Gente di Bracciano n 15 giugno 2017

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Un prato in città

Gente diBracciano

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Giugno 2017- Numero 15

Dedicato a Petronilla Editore: Associazione Gente di Bracciano Presidente: Claudio Calcaterra Direttore responsabile: Graziarosa Villani Redazione: Francesco Mancuso, Vittoria Casotti, Biancamaria Alberi, Luigi Di Giampaolo Collaboratori: Massimo Giribono Fabercross, Pierluigi Grossi, Mena Maisano Registrato al Tribunale di Civitavecchia n. 1388/2014 Stampa e impaginazione: FEDE 2011 srl Via dei Vignali, 60 - Anguillara Sabazia su carta riciclata Foto di controcopertina di Vinicio Ferri foto di copertina a cura di

Se vuoi aderire alla nostra Associazione contatta la Redazione: gentedibracciano@tiscali.it

carezza dei chicchi di seme come allora. Se li strinse uno per uno con disperazione, poi percepì la carezza della pioggia e attese, non ci credeva e volle vedere se era vero: si guardò in giro e vide l’erba appena spuntata, delicata e tenera, guardò incredulo i palazzi, come in un sogno e senza più paura, li fissò come non aveva mai fatto: anche sui loro balconi erano spuntati i fiori! Il prato pensò che anche su di essi fossero caduti i semi e, per la prima volta, si sentì unito a loro e guardato con affetto: la sua gioia, dopo tanta tristezza, aumentò sempre di più, quando si rese conto che stava diventando un campo sportivo in piena regola: le porte, i segni bianchi, le bandierine agli angoli, le piste intorno, pareva un sogno, tutti lo guardavano con ammirazione, l’erba veniva curata, pettinata con ogni riguardo, poi fu il grande momento atteso per anni: la partita, i balconi dei palazzi tutt’intorno si riempirono di spettatori come le immense gradinate di un grande stadio. Il prato guardò quei giovani con le tute da calciatori e rivide i suoi ragazzi di un tempo con le tute da meccanici che lo avevano pulito, difeso, amato, anche questi si accaldavano, litigavano, rifacevano pace, si abbracciavano, facevano anch’essi tutto sul serio e gli piacquero, anche questi durante la partita ammucchiarono sul bordo del prato gli oggetti di ogni genere “caduti” sul praticello, ma furono assai più precisi nella mira ai vetri. Ettore De Santis

Bracciano alla deriva

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a sporcizia, l’erba alta, la decadenza, l’incuria. Questa Bracciano non ci piace, non è quella nella quale abbiamo scelto di vivere. Avremmo voluto che alle scarse risorse di cui tutti i Comuni piangono, dal palazzo in piazza IV Novembre arrivasse maggiore attenzione per la sistemazione della città. Ma da mesi ormai abbiamo dovuto assistere con rammarico ad un progressivo degrado che non accenna a terminare. Ad eccezione di alcune aiuole il verde pubblico è un disastro, i marciapiedi sono in uno stato pietoso, sulle strade le buche intaccano gli ammortizzatori delle nostre auto, le strisce blu ci stressano. La deriva di Bracciano sembra inarrestabile ormai. Sperare nel futuro? Avremmo voluto. Ma la lettura del piano triennale delle opere pubbliche deciso dall’amministrazione comunale non fa ben sperare. Anzi. Al primo posto compare la realizzazione di nuovi loculi, anche per fare cassa. Ora manca anche l’acqua, mentre il lago si abbassa. Il Museo Civico è chiuso, così l’auditorium. E meno male che il castello c’è. Mala tempora currunt.

era una volta un prato molto grande, tutto verde e bellissimo. Voleva andare in città e così, non potendosi muovere lui, stava aspettando che essa venisse a prenderlo. Infatti i palazzi, larghi, vicinissimi l’uno all’altro e quasi tutti uguali, si avvicinavano sempre di più allargandosi a ventaglio come a voler abbracciare il nuovo venuto, il quale, tutto contento di quel segno evidente di amicizia e affetto, si lasciò circondare. Nei primi tempi provò una sensazione un po’ strana: si sentiva intimorito dalle migliaia di occhi dei palazzi che lo fissavano dall’alto e che neppure di notte, fattisi luminosi come quelli dei gatti, lo perdevano di vista un istante; se alcuni si chiudevano altri subito si aprivano. In quei momenti il nuovo venuto ripensava con un po’ di nostalgia ai suoi animali, alla sua campagna sconfinata dalla quale si era staccato. Ma poi si era reso conto di essere una cosa unica e rara nella città: la gente veniva a passeggiare con i cani, in braccio o al guinzaglio; erano animali di grande razza o lusso, alcuni indossavano anche i calzoni; le mamme venivano in quel giardino con i loro bambini che si rotolavano in mezzo a tutto quel verde e giocavano, i ragazzi più grandicelli avevano ricavato dei campetti tutt’intorno e giocavano al pallone allegri e spensierati. Tutti si fermavano a guardare l’isoletta che si sentiva ammirata come uno stupendo mantello verde che veniva da un mondo lontano, stesa sul pavimento di un grande salone di città. Amava soprattutto i ragazzi che facevano tutto così sul serio quando giocavano al pallone: si accaldavano, lottavano, rifacevano pace, si abbracciavano e soprattutto gli piacevano perché ogni tanto facevano chiudere qualche occhio troppo curioso ai palazzi con una pallonata ben centrata sui vetri. Tutto era felice in quell’isoletta di verde rimasta in mezzo ad un mare di cemento. Però col tempo cominciarono a cadere, sempre più numerosi, oggetti di ogni genere: bottiglie, giornali, scarpe, giocattoli, cassette, scope. I visitatori diminuivano sempre più; solo i ragazzi, sempre sul serio, ammucchiavano quegli oggetti e continuavano a giocare; la solita pallonata giornaliera mandava in frantumi qualche vetro ed al prato assediato pareva di rispondere per le rime al lancio di rifiuti di cui era vittima. Si andò avanti così in una guerra continua; ma i ragazzi, in seguito, non riuscirono più a tenere pulito neppure l’ultimo campetto nel quale si erano ridotti a giocare e furono costretti a non venire più nel loro amato praticello, unica loro palestra, che nessuno ora guardava più; neppure i palazzi che, in basso, tenevano tutti gli occhi chiusi; solo questi giovani, appassionati calciatori, erano rimasti fedeli e tutti i giorni venivano e giravano lì intorno con le loro tute di apprendisti meccanici o falegnami, ma in seguito anch’essi si fecero sempre più rari finche’ non vennero più; ormai erano diventati uomini e, come tutti, erano scomparsi nel mare di cemento intorno all’isola, inghiottiti da quei giganti dai quali essa era circondata e che parevano voler prendere, anche lei, rimasta senza difesa, sporca e dannosa. Un giorno arrivarono macchine da lavoro ed arnesi, il prato pensò che fosse giunta la sua fine: i rifiuti vennero portati via, esso fu scavato e sconvolto, i giganti dai mille occhi, ora tutti aperti, assistevano impassibili, il prato non volle più guardare, ripensava con amarezza ai lavori della campagna, ai buoi, ai trattori, all’aratro! Ma a questo punto, fu preso da un grande stupore: risentì su di sé la

Per non dimenticare: il bombardamento di Bracciano

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l 1° giugno 1944, 73 anni fa, alle 6,15, cinque bombardieri americani sganciarono 10 bombe da 500 lbs centrando il cimitero di Bracciano la stazione e l'abitato provocando la morte di 13 vittime civili e numerosi militari (4 ufficiali repubblichini e numerosi soldati tedeschi). Le vittime si concentrarono sulle due palazzine costruite sulla via principale, poco sopra il passaggio a livello centrate da due bombe di cui una fortunatamente inesplosa che rimase per mesi sul magazzino dove era caduta. Particolarmente colpita Teresina Donati, unica sopravvissuta della sua famiglia nonostante sepolta sotto le macerie col figlioletto in braccio Agostino Marinacci (6 anni), la sorella Giuseppa e sua madre Palmira Grandoni. Anche Edda Conti rimase sepolta, ma riuscì a salvarsi mentre suo fratello Giancarlo, di soli 12 anni perse la vita. Triste la sorte di Ortensa Sbroscia che era andata a portare un gavettino di latte tiepido al marito Antonio Carradori che aveva la bottega di calzolaio, e di Giuseppa Pettinari che s’era rifugiata nel portone per cercare protezione. Sulla strada fu colpita Rosa Brunettini che stava andando a comprare un po’ di pane nel forno Antonelli mentre sotto la palazzina Pagnoni rimasero Sante Anselmi, sua moglie Maria Tassi, il nipote Vittorio Pagnoni (di 14 anni, trovato dopo una settimana di ricerche) Armina Argenti e Irma Tacchili (Taccoli) di 24 anni rientrata di corsa a casa dopo essersi recata a prendere il latte dai Matricardi. Iade Anselmi in Pagnoni, la mamma di Vittorio, insieme alla zia Anselma Anselmi (ferita gravemente) riuscirono a sopravvivere. Da ricordare anche la strenua ed incessante opera di Rosina “la fioraia” che si incaricò di custodire e ricomporre i miseri resti dei morti e della sua opera, per 20 giorni al cimitero, per ricomporre i miseri resti delle tombe sconvolte dal bombardamento. Massimo Perugini

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Gente di Bracciano


Pio La Torre: orgoglio di Sicilia Ucciso dalla mafia il 30 aprile 1982. Protagonista delle lotte contadine. Sua la legge per il sequestro di beni ai mafiosi. A quando una La Torre Bis?

