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STAMPA .LA DOMENICA 14 GIUGNO 2015
DIETROILGRANDE EVENTO Reportage STEFANO RIZZATO MILANO
il posto che in tanti, almeno per sei mesi, chiamano casa. Oppure home, rumah, domu e così via. Il villaggio globale di Expo suona decine di lingue diverse. Non solo tra i padiglioni, ma anche qui, nel grande campus dove dormono - anzi vivono - i delegati dei vari Paesi. Si chiama Expo Village e sembra un quartiere olimpico. In cortile trovi ragazzi dell’Oman che transitano in tunica bianca e si lamentano del caldo, diplomatici cinquantenni arrivati da Vanuatu, giovani e bellissime kazake in shorts. Gli inquilini sono circa mille, di 77 nazionalità diverse, dalla A di Afghanistan alla Z di Zimbabwe. Alcuni si fermano solo qualche giorno e cambiano di settimana in settimana, la maggior parte resta fino a fine ottobre.
È I volti
Marina De Filippi Delegata svizzera, è figlia di italiani emigrati nel Cantone dei Grigioni
Incroci etnici
Edmond Hidri Apia È il direttore del padiglione della Costa d’Avorio, il più grande produttore di cacao del mondo
Svizzeri giramondo e ragazze degli Emirati velate di nero, famiglie complete e artisti, cristiani e indù. Ognuno dei sette grattacieli del Village racconta incroci sorprendenti di un capolavoro multiculturale. «I rapporti di vicinato? Lo ammetto: un po’ ero preoccupata. Invece tutto benissimo». A dirlo è Marina De Filippi, delegata svizzera che no - spiega subito - non è parente di nessuna star della tv. È figlia di italiani emigrati nei Grigioni. «Qui è tutto meravigliosamente mischiato. Sul mio pianerottolo ci sono altri svizzeri e ragazzi africani. La settimana scorsa c’è stata una festa organizzata dal Qatar, ma a un certo punto si suonavano musiche di ogni parte del globo. Un po’ alla volta ci conosciamo tutti». Gli appartamenti sono spaziosi e forniti di tutto. Ma è quello che c’è intorno che fa la differenza. Ogni palazzo ha una sala relax con i divani e il pingpong. Ci sono la palestra e un bar che al giovedì propone musica dal vivo. E poi la spesa a domicilio offerta da Coop e il car sharing per andare in città, con 25 Fiat 500 a disposizione. C’è anche uno spazio di preghiera per qualsiasi religione, arredato con tre tappeti orientati verso la Mecca, qualche sgabello e un tavolo grigio come altare. Niente simboli. Fuori, una fon-
Musica live Ogni sera negli spazi attorno ai palazzi, diversi gruppi provenienti dai tanti Paesi ospiti animano le serate con musiche e danze
ROBERTO CACCURI
La casa dell’Expo dove vivono 1000 delegati da tutto il mondo Un villaggio di sette grattacieli con 77 nazionalità diverse Ospiti di tutte le età, donne velate di nero e in short attillati
STEFANO RIZZATO
L’Expo Village è a Cascina Merlata, zona a Nord-Ovest di Milano
tana per le abluzioni, che servono a più di una confessione. Responsabile della struttura è la Fondazione Collegio delle Università Milanesi. La stessa che da anni gestisce un campus universitario vero: il Collegio di
Milano. «Expo Village è un luogo di relax nella frenesia dell’evento», dice Stefano Blanco, direttore generale della Fondazione. «Ma le feste e i momenti d’incontro sono fondamentali. Gli ospiti qui possono contare
su tutto. Anche del seggio per votare dall’estero, come abbiamo fatto per le elezioni kazake». Quieto di giorno quando tutti lavorano, il villaggio si anima la sera. Non troppo: da mezzanotte alle sette non si deve disturbare. Ma nemmeno poco: nei distributori automatici il primo articolo esaurito sono stati i preservativi. Il punto d’incontro generale è la reception, dove su turni lavorano 12 giovani laureati in lingue o mediazione. Quando passiamo noi è il turno di Lydia, fresca di diploma allo Iulm con una tesi sugli itinerari culturali di Milano: «Qui gli ospiti passano spesso anche solo per salutare, ma molti cercano consigli su cosa fare e vedere in città. Quasi tutti chiedono di moda e shopping. Altri sono interessati alla cultura e a loro ho proposto qualche percorso su Leonardo da Vinci». Non di solo lavoro vive il delegato Expo. «C’è chi chiede come cucinare i carciofi, chi non ha mai visto una noce con il guscio o i fornelli a induzione», racconta Daniela Frascaroli, psicologa classe 1980 e di Tor-
