Gente di Bracciano n. 21 Ottobre 2018

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Ottobre 2018 - numero 21


A Bracciano nasce una stella: Delia Scala

L’era della giustizia fai da te

I natali in una casa di via Palazzi. Indimenticata soubrette a fianco di Dapporto, Modugno, Manfredi, Panelli

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on è una sorpresa, dopo tanto parlarne alla fine è successo davvero, siamo arrivati al fenomeno aberrante di una sorta di giustizia fai-da-te: episodi violenti spacciati come affermazione di diritti negati, cittadini che si difendono da soli, che si autonominano giudici, poliziotti o, più genericamente controllori sociali e, in extremis, anche giustizieri. Incentivati da un governo massimalista che ha sdoganato l’intolleranza, sempre più persone sposano atteggiamenti in parte ispirati alle politiche americane rilanciate da Trump, in parte imbevuti di razzismo nostrano maturato all’ombra di un regresso culturale ormai conclamato. È sempre più diffusa l’opinione che sia giusto armarsi di fucile o di pistola e sparare a chi viola la proprietà privata, e su questo il Ministro dell’Interno Salvini continua la sua campagna elettorale, mai conclusa nonostante la sua vittoria alle ultime elezioni, sbandierando la volontà di rivedere la legge sulla legittima difesa e speculando su problematiche sociali mai risolte che acuiscono il senso di insicurezza del privato cittadino. Nonostante i dati e le statistiche confermino che i reati, tra cui proprio i furti e le rapine, in Italia siano in costante diminuzione, in molte città la gente ha paura, non si sente protetta e, di conseguenza, propende ad una visione della giustizia “fai da te”. Quando lo Stato, le forze dell’ordine, le istituzioni cittadine non sono in grado di proteggere le “brave persone”, allora quelle stesse “brave persone” si armano trasformandosi in “Bounty Killer” e rivendicando il diritto di difendersi da sole contro tutto ciò che ritengono minaccioso e che si identifica facilmente con il diverso da sé: ladri, malviventi, stranieri. La paura si trasforma così in odio che, misto ad un malcelato razzismo ampiamente presente nella società odierna, trova negli immigrati un bersaglio privilegiato. Ad enfatizzare il fenomeno contribuiscono una serie di distorte campagne di informazione che portano alla creazione di altrettanto distorti paradigmi per cui i romeni diventano tutti ladri, i marocchini tutti spacciatori, le donne dell’Est tutte prostitute. Da un problema di sicurezza, si sfocia in un problema di razzismo, di intolleranza, di chiusura mentale verso lo “straniero”. È bastato che il centro-destra vincesse le elezioni, e il clima del Paese è cambiato quasi all’istante. La tendenza alla giustizia «fai da te», già presente nel clima culturale di questi anni, comincia a diventare un fenomeno sociale che si ripete in diversi luoghi e con diverse modalità, mettendo in evidenza tutta la sua pericolosità ed il suo portato di abusi, prevaricazioni, vendette private. La rabbia popolare di fronte all’impotenza delle istituzioni si alimenta continuamente dando vita ad una totale sfiducia verso le autorità che non vengono più riconosciute come punto di riferimento e vengono sostituite da principi individuali e completamente autoreferenziali. Senza arrivare a fatti di cronaca registrati in tutta Italia, come le spedizioni punitive nei campi di accoglienza di immigrati, o tentativi di linciaggio di malviventi colti con le mani nel sacco, basti pensare alla travagliata vita della scuola Elementare di Bracciano dove fioccano denunce per fatti inesistenti da parte di chiunque. Un esempio per tutti: ultimi giorni di scuola, due signore di passaggio vedono dalla finestra una maestra che tiene fermo un bambino agitato e cerca di farlo sedere. È il metodo che si usa per contenere crisi psicotiche ed impedire che il bambino possa

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farsi male da solo o aggredire gli altri. Le due signore, preoccupate dalla scena, non pensano minimamente di rivolgersi alla scuola segnalando il fatto e chiedendo spiegazioni, ma telefonano direttamente ai carabinieri e ai servizi sociali provocando un inutile parapiglia che si risolve in un niente di fatto, salvo l’aver creato un falso allarme ed aver fatto sprecare tempo prezioso a funzionari pubblici che potevano prestare la loro opera a casi di bisogno reale. È un caso tipico di controllo sociale selvaggio. Non ci si fida di nessuno, quindi si giudica e si condanna senza nessuna cognizione di causa, aumentando la confusione sociale in un panorama già di per sé estremamente confuso. La crisi di fiducia nelle istituzioni sembra aver raggiunto i suoi frutti più maturi con il risultato che la gente, sempre di più, tende a decidere in proprio le regole sociali ignorando esigenze, limiti ed opportunità necessarie alla vita di ogni comunità. Si tratta di una condizione drammatica che non può portare a niente di buono ed è di tutta evidenza che in mancanza di una rilegittimazione del ruolo delle istituzioni nessun provvedimento normativo sarà in grado di dare risultati, e la «giustizia fai da te» verrà sempre più percepita come l’unica strada percorribile. Perché la «giustizia fai da te», come la mafia, prospera dove lo Stato e più in generale le istituzioni sono assenti o sono percepiti come tali. In questo modo la prospettiva che si profila è quella di vedere sorgere, accanto allo Stato vero e proprio, già storicamente affiancato da una seconda forma di organizzazione nazionale, purtroppo non sempre antagonista, rappresentata dalla criminalità mafiosa, anche un terzo tipo di Stato, quello dei cittadini esasperati con un potenziale distruttivo decisamente inquietante. Biancamaria Alberi

Ladri di “erre” C’è chi dà la colpa alle pene di primavera. Al peso di un grassone che viaggia in autocorriera. Io non mi meraviglio che il ponte sia crollato. Perché l’avevano fatto di cemento “armato” Invece doveva essere “amato”. S’intende, ma la “erre” c’è sempre qualcuno che se la prende. Il cemento senza “erre”, oppure con l’“erre” moscia, fa il pilone deboluccio e l’arcata troppo floscia. In conclusione, il ponte è crollato a picco e il ladro di “erre” è diventato ricco. Passeggia per la città, va al mare d’estate, e in tasca gli tintinnano le “erre” rubate, Gianni Rodari (1962) A cura di Claudio Calcaterra

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ionda, Bella, Brava. Ma non sono le uniche B della vita di Odette Bedogni, in arte Delia Scala. Perché nella vita di una delle più grandi soubrette italiane c’è anche la B di Bracciano. È a Bracciano infatti che Odette è nata. Suo padre era un sottufficiale dell’aviazione. A Vigna di Valle faceva il collaudatore di aerei della Caproni, l’azienda pioniera nella costruzione di velivoli. L’imprinting a questa intelligente bimba si è avuto all’epoca delle scuole dell’infanzia a Bracciano. La piccola Odette - la mamma si ispirò per il nome alla canzone Odette, bella pupa di Parigi molto in voga all’epoca - nasce a Bracciano il 25 settembre 1929, in una casa in via Palazzi. Come per la stragrande maggioranza dei casi, venne alla luce con un parto fatto in casa. A “raccoglierla” fu l’ostetrica locale, la “sora” Maria Maggi Marini, nonna di Massimo Perugini. Il soggiorno braccianese è stato un po’ per Odette una meteora. Lei stessa in alcune interviste dice di non ricordarsi nulla dell’epoca braccianese, né a Bracciano, a parte qualche vago ricordo, non si registrano testiL’attice recitò a fianco di Eduardo, Modugno e tanti altri monianze dirette sui primi classica, l’impegno e la disciplina di quella anni della promettente interprete italiana. A 8 anni infatti la ritroviamo già allieva scuola, sono le fondamenta sulle quali pogdella prestigiosa scuola di ballo della Scala gia la folgorante carriera artistica di quella a Milano. Odette frequenta un corso della che è verrà poi considerata l’antesignana durata di sette anni offertole gratuitamente, delle soubrette italiane. Tanto che la TV una circostanza che convince il padre a non produce uno spettacolo tutto per lei: il opporsi più di tanto all’impegnativo ruolo Delia Scala story nel 1968. Un’ascesa che si deve in gran parte a di étoile in miniatura. Con la compagnia di balletto d’allora la Luigi Zampa, il regista che nota le sue quapiccola Odette danza in alcune produzioni lità artistiche e che le affidò una parte nel tra le quali La bottega fantastica di film Anni Difficili. Anche al grande Eduardo Gioachino Rossini e La bella addormenta- De Filippo non sfugge il suo talento. E Delia Scala entra nel cast di Napoli ta nel bosco di Pëtr Il'ič Čajkovskij. Probabilmente le solide basi di danza milionaria. Il 1954 segna per Delia Scala il

