odore di zolfo) dove sono finiti! Che fare? Conviene separarsi definitivamente da Berlusconi (del cui «monologo», come dice il Ferrara, «gl’italiani si sono stufati») e forse riguadagnare i voti perduti col rischio di perdere i voti rimasti, oppure è meglio restare dove siamo senza rischiare oltre? Buona la seconda, probabilmente. Ma se poi lo scivolone di Berlusconi continua? E se rimanessimo sempre più coinvolti in questa valanga, e la valanga crescesse a catastrofe? Siamo quasi sotto i dipietristi, porcozzio! E se tornassimo, un ruzzolone dopo l’altro, alle percentuali ondivaghe degli anni Novanta, quando eravamo sempre a un pelo dell’estinzione, come oggi quei bauscia di futuristi? E ci possiamo permettere, poi, che la Daniela Santanchè, una macchina per provocare disastri come Silvio Berlusconi è una macchina per fare soldi, continui a parlare a nome della maggioranza, cioè anche a nome nostro e mio? «Stupito» e «irritato», il Senatùr contempla dunque questo paesaggio di rovine, simile al set di qualche film catastrofico, e cerca di capire che cribbio è successo. Come ci sono finito qui? E se il Berlusca, pensa poi, con illuminazione improvvisa, se ne andasse una buona volta «fora d’i ball»?
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Venerdì 22 Aprile 2011
PRIMO PIANO
Il sindaco di Firenze sotto fuoco amico. I sindacati proclamano lo sciopero delle commesse
Contro Renzi risorge la triplice Cgil, Cisl e Uil contestano l’apertura dei negozi il primo maggio ANTONIO CALITRI
cale che sembra un ulteriore dispiegamento di fuoco amico per ridimena triplice sindacale torna insionare il sindaco rottamatore. Muro sieme per il primo maggio. contro muro a Firenze e a causa del Almeno a Firenze dove, per sindaco del capoluogo, in tutta la Tocontestare la decisione di Matscana per i sindacati regionali di cateo Renzi di tenere aperti i negozi tegoria Filcams-Cgil, Fisascat-Cisl e durate la festa dei lavoratori, per Uiltcus. Dichiarazioni e iniziative foruna volta, come non ti per fermare l’ultima succedeva da tempo, rottamazione di Renzi. si ritrovano insieme Il sindaco infatti dopo Cgil, Cisl e Uil, che aver fallito la rottanon soltanto hanno mazione di Pier Ludeciso di indire lo igi Bersani, Walter sciopero delle comVeltroni e Massimo messe nel capoluogo D’Alema ha tentato di toscano, ma hanno rottamare la festa del addirittura rilanciato primo maggio lascianallargando insieme il do libertà di apertura boicottaggio ai negodelle attività commerzi aperti anche al ciali, ma, soprattutto, resto della Toscana. spingendo perché il Una prova di forza tutto faccia da apriral fine di generare il pista in l’Italia e sia malcontento contro segno di modernità. il sindaco di Firenze Non l’avesse mai fatnel resto della regioto, i tre sindacati priMatteo Renzi ne e andare a colpire ma lo hanno attaccato la sua voglia di espandersi sul territoduramente con dichiarazioni forti e rio più amico, che vede d’accordo anaddirittura con una nota congiunta che la chiesa, che ufficialmente tace, delle tre sigle. Hanno scritto che «il ma si sente colpita dal fatto che molti sindaco di Firenze non è, suo malgralavoratori cattolici non potranno apdo, l’ombelico del mondo e, nonostanprofittare della pausa per partecipare te il suo delirio di onnipotenza e la alla beatificazione di Papa Giovanni sua ossessione per il protagonismo, Paolo II. Uno sciopero «ad personam», siamo costretti a dargli una cattiha dichiarato il sindaco, per una volta va notizia». Poi hanno proclamato molto colpito dalla decisione sindalo sciopero della commessa in città
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e successivamente, porteranno lo sciopero «in tutti quei comuni della Toscana che hanno deciso unilateralmente di violare le norme vigenti in materia di codice di commercio regionale» perché la questione, hanno spiegato, «fa parte di una vertenza più complessiva che riguarda anche la salvaguardia di valori etici, civili e religiosi, che interessano le lavoratrici e i lavoratori sul piano della tutela dei diritti». E Renzi per una volta non ha lasciato cadere la cosa come se niente fosse, ma ha mostrato qualche cedimento. E infatti, l’ha vista proprio come un’offesa personale e ha lasciato perdere le dichiarazioni ai tanti amici della sua pagina facebook, ma si è rivolto a giornali e agenzie dicendo che «i sindacati di Firenze fanno sciopero contro il sindaco» e che «continuo a dispiacermi perché avevamo la possibilità di trovare un accordo con i grandi magazzini del centro per liberare le commesse e non costringerle allo sciopero». E anche la Chiesa ha fatto sentire la sua voce. Non direttamente sulle aperture che impediranno a qualche credente di raggiungere la capitale per la beatificazione di Wojtyla, ma tramite i frati della chiesa di Santa Croce che hanno condannato come un «oltraggio» l’aver concesso qualche giorno fa la piazza della famosa chiesa per la festa di Mtv compresa la proiezione di alcuni video musicali considerati blasfemi. © Riproduzione riservata
Un accademico per Di Pietro in Veneto GIAMPAOLO CERRI
un stop netto: «Se qualcuno si è rivolto al professore, non l’ha fatto col nostro consenso». «Una proposta culturale e politica a cui non potevo che Un coro sconcertato e sconcertante che aveva indotto comportarmi come la Monaca di Monza nei Promessi lo stesso rettore, il giorno dopo, a cavalcare la tesi della sposi: e la sventurata rispose». Non ha esitato a scomo- forzatura di pensiero da parte del Mattino. dare Manzoni, Vincenzo Milanesi, 61 anni, bresciano, La frattura col Pd si era allargata l’anno dopo quando, filosofo, accademico di lungo corso a Padova (preside, Milanesi, che nel frattempo era riuscito a imporre il suo prorettore, rettore dal 1987 al 2009), per spiegare la delfino Giuseppe Zaccaria alla guida dell’ateneo, aveva sua scelta di abbracciare l’Italia dei Valori. Milanesi sarà sperato in una candidatura alle regionali contro il leghi«coordinatore di un gruppo di lavoro volto a costruire, sta Luca Zaia. Ambizione frustrata dalla decisione del Pd in Veneto, un’alternativa politica e culturale al vuoto veneto di preferirgli il veneziano Giuseppe Bortolussi. pneumatico della Lega». Decrittato dal politichese: ca- A parziale indennizzo, Milanesi era stato catapultato polista alle prossime politiche. A tenere a battesimo, nel cda di Acegas, multiutily controllata dai comuni nei giorni scorsi, la discesa in campo dell’ex-magnifico di Padova e Trieste. Parziale perché l’ex-rettore era s’è scomodato Massimo Donadi, proconsole dipietrista anche candidato alla guida del nuovo ospedale della nel Nord Est, insieme a tutti i vertici del partito, i con- città del Santo, progettato da comune e provincia nella siglieri regionali Antonino Pipitone e Gennaro Marotta, zona occidentale. Un progetto in cui Milanesi poteva l’assessore padovano Silvia Clai a braccetto con i con- saldare la sua influenza accademica con il suo posiziosiglieri Fabio Scapin e Michele Toniato e i consiglieri namento politico. Nel frattempo, smesso l’ermellino, il professore aveva provinciali, Antonio Albuzio e Sabrina Di Napoli. Il perché di tanto pathos politico è lo scippo al Partito anche trattato con Mariastella Gelmini, con la quale democratico: Milanesi, infatti, non nascondeva la sua aveva avuto un filo diretto da presidente Aquis, l’assosimpatia per il partito di Bersani, senza peraltro mai ciazione degli atenei eccellenti da lui fondata insieme averne avuto la tessera. I rapporti si erano però raffred- con i colleghi del Politecnico di Milano e degli atenei di dati, a fine 2008, quando l’allora rettore aveva annun- Milano Bicocca e Bologna. Obiettivo: la nomina a capo ciato la sua disponibilità a fare il sindaco «bipartisan». dipartimento al ministero, ma la candidatura era svanita Autocandidatura che aveva sollevato un vespaio a destra nell’intensa fase di varo della riforma. e a manca. «Un ottimo candidato», aveva commentato Declinato l’ammaraggio romano, incerta e lunga la proil segretario delle Lega Nord, Leandro Comacchio, «ma spettiva ospedaliera, Milanesi ha deciso di cedere alle per il centrosinistra, però». Mentre il capogruppo pidiel- lusinghe di Donadi che, stando al paragone manzoniano, lini in comune, Rocco Bordin, aveva sarebbe lo «scellerato Egidio» della obiettato subito che Milanesi «si era situazione. Pur di arruolarlo, quelPILLOLA sempre definito uomo del Pd». Sull’alli di Idv, solitamente ipersensibili ai di Pierre de Nolac tro fronte, Franca De Lazzeri, coortemi della legalità, hanno sorvolato dinatrice Pd ed ex-margheritina era sulla vicenda, molto dibattuta in citSequestrati orologi sbottata: «Noi un candidato sindaco tà, dell’assunzione del figlio Federico contraffatti con l’immagine ce l’abbiamo già», aveva detto, riferencome tecnico fonico nel master di giordi Wojtyla. dosi all’uscente Flavio Zanonato, «e nalismo dell’ateneo quando Milanesi non vedo perché dovremmo chiamaera rettore. «Schizzi di fango», aveva Fuori i mercanti cinesi re il salvatore della patria», mentre commentato il magnifico, «mio figlio dal tempio. proprio dal dipietrista Pipitone, ora ha tutte le competenze». © Riproduzione riservata neocompagno di partito, era arrivato DI
Tutte le liti portano a Berlusconi DI
PIERO LAPORTA
Giancarlo Galan L’acuta litigiosità italiana è crescente dagli inizi degli anni ’90, con gli opposti schieramenti a suonanarsele di santa ragione, senza escludere, tutt’altro, risse fra compagni di schieramento. Oggi tiene banco il duello Galan-Tremonti ma non per questo scemano le altre guerriglie fra e con magistrati, politici, industriali, sindacati e via litigando. Tutte le risse, a prescindere dalla qualità e dalla collocazione dei rissosi, hanno un unico comun denominatore: Silvio Berlusconi; quando per farlo fuori, quando per sostenerlo, quando per ipotecarne la successione. È un gioco che ricorda da presso un’usanza nelle nostre campagne che sopravvisse sin quando la crudeltà contro gli animali fu parte dei costumi agresti. Nella bassa padana per il gioco «ciapa el porc», prendi il maiale. Il possidente del luogo metteva a disposizione un maialino, chiuso in un recinto, per andare in palio al primo che l’abbatteva a bastonate. Troppo facile? I concorrenti, armati di lunghi bastoni nodosi, entravano tutti insieme nel recinto di gara solo dopo essere stati accuratamente bendati. Al «via» del padrone, cominciava la danza di «mazzate alla cecata», come ancora usa dire nel meridione d’Italia. Prima di cogliere il maialino per farne salsicce, le bastonate piovevano su spalle, teste e membra dei concorrenti, che spesso dimenticavano il maialino per restituire le bastonate ricevute, scatenando l’ilarità degli spettatori circostanti e soprattutto del generoso padrone. Quando finalmente la bastonata fatale raggiungeva il maialino, gran parte dei concorrenti s’era ritirata o continuava a mal partito, con grande delizia del padrone, ben al sicuro fuori del recinto, deliziato dalla bastonatura dei suoi coloni per mano interposta e volenterosa di essi medesimi. Quanto accade oggi in Italia, a dispetto dei vecchi assassini immondi che invocano la guerra civile, è solo un «ciapa el porc», dove ancora una volta il padrone è fuori dal recinto, è fuori dai confini, come non mai divertito da questo nostro reciproco suonarcele di santa ragione. Altre volte il maialino fu abbattuto presto, vuoi dai giovanotti amici dei vecchi assassini, vuoi da magistrati che ci vedevano quantunque bendati. In questa lunga tornata, il maialino, a dispetto di qualche bastonata, sgattaiola ancora mentre i volenterosi coloni seguitano a bastonarsi per bastonarlo. Se e quando il maialino soccomberà, al padrone non resterà che sgomberare il recinto e riappropriarsene del tutto. prlprt@gmail.com © Riproduzione riservata
Martedì 17 Maggio 2011
PRIMO PIANO
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Ridicolizzata la campagna comunicativa della Moratti con la discesa in campo del premier
Miracolo a Milano, è ballottaggio E il Pdl ora per vincere su Pisapia ha bisogno della Lega DI
MILANO
GIAMPAOLO CERRI
M
iracolo a Milano: la comunicazione politica non conta. La (temporanea?) defaillance di Letizia Moratti relativizza il ruolo e il peso dell’esposizione mediatica, degli investimenti a sei zeri in affissioni e spazi pubblicitari (anche per gli alleati come Terzi e Croci). Non conta neppure se l’esposizione è garantita da Silvio Berlusconi, sceso personalmente e pesantemente in campo per il primo cittadino uscente. E men che meno, conta il pathos scaricato nella comunicazione politica (il ripescaggio delle vicende personali dello sfidante), quasi fosse adrenalina. Il vantaggio relativo di Giuliano Pisapia che, quantomeno, obbliga la Moratti e i suoi a sedersi al tavolo con gli odiati terzopolisti di Fini e Casini, ma soprattutto di ridiscutere con via Bellerio, sede della Lega, il ruolo di Matteo Salvini a vicesindaco, toglie proprio ai suoi l’argomento spesso ricorrente nelle discussioni prelettorali: la sproporzione di mezzi in campo e il ruolo del premier con le «sue» televisioni che sbilancia la competizione a vantaggio di una parte, quella dell’uscente. Il lamento sullo strapotere mediatico, sul regime illiberale del Cavaliere, che abbraccia ogni candidato e ogni insegna riconducibile a quello schieramento, esce un po’ ridicolizzato dalle urne meneghine. Il risultato del primo turno ripropone piuttosto un colpo d’ala della propaganda politica tradizionale, quella fatta dei volantinaggi ai giardinetti o nei mercati, di porta-a-porta nei condomini di periferie, del rapporto personale, insomma quella mobilitazione «calda» che solo la sinistra riesce a garantire. Quel tipo di mobilitazione che invece non avrebbe profuso uno dei pochi partiti della coalizione morattiana in grado di farlo, vale a dire la Lega. Mentre non stupisce la capacità militante della sinistra, anche se con un Pd ammalato e con l’antico sistema della sezioni ampiamente dismesso, è tutta da interpretare la tiepidezza leghista, punteggiata dai distinguo del Senatur (come sull’affondo sul passato «terrorista» di Pisapia). Che cosa c’è dietro questa militata moderazione del celodurismo meneghino? Come si devono leggere i molti punti percentuali di voti leghisti che mancano a Milano, fra il 14 delle regionali 2010 e l’attuale e deludente 10? E solo un problema di pelle o di dna (il feeling fra i leghisti e donna Letizia non c’è mai stato) oppure siamo in presenza di un avviso politico bello e buono per blindare nel ballottaggio, Salvini nella poltrona di vicesindaco? E questi voti leghisti, inespressi o in libera uscita, potrebbero ritornare sulla Moratti, solo per l’agitarsi di un po’di vessili verdi? Quasi alla vigilia del voto, dagli scranni
Letizia Moratti
41,57%
Giuliano Pisapia
48,11%
europei del Pdl, il formigoniano Maurio Mauro aveva scaricato su Salvini una nota al vetriolo: non può fare il vicesindaco, aveva scritto, «perché a Strasburgo è stato approssimativo e assenteista». Un attacco a freddo, che si fatica persino a collocare nella storico confronto, tutto lombardo, fra gli uomini del Governatore e la Lega e al quale Carroccio avrebbe risposto con uno strategico disimpegno, per rinegoziare tutto in vista del ballottaggio. Ma mentre il centrodestra rimette insieme i pezzi, Pisapia guarda ottimisticamente alla dote dell’imberbe Matteo Calise, candidato cinque stelle. Per quanto Beppe Grillo l’abbia definito «un vecchio» nel
suo comizio milanese, è impensabile che i suoi sostenitori non si rechino a votare (sono i pasdaran della partecipazione) e non votino centrosinistra. E probabilmente Pisapia, sta cominciando a ripassare quel dossier Expo che aveva studiato svogliatamente, se non per trovarci argomenti d’attacco all’avversaria. Era il tema del suo sfidante alla primarie, Stefano Boeri, l’archistar politicamente corretta che piaceva al Pd, che peraltro sul tema era consulente della stessa Moratti. Che ne sarà dell’Expo se vince Pisapia? E chi lo farà? Sono le domande che in queste ore cominciano a circolare in molti ambienti milanesi.