tona, a capo della reception. A gestire in loco tutto il progetto è un’altra psicologa, anche lei 35enne ma bresciana, Silvia Pasolini. «All’inizio - spiega - per qualcuno era un problema doversi relazionare solo con me, una donna. Ma anche queste difficoltà si stanno smussando. Qui ci sono persone abituate a viaggiare e confrontarsi. Un po’ sembra un aeroporto». Il presidio
Il villaggio e le sue torri - ciascuna tra 15 e 20 piani - sono una cittadella, recintata e sorvegliata da un presidio militare fisso. La vista è da una parte sullo svincolo autostradale, dall’altra sul nulla. La zona per ora ha ben poco da offrire, l’unico inconveniente. «Sembra di essere all’università», scherza Edmond Hidri Apia, della Costa d’Avorio. È il direttore del padiglione del più grande produttore di cacao del mondo. Anche lui alloggia qui: «Mi piace, si fanno molte conoscenze, c’è davvero il mondo. Però ci vorrebbero un supermercato e più luoghi per divertirsi».
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4 luglio 2015
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IL MONDO IN UN VILLAGGIO
C’è un villaggio a Rho dove si mescolano culture e abitudini di 71 Paesi. È la casa dei delegati. Qui si parla italiano, francese, inglese, tedesco, spagnolo, russo, cinese, arabo... e ci si capisce di Lucio Lavrans
C’
è un Expo fuori dalle luci, dalle telecamere, dalla folla del cardo e del decumano della grande spianata di Rho. È quello che si svolge a poche centinaia di metri dal sito dell’Esposizione, a Cascina Merlata, in sette modernissimi palazzi dalle facciate colorate e fra i 10 e i 15 piani d’altezza. È l’Expo Village, la casa di un migliaio di delegati di 71 Paesi diversi, che partecipano all’evento. Luogo inaccessibile, recintato come un condominio esclusivo, il villaggio ha una vita propria, scandita dagli orari del vicino Expo, a cui è collegato da una grande passerella bianca, che passa
sopra l’autostrada Milano-Torino. Al mattino, dal portone di acciaio escono a frotte i delegati, spesso vestiti coi costumi nazionali, incamminandosi verso il sito espositivo in una colorata processione che risuona di accenti di ogni continente. Un flusso ininterrotto per un’ora, che si inverte, a sera, quando i padiglioni di Expo si chiudono. Con le sue architetture moderne, con i suoi grandi spazi, l’Expo Village ricorda un villaggio olimpico in sedicesimo, con aree comuni - dalle lavanderie all’ambulatorio, al luogo di preghiera multiconfessionale - dove gente di culture e tradizioni diverse si mescola. Accade anche
nella modernissima palestra, dove si possono vedere belle kazake correre sui tapis roulant a fianco di aitanti svizzeri tedeschi, oppure atletici delegati caraibici sfidare nelle flessioni gli omologhi cinesi. Una diversità impegnativa da gestire, per questo il Village è stato affidato da Expo alla Fondazione Collegio università milanesi, che vanta un’esperienza pluridecennale nell’accoglienza di studenti, anche stranieri. Fondazione che ha organizzato una reception con 12 giovani laureati in lingue, aperta notte e giorno, dove si parlare arabo, cinese, russo, oltre che spagnolo, inglese e francese, e anche uno sportello di mediazione
culturale, per prevenire le tensioni interetniche e religiose. Per adesso, dicono all’Expo Village, nessun problema, anzi lo sportello è servito a sensibilizzare lo staff e quindi, tramite la reception, anche gli ospiti, sul Ramadan in corso, che coinvolge alcune centinaia di ospiti islamici, provenienti soprattutto dai paesi del Golfo. Forse anche, per questo, a sera, dopo il tramonto, nell’area relax del villaggio, quando la delegazione del Qatar offre a tutti Balaliat, un piatto a base di riso, pollo, cardamomo, e thè allo zafferano, si uniscono spesso delegati di altri Paesi. Nutrire il pianeta, come dice lo slogan di Expo, anche di tolleranza.
