Gente di bracciano maggio 2015

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Gente diBracciano Maggio 2015 numero 3


Gente diBracciano

Maggio 2015 Numero 3

Dedicato a Gisella

Editore: Associazione Gente di Bracciano Presidente: Claudio Calcaterra

Direttore responsabile: Graziarosa Villani

Redazione: Francesco Mancuso, Vittoria Casotti, Mena Maisano, Biancamaria Alberi, Luigi Di Giampaolo

Collaboratori: Massimo Giribono Fabercross, Pierluigi Grossi Registrato al Tribunale di Civitavecchia n. 1388/2014

Stampa: Tipo-Offset Anguillara Via dei Vignali, 60 Anguillara Sabazia su carta riciclata

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La storia abita anche qui M

a quanto si potrà scrivere solo su Bracciano? Era questa una delle domande che la redazione si faceva esordendo con questa nuova rivista “Gente di Bracciano”. Poteva essere una visione del mondo limitata appena a ciò che ruota attorno al castello dalle cinque torri e al campanile del duomo di Santo Stefano. Eppure, numero dopo numero, con piacere, la redazione va scoprendo che sono innumerevoli gli aspetti di Bracciano da approfondire, da riscoprire, da riproporre. Ed anche in questo numero la piccola storia si intreccia con la grande storia. Dalla vicenda dell’eroe Negretti morto nella Grande Guerra al confronto tra il grande scienziato Galileo e Paolo Giordano II. Dal vertice per fare l’Europa al castello al racconto della originale orchestra mandolinistica della Primavera. Dalla tradizione del solco diritto per il Santissimo Salvatore alla vicenda del Caffè Grand’Italia. Il lavoro così, numero dopo numero, ci appassiona e forti di nuove prestigiose collaborazioni continuiamo a dar vita ad un progetto editoriale che fa da ingrandimento ai piccoli grandi fatti avvenuti nei secoli sotto il cielo di Bracciano.

Bruno Buozzi: l’orgoglio dell’operaio metallurgico Laico, socialista, riformista, dalla Fiom ai vertici della Cgil. Trucidato dai nazisti il 4 giugno del 1944

In 70mila in lotta contro il tumore del seno

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randissimo traguardo raggiunto quest’anno a Roma dalla storica corsa per la vita della Susan G. Komen Italia il 15, 16, 17 maggio 2015 con oltre 70.000 partecipanti. Un evento organizzato sotto l’Alto Patronato della Presidenza della Repubblica. Ai nastri di partenza insieme alle madrine dell’evento Maria Grazia Cucinotta e Rosanna Banfi come sempre c’era lui, Riccardo Masetti, direttore dell’unità operativa di chirurgia senologica, Rosa di sera 2015 direttore del centro integrato di senoa cura di Associazione Susa G. Komen Bracciano logia e presidente della Susan G. Komen italia che dal 2000 opera per la lotta al tumore del seno. C’erano molte personalità a sostenere le oltre 5.000 “donne in rosa”, donne che si sono confrontate o che si stanno confrontando col tumore del seno e che hanno indossato una speciale maglietta rosa per testimoniare che insieme si può vincere la malattia. Evento di spicco dell’edizione è stato come ogni anno il villaggio della salute della donna dove uno staff medico diretto da Alba Di Leone, chirurgo e senologa della Susan G. Komen Italia, ha effettuato gratuitamente consulti e accertamenti diagnostici più approfonditi valutati caso per caso dall’équipe medica, come ecografie senologiche mammografie, agoaspirati, visite ginecologie e paptest, consulti per patologie tiroidee. Sono state offerte 2.500 prestazioni mediche. A cura di Michela Testa

Lezione di vita

La voglia dell’anima che è il corpo. La detestabile percezione dell’effimero Sì, l’oscura materia, animata dalla tua mano, sono io, la parola strisciando Sarà la tua orma. La tua stessa ombra. Fu la tua unica e sleale avversaria. Questa casa vuota ch’è il mio corpo. Dove non tornerai. In quella rovina, fiorisce la cancrena dell’amore, la mortale vittoria della carne, e una spina di sangue, nell’occhio della rosa. Silenzioso gergo del cuore, connubio di strozzata melodia, e agonia gioiosa. Metti un’anima, se la trovi. Blanca Valera

(A cura di Claudio Calcaterra)

Dedicata a Mariella nel terzo anniversario della sua scomparsa

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Il sindacalista Buozzi all’uscita da Montecitorio nel 1924

a ricerca delle proprie radici e la consapevolezza della propria storia sono sempre un atto di saggezza. Chi non ha il senso del passato, vive il presente senza un progetto e non può pensare di costruire il futuro. E’ un principio che vale per i singoli ma che diventa regola per i giovani e i meno giovani. Un insieme di idee, di esperienze, di vite ha senso e acquista significato se c’è un collante “identitario” che fa divenire una unica cosa le diversità tra generazioni. Spesso, questo collante non è solo un’ideologia, non è solo idee, progetti, azioni. Ma è un uomo, che, in un dato momento storico, ha saputo diventare espressione eloquente di una visione della politica, della società, dell’economia. Uno di questi uomini è stato Bruno Buozzi. Segretario della Confederazione Generale del Lavoro, assassinato dai nazisti con 14 compagni sulla Cassia nei pressi della tenuta Grazioli, a Roma alla Giustiniana. Bruno Buozzi si forma a Milano, ove si reca agli inizi del Novecento poco più che ventenne, trovando occupazione prima alla Marelli e successivamente alla Bianchi. Nel 1905, a 24 anni,

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si iscrive alla Fiom (la Federazione Italiana Operari Metallurgici) nata nel 1901. Sempre in quegli anni, prende la tessera del Partito Socialista , militando tra i riformisti ed avendo come punto di riferimento Filippo Turati. Autodidatta, studia ottenendo con grandi sacrifici un titolo di formazione professionale tecnica. Rimane affascinato dalla società umanitaria, una istituzione milanese che rappresenta una sorta di università per il mondo del lavoro: una fucina di idee che forgia una cultura ed unetica del lavoro moderne e riformiste per la militanza nel sindacato e nei movimenti socialisti. Buozzi frequenta “L’Umanitaria”, successivamente diviene insegnante di una scuola di arti e mestieri nella stessa società. Buozzi si caratterizza subito per la visione riformista nell’azione sindacale a cui rimarrà fedele per tutta la vita, con una forte tensione morale ed una paziente e continua ricerca del consenso nello svolgimento degli incarichi ricoperti. Della schiera degli organizzatori sindacali di prima del Fascismo, usciti dalla feconda scuola della fabbrica, Bruno è indubbiamente quello che più di ogni altro rappresenta il tipo

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d’operaio italiano dei primi del secolo: l’operaio metallurgico. Intelligente, umano, orgoglioso della sua “dignità” professionale; che sta a testa alta di fronte al padrone, rispettato e rispettoso; che legge “L’origine della specie” e frequenta l’università popolare e i loggioni della stagione lirica. Che ammira la tecnica tedesca e odia il Kaiser; che ama i nichilisti russi e vota per Turati. L’operaio socialista, cosciente di essere protagonista di una nuova storia che incomincia, da lui, operaio metallurgico. Bruno Buozzi, lungo il corso della guerra, contribuì alla ricostruzione del sindacato in Italia e se non fosse stato ucciso, avrebbe sicuramente dato un enorme contributo alla crescita e allo sviluppo del sindacato nella giovane democrazia repubblicana. Si batté per avere un sindacato unitario. Per lui l’unità non significava assolutamente appiattimento su posizioni precostituite. Il Patto di Roma per l’unità sindacale fu firmato il 9 giugno del 1944, ma venne datato 3 giugno (il giorno prima dell’assassinio di Buozzi) in omaggio alla sua memoria.

A cura di Claudio Calcaterra

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Carmelita e Anna: Caffè Grand’Italia

L’eredità di passione e di lavoro dal nonno Achille Dolcini. Lo storico locale tra ricordi d’infanzia, aneddoti e ospiti di fama come il libico colonnello Gheddafi e il compianto Enzo Tortora

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Achille Dolcini, 15 luglio 1941

giorno di riposo per il caffè Grand’Italia. Mi accomodo in un angolo del bar e incontro le sorelle Carmelita e Anna, proprietarie del locale. Mi accolgono con una cartella di vecchi documenti che narrano la lunga storia del bar e un album di fotografie, rilegato in cuoio con un’immagine in rilievo, una “chicca”, dove mi guardano cinque generazioni che hanno permesso al Grand’Italia di diventare un punto di riferimento importante per Bracciano. Carmelita ha passato una giornata a riordinarli, ride di cuore quando mi fa leggere una vecchia fattura, tra le tante voci c’è quella di una porta in legno massello di 160 lire, la porta del “cesso” c’è scritto, tanto perché non nascessero equivoci! La storia a due voci del Grand’Italia inizia con la presentazione di Achille Dolcini e Anna Buffoni, nonno e nonna di Carmelita e Anna, lui del 1890, lei del 1895. Aprirono l’antenato dell’attuale bar, in via Agostino Fausti, là dove oggi c’è la libreria Giunti. Vendevano caffè, liquori, caramelle, maritozzi e quant’altro ai loro avventori, rigorosamente maschi, spesso i sottufficiali e gli ufficiali della caserma che non potevano farsi vedere con la “soldataglia” nelle bettole di Bracciano a bere vino e godersi un paninazzo alla mortadella, questione di decoro! In una foto si vede il padre di Achille, cocchiere dei principi Odescalchi, ha uno sguardo di sfida al mondo, lo chiamavano “pìommo”, forse si trattava del piombo, per via di quel grande orologio a catena