La sconfitta di donna Letizia Ma il Cav ci ha messo del suo DI
MARCO BERTONCINI
Un giudizio, quando si tratti di elezioni a doppio turno, ha senso soltanto se compiuto. Dunque, fra due settimane si potranno tirare bene le somme di quanto è successo ieri e ieri l’altro. Un aspetto, però, non va trascurato: Milano. A mettersi nei guai è stato lo stesso Silvio Berlusconi. Era ben al corrente, anche perché i sondaggi glielo confermavano, di alcuni fatti. Letizia Moratti non riusciva ad attrarre simpatie quanto un sindaco in carica dovrebbe. Non era, insomma, nelle condizioni del suo predecessore Gabriele Albertini, candidato la prima volta quasi per caso e in extremis, ma capace di richiamare popolarità nel primo mandato e quindi uscito ben riconfermato. La Moratti, poi, era stata ripetutamente contestata da Matteo Salvini, dominus o quasi dei leghisti meneghini. Umberto Bossi non aveva gradito l’imposizione del sindaco uscente da parte del Cav. I partiti schierati dietro la Moratti attiravano più simpatie della signora Letizia, col rischio, palpabile ancora alla vigilia, che si potesse arrivare al ballottaggio per il sindaco, ma con il consiglio comunale conquistato al primo turno dal centro-destra. La conduzione della campagna elettorale non era stata delle più felici. Berlusconi ci ha voluto mettere del suo. È arrivato al punto di sostenere che la sfida era fra lui e la procura di Milano. Ogni buon politico ha sempre in sé lo spirito del giocatore d’azzardo, come dimostrano due numi della conduzione dello Stato quali Cavour e Bismarck. C’è, però, un limite. Era proprio il caso di spostare la tenzone da un importante evento locale a un plebiscito su di sé, per interposta persona prima, direttamente poi? Soprattutto: che senso ha giocare il tutto per tutto in un ente che già si detiene? Se va bene, si mantiene quello che si ha. Non ci si guadagna mai. Altro sarebbe stato puntare su un comune in mano al centro-sinistra: la sconfitta non avrebbe danneggiato. Se oggi Berlusconi soffre per Milano, deve soprattutto guardare ai propri errori, prima che a Bossi o alla Moratti, a La Russa o a Salvini. © Riproduzione riservata
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CHE COSA FARÀ ADESSO IL CENTROSINISTRA DETTO MODERATO?
Il Pd cede a Grillo, il Mandela del Vaffanculo DI
ISHMAEL
Come i barboni di Miracolo a Milano, che sessant’anni fa, nel fiabesco e spiritato film di Vittorio de Sica, si contendevano a spallate e spintoni i pochi metri quadrati rischiarati dall’unico raggio di sole che pioveva sulla bidonville meneghina aprendosi un passaggio attraverso nuvole scure e cariche di pioggia, anche ai protagonisti del film un po’ spettrale oggi in cartellone sta capitando qualcosa d’analogo. Titolo di questo film è ça va sans dire Ballottaggio a Milano. Anche questi personaggi male in arnese (sindachesse ormai bollite, avanzi di banda armata, candidature horror, grillini, ex piemme, terzo polo, un Merola candidato a Bologna e ben due Coppola in corsa a Torino, praticamente il cast del Padrino) cercano disperatamente d’occupare l’unica poltrona al sole, ma lo spazio è minimo, l’elettorato infido, la vita breve e così oggi i barboni hanno poco da spingere: niente va come dovrebbe andare. Andare al ballottaggio, in questi tempi cupi, quando gli elettori sono particolarmente ingrati e i politici particolarmente avidi, è come Prendere la Bastiglia o Assaltare il Palazzo d’Inverno o anche solo Vincere un Sigaro al Tirassegno. Ballot-
taggio o muerte, s’esaltano (ed esultano) i barbudos della sinistra variamente coniugata, dagli ex comunisti ai post-terroristi agli ex democristiani di scuola statalista. Tutti sulla Sierra Maestra, anzi a Porta Romana, o anche alla Bovisa, oppure alla Fiera Campionaria, compañeros! Ballottaggio a Milano, terra di miracoli: c’è chi vince una volta per sempre quando gli altri non vincono al primo turno (gli «altri» sono i suoi avversari, o meglio la sua avversaria, o meglio ancora il Caro Leader alle spalle della sua avversaria, che oltretutto si è speso personalmente nel corso della campagna elettorale, e che figura, poveretto). Può sembrare il sogno d’un fumatore d’oppio, invece è proprio così che stanno le cose: a Milano ha effettivamente perso chi quasi certamente vincerà tra quindici giorni (ormai siamo al «quasi», e sono cavoli, lo sa il cielo). Andare al ballottaggio, di questi tempi, è meglio che vincere: la politica, che un tempo era percezione, oggi è una specie di Profezia di Celestino, e più la stiracchi e meglio è. Al ballottaggio, tra due domeniche, vinca chi vuole, anche Letizia Moratti, anche Silvio Berlusconi. Ma intanto gli schiaffi sono per sempre, come i diamanti: una volta presi, si devono tenere e così sia. E non c’è dubbio che il ceffone preso
personalmente dal Cavaliere (che aveva chiesto, come al solito presumendo troppo, un referendum sulla propria persona) è di quelli che lasciano il segno nella memoria del paese, e che forse chiudono un’epoca. Idem lo schiaffo preso dai leghisti, che promettevano sfracelli elettorali e lo sfracello elettorale è toccato a loro. Ma se a Milano il mito del Cavaliere cigola, o peggio, a Napoli traballa il centrosinistra, i cui voti vanno al più improbabile, e volendo anche al meno presentabile, dei nostri descamisados da talk show: l’ex piemme Luigi De Magistris. A Bologna, la Stalingrado e anche un po’ la Shangri La dell’Italia comunista e post, il centrosinistra cede qualcosa come il dieci per cento dei suoi consensi a Beppe Grillo, il Nelson Mandela del Vaffanculo. Anche a Milano, pensandoci bene, il centrosinistra è nei guai fino al collo, visto che ha dovuto cedere i suoi consensi al candidato di Nichi Vendola, l’ex ultrà Giuliano Pisapia, amico dei peggiori babau degli anni settanta. Gli resta giusto Torino. Per il momento il centrosinistra può ancora contare sul fatto che i torinesi sono notoriamente «bugianen». Ma metti che scoprano anche loro le agenzie di viaggio. Che farà a quel punto il centrosinistra detto moderato? © Riproduzione riservata
Sabato 11 Giugno 2011
PRIMO PIANO
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Per chi uccide guidando con +0,5 grammi di alcol/litro nel sangue (carcere da 8 a 18 anni)
Ci sarà anche l’omicidio stradale
Mentre il Parlamento dorme, Matteo Renzi intende svegliarlo DI
GIAMPAOLO CERRI
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na legge di iniziativa popolare per ridurre il far west nelle strade, introducendo il reato di omicidio stradale per chi causa incidenti mortali perché ubriaco o drogato e sin qui punito con le blande pene dell’omicidio colposo. Matteo Renzi, 36enne sindaco fiorentino e personaggio noto della politica nazionale, lancia una proposta che promette di abbattere del 50% il numero di morti e feriti da incidente stradale, come prescriverebbero Ue e Organizzazione mondiale della sanità. A Firenze, dove sulle vie urbane, negli ultimi 10 anni, sono decedute 260 persone e 50mila sono rimaste ferite, con circa 335 milioni di euro di costi sociali, questo obiettivo significherebbe salvare 58 persone (di qui al 2020) e evitare un migliaio di traumatizzati gravi. Per farlo, Renzi lancia nella sua città il Progetto David (cinque milioni all’anno di investimenti dal 2012 al 2020), mettendo in rete soggetti pubblici (università, Asl, corpi di polizia) e privati (Aci, Ely Lily, McKinsey, associazioni di cittadini), con una vasto progetto di
Matteo Renzi educazione stradale a tutti livelli, miglioramento della viabilità urbana, intensificazione dei controlli ma anche maggior efficienza nella raccolta dei dati sui sinistri e nell’assistenza successiva agli incidenti. Clou dell’iniziativa, la presentazione della proposta di legge attraverso un sito internet dedicato: www.occhioallastrada. it, che a oggi ha raccolto oltre 12 mila adesioni (sulle 50 mila necessarie per arrivare all’esame del Parlamento). Nel dettaglio, la proposta ha una struttura molto semplice –
13 articoli in tutto – che vanno a modificare parti del Codice della strada, e cioè al Dgls 30 aprile 1992 n. 285, e del Codice penale ossia al Regio decreto 19 ottobre n. 1398. Proprio in quest’ultimo, la proposta introdurrebbe, con l’articolo 575 bis, la nuova fattispecie di reato. Che recita: «Per chiunque ponendosi consapevolmente alla guida in stato ebbrezza alcolica o sotto l’influenza di sostanze stupefacenti o psicotrope (...) cagiona la morte di un uomo è punito con la reclusione da 8 a
18 anni». Prevista la possibilità di aumento della pena in caso di più decessi e comunque fino a un massimo di 21 anni. Due anni e due mesi sono invece previsti (articolo 8) per i casi di ferimento e danni permanenti. Si propone poi inoltre di modificare i reati di omicidio colposo e lesioni personali colpose, sempre nel caso di guida in stato di ebbrezza: con l’indicazione di un tasso alcolemico nel sangue fra zero e 0,5 grammi per il primo (che oggi è il limite minimo), mentre si contempla il procedimento d’ufficio (e non la sola querela di parte) per le seconde. In pratica, se l’ubriachezza verificata è superiore a 0,5 grammi di alcol si parlerà di omicidio stradale, mentre da zero a mezzo grammo, si tratterà di quello colposo. Inasprimenti anche per il Codice della strada: nessuna possibilità di tornare a guidare, nemmeno i ciclomotori, se la si è stati condannati per omicidio stradale (articolo 1), sospensioni più lunghe della patente in caso di lesioni colpose (da 15 giorni a tre mesi) e di lesioni gravi e gravissime (da tre mesi a due anni), mentre si arriva a quattro anni di sospensione per l’omicidio col-
poso. Nello stesso articolo, un comma «stanga-minori»: se a causare le lesioni è un under 18 anni (con un motorino quindi), non potrà ottenere la patente d’auto fino al 25mo anno di età. Insomma un obbligo di riflessione di ben sette anni sui danni arrecati. E nell’ipotesi di questi nuovi reati stradali, l’articolo 3 della proposta prevede maggiori poter ai prefetti per sospendere le patenti. Insomma, pensando alla sua Firenze, Renzi rottama anche il Codice della strada e quello penale italiani, strordinariamente garantisti per chi guida un’auto mettendo in conto di poter ammazzare qualcuno. E, come talvolta accade, riuscendoci. © Riproduzione riservata
DECRITTAZIONI di Marco Cobianchi - Rosa Russo Iervolino: “Il Pd mi ha danneggiato moltissimo”. Voleva dire: - Ma con il mio mandato abbiamo pareggiato i conti
E QUESTO FINO A POCHI MESI FA: SIC TRANSIT GLORIA MUNDI, COSÌ PASSA LA GLORIA IN QUESTO MONDO
Fini era famoso, intervistato, alto e bello come Bocchino DI
DIEGO GABUTTI
«O tu che giri la ruota e guardi sopravvento, considera Fleba, che un tempo fu bello e alto come te», cantava T.S. Eliot in The Waste Land. Be’, consideriamo anche il povero Gianfranco Fini, un leader ormai dimenticato che un tempo - prima che la ruota girasse - è stato famoso, intervistato, alto e bello come oggi Italo Bocchino, Ras dei Futuristi.
Nichi Vendola e Pier Luigi Bersani già litigano per il consueto motivo: chi tra i due fa pipì più lontano, per dirla con una citazione dalla Guerra dei bottoni. «Non accetto lezioni d’affidabilità», specie da parte di chi è stato giudicato inaffidabile dal presidente della repubblica, sibila Vendola stringendo i pugni. «Nichi mi ha frainteso, non volevo offendere, pardon», ribatte Bersani digrignando i denti. E ricomincia il pandemonium.
che non è colpa loro se sono fatti così». (Aleksandr Herzen, Dall’altra sponda, Adelphi 1993, p. 226). ***
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Secondo l’Economist, che non l’ha mai avuto in simpatia, Silvio Berlusconi è «the man who screwed an entire country», l’uomo che ha fottuto una nazione intera. Da solo! Potenza del «bunga bunga»!
E così, lasciata la Rai, alla fine Michele Santoro si è cacciato da solo. Anzi «se n’è ghiuto e soli ci ha lassato», come scrisse Palmiro Togliatti quando Elio Vittorini uscì dal Pci sbattendo la porta, stufo marcio di ridicolaggini zdanoviane e staliniste. D’ora in poi Santoro non dovrà più tollerare le meschine accuse di giustizialismo e pregiudizio ideologico e informazione tarocca che gli muove da anni il centrodestra. Finalmente liberi, lui e i berluscones non dovranno più sopportarsi a vicenda, lui disposto a prendere milionate di euro per andarsene, Pantalone disposto a dargliele purché se ne vada.
Si dice che da giovane, in anni lontani, il Cavaliere abbia trovato una lampada magica e che il genio che vi dimora (come un bruco nella mela, ma quello d’Alice in Wonderland, che portava il turbante e fumava il narghilé) abbia esaudito da allora tutti i suoi desideri: Milano 2, soldi, salute, il business televisivo. Ma la milleunesima notte è passata e non gliene va più bene una, compresa l’ultima: il contrordine referendario. Voleva il sostegno della Corte costituzionale - adesso che la presidenza è cambiata, passando (sperava lui) da sinistra a destra - ma anche la nuova consulta ha risposto picche alla sua richiesta di sospendere (o meglio d’abrogare) il referendum che si propone, quorum raggiungendo, d’abrogare il nucleare. Povero Aladino Berlusconi! Deve aver consumato tutti i desideri di cui disponeva e adesso il genio della lampada fa l’esatto contrario di quel che lui gli chiede: realizza i desideri dei suoi nemici.