11 luglio 2015
Enrico Bertolino è Ambassador Expo 2015
Bertolino: “L’Esposizione sta aiutando Milano”
Grazie, Expo
sezione
11 luglio 2015
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Expo Village
Vorrei incontrarti fra cent’anni Parte Expo 2015+100, il progetto che raccoglie alcune testimonianze dell’Esposizione per metterle in mostra fra un secolo esatto
I
rina, giovane kazaka, ha regalato una barretta di cioccolato del suo Paese; Lin, delegata cinese, ha lasciato alla posterità una bustina di thè verde; Giuseppe, uno dei 12 laureati in lingue della reception di Expo Village, ha lasciato una foto di gruppo dei suoi colleghi che, come lui, lavorano in questo ufficio, aperto 24 ore su 24, e che è il cuore del villaggio stesso. Sono alcune delle persone che hanno partecipato, domenica scorsa
di Lucio Lavrans
a Expo Village, all’anteprima del progetto Expo 2015+100, che consiste nel raccogliere e conservare, collocandole nella Collezione internazionale delle Esposizioni e delle Fiere dell’Università della California a Fresno, alcune testimonianze dell’Esposizione in corso, per farle tornare in mostra, esattamente fra cento anni (da cui il +100 del titolo). Una vera consegna alla posterità che passa attraverso la donazione di oggetti di uso comune o comunque simbolico, e di testi-
monianze scritte. Domenica sera, molti hanno inserito nelle grande buste del progetto i gadget ricevuti visitando i padiglioni - spille, portachiavi, adesivi - altri hanno consegnato il proprio biglietto da visita, nella speranza, forse, che un pronipote, fra un secolo, possa passare dalla California, leggendo il nome del bisnonno o della bisnonna. Fra gli oggetti più curiosi, anche un paio di occhiali 3D, utilizzati per l’eclissi di sole del marzo scorso, e un ventaglio
di quelli distribuiti da Expo4Women. Ogni oggetto era accompagnato da un biglietto in cui il donatore si raccontava, aggiungendo una descrizione di quanto donato. Successivamente un addetto della Collezione, presente a Expo 2015, provvederà a una scrupolosa catalogazione. Quella di ieri è stata appunto un’anteprima del progetto riservata ai delegati dell’Esposizioni. Nei prossimi giorni, la raccolta continuerà all’interno del sito espositivo.
