Gente di bracciano luglio 2014

Page 1

di

Gente Bracciano Luglio 2014 numero 0**

L’ospedale di Bracciano non si tocca Il Consiglio di Stato ha sentenziato: l’ospedale di Bracciano non si tocca, a rischio la vita dei cittadini. Il rischio chiusura sembrava scampato. Eppure ci risiamo. La Regione di Zingaretti, come quella di Polverini prima, reclama tagli in sfregio alla giustizia amministrativa e all’articolo 32 della Costituzione sul diritto alla salute. Il fronte del no alla riconversione resta compatto. La battaglia prosegue senza colore politico guardando solo al buon senso. I primari si levano i camici bianchi e indossano i panni dei manifestanti. Una cabina di regia decide. Sul tavolo ora una proposta di rilancio per 92 posti letto inoltrata alla Regione Lazio dal sindaco Sala. L’importante è non abbassare la guardia.


di

Gente Bracciano

La partigiana Nilde Deputata alla Costituente, simbolo delle istituzioni votata ai diritti dei lavoratori e delle donne

Luglio 2014 Numero 0**

Dedicato a Giuseppe e Lorenzo

U

Un giornale, un progetto culturale

S

toria di gente comune, ma anche di principi e baroni. Storie di vita quotidiana di personaggi noti e meno noti, ma anche di eventi di comunità. Per ritrovare identità, far riaffiorare la memoria di usi e di gesta che, nel tempo, hanno caratterizzato questi luoghi. Ma anche proporre spunti di riflessione, individuale e collettiva, sul senso della società attuale in modo più ampio. Gente di Bracciano è una rivista che non ha né padroni, né finanziatori occulti. È in qualche modo un laboratorio collettivo, per certi versi sperimentale, al quale contribuiscono persone di varie generazioni. L’obiettivo è offrire un prodotto editoriale originale. In attesa della registrazione della testata offriamo ai lettori questo nuovo numero rivolgendo, ancora una volta, un invito a chiunque ne abbia desiderio e volontà a collaborare al progetto.

Editore: Claudio Calcaterra Direzione: Graziarosa Villani Redazione: Francesco Mancuso, Mena Maisano, Vittoria Casotti, Massimo Giribono, David Antonelli, Biancamaria Alberi.

Contatti: gentedibracciano@tiscali.it cell. 349 1359720

Stampato in proprio su carta riciclata

Nel mondo abbiamo bisogno di persone che lavorino di più e che critichino meno, che realizzino di più e che distruggano di meno, che promettano di meno e che risolvano di più, che si aspettino di meno e che diano di più, che dicano meglio adesso che domani. La redazione

na storia di una donna, che ha vissuto la vita sempre a testa alta, nella consapevolezza del proprio ruolo e della propria statura morale. “Loro sanno” diceva suo padre Egidio alludendo senza troppi complimenti alla borghesia. Lo studio è l’unica arma a disposizione per essere padroni della propria vita. Così il ferroviere emiliano socialista, fa prendere alla figlia il diploma di maestra. Poi, con una borsa di studio per orfani, (nel frattempo Egidio, il papà, è morto), Leonilde si iscrive a magistero, alla cattolica di Agostino Gemelli. Una storia politica al femminile quella di Nilde Iotti, che parla di un’opposizione morale alle macerie umane del Fascismo, di riscatto di una ragazza di Reggio Emilia. Non solo una questione privata ma che interessa il futuro di un Paese. Il 31 ottobre 1942, con il motto di suo padre in testa, a pochi giorni dal bombardamento di Milano, la ventiduenne Nilde, attraversa le rovine di piazza della Scala per andare a discutere la tesi di laurea. Nilde segue con attenzione le idee di Dossetti, La Pira, cattolici illuminati destinati a iscriversi nella storia d’Italia. Nilde nel 1944 è molto attenta soprattutto alla voce delle donne che protestano contro il carovita e sono già, di fatto, protagoniste della Resistenza. Sotto questo auspicio, tra studio ed emancipazione, si compie il battesimo di una giovane donna con le idee chiare nella testa. La progressione di una donna, un’intellettuale, una militante dell’Unione Donne Italiane (Udi), una parlamentare, una costituente, protagonista della nascita della Repubblica italiana. Il destino di Nilde Iotti è indissolubilmente legato alla carta costituzionale. Protagonista nei gruppi di difesa della donna, ebbe il primo incarico per l’Udi. Quando, su mandato del prefetto, Nilde si occupa della distribuzione dei viveri a Reggio Emilia con l’accoglienza di 1.500 bambini da sfamare e da vestire. La sua candidatura alle elezioni del 2 giugno è un esordio discreto e discretamente orgoglioso. Eletta con altre ventuno donne, Nilde fa il suo ingresso ufficiale nella commissione dei 75 per redigere la carta costituente. Ha solo 26 anni e un

Luglio 2014

É stata per tre legislature presidente della Camera dei Deputati

sorriso fermo ed elegante. Non teme il confronto, perché la passione che ha dentro è una ragione di vita. E così sarà, lungo tutta la sua “progressione”: la commissione femminile; la battaglia per la pensione alle casalinghe. Il dialogo con gli altri, non sempre facile, alla fine degli anni Cinquanta: sulla contraccezione, l’aborto, il divorzio, la pillola. In quel periodo, in Parlamento, le sinistre combatterono per una famiglia moderna, fondata sull’uguaglianza tra coniugi e sulla parità legale dei figli, nati dentro e fuori il matrimonio. Fortificata dalla sua stessa esperienza privata, Nilde resterà sul fronte a difendere i nuovi diritti, con brillantezza, con cultura e con naturale eleganza che l’ha sempre distinta. Per tutto questo Nilde Iotti, fu un modello femminile ineludibile per le donne italiane, per l’esperienza (fu staffetta partigiana nella resistenza al Fascismo) e la cultura con cui diresse da presidente e per tre volte tra il 1979 e il 1987 la Camera dei Deputati. La Iotti seppe fare grande politica senza mai stare all’ombra di nessuno, fosse anche quella di un grande leader amato (e odiato) italiano ed internazionale, come Palmiro Togliatti, da lei tanto amato. Semmai usò le sue memorie private

3

per far luce su un storia collettiva di civiltà democratica e che trovò in lei una testimone originale e altamente incisiva sul costume degli Italiani. Durante i tredici anni della sua presidenza alla Camera, Nilde Iotti ispirava equilibrio, autorevolezza, capacità di governo dei momenti più concitati delle discussioni in aula. Questa sua immagine resta per sempre nella memoria collettiva di molte generazioni. Nilde Iotti credeva nella centralità del Parlamento, nelle istituzioni rappresentative come luogo di compresenza di ideali, culture, interessi e passioni, sede di un dibattito anche acceso ma sempre ricondotto alla civiltà del confronto e al rispetto delle regole e delle procedure. Così la ricorda la figlia adottiva Marisa Malagoli Togliatti: «Eravamo allegri in famiglia e non solenni. Amavamo gatti, cani, animali ed escursioni. E soprattutto ci divertivamo». Già, chi dice che la “grande politica”, voglia tetraggine? Claudio Calcaterra

Finché qualcuno resiste possiamo salvarci tutti. J. P. Sartre

Gente di Bracciano


Gaudenzio: in nomen omen L’“arte e fatica” del padre scalpellino, la prima lambretta del paese, la morta ritrovata, le false vacanze “hawaiane”. Il gaudente braccianese si racconta