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che risiedeva nel taschino della sua giacca. Achille era un romanista sfegatato e quando nel 1942 la Roma vinse lo scudetto decise di pavimentare il suo bar con piastrelle gialle e rosse, con un motivo a lisca di pesce, era tanta la sua passione che non pensò affatto di non manifestare la sua passione, se i laziali volevano entrare benvenuti, ma in casa giallorossa! Nel 1914 Achille e Anna si trasferiscono a Brescia, dai fratelli di Anna, Alessandro e Rodolfo. Si stava avvicinando la tempesta, la prima guerra mondiale, e pensarono che lassù sarebbero stati più sicuri. Fecero il viaggio in un camion malmesso, senza mai fermarsi, anche quando qualcuno, avvinghiato ai bordi, per effetto dei sob-

Da sinistra: Baglioni, il cameriere Augusto, Achille Dolcini, e Sirio Anselmi

balzi, si ritrovava a mordere la polvere! Achille evitò di partire per il fronte, claudicava, un’anca gli era rimasta “storta” dopo essere caduto da un tavolino treppiede, in che modo le sorelle non lo ricordano. Era soprannominato “grimaldello”, ma non ci sono notizie certe dell’evento che gli affibbiò quel nomignolo. Nel ’15 nasce Luisa e nel ’17 nasce Margherita, la madre di Carmelita e Anna.

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Nel 1920 Anna e Achille tornano a Bracciano, la grande paura è passata. Nel 1923 Achille e Anna affittano dai principi Odescalchi il locale del bar Grand’Italia. Chiedo perché quel nome. Mi guardano divertite e orgogliose: “il bar più grande e famoso di Roma, in piazza Esedra, era il caffè Grand’Italia…anche Bracciano doveva avere il suo Grande Caffè Italia, lo dovevano, lo dobbiamo alla nostra amata terra!!!”. L’ambiente era una fucina di maniscalco e i coniugi hanno dovuto “sistemarlo” per renderlo commerciale. Il locale allora era lungo meno dell’attuale bancone, anche qui era frequentato da soli maschi, si conoscevano tutti e quello era il luogo delle loro chiacchierate, dei loro sfottò, la sera dopo il lavoro. Ogni tanto arrivava qualche donna a prelevare il suo uomo un po’ fuori giri, ma non s’azzardava mai a superare la soglia del bar. Narrano che un pomeriggio, nel giorno della festa del patrono, nel bar, pieno di gente, Margherita “scomparve”. Achille e Anna fecero il giro della festa strillando il suo nome, nulla, la paura cominciò a prenderli, finché, tornati affranti nel locale, furono avvicinati da un avventore occasionale del bar che chiese loro se stessero cercando una bimba piccola e soave, alla risposta speranzosa di Achille e Anna sorrise un po’ e li portò su una panca dove la bimba s’era addormentata… ”me ne sono accorto solo perché stavo per sedermi sopra di lei…”, disse tra il divertito e il rimbrottoso. Margherita passa le sue giornate al bar, cresce nel bar, ai quindici anni comincia a fare esperienza alla cassa. Scorgo la foto di Margherita, una donna dal sorriso gioviale, aperto, il bar dona sicurezza e fiducia alla famiglia. Nel Gennaio 1939 il bar viene ampliato, fino a dove oggi c’è l’archetto che immette nel salone. Lo testimoniano i documenti dei permessi ottenuti e delle fatture pagate, solo il bancone costò 31.209 lire, pavimenti 2.283 lire, n.3 biliardi ecc. Arriva anche un prezioso radiofonografo, lo testimonia la fattura di 2.678 lire del 20 giugno 1939 e Carmelita, amava sentire al fonografo Lili Marlene, quella musica le inondava il cuore.

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mangiano, la nonna preparava loro i pasti nel cucinino dietro al bar. Chiedo loro in che rapporto fossero con il bar che vivevano più della loro casa. Carmelita mi dice, con tono pacato, che in lei si sviluppò un senso di amore e rancore insieme, il bar era spesso come una prigione dorata, le amiche, il sabato e la domenica, alle feste e lei lì, con la testa altrove. Anna, invece, ha un ricordo più gioioso. Racconta che spesso usciva da scuola con il tema dove aveva preso un sonoro dieci e si fiondava nel bar con le pagine in bella vista per farsi ammirare, dice anche che qualche avventore le regalava anche dieci lire, per premiare il suo studio. Nel 1950 il bar conosce un suo momento di “gloria”. Al posto della vigna e del pollaio nasce una pista da ballo. Viene fatta una pavimentazione, un pergolato con vite canadese e passiflora e una fontana al centro, il sabato e la domenica sera un’orchestrina a cantare e suonare le arie di quei tempi ruggenti del dopoguerra, i maschi a chiedere un ballo alle femmine, rigorosamente accompagnate da Enzo Tortora dialoga con Margherita Dolcini ai tempi di Campanile Sera madri, padri, zii e fratelli. E’ un tempo A chiudere il bar verso l’interno una menti drammatici con i bombardamenti d’oro per il bar. Arriva il telefono n. 4 di porta, oltre, la vigna e il pollaio. E arriva operati dai tedeschi acquartierati sulle col- Bracciano, dopo quello dei carabinieri, del Sirio, il padre di Carmelita e Anna. E’ line sopra Manziana: la scuola d’artiglie- comune, delle poste e compagnia cantancapofficina nella fabbrica di aerei che ria, la ferrovia e la fabbrica di aerei erano do, e arriva anche il centralino telefonico sorge giù al lago, vicino a Persichella, rac- i loro obiettivi. Carmelita, nata nel 1942, dove file di soldati di leva vengono per contava spesso del suo lavoro e della sua ricorda ancora quei botti furiosi, i suoi sentire le voci dei loro cari lontani. Arriva ammirazione per le “sarte” che cucivano genitori la trovavano spesso a letto con le il televisore Geloso, uno scatolone a tubi parti delle ali dei “Caproni da combatti- mani a coprire le orecchie, per far sparire catodici, uno dei primi di Bracciano, dove mento” che lì si costruivano. Era una fab- quei rumori di morte. Ancora oggi i fuochi spopolano “Lascia e raddoppia”, la popolare trasmissione di Mike Buongiorno, e le brica importante per Bracciano, vi lavora- d’artificio non le sono molto simpatici. vano più di cento persone! Quel lavoro gli Ricorda anche quella stanza del castello, partite di pallone, con il codazzo di comevitò di partire per la seconda guerra mon- messa a disposizione dai principi Ode- menti e sfottò più o meno edulcorati. diale, c’era bisogno di aerei da combatti- scalchi, dove si rifugiavano durante i Insomma un luogo dove la comunità bracmento! Finito di lavorare Sirio amava fare bombardamenti, un interrato con una pic- cianese, maschile, si ritrova, per parlare, una capatina al bar e fu così che s’invaghì cola grata affacciata sull’esterno e ricorda, sparlare, sfottere, discutere, tutti insieme, della giovane cassiera. oltre i rumori, i lampi delle granate che appassionatamente. Improvvisamente mi Dai oggi e dai domani s’innamorarono e cadevano dal cielo. Carmelita e Anna pas- raccontano di Gheddafi, sì, proprio il ditsi sposarono, nel 1941, il 29 ottobre del sano il dopoguerra nel bar, lì studiano, tatore libico assassinato nel 2011 durante la guerra civile, che ha fatto la 1941. Il 28 ottobre scadeva la scuola di guerra a Bracciano. sovvenzione per le famiglie Racconta Anna che fu uno dei che si costituivano, serviva primi uomini di colore che vide, popolo per le baionette. tra la sorpresa e la curiosità. Nel Sirio e Margherita decisero 1966 Sirio e Margherita decidodi sposarsi il giorno dopo, non no di cambiare ancora una volta volevano quella sovvenzione, l’aspetto del caffè così il giardiera gente con la schiena dritta, no diventa una sala da te con due orgogliosa e con senso profonbiliardi. Poi il bar, verso la fine do di sé e della loro vita. In degli anni ’60, vive un periodo quel periodo il bar era frequentravagliato. Viene dato in gestiotato in maggior parte dalle ne a diverse famiglie con esiti truppe tedesche di stanza a alternanti, finché, nel dicembre Bracciano. Fu un periodo difficile per Bracciano, per il bar, Da sinistra in primo piano, Elena Quinti, l’ingegner Nati (Campanile del 1993 Carmelita, Anna e i per Achille e Anna. Dopo l’8 Sera) Giacomina Starnoni, Stefano Sodano. figli di Carmelita, Marco e Luca, settembre Bracciano visse mo- In secondo piano da sinistra, Margherita Dolcini e Anna Anselmi decidono di riprendersi l’attività.