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debutto nella rivista con Carlo Dapporto in Giove in doppiopetto. Il primo di una serie di spettacoli che hanno fatto epoca. Indimenticato ed indimenticabile resta l’interpretazione al Sistina di Roma in Rinaldo in Campo (1966) di Garinei & Giovannini affianco di uno splendido Domenico Modugno. Dal teatro alla televisione per un attrice che ha ironia, sa cantare e ballare il passo è breve. Dopo il debutto televisivo nel 1956 è nel varietà Lui e lei assieme a Nino Taranto, nel 1960 con Nino Manfredi e Paolo Panelli è la conduttrice di Canzonissima. La vedremo di lì a poco anche duettare con Lando Buzzanca, suo alter ego in Signore e signora. Delia Scala non si fa mancare niente. E interpreta anche sit-com di successo tra le quali Casa Cecilia. Come in un triste contrappasso, la carriera in ascesa fa da contraltare ad una vita privata segnata da molti lutti. Odette-Delia vede morire tre dei suoi compagni di vita. Dopo il divorzio con l’ufficiale greco Nikiphorous Melitsanus si fidanza con il pilota diJFormula 1JEugenio Castellotti, che muore però in un incidente durante delle prove all’autodromo di Modena il 14 marzo 1957. È il 1966 quando si sposa con il viareggino Piero Giannotti, appassionato suo fan che non si era mai stancato di attenderla all’uscita degli artisti. Il marito nel 1982J muore per infarto a seguito di un incidente in bicicletta. Delia Scala si risposa due anni dopo con l’armatore livornese Arturo Fremura del quale resta vedova nel 2001. L’attrice si rimette in gioco per raccogliere fondi per la ricerca sul cancro. Un grave tumore alla mammella segna anche lei. La morte la coglie il 15 gennaio 2004 a Livorno. Delia Scala ha 74 anni. Tutta Italia la ricorda sempre per il suo sorriso, per i suoi balletti, per la sua grande ironia. Graziarosa Villani

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Fabrizio Aprile il campione

AAA Arsenico Acqua Accorgimenti

Canoista paraolimpico. Una vita di sfide. La prossima a Tokyo 2020 Bracciano tra i 121 Comuni Italiani interessati dal fenomeno a causa delle origini vulcaniche

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anni, con il vincolo però di recepire il nuovo limite nella legislazione nazionale entro due anni. È così che anche l’Italia si adegua con il DLgs n. 31 del 2 /2 /2001 che viene modificato ed integrato dal DLgs n. 27/2002. Teoricamente i nuovi limiti sarebbero dovuti entrare in vigore nel 2003 (dopo 5 anni dalla direttiva 98/83) ma la legislazione italiana prevedeva la possibilità di adottare delle deroghe, cioè la facoltà di posticipare di tre anni il rispetto del limite dei 10 microgrammi, mantenendo invece come limite i 50 microgrammi/litro. Di deroga in deroga, approvate anche dalla CE, si arriva al 2010 quando l’Italia chiede la terza deroga che però viene respinta dalla CE e si stabilisce che, a partire dal 1 gennaio 2013, l’arsenico contenuto nell’acqua potabile non debba più superare i 10 microgrammi/litro, come previsto dalla direttiva. Con l’avvento del 2013, pertanto, a Bracciano scoppia il panico perché i valori dell’arsenico consentiti nell’acqua superavano i parametri stabiliti, sia pure in misura modesta (circa 15 microgrammi/litro contro i 10 tollerati). Le autorità, quindi, sono costrette ad emanare ordinanze che vietano l’uso dell’acqua per scopi alimentari. È solo dalla situazione di disagio alla quale è costretta ad andare incontro che la popolazione (ma in parte anche i pubblici amministratori) ha percezione e si rende conto della gravità della situazione, nonostante già da ben 15 anni il rischio fosse stato evidenziato nelle direttive comunitarie e recepito nella legislazione. La problematica non viene presa con la dovuta attenzione forse perché non riguarda l’intero territorio nazionale bensì solo 128 comuni in tutta Italia, di cui 91 nel Lazio, per buona parte concentrati nel Viterbese, zona altamente vulcanica. Anche Bracciano rientra tra i comuni soggetti al superamento dei limiti consentiti ma i valori sono meno drammatici rispetto ai centri del Viterbese. Le percentuali rilevate a Bracciano, come già accennato, si aggirano intorno ai 15 microgrammi/litro, superando quindi di poco il limite di 10, considerato di sicurezza, mentre altri paesi del viterbese vanno anche oltre i 50. Per abbattere le percentuali di presenza dell’arsenico e portare i valori nei limiti legali, occorre far ricorso a particolari strumenti, i dearsenificatori, che sono macchinari dotati di filtri specifici per rimuovere l’arsenico presente nell’acqua. Oltre a quelli “industriali” utilizzati per gli acquedotti, sono reperibili sul mercato anche piccoli impianti domestici di dearsenificazione da applicare ai rubinetti di casa. Altro intervento praticato è quello di miscelare le acque di pozzi che attingono da sorgenti con diversa e più bassa concentrazione di arsenico, in modo che la miscelazione, nella media, abbatta la percentuale della sorgente con valori più alti. Il fenomeno dell’arsenico nell’acqua, quindi, va considerato per la sua natura, senza alcun allarmismo particolare, fermo restando, però, il continuo monitoraggio e la messa in atto di misure idonee a salvaguardare la salute, monitoraggio che oggi avviene con periodicità ravvicinata da parte delle autorità sanitarie. Pierluigi Grossi

a un po’ di tempo se ne parla più poco ma, anche se l’argomento non è più attuale, ciò non significa che il problema della presenza dell’arsenico nell’acqua sia stato risolto definitivamente, perché non lo sarà mai dal momento che si tratta di un fenomeno naturale. L’arsenico, infatti, è un elemento presente nel sottosuolo, soprattutto se questo è di origine vulcanica, e l’acqua, fungendo da solvente, lo scioglie dalle rocce trascinandolo al loro interno e questo è un processo che non può essere impedito. La presenza dell’arsenico non rimane circoscritta all’acqua ma, attraverso l’acqua, l’arsenico penetra anche negli alimenti. Prima di entrare nel merito e nei particolari, è opportuno precisare che, in questa sede, l’argomento viene affrontato non dal punto di vista medico ma solo amministrativo, cioè viene proposta una cronistoria delle decisioni e degli atti assunti negli anni dalle autorità nazionali, europee e dagli organismi internazionali, a dimostrazione di come l’emozione del momento possa enfatizzare problematiche serie alle quali, invece, non si riserva per decenni la dovuta attenzione preventiva. Per l’aspetto medico si puntualizza soltanto che l’arsenico è certamente dannoso e cancerogeno se ingerito in quantità elevate, ma poco significativo se assunto in modeste entità. In una trasmissione televisiva il professor Matteo Vitali, docente di Igiene dell’Università La Sapienza, ha asserito che l’arsenico è classificato come cancerogeno di primo livello ma la sua pericolosità dipende dalla quantità della sostanza che si assume e dalla durata del tempo, ritenendo che il rischio di insorgenza del tumore possa considerarsi prossima allo zero in presenza di basse concentrazioni. Ripercorriamo, pertanto, l’iter normativo storico che aveva portato l’arsenico alla ribalta della cronaca, creando un allarmismo forse eccessivo, quando invece la problematica era stata sottovalutata per decenni. Per quanto riguarda l’Italia, come ormai avviene per molti settori e campi, le norme generali che regolano le attività vengono dettate dalla Unione Europea per essere poi trasferite e adattate nelle varie legislazioni nazionali. La prima direttiva comunitaria concernente la qualità delle acque destinate al consumo umano è la n. 778 del 15 luglio 1980. In questa direttiva vengono precisati i valori di tolleranza di alcuni elementi presenti nell’acqua e, per quanto riguarda l’arsenico, viene fissato il tetto di 50 microgrammi al litro, stessa tolleranza stabilita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). Per avere una idea di quanto possano essere elevati i valori di concentrazione, si precisa che i primi casi di studio sui danni dell’arsenico si sono svolti all’estero, in Paesi dove la percentuale era presente in misura di 500-1000 microgrammi/litro, cioè superiore di 10/20 volte quella indicata dalla OMS. Con la direttiva 98/83 del 3/11/1998 la Commissione Europea (CE) abbassa il limite di tolleranza portandolo da 50 a 10 microgrammi al litro, consentendo agli Sati membri di adeguarsi entro 5

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ono le 18,30, sono a casa di Mena e Claudio in attesa di Fabrizio, la persona da intervistare per il prossimo numero di Gente di Bracciano, sono insieme a Vittoria, la mia compagna. Mi hanno raccontato qualcosa di lui: Fabrizio è un campione di paracanoa, mi hanno detto Mena e Claudio, ho navigato su Google e ho trovato le sue imprese ai campionati del mondo di paracanoa, è un ragazzone alto, fisico possente, un volto tondo, a volte grave, a volte aperto, spesso sorridente, capello corto e una simpatica barba a incorniciare i suoi umori, a Fabrizio manca una gamba. Arrivano puntuali, lui, la sua compagna e il suo coach. Sento subito sciogliersi la tensione che mi ero portato dietro, non è mai facile raccontare persone a cui la vita ha consegnato destini doloranti ma è sparita quasi subito, quando ci siamo dati la mano ho sentito una stretta decisa, forte, calda, e ho saputo che stavo incontrando una persona speciale. Ci siamo seduti attorno a un tavolo dove Mena e Claudio avevano preparato una crostata visciolana e delle pastarelle assassine, un tripudio di gola e colesterolo. Intanto viaggiavano parole incrociate, sembrava che ci conoscessimo da sempre. Ho iniziato chiedendo a Fabrizio di parlarmi di sua madre e di suo padre, mi ha sorriso come soltanto i veri timidi sanno sorridere, era il sorriso che sorge dalle miniere dei ricordi antichi che sono dentro di noi…mamma, Bettucci Anna, è di Bracciano, ha cinquantadue anni, prima di sposarsi faceva la segretaria, poi, quando siamo nati io e mio fratello Enrico, più grande di me di cinque anni, si è dedicata alla nostra cura, mio padre, Mario Aprile, è un importato…ho un leggero sobbalzo, smetto di scrivere e lo guardo curioso, Fabrizio si apre a un sorriso divertito e…sì, lui è brindisino, è arrivato a Bracciano seguendo il fratello che era maresciallo all’aeroporto di Vigna di Valle, qui prima ha fatto il fornaio, poi il manovale, fino a mettersi in proprio mettendo in piedi un’impresa tutta sua…Fabrizio si ferma, allora gli chiedo di raccontarmi qualche marachella storica, si fa grave e si schernisce…no, ne ho fatte troppe e di tutti i colori, però posso raccontarti quando mi sono bucato la testa, io ho sempre avuto passione per la meccanica, sono arrivato a costruirmi un kart roboante, ma questo quando ero già grande, ma a sei anni già mi dilettavo a costruire carretti per correre in discesa, cercavo passeggini in disuso e prendevo le ruote, rimediavo assi di legno…la descrizione dei suoi lavori è clinica, scientifi-