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Fotografare? …E’ un’arte F

otografare non è soltanto puntare l’obiettivo e “scattare”: no, sarebbe troppo facile. Fotografare è un’arte. È “cogliere” un aspetto particolare della realtà, è “fermare” un momento dell’esistenza di un qualcuno o di un qualcosa. È “filtrare”, attraverso la sensibilità di chi fotografa quello che agli occhi di molti sfugge. Ecco perché una bella foto emoziona: perché sa cogliere l’anima di ciò che si fotografa. In fondo il “credo” di un buon fotografo è: emozionarsi per emozionare! L’Associazione Fotocineamatori Bracciano compie 45 anni. Auguri vivissimi. Attraverso le tante mostre, ha fatto rivivere “cose” e persone la cui memoria altrimenti si sarebbe persa. Il “vissuto” dei tempi passati è tornato ad essere, attraverso quelle immagini, parte, anche, del nostro vissuto. Grazie: perchè attraverso le fotografie l’Associazione ci ha raccontato tante storie che si sono intrecciate nelle nostre storie che daranno vita a tante altre storie... ed è questa la loro importanza, Luigi Di Giampaolo

I 45 anni dei Fotocineamatori Bracciano

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d aprile 2017 L’Associazione Fotocineamatori Bracciano ha festeggiato i 45 anni di attività. Ancora una volta, nel corso delle celebrazioni, sono state ricordate le tantissime attività svolte tra le quali, ci piace ricordare i tre volumi “Ritratto di Paese”, “Un secolo di fotografia” e “Bracciano com’era”. “È certo che - ha commentato il presidente Mario Gentilucci - non avrebbe potuto tagliare questo prestigioso traguardo se non con il solido apporto che ciascun socio, ognuno a suo modo, fino ad oggi ha mostrato, ed in particolare dei presidenti che, succedutesi nel tempo, hanno riversato con un entusiasmo ammirevole profuso nell’organizzazione e nell’esecuzione, costituendo un solido gruppo, contribuendo in tal modo a mantenere vivo negli anni lo spirito di coesione che sempre ha contraddistinto in ordine alla finalità istituzionali l’associazione. Questa strada è stata percorsa da quel lontano 17 marzo 1972! Ma lo spirito - ha concluso Gentilucci - è rimasto sempre indomito, mai pago, poiché il collante è stato sempre l’amore per la fotografia”.

45° Consiglio Direttivo - 17 marzo 2017

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17 marzo 1972 - I fondatori dell’Associazione

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mandanti del suo omicidio sono stati Salvatore Riina, Bernardo Provenzano, Pippo Calò, Bernardo Brusca e Antonino Geraci, gli esecutori materiali Giuseppe Lucchese, Nino Madonna, Salvatore Cucuzza, e Pino Greco. Il compagno Pio La Torre il 30 aprile 1982 viene ucciso, assieme a Rosario Di Salvo, a Palermo mentre al mattino si sta recando nella sede regionale del Partito Comunista del quale è segretario regionale. I corleonesi non perdonano il suo impegno, né tantomeno la legge che porta il suo nome che prevede il 416 bis, la confisca dei beni. Una normativa tutt’ora di estrema attualità tanto che sono molte le proposte per una legge La Torre bis che estenda al fenomeno della corruzione le disposizioni introdotte per le organizzazioni mafiose. Cade così sul campo, com’era sempre vissuto, un martire della mafia, un uomo di cui la Sicilia può andare orgogliosa, protagonista sempre in prima linea, dalle lotte contadine fino alla battaglia pacifista contro i missili stelleastrisce a Comiso. Figlio di contadini, La Torre inizia il suo impegno politico nel 1945 aprendo nella borgata di Palermo dove vive la prima sezione del Pci. A quella, nelle borgate vicine ne, seguono molte altre. Di lì a poco al grido “la terra a tutti” La Torre è a capo del movimento contadino e della occupazione delle terre, ma finisce in cella all’Ucciardone. Così il Centro Studi a lui dedicato ricostruisce quella particolare fase storica. “Il periodo tra il 1945 e il 1950 è caratterizzato dalla lotta per l’effettiva applicazione dei decreti Gullo che garantiscono ai contadini maggiori diritti e più terre da coltivare. Lo svuotamento delle norme da parte del successore al ministero, il democristiano Antonio Segni, e l’atteggiamento dei proprietari terrieri che non riconoscono la legittimità delle norme, scatena, soprattutto nel Meridione, la richiesta di un’effettiva riforma agraria e un’ondata di proteste popolari che si concretizzano nelle occupazioni delle terre incolte da parte dei braccianti agricoli esasperati. La Torre, divenuto nel 1947 funzionario della Federterra e poi responsabile giovanile della Cgil e quindi responsabile della commissione giovanile del Pci, partecipa attivamente. Nel luglio 1949 è membro del Consiglio Federale del Pci che dà l’inizio ufficiale all’occupazione delle terre, lanciando lo slogan: “la terra a tutti”. La protesta prevede il censimento delle terre giudicate incolte o mal coltivate e l’assegnazione in parti uguali a tutti i braccianti che ne abbiano bisogno. Parallelamente parte anche la campagna per la raccolta del grano, che deve servire per seminare le terre occupate. Il 23 ottobre 1949 viene organizzato il I Festival provinciale dell’Unità a Palermo, al Giardino inglese, per sensibilizzare l’opinione pubblica alla protesta. Il clima di festa è però presto interrotto dalle notizie che giungono, il 29 ottobre, dalla Calabria, precisamente da Melissa, dove le proteste dei contadini sono sfociate in tragedia con l’uccisione da parte delle forze dell’ordine di tre persone, tra cui un bambino e una donna e il ferimento di altri quindici, oltre a numerosi arresti. Quella strage convince i dirigenti del Pci palermitano ad anticipare la data dell’occupazione delle terre fissandola al 13 novembre. Il progetto prevede che i contadini di dodici paesi confluiscano a Corleone da dove, la mattina di domenica 13 novembre 1949, devono partire una serie di cortei per prendere possesso di tutte le terre censite come incolte e mal coltivate. Partecipano quasi seimila persone che all’alba della domenica partono da Corleone e si dirigono verso i feudi da occupare, tra questi anche quello in cui Luciano Liggio è gabellotto, il feudo Strasatto. Dopo la strage di Melissa la polizia ha qualche remora ad intervenire duramente, così l’occupazione

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Pio La Torre

continua per molti giorni, sviluppandosi anche nei comuni fuori Palermo. Il governo, viste le dimensioni che la rivolta sta assumendo, decide la via della repressione arrestando dirigenti sindacali e braccianti agricoli e scatenando scontri, il più grave dei quali, a S. Cipirello, porta in carcere diciotto persone. L’occupazione comunque ha successo e quasi tremila ettari di terreno vengono coltivati a grano. La “pausa invernale” dovuta all’attesa dei frutti della semina serve a La Torre e al partito per organizzare le lotte primaverili, quando si sarebbe dovuto lottare per conservare il diritto di raccolta sugli ettari seminati in autunno e rivendicati dai proprietari agrari. La data fissata per la ripresa della lotta è il 6 marzo 1950. L’obiettivo è far ottenere alle cooperative dei contadini l’assegnazione dei tremila ettari occupati e non come proposto dall’allora prefetto di Palermo, Angelo Vicari, di affidare ai contadini altri tremila ettari di terreno, scelti dai proprietari, mentre quelli occupati, compresi il loro raccolto, sarebbero stati restituiti ai proprietari terrieri. Il 10 marzo 1950 il movimento dei contadini è a Bisacquino dove si prevededi occupare i quasi duemila ettari di terreno del feudo Santa Maria del Bosco. Pio La Torre è alla testa del corteo, lungo quasi cinque chilometri e formato da circa seimila persone. Arrivati al feudo si procede all’assegnazione di un ettaro di terreno a testa fissando i limiti di divisione. Sul calar della sera, quando i contadini stanno percorrendo la strada che li riporta alle loro case, vengono circondati dalle forze di polizia. La battaglia continua fino a sera quando, insieme ad altre centinaia di contadini, anche La Torre viene ammanettato e condotto al carcere dell’Ucciardone, accusato, ingiustamente, dal tenente Caserta di averlo colpito con un bastone. La Torre uscirà dal carcere un anno dopo. Dopo vari anni al Consiglio comunale di Palermo, diviene deputato e lo sarà per tre legislature. Nel 1972, come membro della Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno della mafia in Sicilia, La Torre, insieme al giudice Cesare Terranova, redige e sottoscrive come primo firmatario, la relazione di minoranza che mette in luce i legami tra la mafia e uomini politici, in particolare della Democrazia Cristiana. Alla relazione aggiunge la proposta di legge “Disposizioni contro la mafia” tesa a integrare la legge 575/1965 e a introdurre un nuovo articolo nel codice penale: il 416 bis. Dalla analisi di La Torre sul rapporto tra il sistema di potere mafioso e pezzi dello Stato emerge la sua convinzione che “La compenetrazione è avvenuta storicamente come risultato di un incontro che è stato ricercato e voluto da tutte e due le parti (mafia e potere politico)… La mafia è quindi un fenomeno di classi dirigenti”. Nel 1981 Pio La Torre torna in Sicilia. Ma il giorno dell’agguato è vicino. A cura di Claudio Calcaterra

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Gente di Bracciano


Aldo Falanga. Il professore francescano Ispirato dal poverello di Assisi. Dal Convento dei Cappuccini alle aule del Vian