G

audenzio Paciotti è nato il 22 settembre del 1942 in via del Pescino, la via dei pescatori. Ricorda le reti da ammagliare, stese nelle vie, giù nelle cantine, ricorda le loro voci, le loro cantilene, le loro storie per acclarare chi avesse pescato il luccio più grande. Suoni e rumori della sua fanciullezza. Gaudenzio chiede cosa debba raccontare di sé, della sua vita. Gli rispondo invitandolo a raccontare gli episodi che ricorda con maggior piacere e quelli che ricorda con più fatica. Il primo ricordo è per il padre, Settimio, scalpellino. Il primo sindaco di Bracciano, dopo la guerra, gli commissionò il vaso che fa mostra di sé sulla fontana nella piazza del Comune. Settimio usciva presto di casa e Gaudenzio gli portava il pranzo, minestre, pasta, pane con formaggio e frutta. Era orgoglioso di suo padre, di quel suo scalpellare la pietra, “arte e fatica”, dice con un refolo di voce impastata di commozione. Poi racconta della commissione avuta dal principe Odescalchi per restaurare l’arco di San Liberato. L’arco stava crollando, un po’ perché le pietre erano vecchie, un po’ perché le portavano via. Per il principe lavorò molto anche per restauri nel Castello. Palazzo Fedeli mostra ancora i segni della sua arte e fatica, tutte le pietre del basamento e gli archi delle finestre furono opera sua. Inizia poi a raccontare del suo maestro alle elementari. Narra che a scuola c’erano birbanti patentati, ma la palma di capo briccone il maestro l’aveva affibbiata a lui. Scuote la testa e nega che ciò fosse vero. Poi un giorno lo prese di mira, lo chiamò alla cattedra, gli chiese di mostrargli il palmo della mani e lo picchiò con il righello fino a fargliele gonfiare. Storia di maestri che pensano di educare con la violenza. Tornò a casa e non riuscì a nascondere il suo gonfiore. La mamma lo curò subito con fette di patate, invece il fraLuglio 2014

salone dove una famiglia stava cenando, la porta era socchiusa e lui riuscì a frenare solo a pochi centimetri dalla tavola. Fu raccolto e curato, solidarietà di gente del popolo. Sempre con la mitica lambretta una sera andarono a mangiare al lago, al chioschetto di Albertino Di Grisostomo. Un po’ di vino sincero, un po’ d’allegria carnascialesca, e via a fare il bagno al lago, a giuocare a morra “tre, cinque, nove”, per stabilire chi fosse il più ganzo e a saltamula, per rifilare qualche pedata assassina al “mulo” di turno. Erano intenti nei loro giuochi quando videro una macchina sportiva infilarsi nella sabbia, era guidata da un tizio un po’ bevuto, dall’aria un gigolò,

Lo scherzo fotografico dei coniugi Paciotti

tello, aveva quindici anni più di lui, chiese cosa gli fosse successo. Saputolo si alzò dalla sedia dove stava pranzando, prese un travicello e corse in piazza Dante dove attese l’uscita del maestro. Quando lo vide lo affrontò e gli chiese cosa avesse fatto a Gaudenzio, poi agitò il travicello in

In sella alla lambretta

4

aria e lo avvertì che se ci fosse stata un’altra volta, lui avrebbe picchiato le mani del maestro con il travicello. Gaudenzio dovette cambiare scuola, da quel giorno fu completamente ignorato dal maestro, non imparava più nulla! Si ferma un po’ a riordinare i ricordi, poi un lampo e comincia a raccontare della prima lambretta a Bracciano, la sua. Era nel pieno della giovinezza, faceva il manovale, metà della paga a casa e con il resto a pagare le rate del suo sogno. Quando l’acquistò cominciò a scorazzare per le vie della città, orgoglioso, fiero della sua lambretta. Ci andavano in tre, anche quattro, ma il suo “impegno” più ricorrente era quello di fare il “fanatico” con le ragazze, le faceva montare dietro e, stretti stretti, via a vivere la loro giovinezza in quel Dopoguerra grigio e avventuroso. Ricorda che una sera, con gli amici, chi in vespa, chi in ducatino, chi in guzzetto, fecero un giro per Quadroni. Uno dei suoi amici non riuscì a tenere una curva, se ne andò dritto e si ritrovò nel Gente di Bracciano

Gaudenzio “pescatore”

accompagnato da una bionda mozzafiato. Il bellimbusto sì impappinò, provò a tornare indietro, ma la macchina slittò e finì, con le ruote anteriori, nel lago. Prima risero, poi li aiutarono a rimettere la macchina sulla strada, ma non prima di aver cicaleggiato un po’ per godere della vista di quella femmina fatale. Dopo la lambretta Gaudenzio si comprò una 850 special, fu quello il Luglio 2014

La comitiva

periodo in cui si fidanzò con Maria Rosa, la sua attuale compagna di vita. E qui Gaudenzio racconta del suo ritardo al matrimonio. Due ore di ritardo. La sposa attendeva nella chiesa di Vejano, cominciò a piangere quando non lo vide arrivare. Lacrime preoccupate, non sapeva che il suo Gaudenzio aveva avuto un contrattempo familiare proprio in quei momenti, che lo tennero impegnato per quelle due “maledette” ore. Partì una spedizione da Vejano sulle tracce del ritardatario, ma lo incontrarono strada facendo. Si sposò un po’ imbronciata all’inizio, poi tutto si sciolse in quella giornata di gioia e d’amore. Ora Gaudenzio mi mostra una sua fotografia in divisa militare. Un bel giovane, dallo sguardo schietto, quello di un giovane di diciannove anni che s’affaccia alla vita. Racconta che il maresciallo lo teneva in palmo di mano, anche perché Gaudenzio non si tirava mai indietro quando c’era da fare qualche lavoro in muratura. Alla fine della leva il capitano gli propose di andare sei mesi ad Ascoli Piceno, lui primo aviere, per fare la scuola di sottufficiale. Rifiutò. Maria Rosa, quindicenne, la sua fidanzata, non poteva rimanere un periodo così lungo senza di lui, rifiutò per amore e per quel friccico di gelosia che non guasta mai. Gaudenzio si ferma un attimo, è arrivato il caffè accompagnato dai gustosi biscotti preparati da Maria Rosa. Si scherza, si chiacchiera del più e del meno, poi il volto di Gaudenzio si annuvola un po’ e comincia a raccontare la storia del suo primo incontro con la “morte”. 5

Aveva trent’anni, o giù di lì, aveva conigli, maiali, galline ai quali aveva costruito un casotto che serviva anche di rimessaggio per paglia e fieno. Quel pomeriggio vi entrò per accudire i conigli, quando vide spuntare da sotto la gabbia due piedi. Rimase interdetto, poi s’affacciò sulla parte posteriore della gabbia e vide uno spettacolo terribile, che mai dimenticherò, dice con voce ancora piena d’orrore e di paura. A terra giaceva il corpo di una donna in stato di decomposizione. Corse via urlando e andò di corsa a denunciare il fatto ai carabinieri. Era in uno stato di forte agitazione, mentre correva verso la caserma non si sentiva tranquillo, cosa avrebbe raccontato? Potevano prendersela con lui? D’altronde il corpo della donna era lì da giorni, come mai non se ne era accorto prima. Si seppe poi che la donna, cinquantenne, era una sarda, era fuggita da una gita in pullman che era partito tempo addietro dalla Sardegna. Fu denunciata la sua scomparsa, ma solo Gaudenzio la ritrovò, nel sua casotto, morta. Si dice che le furono trovati indosso molti soldi, forse era la fuga della sua vita, ma il fatto fu chiuso rapidamente e, come accade ai vivi, subito dimenticato. Tranne Gaudenzio che ancora vede il corpo inanimato di quella povera donna. Poi, per stemperare il clima dolorante che si è creato, mostra una sua fotografia che lo immortala con il luccio della sua vita. Era andato a pescare con la sua barchetta, pesca alla tirlindana, con un cucchiaino legato al filo a simulare il pesce-esca. Racconta che era importante la giusta velocità della barca per dare il giusto guizzo al Gente di Bracciano


pesciolino finto. Poi sentì il filo in tiro, fortissimo, all’inizio pensò che l’amo si fosse incagliato in qualche sasso del fondale, poi cominciò a riavvolgere il filo e seppe che aveva preso il luccio della sua vita, sei chili, un luccione. La sera invitò a cena un po’ d’amici e servì loro la testa del luccio, cotta al forno con abbondanza di patate. Dice, ridendo, che per il gatto non avanzò nulla.