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Fabrizio in canoa

ca, mi parla di perni di rotazione nelle ruote anteriori, delle cavicchie da mettere non so dove, forse di un chiodo che doveva servire da freno, o forse no!, nella sua descrizione c’è la fotografia del suo lavoro, io, invece, sto un po’ in pallone, non riesco a montare i pezzi, la meccanica mi è sempre un po’ sfuggita…quando costruivo questi aggeggi non arrivavo neanche al lavandino, poi, una volta, mi sono buttato giù per una discesona, mi sono ribaltato e il chiodo mi ha bucherellato la testa, sangue tanto, paura poca, la passione me l’ha trasmessa mio nonno che smanettava sempre legno, ferro, saldature, chiodi e dintorni, era un Archimede Pitagorico, già faceva i motori a magnete, io ero un bambino ombroso, non avevo tanti amici, loro erano tutti fissati con il pallone, mentre io stavo sempre dietro alle mie costruzioni…si ferma un attimo, mi guarda con aria simpaticamente maliziosa e…ma sì, una marachella voglio proprio raccontartela, ai diciotto anni ho cominciato ad usare l’automobile di mamma, però mi dava orari, mi chiedeva sempre che percorsi facessi e mi controllava i chilometri che facevo, allora è entrato in azione il novello Archimede Pitagorico…e giù a raccontarmi clinicamente, scientificamente come faceva, e io di nuovo in allegro pallone, mi ha parlato di un volante che si apriva, delle mani che s’infilavano verso il bilancere del contachilometri, di un fusibile assassino che spe-

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gneva tutto…dovevo stare solo attento ai tubi dell’olio, troppo bollenti, dovevo aspettare una quindicina di minuti, poi tac e il contachilometri si fermava ai tre chilometri di andata e tre chilometri di ritorno che corrispondevano alla mia dichiarazione di percorso, il resto gratis, non so quanti chilometri in più abbia fatto la povera automobile di mamma…si ferma contento di avermi raccontato una marachella, allora gli chiedo come se la cavasse a scuola e delle sue maestre, ci pensa un po’ e…delle maestre non desidero parlare, sai a scuola facevo pochissime assenze ma solo fisicamente ero lì, la testa era sempre a sognare, sai posso raccontarti ogni centimetro del giardino della scuola, c’era un corridoio lungo…forte Fabrizio, anche questa narrazione è clinica, scientifica, lunghezza del corridoio, postazione di un armadietto davanti al giardino e lui per ore lì ad guardarlo, mi avventuro a chiedergli quali bellezze nascondesse quel giardino…solo erba… secco e fulminante…alla fine mi sono diplomato come perito elettronico all’istituto professionale di Viterbo, sai a quattordici anni mi sono chiesto quale strada prendere, io avevo passione per la meccanica ma il progresso camminava tutto sull’elettronica, peccato, oggi non ci sono più meccanici ma a Anguillara è rimasto un tornitore, non sa più a chi dare i resti, ora se si rompe una flangia bisogna comprare tutto il pezzo e perché?

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Politica e Scuola

Fabrizio vincitore

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aro ministro dell’Interno Matteo Salvini, ho letto in un tweet da lei pubblicato questa frase: “per fortuna che gli insegnanti che fanno politica in classe sono sempre meno, avanti futuro!”. Bene, allora, visto che sono un insegnante, le vorrei dedicare poche semplici parole, sperando abbia il tempo e la voglia di leggerle. Partendo da quelle più importanti: io faccio e farò sempre politica in classe. Il punto è che la politica che faccio e farò non è quella delle tifoserie, dello schierarsi da una qualche parte e cercare di portare i ragazzi a pensarla come te a tutti i costi. Non è così che funziona la vera politica. La politica che faccio e che farò è quella nella sua accezione più alta: come vivere bene in comunità come diventare nuovi cittadini, come costruire insieme una polis forte, bella, sicura, luminosa ed illuminata. Ha tutto un altro sapore, detta così, vero?

Ecco perché uscire in giardino e leggere i versi di Giorgio Caproni, di Emily Dickinson, di David Maria Turoldo è fare politica. Spiegare al ragazzo che non deve urlare più forte e parlare sopra gli altri per farsi sentire è fare politica. Parlare di stelle cucite sui vestiti, di foibe, di gulag e di tutti gli orrori commessi nel passato perché i nostri ragazzi abbiano sempre gli occhi bene aperti sul presente è fare politica. Fotocopiare (spesso a spese nostre) le foto di Giovanni Falcone, di Malala Yousafzai, di Stephen Hawkings, di Rocco Chinnici e dell’orologio della stazione di Bologna fermo alle 10,25 e poi appiccicarle ai muri delle nostre classi è fare politica. Buttare via un intero pomeriggio di lezione preparata perché in prima pagina sul giornale c’è l’ennesimo femminicidio, sedersi in cerchio insieme ai ragazzi a cercare di capire com’è che in questo paese le donne muoiono

così spesso per la violenza dei loro compagni e mariti, anche quello, soprattutto quello. È fare politica. Insegnare a parlare correttamente e con un lessico ricco e preciso, affinché i pensieri dei ragazzi possano farsi più chiari e perché un domani non siano succubi di chi con le parole li vuole fregare, è fare politica. Accidenti se lo è! Sì, perché fare politica non vuol dire spingere i ragazzi a pensarla come te: vuol dire spingerli a pensare. Punto. È così che si costruisce una città migliore tirando su cittadini che san-no scegliere con la propria testa. Non farlo più non significa “avanti futuro”, ma ritorno al passato. È il senso più profondo, sia della parola scuola che della parola politica, è quello di preparare, insieme, un futuro migliore. E in questo senso, io faccio e farò politica in classe. Enrico Galiano A cura di Claudio Calcaterra

I braccianesi alla Grande Guerra

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er ricordare i caduti braccianesi nella prima Guerra Mondiale, si terranno a Bracciano due commemorazioni, la prima nell’ ex “Misericordia” in Piazza I° Maggio dal 1° al 4 novembre, la secondaJnell’Aula Magna del Liceo Scientifico Statale “Ignazio Vian” di BraccianoJa partire dal 6 novembreJper altre giornate di seguito. Si potranno conoscereJtutti i caduti di Bracciano, in ordine alfabetico e di data di morte,Ji loro dati anagrafici, i luoghiJe le battaglie che hanno visto il loro sacrificio, le eventuali onorificenzeJmeritate, iJcorpi nei quali erano inquadrati e ilJloro percorso bellico dal quale è possibile ripercorrere tutta la storia della Grande Guerra. Si potranno conoscere anche quegli eroi che hanno dato lustro al paese tra cui il tenente FrancescoJArcioniJal quale la Guardia di Finanza ha dedicato la sede del Comando Regionale Lazio sulla via Nomentana. Potremo leggere le lettere inviateJdai fratelli Satolli che testimonieranno la presa di Gorizia, quelle inviate dal fronte francese da Plinio Perugini che richiedeva notizie del figlio, che non aveva potuto conoscere e richiedeva la carta per poterJrispondere e mandare notizie.JSaranno esposte riviste d’epoca, articoli di giornali, libri, stampe, documentazioni varie, divise e reperti militari messi gentilmente a disposizione da collaboratori appassionati.JJUna particolare attenzione è stata riservata al II Corpo di Spedizione Italiano in Francia a aprile-maggio 1918Jdel quale hanno fatto parte ben quattro concittadini, di cui tre non sono tornati.JDue erano fratelli e militavano nella stessa compagnia del 52° Reggimento della Brigata ALPI in compagnia del tenente lanciafiammeJCurzio Malaparte che rese immortali quelle giornate nell’ode I morti di Bligny giocano a carte, mentre un altro paesano militava nel 19° della Brigata BresciaJche registrava anche l’anziano fante volontario Giuseppe Ungaretti che in quei boschi di Francia compose l’insuperabile “Soldati”.JTutta la documentazione è stata raccolta in anni di ricerca da parte di Massimo Perugini che curerà la mostra con spiegazioni e conferenze e che ringrazia tutte le istituzioni e gli amici che collaborano all’iniziativa.