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er arrivare da Aldo si sale da piazza del Castello verso via della Rotonda. Arriviamo all’ora convenuta, io, Claudio e Mena, e ci fermiamo davanti a un piccolo portoncino in legno. Suoniamo, la porta si apre e vedo davanti a me una lunga, antica scalinata che porta alla sua casa. Improvvisa mi torna alla memoria l’oscura porticina del Duomo di Siena che immette il viandante nella “porta del cielo”, dove è possibile ammirare i tetti rossi della città, le sue chiese, la facciata del Duomo Nuovo rimasto incompiuto, la verde campagna e la catena dell’Appennino, un panorama che appare quasi intatto, che sembra uscito da un affresco. Mai un ricordo non richiesto si è rivelato un segno premonitore così forte, così preciso. Salgo la scala e mi trovo in una bella casa, travi in legno, allegramente severa e la sua finestra che si affaccia sulla vecchia Bracciano: il panorama sembra un affresco. Aldo (Falanga), professore di religione al Vian, ci accoglie con un sorriso aperto e una stretta di mano vigorosa, il suo sguardo invita all’ascolto, ha una barba curata a modo suo, capelli vagamente scarmigliati e ci fa sentire subito a nostro agio. Poche parole, qualche sguardo e sento che siamo già vecchi amici al bar che raccontano di sé e del mondo. Aldo è nato nel 1956 a Secondigliano, un quartiere di Napoli segnato da un forte abbandono scolastico, da un’elevata disoccupazione e soprattutto dalla capillare presenza della criminalità organizzata. Il padre era operaio, la mamma casalinga. Mi racconta che fece il suo primo viaggio a nove anni…ho sempre amato viaggiare, autostop e sacco a pelo, soldi non c’erano, a 17 anni sono andato via da casa, studiavo, un po’ sì e un po’ no, poi, con tre amici, giungemmo ad Assisi, la terra di san Francesco, fummo accolti come figli, un letto una minestra fumante e tanto amore, fui colpito da tanta ospitalità e decisi di rimanere, avevo bisogno di Dio, di quel senso di servire Dio, povertà e umiltà, sapevo che san Francesco aveva trascorso un anno nella solitudine, nella preghiera, nel servizio ai lebbrosi, fino a rinunciare pubblicamente all’eredità paterna, sentivo quello il mio destino, una ricerca di verità in povertà e umiltà…Aldo fa una pausa, segnata da una breve e tenue risata, densa di amorevole ironia, quasi a voler rendere lievi parole dense di significato, innervata da una misteriosa chiusura nervosa, un segno che ripeterà ad ogni pausa. Aldo è un personaggio denso e complesso, sento che dovrò cercare di attenermi il più fedelmente possibile alla sua narrazione per evitare interpretazioni affrettate…insomma, volevo farmi frate, diventare un messaggero di pace, un inveratore dell’utopia del Vangelo: porgere l’altra guancia, essere umile, amare il prossimo, fu così che salutai i miei compagni di viaggio e rimasi in preghiera con Frate Ludovico, fu così che decisi di lasciare i miei studi artistici, di lasciarmi dietro tutto il mio “patrimonio”… Aldo ha letto il libro che racconta le storie della “Gente di Bracciano” e ricorda quella di Vecchiotti e padre Filippo, il frate cappuccino che ha operato per anni a Bracciano, mi guarda negli occhi e…sai, nel mio apprendistato religioso ho incontrato padre Filippo e ne rimasi incantato, lo incontrai ad Alatri, uno sguardo semplice, amorevole e divenne il mio padre spirituale…poi, non so per quali fili misteriosi che tessono i nostri neuroni ci siamo trovati nell’ossario dei frati cappuccini che si trova nella chiesa di Santa Maria Immacolata in via Veneto, a Roma… un luogo di silenzio e di pensiero, che invita a riflettere sulla morte, a viverla non come una tragedia ma come segno della caducità della vita…mi dice Aldo, gli dico che a me, invece, ha fatto impressione vedere lampadari costruiti con le ossa dei frati, punti di vista naturalmente, poi gli chiedo quali gradini occorre scalare per diventare frate…per gradi come nella scuola pubblica,

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1978 Torino, Esperienza al Cottolengo con studenti di Teologia

dalle elementari all’università, prima studente di religione con altri giovani in ricerca vocazionale: un percorso che dura circa un anno guidati da alcuni frati che ci accompagnano nel cammino spirituale, vivendo insieme momenti di preghiera e confronto, con spazi di quiete e di silenzio, e tante occasioni di fraternità e servizio, poi l’apostolato, è un periodo di due anni in cui si possono assaporare in maniera significativa, alcuni dei valori fondamentali della vita francescana: l’ascolto del Signore, soprattutto nella preghiera comunitaria, la fraternità e la letizia, il servizio nella dedizione di sé all’altro, la semplicità di vita, poi il noviziato a Rieti, fino agli studi superiori di teologia e filosofia, a Siena e Viterbo, alla fine si diventa frati…pausa…come ti ho detto è durante il noviziato che ho incontrato padre Filippo che aveva fondato la CUCUAS, acronimo di “comunità un cuore un’anima sola”, frase presente negli Atti degli apostoli, una Onlus a sostegno e recupero delle fasce sociali deboli, per condividere lo spirito dei primi cristiani, il primo “comunismo” nella storia, ricordo ancora quando ci invitava a pensare i disabili non come “menomati” ma come persone da incontrare e amare…pausa…durante il noviziato siamo andati a soccorrere, nella zona di Amatrice, i terremotati di Cittareale, facevamo giuocare i bambini, ridonando loro qualche speranza nel futuro, aiutavamo a rimuovere macerie, insieme alla mia chitarra e alle messe cantate, e poi quel vecchio manicomio dove avvertivi che le persone erano come gusci vuoti, alcuni chiusi in sé, altri ombre senza vita, li aiutavamo ad accudirli, a sostenerli, era terribile fissare quegli sguardi vuoti…pausa…fra’ Filippo si spostava continuamente e con lui la Onlus da lui diretta e io dietro al mio padre spirituale, finchè nel 1988 sbarcammo a Bracciano nel convento dei cappuccini, oggi purtroppo chiuso…gli chiedo come mai arrivato alle soglie dell’investitura non sia diventato frate…sai, c’era una contraddizione che non riuscivo a sciogliere, a casa ero povero, Secondigliano, il papà operaio, i soldi che bastavano appena per mangiare e vestire, nel convento, invece, avevo tutto, mangiavo, studiavo, avevo il computer e anche un’automobile di servizio, mi sentivo ricco, poi i santuari che visitavo erano spesso pieni di denaro, mentre io volevo vivere da francescano “autentico”, così andai in crisi e non professai i voti perpetui…sai nel mio percorso religioso ho incontrato persone che mi hanno insegnato la vita più di mille libri, Santa Teresa di Calcutta in un convegno a Pescara, piccola, fragile, sostenuta da “fratoni” che l’aiutavano a non perdersi nelle folle che volevano omaggiarla, quando arrivò davanti a me mi guardò negli occhi, nella profondità degli occhi e ho visto il paradiso…mi fermo un attimo, la frase ha commosso Mena che narra ad Aldo il suo sentirsi credente non praticante, anticipo di una bella discussione che abbiamo fatto alla fine dell’intervista…e poi Chiara Lubich, la fondatrice del Movimento

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Gente di Bracciano

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Aldo Maccione,(Alberto Lionello 1980 - Fico d’India, con Renato Pozzetto e Gloria Guida 1983 - Il diavolo e l’acqua santa, regia di Bruno Corbucci 1995 - Othello, regia di Oliver Parker 2001 - Commedia sexy, con Elena Sofia Ricci, Ricky Tognazzi, Alessandro Benvenuti 2003 - Il cuore altrove, regia di Pupi Avati 2003 - 2005 - Elisa di Rivombrosa, serie televisiva con Vittoria Puccini e Alessandro Preziosi 2004 - Virginia, la monaca di Monza, con Giovanna Mezzogiorno 2004 - Luisa Sanfelice, diretto dai fratelli Taviani 2005 - Edda Ciano Mussolini, con Massimo Ghini e Alessandra Martines 2009 - Oggi sposi, con Michele Placido e Renato Pozzetto 2010 - Tutto l’amore del mondo, con Nicolas Vaporidis, Sergio Rubini e con il lago protagonista.

egue, solo per curiosità, un ristretto elenco di titoli che abbraccia un arco temporale di 50 anni, preceduto dall’indicazione dell’anno di produzione, selezionati solo per la notorietà del cast. 1950 - I cadetti di Guascogna, con Ugo Tognazzi e Walter Chiari 1957 - Arrivano i dollari, con Alberto Sordi e Nino Taranto 1962 - Venere imperiale, con Gina Lollobrigida 1964 - Il castello dei morti vivi, con Gaia Germani e(Philippe Leroy 1965 - Il tormento e l’estasi, con Charlton Heston, Rex Harrison, Tomas Milian 1967 - C’era una volta, con Sophia Loren e Omar Sharif 1967 - La cintura di castità, con Monica Vitti e Tony Curtis 1968 - Tre passi nel delirio, tre episodi per la regia di Federico Fellini, Roger Vadim, Louis Malle 1971 - Lucia di Lammermour, regia di Mario Lanfranchi 1974 - La badessa di Castro, con Barbara Bouchet e Mara Venier 1979 - Riavanti... Marsch!, con(Stefano Satta Flores,(

La Barca dei Sogni: rassegna cinematografica riscopre la cittadina di anni fa

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na platea che ha riso moltissimo quella riunita l’8 maggio scorso al Cinema Virgilio di Bracciano per il primo appuntamento della rassegna cinematografica “La Barca dei Sogni” organizzata dall’Associazione Amici del Teatro Galeazzo Benti in collaborazione con Frontera Cinema. Molti i braccianesi accorsi su invito di Marcella Mariani, moglie dell’attore Galeazzo Benti, per assistere alla proiezione di Arrivano i dollari, un divertentissimo film del regista Mario Costa i cui esterni sono stati girati interamente a Bracciano. E’ stato entusiasmante vedere come era la cittadina nel 1957, anno delle riprese del film, ma anche rivedere attori di grande fama tra i quali Alberto Sordi, Nino Taranto, Mario Riva, Isa Miranda. La manifestazione è proseguita con una nuova proiezione il 29 maggio alle 20 di Abbasso la ricchezza del 1946 con Anna Magnani, Vittorio De Sica e Galeazzo Benti.