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«Consiglio di guardarsi intorno per vedere se la massa effettivamente va dove crediamo che vada, e procedere con essa o lontano da essa, ma conoscendone il percorso; consiglio di buttar via le opinioni libresche che ci hanno inoculato fin dall’infanzia dipingendoci gli uomini completamente diversi da come sono. Voglio riconciliarmi con gli uomini, convinto che non possono essere migliori, e
Nell’ipotesi che l’odontotecnico e il tabaccaio di Cremona abbiano truccato le partite di serie B e C (e «forse anche di serie A», sospetta un magistrato cremonese, sia pure «senza prove», come ammette lui stesso, ma intanto il sospetto e le «sensazioni» dilagano) c’è qualcosa d’una vecchia burla del Male, una rivista umoristica underground che nel 1978 diffuse nelle edicole una falsa prima pagina di
*** All’inizio dell’avventura, diciassette anni fa, era sempre compito, distinto, educato, persino un po’ cicisbeo, «mi consenta» di qua, «rivoluzione liberale» di là. Non era ai tiranni, ma alle signore, che baciava la mano, ed evitando accuratamente gli sguardi lascivi. E poi - tutto d’un tratto - barzellette oscene, compagnie laide, niente più cravatta, il «bunga bunga». Che cosa gli è capitato? Che l’abbiano rapito gli alieni e, dopo averlo smontato a pezzo a pezzo nei loro laboratori extradimensionali, l’abbiano poi rimontato male? E se fosse un altro? Siamo sicuri che sia proprio lui e non un sosia impazzito? *** Prima ancora d’avere vinto (o forse perso, vedremo) le prossime elezioni politiche,
Repubblica con un titolo a otto colonne che diceva: «Arrestati i capi segreti delle Brigate rosse: Ugo Tognazzi e Raimondo Vianello». Sotto il titolo, la foto dei due attori in manette. *** A proposito d’energia alternativa, un governo serio e responsabile finanzierebbe uno di quei progetti «per estrarre raggi di sole dai cetrioli» di cui parlava Lemuel Gulliver nel romanzo di Jonathan Swift. *** Hanno arrestato il Dottor Scotti! Che abbia fatto scuocere il riso? *** Non ci restituiranno Cesare Battisti. E chi lo vuole? Capirei se ci fosse la possibilità di convincere la Corte suprema del paradiso a restituirci Lucio Battisti. Ma Cesare Battisti? Se lo tengano! Se vuole, il Brazil può prendersi anche Maria De Filippi, il Mago Casanova e l’intero cast dell’Isola dei famosi. *** «Anche i cristiani primitivi sapevano benissimo che il mondo è retto dai demoni e che chi si mette in politica, ossia chi accetta d’utilizzare come mezzi il potere e la violenza, ha sigillato un patto col diavolo, sicché non è più indubbio che nella sua attività il bene produca solo il bene e il male il male, perché spesso accade il contrario. Chi non se ne accorge è un bambino, politicamente parlando» (Max Weber, La politica come professione). © Riproduzione riservata
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Mercoledì 8 Giugno 2011
PRIMO PIANO
Anche se la candidata aveva costretto al ballottaggio il fortissimo sindaco leghista
Rissa elettorale nel Pd di Varese I giovani con studi in Usa defi niti rottamatori pure qui DI
GIAMPAOLO CERRI
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emmeno il tempo di festeggiare un risultato, quella di Luisa Oprandi, battuta con onore al ballottaggio con il leghista Attilio Fontana per il comune di Varese, che nel Pd si riaccende subito lo scontro. Ed è stato proprio il voto a riacutizzare la divisione interna, quella fra piddini organici e una pattuglia piuttosto agguerrita di giovani rottamatori, capitanata, manco a dirlo, da un Civati. Qui non si tratta di Filippo, il giovane consigliere regionale che è nativo di Seveso, in Brianza. Quassù, a tentare di scardinare gli equilibri del partito, anche da un punto di vista generazionale, è Andrea Civati. Classe 1986, bocconiano, studi in Texas, affascinato dal progetto veltroniano del Pd (in cui però è entrato, a vent’anni, dalla porta diessina), Civati è consigliere comunale, membro della direzione regionale e ha ormai un suo percorso politico, oltre che un paio di blog piuttosto seguiti. Lo scontro fra le diverse anime è deflagrato proprio sui siti internet e nella
frastagliata blogsfera varesina. La vecchia guardia - quella del segretario cittadino Roberto Molinari in asse col senatore Paolo Rossi, entrambi franceschiniani, e quella bersaniana, più forte sulla provincia, con il segretario provinciale Fabrizio Taricco sostenuto dal deputato Daniele Marantelli - ha tuonato contro i giovinastri attraverso alcuni simpatizzanti. A Civati e agli altri promotori del gruppo Prossima fermata Varese viene rimproverato il disimpegno proprio sulla corsa della Oprandi. Anzi, qualcuno giura che i baldi giovani andassero predicando addirittura il voto disgiunto al primo turno, per azzopparla. Indignato Civati, che sul suo blog proprio oggi (ieri per chi legge,) replica: «Le consuete accuse ai rottamatori suonano come una excusatio non petita di colpe proprie». «Luisa (Oprandi, ndr) ha partecipato a tutte le mie iniziative (per la precisione tre) che sono state organizzate. Di cosa stiamo parlando, quindi?», polemizza il consigliere e ributta contro l’altro schieramento la scelta di aver designato la 50enne professoressa
di liceo, ex-democristiana, «all’ultimo minuto», anziché far partire la campagna sei mesi prima, «attraverso le primarie». Già perché a Varese, l’accordo fra le due componenti maggioritarie, bersaniani e franceschiniani appunto, aveva bloccato la liturgia democratica del candidato indicato dal basso. La scelta era caduta appunto sulla Oprandi, voluta proprio dal senatore Paolo Rossi e le due correnti avevano votato compatte al direttivo Pd, che doveva decidere. Ma solo il 20 febbraio scorso. «Il direttivo cittadino ha votato contro le primarie di coalizione tranne i cinque militanti che fanno riferimento al movimento dei cosiddetti «rottamatori», sta ancora scritto, con toni quasi sprezzanti, sul sito del Pd provinciale. Pd che, a Varese, ha inseguito fino all’ultimo il modello Macerata, ovvero la corte spietata all’Udc per dare scacco alla Lega. Operazione abortita: addirittura che in città, come non è accaduto in molte parti d’Italia, il partito di Casini al ballottaggio ha dichiarato di votare per il candidato leghista.
REFERENDUM
Tg1 e Tg2 sbagliano le date Qualche maligno avrà pensato che gli errori non accadono mai per caso. Soprattutto quando a commetterli sono i tiggì della Rai. Se poi l’errore riguarda la data dei referendum, apriti cielo. Del resto lo sanno tutti che per il Cavaliere i quattro quesiti referendari di domenica e lunedì sono inutili. Ma per chi lavora le gaffe sono sempre dietro l’angolo e nessuno è così masochista da commetterne a raffica. A sbagliare le date della chiamata alle urne è stato prima il Tg1 e in seguito il Tg2. Per entrambi i tiggì il lapsus ha riguardato il 14 giugno, che è martedì prossimo, il giorno in cui i seggi sono stati già smobilizzati dopo che si è votato (il 12 e il 13, meglio ripeterlo). Al Tg1 è toccato ad Attilio Romita, nell’edizione delle 20, l’ingrato compito di correggere l’errore commesso in un’edizione precedente, addirittura nei titoli. All’interno della redazione si è aperta la caccia al colpevole. In line quel Augusto Minzolini giorno al politico c’era un solo caposervizio, Alberto Matano. Ma il titolo con la nota sbagliata è passato al vaglio dei caporedattori e del vicedirettore di turno. In precedenza l’errore su Mills assolto costò il posto a Mario Prignano, spostato dal politico a un altro servizio. Marco Castoro © Riproduzione riservata
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presenta
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Venerdì 8 Luglio 2011
PRIMO PIANO
La notte di martedì 28 giugno ce n’era uno in transito sull’Aurelia. Era diretto in Libia?
Che fa un sommergibile per strada? È un Classe U212A, una macchina perfetta per colpi di mano DI
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PIERO LAPORTA
n sottomarino italiano transita nella notte del 28 giugno sull’Aurelia, in direzione sud. Forze speciali francesi e inglesi sono in Libia, come oramai si sa, da almeno quattro settimane prima della risoluzione delle Nazioni Unite. Si sono aggiunte anche le forze speciali italiane? Tutte insieme o in concorrenza per dare la caccia a Muhammar Gheddafi? Il Presidente russo Dmitry Medvedev il 4 luglio a Sochi, sul Mare Nero, ha incontrato il segretario generale e gli ambasciatori dell’Alleanza Nord-atlantica. Il segretario generale della Nato, il danese Anders Fogh Rasmussen, dopo questo incontro, dice che Gheddafi è «game over», finito. Rasmussen disegna un quadro cupo, con amici e dignitari in fuga, che lasciano solo il vecchio dittatore. Rasmussen lascia in sospeso la conclusione, la quale tuttavia sembra univocamente
determinata: la morte. Poi occorrerà spiegare se sia stato un suicidio, un infarto o un attentato. Saif al Islam, figlio di Gheddafi, aveva tuttavia fatto due dichiarazioni che riposizionano il dibattito intorno al padre. Senza Gheddafi, egli dice, non c’è soluzione possibile. E aggiunge, per buona misura, che l’operazione della Nato è stupida e mal preparata. Quando un paesotto del Terzo mondo resiste da quattro mesi alla più grande coalizione militare della storia, questi sfizi di Saif al Islam sono il minimo. La seconda dichiarazione è stata ancora più interessante, alla vigilia del vertice NatoRussia di Sochi, Saif al Islam dice che Mosca è interessata agli impianti Eni in Libia. In questo quadro, da Eni giungono conferme circa accordi col Pakistan che avrebbe ricchi giacimenti di gas. Mentre la scacchiera si scaldava, nella notte del 28 giugno, come abbiamo detto, è stato avvistato sull’Aurelia
L’INCREDIBILE ASSIEME ALL’INENARRABILE
Ha rallegrato i mezzibusti in quota opposizione Violentata per una settimana filata dal Cavaliere in persona, che l’avrebbe tenuta segregata nei sotterranei del suo castello degli orrori, una misteriosa pornostar marocchina (ci risiamo) fa il suo ingresso nel teatrino delle serate eleganti berlusconiane, che ormai non hanno più niente da invidiare, bella scrittura a parte, alle 120 giornate di Sodoma del Marchese de Sade. Protagonista d’uno spettegulez, anzi d’una disavventura della virtù, per citare un altro titolo del Divin Marchese, di cui è stata data notizia sulle pagine d’un tabloid marocchino, questa novella Justine ha rallegrato, per una sera, i mezzibusti in quota opposizione, che hanno dato festosamente la notizia, senza crederci ma in fondo sperandoci un po’. Metti che il vecchio pazzo, alla sua età, con quei capelli e quei tacchetti, abbia davvero violentato una marocchina maggiorenne e inesistente, dopo aver abusato secondo l’accusa d’una marocchina minorenne e un po’ immaginaria anche lei (lui la credeva egiziana, nonché nipote dell’ormai deposto Muhammad Hosni Mubarak, e comunque maggiorenne, senza contare che «tra noi non c’è stato niente»). C’è infatti questo da dire a favore, o almeno a proposito, di questo moderno Barbablù: che l’incredibile (le accuse spropositate, le megamulte da non credersi, le promesse elettorali senza limiti o confini, le norme ad aziendam da lasciare stupefatti) sono la sostanza stessa della sua immagine pubblica — l’incredibile e anche un po’ l’inenarrabile.
Un sommergibile della classe U212A un carico davvero eccezionale: un sottomarino Classe U212A - Todaro, una macchina perfetta per colpi di mano di forze speciali, con lo scafo amagnetico, il sistema di telemetria notturno Zeiss, l’estrema silenziosità e tutto l’equipaggiamento per assistere gli incursori che volessero sbarcare sulle coste libiche e instradarsi verso Tripoli a caccia del colonnello. Perché un sommergibile viaggia di
notte su una strada statale invece di andare per mare? Se ha molta fretta, se le ore sono contate, se c’è un appuntamento importante a Sud di Pantelleria e il sommergibile è nella base di La Spezia, meglio fargli attraversare lo stivale a rimorchio. Facciamo il punto. Gazprom che dà il cambio ad Eni in Libia, è soluzione più probabile visti i baci e gli abbracci al vertice di Sochi. Non è chiaro
se lo spostamento di Eni verso l’ asse cino-pakistano-indiano avviene entro un disegno Nato, oltre la consueta lamentela Usa circa l’invasività della politica eenrgetica di Mosca nei territori limitrofi. Su alcuni blog circola intanto la notizia di trasferimenti di armi italiane ai secessionisti libici, per mano dei nostri servizi. Una notizia così sembra confezionata su misura per giustificare domani qualche malaugurata perdita in caso di operazioni speciali. Mentre gli Usa e Barak Obama sono alle strette per le voragini nel debito pubblico statunitense, forse nel vertice di Sochi si è trovato un nuovo equilibrio nel Mediterraneo e un nuovo ruolo dell’Italia. Questo spiegherebbe l’entusiasmo di Silvio Berlusconi il 2 giugno, con gli abbracci e le pacche sulle spalle al presidente russo Dmitry Medvedev sotto gli occhi d’un allibito Joe Biden, vicepresidente degli Stati Uniti. prlprt@gmail.com © Riproduzione riservata
Le tensioni tra Pdl-Lega frenano i lavori della regione Lombardia
Al Pirellone, senza soldi, da mesi si tira a campare TOMMASO TOCCAFONDI
per esempio, si potrebbero fare comunque norme senza aggravio del bilancio regionale, magari di irellone? No Fortezza Bastiani, solo che qui semplificazione dell’impianto normativo esistente. non si aspettano i Tartari di Dino BuzzaAttività che comporterebbe però molto impegno e ti ma semplicemente i soldi di Tremonti, poche risorse da distribuire sui territori e quindi nei quello che il superministro ha bloccato con collegi elettorali di questo o quello schieramento. il Patto di Stabilità. Il consiglio regionale lombardo, Ma non c’è solo il drammatico blocco dei fondi non potendo impegnare più un centesimo, pare la tremontiano alla radice di questo clamoroso immoforesta incantata di tante fiabe nordiche e viaggia bilismo. Secondo quanto dichiarano le opposizioni, alla media di due sedute al mese. Per l’esattezza, spesso a impedire l’attività legislativa sono stati al 30 giugno scorso, il parlmenproprio gli screzi e le tensioni fra tino delle rosa camuna, simbolo Pdl e Lega, ma ancor di più fra Rolombardo, aveva totalizzato trediberto Formigoni e il Carroccio ci sedute e partorito 10 leggi. E le che, in più di un caso, hanno sugnorme in questione non faranno gerito di non fare deflagare in aula la storia della parte più avanzata o in commissione la conflittualità del Bel Paese: l’ultima in ordine di strisciante della maggioranza. tempo, la legge 10 del 23 maggio E il parlamentino stagnante, an2011, si occupava di «Promozioche per giustificare il trattamento ne, riconoscimento e sviluppo delle economico degli 80 eletti (indenconfraternite enogastronomiche e nità di funzione, diaria e rimborso di associazioni consimili». spese trasporto per quasi 10mila Gli altri nove provvedimenti euro netti al mese), si applica a sono intervenuti in materia di eduun accademico balletto di moziocazione alla legalità, prevenzione ni, interpellante, interrogazioni, della criminalità, del Parco delle sugli argomenti più disparati. A Groane, di modificare altri testi scorrere il resoconto della seduta unici regionali in materia di sanidel 5 luglio scorso, si trova di tutRoberto Formigoni tà, del 150mo dell’unità d’Italia. to: dai profughi libici alla chiusura D’altra parte che l’attività del 2011 non fosse dell’Ufficio scolastico provinciale di Lodi, alla quedestinata a segnare la storia lombarda s’era visto stione della variante di Zogno, nella Bergamasca, già nel febbraio scorso quando, il giorno 10, aveva fino alla «dotazione di defibrillatori nei palazzi visto la luce la prima norma dell’anno con la quale della Regione», per la quale i consiglieri Carugo, il consiglio retto dal leghista Davide Boni istituiva Giammario, Azzi, Peroni, Saffioti e Parolini hanno il Comune di Gravedona ed Uniti, «mediante fusiopresentato una mozione, in quanto evidentemente ne dei Comuni di Consiglio di Rumo, Germasino e hanno a cuore il loro, di cuore, e anche quello dei Gravedona, in provincia di Como». tanti dipendenti regionali lombardi. © Riproduzione riservata Niente soldi, niente leggi dunque, fatto che rivelerebbe un approccio clientelare del Palazzo perché,
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Venerdì 10 Giugno 2011
PRIMO PIANO
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Dopo i recenti allagamenti è finito nel mirino, ma ne è uscito proponendo grandi progetti
Renzi al contrattacco con i fatti Il sindaco di Firenze non si fa intimidire dalle polemiche DI
GIAMPAOLO CERRI
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iove Comune ladro. A Firenze è bastato un temporale e un allagamento di un viale di circonvallazione – Viale Belfiore per scatenare, domenica scorsa, le opposizioni. Che aspettano Matteo Renzi al varco come forse non hanno fatto con il suo predecessore, il diessino Leonardo Domenici, perché a differenza di quest’ultimo attrae, e non poco, anche la parte moderata della città. Gabriele Toccafondi, giovani deputato pidiellino con due legislature comunali alle spalle, che da alcuni mesi sta recitando il ruolo di anti-Renzi, c’ha provato anche stavolta, dettando alle agenzie un comunicato severo: «A Firenze è piovuto e tutta la città è andata in tilt: sottopassi chiusi, tombini tappati, strade allagate, ingorghi, c’è chi ha subito danni per gli allagamenti». Pdl e soci hanno sperato in un bis della famosa nevicata del 17 dicembre, quando il giovane sindaco dovette ammettere gli