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coperto solo da una leggera tuta sportiva e si buscò tre sciacquoni d’acqua fredda, gelata, pensai “questo è più matto di me”, ma sapevo che era il modo migliore per capire se la canoa poteva essere la valvola di sfogo che Fabrizio stava cercando …scrivo affannato sul mio quaderno acchiappaparole il racconto di Frankie e mentre scrivo le ultime sillabe sento Fabrizio che interrompe Frankie, ha ascoltato in silenzio, amorevolmente, con il volto divertito …sai, io sono un tipo che non s’arrende, ho sentito la sfida di quella barca lunga e stretta che viaggia come una frusta e ho sentito che avevo incontrato quello che mi serviva, sono andato su internet e ne ho comprata una, l’ho tutta riverniciata e via a sfidare il lago e me stesso, era una barca costruita per due gambe così all’inizio ho trottolato a lungo sotto gli occhi divertiti ma presenti di Frankie che continuava a stimolarmi e darmi dritte per governare la mia orca assassina, e sì, gli diedi questo nome perché l’avevo riverniciata nera e la sua sagoma in acqua ricordava proprio quel simpatico cetaceo, andavo culo culo sulle onde con il mio coach e presto cominciai a governarla, a sentire l’ebbrezza del suo scivolamento sulle acque del lago ma per me era solo il mio antistress, forzavo poco la pagaiata appagato dalle sensazioni che la canoa riusciva a donarmi…incuriosito gli ho chiesto quale fu la sua prima gara, avevo visto su internet che Fabrizio era un campione di paracanoa: settimo ai campionati del mondo …a Mantova sul Mincio… aspetto un po’, spero che mi dica il risultato della gara, invano. Fabrizio è dotato di una superba modestia per cui è Frankie a dirmi che vinse, così come accadde alla Meloria …a me non interessava vincere ma curare il mio stress, però i risultati crescevano e insieme i simpatici mostri dello sport agonistico, è così che seppi che potevo fare di più, molto di più, anche risultati importanti… discutiamo un po’ io, Fabrizio e Frankie su questo modo di affrontare la competizione ed è bello quello che mi

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dicono entrambi …la canoa è uno sport particolare, c’è l’antagonismo, il desiderio di mostrare quanto vali ma l’altro non è mai un nemico da vincere, la sfida è con te e tuoi limiti, le tue potenzialità… poi Fabrizio riprende a parlare …io non ho ancora deciso dove voglio e posso arrivare, devo tenere conto di tante cose attorno a me e la canoa non è ancora così esaustiva, così presente da farmi dimenticare la vita che conduco con Rita e Valerio, il mio caro figliolo, anche se mi lascio aperte tutte le porte …a questo punto interviene Frankie, quasi l’alter ego di Fabrizio …Fabrizio è un campione ma non deve stressarsi, non devo stressarlo, lui deve regalarsi qualcosa in più, certo deve dimagrire un po’… e nel dire questo infila in bocca uno dei pasticcini assassini di Mena al che gli dico che non vale, ci ridiamo sopra, siamo ormai quasi una band di amici al bar dove si raccontano emozioni e anche piccoli segreti del nostro stare al mondo. Poi Frankie fa l’elenco dei risultati di Fabrizio: 2017 campione italiano nei 200, 500 e 1.000, poi la coppa del mondo a Szeged in Ungheria, va in finale ed è 8°, poi il campionato europeo a Belgrado, va in finale ed è 6°, poi i mondiali a Montemor o Velho in Portogallo, va in finale ed è 7°, lo interrompe Fabrizio e racconta un fatto che dice di sé più di mille parole …in una gara dove concorrevano insieme normali e paranormali arrivai terzo assoluto ma mi premiarono come primo dei paranormali, non apprezzai affatto quella medaglia, volevo quella di bronzo della classifica generale… siamo alla fine della cavalcata e mi viene in mente una metafora di un vecchio saggio che m’è sembrata raccontasse molto del nostro incontro: la metafora narra che la meta è il viaggio stesso, non il porto finale, il viaggio è importante, in esso cresciamo, ci modifichiamo, evolviamo, grazie Fabrizio. Chiudo il mio quaderno, ci periamo un altro po’ di meraviglioso colesterolo al cioccolato, ci raccontiamo un po’ ma vedo Frankie che macina qualcosa, sento che deve

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Fabrizio e suo figlio Valerio

dirci qualcosa che gli preme …Fabrizio è un po’ anche una mia sfida, può e deve regalarsi di più ma esiste un problema, gli atleti per raggiungere traguardi importanti hanno bisogno di stare tranquilli nella vita, nella paracanoa si vince solo la medaglia e quando va bene, il resto è a carico dell’atleta e di chi lo sostiene, gli sport “normali” hanno dietro sponsor importanti: l’esercito, le fiamme oro, polisportive collaudate, attività private che si rifanno con l’immagine che le tornano indietro e quant’altro, Fabrizio ha Dragolago, tanta passione e mezzi limitati… sarebbe bello se Bracciano, Trevignano, Anguillara offrissero l’opportunità di far sentire al circolo e a Fabrizio la loro presenza, ma non di fiori c’è bisogno bensì di opere di bene, spero che questo incontro possa stimolare i comuni, i commercianti, le attività produttive lacustri, privati cittadini a investire su l’uomo della paracanoa, qui nato e cresciuto, per sostenerlo alle prossime Olimpiadi... pensate, Bracciano, il suo lago, il suo castello che possono dire al mondo: su queste acque è nato e cresciuto un campione olimpionico, detto tra noi anche un ritorno d’immagine eccezionale che non guasta mai anche nei sogni più intimi e personali. Grazie Fabrizio, grazie Rita, grazie Frankie, a Tokyo saremo con voi!!!!!!!!!!!!!!! Francesco Mancuso

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quei tempi la natura e molte specie animali sovrastavano l’uomo. Campare era un impresa complicata, le energie e i pensieri dell’uomo preistorico erano tutti dedicati alla sopravvivenza e, per di più, camminando per lungo tempo su quattro zampe. Ci vollero secoli di incroci tra le varie famiglie di quei tempi, macachi, gibboni, babbuini, scimpanzé, gorilla, oranghi, per arrivare a noi. Mi fa piacere pensare al mio antico avo che se ne stava sugli alberi a procreare, mangiare foglie, spidocchiarsi e passare così la giornata, sempre benedetta quando arrivava vivo al sonno ristoratore. Poi l’Africa e l’Europa furono sconvolte da formidabili eventi che la natura si divertì a disegnare, fu così che l’uomo africano arrivò in Europa. Il dna di quei nostri antenati ci dice che noi siamo loro pronipoti, malgrado noi. Poi flussi migratori numerosi come le stelle, alla ricerca di una vita migliore, un desiderio dell’uomo irrefrenabile, inarrestabile. Uhm!! Forse bisogna aggiungere le vie della guerra, Alessandro Magno, i Romani, Gengis Khan per dirne qualcuno, che traversavano mondi e così le genti vincenti si mischiavano con quelle vinte…ariuhm..sento che sono entrato in un campo minato…aiuto!!!

ono giorni che cerco un titolo, un tema per il nostro appuntamento con zuzzurellopolis, il settimo se non ricordo male. Nulla, buio. Ho navigato per giorni per siti, eventi curiosi, parole dispettose, nulla, buio. Intanto il mio amico interiore mi strillava che non sono tempi per zuzzurellare. Io ho cercato di dirgli che se anche viviamo in tempi sguaiati l’ironia rimane l’arma migliore per combatterli. E lui, di controcanto, a dirmi che esiste una soglia dove questo non è più vero, non basta più, occorre mettere la faccia per tentare di salvarci dalle barbarie. La goccia è scattata quando, navigando su youtube, mi è apparso il volto di un direttore di giornale che commentava il fatto dei due tredicenni a Pistoia che, entrati in possesso di una pistola, non ho capito bene se fosse un giocattolo o una pistola vera depontenziata, incontrando due persone di diversa colorazione della pelle hanno cominciato a inveire contro “lo sporco negro” sparando loro e ferendone due. Il giornalista che dava notizia del fatto era paonazzo, indignato, urlando che si stava superando la decenza colpevolizzando due poveri monelli innocenti “che volete, neanche sapevano quello che facevano”, ecco, in quel preciso istante ho sentito scattare un clic che mi ha chiesto di non zuzzurellare, ma di dire la mia, a voce alta. È così che mi è venuto in mente di scrivere tre brevi piè di pagina, annotazioni se volete ma forse è meglio dire tre esercizi d’igiene mentale.

Nel 1990 andai in Albania in seguito a un progetto europeo di aiuto per la formazione di una nuova classe dirigente dopo la notte della dittatura di Enver Hoxa. Trovai un Paese allo stremo. Non riuscirò mai a scordare i suoi bunker in cemento armato, costruiti a difesa del comunismo dal capitalismo. Ce ne sono 700.000 in un Paese grande poco più della Puglia. Non c'è luogo dove non facciano mostra di sé: lungo le spiagge, sopra le colline, all'entrata delle città, lungo le strade di collegamento e non sono riciclabili: alcuni di loro sono stati sommersi dalla terra, altri colorati, altri utilizzati come cabine, come ritrovi proibiti, come maleodoranti latrine, altri sono stati rovesciati per impossessarsi di qualche tondini di ferro che il tempo ha fatto uscire dalla camicia del cemento armato. Nel paese delle aquile Enver Hoxa comprò dai compagni cinesi un bunker quasi per ogni uomo adulto albanese in grado di imbracciare un fucile per difendere il paese dall’assalto del perfido nemico diceva, un delirio. Come controcanto devo raccontare di una cena memorabile. Era la cena d’addio dopo un mese passato insieme a una trentina di futuri dirigenti, tra noi si era sviluppato un sincero sentimento di fratellanza, così vollero, a me e ai miei amici tedeschi e spagnoli, anche loro lì per progetti europei, offrire una cena della loro tradizione: una pecora cotta per ore sottoterra su foglie di vite con sopra un fuoco allegro per cuocerla. Intanto giù bicchierini di un liquore autarchico che aveva il merito di torcere le budella e far sognare la mente. Era sera quando improvvisamente li vidi sparire. Li ritrovai tutti davanti al televisore, Canale 5 mandava in onda uno dei suoi spettacoli cochon, battute facili e soubrette in salsa similsexy. Ma lo spettacolo che più li affascinò fu la pubblicità: macchine sgargianti, profumi dionisiaci, gourmet inauditi, promettevano sogni proibiti, sogni desiderati. Era poco prima che la nave Vlora portasse ventimila disperati, assetati delle gioie promesse dallo schermo, a Bari…riporto le parole della moglie dell’allora sindaco, Enrico Dalfino “«…mio marito andò subito al porto, prima