Divagazioni Il divo che è in noi

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lcuni giorni fa mi ha colpito la notizia della morte di Tomas Milian, meglio conosciuto come “Er

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Monnezza”. Come in un film, prima in bianco e nero poi a colori, mi sono tornati alla mente, ma sono sicuro anche a voi, i tanti divi e dive che con i loro personaggi hanno “segnato” un periodo della nostra vita. Divi e dive che con le loro interpretazioni hanno dato vita e reso “veri” personaggi che ci hanno emozionato facendoci ridere o piangere o innamorare, eh sì! Il divismo ha rispecchiato e in fondo ancora rispecchia, i vizi e le virtù, il positivo e negativo di un’epoca. Le opere cinematografiche, come quelle letterarie, inventano una realtà, ma la realtà è pronta a copiarla perché il reale diviene, a volte, parte del nostro immaginario. L’attore e l’attrice, davanti alla macchina da presa, divengono “altro” da sé, fino ad identificarsi nel personaggio, con tic o “espressioni” che nella vita reale non posseggono. L’attore, come l’attrice, si esibiscono per “essere”, insomma fingono di essere se stessi, attraverso, il non-essere se stessi. Ed è proprio questa la loro bravura. I divi divengono così acrobati del vuoto, funamboli dell’esistenza a tempo pieno, acrobati del gran gioco che è

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la vita, sottili equilibristi della maschera che si divertono a mettere e a togliere per spiazzare e sedurre, secondo un ritmo che è il ritmo stesso delle loro apparizioni. I divi e le dive in fondo sono un ponte sospeso tra l’essere e il sembrare. Accidentaccio!! Mi sono messo a filosofeggiare, mamma mia che impressione!! Mettendo i piedi per terra: ognuno di noi ha un divo o una diva che ha amato, un eroe o una eroina che l’ha trascinato in una sala cinematografica. Chi di noi non si è mai “sentito” Zorro o l’infallibile pistolero, o il granitico Ercole o il romanticone di turno? Chi di noi non ricorda le fanciulle che al cinema, sedute accanto a noi, si asciugavano qualche lacrimuccia quando l’innamorato, sebbene ferito e sanguinante abbracciava l’amata e subito dopo la prendeva in braccio sorridente, incurante dei mezzi litri di sangue che zampillavano di qua e di là? Potenza dell’amore!! Anche noi, a dire il vero, nella vita di tutti i giorni, in certi momenti, ci siamo sentiti eroi e un po’ anche divi…e meno male!!! Luigi Di Giampaolo

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Se Bracciano diventa un set Moltissimi i film girati nel territorio: da Non ci resta che piangere a I Medici

Dustin Hoffman al Castello di Bracciano solo castello, ma hanno spesso coinvolto anche le vie del centro cittadino od il suo territorio circostante, lago compreso, ovviamente. Desta meraviglia il numero delle pellicole girate in loco in quanto supera le 150. A ricordo di questi eventi, dal 2° giugno 2012 al 6 gennaio 2013, è stata allestita la mostra “Ciak al castello” che ha ripercorso e proposto quanto realizzato nel passato e visto esporre anche fotogrammi dei vari film ed alcuni originali costumi di scena. Prima di elencare alcune delle pellicole più interessanti, soprattutto per i protagonisti coinvolti o per i successi ottenuti, è bene ricordare che Bracciano ha contribuito anche a fornire personaggi allo spettacolo dando i natali a Odette Bedogni, in arte Delia Scala. Si ricorda, inoltre, che ad una famiglia manzianese appartiene Maria Luisa Ceciarelli, in arte Monica Vitti. Furono proprio le anziane zie di Monica Vitti che, gestendo l’albergo Villa Giulia, ospitarono più volte Federico Fellini che aveva definito il luogo il suo “eremo”. Non sono pochi poi i personaggi del cinema che hanno scelto di risiedere stabilmente nel territorio, apprezzandone le bellezze che offre. A questi bisogna aggiungere le celebrità cinematografiche internazionali che hanno voluto celebrare le loro nozze nel castello, tra cui si ricordano i matrimoni di Tom Cruise, e Martin Scorsese con Isabella Rossellini. Tornando ai nostri film, la permanenza in loco, talvolta prolungata nel tempo, di personaggi, maschili e femminili, noti a livello internazionale, ha dato modo anche di accendere gli animi ed i cuori della gioventù locale, come ricorda la nostra Mena, al tempo adolescente platonicamente invaghitasi di Omar Sharif. Pierluigi Grossi

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a scena iniziale del film Non ci resta che piangere inquadra un apparente serioso bidello di nome Mario (Massimo Troisi) seduto in macchina, di fronte all’ingresso di un ospedale, in attesa che, di lì a poco, esca dal nosocomio un pensieroso ed angosciato maestro elementare di nome Saverio (Roberto Benigni) che era andato a fare una visita alla sorella ricoverata per problemi psicologici connessi ad un mancato “sfogo”. Era il 1984 e quella struttura, inaugurata da pochi anni, oltre ad ospitare una scena del noto film, rappresentava un fiore all’occhiello per la cittadinanza di Bracciano perché si trattava proprio del nostro ospedale. Sono molti i film o documentari girati a Bracciano nel tempo, di cui poi si è persa traccia perché spesso le immagini degli ambienti sono sporadiche e del tutto anonime in relazione alla loro ubicazione ed estranee al loro vero contesto, come avvenuto nel citato film. Altre volte, invece, gli ambienti vengono riproposti in più riprese e le immagini dei luoghi a noi famigliari vengono notate e recepite in forma più duratura. La serie televisiva I Medici, andata recentemente in onda sulla Rai, ambienta alcune scene, soprattutto quelle iniziali, nelle sale interne del castello di Bracciano, rappresentato come un palazzo fiorentino anche se il suo stile architettonico rinascimentale è storicamente posteriore rispetto alle prime vicende narrate e qui collocate. Il capostipite Giovanni de Medici, infatti, è morto nel 1429 cioè circa 50 anni prima della costruzione del castello. Tralasciando questi poco significativi particolari, rimane l’importanza che la struttura del castello ha sempre esercitato quale location dei film. Le molte riprese dei film effettuate in passato, peraltro, non sono state limitate ad ambientazioni storiche di costume riferite al

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dei focolarini e poi Roger Schuttz, fondatore della comunità monastica ecumenica a carattere internazionale di Taizé, sapete, i grandi santi li riconosci nel tempo che porta alla morte, nel tempo della loro notte oscura, quando, negli ultimi istanti di riflessione vedono che tutto ciò che hanno fatto non l’hanno fatto loro ma Dio… a una domanda di Mena che voleva capire di più... devi immaginare una galleria buia il cui cammino è indicato solo dalla luce che l’uscita invia al viandante, poi si gira l’angolo e sei nel buio più completo, che fai? Vai avanti o torni indietro? avanti, alla ricerca della luce… incuriosito sono andato a cercare il senso profondo della “notte oscura” e ho trovato un verso che penso Aldo possa condividere: Notte che mi guidasti, oh, notte più dell'alba compiacente! Oh, notte che riunisti l'Amato con l'amata, amata nell'Amato trasformata! ...quando ho deciso di non diventare frate sono rimasto nella comunità di frà Filippo insieme a giovani che, come me, avevano deciso di vivere francescanamente, lì incontrai una ragazza, siamo stati insieme quattro anni, persi d’amore, poi ci siamo lasciati, gli ideali tra noi si erano allontanati, poi ho incontrato Rosanna, proprio nel chiostro dei frati cappuccini di Bracciano, mi piaceva ma lei non mi guardava proprio, come se non esistessi, facevamo pranzi all’aperto, panini, frutta, chitarra, mandolino e tanta passione religiosa, poi si accorse di me e ci sposammo, Rosanna è nata a Tripoli, arrivò con la famiglia quando il fascismo sognò il suo impero…non riesco a non dire sul sangue degli abissini…poi, con Gheddafi dovette tornare in Italia “nuda”, il regime li cacciò tenendosi tutti i loro beni…pausa…abbiamo avuto tre figli, non programmati, Teresa, Francesco e Agnese, santa Teresa di Calcutta, san Francesco e sant’Agnese, il secondo nome di madre Teresa di Calcutta, Teresa vive a Milano con il suo compagno, laureata in arteterapia lavora con don Mazzi, Francesco, laureato in arte, scienza e spettacolo vive a Bracciano, ha fatto servizio di volontariato civile, Agnese ha studiato musica, è una batterista jazz… pausa…arrivato a Bracciano ho completato autonomamente gli studi di teologia, cosa che mi ha permesso di trovare subito il lavoro di insegnante, all’inizio fu gavetta, fui inviato a Torre Annunziata, poi a Ottaviano ai tempi di Cutolo, capo della nuova camorra organizzata, ricordo che più che insegnare religione facevo l’assistente sociale, ricordo quel ragazzo che mi sorprendeva perchè non mancava mai un giorno a scuola, gli chiesi come mai e lui “professò a casa ce fanno faticà”, erano già grandi, malamente grandi…pausa…poi fui trasferito a Bracciano, anche qui, oltre a insegnare religione, con frà Filippo eravamo sempre sulla breccia attivando esperienze d’accoglienza, ricordo che una ragazza madre scacciata da tutti fu accolta in convento per un anno intero, e quel ragazzo che era ai domiciliari per aver puntato, per giuoco, la pistola del padre militare su un suo amico, ero spesso presente nel centro d’igiene mentale, e quella famiglia sudamericana che viveva sul lago, erano in cinque a dormire in una vecchia e malandata automobile, e l’impegno per aiutare i disabili attraverso incontri settimanali, cercando di fargli abbandonare il loro atteggiamento passivo, sono così quindi tutto mi è dovuto, spingendoli a trovare opportunità capaci di dare loro dignità, presenza pur in una società ostile al diverso…squilla il suo telefonino, è Francesco, il figlio, la suoneria è un simpatico suono di campane, non quelle funeree e dispettose di molti campanili, questo era un trillio d’uccelli…nel convento ho vissuto per tre anni, sentivo che quel luogo aiutava il mio fare e il mio pensare…gli chiedo di Rosanna, sua moglie… lei ha fatto la mamma fino a quando i ragazzi sono diventati autonomi, poi ha trovato un posto di lavoro come ATA - personale ausiliario...pausa...insomma fa la portantina. Gli chiedo se posso fargli una domanda indiscreta, al suo sì gli chiedo quale rapporto esiste tra la sua scelta di povertà e la bella casa in cui abita, mi guarda divertito e… ma io sono sempre vissuto in belle case, qui sono in affitto, inoltre annesso alla casa c’è un luogo che mi permette di coltivare la mia passione: la pittura … avevo notato i quadri, densi, intriganti, non avrei mai pensato fossero i suoi, uno mi aveva particolarmente colpito, una tavola in legno con inciso, forse a fuoco, quello che a me è sembrato il grafico di un elettrocardiogramma, continuo, regolare, a fianco il segno di una caverna, della profondità di una curva, in alto luce, un bianco con un occhio che sembra guardarti, gli chie-