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Carmelita e Anna hanno un momento di riflessione, hanno qualcosa da raccontare ma non sono certe di doverlo fare. Poi il racconto si snoda, è la morte di Achille, quasi un compendio per la sua vita passata a fare grande il bar Grand’Italia. Era l’8 dicembre 1949 e come spesso capita nei giorni di festa si mangia e si beve un po’ di più. Poi c’è la gestione del bar e Achille va a sistemate alcuni prodotti nella cella frigorifera, un po’ già soffriva di cuore e quel freddo compì il mistero della morte, proprio nel suo bar, con la mano nel taschino alla ricerca delle sue pillole, senza nulla soffrire, nel suo bar. Chiedo a Carmelita e Anna di loro, delle loro attività, dei loro ricordi. Carmelita mi racconta dei suoi studi al pianoforte, anche qui un rapporto di rancore e amore. Per un anno non ha pigiato un tasto, solo studio e solfeggio, poi arie di opere, un giorno portò alla prof. uno spartito di papaveri e papere, lo strappò in mille pezzi soffiando gelidamente che quella non era musica! Anna mi parla invece della sua passione per i vini, è una sommelier e ama il profumo e il gusto dell’amarone. Fa parte di associazioni di enologi e promuove iniziative. Mi sento catturato dalle mura del bar, piene di splendide fotografie di Bracciano, splendida quella della nevicata del 1956. Chiedo loro di parlare degli avventori che sono passati per il bar e mi raccontano un po’ di storie di personaggi che sono passati di lì. Una fotografia mostra gli attori del film “Arrivano i dollari”, interpretato da uno straripante Alberto Sordi e diretto da Mario Costa nel 1957. Alcune scene sono state girate a Bracciano e nella foto si vede Turi Pandolfini che sorseggia l’ottimo caffè del bar Grand’Italia. In un'altra c’è Fabiolo,

Nel 1971 Aldo Moro a Bracciano per fare l’Europa Importante vertice al castello Odescalchi con i Paesi che diverranno comunitari nel 1973

Negli anni ’60 il Grand’Italia diventa anche punto telefonico per i soldati di leva

fratello di Fabiola, moglie di re Baldovino I del Belgio, o meglio c’è don Jaime de Mora y Aragón, nobile, attore, pianista, cantante, è lì mentre gira il famoso film “Il giudizio universale” di Vittorio De Sica e Zavattini, dove don Jaime faceva la particina dell’ambasciatore. Poi Carmelita mi racconta di Enzo Tortora e di Campanile sera, il famoso programma degli anni ’60 diretto da Mike Buongiorno ed Enzo Tortora, un "gioco collettivo" in quanto veniva data la possibilità di giocare al pubblico che partecipava alla trasmissione e a quello da casa. Attraverso il gioco il pubblico veniva a conoscenza della realtà dei piccoli paesi italiani ed infatti il filmato che dava inizio alla pun-

Marco Di Pietro, Alberto Tomba, Anna Anselmi e la fidanzata di Alberto Tomba, 83 novembre 19989

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Al castello di Bracciano il 6 novembre 1971 si tiene il vertice tra 10 ministri in vista dell’allargamento europeo. Fotogrammi tratti dal “servizio L’Europa si muove”

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tata del quiz descriveva il paesaggio e la realtà produttiva dei comuni in gara. Bracciano vinse sette volte, contro Este, Carpi, Ostiglia, Santa Maria Capua Vetere…rimase famoso per la sua tensione e il suo brio lo scontro vinto contro Salice…alla fine della vittoria tutti a festeggiare al caffè Grand’Italia con Enzo Tortora, che dirigeva la piazza braccianese. E che dire di Alberto Tomba e del suo film “Alex l’Ariete”, dove faceva il poliziotto, un colossale flop di Damiano Damiani causa la pessima recitazione degli attori e l’approssimazione del copione e della sceneggiatura. Finito di girare alcune scene l’Albertone nazionale si rifugiava al biliardo del caffè Grand’Italia, ma non voleva nessuno tra i piedi e così il bar chiudeva i battenti prima dell’orario prefissato. Stiamo per lasciarci, dico a Carmelita e Anna che vedo la “meraviglia” di quel tempo in cui la fontana, il pergolato, l’orchestra donavano al bar la magia di un sogno. Un ballo, uno sguardo, un amore che nasce…quasi non sento che mi stanno dicendo che qui si facevano anche incontri di pugilato…rivado alla storia di Persichella, della palestra Audace, del braccianese Curzio Sala, un talento, e a come, a volte, sanno incontrarsi storie e vite…chissà se non fu proprio lui a combattere quell’incontro…rigiro tra le mani l’album delle foto, carezzo la brossura in cuoio, m’infilo in quei volti austeri, fieri e sogno, il futuro del caffè Grand’Italia…grazie Carmelita, grazie Anna. Francesco Mancuso

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Europa di oggi è nata anche a Bracciano. Il 6 novembre del 1971 al castello Odescalchi di Bracciano si tiene uno storico vertice. Dieci ministri degli esteri si riuniscono per dare seguito ad un percorso che dal mercato comune europeo conduca all’Europa politica senza frontiere al proprio interno. E’ Aldo Moro, all’epoca titolare della Farnesina, a fare gli onori di casa. I ministri arrivano con un lungo corteo di auto blu, varcano il cancello, passano sotto l’arco di ingresso, entrano dallo scalone del castello fino alla Sala delle Armi dove si tiene il vertice. Moro sorride. Il tutto è immortalato da un “rotocalco cinematografico” dell’Archivio Luce. Attorno ad un tavolo sono seduti i ministri di Lussemburgo, Belgio, Olanda, Italia, Francia, Germania Occidentale, Gran Bretagna, Norvegia, Irlanda, Da-nimarca. “Dieci Paesi per una sola Europa” chiosa il cronista del servizio Luce “L’Europa si muove”. E’ un vertice proficuo, quello di Bracciano. Si decide infatti di indire un nuovo

summit per il 1972 che riunisca i capi di Stato. Ed è lo stesso Moro riferendo in Parlamento a sottolineare i passi in avanti fatti sia nel vertice del 5 novembre 1971 a Roma tra i Paesi fondatori, sia al vertice del 6 novembre 1971 al Castello Odescalchi di Bracciano allargato ai Paesi candidati ad entrare nell’allora mercato unico europeo. Dal resoconto parlamentare emerge che Moro “indica lo sviluppo della Comunità, con particolare riguardo all’unione economica, e monetaria, e la definizione delle prospettive che si aprono tanto sul piano della organizzazione interna della Comunità allargata, quanto su quello delle sue relazioni e responsabilità esterne”. “Si intende così arrivare - si legge nel resoconto della seduta del 12 novembre 1971 - alla definizione di un’identità dell’Europa, sia nella sua struttura propria, sia nella sua posizione verso i Paesi terzi, e specificamente gli Stati Uniti, l’Est europeo ed i Paesi emergenti”. Moro aggiunge poi “che le riunioni di Roma e di Bracciano hanno offerto

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anche la occasione per uno scambio di informazioni e di valutazioni sulle questioni di attualità internazionale”. L’euroscetticismo di questi giorni avrebbe certo amareggiato Moro che sempre riferendo in aula dei vertici di Roma e Bracciano del 1971 aveva parole di forte ottimismo. “Siamo convinti - ha detto - che l’allargamento del-la Comunità europea assicurerà un mi-gliore equilibrio al suo interno e faciliterà il processo di integrazione, rafforzando la posizione dell’Europa nel mondo quale fattore di pace e di progresso”. Una integrazione che oggi è ancora un traguardo da raggiungere. Gli esiti dell’incontro di Bracciano e di quelli del 1972 portarono il 1° gennaio del 1973 all’entrata nella Comunità europea di Regno Unito, Danimarca ed Irlanda. Non fu così per la Norvegia, oggi potenza petrolifera. I norvegesi infatti con referendum, per ben due volte (la prima il 25 luglio 1972) votarono “no” all’entrata in Europa. Graziarosa Villani