errori della propria giunta e la lentezza del sistema di allerta e della macchina dei soccorsi. «Renzi invece di sognare slogan, amministri e governi la città», ha dichiarato duro il parlamentare, suo quasi coetaneo, «lo so che per il sindaco rottamatore parlare di fango non ha lo stesso fascino del racconto della volta che ha sfiorato Obama, ma fare il sindaco comporta anche questo». La realtà è che Renzi, pur saltando da una presentazione all’altra del suo libro, Fuori!, pur non disdegnando di giocare un ruolo nella politica nazionale, riesce a fare il sindaco come da un po’ di anni a Firenze non accadeva. In rapida succ e s s i o n e, s o l o nell’ultimo periodo, Renzi ha programmato una serie di cambia-
menti che investiranno la città. A cominciare da un’area pedonale ancor più grande nel centro cittadino: oltre i sei ettari già raggiunti quando, a pochi giorni dell’insediamento a Palazzo Vecchio, nel giugno del 2009, aveva chiuso Piazza Duomo, azzerando d’un colpo la diatriba sul percorso della
Matteo Renzi
tranvia, con agguerrite fazioni di favorevoli e contrari al transito vicino alla cattedrale di S.Maria del Fiore. Ora, il 24 giugno, giorno del santo patrono S.Giovanni Battista, e praticamente secondo anniversario di governo cittadino, il sindaco allarga ancora: «Bisogna abituarsi all’idea che non si può avere sempre l’auto sotto il sedere anche per fare 500 metri», ha spiegato alla stampa cittadina, «almeno non in una zona ad alto pregio artistico come piazza Pitti o via Tornabuoni. Siamo nati comodi ma non siamo sirene, abbiamo le gambe. E diciamocelo», ha concluso, «il centro di Firenze si attraversa in 20 minuti a piedi». Quindi le Grandi Cascine, il progetto di riqualificazione dell’enorme parco sull’Arno, vero polmone verde della città e, fatto di ieri, la nuova iniziativa verso il governo, per ottenere le grandi caserme ormai abbandonate allo scopo di farne alloggi da offrire ai giovani a prezzo calmierato. Potendo vantare, nella medesima occasione, il
recupero e la rilocazione di 500 alloggi pubblici in due anni. Ma Renzi, da politico sanguigno qual è, non s’accontenta delle cose solite da municipio e si picca di continuare a lanciare progetti e idee in cui gli italiani, e non solo i fiorentini, si possano riconoscere. Dopo aver spesso ragionato pubblicamente sulle ragioni dei grillini ha annunciato il dimezzamento volontario degli assessori comunali, con il Progetto David, si butta a copofitto su un altro tema caro alla gente, anche quella lontana dal Palazzo: la sicurezza della strada. E lo fa con un progetto di legge per introdurre il reato di omicidio stradale, stangando gli ubriachi e i drogati che causino morti alla guida. Il tutto in omaggio a una giovane vittima della strada per queste cause, Lorenzo Guarnieri. Sul sito www.occhioallastrada. it, confermandosi un grande interprete dalla comunicazione online e della sua forza, ha già raccolto 5 mila firme. © Riproduzione riservata
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Venerdì 20 Maggio 2011
PRIMO PIANO
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Lega scatenata contro il plenipotenziario dei berluscones. Bernardini: abbiamo perso tempo
A Bologna ora rotolano le teste
Sotto accusa Berselli, regista della campagna elettorale del Pdl DI
GIORGIO PONZIANO
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rime scosse di terremoto, nel centrodestra, a urne chiuse. Succede a Bologna, dove il candidato di centrodestra, il leghista Manes Bernardini, si è fermato al 30% e il suo rivale pidiessino, Virginio Merola, ce l’ha fatta al primo turno per un pugno di voti. Il risultato del centrodestra è stato assai inferiore alle previsioni, anche in considerazione del fatto che le liste civiche hanno raccolto solo briciole, quindi sottraendo assai poco al potenziale elettorale dell’alleanza Pdl-Lega. Perché allora quel misero 30%? I leghisti si affannano a sottolineare che il Carroccio nella città più rossa d’Italia è passato in due anni dal 3,1 al 10,02% dei consensi. Quindi il j’accuse è verso il Pdl, passato dal 24% delle regionali al 16% delle comunali. Non volevano il leghista, l’hanno subito col mal di pancia e non l’hanno votato. La prima testa a cadere sarà quella di Filippo Berselli, plenipotenziario dei berluscones a Bologna. È stato lui il regista della disastrosa campagna elettorale, dopo avere tentato inutilmente di convincere Silvio Berlusconi a non accettare il diktat di Umberto Bossi sull’assalto leghista al Comune. Un’avversi-
tà sfociata perfino sul palco del comizio-clou dove Berselli ha preteso, e ottenuto, l’inno di Mameli, cantandolo a squarciagola mentre accanto a lui i leghisti abbassavano lo sguardo per terra, in segno di menefreghismo. Salvo poi la gioia dei leghisti quando il copione, attentamente concordato, ha servito Va pensiero, con loro a cantare e i pidiellini a far finta di niente. Quindi, separati in casa in attesa del responso elettorale. E ora, di fronte all’insuccesso, è incominciata la guerriglia. Manes Bernardini, che sognava un colpo di scena come quello che portò sulla poltrona più alta Giorgio Guazzaloca, si ritrova consigliere comunale di minoranza, anche se già pronto a scendere in pista per un posto in Parlamento quando si terranno le politiche. È proprio il vento di elezioni anticipate sta portando Pdl e Lega alla guerra. Sul banco degli imputati vi sono il senatore Filippo Berselli e tutto il gruppo dirigente Pdl: «Per il bene del Pdl», dice Manes Bernardini, «credo che debbano investire su una classe politica giovane e togliere il tappo di dirigenti che rappresentano solo se stessi». «Se Berselli si fosse svegliato prima», assicura Bernardini, «e mi avesse dato più tempo per la campagna elettorale, avrei fatto
Filippo Berselli
Manes Bernardini
di più. Invece, mi ha fatto perdere dieci giorni da quando la Lega ha deciso di candidarmi e addirittura mesi, con il balletto delle indecisioni dicendo sempre «decidiamo domani» il candidato». Bernardini afferma: «Abbiamo perso un ballottaggio per 500 voti, che si possono conquistare in un solo giorno di campagna elettorale fatta bene. Inoltre il Pdl non ci ha dato un euro per la campagna elettorale nonostante in tutti i miei manifesti ci fosse anche il simbolo del Pdl, di cui avrei potuto fare a meno». Non è solo il giovane leghista in ascesa
a chiedere a Berselli di farsi da parte. Aggiunge Rosi Mauro, inviata a Bologna come commissaria da Bossi: «Non mi convince questo risultato del Pdl, qualcosa non ha funzionato in casa loro. Noi siamo con la coscienza a posto, quindi una verifica va fatta nelle sedi opportune». La sede opportuna è quella romana, quindi la richiesta di tagliare le teste è rivolta a Berlusconi. Ma anche all’interno del Pdl c’è fermento. Lo conferma il coordinatore provinciale, Alberto Vecchi, che accusa i leader locali di «non essere riusciti in un anno e mezzo
Renzi sì che sa usare la comunicazione sul social network
Il dito più veloce su Fb è quello del rottamatore GIAMPAOLO CERRI
dai fiorentini che ringraziavano («sei l’unica persona seria fuori dal coro delle oche della politica di diei fa presto a dire Facebook in politica. Fonstra e di sinistra», scrive Daniele Vezzana) a quelli damentale, prima, capire il mezzo che, in che sciorinavano la mappa dei tagli più urgenti, ad questo caso, è più che mai il messaggio come altri cittadini invidiosi («perché non ti trasferisci a diceva McLuhan. L’unico che capisce come Pisa?», chiede Susanna Calderoni), mentre altri usare i social network è il rottamatore Matteo lo reclamano ad Arezzo, «uffa, hanno rieletto FanRenzi. Avvantaggiato, si dirà, dal fani» (che pure è del Pd) , a Vicenza fatto d’essere un sindaco e quindi o in Sardegna. Renzi mostra di caviaggiare ai piani più concreti delpire la grande forza comunicativa la politica. Certo è che il giovane di Facebook, usandolo secondo le piddino dimostra ogni giorno di sue potenzialità: messaggi brevi, sapere cosa Marck Zuckerberg, caldi, diretti e soprattuto percepiti l’inventore di Fb, abbia messo a come personali dell’autore. Il social disposizione dell’umanità. L’altro network affidato all’assistente di ieri, per esempio, di buon mattino, turno suona come il cimbalo tinha «postato» sulla sua pagina, che tinnante del salmo e la gente non ha 62.352 fan, queste semplici risegue. Qualche comparazione con ghe: «Ho ricevuto segnalazioni di altri primi cittadini? Letizia Momancato taglio dell’erba nei giarratti ha una pagina personale con dini pubblici», esordisce, parlando oltre 3mila amici, ma è chiusa e evidentemente delle aiuole della per conoscerne il pensiero bisogna Matteo Renzi sua città, e poi prosegue: «Può inviarle una richiesta d’amicizia. sembrare una cosa banale, ma inCome dire: o la pensi già come me, vece molto importante. Da lunedì allora si cambia o non mi interessi, che non è il massimo per un poliregistro, creando una task force che dia risposte tico. Gianni Alemanno ha addirittura due pagine entro 24-48 ore dalla richiesta. Iniziamo da Fb? personali (per aggirare il tetto di amici, che Fb fissa Segnalatemi qui i giardini di Firenze dove pensain 5mila), con bache aperte, ma piene di discorsi dei te necessario intervenire. Grazie!». Risultato: 432 supporter o di spamming. Di lui nessuna traccia. Il persone hanno premuto il pulsante del «mi piace», sindaco uscente di Napoli, Rosa Russo Jervolino, la funzione più popolare di questo social network, su Fb è una paginetta che ripropone il testo, un po’ con cui si esprime il gradimento a qualsiasi tipo di ameno, di Wikipedia. Piace a 37 persone. Sarebbe intervento, sia esso un video, una foto o, come in stato meglio lasciar perdere. © Riproduzione riservata questo caso, una frase. Ben 292 invece gli interventi:
S
DI
a trovare un candidato condiviso, impallinando una serie di possibili buone candidature». Il fuoco brucia sotto la cenere, esploderà dopo i ballottaggi di Milano e Napoli quando i conti si potranno fare con maggiore libertà e i berluscones under 40 andranno all’assalto degli ultrasettantenni: a Bologna il Pdl è guidato, oltre che dal 70enne senatore Berselli, dal 72enne senatore Giampaolo Bettamio, il primo missino storico passato al Pdl al seguito di Gianfranco Fini e lì è rimasto, il secondo è un berlusconiano della prim’ora, tra i fondatori di Forza Italia e tuttora fedelissimo del Cavaliere. Furono loro a cacciare Enzo Raisi, coordinatore bolognese del Pdl, quando egli osò schierarsi con Fini. Adesso Raisi presenta il conto: «A Bologna la somma delle preferenze dei primi otto candidati del Pdl rappresenta il 50% dei voti del partito, cioè l’appeal del Pdl a Bologna è quasi uguale a zero. Con questa forsennata rincorsa alle preferenze ognuno pensa per sé e nessuno all’interesse generale del partito». Nel capoluogo emiliano è incominciato il redde rationem tra leghisti e pidiellini. Un aperitivo di quanto potrebbe avvenire, a giugno, a ben più alti livelli. © Riproduzione riservata
Da Berlusconi alla Moratti è solo una questione di toni DI
CLAUDIO CERNUTO
D’istinto lo sanno tutti, ma in modo speciale chi lavora in comunicazione: il tono è tutto. Il suo valore supera spesso i contenuti stessi, in quanto è addirittura in grado di modificarne il senso. L’esempio più classico è pronunciare «ti odio», intendendo esattamente il contrario. Il tono è uno strumento assai sofisticato, del quale è molto difficile essere padroni. Molto più spesso si finisce con l’esserne padroneggiati. Silvio Berlusconi ha saputo usarlo per buona parte della sua carriera politica. Ma per capire quanto ne sia diventato suddito basta misurare la differenza tra il tono della sua discesa in campo e quello della quotidiana attualità. Si potrà dire che, non trovando nuovi contenuti, ha dovuto per forza di cosa innovarli attraverso il tono. Di sicuro in questo ambito non sono mancate altre pecche. Un altro errore è stato cominciare a pretendere dai suoi lo stesso tono, provocando un effetto cassa armonica di cui sono evidenti le conseguenze. E poi ci sono conseguenze meno evidenti, che riguardano proprio la gestione del tono. Il Maurizio Lupi che vediamo in televisione non solo sfodera una veemenza che non appartiene né al suo passato né a lui. Il tutto si tramuta in un disagio che il telespettatore non può fare a meno di notare. Lo stesso Fabrizio Cicchitto, a tratti, si espone con un piglio graffiante a lui improprio e del quale si avverte distintamente lo sforzo. Personaggi più naturalmente inclini a quei toni, come Daniela Santanché e Ignazio La Russa, sono risultate comunque vittime del tentativo di emulazione tracimando troppo spesso e facilmente nell’eccesso. Un altro esempio? Mentre Letizia Moratti eseguiva, e in quei modi, il suo infelice affondo su Giuliano Pisapia era percepibile tanto il marchiano errore quanto il suo profondo imbarazzo per quanto stava facendo. Così come nel marketing il tono di voce è parte integrante e spesso immutabile della marca e della sua identità, altrettanto è per la persona. In entrambi i casi cambiamenti troppo repentini possono produrre effetti controproducenti. Al punto che anche tornare indietro è spesso non meno difficile. a.cernuto@cernutopizzigoni.com © Riproduzione riservata
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Sabato 19 Febbraio 2011
PRIMO PIANO
Pieno successo nella metropoli dove la sinistra ha perso il tram da un quarto di secolo
Renzi conquista anche Milano
Nel mondo cambiato, le vecchie teste hanno fatto il loro tempo DI
GIAMPAOLO CERRI
M
atteo Renzi, impertinente sindaco di Firenze, Pd, è entrato a gamba tesa a Milano, la capitale industriosa d’Italia, quella città, cioè, dove la sinistra ha perso il tram da un quarto di secolo solo perché, essendo ancora essa, nel 2011, un misto tra Cipputi-Fiom (che stanno scomparendo) e radical chic (che sono potentissimi ma non numerosissimi) non riesce più a capirla, né a farsi capire. Renzi, forse, è l’uomo giusto per il nuovo che Milano pretende. Parla franco, non obbedisce ai tabù, spariglia le carte, non sta nel recinto politIco-politicante ma bighellona nella società reale. Insomma Renzi è uno scandalo per coloro (i big della cupola Pci-Pds-Ds-Pd) che hanno già fatto almeno tre legislature e, con la scusa di non privarsi di gente di Napolitano, infliggono in eterno a un elettorato sempre più stanco e deluso anche Giovanna Melandri (oggi) e, domani, persino Marianna Madia (che ha, per solo titolo, quello di essere l’avvenente figlia di un amico di Veltroni). Sotto gli altissimi soffitti del Salone d’onore della Triennale, 252 sedie da riempire non sono poche per una presentazione semiclandestina (due trafiletti nelle cronache milanesi del Corriere della sera) alla Rcs trattano meglio Alessandro Piperno. Eppure, quando il giovane sindaco, vestito come sulla copertina del suo Fuori!, abito scuro, camicia chiara senza cravatta, inizia a parlare, sono piene tutte e qualcuno segue all’impiedi. Il piccolo Obama non sta al tavolo a farsi omaggiare da qualche direttore di giornale, ma fa tutto da sé, microfono incollato alla guancia, stile convention di Silicon Valley. Sta in piedi, su un lato e chiama i filmati con cui si aiuterà a raccontare la sua terza fatica letteraria (anche se le due precedenti, a dire il vero, le hanno lette in pochi). Inizia con Eugenio Montale. Incurante dei propri difetti di pronuncia, certe esse sibilate, certe «ci» crepitanti, declama tutta «Prima del viaggio». L’ultimo verso («un imprevisto è la sola speranza») è forse il sottotitolo originale della sua vicenda politica, tutta svolta «malgrado» o spesso «contro» l’establishment ex-Dc ed exPci del suo partito. E della sua novità, Renzi va fiero. Della sua giovinezza anche. Strappa all’algido e composto uditorio milanese le prime risatine mostrando i protagonisti degli ultimi G8 italiani, Napoli, Genova e L’Aquila: mentre l’Occidente ha visto succedersi
da Bill Clinton a Francois Mitterand e da Tony Blair a Gehrard Schröder, l’Italia mostra la faccia di un Silvio Berlusconi andato invecchiando. E poi, capta la benevolenza di chi ascolta, proiettando una collazione di insulti tratti dai salottini tv. Filmato montato col Manuale Cencelli, dove destri e sinistri si succedono in un crescendo di volgarità, da Massimo D’Alema a Maurizio Lupi, da Tonino Di Pietro a Anna Fi n o c c h i a r o , d a Nichi Vendola a Daniela Santanchè di cui propone anche le perline antesottosegratariato, come il famoso parallelismo con Totti: «Né io, né lui ci siamo venduti a Berlusconi». E proprio il premier non compare nello show degli improperi. Il
sindaco non fa mistero d’essere allergico all’antirberlosconismo compulsivo di tanta parte dei suoi: «Mi auguro che Berlusconi si faccia processare, che ne esca fuori e che lo sconfiggeremo alle elezioni non
Matteo Renzi