3,7 milioni di anni fa un gruppo di ricercatori fece una scoperta che mise mattoni importanti per la scrittura di una storia dell’evoluzione dell’umanità: a Laetoli, a sud del parco di Serengeti in Tanzania, furono trovate le orme di due, forse tre ominidi in cammino verso zone dove la vita fosse meno dura di quella da cui venivano. Erano già orme di homo erectus: furono impresse sulla cenere che si era depositata in seguito all'eruzione del vicino vulcano Sadiman, poi la pioggia, immediatamente successiva all'eruzione, cementò lo strato di cenere trasformandolo in tufo che ricoperto nel tempo da altri depositi e sedimenti ne hanno consentito la conservazione, una piccola Pompei di milioni di anni fa. Da chi discendevano quei due-tre camminatori antichi? Ho sempre brigato per sapere se avessi avuto un nonno garibaldino o se fosse presente nelle canoniche del 1600 qualche atto che svelasse la mia provenienza, prima si nasceva e moriva senza lasciare tracce, almeno i comuni mortali. Mi è quasi venuta la febbre per interiorizzare le scoperte che archeologi e paleontologi hanno fatto per scrivere una storia, suffragata da prove o almeno da indizi così come sono riportate in un bellissimo libro di Piero e Alberto Angela, che affonda in milioni di anni fa, un arco di tempo inusuale per chi pensa al futuro in termini di qualche anno, di qualche decennio quando va bene, di giorno in giorno a volte. La storia dell’uomo moderno nasce nella parte sudorientale dell’Africa quando, a causa di disastri ambientali, cominciò a cercare climi più miti e terre più feconde. Ci mise del tempo, centinaia di secoli, per arrivare in Etiopia e poi in mezzo mondo, dove qua e là sono state rinvenute ossa sparse, crani, utensili che, con le moderne tecnologie, stanno permettendo la scrittura del viaggio dell’uomo verso la sua evoluzione. In

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Vanzetti pagarono con la vita il fatto di essere italiani. A Marcinelle morirono 262 minatori, quasi tutti italiani, per lo sfruttamento e l’incuria per quelle minime norme di sicurezza che occorre realizzare in una miniera. Insieme ci sono storie virtuose di italiani che portarono lustro ai paesi in cui emigrarono. Vado random e non so perché ma mi viene in mente che la Francia diventa campione del mondo di calcio grazie alla massiccia presenza di africani talentuosi. Vorrei essere chiaro. Sto cercando di scrivere pescando storie e parole da fatti, non da pulsioni che alimentano spesso il peggio di noi. Ed è questo che mi ha indotto a scrivere questi piè di pagina. Sento crescere attorno a me una marea montante che alimenta paure, che sdogana parole e fatti che la storia delle migrazioni dovrebbe aiutare a smorzare. Sento che la marea sta travolgendo ogni resistenza. Faremo i conti alla fine dello tsunami e nessuno sa quali conti saranno. Forse una nuova migrazione su Marte, sperando che non ci siano marziani a cacciarci via…sto delirando…aiuto!!!!!!!!!!

ancora che la Vlora sbarcasse. A Bari non c’era nessuno del mondo istituzionale, erano tutti in vacanza, il prefetto, il comandante della polizia municipale, persino il vescovo era fuori. Quando uscì di casa però non immaginava quello a cui stava andando incontro. Dopo qualche ora mi telefonò dicendomi che c’era una marea di disperati, assetati, disidratati, e aveva una voce così commossa che non riusciva a terminare le frasi. Non dimenticherò mai l’espressione che aveva quando tornò a casa, alle 3 del mattino. “Sono persone” - ripeteva “persone disperate. Non possono essere rispedite indietro, noi siamo la loro ultima speranza». La cronaca di quel viaggio è possibile leggerla in un libro inchiesta scritto da Turra Perperim: Il mare di ghiaccio, esodo albanese. Riporto le parole che scrissi nella notte prima del rientro per placare diavoletti maligni che allignavano nel mio stomaco ulcerato. “…Cecenia, Grozny, Inguscezia, Ruanda, Burundi, Sarajevo, Bihac, croati, sloveni, serbi, serbi-bosniaci, bosniaci, bosniaci musulmani, Tirana, Durazzo, montenegrini, tutsi, hutu, twa, ninos brasiliani, traffico d'organi dall'India, Algeria, fondamentalismi, islamici, cattolici, induisti, animisti, shintoisti, Jihad, razza, nazione, pallottole nere, potenza militare occidentale, curdi, Iran, Iraq, Turchia, Isis, desertificazione, Chernobyl, Bhopal, Fukushima, ....io consumo 365 kg di trash all'anno, lui muore di fame.....io sto in macchina, lui lava i vetri; piove e fa freddo ed io ho ragione, sono tollerante, pacifista, saggio...e so di vomitare parole di sangue.

Chiose finali e non Chiunque incontri è tuo fratello, figlio, figlia; non ci sono fratelli e sorelle di serie B, C e D. Su tutte le difficoltà riguardanti l’immigrazione, dico: diamo prima l’accoglienza e poi le difficoltà le affronteremo. (Don Andrea Gallo) Io mi sento responsabile appena un uomo posa il suo sguardo su di me. (Fëdor Dostoevskij)

Tra il 1861 e il 1985 hanno lasciato l'Italia, senza farvi più ritorno, circa 19.000.000 di italiani. Negli Stati Uniti, in Argentina, in Brasile, in Europa, alla ricerca di migliori condizioni di vita. A un ministro italiano che sollecitava i partenti a non andare via dalla nostra nazione un emigrante rispose: «cosa intende per nazione, signor Ministro? Una massa di infelici? Piantiamo grano, ma non mangiamo pane bianco. Coltiviamo la vite, ma non beviamo il vino. Alleviamo animali, ma non mangiamo carne. Ciò nonostante voi ci consigliate di non abbandonare la nostra Patria. Ma è una Patria la terra dove non si riesce a vivere del proprio lavoro?». Risposta di un emigrante italiano ad un ministro italiano, sec. XIX, riportata da Costantino Ianni - Homens sem paz, Civilização Brasileira, 1972, ed esposta nel Memoriale dell'immigrato di San Paolo. Nei primi anni dopo l'Unità d'Italia l'emigrazione non era controllata dallo Stato. Gli emigranti erano spesso nelle mani di agenti di emigrazione, tutti italiani, il cui obiettivo era fare profitto per sé stessi senza curarsi più di tanto degli interessi degli emigranti. I loro abusi portarono in Italia alla prima legge sull'emigrazione, approvata nel 1888, il cui obiettivo era quello di mettere sotto controllo statale gli organismi di emigrazione che, malgrado tutto, continuò fluente, inarrestabile, illegale. L’accoglienza nei paesi d’arrivo era dura, spesso astiosa, quando non sfociava nella violenza. E come tutti gli episodi di migrazione di massa arrivarono persone che si diedero da fare, cittadini fattivi e onesti, insieme a profittatori e criminali, chi può scordare Al Capone, Lucky Luciano e dintorni. Insieme, a New Orleans, nel 1891 ci fu un linciaggio di italiani per l’oscura morte di un poliziotto. Sacco e

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A te straniero, se passando mi incontri e desideri parlarmi, perché non dovresti farlo? E perché non dovrei farlo io? (Walt Whitman) Sono un cittadino, non di Atene o della Grecia, ma del mondo. (Socrate) Di fronte alla tragedia di decine di migliaia di profughi che fuggono dalla morte per la guerra e per la fame, e sono in cammino verso una speranza di vita, il Vangelo ci chiama, ci chiede, ad essere ‘prossimi’ dei più piccoli e abbandonati. A dare loro una speranza concreta. Non soltanto dire: “Coraggio, pazienza!…”. (Papa Francesco) Le porte possono anche essere sbarrate, ma il problema non si risolverà, per quanto massicci possano essere i lucchetti. Lucchetti e catenacci non possono certo domare o indebolire le forze che causano l’emigrazione; possono contribuire a occultare i problemi alla vista e alla mente, ma non a farli scomparire. (Zygmunt Bauman, la società sotto assedio) Beh! Vi saluto e in perfetto stile zuzzurellone e dichiaro che mi sento un po’ peggio…. Francesco Mancuso

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Il Duca Pescatore Paolo Giordano Orsini mette in rima la passione per la pesca

trattato di Federico II “De arte venandi cum avibus”, un manoscritto del XIII secolo conservato alla Biblioteca Vaticana, la pesca per i nobili rappresenta sicuramente un’arte “minore”. È quindi particolarmente interessante il sonetto LIII che riportiamo per intero: “Pesca con la rete detta giacchio”