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ro-Expo o no-Expo, guelfi o ghibellini, romanisti o laziali, bianchi o rossi, sembriamo un popolo di gente “decisa”, o con me o contro di me, quasi mai a ragionare, a capire, a riflettere, a cercare ragioni, anche la Expo sembra diventata un’occasione d’oro per esprimere questa nostra “qualità” litigiosa. Feuerbach diceva che l’uomo è ciò che mangia. Heliot che nessuno può essere saggio a stomaco vuoto. Totò osservava che l’appetito non vien mangiando, ma quando si è digiuni. Shakespeare, nell’Otello, atto I, scena III, scriveva che “dipende da noi essere in un modo piuttosto che in un altro. Il nostro corpo è un giardino, la volontà il giardiniere. Puoi piantare l’ortica o seminare la lattuga e le zucchine, mettere l’issopo ed estirpare il timo, far crescere una sola qualità di erba o svariate qualità, lasciare sterile il terreno per pigrizia o fecondarlo col lavoro. Il potere e l’autorità dipendono da noi”. Che messaggio offre questa edizione della Expo?, almeno a me. La Expo ha come base programmatico-culturale la Carta di Milano, firmata da Stati, fondazioni, imprese, associazioni, cittadini/e, che enuncia impegni concreti per combattere lo spreco alimentare, favorire l’agricoltura sostenibile e contrastare fame e obesità attraverso la promozione di stili di vita sani, tutto per salvaguardare il futuro del pianeta e il diritto delle generazioni future del mondo intero a vivere, con dignità, esistenze prospere e appaganti. Comprendere i legami fra sostenibilità ambientale ed equità è essenziale se vogliamo espandere le libertà umane per le generazioni attuali e future. I numeri illustrano, meglio delle parole, i tre grandi paradossi di questi tempi: sono in aumento i bambini obesi rispetto ai bambini denutriti; solo il 50 per cento della produzione agricola è destinata alla produzione del cibo per gli uomini, il rimanente 50 per cento è usato per nutrire animali e produrre biocarburante; il cibo sprecato è sufficiente per nutrire i quasi 2 miliardi di persone affamate su scala mondiale. Per la prima volta la Expo è stata preceduta da un ampio dibattito nel mondo scientifico, nella società e nelle istituzioni sul tema della nutrizione, ponendo riflessioni su quattro punti: quali modelli economici e produttivi possono garantire uno sviluppo sostenibile in ambito economico e sociale. Con quali, tra i diversi tipi di agricoltura esistenti, si può riuscire a produrre una quantità sufficiente di cibo sano senza danneggiare le risorse idriche e la biodiversità. Quali sono le migliori pratiche e tecnologie per ridurre le disuguaglianze all’interno delle città, dove si sta concentrando la maggior parte della popolazione umana. Come riuscire a considerare il cibo non solo come mera fonte di nutrizione, ma anche

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Controcorrente 7: attorno alla Expo, cibo e alimentazione

come come identità socio-culturale. Mentre la Carta di Milano si pone questi obiettivi sul pianeta accadono cose che viaggiano su binari opposti. McDonald’s che è uno sponsor importante della Expo, per fare i suoi hamburger ha buttato giù un bel pezzo di foresta amazzonica per permettere la crescita di manzi e “manzoni”, materia prima degli hamburger, contro le indicazioni della Carta di Milano. Ma qualcosa sembra muoversi anche in questa tentacolare multinazionale del cibo “veloce”. Ad esempio ad Amritsar, vicino ad uno dei santuari più sacri dell’India, vi è il primo Mc Veg del gruppo, un punto vendita dell’azienda che non prevede nei menù carne alcuna. Le autorità religiose del Nord dell’India hanno proibito il loro consumo, ma l’hamburger veg «McAloo» a base di patate speziate è diventato il piatto più venduto nel Paese. Cibo veloce batte Visnù 2-0. In Malesia e Indonesia è stata deforestata una superficie della foresta tropicale pari al territorio dell’Italia, della Svizzera e dell’Austria messe insieme, contro le indicazioni della Carta di Milano. Al suo posto enormi distese di palme per produrre quell’olio che, sotto il nome di olio vegetale, fornisce materia prima importante per saponi, prodotti alimentari (come la Nutella), polveri detergenti e quant’altro. Ai contadini, a cui hanno comprato, qualcuno dice estorto, i terreni, 5 euro al giorno per lavorare il terreno e tirare giù i frutti della palma, contro le indicazioni della Carta di Milano. Altra foresta tropicale in Malesia e Indonesia è stata sradicata per dare spazio alle multinazionali dei gamberetti surgelati. Qui i contadini prendono ancora meno dei guardiani dell’olio di palma. Altro che nutrizione intesa come identità socio-culturale, altro che sostenibilità, altro che diritti per chi lavora, altro che salvaguardia del pianeta! Ieri ho passato la giornata viaggiando su Google per i padiglioni dell’Expo. Un sogno. Realizzati con l’intento di far conoscere la cultura dei paesi partecipanti – oltre 140 sul tema “Nutrire il pianeta. Energia per la vita”, i padiglioni sono in competizione tra loro per stupire e meravigliare i visitatori. L’impegno dei Governi è stato quello di conquistare il primato coinvolgendo le firme più prestigiose dell’architettura contemporanea, adottando gli studi e le progettazioni più originali per la costruzione degli spazi dedicati, adoperando i materiali e i modelli di sostenibilità

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poi un programma da urlo, dal jazz di Enrico Rava, ai dodici pianoforti "in dialogo" per Piano City, fino ai solisti della Filarmonica di Torino e poi Dante Alighieri letto da Massimo Popolizio. E se il padiglione Usa promette bande musicali e cori, quello israeliano si butta sul metal portando a Milano gli Orphaned Land, mentre l'Institut Français presenterà, da Bolzano a Palermo, allestimenti fra musica, danza, circo, teatro. Un’estasi dei sensi e del gusto. Un biglietto per entrare costa 39 euro, anche se le offerte sono molto differenziate per gruppi, famiglie e tempistica di prenotazione. Insomma, una stupenda macchina da soldi. Ho lasciato metabolizzare i sentimenti contrastanti che mi hanno attraversato cuore e testa per qualche giorno, poi mi sono chiesto cosa pensarne e cosa fare. Non nascondo che ho sentito camminare sentimenti ambivalenti: una gioia per la bellezza dei padiglioni, un’acquolina per i piatti che ho visto camminare nelle immagini, un fastidio per il rapporto tra un luogo che potranno vivere solo quelli che “possono diventare obesi” e i destinatari conclamati, i due miliardi di denutriti, che non riusciranno mai ad apprezzare la Expo e, forse, non potrebbero e vorrebbero neanche apprezzare. Allora sono andato sul sito della Carta di Milano e ho dato la mia adesione, per un pianeta equo e sostenibile. So che è una goccia nell’Oceano, ma so che l’Oceano è fatto di gocce. So che dico questo per conquistare punti per la mia autostima, compio un gesto meritorio, ma, insieme, so che quelle diseguaglianze continueranno ad esistere, che le multinazionali continueranno a cercare profitto, che il pianeta continuerà ad essere saccheggiato, sembra quasi che l’uomo apprenda qualcosa solo dai disastri, in attesa del prossimo. Intanto firmo e invito tutti a firmare la Carta di Milano, una possibilità per il futuro. Francesco Mancuso

ambientale più innovativi e a impatto zero per catturare l’attenzione costante dei media. Alla ricerca del ritorno sugli investimenti, i Paesi partecipanti hanno investito milioni di euro per la costruzione del loro capitale d’immagine: visibilità, partecipazione del pubblico, condivisione di immagini e notizie sulla rete, consenso. Come l’esperienza di The Seed Pavilion del Padiglione UK all’Expo Shanghai 2010, piccolissima struttura a firma di Thomas Heatherwick che ha registrato il più alto numero di visitatori come monumento britannico, superando i numeri di Buckingham Palace e del Big Ben su territorio estero. Ho seguito uno dei tour proposti: una selezione dei padiglioni più blasonati di cui si illustrano l’idea creativa, il progetto, gli architetti e i designer coinvolti, i mezzi di costruzione, i costi e i contenuti. Come in un parco giochi di progettisti sono passato di padiglione in padiglione, partendo da Palazzo Italia, attraversando la World Avenue, il Lake Arena, l’Expo Centre, per arrivare alle opere di Foster & Partners per il Padiglione degli Emirati Arabi, di Carlo Ratti per il Padiglione New Holland, di Daniel Libeskind per China Vanke, solo per nominarne alcuni. Ad un certo punto mi sono dovuto fermare, tanta bellezza e creatività mi ha stordito, sono passato di stupore in stupore, ho dimenticato il loro costo e l’obiettivo per cui sono stati costruiti: nutrire il pianeta, creare energia per la vita. Poi ho cercato i menù e i loro costi. Alla fine della ricerca sono dovuto andare a mangiarmi un pezzo di pizza bianca, fatta con la farina prodotta nel paese in cui vivo, farcita con una inebriante mortadella di Bologna e annaffiata con un bicchierazzo di vino rosso, un profumato sangiovese, di un produttore di Vetralla come compendio del mio spuntino, neanche 2 euro di spesa. I menù proposti dai vari Paesi, dalle crepès dell’Angola, al fast food thailandese, al sushi giapponese, ai vini italiani, a piatti di una raffinatezza “scellerata” mi hanno messo in moto i succhi gastrici più languidi e, insieme, tanto sconforto quando ho visto i prezzi…ho fatto un conto di massima e ho “saputo” che avrei potuto vendere il mio spuntino anche per 20 euro. Poi sono tornato allo stupore, alla meraviglia: sulla scena dell'Open Air Theatre, un anfiteatro da 11mila posti all'interno della Expo, andrà in scena “Alla Vita!”, uno show della compagnia canadese di mimi, acrobati e giocolieri Cirque du Soleil concepito intorno a un ragazzino che ha ricevuto in regalo un seme magico e

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Sulle macchie solari si frantuma la decennale