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18 luglio 2015
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CENCEN BARI MADE IN MILAN Mamoude Diané crea opere d’arte con la sabbia colorata. Arrivato a Expo per far conoscere il suo Paese, il Mali, ha deciso di continuare a creare utilizzando sabbia milanese e ispirandosi al Monte Rosa di Lucio Lavrans
N
on solo cibo, non solo grandi dibattiti sulla sostenibilità, non solo star e capi di Stato di passaggio, o performance per il Guiness dei primati. A saper cercare, Expo offre anche storie e personaggi di grande caratura culturale. Nelle delegazioni straniere, per esempio, ci sono talvolta figure che, col loro vissuto, dicono di un Paese, di una cultura, di un’epoca. È il caso Mamoude Diané, 65 anni, artisti contemporaneo, certamente tra i più celebri nel suo Paese, il Mali, della cui delegazione fa parte, e che si può incontrare nel Cluster delle zone aride, in cui è inserito lo Stato subsahariano. A Diané si devono grandi quadri realizzati con colla, sabbia colorata,
pittura acrilica e pezzi di risulta, dal legno, alla formica, alla carta: è l’arte del Cencen Bari, “sabbia colorata” appunto, in lingua bambara. Lui dipinge sul balcone dell’appartamento di Expo Village, la “casa” di un migliaio di delegati dell’Esposizione a Cascina Merlata, la cui gestione è affidata alla Fondazione Collegio università milanesi. I tre vani che Diané condivide con Massarou Sogodogo, responsabile delle attività commerciali a Expo, si trasformano, quasi ogni giorno, in un piccolo atelier. Sul terrazzo da cui, nei giorni più tersi, si vede il Monte Rosa, questo statuario africano che sfiora i due metri, dipinge con una grazia e una cura che lasciano stupefatti. “Lo faccio qui”,
spiega mostrando tre sacchi riposti in un angolo, perfettamente allineati: “È sabbia di Milano”, dice, spiegando poi che proviene da fiume, dal mare mentre il terzo sacco è di polvere di marmo. Quindi mostra la tecnica, prendendo un grande pannello di compensato e cospargendolo di colla. La sabbia è stata precedentemente mescolata ad acrilico, “anche questo comprato qui, in Italia”, di vari colori. Quindi, con un cartoncino leggermente incurvato, raccoglie i granelli colorati di smeraldo, di rosso, di argento, e li fa cadere sul piano, con delicatezza. La grande mano nera si muove con maestria, rapida, aggraziata, col medio che colpisce, quasi impercettibilmente, il cartoncino, per far scen-
dere la sabbia. Le figure, quando ci sono, vengono composte da rami pezzi di legno, in genere scarti o pezzi di recupero. Altre volte il colore si compone secondo un disegno, precedentemente realizzato. E il quadro prende vita, in un trionfo di linee e di colori. Questo maliano che ha esposto a Kyoto, “all’università di Seika”, e che insegna nella Scuola di ingegneria, di architettura e di urbanistica di Bamako, ogni giorno arricchisce il padiglione con le sue opere affascinanti. “Di qui alla fine dell’Expo, conto di averne fatte almeno un’ottantina”, racconta a sera sul balcone dal quale si vede un pezzo di Expo. E certamente un pezzo di Esposizione è anche lui.
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MARKETING
Giovedì 25 Giugno 2015
L’iniziativa dell’istituto cooperativo per spronare i giovani a costituire start-up
La Banca di Bologna fa scuola Mengoli: insegniamo ai ragazzi a diventare imprenditori DI
CARLO VALENTINI
«N
on solo sponsorizzazioni. Una piccola banca deve caratterizzare il proprio marketing con iniziative originali e noi abbiamo deciso di insegnare ai ragazzi a diventare imprenditori»: Enzo Mengoli è il direttore della Banca di Bologna, una banca cooperativa con 2,3 miliardi di mezzi amministrati, il 2014 si è chiuso con 3,6 milioni di utile lordo, in controtendenza rispetto al settore bancario italiano che lo scorso anno ha registrato una perdita di 6,8 miliardi di euro. L’istituto ha sostenuto il restauro delle porte monumentali della città e di parte della basilica di San Petronio ma adesso ha deciso di sperimentare un’inedita collaborazione con le scuole, invierà nelle classi degli esperti a tenere lezioni con l’obiettivo di spronare i ragazzi a costituire start up e a trovare un pro-
prio spazio nel mercato. Dice Mengoli: «Per questi studenti sarà difficile trovare un lavoro dipendente poiché le aziende sono sempre più automatizzate e il settore pubblico ha difficoltà economiche che dureranno a lungo, quindi è importante che comprendano che vi è la possibilità di tentare un’avventura imprenditoriale, senza paura, magari mettendosi insieme tra amici. La scuola, da sola, è impreparata a questo compito, perciò abbiamo deciso di intervenire noi, è la banca che va dagli studenti a spiegare come fare i primi passi per diventare imprenditori». Un modo originale per fare sentire la presenza della banca sul territorio? «Sì», risponde, «le banche debbono trovare nuovi, originali canali di comunicazione, possibilmente legati alla propria missione, che è quella di sviluppare l’economia». Conferma un esperto di marketing, Massimiliano