La leva

Un tripudio di sensi. Ora Gaudenzio mi mostra una fotografia dove lui e Maria Rosa sono immortalati in posa caraibica. Costume da bagno colorato, ghirlanda di fiori in testa e a cingere i fianchi, una chitarra tra le mani e un banjo a terra, due palme dietro di loro e, giù in fondo, il mare, appena increspato. Sono a Rimini racconta, in un’estate assolata, a ritemprare il corpo e la mente e quel giorno l’animatore dell’albergo organizzò una mattinata caraibica. Sul suo viso aleggia un sorriso ironico, non ne capisco il motivo, allora, con aria divertita mi racconta che tutti, parenti, amici, vicini di casa, sono ancora convinti che sono stati davvero alle Hawaii. Questo raccontarono al loro ritorno, condendolo con la fatica del viaggio in aereo, ore e ore di volo per arrivare e con le foto a suffragare il loro racconto. Dico a Gaudenzio che scrivendo delle Hawaii riminesi nel giornale tutti avrebbero scoperto il simpatico inganno, un sorriso malizioso, suo e di Maria Rosa, a dichiarare che sarà il loro secondo Luglio 2014

divertimento. Uno spasso! Ci stiamo lasciando quando l’occhio mi cade su un tavolino dove fa mostra di sé un “plastico” che rappresenta una piazza, è alto 78 cm, largo 46 e alto 55. M’avvicino e leggo “Piazza Saminiati”. Gaudenzio mi spiega che la piazza si trova all’interno del borgo storico di Bracciano e della sua antica cinta muraria, che ha un’aria medievale, circondata com’è da numerosi edifici storici ancora ben conservati. Vedo il plastico e vedo la piazza, sono incantato da quel lavoro e gli chiedo chi lo ha fatto, l’ho fatto io, mi dice con un misto d’orgoglio e di modestia. Allora si apre e mi racconta che questo del costruire è un suo hobby da sempre, mi fa vedere la “Nina e la Pinta, le caravelle della scoperta dell’America, fanno mostra di sé sopra l’armadio nella camera da pranzo. Mi spiega che per fare Piazza Saminiati ci ha messo quasi due anni. “L’ho costruita con cartone pressato, mi dice, le finestre si aprono e chiudono e hanno anche i fermi a muro per ripararle dal vento”, poi accende una luce e le finestre s’illuminano, credo di vedere il fumo che esce dai comignoli. Per la Nina e la Pinta, impegni giovanili, quasi un anno di lavoro. Le ha fatte avendo un disegno delle due navi, costruendo con le sue mani la chiglia, lo scafo, i ponti, gli alberi maestri, la cambusa e quant’altro, compensato bagnato e messo in tiro per dargli la forma necessaria. Poi mi porta nella camera dei nipoti, uno di sette e l’altro di cinque anni. Una camera calda, colo-

rata. In un’enclave della camera, sopra un tavolino, il Castello, fatto con la stessa tecnica di Piazza Saminiati, cartone pressato e colori ad acqua per dare il senso della sua antichità. La pianta del Castello riprende l’originale. Gaudenzio l’ha costruita seguendo le linee di una fotografia fatta da un elicottero. M’incuriosisco dei merli delle torri del Castello e gli chiedo, con un po’ di malizia, se anche quelli sono eguali all’originale e nello stesso numero: “sono andato a vederli e contarli più volte”, mi risponde con aria divertita. Nella stanza ha anche costruito, per i nipoti, una capanna alta un metro, dove amano “rifugiarsi” per nascondersi ai grandi. Sullo scaffale, insieme a mille Spiderman e agli orsacchiotti dei nipoti, vedo una macchina fatta con il compensato, anche questa una sua produzione. Tra Piazza di Pietra e il Pantheon esiste un negozio che vende tutti oggetti in legno: pinocchi, orologi, macchine, motociclette e quant’altro. La Roll Royce di Gaudenzio non sfigurerebbe davvero! Gli chiedo da dove derivi questa sua passione. “Mio padre era scalpellino, arte e fatica, mio zio scultore di legno e pietra, un altro zio pittore e scultore in gesso, tutti per passione”. E Gaudenzio, dico io, arte e pazienza, la sua manualità a tirare su muri, ma impreziosita da questa passione che se non fosse stata in mostra non avrebbe neanche raccontato. Grazie Gaudenzio, per l’accoglienza e i racconti della tua vita. Francesco Mancuso

Piazza Saminiati ricostruita dall’artista Paciotti

6

Gente di Bracciano

Scissioni nel dna della sinistra A ncora crisi nella sinistra, sinistra che mantiene fede al suo Dna, sinistra che si lacera, che è preda dell’ideologia liberista. Dopo tante scissioni, tante spaccature e tanti errori, ora tocca a Sinistra Ecologia e Libertà, uscita dall’ennesima scissione dal Partito della Rifondazione Comunista. Ciò che distingue la “sinistra” è la incapacità di stare insieme per diventare quel soggetto che milioni di italiani

(votanti e non votanti) si aspettano per riacquisire fiducia e speranza nel futuro prossimo. Il popolo della sinistra spera che si tratti di una sconfitta non storica ma contingente. Se in questo Paese non ricompare all’orizzonte politico la possibilità di ricostruire in Italia una sana “socialdemocrazia”, vale a dire una società di sinistra unita avremo nei prossimi anni, una società ostaggio dell’egoismo, dell’indifferen-

za e del vittimismo, come ha detto tempo fa un uomo, sicuramente non di sinistra, un Papa di nome Francesco. Perché il tipo di società che ora subiscono gli italiani è quella dove i ricchi sono sempre più ricchi ed i poveri sempre più poveri, dove la diseguaglianza e l’egoismo dei potenti logorano le coscienze e conducono inevitabilmente al degrado morale e corruttivo a tutti i livelli. Claudio Calcaterra

Mi sono fatto tante domande sulla situazione politica italiana del momento e, sono andato in riva al lago, dove ho gettato le risposte nell’acqua, per non litigare più con nessuno. C.C. Liberamente tratto da una metafora di Pablo Neruda

L’urlo di Marco Faraoni

La crisi secondo Einstein

“N

on possiamo pretendere che le cose cambino, se continuiamo a fare le stesse cose. La crisi è la più grande benedizione per le persone e le nazioni, perché la crisi porta progressi. La creatività nasce dall’angoscia come il giorno nasce dalla notte oscura. E’ nella crisi che sorgono l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Chi supera la crisi supera sé stesso senza essere ‘superato’. Chi attribuisce alla crisi i suoi fallimenti e difficoltà, violenta il suo stesso talento e dà più valore ai problemi che alle soluzioni. Senza crisi non ci sono sfide, senza sfide la vita è una routine, una lenta agonia. Senza crisi non c’è merito. E’ nella crisi che emerge il meglio di ognuno, perché senza crisi tutti i venti sono solo lievi brezze. Parlare di crisi significa incrementarla, e tacere nella crisi è esaltare il conformismo. Invece, lavoriamo duro. Finiamola una volta per tutte con l’unica crisi pericolosa, che è la tragedia di non voler lottare per superarla”. (Tratta da Il mondo come io lo vedo di Albert Eistein)