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Galileo Galilei

el giugno del 1630 esce dai torchi di Andrea Fei, stampator ducale di Bracciano, un’opera scientifica dell’astronomo gesuita tedesco Christoph Scheiner, finanziata dal duca Paolo Giordano II e naturalmente a lui dedicata, dal titolo: “Rosa vrsina siue Sol ex admirando facularum maculsuarum phoenomeno varius, ... a Christophoro Scheiner Germano Sueuo, e Societate Iesu. Ad Paulum Iordannum 2. Vrsinum Bracciani ducem. Bracciani : apud Andream Phaeum typographum ducalem. Impressio coepta anno 1626, finita vero 1630. Id. Iunij. Il volume di ben 730 pagine è la ponderosa summa del lavoro di Scheiner, frutto di anni di osservazioni delle cosiddette “macchie solari”. Oltre ad ascrivere a se stesso la scoperta delle macchie solari, l’opera contiene anche una feroce critica a Galileo Galilei e alle sue teorie copernicane. Alla fine del 1611 il gesuita aveva già dato notizia della sua scoperta, cioè di aver osservato per primo, delle macchie in prossimità del Sole, in tre lettere indirizzate al banchiere Mark Welser (1558-1614), raccolte poi, nel saggio pubblicato l’anno successivo, Tres epistolae de maculis solaribus. Scheiner utilizza lo pseudonimo di Apelles latens post tabulam (“Apelle che si nasconde dietro la tela”, con riferimento alla leggenda secondo cui il pittore greco Apelle, coprendosi dietro i suoi quadri, ascoltava le critiche che gli venivano rivolte), qualora le sue scoperte si fossero provate false o errate. Nel 1610 lo stesso “strano fenomeno” era stato però osservato anche da Galileo Galilei. Lo scienziato pisano, in un primo momento aveva preferito non esporre pubblicamente la sua scoperta perché non sufficientemente sostenuta dai necessari riscontri “scientifici”. Le insistenze di Mark Welser, suo socio linceo, lo inducono a rispondere con altrettante lettere datate rispettivamente 4 maggio, 16 agosto e 1 dicembre 1612, indirizzate allo stesso banchiere. Lettere che andranno a confluire in un’opera dal titolo Istoria e dimostrazioni

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intorno alle macchie solari…. Lo scienziato toscano confuta la tesi sostenuta dal gesuita Scheiner secondo il quale le macchie altro non sono che ombre proiettate sulla superficie solare da corpi celesti che si muovono tra Terra e Sole. Galileo le considera, invece, materia fluida appartenente alla superficie del Sole. In realtà quella tra Galilei e Scheiner, è una disputa scientifica e ideologica: il primo sostiene le tesi eliocentriche e copernicane, tesi considerate del tutto eretiche, mentre le teorie del gesuita si collocano nell’ambito della concezione aristotelica della perfezione e immutabilità dei corpi celesti. Mettiamo per il momento da parte questa battaglia a colpi di pamphlet già nota e ben trattata, torniamo alle nostre cose provando a chiederci i motivi per i quali il Duca Paolo Giordano fa pubblicare a sue spese, dal suo stampatore, a Bracciano, l’opera dello Scheiner. Dal vastissimo epistolario galileiano, contenuto nei 21 volumi de Le opere di Galileo Galilei: edizione nazionale sotto gli auspici di Sua Maestà il Re d'Italia, [direttore Antonio Favaro], Firenze, Barbera, 1890-1907, deduciamo che i rapporti tra l’intera famiglia Orsini e lo scienziato pisano, sono ottimi e vanno avanti per oltre 25 anni. In una lettera del 18 settembre 1605 indirizzata a Virginio Orsini, Galileo scrive: Io per tanto la supplico, che, con l’impiegar l’opera mia in qualche suo servizio, … Qui humilisssimo me gl’inchino, et dal Signore Dio gli prego il colmo di felicità. (Arch. Orsini in Roma. Corrispondenza di Virginio II, dal 1610 al 1611). Paolo Giordano Orsini scrive a Galileo il 7 marzo 1611: Ho ricevuto le rime mandatemi da V.S. et insieme la sua cortese lettera; che perciò rendole molte gratie dell’amorevol briga che si è presa e del conservato suo buono affetto verso di me. (Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P.I, T. XIV, car.57). Nell’aprile 1611 Galileo scrivendo a Virginio Orsini chiede espressamente protezione “circa la verità dei miei scoprimenti, tuttavia mi dolgo della mia sventura, mancandomi il favore et protezione di V. E. Ill.ma, la quale con la sua autorità havrebbe agevolate tutte le difficoltà. (Arch. Orsini in Roma. Corrispondenza di Virginio II, dal 1610 al 1611). In una lettera del 28 novembre 1615 Cosimo II, Granduca di Toscana scrive a Paolo Giordano II Orsini: Venendo a Roma il Galileo matematico per l’occasione che V. E. intenderà da lui, ho voluto accompagnarlo con questa mia lettera all’E. V., sì perché ella sappia che egli viene con buona licenza et grazia mia, come per pregarla a vederlo volentieri et favorirlo in tutto quello che gli posso occorrere. (Arch. Orsini in Roma. II D. Prot. XIII). Medesimi toni e contenuti nella lettera che Cosimo II scrive a Alessandro Orsini lo stesso 28 novembre. (Arch. di Stato in Firenze. Filza Medicea 87, car. 284). Il Discorso sopra il flusso e riflusso del mare, del 1616 lasciato inedito da Galileo per cautela nei confronti degli interlocutori

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Galeotto fu il libro del gesuita Scheiner che il duca di Bracciano fece stampare a proprie spese dallo stampatore Andrea Fei

ecclesiastici che gli avevano imposto il silenzio nel primo processo è dedicato a Alessandro Orsini. Rapporti che si fanno sempre più saldi con il passare degli anni con Alessandro, ormai cardinale, e con altri illustri componenti della casata. Paolo Giordano scrive a Galileo: Havendo di bisogno qui per mio diletto d'un occhiale da veder da lontano, per haverlo de' migliori, desidero che mi venga dalle mani di V. S.; la quale io prego però con questa a farmi piacere di farmelo inviare quanto prima, mentre con altrettanta prontezza mi offero a V. S. in tutte le occorrenze di suo gusto o servizio. E Dio la conservi e prosperi. Da Bracciano, il dì 27 di Maggio 1622. (Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. XIV, car. 174) E una volta ricevuto l’occhiale, il 30 giugno successivo: Ho ricevuto il cannone con i suoi vetri, che V. S. mi ha mandato; il quale mi è stato tanto più grato, quanto mi è reuscito più perfetto e più accommodato alla mia vista. Ne rengrazio V. S. affettuosamente; e come per questa sua nuova amorevolezza resto io tanto più tenuto ad adoperarmi sempre per ogni suo servizio e gusto, così doverà ella valersi di me con tanto più di prontezza in tutte le sue occorrenze, per le quali per fine me le offero di cuore. Da Bracciano, il dì

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amicizia tra Galileo Galilei e Paolo Giordano ultimo di Giugno 1622. (Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. XIV, car. 176). Nel giugno 1630 Andrea Fei stampa la Rosa vrsina siue Sol. Galileo ne reclama una copia scrivendo direttamente al Duca di Bracciano. Paolo Giordano lo accontenta e glielo comunica con una lettera del 9 settembre da Posillipo: Ricordandomi haver V. S. mostrato desiderio di haver un libro del Padre Scheiner per quando si poteva havere, ho commesso al Vecchi, mio Auditore a Roma, che le ne mandi uno per mia parte per il procaccio; in che gradirà il mio continuato desiderio d'impiegarmi in cose di suo gusto. E Dio la conservi e prosperi. (Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. XIV, car. 203). E successivamente il Galilei se ne rammarica e anche se non ci è giunto il documento, possiamo dedurlo da una lettera datata 30 dicembre 1631, che il Duca Paolo Giordano invia allo scienziato pisano: Mi è giunto affatto nuovo quel che V. S. mi scrive intorno al contenuto del libro della Rosa Orsina), di suo pregiuditio fuora d'ogni mia notitia, perchè non haverei permesso che i miei ministri di Bracciano l'havessero passato. E può esser avvenuto che in assenza del nostro Auditore Generale lo possa haver riveduto il suo cancelliere, che non deve intendere altra latinità che quella delli instrumenti. Dell'indiscrittione dell'autore non mi meraviglio molto, perchè l'ho trovato ancor io assai indiscreto, nell'haver, nell'ultimo, rotto con me ancora, che ho in molta stima le molte virtù et il merito di V. S. Alla quale prego da Dio ogni maggior bene. (Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. XIV, car. 207). In questa missiva di risposta non può sfuggire la vacuità della motivazione addotta dal Duca alle rimostranze mossegli da Galileo: ricordiamo che oltre a finanziare l’opera, il