con le sante alleanze» e il riferimento è alle procure e alle liaison con Fli. Renzi, assicura, che per lui, la politica, è volare più alto, come fa dire, in un’altra clip, a Bob Kennedy, suo mito di bambino, anche se nato sette anni dopo le pistolettate di Shiran Shiran che lo mandarono al Creatore. «Il Pil misura tutto», diceva l’allora ministro della giustizia, «eccetto ciò che rende la nostra vita degna d’esser vissuta». Banalizzare le leggi economiche nella capitale della finanza? Tutt’altro, un attimo dopo, per spiegare quanto il mondo sia cambiato, propone in visione sinottica i dati di prodotto di Cina e India, pre e post colonialismo, indicando la prospettiva competitiva di questi mondi verso il vecchio Occidente. Scenario, in cui l’Italia o si rilancia o soccombe. La medicina, secondo lui, «è il merito» ma in una posologia che non è quella tipica della sinistra (tutti
È UN RISCHIO SE SI AFFERMA LA DEMOCRAZIA NEL NORD AFRICANO
E se i leader fondamentalisti finissero poi tutti da noi? ISHMAEL
ne, né quale sarà il suo esito, ma l’attuale rivoluzione nordafricana, che, in poco dire che il Colonnello Muammar meno d’un mese, ha rovesciato ben due El Gheddafi, nei primi giorni regimi, quello egiziano e quello tunisino, è della grande rivolta che sta tenuna grande speranza per quanti vorrebbetando di spazzar via le dittature ro evitare che lo scontro di civiltà, già fin dell’Africa del nord, aveva dichiarato che troppo avanzato, conoscesse un’ulteriore si sarebbe unito volentieescalation. ri ai manifestanti che si Cacciare i tiranni dai pabattevano contro la polizia esi islamici, a cominciare nelle strade di Tunisi e del da Muhammar Gheddafi, Cairo. Adesso, cambiato simpatico ai nostri berluprudentemente cavallo, lo sconiani ma soltanto a loro, smargiasso che soltanto è un passo necessario verso qualche mese fa faceva il la stabilità in Medio orienbullo nelle strade di Roma, te e nel resto del pianeta. spara sui manifestanti che C’è soltanto da sperare chiedono le sue dimissioni che la storia ci risparmi le (alcuni, immagino, anche la sue ironie. Niente scherzi, sua testa) sciamando nelle prego. Non vorremmo che strade d’Al Baida e Bengaun’eventuale evoluzione si, dove invocano Allah e la democratica delle società democrazia, che di questi islamiche (evoluzione, ahiMuammar Gheddafi tempi è decisamente uno noi, molto eventuale, visto strano binomio. che soltanto un paio di giorni fa una folla Gheddafi è soltanto uno dei tanti dittatodi manifestanti ha sequestrato e violentato ri nordafricani che nelle ultime settimane una giornalista americana) lasciasse i fonhanno visto traballare il loro sistema di podamentalisti, cacciati dai paesi d’origine, in tere (speriamo crollino tutti, un dittatore eredità alle nostre periferie urbane, dove lo dopo l’altro, ma speriamo anche che non chic politico non soltanto tollera ma persino succeda come in Iran nel 1979, quando il incoraggia l’estremismo religioso, nel quale paese cadde dalla padella nella brace e il deve riconoscere qualcosa dei propri antichi mondo, tempo pochi anni, si ritrovò con una (ma sempreverdi) furori: il fanatismo, l’otscimitarra alla gola). tusità, il disprezzo per il nemico. © Riproduzione riservata Non sappiamo come evolverà la situazio-
E
DI
uguali) ma «tutti con le stesse opportunità di partenza», spiega, «che non tutti arrivino allo stesso livello è nella natura delle cose». Rottama senza appello i sindacati della scuola e le baronie universitarie, veri ostacoli alla meritocrazia. E in pochi punti fa strame di qualche sedimento vetero-sinistro: «In una crisi», scandisce, «non sempre ha ragione il sindacato, peraltro composto per metà da pensionati, non considerare l’imprenditore come un nemico, migliorare la produttività della pubblica amministrazione e non considerare inutile ogni discussione sulle tasse». La sala batte le mani quando Renzi lambisce una polemica con il presidente di provincia bolzanino Luis Durnwalder ma è lui stesso a stopparla: «No, dobbiamo finire». L’applauso scatta alla fine, quando chiude con i versi di Mario Luzi e l’invito a «stellare forte la notte» della politica italiana. Sembrano crederci i cinquanta che, libro appena acquistato, si mettono in fila e gli chiedono una dedica. L’Obamino, oltre all’autografo, dedica loro anche almeno cinque minuti, ascoltando, rispondendo, prendendo nota. Pensionati, giovani architetti, il papà di due cervelli fuggiti, in coda c’è pure la scrittrice emergente Camilla Baresani. Non è l’unica vip: in sala si nota il fi nanziere Enzo Manes, che avrà pure interessi fiorentini (controlla la Società Metallurgica italiana) ma che s’è portato moglie e fi glio. Un altro re della fi nanza, Francesco Micheli, fa quasi gli onori di casa, insieme alla compagna, Francesca Colombo, che Renzi ha voluto al Teatro Comunale. In piedi, c’è anche Luca Sofri e fa coppia con l’assessore fiorentino della cultura, Giuliano Da Empoli, la corrierista Maria Luisa Agnese. Agnese è pure, ma di nome, la moglie di Renzi, insegnante sobriamente elegante, sempre un passo indietro ma molto ascoltata. «È andato meglio che a Firenze», confi da a un amico in sala. Lo ha accompagnato, con uno staff ultra-light, in cui spiccano il fido Marco Carrai, uomo-ombra, e la capo di gabinetto Lucia De Siervo, figlia di cotanto padre costituzionalista, ma soprattutto burocrate di alto profilo. Brilla per l’assenza il Pd lombardo, inclusi l’ex-amico Pippo Civati, l’ascendente segretario provinciale Roberto Cornelli. Lo strappo c’è e si vede. Renzi è ormai l’antipolitica dal volto umano. O forse, a sentire lui, la politica tout court. © Riproduzione riservata
Sabato 2 Luglio 2011
PRIMO PIANO Da Grosseto a Milano, la scalata dell’ex patriarca
Scola, prete manager
Ha avviato scuole e radio di successo GIAMPAOLO CERRI
autorevole del cattolicesimo democratico. «Quando fu nominato cola è un manager, ha detnon sapevamo chi fosse ma un sato, il giorno della sua nocerdote ne ricordò l’appartenenza mina episcopale, Massia Cl e ci apparve subito uomo di mo Cacciari, filosofo che parte», ricorda oggi monsignor da sindaco di Venezia aveva conoRoberto Nelli, che ne sarà in sciuto molto bene l’ex-patriarca seguito vicario generale. chiamato da Ratzinger alla guiTimori fugati in pochi giorni, da della diocesi ambrosiana. E con un dinamismo che travolse sono stati in molti, nelle ampie tutto e tutti: incontri, celebraziopagine dedicate al cardinale, a ni, ritiri con cui l’ambrosianità richiamare questa sua capacità di Scola infervorava la chiesa di costruzione ricorgrossetana. «Non tradando la nascita di scurava niente, dalle Oasis, la fondazione persone, ai restauri, dedicata alla dialoalle vocazioni», dice go fra oriente e occiNelli. Particolarmendente, fra cristiani e te attento ai giovani, musulmani. Angelo il neovescovo arrivò a Scola però aveva coinvolgerne 500-600 dato prova di queste in incontri dedicati: sue qualità anche «Sei di quei ragazzi», nel primo periodo di ricorda Nelli, «riapriepiscopato, quello di rono il seminario». Grosseto, meno celeCordiale e attento nel Angelo Scola brato dalle cronache dialogo con le autorima ricco di vicende tà cittadine, col comuche restituiscono molto effiacene in mano all’allora Pds, Scola mente la personalità del nuovo diventò in breve un riferimento arcivescovo milanese. Classe ‘41, per l’intera città: «Tenevo il testo lecchese, Scola fu vescovo della delle sue omelie in sagrestia», ricittadina dal settembre 1991, corda Nelli, «appena la messa era all’ottobre del 1995. terminata, lo richiedevano tutti, Un piccolo centro, 82mila abidal sindaco al prefetto». tanti circa, per un vescovo giovaProverbiale una predica nella ne, 50 anni, ma soprattutto per quale si scagliò contro la pratica un ciellino. L’appartenenza al delle lettera anonime che surrimovimento di don Giussani, anzi scaldava il clima politico cittadila discepolenza diretta col fondano: «Nei giorni successivi, il corvo tore di Comunione e liberazione, tacque», ricorda l’ex-vicario. Ma fece abbastanza rumore, allora, soprattutto, Scola seppe farsi perché era ancora vivo il ricordo amare dai suoi nuovi concittadelle polemiche del giornale vicidini: «All’inizio lo chiamavano il no a Cl, Il Sabato, verso l’opera di tedesco, per via dei capelli rossi, Giuseppe Lazzati, storico rettore ma entro pochi giorni avevano della Cattolica e rappresentante capito che lui scommetteva su di DI
S
loro, più di quanto non facessero loro stessi», ricorda Paolo Pecciarini, preside del Liceo Chelli, che lo stesso vescovo volle aprire, insieme alle medie inferiori, constatato che in diocesi i cattolici gestivano solo scuole materne. Durante il periodo grossetano, ricevuta la delega alle comunicazioni sociali, Scola aprì una radio cattolica, ToscanaOggi. Per metterla in piedi, riunì intorno a un tavolo un pezzo di laicato: le potenti Misericordie e la Cisl toscana, che rilevarono, insieme ad alcune diocesi, una piccola radio esistente, Radio Monte Serra, acquistando nuove frequenze in tutta la regione. A dirigere l’emittente, che stava nella città del cardinal Silvano Piovanelli, chiamò un lapiriano doc come Renato Burigana, in seguito capo di gabinetto del sindaco Mario Primicerio, anche se, come caporedattore, scelse un giovane giornalista ciellino, Enrico Viviano, che poi sarebbe diventato stretto collaboratore dello stesso Piovanelli e portavoce dei suoi successori. E dai microfoni della stessa emittente, ogni venerdì, l’arcivescovo di Firenze parlava, regolarmente ripreso dalle cronache, ma la radio era di tutt’altra pasta rispetto a molte analoghe esperienze cattoliche: identità netta ma programmazione laica e vivace, in grado di parlare a tutti. Come amava fare lo stesso Scola che, forse per discrezione, ci si affacciò molto raramente. Oggi quell’emittente, ribattezzata Radio Toscana, è una delle più ascoltate nella regione. ©Riproduzione riservata
VATICANEIDE - FILONI DOVRÀ SISTEMARE I CONTI DI PROPAGANDA FIDE
Per il Papa rosso obiettivo trasparenza DI
ANDREA BEVILACQUA
L’ex sostituto della segreteria di stato vaticana, l’arcivescovo italiano Fernando Filoni, ha preso in queste settimane possesso del suo nuovo prestigioso incarico, la guida dell’importante e ricca Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli. Una Congregazione che gestisce un flusso di denaro considerevole, le casse delle principali missioni della chiesa nel terzo mondo, e il cui prefetto non a caso viene chiamato il «Papa rosso». Filoni è stato mandato da Benedetto XVI nella sede di Piazza di Spagna con un incarico delicatissmo: fare pulizia delle mele marce, di coloro cioè che in questi anni hanno lavorato lucrando sull’imponente patrimonio immobiliare della Congergazione stessa. Si tratta del magico quadrilatero situato nel cuore di Roma e che secondo alcune stime è valutato (al netto delle recenti rivalutazioni del mercato) intorno ai 9 miliardi di euro. Per anni diversi vip hanno avuto, grazie all’influenza di Angelo Balducci, gentiluomo del Papa e soprattutto consultore laico della Congregazione, acesso ad affitti agevolati, appartamenti lussuosi nel centro della capitale. Tutto è iniziato nell’era di Crescenzio Sepe, il cardinale oggi arcivescovo di Napoli, che fino al 2006 ha guidato Propaganda Fide. Dopo Sepe è arrivato il cardionale indiano Ivan Dias che anche a motivo del suo precario stato di salute non ha potuto gestire al meglio e in prima persona le finanze della sua Congrega-
zione. E così la parte del leone l’hanno fatta indubbi faccendieri che hanno messo a repentaglio la credibilità non solo di Propaganda ma anche della stessa Santa Sede. Di qui l’arrivo di Filoni. Di qui la decisione di affidare a un cardinale con riconosciute competenze manageriali il difficile compito di sistemare i conti. Filoni in queste settimana sta passando al setaccio tutti gli archivi, tutte le carte della Congregazione. Sta cercando di vederci chiaro per poi, nei mesi autunnali, mettere in campo quel «piano trasparenza» che tanto sta a cuore al Papa. Un piano che sta coinvolgendo tutti e cinque i ministeri vaticani con competenze finanziarie: la banca vaticana, l’Amministrazione del patrimonio apostolico della Santa Sede, il governatorato, i musei vaticani e, appunto, Propaganda Fide. Lo scorso 24 giugno Filoni è stato ricevuto in udienza dal Papa. Benedetto XVI lo ha ringraziato di aver accettao la guida di Propaganda. Filoni ha presentato al Papa il piano autunnale, i cambiamenti e le novità in seno al ministero vaticano con le maggiori risorse finanziarie. In questa difficile operazione Filoni può appoggiarsi al nuovo segratrio voluto da Ratzinger in Congregazioni, ovvero il salesiano cinese don Savio Hon Tai-Fai. È teologo e membro della Commissione teologica internazionale, non ha competenze finanziarie ma ha davanti a sé tutto il tempo per farsele. ©Riproduzione riservata
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PERISCOPIO DI
PAOLO SIEPI
Sono tre anni che stiamo all’opposizione assieme al Pd ma non ci siamo mai incontrati, non sappiamo quali partiti fanno parte della coalizione, non conosciamo le basi di un programma minimo sul piano sociale, economico, della giustizia, della politica estera. Al Pd lascio lo jus primae noctis, ma loro, la prima notte, la passano in bianco. Dalla prossima settimana, se non si muovono, mi muovo io. Questa è l’ultima chiamata. Antonio Di Pietro. La Stampa. Io mi ritrovo in un palinsesto che non ho condiviso in alcune scelte che ritengo importanti, una su tutte (dopo l’uscita di Santoro) la mia proposta di uno spazio dedicato alla politica con Monica Setta. Massimo Liofredi, direttore di Raidue. Corsera. In Svezia hanno aperto Egalia, l’asilo dei bambini senza sesso. Per «combattere la discriminazione sessuale» tutti giocano indistintamente con mattoncini Lego e bambole (di colore). Gli alunni vengono appellati con il pronome neutro (non esistono più, quindi, ne «lei», né «lui») e, tra di loro, si chiamano solo «friend», amico, e non con il loro nome. Abolite tutte le fiabe sessiste come Cenerentola o Biancaneve, ora si cresce leggendo storie di amori omosessuali tra giraffe. «Egalia dà a tutti la meravigliosa opportunità di essere quel che vogliono», dichiarano eccitate le maestre d’asilo, i cui esperimenti farebbero impallidire il Terzo Reich. Piero Vietti. Il Foglio. Sala operatoria. Chi ha lasciato l’aorta aperta? Gino Patroni. Qualcuno dica all’on. Casini che San Paolo, prima della conversione, non era affatto un libertino (come da lui affermato con la signora Gruber a Otto e mezzo!), casomai era un bestemmiatore, un persecutore di cristiani e un violento, ma libertino proprio no! Anzi, era un feroce moralista di scuola farisaica. Un po’ più di studio non farebbe male. Don Riccardo Sanvito. Il Foglio. Il conservatore crede in quello che è; il progressista in quello che vorrebbe essere. Roberto Gervaso. Il Messaggero. Non ci troviamo di fronte a un anacronistico ritorno del marxismo; che sarebbe una cosa seria. È chiacchiericcio da Bar Sport, da scompartimento ferroviario; che non regge alla popperiana falsificabilità, la liberale metodologia empirica della conoscenza, totalmente ignorata. È negazione del più elementare senso comune, irrazionalità contrabbandata per razionalismo illuminista. Una cosa deprimente. Piero Ostellino. Corsera. Io sono un libertario. Un jeffersoniano, per dirlo all’americana. he si autogo Il mio mondo ideale è fatto di minuscole comunità che autogovernano. Con l’Onu e il Fondo monetario sullo sfondo a dirimere le grandi questioni. In un certo senso sono un bossiano. Lo Stato non deve occuparsi di me. Altro che la legge sul fine vita! Manco il matrimonio vorrei statale. Di Umberto Bossi però mi ripugna la xenofobia. Il bello delle civiltà evolute nasce dalla mescolanza di etnie in cui ognuno continua a parlare il proprio dialetto. Fabrizio Rondolino. Panorama. Fuggirono insieme una bella mattina di primavera precoce, nella elettrizzante felicità che dà la colpa e nell’innocenza come di chi si ama. Mano nella mano, il passo veloce e felpato sull’erba appena tagliata, non un gesto di esitazione, senza voltarsi neanche un momento. Incuranti di tutto. Del passato, del futuro, del cattivo presagio annunciato dal fatto che la loro vita assieme cominciasse di martedì, in Russia giorno del malaugurio. Lorella Pagnucco Salvemini, Gli occhi sul samovar (Marsilio). Se dovete scegliere un manager o un collaboratore importante, domandatevi sempre: «Cosa farebbe questa persona se fosse un dittatore onnipotente?». Allora vi accorgereste che certi uomini servili potrebbero diventare vendicativi, che alcuni personaggi brillanti potrebbero diventare despoti capricciosi, che alcuni moralisti potrebbero rivelarsi degli inquisitori e certi comici essere crudeli. Francesco Alberoni. Corsera. Le cattedrali gotiche sono le piramidi dell’Occidente, e non siamo ancora riusciti a comprendere come esse si siano potute costruire in un’epoca considerata come oscura e arcaica sul piano scientifico. Roland Bechmann, Les racines des cathédrales, Le radici delle cattedrali (Payot). Per far sviluppare il paese c’è bisogno di più coesione che si può raggiungere solo sposando la razionalità alla nostra tradizione giudaico-cristiana, non solo con il multiculturalismo o con il nichilismo in salsa laicista. Ludovico Festa. Tempi. © Riproduzione riservata
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Sabato 25 Giugno 2011
PRIMO PIANO
La conferma arriva anche dal ministero dell’Economia: i soldi ci sono e verranno distribuiti
Scuola cattolica, la magia di Silvio Dal cilindro escono 250 milioni, una boccata d’ossigeno DI