Poesia per gridare in versi e non restare ammutolito

G

ridare in versi, è quello che ha fatto Marco Faraoni dando alle stampe per Arduino Sacco Editore una seconda sua silloge dal titolo “Antichi Sapori”. Una raccolta in cui Faraoni, usando la straordinario strumento del componimento poetico che strappa letteralmente fuori dal cuore e dalla mente le parole, fotografa in qualche modo i suoi 53 anni di vita vissuta, trae bilanci e guarda, non senza timore, le giornate future. Una vita “solitaria” parrebbe che si nutre di antichità – così le immagini di monumenti e rovine che accompagnano il testo – ma che guarda all’infanzia, alla giovinezza, ai sogni infranti, alle ingiustizie. Forte il ricordo del Marco bambino tra cibi fatti in casa e preparati con cura e passione da donne e uomini secondo riti secolari e antichi giochi di strada come “uno alla Luna”. Forte il Marco ragazzo, sognatore, rivoluzionario. Forte il Marco di oggi, deluso, triste ed amareggiato da un mondo che non cambia, da un “mondo migliore” che lui – e lo dice espressamente in Cuore - non cerca più. Forte il Marco che piange l’amicizia come nel componimento dedicato all’amico Angelo Di Carlo, con il quale ha condiviso “sogni utopici di una società migliore”. Ed il Marco di oggi e un uomo “perso”, la cui vita è scandita dal tempo abitudinario della quotidianità, perché “è l’ora”. Dove è allora la straordinarietà di questa raccolta di poesie e foto? E tutta nel mezzo, la poesia appunto che, nello scandire dei vocaboli, delle parole, riesce oggi a far parlare un Marco che senza la poesia, resterebbe oggi “muto” e “ammutolito”, schiacciato dalla storia, dagli eventi, da una quotidianità banale e senza più sogni per guardare con fiducia al futuro. Graziarosa Villani Luglio 2014

Per chi cerca casa

Ti piacerebbe abitare in un appartamento con vista lago e castello di Bracciano?

Telefona al 333 3453605 7

Gente di Bracciano


Controcorrente 3: discorrendo con la morte

I

l problema più importante, quello della morte, è trattato sempre e solo da incompetenti. Non conosciamo il parere di nessun esperto. Francesco Burdin, Un milione di giorni, 2001 La propria morte è irrappresentabile, e ogni volta che cerchiamo di farlo, possiamo constatare che in realtà continuiamo a essere presenti come spettatori. Perciò la scuola psicoanalitica ha potuto anche affermare che non c'è nessuno che in fondo creda alla propria morte, o, ciò che equivale, che nel suo inconscio ognuno di noi è convinto della propria immortalità. Sigmund Freud, Considerazioni attuali sulla guerra e la morte, 1915

nuata da riti di passaggio, a uno in cui il solo pensiero fa talmente paura che non si osa più pronunciarne il nome; anche dal punto di vista linguistico non si muore più, si decede o si scompare. Le confessioni religiose continuano a proporre un altro modo di ignorare la morte, quello di trascenderla. Per le religioni più diffuse in Europa la vita di quaggiù non è che un passaggio, una transizione verso la vera vita, spirituale, divina, immortale: la morte è un trapasso, un salto verso la fine desiderata e sperata, ma mai nessuno è tornato per convalidare questa tesi. Aries scrive che nel primo Medioevo la morte era un evento familiare, preferibilmente sempre annunciato e “nel proprio letto”, che vedeva il morente come il protagonista di una cerimonia pubblica avente lo scopo di addomesticare la paura della morte. Il trapasso si svolgeva senza isterismi e con una serie di gesti rituali, dei quali l’unico atto ecclesiastico era l’assoluzione finale. Ariès fa notare inoltre come la morte di una persona non creasse alcun imbarazzo né tra i familiari del morente, né nel resto della comunità, tanto che quando un qualsiasi sconosciuto notava una veglia ad un morente, poteva parteciparvi. Anche i bambini venivano portati ad assistere. Successivamente il morto veniva sepolto lontano dalle abitazioni affinché non disturbasse i vivi. Lentamente però avviene un cambiamento. L’aumento della presenza della cultura cattolica apporta degli adeguamenti nella ritualità, nella finalità e nel significato della morte. Nonostante la morte mantenga ancora il suo carattere di familiarità e di tappa necessaria, inizia ad affacciarsi la paura del giudizio. Il corpo che veniva seppellito all'interno di una struttura ecclesiastica al momento del giudizio si sarebbe salvato, altrimenti sarebbe stato dannato. Le rappresentazioni del periodo mostrano il letto del moribondo circondato da diavoli e angeli che combattono rispettivamente per tentare e salvare l'anima del morente Fra la fine del XVI e fino al XVIII secolo la morte perde il suo carattere di familiarità e diventa un momento di rottura del quotidiano. Essa acquista un carattere trasgressivo, quasi eroico. Anche gli astanti non sono più partecipi del-

Ero piccolo e infelice e divoravo questo mio perenne stato di minorità sotto il glicine maestoso del giardino in via Niccolini 15, nel quartiere di Monteverde Vecchio, dove ho vissuto la mia fanciullezza. Lì sotto ho cominciato a scrivere la mia grammatica interiore, a sfidarmi per immaginare come sarei stato da grande. Il primo grande problema che dovetti risolvere era quello di quante parole avessimo in dotazione prima di finirle, mi veniva raccontato, a scuola e in famiglia, che tutto ha un limite, una fine, così decisi di non parlare più, di conservare le parole per tempi migliori. Fu un periodo turbolento, i grandi non capivano i miei silenzi e per un lungo tempo vissi tra perorazioni e urla, fino all’immancabile punizione del “salto” della cena. Mio padre non immaginava che era il momento più felice della mia giornata, con lo stomaco brontolante e le parole mute dentro di me, nel caldo del letto, costruivo straordinarie storie e picareschi racconti di me che salvava il mondo, ero un accanito lettore di Nembo Kid. Non ricordo come e quando questa decisione rientrò, ricordo solo il pianto liberatorio di mia madre quando le dissi che desideravo un gelato. Il secondo problema fu proprio quello della morte. Il fatto è che, a scuola e in famiglia, continuavano a raccontarmi delle delizie del dopo morte se avessi condotto una vita virtuosa. Poi morì nonna Adele e mi tennero all’oscuro dell’accadimento, lo scoprii solo perché non la vidi più. Ma “l’illuminazione” arrivò quando la professoressa di storia narrò che per i Romani la vita era un viaggio tra due buchi, la nascita e la morte. Della nascita avevo capito che non era dipesa dalla mia volontà, ma da un rapporto sessuale che mi aveva incontrato per caso. Della morte nulla sapevo, nessuno ne parlava. Fu così che incontrai un libro per me importante: la storia della morte in Occidente di uno storico francese, Philippe Aries. Provo a riassumerlo. Philippe Aries presenta un quadro dell'evoluzione storica degli atteggiamenti dell'uomo occidentale nei confronti della morte. Egli ritiene che si sia passati da un antico atteggiamento in cui la morte è al contempo familiare, vicina e atteLuglio 2014