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Duca ne è il dedicatario. Il Cancelliere ignorante in latino, che avrebbe deciso la pubblicazione del libro al posto dell’Auditore Generale assente in quei giorni, è una giustificazione che appare poco credibile. Possiamo, quindi, supporre che i motivi siano stati altri. Di sicuro sappiamo che Galileo stava spingendo i suoi studi verso territori pericolosi, verso posizioni sempre più “eretiche”, che non sarebbero passate inosservate agli occhi attenti dell’Inquisizione. Già nel febbraio 1616, il cardinale Bellarmino, prefetto della congregazione del Sant'Uffizio, su ordine di papa Paolo V, aveva ammonito il pisano: la Chiesa non gli avrebbe permesso di pubblicare più niente su nuove concezioni cosmologiche, che non fossero state rigorosamente e scientificamente dimostrate. Malgrado ciò, durante il primo processo, Galileo, viene trattato con tutti i riguardi; le cortesie e gli onori ricevuti, probabilmente fanno cadere Galileo nell'illusione che a lui sia permesso quello che ad altri è vietato: “nelle contraddizioni e distinzioni e compromessi nati durante il primo processo è l'origine delle future complicazioni del secondo processo di Galileo”. Galileo, sa però di doversi muovere con grande accortezza per il continuo pericolo di cadere in eresia. Studia, scrive e continua a consolidare relazioni, rapporti con i potenti, amicizie negli ambienti che contano. Nel 1623 pubblica il Saggiatore, opera dedicata al nuovo papa, Urbano VIII, che l'autore conosceva fin da quando era cardinale. Salito al soglio pontificio nello stesso anno, papa Barberini, gesuita di formazione, noto per l'apertura alle arti e alla scienza, mostra di gradire molto il contenuto dell'opera. Galileo ha forse la sensazione di poter ormai liberamente esprimere le sue idee intorno al moto della Terra. Nel gennaio 1630 completa il Dialogo sopra i due massimi sistemi e si reca a Roma in marzo per ottenere l'imprimatur ecclesiastico. Riparte da Roma il 26 giugno, dopo tre mesi di discussioni, con le assicurazioni degli esaminatori, i domenicani Niccolò Riccardi e Raffaello Visconti, dell'autorizzazione alla stampa con poche modifiche non sostanziali (il Dialogo sarà pubblicato a Firenze solo nel 1632). I contentuti dell’opera sono noti, quindi, potenzialmente pericolosi. Nello stesso giugno 1630, come detto, esce a Bracciano, la Rosa Ursina del gesuita Scheiner, opera finanziata e dedicata al Duca Paolo Giordano II. Semplice casualità? Nessuno può affermarlo con sicurezza. Oltre alla famosa lettera del 30 dicembre 1631 dove Galileo chiede spiegazioni al Duca circa i motivi della pubblicazione della “Rosa”, non risultano altri documenti tra lo scienziato pisano e l’intera casata degli Orsini. Possiamo quindi supporre che il finanziamento e la stampa della Rosa Ursina rappresentino una presa di distanza definitiva da un personaggio, Galileo, che diventava sempre più scomodo. Il quarto di secolo di rapporti intercorsi, di solida amicizia, di stima, tra gli Orsini e lo scienziato pisano, presumibilmente,

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Paolo Giordano Orsini II

si conclude con quella pubblicazione. Del resto, l’astio di Scheiner nei confronti di Galileo, pare sia considerato da molti storici uno dei fattori che, fra gli altri, fece cadere lo scienziato pisano in disgrazia presso i Gesuiti e, di conseguenza, presso una parte influente della Curia Romana. Infatti, successivamente, nel 1633, Galileo verrà severamente richiamato a Roma dall'Inquisizione, processato e condannato per aver scritto un'opera più pericolosa della dottrina luterana e calvinista. Dopo la condanna al confino presso Arcetri e l’abiura, il Dialogo sarà inserito nell’Indice dei libri proibiti. Fabercross

“La storia, ma che storia è?”

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er i tipi della Caravella Editrice è uscito in queste settimane “La storia, ma che storia è?” scritto da Luigi Di Giampaolo. “Dai vissuti di un professore, maldestramente ribelle ai soliti canoni didattici, l’esperienza di un uomo e dei suoi ragazzi vogliosi di conoscere la storia di un passato che ci appartiene. Protagonista l’umanità intera, messa a soqquadro e spoglia di quella veste rigorosamente distante.

Tutto quanto in un libro che si sfoglia con la stessa leggerezza di una pausa goliardica, in cui tutto ci appare diversamente affascinante e possibile”.

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Santissimo Salvatore: tra culto e leggenda Un tempo la tradizione del solco diritto ai piedi di Monte Tonico

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Dal Duomo la partenza della Processione del Santissimo Salvatore

a festività del SS. Salvatore è la ricorrenza religiosa più importante di Bracciano moderna. Il suo culto è abbastanza diffuso anche in tutta Italia e, in gran parte, si è affermato in tempi anteriori rispetto alla tradizione di Bracciano. Ora la ricorrenza è fissata al 18 agosto ma le celebrazioni si svolgono, da un paio di secoli, la prima domenica dopo l’Assunta (ferragosto). In passato la festività veniva celebrata, invece, la vigilia dell’Assunta. Non conosciamo con certezza il periodo storico in cui questo particolare culto si è affermato, ma si presume che sia avvenuta verso la fine del 1500, in contemporanea con l’insorgere della leggenda legata al ritrovamento del trittico del SS. Salvatore, dal momento che nello Statuto di Bracciano, emanato nel 1552, non si fa mai accenno a questa festività. E’ nota la leggenda del ritrovamento del trittico del Salvatore, evento che ha dato origine alla festa. Un contadino, arando un campo in località “I Terzi”, si era imbattuto in una grossa pietra facendo così bloccare l’aratro. I buoi che trascinavano l’aratro si fermarono e si inginocchiarono di fronte a questo sottostante grande masso al cui interno, protetto da un coperchio, il contadino rinvenne il prezioso manufatto di legno, dipinto oltre due secoli prima. Trasportato in processione a Bracciano, il trittico divenne subito oggetto di contesa tra i frati Agostiniani di S. Maria Novella ed il clero locale della

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collegiata (duomo) su chi dovesse ospitare le preziose tavole, prima ancora che il corteo giungesse in paese. Furono gli stessi buoi che avevano trovato il trittico, e che lo trasportavano sul carro, a decidere la controversia: passati davanti a S. Maria Novella fecero un gesto come per inginocchiarsi ma proseguirono per il duomo dove si fermarono a conferma della scelta. Fin qui la tradizione orale della leggenda. In memoria di questo ritrovamento si disputava a Bracciano, fino alla metà del 1900, una gara che consisteva nel tracciare un solco, il più diritto possibile, con un aratro legato a due buoi. La contesa si svolgeva ai piedi di monte Tonico, sopra il fosso tuttora denominato, appunto, dei Quadri e veniva seguita ed ammirata da tutta la popolazione, essendo il luogo ben visibile dall’alto dell’abitato e dal belvedere de La Sentinella. Sul trittico appare la scritta che indica gli autori del dipinto e la data: Gregorio e Donato d’Arezzo, anno 1315. Del duo sono note varie altre opere sparse un po’ dovunque, soprattutto nella Tuscia, e vengono identificati, abbinandoli, anche come “il maestro del paliotto di Hearst”. Hearst è un castello la cui costruzione risale agli inizi del 1900, è ubicato negli Stati Uniti, Stato della California, e prende il nome dal ricco industriale che lo ha realizzato. Oggi è diventato un museo che raccoglie varie collezioni, tra cui un’opera riconducibile a Gregorio e Donato d’Arezzo, da qui l’appellativo di “maestro del paliotto di Hearst” riferito a tutte le opere attribuite ai due artisti. Il trittico, di fatto un doppio trittico, è composto da una parte centrale alla quale sono ancorati quattro sportelli mobili, due anteriori e due posteriori, sui quali, compreso il corpo centrale, sono dipinte sette figure principali: il SS. Salvatore nella parte centrale anteriore con a fianco S. Nicola di Bari e S. Giovanni Battista, mentre nella parte posteriore appare al centro la Madonna Assunta con ai lati S. Lorenzo e S. Stefano. Non è identificabile con certezza, invece, il settimo personaggio dipinto sul lato esterno di uno sportello. Non sono più visibili, perché deteriorate, le restanti tre figure che erano state dipinte sempre nella parte esterna degli sportelli. L’immagine della Madonna Assunta è corredata da altre piccole figure: ci sono quattro angeli che la sostengono e, in basso, gli studiosi identificano i santi Francesco e Tommaso d’Aquino, con quest’ultimo che si aggrappa ad una cordicella calata dalla Madonna. Qualche dubbio desta questa individuazione dal momento che, al tempo della realizzazione della pittura, non era ancora nemmeno iniziato il processo di beatificazione del santo, che appare invece dipinto già con l’aureola. La controversia sorta tra il clero braccianese sulla attribuzione del possesso del trittico, già presente fin dall’origine della leggenda, trova conferma storica in atti successivi. Ci sono varie documentazioni che lo attestano, in particolare una pergamena del 10 agosto 1715 (Archivio di Stato di Roma), dove il giudice della Curia romana richiama al rispetto del decreto della Congregazione dei Riti del luglio 1715 che regola la processione del trasporto dell’immagine del Salvatore che era impropriamente negata ai frati di S. Maria Novella da parte dei canonici del duomo. Nell’atto c’è la conferma che la processione avveniva la vigilia dell’Assunzione. Successivamente, e fino ai giorni nostri, la celebrazione della festività venne spostata alla prima domenica dopo l’Assunta e ne abbiamo conferma in un manifesto predisposto per elencare gli avvenimenti dell’anno santo 1900 dove viene indicata anche la festività del SS. Salvatore che ricorre il 19 agosto (domenica). La fissazione della ricorrenza al 18 agosto, poi, sembra un fatto alquanto recente e ricollegabile, molto probabilmente, ad altre località, soprattutto a Militello, in Sicilia,