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1988 Matrimonio celebrato da Padre Filippo Piccioni (per noi Padre Pippo)

do se la caverna è la notte oscura e l’occhio lucente la sua uscita, mi guarda nuovamente divertito e … è il mio autoritratto … salto qualsiasi commento e mi avvicino a tre quadri che mi rimandano alla mente Mondrian …sono stati dipinti sotto l’influsso di Mondrian e Burri, un pittore che amo … gli dico che la sua mostra permanente a Città di castello, nel vecchio tabacchifcio, mi ha rimandato sensazioni di fatica, di dolore, con quei suoi sacchi di juta, tela unta, incatramata e lacera, assenza di luce e colore… ma la mia stella di riferimento è il Caravaggio, con le sue luci e le sue ombre… pausa … il mio impegno al Vian è a tempo pieno, sono amato dai colleghi, animo attività di volontariato, sai il più grande dono di restituzione del mio lavoro è stato quando una mia vecchia studentessa, che incontrai per caso, parlandomi di sé e del suo impegno sociale mi disse “professò, quello che lei ha dato a noi non si può negare agli altri” … poi con un filo di voce, quasi a parlare a sé … mi sento un diversamente religioso, un diversamente giovane, sento di dover provare cose nuove, oltre il mio lavoro, a scuola mi chiamano Salvatore … chiudo il mio quaderno acchiappaparole e penso a quante strade ha percorso Aldo, l’amore del viaggio e la scuola interrotti dall’incontro con san Francesco, poi l’esperienza francescana interrotta poco prima di farsi prete, la sua prima ragazza, sua moglie e ora sento che cova nuovamente brace, uno spirito inquieto, oltre la sua fede, chissà se questa percezione ha qualche fondamento. Chiuso il quaderno ci fermiamo a parlare, della religione, della vita, della ragione. Un credente, una credente non praticante, un ateo e un agnostico, roba da non credere: non si sono alzati né muri né roghi, ognuno a raccontare all’altro il suo modo di intendere il mistero della vita, leggeri, disponibili all’ascolto. Certo, ho avvertito una leggera assimmetria, chi ha fede ha un luogo sicuro dove governare idee e parole, chi ha dubbi un po’ meno seppure con la possibilità di aprire sempre nuovi libri, nuove storie. Per venti minuti ho visto quattro amici al bar impegnati in una serena, franca discussione sul senso della vita. Grazie Aldo. Francesco Mancuso

Campo Estivo con la Comunità Cucuas (Comunità Un Cuore Un Anima Sola) Terni 2015

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Caffè, letteratura e... bicicletta: Libri nel Giro 2017 al Grand’Italia di Bracciano

Nel 1552 il primo Statuto di Bracciano Tentativo di organizzazione di comunità sotto il governo del Duca Orsini

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Dal libro L. Borsari-R. Ojetti "Il castello di Bracciano", Roma 1895

a narrazione degli eventi storici è incentrata, per lo più, nella descrizione di fatti e gesta di personaggi famosi ma spesso trascura la vita quotidiana delle popolazioni. Può risultare interessante, pertanto, analizzare come era strutturata la comunità braccianese nel 1500 e quali erano i rapporti della civile convivenza, come previsto dallo Statuto che rappresentò per la zona la prima codifica dei diritti e dei doveri dei cittadini. I centri intorno al lago, infatti, non avevano vissuto l’epopea dei Comuni, e quindi non erano stati mai autonomi rispetto ai feudatari. L’emanazione dello Statuto, anche se formalmente rappresentava un atto nel quale il proprietario del feudo stabiliva dall’alto le regole della convivenza e dei rapporti sociali, di fatto recepiva alcune istanze della popolazione volte alla tutela di diritti ritenuti di propria spettanza. Lo Statuto, pertanto, è estremamente importante perché serve a comprendere l’organizzazione sociale di un periodo storico abbastanza ampio che durerà in buona sostanza fino al 1800. Poiché, poco dopo la sua emanazione, era andato perduto il testo dello Statuto in possesso della comunità braccianese, i Priori fecero richiesta di una copia agli Orsini stessi nel 1597, copia tuttora conservata nell’archivio storico del comune di Bracciano e già consultabile nel 1849 quando l’avvocato Oreste Raggi, in

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un suo saggio che descriveva le vicende del luogo, così annotava: “Bracciano ebbe il suo statuto nel 1552, quello stesso che aveva avuto Campagnano, e che un anno di poi… si sottoscrisse eguale in questa rocca per Trevignano. Questo che si conserva nella segreteria comunale di Bracciano non è che una copia posteriore, mancante della parte criminale. L’originale manoscritto, poiché non fu mai stampato, e con le firme autentiche, fu da me osservato quello di Trevignano. Dettato latinamente è diviso in quattro libri di questa guisa. Incomincia la tavola delle cose civiliTavola degli straordinari - Tavola di danni dati - Tavola delle cose criminali”. Il territorio vedeva padrone incontrastato il signore feudatario, un membro della famiglia Orsini insignito del titolo di duca a partire dal 1560, proprietario dei beni e dotato anche di giurisdizione nei confronti dei sudditi, avente cioè pieno diritto di giudicare in materia civile e penale, spesso anche in assenza di regole certe. Lo Statuto servì appunto a stabilire le norme di comportamento e le sanzioni collegate alle colpe e, sia pur con tutte le limitazioni connesse ad una forma assolutista di potere, rappresentò le prime forme di liberalizzazione. Il duca difficilmente esercitava le sue prerogative in prima persona ma si affidava a suoi delegati che lo rappresentavano ed esercitavano il potere per suo

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conto a tutti gli effetti. Il personaggio di maggior rilievo era il Vicario che veniva nominato direttamente dal duca ed era il suo fiduciario. Curava i rapporti ordinari con la comunità e, con il tempo, assumerà il nome di Podestà. Era poi il coordinatore delle varie attività pubbliche che però venivano gestite direttamente da altri personaggi che rivestivano cariche in parte elettive. Era, inoltre, il responsabile del corretto andamento dei rapporti civili e amministrava anche la giustizia civile e penale limitatamente alle trasgressioni più lievi, perché i reati più gravi erano di competenza dell’Uditore o direttamente del duca. Il disbrigo degli affari connessi alla giustizia, sia civile che penale e relativamente ai reati ed alle pene più gravi, infatti, era demandato all’Udi-tore, mentre l’amministrazione del patrimonio era riservata al Fattore. I tre personaggi nei ruoli di Vicario, Uditore e Fattore, essendo di diretta emanazione del duca, lo rappresentavano nella sostanza e, quindi, non erano espressione della collettività. Per quanto riguarda la durata dell’ufficio del Vicario, lo Statuto precisava: “che il Vicario incaricato per un periodo di sei mesi non pretenda né possa chiedere per se di essere mantenuto non oltre altri sei mesi e così arrivare ad un massimo di un anno né l’amicizia delle singole persone e la familiarità della giustizia possa prolungare per altro semestre e durante l’anno detto

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affè espresso. Magari con Paolo Conte: “Una bici non si ama, si lubrifica, si modifica, una bici si declama, come una poesia, per volare via”. Caffè lungo. Magari con Gianni Mura: “Pantani è un uomo del suo tempo ma con piccoli, significativi gesti da antico cavaliere: togliersi il berrettino prima dell’attacco, mostrarsi bene in tutta la persona, il cranio rasato e sudato, le orecchie a sventola. Per l’ultimo attacco si è tolto pure il diamantino dal naso e, se non fosse proibito dai regolamenti, scommetto che si toglierebbe anche la maglietta, per andare nudo verso il suo destino”. Caffè sospeso. Magari con Indro Montanelli: “Il Giro d’Italia ha uno strano potere, quello di trasformare in domenica ogni giorno della settimana”. Caffè macchiato. Magari con Gian Luca Favetto: “Nelle volate entri in uno stato di semincoscienza ed esci di testa, vai fuori, non hai più niente sotto le ruote, niente accanto a te, niente dentro di te, sei già oltre, tutto qui, devi solo attendere di raggiungere sotto il traguardo quell’oltre che sei diventato”. Caffè Grand’Italia, a Bracciano. È un caffè nel senso del bar, anche della pasticceria, del ristorante e del negozio, ed è un caffè letterario e musicale, un caffè ciclistico. È successo (l’8 maggio 2017 con Storie di corse e corridori. 100 edizioni del Giro d’Italia: aneddoti, imprese e avventure), e magari succederà ancora, grazie a un’iniziativa dell’associazione Ti con Zero con la Biblioteca della Bicicletta, alla collaborazione della Biblioteca di Bracciano e al Sistema bibliotecario ceretano-sabatino, e al quartetto – Sonia Boffa lettrice, Enrico Cresci e Pier Luigi Laurano chitarristi e cantanti, Marco Pastonesi giornalista e scrittore -, quattro in fuga nel primo giorno di riposo del Giro d’Italia, ma solo per ricordarne storia e geografia, bellezza e profondità, allegria e allergie, supremazie e sotterfugi, insomma, per ricordare e regalare storie di