8

Gente di Bracciano

mente, la Morte ha smesso di fare il suo lavoro. Invece, appena fuori dal confine, il ciclo procede normalmente. L'avvenimento suscita nel popolo sentimenti di trionfo e felicità e per le strade avvengono manifestazioni di patriottismo, perché la continua ricerca dell'immortalità ha avuto termine. Superato il primo momento d'euforia, si manifestano i primi problemi: nelle agenzie di pompe funebri e nelle compagnie d'assicurazione restano senza lavoro migliaia di lavoratori e di imprenditori; alle case di riposo si è costretti a badare ad anziani sempre più vecchi ed in quantità sempre maggiori; nelle case e negli ospedali ci saranno persone in condizioni terribili, incapaci di guarire, ma ora anche di morire. Perfino le comunità religiose, fra cui la Chiesa, sono seriamente preoccupate per l'assenza della morte: infatti, senza lei non ci può essere resurrezione e senza resurrezione è difficile mantenere vivo il messaggio di salvezza eterna dell'anima. In seguito, tuttavia, si scopre che basta portare il moribondo fuori dal confine per porre fine alle sue agonie, e così la mafia, anzi, "la maphia e i suoi maphiosi", come indicato nel libro, comincia ad organizzare viaggi, per far raggiungere la condizione di “caro deceduto”, con garantita sepoltura appena fuori dal territorio nazionale. Questo scompiglio dura sette mesi, dopo i quali sarà la Morte stessa, o meglio l'essere superiore che si occupa della morte in quello specifico paese, a notificare il suo “ritorno” con una missiva manoscritta in una busta di colore violetto indirizzata ai mezzi di comunicazione. La lettera sottoposta ad accurati esami per individuarne l'autore, giunge solo a scoprire che si tratta di una scrittura femminile. In seguito altre lettere di colore violetto continuano ad arrivare nelle case dei rispettivi destinatari con il loro nefasto contenuto. Una sola missiva non raggiunge il destinatario, un violoncellista, e viene per ben tre volte rispedita al mittente. Così, la morte, in forma di una donna di 36 o 37 anni, decide di consegnare personalmente la lettera al legittimo e sventurato destinatario. Questa volta, però, vuole conoscere la sua prossima “vittima” e inizia a spiarlo. S'introduce, non vista, a casa sua, e va a sentirlo suonare. S'instaura quindi tra la morte e il violoncellista un rapporto particolare, che rende la morte più “umana”, facendole dimenticare il suo ruolo. E ricomincia lo sciopero …

l’evento, ma ne diventano spettatori e la stessa famiglia del morente si limita ad essere soltanto una esecutrice degli atti del testamentario. Il moribondo è lentamente spogliato del suo potere e inizia ad essere evitato da chi non ha rapporti troppo stretti con lui. Dal XIX secolo la morte diviene addirittura un tabù. Ariès asserisce che nella società attuale il trapasso viene in tutti i modi nascosto perfino al malato, che non è più un protagonista, bensì una semplice comparsa succube della volontà altrui. Le decisioni vengono prese dall’équipe, la quale ha il compito di liberare la famiglia da un peso così gravoso, e il luogo della morte è sempre più spesso l’ospedale, che libera i luoghi della quotidianità da una presenza così imbarazzante. Sono lontani i tempi in cui il morente si congedava da familiari, parenti e amici, consapevoli e rispettosi del suo bisogno d'isolamento. Ora fino all'ultimo istante bisogna fingere che non si morirà mai. Questa è la morte proibita a cui è approdata la società di oggi. Quando finii di leggere il libro piansi lacrime calde, sentivo che le parole di Aries parlavano al mio bisogno insopprimibile di “capire” il senso della vita e quindi del suo epilogo: la morte. Fu così che cominciai a parlarci, a non farmi strangolare dalla sua forza evocativa. Nei momenti di maggior fatica che ho incontrato nel mio viaggio sperimentale su questa terra sono sempre riuscito a relativizzare ansie e preoccupazioni colloquiando con la morte, con l’unica certezza di questo nostro affannarci. Devo anche dire che all’inizio non mi fu affatto facile pronunciare quella parola, avvolta com’era dalla rimozione e dalla negazione in cui la società occidentale l’ha “murata”. Mi sono liberato da questa censura quando ho cominciato a parlarne pubblicamente, a esternare questa mia condizione esistenziale. All’inizio furono lazzi e sberleffi, la vita era solo una giostra gioiosa, una palestra di pensieri ribelli per rivoltare la storia, un’opportunità di ricerca di appagamento di ogni desiderio, un frullatore di magiche offerte di ricchezze materiali e immateriali, una sorta di delirio d’onnipotenza, d’eternità. La morte era sempre di qualcun altro, un pensiero da bandire nell’era della “felicità”. A me, invece, pensarla era ed è un atto di conforto, intanto perché è inevitabile, allora meglio blandirla che negarla.

Sono rimasto per giorni di nuovo senza parole, ma questa volta è che mi mancavano davvero. In quel periodo fui colpito da uno strano pensiero. Quando cuocio la pasta guardo sempre l’orologio per scolarla bella al dente, un giorno mi venne da pensare che stavo osservando la morte del mio tempo di vita, il tempo che scorre non c’è più, e mangiai una splendida amatriciana con un gusto e un piacere che non ho mai più provato. Confesso che più invecchio e meno ci parlo con la mia morte, tento di allontanarla, ma so che si avvicina ed allora provo a esorcizzarla. Penso però spesso a come accadrà. Vorrei viverla, sentirla arrivare ancora in stato di “grazia”, fino a sognare di poter interferire con lei, non suono il violino, ma sono un grande affabulatore. Non so se riceverò anch’io una lettera di colore violetto, ma se così non sarà, a tempo debito, me la spedirò da solo.

Poi mi capitò tra le mani uno splendido libro di Josè Saramago: “Le intermittenze della morte” e fu un delirio. In una nazione mai citata nessuno più muore perché, sempliceLuglio 2014

Francesco Mancuso 9

Gente di Bracciano


I musicisti del 1922 Alla chitarra: Salvatore Pontanari, Nicola Pedaletti, Elvezio Sala; al mandolino: Nicola Forti, Angelo Di Grisostomo, Eleuterio Sala, Lorenzo Satolli, Giuseppe Di Vincenzo, Antonio Cavalieri, Amerigo Onori; alla mandola: Aurelio De Santis, Amerigo Tabellini; alla batteria: Armando Zarlocco; ai piatti: Agostino Ferranti; alla grancassa: Adeodato Baglioni ed inoltre Almerindo Mondini

P

ciando nell’aria guizzi d’oro e di viola”. Eh sì! Queste parole non esprimono un’intensa partecipazione e commozione? E ancora: “La Primavera, terminata la cerimonia, stendardo in testa, percorre le vie del paese, riempendole di note trillanti e armoniose”. I braccianesi, e non solo, rispondono con una fitta pioggia di fiori e con applausi scroscianti”. “La Primavera”, e Bracciano diventano, così, un tutt’uno. Come sempre accade, tutti i santi finiscono in gloria, perciò tutta La Primavera si ritrova al ristorante la “Posta”, per un banchetto “super”. “Vino (in quantità), alici al burro, fettuccine all’uovo, carciofi fritti, saltimbocca al prosciutto, abbacchio arrosto con insalata, formaggio, frutta, zuppa inglese, caffè”. Però!! Alle 21.30 nei locali del caffè Roma, serata danzante con rinfresco riservata ai soci e ai loro familiari. Alle 24 precise termina la storica giornata. Eleuterio Sala e il maestro Barbagallo sono le colonne portanti della “Primavera”. Quando, a causa di un grave lutto, Barbagallo è costretto a lasciare l’orchestrina, la presidenza si mette subito alla ricerca di un valido sostituto che trova nel professor Manfredi Apostoli, violinista nell’orchestra del Teatro dell’Opera di Roma. Inviti, riconoscimenti e premi non tardano a venire da ogni parte del Lazio. Le feste, le cerimonie religiose, i Carnevali vedono “La Primavera” sempre in primo piano. La gente inizia a considerarla un patrimonio comune. La sociètà mandolinistica è proiettata così, all’interno della storia e delle vicende di Bracciano e del territorio circostante. I suoi concerti, il suo passare per le vie insieme al trillo dei suoi mandolini e di tutti gli strumenti, hanno saputo cogliere magnificamente gli umori, l’allegria e i sogni della gente di Bracciano lungo il corso degli anni. Le vicende politiche dell’epoca la toccano solamente per certi aspetti formali. La Primavera conserva, comunque, una larga autonomia. Eleuterio Sala, rieletto più volte presidente la guida con mano ferma e la tiene fuori da questioni e contrasti, facendo prevalere il principio sancito dallo statuto, dell’apolicità. “La Primavera” vive con pienezza artistica e sociale fino al 1932. Il 18 maggio 1933 muore Eleuterio Sala. L’attività de “La Primavera”, rallenta e poi si ferma. E poi? Il poi…ai prossimi numeri. Professor Luigi Di Giampaolo Presidente attuale della “Primavera”