Enzo Mengoli
Hangler: «La priorità strategica del marketing bancario dev’essere quella di mantenere vivo un canale di comunicazione col territorio, pena l’esclusione della banca dalla vita del cliente e l’essere relegati al ruolo di spettatori impotenti dei gestori dei servizi online, Google in primis». Le lezioni nelle scuole rientrano in un programma di
Santini Maglificio Sportivo comunica con il Giro d’Italia e gli eventi ciclistici DI
GIOVANNI BUCCHI
Dalle prime divise degli anni 60 realizzate in filato di lana, con i nomi degli sponsor ricamati a mano da operaie specializzate, fino alle nanotecnologie utilizzate oggi per realizzare capi sempre più performanti. Nell’ultimo mezzo secolo di storia del ciclismo c’è un nome che gli amanti di questo sport non dimenticano: quello di Santini. O meglio, di Santini Maglificio Sportivo, l’azienda bergamasca fondata nel 1965 da Pietro Santini, che ha festeggiato i suoi primi 50 anni di attività con una festa organizzata al GAMeC di Bergamo. Alla guida del gruppo di famiglia c’è ancora lui, Pietro Santini, nelle vesti di presidente, con al suo fianco l’inseparabile moglie Maria Rosa, anche se il timone operativo è passato da tempo alle figlie Monica, amministratore delegato, e Paola, marketing manager. «Per noi non c’è differenza tra azienda e famiglia», spiega infatti Monica Santini, a.d. del gruppo, «non abbiamo vite separate tra quello che viviamo in azienda e quello che viviamo in famiglia». Sta forse anche qui il segreto del successo di un’azienda che nel suo settore non ha mai tradito l’ideale di sempre: la passione per il ciclismo. Una ottantina di dipendenti nello stabilimento di Lallio, il fatturato 2014 chiuso attorno ai 13 milioni di euro con il 2015 che già registra un aumento del 5,5%, 3 mila articoli sportivi realizzati ogni giorno con l’80% della produzione destinata all’estero. Ma soprattutto, la capacità accresciuta negli anni di affiancare lo sviluppo del ciclismo, anticipandone tendenze ed ergendosi a marchio di riferimento per questa disciplina. D’altronde, un motivo ci sarà se oggi c’è chi identifica il ciclismo con il brand Santini tanto da arrivare a dire «per me Santini è la Maglia Rosa». «Una caratteristica fondamentale che ha contraddistinto la nostra azienda in tutti questi anni è stata la decisione di mantenere l’intera produzione in Italia, cosa che nel nostro settore non fa quasi più nessuno», rac-
conta a ItaliaOggi Paola Santini, marketing manager del gruppo. «Lavorando perlopiù con l’estero, non possiamo certo permetterci di far mancare quello straordinario valore aggiunto rappresentato dal made in Italy». Passione e innovazione costante sono poi gli altri ingredienti del successo. «Il nostro marchio viene ormai identificato con il ciclismo di un certo livello», continua Paola Santini, «abbiamo iniziato a lavorare con i professionisti fin dagli anni 70 e nel tempo siamo diventati un loro punto di riferimento. Continuiamo a lavorare con loro non solo per un fattore di branding, quindi come esercizio di promozione del marchio, ma anche e soprattutto per avere un feedback sui nostri prodotti che se testati e provati dai professionisti, vanno poi solo riadattati per il mercato e lanciati al popolo degli amatori della bicicletta». Non è un caso quindi se nel corso dei decenni il marchio Santini da leader nel settore professionistico si sia diffuso anche a chi non fa della corsa sui pedali un mestiere. E’ stato poi il mercato a suggerire nuove strategie di marketing e politiche commerciali che l’azienda bergamasca ha prontamente seguito. «Fino a qualche anno fa la modalità migliore per promuovere il nostro brand era la sponsorizzazione delle squadre professionistiche», aggiunge la marketing manager di Santini Sms, «gli amatori acquistavano i nostri prodotti perché li vedevano indossati dai campioni. Questa politica continua anche oggi, dato che siamo sponsor del Giro d’Italia e dell’Unione ciclista internazionale per il campionato del mondo, ma è affiancata dall’organizzazione di eventi dedicati esclusivamente agli amatori». Qualche esempio? «La Granfondo Stelvio Santini, la cui quarta edizione si è tenuta la settimana scorsa con la partecipazione di 3 mila ciclisti, e il Santini TriO Senigallia in programma nella città marchigiana il 18 luglio». «Queste manifestazioni», conclude Paola Santini, «sono un’occasione privilegiata per comunicare quel che è Santini, non solo prodotti di qualità ma anche passione ed emozione per questo sport da condividere con i propri clienti».