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dove la festa, celebrata per tutto l’Ottocento nel giorno della solennità della Trasfigurazione (6 agosto), fu stabilita in data fissa nel giorno 18 agosto, con decreto Vescovile, agli inizi del XX secolo (12 luglio 1909). La datazione del dipinto e le immagini rappresentate, alcune completamente avulse dalla tradizione locale, lasciano facilmente intendere che l’opera non era stata realizzata su commissione per qualche luogo di culto braccianese. Nel 1315, infatti, a Bracciano, a parte la rocca, erano presenti solo poche case e quindi mancava una vera specifica identità religiosa. E’ verosimile che l’opera sia stata realizzata per altri contesti e donata o acquistata nei secoli successivi. E’ però interessante segnalare che un analogo ritrovamento, del tutto simile perfino nei dettagli, viene tramandato anche a Viterbo e collocato verso la fine nel 1200, datato 1283, anche se comprovato da cronache successive, quindi anteriore a quello di Bracciano di circa 300 anni. Già negli Statuti del Comune di Viterbo del 1344 e del 1469 vengono stabilite le regole per lo svolgimento della processione che si teneva il giorno della vigilia dell’Assunta in memoria di questo evento, stesso giorno della originaria ricorrenza anche per Bracciano. Mentre per Bracciano abbiamo solo una tradizione orale delle circostanze dell’originario ritrovamento, è interessante conoscere la descrizione del ritrovamento viterbese riportata in un vecchio manoscritto. “Nell’anno dello Signore nostro Iesu Cristo 1283 a li …. del marzo Ioseffo de lo Croco, Ioanne de la Cepolla aranno co li boi de Scipione de l’Annio ne lo campo de Iulio de la Chirichera, li boi se restettero e no volerno ire nante e battuti e pongolati se engenocchiorno uno provò co la cerrata e trovorno che l’arato era entoppato ne una preta granne. Scavorno co la zappa e conubero che era una cassa de preta

co lo cuperto pure de preta… e dentro c’era una emajene de lo Salvatore ..” Appare evidente la quasi integrale identità delle circostanze dei due ritrovamenti, per cui, essendo documentato in data notevolmente anteriore quello di Viterbo, sembra verosimile che la tradizione del ritrovamento di Bracciano tragga origine da quella di Viterbo. A Viterbo, nella chiesa di S. Maria Nuova, è custodito il trittico del Salvatore che è anteriore a quello di Bracciano di circa 100 anni: la realizzazione del dipinto su cuoio, opera di anonimo romano con influssi spoletini, viene datata, infatti, ai primi del 1200. Qui la figura del Salvatore è sempre presente nella parte anteriore centrale ma con ai lati la Madonna e S. Giovanni Evangelista, mentre nella parte posteriore sono raffigurati i santi Pietro, Paolo e S. Michele Arcangelo. Questi tipi di trittici sono dislocati numerosi in tutta Italia e, senza andare troppo lontano, se ne riscontra un altro anche a Trevignano, pure questo anteriore di circa un secolo rispetto a quello di Bracciano. E’ firmato da Nicolò di Pietro Paolo e Pietro di Nicolò e la figura del Salvatore è anche qui affiancata dalla Madonna e da S. Giovanni Evangelista, sia pur con immagini e posizioni diverse. Sono attribuiti, invece, alla scuola viterbese, attiva nei secoli XIV e XV, i trittici custoditi nel duomo di Ronciglione e nella chiesa di Monterosi, e quindi posteriori anche al trittico di Bracciano. Il culto del Salvatore, oltre a manifestarsi nei dipinti, trova spazio anche in associazioni appositamente dedicate, le confraternite, che sono state presenti, nella zona del lago, ad Anguillara e S. Maria di Galeria, dove è anche celebrato S. Nicola di Bari, la cui immagine è dipinta sul trittico di Bracciano. Pierluigi Grossi

Il decreto salvaospedale assegna al Padre Pio 57 posti letto Soddisfazioni e sollecitazioni guardando alla sanità che verrà

Monti Sabatini “sempre in prima linea”. In molti hanno riconosciuto il ruolo dell’assessore Mauro Negretti. Per il sindaco di Manziana Bruni, Negretti ha saputo coordinare al meglio la battaglia. A ringraziarlo anche il manager della Asl Rm/F Giuseppe Quintavalle per “come ha saputo difendere le logiche del territorio”. Negretti, infermiere di professione, ha messo in evidenza il sacrificio dei lavoratori che in questi anni hanno continuato a lavorare tra turni massacranti e disagi. “Ho visto tanta gente lavorare come se l’ospedale fosse il proprio” ha detto Negretti. Per il sindaco di Trevignano Luciani “ha vinto il buon senso”. Con nuove deroghe al blocco delle assunzioni potrebbero arrivare tra gli altri quattro chirurghi e due anestesisti. Il Padre Pio e il San Paolo di Civitavecchia saranno un unico polo ospedaliero. Tra le richieste quello di riportare l’ospedale ai 120 posti letto originari. Pare un miraggio la riapertura di ostetricia e ginecologia. In via di revisione anche il sistema degli affitti che aggravano il bilancio Asl. Su richiesta di Claudio Calcaterra sono state date risposte anche sul parcheggio dell’ospedale chiuso dopo una denuncia di una cittadina che ha riportato conseguenze per una caduta. L’area di proprietà della Asl è sottoposta a vincolo paesaggistico. Sarà ora la Asl a chiedere l’autorizzazione al Comune e procedere poi all’asfaltatura del parcheggio. G.V.

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L’intervento di Calcaterra all’incotro con il presidente Zingaretti

ospedale di Bracciano non chiuderà. Ormai il dato è certo. Il decreto 00197/2015 del commissario ad Acta ne programma il futuro: 57 posti letto di cui 25 di chirurgia, 2 di terapia intensiva, 4 di Osservazione Breve Intensiva. Resta la funzionalità del pronto soccorso. A presentare le novità il 27 maggio a Bracciano è stato il presidente del Lazio Nicola Zingaretti. “Il decreto è un inizio” ha ribadito rispondendo ai medici che chiedevano azioni per l’adeguamento della pianta organica. Molti i ringraziamenti. Il sindaco di Bracciano Giuliano Sala ha evidenziato il risultato dovuto al “dialogo tra politica e istituzioni”. Ha ringraziato i colleghi sindaci, i cittadini, il comitato difesa salute pubblica, i Lions Club Anguillara Bracciano

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cogliendo uno di questi appelli, che il padre di Salvatore Negretti riesce ad avere notizia della fine eroica di suo figlio. Riportiamo di seguito la lettera scritta al sindaco di Bracciano dal Tenente Mario Gazzaniga in servizio presso Siderno Marina che racconta gli ultimi giorni di un Eroe. Siderno Marina, 6/03/1919

Salvatore Negretti: “morì da eroe”

La testimonianza commossa del commilitone della settima Compagnia del 246 ° Reggimento Fanteria

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ltre settanta morti, decine di mutilati. Grande il tributo che Bracciano ha pagato per quella che è passata alla storia come la IV guerra di indipendenza italiana conosciuta anche come la Grande Guerra. Il ricordo dei caduti, le procedure che portarono alla costruzione del Monumento ai Caduti in piazza IV Novembre già piazza delle Monache e altri documenti sono stati al centro di una interessante mostra documentaria che si è tenuta dal 15 al 30 maggio all’archivio comunale di Bracciano, a cura di Massimo Giribono. Molti gli inviati al fronte da Bracciano tra i quali il sindaco Di Grisostomo. Tra i documenti molto interesse ha suscitato la lettera di Mario Gazzaniga che testimonia l’eroica

morte di Salvatore Negretti, “un eroe” al quale venne intitolata una via in linea con la volontà di “memoria toponomastica” dell’immediato primo dopoguerra.