rima però cerchiamo di capire perché un piccolo gruppo musicale è entrato ed è rimasto nella storia di un paese, del nostro paese Bracciano, e ne “è” l’anima. Alcune volte vi sarà capitato di riflettere sulle tradizioni del vostro paese, della vostra città, del vostro quartiere e vi sarete resi conto che le tradizioni esprimono e riflettono la sua storia. Quelle tradizioni, insomma, sono estremamente importanti per la nostra vita e per la comunità in cui viviamo e questo perché ne scandiscono e ne “fissano” nel tempo certi momenti. Le tradizioni infatti hanno una funzione molto speciale: conservare e trasmettere quei “segni” distintivi che la comunità ha fatto propri e che, attraverso eventi ed esperienze, caratterizzano quel territorio. Se è così, perché dobbiamo disperderle? Ma torniamo alla nostra “Primavera” e alla sua storia. Seppure sommariamente, vediamone alcuni momenti. Che ne dite? Queste “storie” sembrano piccole cose, ma se viviamo intensamente un giorno, queste piccole cose, ci sembrano grandissime. L’Associazione Mandolinistica Braccianese “La Primavera”, nasce negli anni ’20, precisamente il 12 agosto 1922 con la sottoscrizione dei 14 articoli dello statuto da parte dei 18 fondatori. Il 14 agosto 1922 l’assemblea dei soci elegge presidente Eleuterio Sala, segretario: Salvatore Pontanari; revisori dei conti: Antonio Satolli e Nicola Pedaletti. E’ interessante, con i tempi che corrono, tempi in cui spesso l’educazione e la disciplina sono assenti o sono merce rara, ricordare l’articolo 1 che al paragrafo b) recita “L’Associazione ha per iscopo il divertimento lecito e corretto. I componenti devono mostrarsi educati e disciplinati” e aggiunge “lo studio e la cultura della musica per mezzo dell’orchestra sociale hanno altrettanta importanza”.Il nome, poi, viene scelto tra i quattro proposti: “La Primavera”; “La Cicala”; “Aurora”, “Stop”. Alla “Primavera” vanno 10 voti su 15. Il 2 aprile 1925, Lunedì di Pasqua, avviene il debutto ufficiale della società, con la benedizione “ufficiale” dello stendardo. La cerimonia si svolge nella piazza del Castello. E’ emozionante leggere dal vecchio verbale “alle 10,40 l’arciprete Don Filippo Onori, alla presenza di tutte le autorità del luogo, impartisce la benedizione allo stendardo al quale la madrina, la signorina Elsa Sala, sorella del presidente dà il nome di “Cecilia”. “Quando lo stendardo viene sollevato l’orchestra intona la Marcia Reale. E, a questo punto, dal verbale viene fuori vera poesia: “La bandiera palpita, carezzata dal dolce venticello, lan-

Luglio 2014

10

Gente di Bracciano

Grande Guerra: Monumento per i caduti Nel 1919 piazza delle Monache cambia nome e diventa piazza IV Novembre

Un plotone a cavallo della Scuola di Artiglieria di Bracciano

L

a prima guerra mondiale, del cui scoppio viene ricordato quest’anno l’anniversario dei cento anni, è stata senz’altro il primo evento in cui la giovane nazione Italiana si è confrontata con la Storia pagando anche un drammatico prezzo in termini di vite umane. Ed è proprio dopo la fine delle ostilità nel 1918 che in tutti i Comuni italiani si è iniziato ad edificare tutta una serie di monumenti celebrativi dei caduti in guerra e ad intitolare piazze e strade ad eventi e personaggi che hanno caratterizzato l’evento bellico appena terminato. Così a Bracciano, la piazza comunale fino ad allora denominata semplicemen-

Luglio 2014

te piazza delle Monache (per la presenza del Convento sull’antistante via XX Settembre) prende il nome di piazza IV Novembre. Ma forse l’evento più simbolico è la costruzione del monumento ai caduti sulla scalinata che congiunge la piazza con la sopradetta via. Il monumento era molto diverso da quello attuale e la sua costruzione è iniziata nel 1919. Riportiamo di seguito il verbale dell’assembla Consiliare del 12 novembre 1921 in cui il Consiglio Comunale dà il suo benestare alla nascita di un comitato che si sarebbe dovuto occupare della costruzione del monumento.

11

“Riferisce il Sindaco che egli già da parecchio tempo ha potuto raccogliere dalla viva voce di moltissimi cittadini ed anche dai rappresentanti di parecchie istituzioni locali, il vivo desiderio di onorare la memoria dei defunti caduti in guerra per la Patria con un monumento veramente degno delle loro gesta e del supremo sacrificio da essi fatto per l’Italia. È però a dirsi, come tutti sappiamo che il regio Commissario (..)-certo a causa dell’eccessiva sua fretta - nell’anno 1919 procedette alla solennizzazione dei caduti erigendo in una selciata esistente nella piazza del Comune una modesta lapide commemorativa. Se la fretta non avesse invaso il Regio Commissario forse a quest’ora si sarebbero già raccolti i fondi necessari per un monumento degno del nome. Ond’è che tutta la cittadinanza vede suo malgrado eternarsi in quella modesta lapide quei ricordi che avrebbero voluto e vorrebbe fossero più civilmente considerati. E vede con un senso quasi di gelosia che i Comuni vicini innalzano ai loro caduti veri monumenti di gloria. Egli è perciò che facendomi interprete dei sentimenti e dei desideri di tutta la cittadinanza propongo a voi che il Comune si faccia iniziatore per la costituzione di un comitato permanente per lo studio e l’attuazione del progetto per l’erezione di un monumento per i caduti. La targa commemorativa di cui sopra potrà essere da ivi tolta e murata in una sala del Comune. Per fare ciò è necessario che il Consiglio cominci a deliberare il suo concorso per la costituzione del fondo necessario al monumento”. Massimo Giribono

Gente di Bracciano


Bracciano: Obiettivo parità di genere

“L’avvenire non viene da solo”