L
GIAMPAOLO CERRI
o danno per depresso, i suoi, o per bollito, gli avversari, ma Silvio Berlusconi è vivo, vivissimo. Ne è la prova la seduta della Camera de l’altro ieri, quando nel disinteresse generale – la famigerata P4 riempe i cuori e le menti di tanti - il suo governo ha tirato fuori dal cilindro quasi 250 milioni di euro per la boccheggiante scuola cattolica, in una fase in cui Tremonti non pare intenzionato a mollare un centesimo, soprattutto in attesa della riforma fiscale. Interpellato urgentemente da una ventina di deputati pidiellini, capitanati dal fiorentino Gabriele Toccafondi, 38enne e ciellino atipico (amico di Roberto Formigoni ma vicino a Denis Verdini), il ministero dell’Economia, per bocca del sottosegretario Bruno Cesario, ha garantito: i soldi ci sono e saranno distribuiti. Materia del contendere, come ha ricordato in aula lo stesso Toccafondi, le continue erosioni del fondo per le scuole paritarie indicato nella Finanziaria 2011: 530 milioni, di cui, ha spiegato il
Silvio Berlusconi
parlamentare «solo 252 milioni sembrano effettivi, perché 28 milioni di euro sarebbero stati accantonati per esigenze statali». Il saldo, «reintagrato in Finanziaria con un emendamento, ancora non è stato reso disponibile per la ripartizione perché legato alla vendita delle cosiddette frequenze televisive digitali». Un’aleatorietà che ha terrorizzato quel vasto mondo scolastico privato, di matrice cattolica, cui il gruppo di deputati è corso a dar voce. Dietro al primo firmatario Toccafondi, la pattuglia formigoniana a Monte-
Le nozze d’oro di don Sonda barricato nella sua casa DI
TOMMASO TOCCAFONDI
«Wanted monsignore» in Vaticano. Recita più o meno così la scheda segnaletica che le guardie svizzere che presidiano i Sacri Palazzi, hanno ricevuto in questi giorni. E il prelato in questione vive a poche centinaia di metri, in un appartamento di Borgo Pio. Il bando che lo riguarda non è d’arresto ma d’interdizione agli uffici vaticani dove, per ordine del Governatorato, non si vuole che circoli o abbia accesso monsignor Gianni Sonda, 74 anni, vicentino. Non un prelato qualunque ma l’ex responsabile dell’ufficio della Congregazione per i Vescovi, dicastero assai strategico Oltretevere, ai tempi della segreteria del cardinal Giovan Battista Re. Ma che cosa avrebbe fatto, don Sonda, per meritare questo singolare ostracismo dalle stanze vaticane? Secondo i bene informati, avrebbe chiesto soldi a destra e a manca, senza mai però provvedere alla loro restituzione. Cifre non esorbitanti, si spiega negli ambienti della Curia, dell’ordine delle poche migliaia di euro ma che, sommandosi, hanno cominciato a ingrossare le fila dei creditori arrabbiati, stanchi di richiedere indietro quanto, fraternamente ma temporaneamente, concesso. Fin quando i prestatori – sacerdoti, religiose, vescovi, porporati e pure qualche gentiluomo del Papa - non si sono rivolti alla Segreteria di Stato stessa, facendo arrivare al cardinale Tarcisio Bertone una circostanziata denuncia. Da buon salesiano che non difetta di concretezza, Bertone ha voluto vederci chiaro, sollecitando un’indagine alla Gendarmeria. Agli inquirenti Sonda ha spiegato che non di truffa si trattava quanto di aiuti richiesti per fronte alle spese accessorie di un’eredita. Soldi, ha giurato il monsignore, che avrebbe restituiti a breve. In attesa di appurare i fatti nel dettaglio, le autorità vaticane gli hanno vietato l’accesso, anche per evitare che, incrociando qualche creditore indispettito, le discussioni potessero trascendere e che lo scandalo raggiungesse le stanze papali. O perché temono che la singolare questua, forse di natura compulsiva, possa continuare ancora. Ora don Giovanni sa che non è il caso di farsi vedere ai varchi di Porta S.Anna, del Perugino o del Petriano, rimane barricato nella sua casa che in molti assicurano essere modesta. Oggi festeggia 50 anni di messa, essendo stato ordinato il 25 giugno del 1961, ma si tratterà di un anniversario piuttosto agro. © Riproduzione riservata
citorio (Maurizio Lupi, Raffaello Vignali, Gian Carlo Abelli e Renato Farina), qualche exaennino (Riccardo Migliori e Viviana Beccalossi) ma anche molti forzisti della prima ora, come gli ex-sottosegretari Valentina Aprea e Roberto Tortoli. Cesario è intervenuto in funzione quasi notarile, a rassicurare che le cose sarebbero state fatte e come: «La ripartizione del fondo è effettuata con decreto del presidente del Consiglio e il provvedimento è in fase di perfezionamento», ha detto in aula,
precisando che i fondi distribuiti nell’anno «saranno comunque 496 milioni», fra fondi individuati e risorse a rischio. Una mossa, quella di Berlusconi, che rassicura i cattolici in una fase di fibrillazione dell’associazionismo che guarda (o guardava) al Pdl. Preoccupati dalla batosta elettorale e dall’esito referendario, alcuni esponenti ciellini, fra cui i giornalisti Antonio Socci e Robi Ronza, hanno avviato un dibattito sulla opportunità di ricostituire ambiti laici di impegno politico, come il Movimento popolare da cui proveniva Roberto Formigoni. E non sono stati i soli, anche Carlo Costalli, leader del Movimento cristiano lavoratori-Mcl, nato nel ’74 da una costola delle Acli, allora divorziste e poco ligie al magistero del Papa, ha ricordato recentemente la necessità di creare «un blocco sociale cattolico per le riforme». A queste suggestioni, il Cavaliere ha risposto con un timido ma concreto segnale, un piccolo ghe pensi mi con cui ha convinto il suo riottoso superministro dell’Economia a saldare il conto delle scuole private.
La Serracchiani dà della mosca a Di Pietro «Il Pd sarà anche un pachiderma, ma di sicuro non gli servono mosche cocchiere». Lo ha affermato l’europarlamentare del Pd Debora Serracchiani, replicando alle dichiarazioni del leader dell’Idv Antonio Di Pietro, secondo cui «il Pd è un pachiderma inerme che dice di no a tutto». Secondo Serracchiani «per favorire la costruzione e possibilmente l’allargamento di una coalizione alternativa credibile ognuno dovrebbe fare la sua parte». Riferendosi all’intenzione manifestata da Di Pietro di candidarsi alle primarie di coalizione, Serracchiani ha constatato che «arriva secondo dopo Vendola».
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Vaticaneide, per Scola numerosi ostacoli DI
ANDREA BEVILACQUA
Da lunedì ogni giorno è buono perché Papa Benedetto XVI annunci, attraverso la sala stampa della Santa Sede, l’arrivo nella diocesi di Milano del nuovo arcivescovo, il cardinale Angelo Scola. Prenderà il posto del cardinale Dionigi Tettamanzi. La data giusta dell’annuncio potrebbe essere la festa dei santi Pietro e Paolo, mercoledì 29 giugno. La nomina arriva dopo giorni molto difficili oltre il Tevere. Benedetto XVI non ha per nulla digerito la fuga di notizie seguita alla plenaria della Congregazione dei vescovi nella quale il cardinale Angelo Bagnasco ha redatto, in qualità di ponente, la terna dei nomi da portare al Papa. Oltre a Scola c’erano quelli del vescovo di Rimini Francesco Lambiasi, e l’osservatore permanente della Santa Sede al Consiglio d’Europa, Aldo Giordano. Secondo il Pontefice sarebbe stata opportuna maggiore riservatezza da parte dei cardinali membri della stessa plenaria ma così non stato. A Milano molto fa discutere l’arrivo di un cardinale legato, almeno stando alla sua formazione giovanile, al movimento di Comunione e Liberazione. Don Luigi Giussani, soprattutto negli anni Cinquanta, Sessanta e Settanta, ha rappresentato una spina nel fianco della curia ambrosiana, un forza diversa e dirompente rispetto agli schemi consueti di gestione della diocesi stessa. Con l’arrivo del cardinale Carlo Maria Martini nel 1980 le distanze si sono acuite e per questo suona davvero come singolare la scelta del Papa di portare Scola a Milano. Oltretutto Scola lascia una sede prestigiosa: chi guida Venezia assume il titolo di patriarca. Chi lascia Venezia perde questo titolo. Durante la recente campagna elettorale per le comunali, sono arrivate diverse critiche al cardinale Dionigi Tettamanzi anche da parte di esponenti del mondo cattolico
milanese. Tettamanzi era giudicato reo di aver appoggiato apertamente la candidatura di Pisapia. In difesa di Tettamanzi è sceso in campo un gruppo nutrito di cattolici anch’essi diocesani che su Europa ha firmato un appello dove si leggono queste parole: «La porteremo sempre nel cuore, memori anche delle forme concrete del suo magistero, rilegate nel suo motto episcopale Gaudium et pax (gioia e pace). Una gioia che nasce dall’incontro col Risorto e che non può essere scalfita dalle accuse e dalle cattiverie che accompagnano la vita di chi testimonia l’evangelo; la pace poi che si diffonde su tutti, sui piccoli e sui grandi, sui buoni e sui cattivi, su quanti sono sinceramente credenti e su quanti sono sinceramente in ricerca. E anche su quanti si trincerano dietro l’ipocrisia, il rancore e l’ostinazione». Il nodo del contendere è principalmente uno: sono stati Tettemanzi e Martini due arcivescovi degni della grande tradizione ambrosiana o invece hanno rappresentato una rottura rispetto agli arcivescovi precedenti, gli indimenticati Alfredo Ildefonso Schuster, Giovanni Battista Montini e Giovanni Colombo? Secondo una vulgata – la cosa è stata sottolineata anche dall’appello firmato su Europa –, Tettamanzi e Martini hanno interpretalo al meglio quanto lasciato loro dai predecessori. Secondo coloro che leggono nell’arrivo di Scola una svolta a 360 radi no: Scola rappresenterebbe un ritorno ai grandi di un tempo e una svolta rispetto agli ultimi due arcivescovi. A Martini e Tettamanzi in molti imputano il non essere stati in grado di aver contenuto la forte emorragia di fedeli dalle parrocchie, per non parlare del seminario che ogni anno perde vocazioni. Ma, dicono in diocesi, come vanno le vocazioni e quanti fedeli ci sono nelle parrocchie condotte da arcivescovi di altro «colore»? © Riproduzione riservata
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Giovedì 19 Maggio 2011
PRIMO PIANO
La Moratti licenzia il pr chiamato d’urgenza tre mesi fa
La scure di Letizia Tagliabue diventa il capro espiatorio GIAMPAOLO CERRI
moderno fotomontaggio, lontano un miglio. E tutto giocata in fona salvatore della patria a do bianco, colore che abbassava capro espiatorio in meno ancor più il termometro del mesdi tre mesi. Chiamato saggio. Lo stesso bianco che si era come medico d’urgenza disegnato sulle facce degli uomini al capezzale (mediatico) di Ledel comitato elettorale quando i tizia Moratti, ora Fiorenzo primi riservatissimi sondaggi, Tagliabue, re delle pierre milaavevano mostrato donna Letizia nesi, viene messo alla porta dal molto più in basso dei voti della sindaco, furente per i sette punti sua coalizione. Volto vagamente di distacco da Giuliano Pisapia. picassiano, capelli ingrigiti ma Tagliabue, 54 anni, brianzolo di curati, occhiale largo dalla monGiussano, a capo della Sec, 6,8 tatura sobria, Tagliabue non era milioni di euro fatturati nel 2009 certo il Mr. Wolf di Pulp Fiction e 152 clienti (dalla ma i problemi, Regione Lombarcome il persodia dell’amico Ronaggio di Harberto Formigoni vey Keitel nel all’Unicredit), una film di Quendelle poche società tin Tarantino, italiane in un setli avrebbe risoltore dominato dalti. O almeno ci le multinazionali avrebbe provastraniere. Dopo un to. Così, con la passato nel piccolo sua schiera di gotha dell’informaprofessionisti zione cattolica – da al piano terra Radio Supermilano di via Castaldi, al Sabato, da Avveaveva cominciaFiorenzo Tagliabue nire al centro tv del to a macinare Vaticano – Tagliabue nel 1989 lavoro. Ché la laboriosità è la s’era messo in proprio. A corsa sua gran dote: all’alba ha pratielettorale iniziata, gli avevano camente letto tutto e la sera speschiesto di raddrizzare la campaso chiude gli uffici. Obiettivo, fare gna che la britannica Aegis meuscire la Moratti con un profilo dia communication insieme con suo: meno Silvio Berlusconi o i pubblicitari della Klein Russo Daniela Santanché e più Expo, avevano cominciato maluccio: più nuove linee della metro, più terribili manifesti con cui l’algida Milano del fare. È lui a consigliare Letizia compariva con sorriso foril diktat secco su Roberto Laszato, fra vari milanesi, dagli ansini, «o lui o io», che era valso al ziani allegri, ai ragazzini da spot sindaco le sopracciglia alzate deBarilla, dai volontari patinati ai gli Stracquadanio, dei Mantovalavoratori con le improbabili petni e di tutta la gioiosa macchina torine. Visual, come dicono i tecnida guerra pidiellina. La Moratti ci , che sapevano di photoshop, il l’aveva seguito, salvo poi fare di DI
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Melchiorre, chi l’ha vista? Il suo sogno era diventare sottosegretario alla giustizia, come quando al governo c’erano Dini e Prodi. Silvio Berlusconi, invece, l’ha mandata al ministero dello sviluppo economico. Fatto sta che Daniela Melchiorre, dopo il giuramento, non si è fatta più vedere. Al contrario di Catia Polidori, che appena ha avuto l’incarico di sottosegretario nello stesso ministero ha partecipato pure al consiglio dei ministri Ue a Bruxelles. E pensare che, mentre la parlamentare di Città di Castello ha un ufficio nelle stanze dell’Eur, quelle che un tempo erano di Adolfo Urso, e poi abbandonate, alla mora magistrata erano stati riservati gli ambienti di largo di Brazzà, a due passi da fontana di Trevi. Pierre de Nolac © Riproduzione riservata
testa sua, nel giorno maledetto di Sky, con l’autoimboscata del processo per furto a Pisapia «in odor di terrorismo», che aveva gettato nella costernazione Gabriele Bertipaglia, il socio e collaboratore stretto che Tagliabue aveva messo al servizio del sindaco e a capo di una decina di volitivi addetti stampa. Più o meno lo stesso staff, Bertipaglia in testa, che aveva compiuto a novembre dell’anno scorso il miracolo Pisapia: vale a dire sbaragliare alle primarie di coalizione l’architetto à la page Stefano Boeri, sostenuto da Pd, ma tanto amato dalla Milano direzionale e trasversale come lui, che un minuto prima di candidarsi faceva il consulente della Moratti per l’Expo. Poi, i perdenti, ovvero il Pd, avevano imposto il cambio di consulente e Pisapia aveva mollato la Sec, con una certa amarezza del suo entourage che aveva stabilito con i Tagliabue-boys un’intesa più che professionale, malgrado l’estrazione ciellina dei vertici dell’agenzia, fondatore in testa. Ma quella era stata un’uscita dolce, trionfale. Questo un vero e proprio licenziamento. E senza la giusta causa. © Riproduzione riservata
DECRITTAZIONI di Marco Cobianchi - Umberto Bossi: «Non ci faremo trascinare a fondo» Voleva dire:
VISTO DA FUORI
Gli esponenti della società civile restino pure dove sono
P
DI
RICCARDO RUGGERI
rima delle elezioni ho scritto un cameo, il direttore lo ha titolato «Il voto di domenica visto da uno che non se ne intende». Giusto. In una settimana non ho certo migliorato le mie competenze politiche (nulle), per cui posso tranquillamente scrivere del dopo elezioni. Da vent’anni vivo all’estero, in paesi verso i quali i nostri intellettuali «sbavano» di ammirazione. Per me hanno una caratteristica in comune: il loro establishment è identico al popolo che rappresenta; provo una serena disistima verso entrambi (escludo tre paesi: Svizzera, Finlandia, Israele). Purtroppo, ormai abbiamo in comune le stesse istituzioni, in futuro le stesse leggi, come unica difesa ci resta il disprezzo, un diritto civile che dobbiamo continuare a esercitare: lo dobbiamo ai nostri figli e nipoti, soprattutto ai più deboli. Il momento delle elezioni in Italia (prima e dopo) per me è magico: posso osservare i (veri) comportamenti organizzativi dell’establishment, confrontarlo con le elezioni precedenti, rilevare le dinamiche culturali che emergono. Non ho alcun interesse per le percentuali. Da tempo osservo un aumento costante del tasso di volgarità. La parola chiave, nella versione spartana, è stata «macchina del fango», nella versione colta, «metodo Boffo». Ai miei amici svizzeri ho dovuto spiegare che «metodo Boffo» è un insulto (feroce) usato dai media di un certo colore contro media di un altro colore che, a loro volta, rispondono (versione colta) con «putains respectueuses». Di questo zoo, l’unico che merita rispetto è Boffo. L’aspetto ancora più sgradevole, almeno per me, è la compunzione di entrambi, quando dicono queste volgarità. Ho una sola preoccupazione. Osservo che si stanno agitando esponenti della cosiddetta società civile, personaggi che anziché fare il mestiere che hanno sempre fatto, spesso male (banchiere, supermanager, professore), in età avanzata vogliono fare i politici, per entrare almeno nella «riserva della Repubblica» (Come definirli? Parolai in attesa di parlare? Inetti in attesa di dimostrarlo?). Quei pochi di costoro che al potere ci sono effettivamente arrivati, hanno fatto danni. Ho il sospetto che, avvicinandosi la «caduta del tiranno», anziché permettere a coloro che si sono opposti a costui, di sostituirlo (in democrazia, il capo dell’opposizione diventa, se ha i voti della maggioranza, il nuovo leader), qualche riserva voglia prendere il posto del titolare. Ne sappiamo qualcosa noi del Toro, scegliamo sempre riserve (anche di gran nome), rimaniamo sempre in serie B.