Fabrizio e il coach Frankie

Fabrizio in canoa polinesiana

Perché non c’è più nessuno che sa fare flange…si ferma un attimo, aria grave e…beh! ho deciso di parlarti delle mie maestre alle elementari, erano vecchio stile, tiro della scarpa una e un anello che aveva una corona di spine, a mò di rosario, che ogni tanto usava per carezzare le nostre teste vagabonde l’altra, io ero buono ma vivace così qualche delizia l’ho provata anch’io…una pausa a richiamare ricordi e…sai l’anno che persi la gamba accaddero cose importanti…gli metto una mano sul braccio e con una voce antica gli chiedo se se la sente di parlarne, mi guarda dolcemente e…accadde il 27 ottobre del 2003, ero sulla Braccianese all’altezza dell’ospedale, c’era una fila paurosa, avevo diciotto anni ed ero in sella a una Cagiva 125, una smanettata e via a superarla, poi, all’altezza di via del Pero, un’automobile gira a destra, non riesco a evitarla, un brutto incidente, arrivo in ospedale con una frattura scomposta al femore, lì nel tentativo di ricomporla non si accorgono del sangue che si stava coagulando, i tessuti vanno in necrosi, la gamba in cancrena e la perdo…la voce di Fabrizio è appena venata dal dolore del ricordo, racconta il suo incidente con una tonalità molto vicina a quella che ha usato nel raccontare le sue costruzioni meccaniche, clinicamente, scientificamente, grazie a lui imparo che diavolo è l’imbibizione dei tessuti…sono stato in coma farmacologico per ottanta giorni, quando mi sono svegliato già sapevo cosa era successo, avevo le braccia immobilizzate e la voce non usciva, ma il pensiero mi narrava della nuova vita che avrei dovuto affrontare, ho preso atto della mancanza subìta e subito ho pensato a come reagire, io non mi arrendo mai, sono sempre alla ricerca delle mie potenzialità e dei miei limiti…nell’aria si sente commozione, ammirazione.0 Mena ha gli occhi lucidi, vorremmo tutti abbracciare Fabrizio, Rita, la sua compagna, lo guarda con occhi teneramente innamorati…solo in un momento mi sono ribellato alla perdita della mia gamba, mi sono alzato dal letto del-

l’ospedale pieno d’ira e ho provato a camminare come se avessi entrambe le gambe, volevo averle entrambe, fu mamma che m’impedì di rovinare a terra…gli chiedo se quell’anno perse l’anno scolastico…no, accadde una cosa meravigliosa, io andavo all’istituto tecnico a Viterbo e i miei professori cominciarono a vedere se c’era una legge che consentisse di farmi lezione a casa, forse sì ma ci voleva tanta di quella burocrazia che avrei comunque perso l’anno, non si arresero, due di loro a turno venivano a casa mia, da Viterbo a Bracciano e tutto senza che gli venisse riconosciuto quell’atto di solidarietà umana, pensa che quando dovevo fare qualche compito perché questo fosse valido servivano due testimoni, furono i miei compagni di classe ad aiutare i professori, mi volevano davvero tutti un gran bene, ricordo anche uno di loro che aveva perduto un fratello per un incidente come il mio, eravamo amici ma il fatto che io mi fossi salvato gli rese difficile continuare ad essermi amico come prima, mi dispiacque ma lo capii… s’interrompe un attimo e gli chiedo quale fu il suo primo lavoro …quando mi diplomai sognavo di aprire una piccola officina di tornitore ma mi resi conto che deambulando in carrozzella sarebbe stato troppo difficile, in quel tempo vinsi una borsa di studio e lavorai tre anni al comune, ero all’ufficio urbanistica e toccava a me fare uno screening dei documenti che occorrevano per le varie richieste che facevano i cittadini, poi era il responsabile dell’ufficio a portare avanti le pratiche, insomma facilitavo il suo lavoro e quello dei geometri…gli chiedo come si sentisse in quel lavoro…me faceva stà male, a me pesa più la penna che ‘l martello…gli dico che me l’immaginavo, che è meglio costruire razzi per andare su Marte che curare le scartoffie, ci ride sopra e…poi ho trovato lavoro in un negozio edile di Trevignano, certo non costruisco razzi ma alla fine del mese mi dà tranquillità e forza per affrontare il futuro…Rita ha seguito con occhi incantati la

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narrazione di sé di Fabrizio, così gli chiedo come è avvenuto il loro incontro …ci siamo trovati tutti e due per sbaglio in un posto dove non avremmo dovuto essere… ci metto un po’ a tradurre l’enigma, così, per darmi un tono, chiedo a Rita quando è scattata la scintilla dell’innamoramento …ma quale scintilla… risponde ridendo …gli sono stata appresso per un mare di tempo, io mi sono innamorata di lui al primo tocco di mezzanotte, m’incantò quel ragazzo aitante, quel bel moro con gli occhi incendiari, era vestito con jeans attillati e una camicia bianca e che spolvero le sue scarpe, bianche come la camicia… chiedo se hanno figli e Fabrizio monta su uno dei suoi calembour …me lo hanno regalato il giorno del mio compleanno, il 28 gennaio, Valerio è nato il 20 gennaio ma nacque con cenni d’itterizia e delle strane infezioni alle mani e ai piedi, fu solo dopo otto giorni che potei abbracciare il mio caro figlio… e la passione della canoa come ti è nata, gli chiedo …fu in un periodo difficile per me, vedevo sogni svanire, ero insopportabile, avevo bisogno di una valvola di sfogo, il lago m’è sempre piaciuto, c’era un collega di Rita che aveva il fratello che frequentava il circolo DragoLago, lì ho incontrato Frankie, in arte Francesco Mazzacane, che ora è il mio allenatore sportivo, ci siamo fatti due chiacchiere e m’invitò per il giorno dopo per fare un’uscita… Frankie lo interrompe e racconta che fu sfida al primo sguardo, il suo papà ebbe un incidente che gli procurò la stessa amputazione di Fabrizio, Frankie ha un bel volto, pulito, occhi accesi, un foulard civettuolo, la parola facile e anche lui guarda Fabrizio con amore, dice che per lui fu un incontro importante, lui che ama le cose difficili….racconta che per la prima uscita il tempo non li aiutò, tirava tramontana e faceva freddo, mise in acqua la canoa polinesiana con stabilizzatore, bella ma difficile da manovrare, e via a sfidare il lago...sai, mi dice, Fabrizio scuffiò tre volte, io glielo avevo detto che occorreva una muta impermeabile, lui niente, volle venire

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Rete, di sopra, ou hà chiara la maglia, on la sinistra tien Liri ammassata, prende poi con la destra l’impiombata falda, che l’hà minuta, e l’onde taglia. Mà fatto hà pria che de la rete saglia parte sul manco braccio, e intrammezzata tien l’altra con la destra; poi l’andata dalle con trarla à dietro, indi la scaglia: Mà legata la tien, ben che lontana: ella il pesce, c’hà sotto auuien che copra, scendendo à baffo in forma di campana: De l’infelice ogn’accortezza, ogn’opra, per isfuggir quella prigione, è vana. NON c’è remedio à quel che vien di sopra. Affresco di Matteo Giovannetti. 1343 Palazzo dei Papi Avignone

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aolo Giordano Orsini nacque a Roma nel 1591, primogenito di Virginio II, duca di Bracciano, e di Flavia di Fabio Damasceni Peretti, nipote del papa Sisto V. Dopo gli studi a Firenze presso la corte di Ferdinando I de’ Medici, alla morte del padre, il 9 settembre 1615, assunse il governo del ducato di Bracciano e il ruolo di capo della casata. Appassionato di arte, nel corso della vita si interessò di musica, pittura, scultura, numismatica e letteratura. Nel 1648 diede alle stampe un’opera dal titolo Rime, in Bracciano presso la stamperia di Bracciano di Andrea Fei, stampator ducale. Ricordiamo che la stamperia ducale fu fortemente voluta a Bracciano da Paolo Giordano fin dai primi anni della sua reggenza, anni in cui fu molto attivo “nel costruire un’immagine di sé e del suo Stato rispondente alla rinnovata fama di casa Orsini, moderna, raffinata e sfarzosa” (Paolo Giordano Orsini di Carla Benocci - Dizionario Biografico degli Italiani Volume 79, 2013). Rime oppure nella variante del titolo riportata nell’occhietto “Rime Diverse”, è un’opera che contiene i temi e lo stile della “poesia barocca” che andava affermandosi nel ‘600 e che riscosse un certo successo editoriale. Nella sua monografia intitolata “Gli Orsini”, Gustavo Brigante Colonna (Ceschina, 1955) scrive che “Rime” fu ben accolto negli ambienti culturali dell’epoca: “sì che poi, nelle accademie arcadiche del tempo, non gli man-

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carono applausi altrettanto rimati del cavalier Marino e di frà Tommaseo Stigliani, di Girolamo Preti e di non pochi altri … “(pagg. 251252). Il Seicento fu un secolo ricco di contraddizioni, di bizzarrie, di novità e di meraviglie. Con il termine “barocco”, oggigiorno, si tende a sintetizzarne tutta la cultura, anche se la sintesi non è priva di difficoltà, sia per circoscriverne i limiti cronologici, sia per fornirne esatta definizione terminologica. Rosario Villari nell’introduzione de “L’uomo barocco”, (Laterza, 1991), di cui è anche curatore scrive: “La conflittualità barocca ha colpito gli storici per la sua intensità, per la sua diffusione e per l’influenza che ebbe nel modo di pensare e di agire … La fascia del disordine e della confusione si allarga indubbiamente nell’età barocca”. Torniamo al duca e ai suoi versi. Sfogliando l’opera, (consultabile online), risultano molto interessanti i sonetti che il duca dedica a personaggi a lui contemporanei e dell’ambiente romano di quegli anni che vengono descritti in maniera egregia. Poi ritroviamo i temi classici della “poesia barocca”: le donne, l’attualità, la fedeltà e l’infedeltà, il ciclo nottegiorno, l’anno, la vita e la morte, la verità, la politica, le scelleratezze della vita di corte, la temporaneità degli onori terreni. Il Duca si sofferma anche su due degli svaghi prediletti dalla classe nobiliare: la caccia e la pesca alle quali dedica anche alcuni sonetti. Se la caccia è un vero e proprio rito, ricordiamo per esempio, il