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a cura di Massimo Giribono

opo la fine delle ostilità uno dei problemi più grandi per le famiglie dei soldati partiti per il campo di battaglia era quello di avere notizie dei loro cari: erano morti, erano dispersi, erano feriti…queste erano le questioni che restavo spesso senza risposta. Così spesso capitava che le famiglie, di propria inziativa, pubblicassero degli appelli sui principali giornali dell’epoca in cui chiedevano informazioni o notizie sui figli dispersi. Ed è proprio rac-

Cronaca nera a Bracciano

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Di sicuro emerge un’immagine antica della cultura maschilista che sicuramente non risponde più ai canoni dell’attualità, ma che evidentemente permane nella mente di chi non riesce a stare al passo con il proprio tempo e per questo vive con sofferenza la propria frustrazione costante tanto che sembra sensato pensare che se l’oggetto conteso invece di una donna fosse stato, ad esempio, uno scooter, probabilmente il risultato sarebbe stato lo stesso. Va considerato che l’abbondanza di immagini violente che ci circondano ogni giorno contribuisce di sicuro ad abbassare la consapevolezza individuale di comportamenti asociali e, a questo, va aggiunta la crisi profonda che investe il ruolo maschile sempre più indebolito da un protagonismo femminile assolutamente nuovo nel panorama socio culturale dei nostri giorni. Un’ultima notazione interessante va fatta anche sulla scelta delle armi usate, una mazza ed un coltello, che richiamano alla mente immagini legate al medioevo dove la potenza fisica andava dimostrata anche attraverso la scelta degli strumenti usati per combattere ed il vincitore riceveva in premio lo status di uomo forte. Insomma una storia d’altri tempi ispirata a modelli che, evidentemente, purtroppo sopravvivono ancora oggi nella nostra società globale sommersa dalle contraddizioni. Biancamaria Alberi

on tutti nella capitale sbocciano i fiori del male” recitava l’indimenticabile canzone di Fabrizio De Andrè circa venti anni fa che, a distanza di tempo, continua ad essere attuale come restano sempre tutte le vere espressioni artistiche. E così Bracciano è assurto agli onori della cronaca con il “fattaccio” di sabato 23 maggio che ha visto protagonisti due ragazzi rivali in amore ed un terzo intervenuto per sedare la lite, particolarmente feroce per la sua violenza, accoltellato al torace e ricoverato d’urgenza all’ospedale “Gemelli” in gravi condizioni. Per fortuna nessuno è rimasto ucciso e anche il ferito grave sta gradualmente migliorando ma l’impressione sull’opinione pubblica è stata sicuramente forte e non è ancora caduta nel dimenticatoio perché in fondo la comunità braccianese non è abituata ad assistere a questo tipo di esplosioni di aggressività pubbliche e per di più in pieno centro. Inevitabile la domanda su come si possa pensare di ignorare qualsiasi regola del vivere civile e dare vita ad un vero e proprio “duello” a colpi di mazza e coltello per rivendicare il proprio diritto di maschio padrone su una donna espropriata dalla propria possibilità di scelta.

Maggio 2015

Pregiatissimo Sig. Sindaco, sul Giornale d’Italia del 5 maggio 1919 leggo nel trafiletto “Combattenti dispersi” che il sig. Negretti Felice abitante a Bracciano in via Flavia 38 chiede notizie di suo figlio Tenente Negretti Salvatore comandante agli ultimi giorni di ottobre 1917 la settima Compagnia del 246° Reggimento Fanteria. Il sottoscritto amico e collega del povero Salvatore sente il doloroso dovere di far partecipe a Lei perché comunichi alla famiglia che il tenente Negretti morì da eroe conducendo la sua compagnia contro le odiate schiere tedesche che calpestavano il suolo sacro della patria. Morì colpito da proiettile di mitragliatrice o fucile alla tempia sinistra il giorno 30 ottobre 1917 nelle vicinanze di San Daniele del Friuli. Lo vidi morto, mi chinai su di lui, conservava il sorriso sulle labbra, guardava ancora il nemico. So che un Ufficiale Tedesco promise che avrebbe curata la sua sepoltura, là sulle rive del canale che l’Eroe aveva avuto l’ordine di difendere. Altri ufficiali del 246° Reggimento fanteria potrebbero testimoniare di quanto le porto noto. Alla famiglia dell’amico caduto invio un saluto riverente coll’augurio che possa trovare conforto al pensiero che il figlio morì per la patria eroicamente, fulgido esempio ai colleghi ed ai soldati: a lei distinti ossequi. Tenente Gazzaniga Mario 20° Reggimento Fanteria Distaccamento di Siderno Marina

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Gente di Bracciano

I

Il Raduno del Gruppo Quercia Radar

l 12 aprile al Museo Storico dell’Aeronautica Militare di Vigna di Valle si è tenuto il Raduno Interregionale del Gruppo Quercia Radar per commemorarne i 60 anni. Il reparto, dal 1955 tra le basi di Vigna di Valle e Poggio Ballone (GR) ha visto avvicendarsi 3.000 militari. Oltre 150 i camerati, provenienti da tutta Italia, la cui carriera militare ha incrociato la storia di Quercia Radar. Sono stati accolti dal Coordinatore Antonio Canonico e dal Presidente dell’Associazione Arma Aeronautica Sezione di Bracciano Ge-nerale Divisione Aerea Umberto Formisano. “Tutta la mia vita militare - commenta Giancarlo Indiati, Ufficiale tecnico del CRC di Vigna di Valle e Capo Ufficio Tecnico DE 21° Gruppo Radar di Poggio Ballone - si è svolta all’ombra della Quercia e del Cerbero, distintivo del Reparto. Ho avuto modo di seguire la costruzione del Reparto che ha ereditato le tradizioni e l’operatività del glorioso Vigna di Valle. Poggio Ballone che ha ereditato circa 30.000 intercettazioni svolte dai controlli di Vigna di Valle ha svolto un lavoro egregio conseguendo i massimi livelli in ambito delle Valutazioni della Nato. Poggio Ballone 21° Gruppo Radar ha concluso poiché nessun altro controllore della Difesa Aerea e Pilota della Difesa Aerea Nazionale utilizzerà il nominativo di “Quercia". Un saluto alle Querce cadute e a tutti i partecipanti allo splendido raduno sul lago di Bracciano”.

Sarà sempre “La Primavera”

E

ccoci di nuovo al…poi. Come ci eravamo lasciati? Ah! Sì: alle nubi minacciose. In ogni gruppo nibi minacciose. Purtroppo ci sono sempre: appaiono, scompaiono, ricompaiono. Così è la vita ci diciamo spesso. Adesso, però, continuiamo a goderci il momento felice. Il repertorio si amplia: entrano piano piano nuovi brani musicali: La Cumparsita, Voglio amarti così, Amapola, La Paloma, Vecchio Frac. Giungono inviti su inviti: ai Terzi, a Sutri, dalla stessa Bracciano per una serata all’archivio storico, tra musica e poesia, al liceo Vian. Melodie immortali: Santa Lucia, Reginella, Roma nun fa la stupida stasera, Quanto sei bella Roma, O Sole mio. Tornano a rivivere e ad emozionare. Chi ascolta è come rapito: l’alternarsi delle note e il loro rincorrersi, ora, tra le corse delle chitarre ora, tra quelle dei mandolini e della mandola, provoca una partecipazione incredibile. Così quando, da presentatore dico: “ecco, ascolteremo una canzone che è diventata un inno alla città eterna”. Un politico musicale che illustra tutte le sue bellezze con icanto. Faccio una pausa, per aumentare l’effetto, poi annuncio: “Quanto sei bella Roma”. Gli applausi sembrano non finire mai. Lungo la schiena di tutti, orchestrali e pubblico, passa un brivido fortissimo. Altri inviti. Altri concerti. Altri successi. “La Primavera” partecipa con i suoi brani, fa da filo conduttore ad una serata particolare, in ricordo di una persona straordinaria: Renzo Renzi. Quell’occasione rivela ancora una volta, lo stretto rapporto tra Bracciano e la sua “Primavera”. Il maestro Mele, con il suo costante impegno, la porta ad arricchirsi e a maturare musicalmente. I concerti al centro anziani sono l’occasione per scatenare tanta allegria. I “giovanetti e le giovanette” accompagnano le melodie cantando quei ritornelli che ricordano la loro lontana gioventù. Qualche “giovanetta”, però, aggiustandosi con fare civettuolo i capelli, strilla “Anziani, a chi!!!”. Nella giornata al liceo Vian dedicata a “il dovere della memoria” all’interno della rassegna cinematografica internazionale Eserciti e Popoli, La Primavera sa coglierne a pieno lo spirito. I due bellissimi commoventi brani: Addio mia bella addio e Sul cappello, riportano magicamente indietro la memoria. Al termine quel silenzio breve, ma carico d’emozione e tensione, si scioglie in un lungo applauso liberatorio. Molti nella sala si alzano e a gran voce chiedono il bis. Che momento indimenticabile! Il tempo passa veloce.

Maggio 2015

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I primaveristi

Quelle nubi minacciose che sembravano essersi allontanate, ecco che tornano ad affacciarsi. Sono nubi scure, crudeli, come quel destino che porta via prima un orchestrale, poi un altro. Il gruppo si assottiglia, ma l’amore per la musica e per la “primavera” continua. Nessuno vuole darsi per vinto. Così La Primavera va avanti nel suo percorso. La Primavera è in prima fila alla manifestazione-concerto in cui si raccolgono fondi per la costruzione della chiesa a Bracciano Nuova. In quella serata La Primavera con i suoi orchestrali si supera: le melodie sembrano più coinvolgenti di sempre. Applausi a non finire. Ci piace pensare di aver dato un contributo, non piccolo, a quella raccolta. Quelle nubi minacciose ritornano, ma La Primavera ha un animo forte, un animo che non si lascia abbattere. Il maestro Mele unisce così La Primavera alla banda musicale che si chiama Filippo Cruciani di Bracciano-Castel Giuliano. Lavora con grande abilità e passione su brani che possono armonizzare i brani musicali. I risultati ancora una volta gli danno ragione. I successi ancora non mancano. A questo punto, ma ormai lo sapete…”e poi”? Beh non so rispondere a questo…”e poi?”. So soltanto che La Primavera non morirà mai. Luigi Di Giampaolo

Gente di Bracciano


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