L

ontana dalle luci della ribalta riservate ai grandi eventi, l’attività politica dell’amministrazione comunale di Bracciano ha mantenuto nel tempo un’attenzione costante al tema delle pari opportunità con risultati che solo oggi cominciano a diventare visibili. Di fronte alle dichiarazioni roboanti che periodicamente riecheggiano sui giornali, radio e TV, non è di poco conto rilevare che esistono realtà in cui invece di parlare si fanno i fatti e l’attenzione tanto invocata per la condizione femminile si trasforma in iniziative concrete pensate e realizzate da donne che vivono nel territorio. La politica delle Pari Opportunità nel Comune di Bracciano ha mosso i suoi primi passi fin dal 1995, anno in cui si è creata l’Associazione di donne Pandora Onlus che ha dato vita a molteplici eventi pubblici su temi di scottante attualità, fino alla creazione e apertura del Centro Donna Comunale, inaugurato ufficialmente l’8 marzo 2011 e gestito dalla stessa Associazione Pandora rimasta attiva negli anni. L’esistenza di un Centro Donna nel tessuto sociale di Bracciano ha fatto la differenza manifestando gradualmente i suoi effetti nella vita sociale della comunità. All’interno del Centro Donna ha trovato spazio l’Associazione Banca del Tempo, già operante a Manziana ma assente da Bracciano dove, invece, si è radicata in fretta offrendo un punto di riferimento e di aggregazione alla popolazione ed in modo particolare alle donne che hanno aderito ed hanno dato vita a scambi di servizi e soprattutto a nuove relazioni umane che si sono consolidate nel tempo. Oltre a questo sono nate una serie di attività quotidiane come la lettura collettiva, laboratori di riciclo e riuso di materiali vari, incontri di arte terapia che hanno visto aumentare il proprio pubblico e la stessa qualità dell’offerta che con il tempo si è andata sempre più raffinando e specializzando. Un risultato concreto e visibile pubblicamente è l’evento “Marzo Donna” che dal 2012 si ripete regolarmente ogni anno e che anima tutto il mese di marzo con eventi ed iniziative espressamente dedicate all’universo femminile, ampliando ed enfatizzando l’effetto mediatico della data fatidica dell’8 marzo. Tra le attività ricorrenti negli anni che il Centro Donna promuove vanno citate le manifestazioni promosse in occasione del 25 novembre, giornata internazionale contro la violenza sulle donne, che hanno visto prestigiose partecipazioni come quelle di Shirin Ebadi, premio Nobel per la pace, e di Malalay Joya che hanno portato la loro impressionante testimonianza ad un pubblico locale profondamente toccato dalle loro parole. Un aspetto da sottolineare per il suo interesse sociologico riguarda la tipologia di pubblico femminile che negli anni ha attirato il Centro Donna non più fatto di giovani ragazze in cerca di riconoscimento di diritti e spazi sociali, bensì composto da donne mature che hanno trovato nel Centro Donna una risposta efficace a problemi di solitudine ed estromissione dalle dinamiche sociali. E’ il chiaro sintomo del cambiamento sociale avvenuto negli ultimi 20 anni durante i quali le donne sono entrate in modo eclatante in tutti i settori della vita sociale ed i livelli di discriminazione un tempo espliciti sono diventati meno immediatamente evidenti, anche se ancora lontani dallo scomparire. Un fatto comunque appare chiaro: non sono le ragazze oggi che sentono il peso di un mancato riconoscimento del ruolo della donna nel sociale; viceversa tale emozione diventa un tema emergente e pressante solo per l’età più avanzata, quando si tirano le somme sullo status che ogni donna si è guadagnata nel corso della propria vita e che, al netto del ruolo di cura svolto in famiglia, tende a configurarsi come una terribile sensazione di vuoto, come se al di là dei servizi prestati ai loro cari, la vita delle donne perdessBiancamaria Alberi se di senso.

Enrico Berlinguer alle ragazze italiane

D

ifficile dire se le donne del nostro tempo leggono abbastanza, (questo vale anche per gli uomini). Ho una cugina che passa tutto il giorno a divorare racconti, romanzi, riviste. Molte altre, senza dubbio, leggono, almeno per la quantità in misura più che sufficiente. Ad altre, forse la maggioranza, la durezza del lavoro, le cure domestiche, la mancanza di mezzi finanziari impediscono di godere le emozioni della lettura. Più interessante sarebbe conoscere a fondo che cosa leggono, in generale, le ragazze italiane d’oggi. Si dice che Liala, Peverelli, Mura, Dias siano fra le scrittrici preferite, la «Bibliotechina per signorine», le edizioni Salani fra le pubblicazioni preferite. Si dice anche, fra di noi - e molti, non lo nascondo, se ne rammaricano - che molte siano le ragazze, anche tra quelle politicamente più evolute, che hanno in “Grand Hotel” la lettura più appassionante. Si esagera, forse, e, in ogni caso, non si considera e non si comprende quanto difficile sia oggi, per una ragazza, avere una scelta felice nel gran mare di mercato librario che è grande nella quantità quanto insufficiente e povero nella qualità e nella varietà. A meno che non si pretenda - e noi non pretendiamo di certo, perché sappiamo comprendere le ragazze e perché giovani siamo anche noi - che le ragazze leggano solo di filosofia o di catechismo. Non è davvero nelle nostre intenzioni negare alle ragazze il diritto di scegliere le loro letture, di appassionarsi ad avventure o a vicende d’amore. Vorremmo soltanto aiutarle a comprendere che, alle volte, in chi scrive quelle avventure, in chi immagina quelle storie di amore, vi è l’intenzione di farci palpitare per le avventure di altri, di farci sognare qualcosa che non appartiene al nostro mondo per impedirci di aprire gli occhi, di unirci, di operare per rimuovere insieme gli ostacoli che impediscono a tante ragazze di conquistarsi un loro avvenire, portare a compimento il loro sogno d’amore, di avere

Luglio 2014

Lavinio, estate 1950, Enrico Berlinguer con le ragazze del campeggio scuola di politica

tutte la loro famiglia e di raggiungere la loro felicità in una società che più non conosca, per i pochi, il privilegio, il lusso, il capriccio e, per i molti, l’umiliazione, lo scherno, la miseria. Vogliamo, soprattutto, indicare alle ragazze che sono stati scritti altri libri, che esistono altre letture che sanno rispecchiare - anch’essi - i loro sogni e le loro aspirazioni, che sanno essere anch’essi appassionanti, perché parlano della più grande delle avventure, che è la nostra vita di ogni giorno, perché esprimono il più grande dei sogni e le loro aspirazioni che è quello di una società giusta di liberi e di uguali, perché infondono fiducia e mostrano nella lotta una via che non tradisce, che non delude e che tutti i sogni può trasformare in realtà. Sono le opere di scrittori italiani, dense di umanità, ricche di una vita vera e vissuta da milioni di uomini e di donne, di una passione che non conosce ostacoli, di una fede grande ed invincibile. Di questi – romanzi, racconti, poesie, rievocazioni storiche e biografiche – la nostra editrice offre oggi, alle ragazze d’Italia una prima selezione.

12

Auguriamoci che molte ragazze possano trascorrere, nella loro lettura, ore gradevoli e ne possano trarre stimolo a conoscere meglio la letteratura dei combattenti e dei costruttori di un mondo migliore. Prefazione di Enrico Berlinguer a "L’avvenire non viene da solo", antologia dedicata alle ragazze italiane, edita nel 1949 da “Gioventù nuova" - casa editrice della Fgci In questo testo Berlinguer, oltre a chiamare velatamente in causa i temi della gestione dei mezzi di comunicazione di massa e dell’immaginario sociale, anticipa di molto, mettendosi nei panni delle ragazze, il pensiero di genere auspicando e prevedendo allo stesso tempo il progressivo processo di emancipazione femminile, una battaglia che esplodendo negli anni Settanta ha portato, seppure in maniera ancora incompiuta, all’affermazione delle donne nel mondo del lavoro, nella famiglia, nelle istituzioni, nella scienza, nella letteratura, nella cultura. (A cura di Claudio Calcaterra)

Gente di Bracciano

Luglio 2014

13

Gente di Bracciano


Ospedale: proposta di rilancio per 92 posti letto Inoltrata dal sindaco Sala alla cabina di regia sulla sanità regionale