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Giacchio (o rezzaglio o sparviero), è un’antica rete da pesca di forma circolare legata a una corda al centro del cerchio. Sembra fosse già conosciuta agli antichi egizi, sicuramente fu usata nel medioevo in Francia, dove è stata raffigurata nella Camera del Cervo, nel Palazzo dei Papi di Avignone da Matteo Giovannetti, in un affresco risalente al 1343. In Italia è documentato l’uso di questa tecnica nelle acque del lago Trasimeno fino alla fine del 1800, poi altre tipologie di pesca hanno definitivamente sostituito questo meraviglioso strumento. E forse proprio sul Trasimeno il Duca Paolo Giordano avrà visto i pescatori lanciare questa rete per catturare i latterini! Ma può darsi anche dalle finestre del suo castello a Bracciano. Ricordiamo che in Italia l’utilizzo dello giacchio è ora proibito nelle acque dolci o interne ma è ammesso, per legge, in mare ed è ancora utilizzato con successo nelle vicinanze delle foci dei fiumi e dei torrenti. La metrica del sonetto corre netta e incisiva fino all’ultima frase: NON (è stampato così da Andrea Fei, maiuscolo) c’è remedio à quel che vien di sopra. È una frase che lascia poco spazio ad altre interpretazioni. Il duca ha costruito il sonetto scandendo l’azione del pescatore, che agisce come un orologio, inesorabilmente, che si concluderà con la morte del pesce. È il sentimento tragico del tempo del poeta barocco, percepito e rappresentato come corsa crudele verso la morte alla Fabercross quale non c’è rimedio.

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Stefano Mecali: “L’angelo della Stazione” Contro il degrado fa più la pulizia che la polizia. Paladino del turismo responsabile, ha “recuperato” molti vandali

di Mauro Montali

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uò essere definito “l’angelo della stazione”, l’uomo delle Fs

segue

Articolo del 1982 tratto dall’archivio de L’Unità

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sempre in campo, malgrado tutto e tutti. Forse perché suo padre era capostazione, forse perché si sta impegnando per la valorizzazione a fini turistici delle ferrovie, forse perché da piccolo giocava con i trenini, l’unico a rappresentare ancora lo storico marchio delle Ferrovie dello Stato, Trenitalia lungo la fl 3 Roma-Bracciano-Viterbo oggi è solo lui, anche se in realtà lui è alle dipendenze di un’azienda che opera a servizio delle stazioni. Lui è Stefano Mecali. Smilzo, riccio, biondo, ma soprattutto sempre disponibile e sorridente. È il volto umano della stazione di Bracciano, colui che ti accoglie, ti consiglia, ti racconta la storia, ti apre scenari nuovi. La ferrovia c’è l’ha nel sangue tanto che quando ha deciso di sposarsi con la sua Veronica ha allestito una cerimonia d’altri tempi facendo intervenire una locomotiva d’epoca a vapore, la 625 017 del 1912, con al seguito vetture del 1933 con sedili in legno, finestrini apribili, tendine e balconcini tra un vagone e l’altro. Uno dei molti viaggi di una locomotiva a vapore sulla linea che proprio lui ha organizzato con successo negli ultimi anni. Nozze da favola che hanno catalizzato l’attenzione di cittadini e turisti il 16 settembre 2018. La stazione ferroviaria è in qualche modo la sua casa tanto che Stefano ha sviluppato dopo anni trascorsi su e tra i binari una sorta di sociologia del pendolare fino ad arrivare ad una analisi attenta e all’individuazione di una chiave di lettura del fenomeno del vandalismo che prende vigliaccamente di mira gli spazi comuni, beni di tutti e, in quanto tali, spesso di nessuno. «Contro il vandalismo la pulizia funziona meglio della polizia». Ha avuto modo di commentare Mecali in una pubblicazione edita da Ferrovie dello Stato che illustra le trasformazioni sociali ma anche produttive di molte stazioni in tutta Italia grazie alla formula dell’assegnazione in comodato gratuito. Ad Anguillara l’associazione Terra Tua che Stefano Mecali presiede e che si muove al fine di promuovere il turismo responsabile ha infatti in dotazione dal 2013, in virtù della procedura del comodato gratuito, una stanza della stazione ferroviaria. Per lui, veterano della fl3, il retropensiero del vandalo non ha più segreti. «Il problema dei ragazzi che compiono atti di vandalismo va affrontato - commenta ancora Mecali - non solo con la telecamera ma cercando di coinvolgerli nelle attività di promozione turistica della stazione. Vivendo qui da 40 anni mi sono accorto che tanti ragazzi che compiono atti vandalici in realtà hanno un gran bisogno di parlare con qualcuno… tra le migliaia di scritte che ho coperto in quarant’anni che sto qui, la parola più ricorrente è “disagio”, “noia”, tutti vocaboli comunque legati alla solitudine, all’incomprensione, al malessere”. Il suo è un lavoro di ascolto metodico, certosino. “Ogni volta che cancello una scritta, prima la fotografo, perché altrimenti mi sembrerebbe come di tapparmi le orecchie: Il messaggio delle scritte vandaliche va recepito prima di essere coperto. Perché la scritta di per sé non incide negativamente sulla circolazione dei treni, ma crea l’habitat perfetto per il criminale: Il malvivente viene, vede la scritta e si sente che può scippare una signora senza che nessuno gli dica niente. Dopo l’esperienza di quaranta anni di vita in stazione - commenta ancora - posso affermare che contro il degrado fa più la pulizia che la polizia. Una stazione bella e curata, è un antidoto al vandalismo. Perché quando una persona arriva e trova tutto pulito

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Veronica e Stefano sposi sul treno a vapore (16 settembre 2018)

e funzionante, se vuole rompere qualcosa, quasi gli dispiace. Avere qualcuno qui per parlare è importante. Io mi intrattengo spesso con i ragazzi. Principalmente gli parlo della storia della ferrovia, gli racconto di quando c’era il treno merci e prima ancora il treno a vapore. Parlo di quando a Bracciano arrivavano i militari, mentre le pecore andavano a fare la transumanza. Questi ragazzi, una volta istruiti diventano consapevoli e non andrebbero più a rompere una cosa anonima e allora non lo fanno, desistono dall’atto vandalico, anche solo per non fare un dispetto a me. Perché io, da quando porto cultura e conoscenza locale, non sono più un semplice operatore, ma una persona. Il presenziamento e, soprattutto, l’ascolto, sono il migliore deterrente contro il vandalismo e contro il degrado». Tutto questo Stefano Mecali lo sa. Ma nelle stanze dei bottoni dove non si fanno scrupoli di chiudere da un giorno all’altro biglietterie e servizi tutto questo lo ignorano. Graziarosa Villani

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Ottobre 2018 - Numero 21 Dedicato a Emiliano Editore: Associazione Gente di Bracciano Presidente: Claudio Calcaterra Direttore responsabile: Graziarosa Villani Redazione: Francesco Mancuso, Vittoria Casotti, Biancamaria Alberi, Luigi Di Giampaolo. Collaboratori: Massimo Giribono, Fabercross, Pierluigi Grossi, Mena Maisano. Registrato al Tribunale di Civitavecchia n. 1388/2014 Stampa e impaginazione: FEDE 2011 srl Via dei Vignali, 60 - Anguillara Sabazia su carta riciclata

Se vuoi aderire alla nostra Associazione contatta la Redazione: gentedibracciano@tiscali.it

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Le stagioni della vita e i rottamatori un po’ imbecilli

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sistevano anche nell’antichità, i rottamatori. E allora erano molto più temibili. Oggi rottamare significa chiedere che chi ha raggiunto una certa età si ritiri più o meno a vita privata. Il problema della sovrappopolazione richiedeva soluzioni drastiche: gli anziani che tardavano troppo a lasciare questo mondo erano un peso insostenibile per la comunità e così, quando il momento era giunto, venivano eliminati fisicamente. Gli ultrasettantenni venivano (a Roma) gettati giù dal ponte Sublicio. In età moderna i rottamatori sono quelli che aspirano a togliere ogni diritto umano agli ultrasettantenni di curarsi, di votare, di continuare a percepire una pensione dignitosa e di vivere una vecchiaia serena. Che al destino della morte non si sfugge è palese, ma che qualcuno, politici, amministratori, soloni della finanza e qualche quarantenne sprovveduto e un po’ imbecille, voglia ripristinare il volo degli anziani dal ponte Sublicio non è ammissibile. Il trascorrere degli anni segna il passaggio da un’età all’altra. Prima erano quattro, oggi sono cinque: i vent’anni, la primavera della vita, tra i venti e i quaranta l’estate, tra i quaranta e i sessanta l’autunno, tra i sessanta e gli ottanta l’inverno. Infine chi supera questa età, oggi, deve morire per non pesare sul Pil e sul debito pubblico. Poco importa che la tradizione riporti altre classificazioni dell’età sempre più dettagliate. Quello che interessa è la rigorosità dei passaggi. Allora con il trascorrere della vita non si può più barare, né illudersi di farlo. Come emerge da un frammento di Eraclito “il tempo è un bambino che si diverte a giocare. Suo è il regno”. E nei regni, come è ben noto, non esistono i cittadini ma i sudditi. Persone che non hanno scelte. Devono solo rispettare le regole di chi ha il potere . Claudio Calcaterra