- Per il momento, non fate l’onda.
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È L’INVOLUZIONE DA LIBERALE A LIBERAL
Il sentimentalismo è l’altra faccia del cinismo DI
C
ISHMAEL
he il liberalismo, una dottrina nota per la spietata e gelida coerenza con cui perseguiva la sua idea d’autonomia dell’individuo, si sarebbe ridotto da liberale a liberal, cioè a praticare la compassione sociale (e a decidere, «per dirla più brutalmente», che «la libertà esige che i governi procurino welfare ai poveri») come sua massima e anzi unica virtù, era qualcosa che secondo Kenneth Minogue, professore di scienze politiche alla London School of Economics, la parte più fragile del liberalismo covava fin dall’origine, già nel XVI e XVII secolo. Ma il rovesciamento definitivo o, per meglio dire, politicamente significativo, del liberalismo nel suo contrario, il radicalismo sociale, l’antimperialismo, il nichilismo culturale, è un fenomeno recente, collocabile più o meno nella seconda metà degli anni Sessanta dello scorso secolo con epicentro l’America delle rivolte studentesche, delle lotte per i diritti civili, del primo femminismo. E fu proprio Montague, col suo classico studio del 1963, La mente liberal, oggi
tradotto dalla casa editrice Liberilibri, pp. 294, € 18,00, a descrivere questa improvvisa parabola storica del liberalismo. Fu Montague a spiegare per primo che «il sentimentalismo è l’altra faccia del cinismo» e che «entrambi questi atteggiamenti disumanizzano le persone trasformandole in caricature; ma mentre le caricature del cinico generano odio e disprezzo, le caricature del sentimentalista suscitano lacrime. Entrambi gli atteggiamenti sono egualmente distanti dal mondo reale, ed entrambi sono autocoscienti in modo corrotto. Metti insieme i due atteggiamenti e avrai un melodramma. La politica del pensiero liberal è un melodramma con oppressori e vittime». Questo melodramma, che feconda i programmi politici dei governi di sinistra e centrosinistra in tutto il mondo, e che, da tempo, è trapassato anche nei programmi politici dei loro avversari, è ovunque in cartellone da almeno quarant’anni. E dagli anni Settanta, ormai, che «quella cosa nota come “giustizia sociale” viene a dipendere dagli abili governi che usano l’economia come fonte di benefici attraverso i quali manipolare i cittadini. È
significativo il fatto che questa mossa politica sia stata inaugurata non dai liberali, ma da Bismark nella Germania del XIX secolo». Già allora destra radicale e sinistra ultrà congiuravano insieme ai danni della libertà politica. Prendiamo proprio Otto von Bismark. Attraverso uno dei suoi ministri, Edgar von Westphalen, cognato di Karl Marx, il Cancelliere di Ferro ebbe a suo tempo degli abboccamenti con l’autore del Capitale, e questi, per un momento, fu tentato di schierarsi con l’unificatore della Germania, il leader che sconfisse i francesi a Sedan e che, dopo aver varato le Sozialistengesetze o leggi antisocialiste, cercò d’arruffianarsi il nascente movimento operaio alzando la bandiera del Socialismo di Stato. (Per seguire il liberalismo in altre avventure, anch’esse spericolate ma decisamente meno infide, si veda un altro titolo Liberilibri: Libertarismo. Silloge di David Boaz, pp. 454, € 20,00). Quanto a noi, possiamo definitivamente scordarci, con l’aria elettorale che tira, la rivoluzione liberale che ci era stata promessa a metà degli anni Novanta. © Riproduzione riservata
Giovedì 17 Marzo 2011
PRIMO PIANO
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A Firenze battaglia a colpi di «post» tra i due amici-nemici, entrambi cattolici, divisi dalla politica
Renzi rottamato su Facebook
Toccafondi (Pdl) usa il social network per lanciare la sfida DI
GIAMPAOLO CERRI
V
uol rottamare il rottamatore. Da destra però. È il deputato fiorentino Gabriele Toccafondi, pdiellino di obbedienza verdiniana, ma molto legato anche al vicepresidente della Camera, Maurizio Lupi, col quale condivide l’appartenenza religiosa a Cl. Da un mese a questa parte, il parlamentare e membro della Commissione Bilancio si segnala per un attivismo antirenziano piuttosto vivace che lascia preludere a una vera e propria campagna di primavera contro il sindaco Pd più ammirato dagli elettori del centrodestra. E per sfidare Matteo Renzi, Toccafondi ha scelto il terreno privilegiato dall’enfant prodige del centosinistra: Facebook. Titolare da tempo di un profilo (come si chiamano le pagine personali sul grande social network) peraltro scarsamente aggiornato, Toccafondi ha cominciato a «postare» sulla pagina virtuale pensieri, riflessioni, link, stringendo amicizie una dopo l’altra fino a sfiorare il migliaio dalle poche centinaia iniziali. Certo, siamo ben lon-
tani dalle 4.881 incamerate da Renzi in pochi anni, vicine al massimo consentito, ma è il segnale di una guerra nel campo scelto dal nemico. E sulla pagina di Facebook, dove il deputato ha inserito una foto della skyline fiorentina virata in viola tenue (omaggio alla squadra del cuore) col suo motto «Servo di tutti, schiavo di nessuno», che richiama la militanza giovanile di Toccafondi in Popolo e libertà del ciellino milanese Aldo Brandirali, già leader sessantottino di Servire il popolo. Dal sito fondato da Marck Zuckenberg, Toccafondi punge Renzi quasi tutti i giorni, lo chiama Renzocchio, alludendo alle bugie «politiche» del primo cittadino, col tono un po’ goliardico da fiorentino verace (anche se della periferia, essendo nato e residente a Sesto), fino a pubblicare la foto che
lo ritrae mentre para un rigore tirato da Renzi in una partita benefica, usando photoshop per ingrandire il dettaglio della smorfia di desolazione del sindaco e il giubilo sul suo vuoto. E Facebook è stato usato anche per pubblicizzare un appuntamento in città per manifestazioni antirenziane, come quella di fine febbraio all’hotel Mediterraneo, insieme con altri consiglieri comunali d’opposizione, con l’eloquente titolo «Le solite bugie».
Gabriele Toccafondi
Un attivismo, quello di Toccaffondi, che ha finito per indispettire lo stesso Renzi che, il giorno successivo alla presentazione del suo libro, «Fuori», davanti al commento del deputato sulla mielosità delle recensioni, invitava polemicamente l’avversario a leggere il testo prima di criticarlo, suscitando il dibattito fra gli stessi amici di Toccafondi. Pariglia resa, giorni dopo, nella pagina del sindaco, con una critica alle motivazioni con cui Renzi argomentava la decisone di non baciare, lui cattolico, l’anello al Papa durante una visita dell’Anci in Vaticano. Incursione possibile perché i due sono «amici» su Facebook, potendo leggersi e commentarsi a vicenda. Per la verità, la conoscenza data da i primi anni ’90, quando il liceale Matteo Renzi frequentò per un periodo Gioventù Studentesca, l’ambito liceale del movimento di don Giussani. Frequentazione che continua anche negli anni successivi, pur in campi avversi: Toccafondi scende in campo nel ’99 nella lista civica del candidato sindaco di centrodestra, l’ex rettore Franco Scaramuzzi, e poi passa in Forza Italia, Renzi,
Renzi sotto accusa anche per la crisi della compagnia musicale intrappolata a Tokyo
E sfiorisce sul Maggio fiorentino DI
ANTONIO CALITRI
M
atteo Renzi, prima vittima politica italiana dell’apocalisse giapponese, fa impazzire di gioia i vertici del Pd. Il sindaco rottamatore di Firenze scivola sulla gestione della crisi della compagnia musicale del Maggio fiorentino, in tournée tra Tokyo e Yokohama proprio nei giorni della tragedia e rischia di finire rottamato. Renzi, alle prese con il difficile rientro anticipato, in tre giorni riesce a mettersi contro governo, fiorentini e famiglie dei musicisti della compagnia. Un risultato politico disastroso, che da Firenze è subito rimbalzato nelle stanze del Pd romano, dove, quelli che dovevano essere messi da parte, stanno segretamente ridendo, non per la tragedia naturalmente, ma per il fatto che alla prima seria emergenza, il sindaco aspirante leader è andato in tilt. E ora, per salvare l’immagine, grida al tradimento del ministro Franco Frattini e del governo italiano. Il bilancio del Pd su questa questione verrà tirato fuori nei prossimi mesi, quando sarà finita l’emergenza e torneranno le beghe interne al partito. Così, a un nuovo attacco del rottamatore, spunterà il dossier sul caso e al sindaco verrà rinfacciata la gestione di una crisi
Matteo Renzi che l’ha mandato in tilt. E se è bastato il nervosismo lecito di una compagnia musicale, come potrebbe gestire le emergenza di un paese o di un grande partito? Renzi declassato quindi a bravo copywriter, ottimi i suoi slogan, ma niente di più. Tutto è cominciato all’indomani delle scosse con il sindaco che l’11 marzo scriveva su Facebook, che «siamo in costante collegamento con il Giappone, dove in questo momento ci sono circa 300 donne e uomini del Maggio Musicale Fiorentino per una grande tournée che dovrebbe iniziare domenica. Confermo che ci risulta che stanno tutti bene, nonostante il grande spavento. Un pensiero particolare, naturalmente, per le vittime di tragedia». Due giorni dopo, mostrava ancora tranquillità e diceva che «il governo dice che non prevede evacuazioni e
dunque si va avanti. Il Maggio ha fatto una prima strepitosa ed emozionante esibizione, con la guida di Mehta. Se qualcuno vuole tornare indietro rispettiamo la scelta. Ma giovedì io parto per Tokyo, per stare vicino ai professionisti del Maggio, che stanno seminando speranza con il linguaggio universale della musica». Una promessa, quella di partire, che è sembrata assolutamente fuoriluogo e ha fatto scoppiare le prime proteste tanto che poi, pubblicamente ha dovuto rimodulare la cosa e dire che «nessuno di noi ambisce a fare il Rambo, siamo solo persone serie. Il Governo non dà l’ordine (o il suggerimento) di lasciare Tokyo. Quindi restiamo. Chi non se la sente è libero di tornare, come hanno già fatto in 15. Se ci dicono rientrate, rientriamo subito. Ma fino ad allora usiamo la musica e il nome di Firenze per ridare speranza e bellezza a un popolo così duramente provato». Dichiarazioni arrivate mentre i musicisti allarmati chiedevano aiuto, mandavano messaggi, si sentivano ostaggio. E così martedì, i familiari dei musicisti si sono riuniti in assemblea e hanno protestato contro il sindaco chiedendo l’immediato rientro dei loro cari, con la solidarietà di tutti i fiorentini. E con l’entrata a gamba tesa del segretario generale della Cgil, Susanna Ca-
musso, che si è rivolata direttamente al premier. Uno smacco aggravato poi dal comunicato di ieri della rsu Cgil del Maggio che ha ricostruito la vicenda accusando che «sabato 12 marzo la stragrande maggioranza dei lavoratori del Maggio presenti a Tokyo chiedeva di rientrare immediatamente in Italia preoccupata della situazione che si stava determinando. L’ambasciata, la Farnesina e il sindaco di Firenze spargevano rassicurazioni e ottimismo; anzi, il sindaco Renzi dichiarava che la tournee proseguiva e che giovedi’ 17 sarebbe arrivato a Tokyo. Nello stesso momento venivano esercitate dal Teatro pressioni inaccettabili sui lavoratori…» Solo ieri pomeriggio poi, dopo l’assicurazione che finalmente il charter Alitalia per il rientro era stato sbloccato, il sindaco ha tentato di salvarsi in corner dicendo di aver «dato disponibilità per consentire che sul charter che il Teatro del Maggio e il Comune hanno organizzato per il rientro da Osaka in Italia siano fatti salire anche altri italiani che vogliono lasciare il Giappone, fino ad esaurimento posti». Una buona azione, ma che non cancella la gestione dell’operazione che tutti ormai considerano il primo grande flop del sindaco.