marketing finanziato con 600 mila euro. Ovviamente se questi ragazzi si convinceranno a ricercare un’idea vincente e a costruire una start up la banca li sosterrà con finanziamenti iniziali. Non a caso a presiedere la banca c’è un imprenditore, Marco Vacchi, fondatore di Ima, leader nel packaging (885 milioni di fatturato),
uno dei pochi comparti che non ha risentito della crisi. Questo istituto di credito che non intende allargarsi al di là della dimensione provinciale ha 9.370 soci e un consiglio d’amministrazione in cui sono rappresentate tutte le associazioni produttive locali. Dice Vacchi: «È una iattura che giovani tanto preparati emigrino non per scelta ma perché costretti dalla mancanza di prospettive in Italia. Li vogliamo spronare a rimanere, sperando che la politica si dia da fare per rimuovere i lacci e lacciuoli, primo tra tutti la lentezza della giustizia, è solo in Italia che un’azione legale per il recupero di un credito dura anche decenni». Prima ancora di essere una funzione il marketing è un modo di pensare, o una filosofia, come amano dire gli americani. A Bologna la banca sta interpretando questa filosofia dando lezioni di imprenditoria. © Riproduzione riservata
TimeMi, l’app che fa scoprire Milano ai delegati dell’Expo DI
FRANCESCO STAMMATI
Dalla scoperta del Museo Capitolinum di Brescia alla visione di Milano dai 108 metri della Torre Branca, dalle escursioni alla Villa Reale di Monza a un percorso nel liberty meneghino del Villaggio dei giornalisti, da un seminario sul cibo alla Statale alla visita guidata all’Armani Silos. È quanto offre TimeMi (nella foto), l’app che conduce per mano i delegati e i volontari, a Milano per Expo 2015, alla scoperta della Regione che li ospita, la Lombardia, a volte anche attraverso picnic “social”, in parchi e zone verdi, in abbinata a itinerari culturali. È stata commissionata dal Padiglione Italiano di Expo alla Fondazione Collegio università milanesi, che l’ha ha fatta realizzare da un gruppo di studenti del Collegio di Milano in un project work per il semestre che si è da poco concluso, come contributo di idee e di realizzazioni all’Esposizione. Parte del progetto è stata sostenuto finanziariamente anche da Regione Lombardia. L’applicazione funziona con smartphone Android e iOS, e si può scaricare gratuitamente da Google Play, da iTunes o dal sito timemi.expocollege.it. Dopo una registrazione molto semplice, l’app offre una serie di eventi nell’area «Business & Culture», ossia «affari e cultura»; «Admire & Relax», vale a dire «Luoghi da vedere e per rilassarsi»; «Taste» ed «Enjoy» cioè «gusto» e «divertimento», cioè appuntamenti enogastronomici e spettacoli. In particolare, per ogni evento programmato, è riservata, a volontari e delegati, una decina di accessi gratuiti, come alla Fondazione Trussardi, alla Fondazione Prada, la Triennale, oppure sono previsti prezzi scontati, come, per esempio, alle Terme di Milano, a Un posto a Milano, ristorante tipico all’interno della Cascina Cuccagna, a Rita & Cocktails, noto bar cittadino, a CucinaIn, locale che propone lezioni culinarie e aperitivi. © Riproduzione riservata