Lettera a mio figlio

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iao Emiliano…ti scrivo…parole sparse, memorie allegre, sogni doloranti, parole in una bottiglia nello spazio che viaggia verso la stella dove hai deciso di riposare…io so che vivrai nei tuoi libri, nelle tue fotografie, nei film che hanno dato parole e gesti a un’umanità che non ha voce in questo mondo sguaiato…quante discussioni, anche robuste, tra noi…io a tessere e tu a scarnificare con il tuo rasoio le mie parole alla ricerca del nocciolo della questione, mai fermo, mai sazio di cercare, di capire, di offrire generosità alle tue asprezze incantate…ricordi quella piazzetta al Pantheon, eravamo insieme io, te, Alessio, Obelix a chiedere un mondo migliore, un po’ naif, un po’ com- Emiliano Mancuso pagni di strada alla ricerca dell’araba fenice, finì con una carica della polizia e qualche contusione, finimmo la serata cantando e bevendo vino rosso, lo stesso che abbiamo pasteggiato con te il giorno in cui è cominciato il tuo nuovo e misterioso viaggio…e quella notte che rientrando alla mezzanotte volesti parlare con me per chiedermi un consiglio sul tuo desiderio di diventare “fotografo” della vita, ci abbracciammo e cominciò il viaggio che ti ha portato a girare il diario di Felix, le Cicale, la Città del giuoco, a presentare i tuoi libri: Made in Italy, Terre di Sud, Stato d’Italia, a comporre il tuo album fotografico, rigorosamente in bianco e nero…fino alle gioie per la nascita dei gioielli che hai concepito con Francesca, la tua compagna di vita, Paolo, Diego, Anna…fino a questo ultimo anno, denso e sofferto, tra la tua necessità di nuovi spazi di ricerca della tua vita e il legame mai interrotto con la tua compagna amata…sei stato un mammo splendido anche nel momento della fati-ca…quando quel 26 settembre ho parlato con te, steso sul letto, avevi un viso sereno, poi, con le tue ironie nascoste nelle pieghe del viso, mi hai indicato il libro che stavi leggendo la sera prima della tua partenza: Metaforismi e Psicoproverbi, uno per ogni giorno dell’anno, di Alejandro Jodorowsky, un visionario alla ricerca della Coscienza che sola può salvare l’uomo è scritto nella presentazione dell’autore da te scelto, c’era un segnalibro a pagina 103, segnava il 26 settembre, il metaforismo lì scritto l’ho sentito come un riflesso incantato del tuo bisogno risorto di vivere con nuova pienezza la tua relazione con Francesca e i vostri gioielli…ciao Emiliano, la notte di San Lorenzo io, mamma, Alessio saremo alla casa gialla con Francesca, Paolo, Diego e Anna ad aspettare il saluto di un frammento della stella dove hai deciso di riposare…ps spero che non si porti dietro il tuo famoso rasoio…un abbraccio infinito…tuo padre Francesco Mancuso

Fermate il mondo: voglio scendere...

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ome molti, anch’io la mattina accendo la radio per sentire un po’ di musica, ma…2marito geloso accoltella la moglie”, “tamponamento sull’autostrada quattro o cinque morti”, “sale lo spread”, “aumentano i prezzi del gas e della luce”, “buona giornata!”. Pure! Commento a voce alta. “Fermate il mondo: voglio scendere…”. È meglio uscire a prendere una boccata d’aria. Mi fermo al bar. Chiedo un caffè. Dal tavolo accanto: un signore apre il giornale e a voce alta “sparatoria in periferia: due feriti”. Il vicino, con l’altro pezzo di giornale, senti questa: “macchinista, mentre il treno è in partenza, dimentica di chiudere le porte, un’anziana tenta di salire in corsa, scivola e si rompe una gamba”. Una voce “…e je

annata pure bene!”. “Fermate il mondo: voglio scendere…”. Mi giro vedo un signore che fissa il vuoto…Pensa? Chissà. Il caffè m’è andato di traverso. “Fermate il mondo: voglio scendere…”. Sto per alzarmi preso dalla disperazione. Lascio il passo a due anziani. Lei porta un borsone, lui cammina lentamente. Si fermano: lui prende il borsone, lei gli aggiusta il collo della camicia, lui le accarezza la guancia e le sorride, lei gli aggiusta il ciuffo. Si guardano con tenerezza. I due, piano piano, sottobraccio riprendono a camminare. No: non fermate il mondo…non voglio più scendere. Luigi Di Giampaolo

Sottigliezze della lingua italiana

La casetta dai 999 sassi

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Cortigiano: uomo che vive a corte. Cortigiana: mignotta. Massaggiatore: chinesiterapista. Massaggiatrice: mignotta. Il cubista: artista seguace del cubismo. La cubista: mignotta. Il Segretario Particolare: portaborse. La Segretaria particolare: mignotta. Mondano: chi fa la vita di società. Mondana: mignotta. Un uomo di strada. Un uomo duro. Una donna di strada: mignotta. Zoccolo. Calzatura in cui la suola è costituita da un unico pezzo di legno. Zoccola. Mignotta. Intrattenitore: uomo socievole, che tiene la scena, affabulatore. Intrattenitrice: mignotta. Steward: cameriere sull’aereo. Hostess: mignotta. Uomo con un passato: chi ha avuto una vita, magari sconsiderata, ma intrigante. Donna con passato: mignotta. Maiale: animale da fattoria. Maiala: mignotta. Uno squillo: suono del telefono o della tromba. Una squillo: mignotta. Accompagnatore: pianista che suona la base musicale. Accompagnatrice: mignotta. Uomo allegro: un buontempone. Donna allegra: mignotta. Un professionista: un uomo che conosce la sua professione. Una professionista: una mignotta. Uomo pubblico: uomo famoso, in vista. Donna pubblica: mignotta. Uomo facile: uomo con il quale è facile vivere. Donna facile: mignotta. Uomo molto disponibile: un uomo gentile. Donna molto disponibile: mignotta. Adescatore: uomo che coglie al volo persone e situazioni. Adescatrice: mignotta.

era una volta, nel centro storico di un paese, una casetta isolata dalle altre costruita alla fine dell’anno 999 d.C. dai 999 abitanti di allora con 999 sassi. Ogni cittadino aveva portato il proprio. Quelli dei bambini, piccoli sassolini, stavano in mezzo. Un giorno, il Sindaco del paese volle seguire una classe, quinta elementare, che andava a visitarla. Gli alunni salirono a turno su una sedia nei pressi per dire la loro su quella casetta fiabesca, che sembrava delle fate e che costituiva da sola, il centro storico. “I sassi per me sono tutti firmati, i sassolini con una crocetta”. “E stanno fra i due sassi dei nonni o dei genitori”. “E si sentono in famiglia, perché le facce di quelli che hanno i nomi, sono rivolte verso di loro”. “La casa però sembra un riccio, chiuso in difesa e pietrificato”. “Una cripta”. “Un monumento sepolcrale”. “I tubi di scarico, tutt’intorno a lei, che non si possono togliere perché antichi, le danno un aspetto ancora più marcato di fortificazione difensiva”. “Pare vestita di ferro come se si fosse stretta addosso il ponteggio tubolare”. “Ha un aspetto un po’ sinistro”. “I suoi sassi, anche quando noi entriamo come dire...ci voltano le spalle”. Alla fine degli interventi tutti furono d’accordo col giudizio conclusivo della Maestra: la casetta, che da sola rappresentava il Centro Storico, non partecipava alla vita del paese e si sentiva abbandonata ed indifesa. Il Sindaco salì a sua volta sulla sedia e disse: “Bisogna installare delle panchine tutt’intorno”. Dopo alcuni giorni, i giovani del paese presero possesso delle panchine e del Centro Storico. Ma ci fu un imprevisto. “Signor Sindaco, orrore!! Hanno già lasciato disegnini e scritte sule facce dei sassi!!”. “Politica?”. “No. Signor Sindaco, ehm...amore…cancelliamo?”. “No, ora quei sassi, quelle facce sono rivolte verso di noi, ci guardano”. “Come, Signor Sindaco?!?”. “Ah, nulla, nulla”, rispose il Signor Sindaco. “Ah, assessore, i nomi degli innamorati li ricordate?”. “No, Signor Sindaco”. “Bene, vi aiuto io: Giulietta e Romeo?”. “No, non c’erano”. “Tristano ed Isotta?”. “No”. “Non avete guardato bene, c’erano. E c’erano anche Otello e Desdemona; Rodolfo e Mimì; Radamesse II e Aida e quindi Beatrice e Dante Alighieri…ma quest’ultimo può esservi sfuggito perché stava sicuramente molto in alto”. “Pero’, Signor Sindaco, con tutto il rispetto, ci si è messo anche Lei… Lei che dovrebbe dare il buon esempio…ora i nomi sono davvero troppi, dobbiamo cancellare per forza”. “Come?!? Ah, sì, fate pure... Ah, assessore, per lei un nome vale l’altro vero?”. “Si, Signor Sindaco”. “Allora cancelli solo quelli che ho aggiunto io”. Ettore De Santis

Ottobre 2018

Morale: o c’è qualche problema nella lingua italiana, oppure ci sono troppe “mignotte” A cura di Claudio Calcaterra.

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Gente di Bracciano


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