negli stessi anni, entra nel Ppi e passa poi alla Margherita. Ed entrambi avevano confessato agli amici il proprio imbarazzo quando, alla vigilia delle ultime comunali, il Pdl sembrava determinato a schierare il deputato in opposizione all’ascendente Renzi, uscito vittorioso dalle primarie Pd, non senza l’aiuto di molti cattolici non piddini. Poi però da Arcore era venuta l’indicazione di candidare Giovanni Galli, ex-calciatore e noto commentatore sportivo di Mediaset, evitando il confronto fra i due. Che, in effetti, si somigliano molto: cattolici, pragmatici, giovani (36 anni il sindaco, 39 il deputato). A notarlo, proprio su Facebook, è un amico di Toccafondi, Mattia Miceli che scrive: «Non capisco perché due cattolici seri, giovani, moderati e preparati come lei e Matteo Renzi debbano stare in due partiti diversi... e per di più antagonisti!!!» e, alla replica del parlamentare «abbiamo molte idee diverse per questo stiamo in partiti e coalizioni diverse», chiosa: «Francamente non mi sembra che abbiate molte idee diverse...». © Riproduzione riservata
Alemanno il giapponese Il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, sostiene il Giappone, colpito dal terremoto e dallo Tsunami dell’11 marzo che hanno causato danni incalcolabili e generato un incubo nucleare a seguito degli incidenti nella centrale di Fukushima. La sera di domenica 20 marzo, all’auditorium dell’Ara Pacis, con l’obiettivo di sostenere l’acqusito di generi di prima necessità da distribuire nelle zone colpite dal sisma, Alemanno parteciperà all’evento «Coraggio Giappone!», organizzato da Roma Capitale e dalla fondazione Italia Giappone. La maestra Satsuki Chiusa, che era a Tokyo durante il sisma, celebrerà la tradizionale cerimonia del tè, alla quale farà seguito una esecuzione pianistica dell’artista giapponese Ryoko Tajika Drei. Interverrà Yasuo Kobayashi, scrittore e filosofo, direttore del dipartimento di filosofia dell’università di Tokyo, testimone anche lui del terremoto nella capitale giapponese. Donato de’ Bardi © Riproduzione riservata
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Sabato 9 Luglio 2011
PRIMO PIANO
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Tosi punta alla riconferma e a fare cassa. Il sottosegretario Giorgetti vuole sostituirlo e dice no
Veronafiere, è scontro elettorale
In vista delle comunali, sfida Lega-Pdl sulla cessione dell’ente DI
TOMMASO TOCCAFONDI
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a Fiera delle contrarietà. È quella di Verona, dove la cessione di una quota del capitale da parte del Comune retto dal leghista Flavio Tosi sta scatenando la bagarre col Pdl veneto, coordinato dal sottosegretario alle Finanze, Alberto Giorgetti. Ma più che l’oculatezza di un’operazione, invocata dal sindaco per sanare il bilancio veronese e avversata dal pidiellino per l’inopportunità di vendere un asset strategico, lo scontro si proietta sulle amministrative del 2012, per le quali Giorgetti è poco incline a concedere alla Lega la poltrona di primo cittadino a Verona. Un’ipotesi confermata anche dallo scoppio della querelle. Il sottosegretario s’è preso la briga di scegliere una platea davvero sui generis per attaccare il suo compagno di coalizione Tosi: la festa provinciale del Partito democratico; affrettandosi l’indomani,
quando le cronache venete montavano già la polemica, a dichiarare che si trattava di «valutazioni personali». «Mi pare un po’ difficile liquidarle in questo modo», aveva ruggito dal palazzo comunale Tosi, «le opinioni personali si esprimono a
Alberto Giorgetti
Il punto, ha proseguito il leghista, «è far quadrare i conti municipali senza tagliare in misura insostenibile i servizi ai cittadini, nei più diversi settori». E se a criticare è il sottosegretario alle Finanze, ha detto papale papale Tosi, che almeno indichi una diversa soluzione. Perché invece la soluzione del Flavio Tosi sindaco una logica sembra averla: cena con gli il comune, che detiene il 54% di amici, oppure Verona Fiere ne cede il 24, poral bar, non tando in cassa circa 33 milioni certo nel degli oltre 110 di valore stimati corso di una ma rimanendo primo socio delmanifestala compagine, perché la quota zione poalienata finirebbe ad almeno litica, spetre soggetti: la Cattolica assicucialmente razioni e la Popolare di Vicenza, se si è coorentrambe col 6,5% ciascuno, e dinatore realla finanziaria regionale Venegionale di un to Sviluppo col 4,5%.«Capisco lo partito». stupore di Tosi che ha evidentemente un’idea monopolistica dell’amministrazione», ha risposto ironicamente Giorgetti, «ma il nostro è un partito in cui ci si confronta e dove si tollerano opinioni diverse». Ma aldilà delle agre battute, Giorgetti ha detto chiaro e tondo che dismettere per pagare le spese correnti di Palazzo Barbieri, sede comunale, significa «depauperare il patrimonio cittadino». Al cui governo, ma questo il sottosegretario non l’ha detto, l’anno prossimo ci potrebbe essere un uomo del Pdl. Magari lui stesso, che è nato nella città dell’Arena, 44 anni fa. O suo
A CIASCUNO IL SUO
Lei, Ruggeri, è un operaio Fiat non lo dimentichi mai
DI
RICCARDO RUGGERI
È stato restaurato un fi lm documentario del 1911, «Le officine della Fiat», di Luca Comerio, girato dentro e fuori lo stabilimento di corso Dante (www.lastampa.it). Nel 1911, anno della guerra alla Libia (per compiacere Sarkozy, Cameron, Obama, cento anni dopo siamo di nuovo lì, a bombardare poveracci inermi), la Fiat aveva tremila operai, 2.600 le auto prodotte. Il filmato, in undici minuti racconta i setti capitoli della vita degli operai: l’ingresso, il montaggio delle trasmissioni, dei motori, degli chassis, le prove, la delibera finale. Non ha obiettivi propagandistici, descrive il rapporto automobile-operaio, permeandolo di un garbato orgoglio manifatturiero. Il capitolo 7, «Mezzogiorno !», mi ha entusiasmato: l’uscita, a testa alta, in corso Dante degli operai per la pausa pranzo (due ore); un’indubbia ricerca di eleganza nel fratello, Massimo, maggiore di otto anni ma di fatto suo gregario politico, essendo attualmente assessore regionale ai Lavori pubblici. Quella che si configura come vera e propria Battaglia di Verona, riporta infatti a galla le storiche divisioni fra Alleanza nazionale e Carroccio. I Giorgetti sono infatti gli uomini forti della componente aennina veneta del Pdl, con Alber-
vestire, le casacche, pulite, sono di tessuti grezzi, però non diventano mai divisa, per i diversi copricapi che ciascuno indossa: berretti di ogni forma, lobbie, cappelli simil borsalino, addirittura panama coloniali, nessun basco (siamo operai, non chasseurs alpins!). Tra i volti ripresi, molti hanno baffi imponenti, non riesco a riconoscere il nonno (sarà stato in ritardo, come al solito). Per le strade, un tram, una carrozza, nessuna donna. In quell’officina, 43 anni dopo il filmato, misi la mia prima tuta blu (già di mio padre), il terzo giorno di lavoro fui convocato dal cavalier Faldella: «Ruggeri, la richiamo verbalmente, quando alla sera esce dall’officina non si permetta più di mettersi a correre, faccia cento passi in corso Dante, poi corra pure: lei è un operaio Fiat, non lo dimentichi mai». Non l’ho dimenticato. editore@grantorinolibri.it
to eletto alla Camera già nel 1996. Tosi, 42enne, ha già ottenuto molto dalla poltrona di sindaco, risultando il più amato d’Italia dopo il fiorentino Matteo Renzi, ma se il quadro politico nazionale fosse instabile anche nella primavera dell’anno prossimo, preferirebbe di certo mantenersi la fascia tricolore. ©Riproduzione riservata
La penisola privata per le tue vacanze
Venerdì 3 Giugno 2011
PRIMO PIANO Da Pisapia a Calise, è scontro tra gli opinionisti
Il politico non ha età Tra vecchi e giovani volano bordate DI
GIAMPAOLO CERRI
L’
Italia della politica, come l’America dei fratelli Coen, non è un paese per vecchi. Dopo che il rottamatore generazionale Matteo Renzi era stato isolato con un cordone sanitario, guadagnandosi anche qualche tirata di indignazione, le ultime elezioni sembrano aver sdoganato l’elemento anagrafico come argomento polemico. Aveva cominciato, in piena campagna elettorale, il leader del «vaffa» a cinque stelle, Beppe Grillo. Presentando a Milano il suo candidato, l’imberbe Matteo Calise, forse proprio per esaltarne la giovinezza, Grillo non aveva esito a dare del «vecchio» al futuro sindaco Giuliano Pisapia. Per la verità, il comico genovese gli aveva rinfacciato anche altro, soprattutto l’essere l’avvocato di Carlo De Benedetti, ma ciò che aveva ferito il candidato del centrosinistra e il suo elettorato era stato proprio quell’aggettivo insolente, anche perché Pisapia, classe 1949, è un distinto signore di mezza età, peraltro lontano dalla terza. L’argomento generazionale emerge però anche nelle riflessioni post-elettorali di Luca Sofri. Ovviamente i toni sono simpatetici, ma il giorno dopo alla vittoria milanese, Sofri junior scrive sul Post che quel successo non porta la firma di quanti «sono nati meno di 30 anni fa». «Nelle prime file degli altri eventi ospiti protagonisti chiamati per primi a parlare», scrive Sofri, «c’erano Umberto Eco, Dario Fo e Franca Rame, Gae Aulenti,
Vittorio Gregotti», aggiungendo che è stata «a cominciare da Pisapia, una vittoria di sessantenni, e poi di settantenni (o
Matteo Renzi oltre)». È stata, prosegue, «la vittoria del cambiamento politico, non di quello generazionale, non del rinnovamento». Pacatamente, come direbbe Veltroni, Sofrino dà di vecchi ai vincitori. Ma è a Marco Travaglio, cui l’esito delle elezioni, e soprattutto la sconfitta di Berlusconi, hanno sciolto i freni inibitori, che spetta la palma di mangiaanziani. Nell’acido fondo che ha vergato l’altro ieri sul Fatto quotidiano se la prende con Emanuele Macaluso, neodirettore del Riformista, accusandolo di annacquare la vittoria elettorale. Travaglio, che non ha mai amato quel giornale, neanche sotto le precedenti direzioni, ritenendolo sostanzialmente un foglio di venduti-dialoganti col Nemico e
arrivando a definirlo «riformatorio», questa volta se la prende con l’anno di nascita del migliorista Macaluso, classe 1924. Scrive che i titolisti dalla testata arancione «sono coetanei di Macaluso», parla di articoli ispirati a Rinascita e a Literaturnnaja Gazeta degli anni ’50, ipotizza un «assopimento del direttore» (con riferimento sottointeso all’età avanzata) e, già che c’è, ironizza sull’editore, Gianni Cervetti, un altro ex-dirigente Pci, definendolo «arzillo vecchietto». Un’ironia, quella sul valore delle persone in relazione alla loro età anagrafica, che espone Travaglio all’accusa d’incoerenza, lui che a ogni pié sospinto celebra la memoria di un grande vecchio del giornalismo, Indro Montanelli, ricordandolo per la stagione de La Voce e del divorzio da Berlusconi, scelte che l’inventore del Giornale Nuovo fece all’alba dei suoi di 85 anni, età veneranda. Oltretutto, mentre Travaglio pompava fiele contro l’ottuagenario avversario, usando appunto l’argomento anagrafico, alla concessionaria di pubblicità del giornale di cui è vicedirettore, gli hanno tirato un brutto tiro, vendendo le due manchette, ovvero gli spazi ai lati della rossa testata, all’Auser-Filo d’argento. Si tratta dell’associazione per la terza età, nata dalla sindacato pensionati della Cgil, il mitico Spi, è contigua all’area ex-diessina del Pd, i cui iscritti e dirigenti - «arzilli» avrebbe detto Travaglio - saranno certo sobbalzati sulle sedie, leggendo cotanto editoriale. © Riproduzione riservata
Il sindaco diventa gentile ma la produzione lascia Firenze
Adesso i supercafoni Usa abbandonano Renzi
L
DI
ANTONIO CALITRI
a storia tra Matteo Renzi e i tamarri del reality statunitense Jersey Shore è al capolinea. Dopo le ultime critiche arrivate dal New York Post sulla cattiva accoglienza di Firenze nei confronti dei supercafoni italoamericani, la produzione starebbe abbandonando definitivamente la città. E il sindaco, dopo avergli vietato di tutto, prima della loro partenza cambia idea e ha deciso di aprire le porte di Palazzo Vecchio, dei musei Stibbert e Bardini e del cenacolo della basilica di Santo Spirito. Doveva essere un’operazione importante, per portare l’immagine della città di Dante tra i telespettatori mondiali di Mtv. Invece la trasferta italiana di Jersey Shore duramente conquistata da Renzi si è trasformata in un bagno di sangue. Almeno dal punto di vista dell’immagine. Dopo l’intuizione del sindaco rottamatore, qualcuno gli ha fatto notare che i supercafoni avrebbero creato qualche grattacapo e che la loro immagine avrebbe nuociuto piuttosto che avvantaggiato Firenze. Prima
ancora del loro arrivo, Renzi è stato costretto a chiamare la produzione e chiedere lo slittamento dello sbarco, visto che sarebbe coinciso con la visita fiorentina di Giorgio Napolitano. Scampata la prima, gli otto ragazzi sono arrivati ma hanno combinato solo danni. Multe, incidenti, qualche rissa, malcontento dei gestori dei locali cittadini. Compreso quello dove lavorano, a servire pizze ai tavoli e, stando alle voci (il proprietario ha firmato l’impegno di non parlare), se ne mangiano più di quelle consegnate. Per non mischiare i tesori artistici della città con questi ragazzi, il sindaco e la soprintendenza avevano vietato l’ingresso agli Uffizi a ad altri luoghi artistici. Adesso che sono sul piede di partenza, sembra per Riccione dove hanno trascorso già un week-end, Renzi torna sui suoi passi. E pur di riuscire a inserire qualche bellezza fiorentina nella trasmissione ha deciso di aprirgli il suo palazzo (Vecchio) e altri luoghi artistici importanti, dove però saranno scortati. © Riproduzione riservata
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PERISCOPIO DI
PAOLO SIEPI
Se non ci fossero i socialisti, il socialismo governerebbe il mondo intero. George Bernard Shaw. Scoprii quasi subito che Daniela Santanchè era puro marketing, il prodotto non c’era. Una volta la chiamai ladra di cognomi, perché usava quello dell’ex marito. Mi rispose: Santanchè non è un cognome, è un brand. Paolo Cirino Pomicino, L’Espresso. Chi ha creduto che l’anticapitalismo fosse ormai finito, morto e sepolto, definitivamente sostituito da altre e più nuove «narrazioni» dovrà probabilmente ricredersi. Angelo Panebianco. Corsera. Il Cav ha tutte le ragioni, funestato com’è dall’ostilità dei ferocissimi buoni, non deve sporcarle con l’ingenuità della rabbia. Peggio ancora con la furbizia. Il Cav deve ricordarselo che ci resterà nella storia, i suoi persecutori no, ma non deve dimenticare che il piedistallo, quello dei posteri, se lo edificherà con il granito dello stile. Smetta dunque di fare il simpatico, diventi davvero serpente e quindi leone. Pietrangelo Buttafuoco. Il Foglio. In vista dei prossimi test Invalsi, in molte classi si è smesso di insegnare per dedicarsi all’addestramento per superare i test. In altri classi, per fortuna, gli insegnanti resistono e si rifiutano di smettere di insegnare Leopardi per dedicarsi ai test. Quando i test verranno, si faranno e basta. Sarebbe però necessaria, a questo punto, una parola chiara e forte da parte del ministero della pubblica istruzione: in nessun caso l’insegnamento può essere trasformato in un addestramento a superare i test. Altrimenti, alla scuola italiana potremmo dare l’addio finale. Giorgio Israel. Tempi. Io non sono vanitoso. Io sono narcisista che è tutta un’altra cosa. Il narcisismo è il motore ecologico dell’umanità, la vanità è il prêt-à-porter del narcisismo: richiede l’applauso immediato. I politici sono tutti vanitosi. Il narcisismo motiva il comportamento delle persone. Achille Bonito Oliva. Corsera. Per pentirsi pentirs c’è sempre tempo. Per peccare, no. Roberto Gervaso. Il Messaggero. Ci sono due tendenze di fondo in azione nel nostro mondo, quello dei giornali: la numerizzazione e la mondializzazione. E se voi andate avanti surfando su queste due correnti, andrete sicuramente molto lontano. Se invece voi tentate di nuotare contro di esse, non andrete da nessuna parte. Robert Thompson, responsabile di Wall Street Journal. Libération. Mezza umanità è disgustosa. L’altra metà l’ammira. Umberto Silva. Il Foglio. Vanzetti finito, assieme a Sacco, sulla sedia elettrica negli Usa, scrisse, prima di morire: «Non augurerei a un cane, o a un serpente, o alla più miserevole e sfortunata creatura della terra, ciò che ho avuto a soffrire per colpe che non ho commesso. Ma la mia convinzione è un’altra: che ho sofferto per colpe che ho effettivamente commesso. Sto soffrendo perché sono un anarchico e, in effetti, io sono un anarchico: ho sofferto perché sono un italiano e, in effetti, io sono un italiano; ma sono tanto convinto di essere nel giusto che, se voi aveste il potere di ammazzarmi due volte, e per due volte io potessi rinascere, vivrei di nuovo per fare esattamente ciò che ho fatto finora». Oggi, a più di ottant’anni di distanza, abbiamo buoni motivi per credere che Vanzetti avesse ragione, che avesse sofferto h essere per il fatto di essere anarchico e italiano. Non mi sembra che anarchici e italiani siano reati penali. Paolo Nori in «La meravigliosa utilità del filo a piombo» (Marco y Marcos). Era, o diceva di essere, un operatore della borsa di Londra, un brocker, anzi un «greeter»: uno che «accoglie, coccola, accompagna», di alta finanza non ci capisce granché, legge di titoli e di quotazioni come da un testo scritto in coreano, ma sa impugnare coltello e forchetta, ha le maniere del bon vivant, dispone di un bel giro di conoscenze ed è dotato dell’educazione e dell’estrazione ideali per sedurre nuovi investitori e clienti. Di fatto è un uomo di mezz’età: «Né bello, né utile direbbe mia madre». Paul Tordey: «Vita avventurose di Charlie Summers». (Elliott) Il soldato che va alla battaglia deve avere un’armatura comoda. Sul podio il frac mi impaccia. Inoltre, le poche volte che lo indosso, guardandomi allo specchio, mi vien da ridere, mi sembra di essere il piccolo baritono in un film di Alberto Sordi, il giovani prestigiatore, il bambino che cammina nelle scarpe di papà. Andrea Battistoni, anni direttore dire 24 anni, d’orchestra nei grandi teatri lirici. Più che un premio letterario il premio Strega sembra il Festival di Sanremo in versione pulp-demenziale. Massimiliano Parente. Il Giornale. © Riproduzione riservata