F

accio seguito all’incontro tenutosi in data 16/06/2014 presso gli uffici della Cabina di Regia SSR della Regione, per formulare di seguito, come da accordi, una possibile proposta di riconversione e rilancio dell’Ospedale Padre Pio, alternativa a quanto presentato allo scrivente nella riunione suddetta e contenuto nella proposta dei Programmi Operativi 2013/2015. Senza voler aprire nessuna polemica, si può affermare che la proposta di seguito formulata, fonda la propria essenza in perfetta sintonia di quanto pubblicato sul sito della Regione Lazio nella rassegna stampa del 6/12/2013 e cioè che con la presentazione dei Programmi Operativi 2013/2015 sarebbe stata “fornita una risposta organica allo squilibrio dell’offerta sanitaria tra il centro e la periferia, alla fragilità della sanità del territorio e alla crescente precarizzazione del lavoro”. Si parlava del “superamento delle macroaree che hanno fortemente penalizzato le province, del calcolo della dotazione dei posti letto da effettuare distinguendo tra Roma Città e le singole province sulla base dei fabbisogni e del rispetto dei livelli essenziali di assistenza”, specificando che “la riduzione complessiva dei posti letto necessaria per rientrare nel parametro nazionale di 3 posti letto per mille abitanti e per raggiungere gli obiettivi del piano di rientro, si sarebbe fondata su criteri selettivi e non su tagli lineari e si sarebbe basata esclusivamente sui posti letto scarsamente o per nulla utilizzati, con l’incremento di 109 unità i posti letto dell’area critica”. La conclusione di quel comunicato terminava affermando che “i provvedimenti contenuti nei Piani Operativi sono la condizione indispensabile per tagliare i costi, ridurre il tasso di ospedalizzazione inappropriata e garantire ai cittadini una sanità più giusta ed efficiente”. Posso assolutamente affermare che siamo perfettamente in linea con quei principi e lo siamo ancor più oggi, dopo la notizia (allora non conosciuta ma sperata) che la Regione Lazio potrà contare su circa 400 milioni di euro in più all’anno di maggiori risorse rispetto a quanto previsto,

Luglio 2014

dopo che le verifiche fatte dai Comuni hanno determinato che nel Lazio vivono 300 mila cittadini in più rispetto alle precedenti rilevazioni Istat. E questa notizia non è sicuramente bella ed importante solo per la Regione Lazio, ma anche per i territori delle province in quanto, se è vero che ci sono più disponibilità per la sanità laziale, è altrettanto vero che quelle risorse dovrebbero

comio andrebbe allo 0,5 per mille abitanti. In conclusione la proposta che segue vuole riequilibrare l’offerta sanitaria nel territorio della Asl RMF e “suggerire” il mantenimento in piena efficienza e anzi, in modo ardito, proporre il rilancio dell’Ospedale “Padre Pio”, per garantire i principi fondanti dei Programmi Operativi della Sanità e conseguentemente uscire dal commissariamento.

distinguendo Roma Città dalle singole province e con la consapevolezza che nell’Ospedale Padre Pio di Bracciano i letti per acuti hanno complessivamente una “occupazione” superiore al 97,50% e una degenza massima di giorni di ricovero inferiore o in linea con le prescrizioni stabilite. • Trasferimento presso l’Ospedale “Padre Pio” di Bracciano di n. 4 medici già in carico della Asl RmF, dal PIT di Ladispoli al momento dell’apertura della Casa della Salute. La proposta potrebbe anche prevedere come opzioni: • Un accordo con l’Azienda Ospedaliera S. Andrea per scambi di servizi. • L’inserimento dell’Ospedale “Padre Pio” di Bracciano tra le strutture previste nel protocollo di intesa Università La Sapienza e Regione Lazio, nella quale è possibile “strutturare” personale medico

La città parla Con i suoi muri grigi. Il lago, il verde, il borgo. Vietato vietare… Prendiamo i nostri desideri con realtà. La società è una pianta carnivora. Corri, uomo, corri. Il mondo ti insegue. Libertà di espressione e la fantasia al potere. Claudio Calcaterra

essere impegnate in parte per riequilibrare il numero dei posti letto prioritariamente negli ospedali di provincia, dove la popolazione è fortemente cresciuta e i posti letto per acuti anziché aumentare, diminuiscono o peggio scompaiono. Ritengo pertanto che si dovrà prioritariamente intervenire, per mantenere o meglio implementare quel rapporto di 3 posti letto per mille abitanti, laddove questo fosse deficitario o molto deficitario come nella ASL RMF di Civitavecchia dove, evitando la chiusura dell’Ospedale Padre Pio di Bracciano, il rapporto obbligatorio di 3 posti letto per mille abitanti è invero allo 0,9 e con la chiusura del noso-

14

Pertanto si propone: • Portare il nosocomio di Bracciano a n. 80 posti letto ordinari dei quali n. 60 per acuti nelle tre specialità richieste di medicina generale, chirurgia e ortopedia e n. 20 posti letto post acuzie, inserendo n. 8 posti letto di day hospital, n. 2 posti letto di terapia sub intensiva post-operatoria e n. 2 posti letto di osservazione breve. Il risultato che si vuole determinare con quanto sopra evidenziato è quello di portare a 1 (uno) il rapporto posti letto per mille abitanti nel territorio della Asl RMF, anche se ancora molto al di sotto dell’obbligatorio 3x1000 ab., con la duplice certezza di aver calcolato la dotazione di posti letto

Gente di Bracciano

universitario ed eventualmente individuare UOC a direzione universitaria con il vantaggio di reperire le poche unità di personale medico qualificato necessarie per l’Ospedale di Bracciano, a costi ridottissimi. La proposta sopra delineata, qualora fosse recepita e condivisa, può prevedere una sperimentazione di 3/5 anni nei quali verrebbero monitorati i risultati attesi e valutati gli effetti sul territorio in termini di raggiungimento degli obiettivi fissati, delle prestazioni rese, del mantenimento dei livelli essenziali di assistenza e della durata e dell’appropriatezza dei ricoveri. Si dovrà chiaramente prevedere il mantenimento dell’attuale budget previsto per il “Padre Pio” ovvero un piccolo aumento di risorse, se necessarie, per il miglior funzionamento dell’Ospedale, che sono certo sarà “compensato” da una ottima perfor-

A me piacciono gli anfratti bui delle osterie dormienti, dove la gente culmina nell’eccesso del canto, a me piacciono le cose bestemmiate e leggere, e i calici di vino profondi, dove la mente esulta, livello di magico pensiero. Alda Merini

mance ricavi/costi conseguenza delle maggiori disponibilità di posti letto (vedi scheda allegata). Sarà inoltre importante destinare una percentuale di eventuali finanziamenti per investimento, laddove previsti dalla Regione Lazio per la Asl RmF, da utilizzare per ristrutturazioni, attrezzature e manutenzioni. Sono convinto che vorrete approfondire e tenere nella dovuta considerazione quanto proposto, con la consapevolezza che per mantenere dignitosi livelli di assistenza sanitaria nel territorio nord della provincia di Roma, è necessario non solo riconvertire ma soprattutto rilanciare i nosocomi delle province che, con il mantenimento del Pronto Soccorso e dei posti letto per acuti riescono a fare filtro alle grandi difficoltà nelle quali si trovano gli ospedali romani causa sovraffolamento. Giuliano Sala Sindaco di Bracciano

SERVIZIO TRASPORTO PUBBLICO WWW. BRACCIANOTAXI.IT

329 4251067 345 3449836

Bracciano Via Principe di Napoli, 9/11 Tel./Fax 06 90804194 E-Mail: caffegranditalia@alice.it www.caffegranditalia.com

Gelateria artigianale

Pasticceria Enoteca Luglio 2014

15

Gente di Bracciano


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.