Il girnalista sportivo Mario Pastonesi durante gli incontri

corse e corridori. Quelle 2.53 del 13 maggio 1909, di notte, quando 127 concorrenti scattarono dal rondò di piazzale Loreto a Milano per il primo pronti-via. Quel Fausto Coppi che decollò sul Colle della Maddalena nella tappa delle tappe, la Cuneo-Pinerolo nel 1949, staccando Gino Bartali di 12 minuti e il ciclismo di un mito e di una leggenda. Quel Dino Zandegù che, per vendicarsi delle angherie e delle scorrettezze di Marino Basso, sul cancello della propria casa, accanto alla targhetta “attenti al cane”, appiccicò la figurina Panini del rivale.=== Tratto da Repubblica.it

Candore

Crepuscolo

Meravigliosa infanzia che mi colmavi di strade da esplorare, di case diroccate di vicoli segreti di angoli nascosti…. Di tetti e di boschi. Di mammole odorose di campi di mimose, di nicchie e di roseti… e già di loro traboccava di sole la mattina e di terra e di pioggia odoravano le mani e le braccia tra l’erba e i rami. Corone di foglie vestivano d’ incanto la fronte mia protesa verso il cielo. E nel cielo correva l’immenso senza tempo e l’acerbo pensiero e il mistero… E oggi… ancora… quel candore…. Al rosseggiare della sera io ritrovo, nella minuta mano…e negli occhi, lo stesso esplorare dei vicoli nascosti d’un tempo. Forse nel cielo d’allora io già vedevo Il volto suo di bimba ... nel mistero … Cos’è forse il mistero se non la vita. E nella vita di lei la mia ritrovo. Annagrazia Romagnoli

Nubi mi attraversano, imbrigliano pensieri spigolosi, li smussano. Inoffensive creature, come felini ammaestrati, si acquietano nel recinto dell’indolenza. Leggera, vaporosa è la coltre che avvolge le rigide estroflessioni della mente, come un cielo di lana sopra pinnacoli di arenaria.

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Cede il mio tempo granelli al vento che plasma distese di placide dune. Cede il muro turrito di sguardi taglienti, di ore rabbiose. Nell’inazione e nella tregua dai rovelli extrasistole del cuore si consuma l’ultima ora del giorno, si tinge di quiete l’orizzonte crepuscolare. Ma già notte annuncia battaglia… Gabriella Bellet

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Coderdojo Bracciano: Be Cool! (In gamba!)

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8 aprile, in una bella mattinata di primavera, sono presso lo spazio attivo della BiC Lazio, in via Valle Foresta, 6, per l’evento SpringDojo, che fa parte degli appuntamenti della Coderdojo di Bracciano. In due aule, attrezzate con postazioni wifi e presa di corrente, 40 bambini/ragazzi dai 7 ai 14 anni, si concentrano sul loro laptop e visionano lo schermo sulla parete, dove i loro mentor, danno indicazioni su come “codificare”. Nel frattempo i genitori che li accompagnano, in angoli diversi dell’edificio, conversano, lavorano ai loro pc, studiano. Il vociare dei ragazzi, le loro domande, intervallate a silenzi di concentrazione, mi spingono a curiosare. Sugli schermi, girano istruzioni, tra colori e blocchi di comandi (codici), che, “magicamente”, fanno muovere o parlare personaggi e modificare paesaggi, per creare un cartone animato o un videogioco o addirittura un robot. In un’altra sala su tavoli di lavoro, scorgo un braccio meccanico, interamente di cartone, mosso da siringhe di acqua! Questa è fisica idraulica, spiegata, genialmente, ai ragazzi, con il gioco! Ecco il coding, programmazione a blocchi, per ragazzi interessati all’informatica e per adulti, i mentor, che volontariamente e gratuitamente, da circa due anni, hanno creato il gruppo Coderdojo Bracciano e si ritrovano due sabato al mese, da ottobre a giugno. I primi mentor di Bracciano (adulti appassionati di informatica): l’ingegnere Fabrizio Tringali, sua moglie docente di Arte e Sostegno Silvia Golino, due fisici , moglie e marito, Cristina Faricelli e Fabrizio De

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Fausti, nell’ottobre del 2015, nello Spazio del “Numero Magico” Centro di Assistenza allo Studio di Bracciano (Piazzale dell’Agraria), hanno aperto nella nostra cittadina una filiale della Coderdojo Foundation, originaria di Dublino in Irlanda. Dal mese scorso, gli incontri si sono trasferiti nell’edificio della Bic Lazio, molto più spazioso e attrezzato, per allargare il numero dei partecipanti, che di volta in volta, vengono iscritti dai loro genitori su una piattaforma on line. I mentor, creando un ambiente divertente, accogliente, simpatico e soprattutto stimolante, hanno insegnato il coding, a un primo gruppo di allievi che, nell’estate del 2016 hanno conseguito “la cintura bianca” (come quella delle arti marziali di cui il dojo è la palestra), dopo aver presentato un loro progetto informatico (un cartone animato interattivo), realizzato su tablet o laptop. Nell’ottobre 2016, nella settimana dedicata in Europa al Coding (European Code Week 2016), 4 ragazzi cintura bianca, 2 mentor e 2 genitori, hanno rappresentato il Coderdojo di Bracciano e l’Italia, nel Parlamento Europeo di Bruxelles. I loro progetti sono stati mostrati ai parlamentari e agli altri ragazzi provenienti dai Paesi della Comunità Europea, in un divertente scambio di idee sulla

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stessa piattaforma informatica internazionale: Scratch. L’amministrazione comunale di Bracciano ha voluto ringraziarli e, per l’occasionel’assessora alla Pubblica Istruzione, Roberta Alimenti, ha consegnato a nome del sindaco una targa, circondata dall’allegria festante di questo gruppo di ragazzi e dei loro mentor (adesso più che raddoppiati). Anche il Ministero della Pubblica Istruzione Italiano sta incentivando, dall’anno scorso, nelle scuole primarie e secondarie, l’apprendimento della codificazione a blocchi, perché si ritiene che faciliti e completi l’intera crescita formativa delle future generazioni. Il prossimo obiettivo dei ragazzi di Bracciano, che abbiano appreso le nozioni necessarie, alla fine degli incontri , il 10 giugno 2017, è scrivere e realizzare un progetto personale per acquisire la cintura bianca per i neofiti e la cintura gialla per i più esperti. E ci sarà un’altra occasione per il Coderdojo Bracciano di farsi onore all’estero. Infatti due future cinture gialle, Flavia (11 anni) e Giulia (10 anni) con il mentor Fabrizio D., parteciperanno il 17 giugno a Dublino, al Coderdojo Coolest Projects. Il loro progetto: “What do you know about the world? Play to find out...” (Cosa conosci tu del mondo? Gioca per scoprirlo...) è tra quelli selezionati in Europa. I ragazzi del “Coderdojo” (di 55 nazioni diverse) hanno un motto da rispettare: “Above All, Be Cool: bullying, lying, wasting people's time and so on is uncool”G(“Prima di tutto, sii in gamba. Fare il bullo, mentire e far perdere tempo agli altri non è da persone in gamba”). E questo, sicuramente, consente a questi “piccoli cervelli in crescita”, non solo di apprendere informatica o fisica, ma di essere esempio di sani principi. Quella mattina, al Bic, dove sono abituati a dare voce al futuro, ho avuto la sensazione inebriante di aver potuto respirare quel futuro, tra ragazzi, tanto ricettivi, e maestri, dediti a stimolare le loro potenzialità. Evviva il Coderdojo Bracciano! Be cool! Luigia de Michele Per informazioni : www.coderdojo.com e coderdojo.bracciano@gmail.com

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Vicario dovrà essere diligente in detto Ufficio e provvido nel governare considerando le cose presenti e provvedendo a quelle future, castigando e correggendo o esercitando l’equità del diritto e l’utilità della Comunità”. C’è un capitolo dello Statuto in funzione anti-corruzione intitolato “Che il Vicario durante il suo ufficio non possa avere o fare affari con gli uomini della terra”. Si precisa: “Che il Vicario della terra di Bracciano durante la sua mansione non possa comprare alcun bene stabile dagli abitanti di detta terra né ricevere donazione tra vivi di detti beni stabili né fare commerci e affari oltre la somma di dieci ducati, che ogni contratto e qualsiasi obbligazione fatte oltre i limiti della somma suddetta per se o altro nella persona dello stesso Vicario durante detto ufficio sia e debba essere nullo in forza del diritto e non valido”. Si precisa che al Vicario venivano corrisposti dalla comunità due ducati al mese quale compenso del suo lavoro nonché, gratuitamente, una casa nella quale esercitare il suo ufficio “nell’imporre l’amministrazione del diritto”. Precisa però lo Statuto: “se invece vorrà avere per la sua famiglia un’altra casa, lo stesso Vicario dovrà farlo con propria ricerca e a sue spese”. Facevano gerarchicamente riferimento al Vicario i Massari, chiamati in seguito Priori, che venivano nominati dal duca su indicazione degli stessi Massari. O meglio, alla scadenza del loro mandato, i Massari in carica, in numero di 4, indicavano al signore una terna di nomi ciascuno, all’interno della quale il duca sceglieva poi coloro che sarebbero subentrati nella carica. È questa la prima forma di rappresentanza dei cittadini dal momento che i Massari erano espressione e portavoce degli interessi della comunità. Erano i Massari, o Priori, che dovevano sovrintendere a tutte le attività di pubblica utilità e lo facevano tramite incaricati specifici di settore da loro nominati. Appena eletti, infatti, provvedevano a nominare i responsabili delle varie attività che comprendevano: i Viali, di norma due, che si occupavano di tutte le problematiche connesse alla viabilità, i Santuari o Santesi che curavano tutte le attività connesse al culto, dalla costruzione di edifici alle feste religiose, i Ponitori, cioè incaricati del controllo dei prezzi e delle attività commerciali, i Revisori dei danni dati, che stimavano i danni arrecati o subiti da persone o dagli animali, gli Straordinari, che avevano il controllo di pesi, misure e fonti d’acqua, i Vallati, che vigilavano sui campi, specie uva e frutta, soprattutto nei momenti della raccolta, per evitare ruberie, i Custodi delle messi, appositamente incaricati di vigilare sui campi seminati, i Sindaci, in quattro, che controllano l’operato dei Massari precedenti e l’amministrazione comunale corrente. A monte della rappresentanza cittadina c’era poi il Consiglio comunale, composto

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da 40 persone, con il quale i Massari si rapportavano per una condivisione delle decisioni più significative. Volendo fare un confronto con le istituzioni moderne la figura del Vicario si può paragonare ad un misto di Prefetto/Pretore/Sindaco a cui riferiva una giunta esecutiva, composta dai Massari, espressione di fatto anche se non di diretta emanazione del Consiglio comunale, che a sua volta agiva tramite assessori o consiglieri delegati, i vari Viali, Santuari ecc.. Tutta la vita cittadina era permeata da una grande religiosità, certamente anche molto formale ma fortemente vissuta dalla totalità della popolazione. A cominciare dal Vicario e dagli altri amministratori che, prima di iniziare il loro mandato, dovevano giurare sul Vangelo davanti all’altare maggiore del duomo dedicato a S. Stefano. Tutti gli amministratori, inoltre, dovevano partecipare alle messe solenni celebrate in occasioni delle festività religiose, festività che scandivano la vita cittadina e costituivano veri e propri punti di riferimento, sia temporale che sociale. Durante le festività infatti venivano sospese tutte le attività pubbliche e vigeva l’obbligo di non lavorare, pena la corresponsione di multe che variavano di intensità in relazione all’importanza del santo festeggiato. Erano previste particolari eccezioni nei casi di urgenze e necessità agricole ma occorreva richiedere e ottenere un apposito permesso se non si voleva incorrere nelle multe. Anche le varie botteghe ed esercizi commerciali dovevano rimanere totalmente chiusi nelle festività più importanti, mentre in quelle minori era consentita la vendita a condizione che avvenisse dopo la messa solenne e con la porta chiusa, cioè la bottega poteva essere aperta solo a richiesta dell’utente. Anche le ingiurie o bestemmie verso Dio o i Santi erano colpite da pene pecuniarie graduate in relazione a chi erano indirizzate: Dio e la Madonna erano messi sullo stesso piano con la previsione della multa maggiore, multa che veniva ridotta se la bestemmia era rivolta agli Apostoli e ulteriormente ridotta nei confronti degli altri Santi. Ma ad aggravare la pena contribuiva anche la circostanza ed il tempo in cui si verificava. La pena veniva infatti raddoppiata se si bestemmiava nei giorni festivi o solenni, in chiesa od in luogo sacro, o alla presenza delle autorità. Il rispetto religioso dei luoghi sacri e delle festività era accompagnato anche da un vincolo di carità e di assistenza nei confronti dei più deboli derivante appunto da una visione mistica oltre che sociale. Uno dei compiti particolari del Vicario, infatti, era quello di assistere i minorenni e le vedove. Anche il ruolo e l’essere stesso della donna risentiva del pregiudizio tipico dei teologi del tempo: la donna era considerata non pari all’uomo bensì come un essere inferiore e come tale andava trattata, anche quando sbagliava o commetteva reato. Le pene per i reati commessi dalle donne erano più lievi “…poiché la fem-

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mina è sempre varia e mutabile, poco pensatrice del passato, niente previdente dell’avvenire, e siccome animale imperfetto non pensa perfettamente alle buone cose o a quelle che portano ai delitti e ai malefici di modo che non debbano conoscersi e punirsi siccome quelli dell’uomo, così la donna che delinque o commette maleficio nel modo e nei casi non specificati nel presente Statuto contro alle stesse donne sia punita con metà della pena colla quale verrebbe punito l’uomo che facesse o commettesse simili delitti o malefici, e per la detta pena sarà tenuta a pagare colla sua dote o con i suoi beni”. In compenso, però, era tutelata sia la violenza fisica che l’ingiuria verbale rivolte alle donne, con tutte le eccezioni del caso dal momento che una diversa posizione sociale consentiva regole diverse. Se infatti un uomo stuprava una ragazza era obbligato a sposarla a meno che non fosse già sposato, consanguineo o di diverso ceto sociale. L’organizzazione commerciale era limitata a poche categorie quali pizzicaroli, osti, speziali, sarti, calzolai ecc., e presentava aspetti abbastanza singolari. Innanzitutto veniva assicurato al cittadino un servizio ed un controllo dei prezzi e delle misure. Per i beni di primaria necessità, farina e carne, i prezzi erano addirittura imposti. Sia il mulino che il macello, infatti, erano di proprietà della comunità e venivano dati in gestione tramite un’asta indetta dai Massari all’inizio del loro mandato. Dalle norme contenute negli Statuti del tempo derivano anche le nuove strutturazioni dell’agricoltura della zona. Vennero stabilite le modalità sull’usufrutto degli usi civici che costituiranno poi la base delle moderne Università Agrarie, università intese come unione di beni e non di studi. La codificazione di queste agevolazioni si rendeva necessaria perché la stragrande maggioranza della popolazione non possedeva terreni di proprietà che, invece, facevano capo per massima parte al feudatario ed in misura rilevante agli enti o comunità religiosi, lasciando ai semplici cittadini solo le briciole e sempre con appezzamenti molto ridotti. Dopo le distruzioni seguite alle invasioni barbariche l’agricoltura era stata trascurata e con essa erano venute meno le varie agevolazioni. È dopo il 1500 che ci fu una rivalutazione della terra con l’estendersi delle coltivazioni verso prodotti fino ad allora sconosciuti, come la patata ed il pomodoro, importati in Europa dopo la scoperta dell’America. Tuttora i singoli Comuni hanno propri, moderni statuti che, però, hanno scopi, funzioni e strutture diversi rispetto al passato. Sono stati elaborati per definire l’organizzazione comunale prevalentemente a garanzia e tutela dei cittadini nel loro rapporto con la pubblica amministrazione, mentre i rapporti tra i cittadini stessi sono regolati dai codici civili e penali, uniformi su tutto il territorio nazionale. Il vigente statuto di Bracciano risale al 2008. Pierluigi Grossi

Gente di Bracciano


Di tanto in tanto è bene fare una pausa nella nostra ricerca della felicità ed essere semplicemente felici. (Guillame Apollinaire) risolti. Inoltre l’idea di felicità ci fa pensare quasi sempre alla nostra felicità personale, raramente a quella del genere umano, anzi spesso siamo indotti a preoccuparci pochissimo della felicità degli altri per perseguire la nostra. Dalla rivoluzione scientifica del 1500 abbiamo assistito a una serie sbalorditiva di conquiste dell’homo sapiens. La terra Il tema della felicità è entrato anche nell’agenda di molti è stata unificata in un’unica sfera storica ed ecologica. leader politici. In Francia è stata recentemente costituita una L’economia viaggia per bit e ha creato una ricchezza, sepcommissione di esperti col compito di studiare e “confezionapure pessimamente distribuita, un tempo riservata solo alle re” il “PIF”, prodotto interno felicità, avverso al “PIL”, misufiabe o alle corti dei re. La scienza e la rivoluzione industriale ratore solo di standard economici. Nel comune di Ceregnano, hanno conferito all’umanità poteri sovrannaturali, dall’abitare nel Polesano, è stato istituito l’assessorato alla felicità, lo guida Marte alla sua autodistruzione. La politica, la vita quotidiana, un’assessora. Nella giornata di insediamento è stato scritto il la psicologia umana si sono radicalmente trasformate. “programma” per raggiungere l’obiettivo: abbandoniamo lo Ma siamo più felici? Talora mi viene il sospetto che molti scontro, il pregiudizio, l’egoismo, l’intolleranza, la demagogia, dei problemi che ci affliggono, la crescita dei populismi nazioil calcolo, il cinismo, la vendetta, lo smarrimento, la stancheznalisti, la crisi dei valori, la resa alle seduzioni pubblicitarie, il za e il pessimismo. Dobbiamo dare forma al dialogo, all’ascolbisogno di farsi vedere in tv, la perdita della memoria storica e to, alla pazienza, alla mediazione, al ricucire, al riscatto, agli individuale, insomma tutte le cose di cui sovente ci si lamenta obiettivi, ai progetti, ai modelli, alla gentilezza e alla sobrietà. non ci facciano più felici di un contadino del medioevo, che Ma oggi, al di là del livello filosofico, cosa intendiamo con faceva una vita di stenti senza possibilità di migliorarla ma con l’espressione “persona felice”?. A uno zuzzurellone come me la speranza della trascendenza. E ritorna la domanda, che cos’è verrebbe da rispondere che ciascuno è felice a “suo modo”, per la felicità? Prendiamo un mito del nostro tempo: il denaro. ragioni “sue”, che variano da individuo a individuo nella sua Il denaro ci fa raggiungere la felicità? Un docente di econoirriducibile unicità e che quando ognuno di noi pensa, chi lo mia dell’Università. della California, parla de. “Il paradosso pensa, alla natura della felicità fa riferimento ad alcune cose della felicità” sostenendo, corroborato da ricerche in merito, concrete come: denaro, salute, serenità, intelligenza, cultura, che l’aumento della ricchezza non produce effetti.duraturi sul saggezza, amicizia, un’esistenza vissuta in pace con se stessi e benessere delle persone. Più precisamente allorquando aumencon gli altri. Poi mi è venuto da pensare che il mondo che più ta il reddito, la felicità umana aumenta fino ad un certo punto, promuove la felicità è quello della pubblicità e dei consumi, poi.diminuisce.gradualmente sostituita dalla “fregola” di accumulare nuova ricchezza. Le sue ricerche dicono che la felicità non può essere.qualcosa che l’individuo decide di procurarsi strumentalmente col denaro,.perché essa ha anche un fon(François-René de Chateaubriand) damento sodale, altruistico e. dinamico. Basta aprire un atlante e si può.desumere quanti indidove ogni proposta appare come un appello a una vita felice, la vidui, in molte parti del mondo, subiscono un destino che li concrema per rassodare il viso ab aeterno, il detersivo che finaldanna a non sperimentare mai la felicità. Anch’io credo che la mente toglie tutte le macchie, il divano a metà prezzo, l’amaro felicità non si compri con il denaro, seppure un vecchio detto da bere dopo la tempesta, la carne in scatola intorno a cui si riupopolare dica “meglio ricchi che poveri”, che sia una condizionisce la famigliola felice, l’auto che ti fa volare, bella ed econe raggiungibile solo entrando in sintonia con gli altri, non si nomica e un assorbente che permette di entrare in ascensore può essere felici da soli, pensa questo zuzzurellone incallito. senza preoccuparsi del naso degli altri. E che videoclip per catGià Aristotele affermava che chi è più ricco, più ha bisogno di turare la nostra attenzione, opere d’arte. Ma può esserci felicifilosofia, i ricchi non dominano il denaro ma ne sono dominati. tà quando siamo catturati? Il mondo della pubblicità e dei conLa maggior parte del pensiero filosofico ha riguardato e sumi studia senza sosta il nostro modo di pensare e volere, non riguarda la ricerca della felicità, domandandosi anzitutto quale c’è mai fine ai desideri, si può sempre indurre qualcuno a volesia la sua natura, tanto agognata quanto inafferrabile. re di più e di meglio, è un’aspirazione umana. Ma, dicono Cosa rende autenticamente felici? Il piacere sensibile, la molte ricerche in merito, la continua tensione a volere sempre capacità di realizzare in armonia i fini che ci proponiamo, la di più porta spesso all’ansia, alla preoccupazione di non farcecorrettezza morale, la serenità, o tutte queste misteriosamente la, insomma, a renderci infelici. Zuzzurellando con me stesso intrecciate insieme? Ma con quale metro si misura la felicità? ho pensato che la felicità si raggiunge quando si tocca il cielo Per rispondere alla domanda occorre almeno possedere un cricon un dito, ma è quasi sempre una situazione transitoria, epiterio di misura, e quale può mai essere tale criterio, se l'elenco sodica e di breve durata: è la gioia per la nascita di un figlio, delle cose che dovrebbero renderci felici è composto da eleper l’amato o l’amata che ci rivela di corrispondere al nostro menti tanto eterogenei e volatili? C’è anche chi propone una sentimento, magari l’esaltazione per una vincita al lotto, il ragtesi originale e apparentemente paradossale: la felicità produce giungimento di un traguardo (l’Oscar, la coppa, il campionato), infelicità a causa delle tante domande cui non sa dare risposte. persino un momento nel corso di una gita in campagna, ma sono tutti istanti transitori, dopo i quali o sopravvengono i momenti di timore, di preoccupazione per il nostro futuro o altri desideri che prendono il posto di quelli

Pessoa, in un suo celebre aforisma diceva che la vita è un viaggio sperimentale che inizia involontariamente…e che finisce misteriosamente, aggiunge lo zuzzurellone. La vita è un viaggio complesso e difficile. Ebbene, qual è la prima cosa che occorre determinare nell’intraprendere un viaggio? Certamente il suo scopo e lo scopo della vita è strettamente legato alla felicità. Ho sempre pensato di poter essere “contento” conquistando la libertà di poter scegliere la mia identità senza definirla in parole, ma aprendola ad atti che sfuggono all’alfabeto, che non potrà mai essere un metro di misura da conservare in cassaforte, come fece l'Assemblea nazionale francese, che approvò il 26 marzo 1791 la proposta di una definizione teorica del metro come 1/10.000.000 del quarto del meridiano terrestre che passava per Parigi. Quale metro adottare per definire la felicità? Da qui la mia perplessità sulle ricerche che intendono misurare il grado di felicità delle persone, se non c’è metro di misura che diavolo misurano? Poi arrivano i biologi e sparigliano le carte. Loro affermano che il nostro mondo mentale ed emozionale è governato da meccanismi biologici formatisi in milioni di anni di evoluzione: nervi, neuroni sinapsi. Insomma un po’ di pasticche di serotonina, ossitocina, dopamina e voilà, la felicità è a portata di mano. Il Prozac fa felici, non la conoscenza. Nessuno diventa felice perché raggiunge lo scopo della sua vita o, più semplicemente, perché ha vinto alla lotteria, ma solo quando sente sensazioni di piacere sul suo corpo. Va detto che poi ci sono i biologi moderati che dissentono e ammettono che in giuoco, oltre a nervi, neuroni e sinapsi esistono fattori etici e morali, che non si comprano al mercato delle illusioni. Alla fine della fiera mi viene da pensare che l’unico modo per essere felice sia quello di conoscere la profondità di me stesso, allontanando da me desideri e bisogni, entrando in solitudine con il mondo che mi accerchia con i suoi messaggi subliminali: una sorta di ibernazione della ragione e dei sentimenti. Niente cerco e voglio e non sarò infelice, almeno questo! Settantamila anni fa l’homo sapiens era ancora un animale insignificante in un angolo dell’Africa. Oggi è sul punto di diventare un Dio: nei laboratori di ingegneria genetica si lavora alacremente per raggiungere l’immortalità e abbiamo raggiunto la capacità di creare e distruggere. Creare un coniglio verde fosforescente, sogno di un bioartista brasiliano, è stato facilissimo, in un laboratorio hanno immesso nel gene di un coniglio bianco quello di una medusa verde fosforescente e voilà, le jeux sont fait. Per distruggere basta un dottor Stranamore, migliaia di bombe atomiche lo aspettano. Insieme negli ultimi decenni abbiamo raggiunto successi clamorosi per la riduzione della povertà, di carestie ed epidemie. Siamo più potenti di quanto siamo mai stati e, insieme, più irresponsabili che mai. Siamo Dei che si sono fatti da sé, ma esiste qualcosa di più pericoloso di animali insoddisfatti e irresponsabili, quali siamo oggi. Certo che l’homo sapiens è davvero uno strano animale. Arriva, attraverso la dichiarazione d’indipendenza americana, a scrivere il diritto delle persone alla felicità, poi, in quello stesso stato, legifera per togliere l’assistenza sanitaria ai suoi cittadini. Forse così saranno più felici? Sono felice di aver scritto queste zuzzurellonate. Francesco Mancuso

Zuzzurellopolis 1 Felicità

S

ono stanco di viaggiare per il mondo, odorando la rosa antica del mio giardino, ho pensato di zuzzurellare quietamente attorno a parole dense di riverberi problematici sulle nostre vite. La prima è: felicità. L’idea mi è nata leggendo un curioso e intrigante libro “Da animali a Dei” di Yuval Noah Harari. “A tutti gli uomini è riconosciuto il diritto alla felicità”. È questa l’enunciazione contenuta nella Dichiarazione d’indipendenza. Americana del 4 luglio 1776. Nella storia delle norme fondatrici di uno Stato è la prima volta che viene.sancito “il diritto alla felicità”. L’enunciato della Dichiarazione americana è una. rivoluzionaria affermazione di principio ma resta aperta una questione: cos’è la felicità? È da quando fu la luce che l’uomo s’interroga su questo quesito. La risposta della filosofia greca e di molti altri filosofi è che la felicità è lo scopo ultimo della vita, quello che ci fa stare bene con noi stessi. Nell’antichità classica la nozione e la ricerca della felicità.sono state.oggetto di varie dottrine che si possono ricondurre all’Edonismo che considera.il piacere fisico e immediato. come l’unico bene possibile e quindi fondamento della felicità. La concezione edonistica fu ripresa. da Epicuro (341–270 a.C.) che per primo ha trattato l’argomento in modo specifico. nella. “Lettera. sulla felicità”, rivolta a

La vera felicità costa poco: se è cara, non è di buona qualità. Meneceo, personaggio della mitologia greca. Epicuro si differenzia dall’Edonismo in quanto afferma che solo la filosofia e la conoscenza delle cose realizzano lo stato di felicità. Per Aristotele.(384-322 a.C.) la felicità deve essere un fine e non un mezzo e deve essere perseguita per quello che veramente è e non per ottenere qualcos’altro. Per. Emanuele Kant (1724–1804), filosofo tedesco, la felicità è la “coscienza della gradevolezza della vita che accompagna tutta l’esistenza di un essere. ragionevole”.. Secondo Kant le. persone dovrebbero meritare la felicità piuttosto che desiderarla. Il tema della felicità è anche.presente nella dottrina del Cristianesimo. Già nell’Antico Testamento si. afferma nei Proverbi (4:7) “Chi confida nel Signore è felice”. Ma chi credeva in altro, fino a poco tempo fa, rischiava il rogo. In verità i cuori si rasserenano al ricordo di Dio. (Corano, 13:28). Peccato che in nome di quello stesso dio si perseguita e assassina il cosiddetto miscredente. Un famoso scritto buddista, normalmente attribuito a Shakyamuni, recita: non esiste un percorso verso la felicità. La felicità è il percorso. Nel 1955 una setta di orientamento buddhista uccise 13 persone, ferendone a centinaia, propalando il sarin, un gas tossico, nella metropolitana di Tokyo. Nell’era moderna, a partire dalla stagione.dell’Illuminismo, la nozione di felicità ha assunto un significato sociale più ampio, interessando.anche la dimensione del.pensiero.sociale e politico, oltre che filosofico. Quel periodo è anche ricordato come quello del Terrore. Strano animale l’Homo sapiens.

Giugno 2017

Non esiste una strada verso la felicità. La felicità è la strada.

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Gente di Bracciano

Giugno 2017

(Confucio)

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Gente di Bracciano


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