Gente di bracciano n 4 agosto 2015

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Gente diBracciano Agosto 2015 numero 4


Gente diBracciano

Rodolfo

Agosto 2015 Numero 4 Dedicato a Rodolfo

“Nella profondità dell’inverno ho sentito che vi era in me una invincibile estate”.

Editore: Associazione Gente di Bracciano Presidente: Claudio Calcaterra

Direttore responsabile: Graziarosa Villani

Redazione: Francesco Mancuso, Vittoria Casotti, Mena Maisano, Biancamaria Alberi, Luigi Di Giampaolo

Nel tuo sorriso, nella tua dolcezza e nella tua simpatia, Mena e Claudio, ti ricorderanno per sempre. Ciao Rodolfo

Collaboratori: Massimo Giribono Fabercross, Pierluigi Grossi Registrato al Tribunale di Civitavecchia n. 1388/2014 Stampa: FEDE 2011 srl Via dei Vignali, 60 Anguillara Sabazia su carta riciclata foto di copertina a cura di

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Per la TUA pubblicità contatta la Redazione: gentedibracciano@tiscali.it cell. 349 1359720

Acqua: Resistere, resistere, resistere

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l dilemma non è da poco. Cedere allo strapotere Acea e passare tutto il sistema idrico alla multinazionale dell’acqua o continuare a gestire in proprio gli acquedotti con tutti i problemi che comportano, arsenico e floruri compresi? In questa calda estate braccianese la vera notizia è questa. L’acqua: bene primario per eccellenza. La resistenza continua ma l’assedio a colpi di diffide e di minacce di danni erariali che potrebbero coinvolgere gli amministratori comunali è continua e martellante. Al Consiglio comunale del 6 agosto se ne è discusso. Se da Statuto Bracciano rivendica il principio secondo il quale l’acqua non è una merce le difficoltà restano. Ad oggi l’unico appoggio potrebbe essere l’approvazione a livello regionale di ambiti idrografici che consentirebbero di avviare, anche a livello comunale, una multiservizi per la gestione del servizio idrico. L’assurdità è che mentre Acea tira l’acqua del lago, anche su richiesta dei balneari locali, l’amministrazione è alle prese con le ordinanze di non potabilità che coinvolgono soprattutto l’area servita dall’acquedotto Lega. L’assurdità è che in base a specifiche normative l’amministrazione comunale non potrebbe fare investimenti sui propri acquedotti, né apportare degli aumenti delle tariffe. Traiano nel 119 d.C. portò l’acqua del territorio a Roma, papa Paolo V Borghese nel XVII secolo “ammodernò l’acquedotto”, nel 1989 Acea ha realizzato l’acquedotto d’emergenza. Quanti secoli ancora deve durare la servitù dell’area sabatina nei confronti di Roma? E la Città Metropolitana di Roma che ci sta a fare? Non doveva risolvere i problemi di area vasta? In questa infuocata estate i braccianesi cosa pensano dell’argomento? Quali soluzioni propongono? Quali sacrifici sarebbero disposti a fare? Gente di Bracciano in questo rovente agosto ripropone l’annoso quesito e invita i propri lettori a dire la propria, a dibattere, a fare proposte.

Anna Magnani: la “divina” Ruoli indimenticabili per una grande donna

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ivina, semplicemente divina". Così il Time parlava di Anna Magnani, una delle più grandi attrici italiane. La Magnani nacque a Roma il 7 marzo 1908. Sua madre, Marina Magnani, era una sarta originaria di Ravenna. Dopo averla data alla luce, la affidò alle cure della nonna materna. La bambina non conoscerà mai il padre naturale. Solo da adulta scoprirà le sue origini calabresi e quello che avrebbe dovuto essere il suo cognome, Del Duce. Con l’ironia che la caratterizzò commentò di essersi fermata nelle ricerche perché non voleva passare come "la figlia del Duce". Nel 1927 Anna iniziò a frequentare la scuola di arte drammatica di Silvio D'Amico. La sua insegnante fu Ida Carloni Talli. Nel 1934 passò alla rivista, accanto ai fratelli De Rege. Al cinema il suo debutto arrivò nel 1934 con La cieca di Sorrento di Nunzio Malasomma. Fu Vittorio De Sica nel 1941 ad offrirle per la prima volta un ruolo di primo piano in Teresa Venerdì. Nell’ottobre 1942 l’attrice diede alla luce il suo unico figlio, Luca, frutto di una relazione con Massimo Serato che l'abbandonò non appena lei rimase incinta. La Magnani riuscì ad imporre il proprio cognome al figlio, proprio come la madre fece con lei. La fama mondiale per la Magnani arrivò nel 1945 e col suo primo Nastro d'Argento per Roma città aperta di Roberto Rossellini, regista con il quale ebbe una intensa relazione sentimentale. La coppia in quegli anni era assidua di Ladispoli. Nel 1947 l’attrice vinse il suo secon-

Anna Magnani

do Nastro d'Argento e il premio per la miglior attrice alla Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia per il film L'onorevole Angelina di Luigi Zampa. Nel 1948 interpretò il suo ultimo film con Rossellini, prima della rottura del loro amore. Nel 1949 girò Vulcano, nell'isola vicina a quella dove Rossellini stana girando Stromboli terra di Dio con la sua nuova compagna Ingrid Bergman. Le riprese dei due film sono ricordate dalla storia del cinema come la guerra dei vulcani. Nel 1956 la Magnani vinse il Premio Oscar come migliore attrice protagonista per l'interpretazione di Serafina Delle Rose nel film La rosa tatuata,

del 1955, con Burt Lancaster. Nel 1960 recitò accanto all'amico Marlon Brando in Pelle di serpente di Sidney Lumet. Nel 1962 fu una indimenticabile Mamma Roma nel film di Pier Paolo Pasolini. E’ del 1972 la sua ultima apparizione cinematografica, nel cameo di Federico Fellini per il film ROMA. Di notte, una dolente Magnani attraversa i vicoli di Roma. Risponde al regista e, ridendo, chiude il portone davanti alla macchina da presa. Morì a Roma il 26 settembre 1973, a 65 anni, presso la clinica Mater Dei ai Parioli, stroncata da un tumore al pancreas, assistita fino all'ultimo dal figlio Luca e da Rossellini, al quale si era riavvicinata negli ultimi tempi. Le sue spoglie riposano nel piccolo cimitero di San Felice Circeo nei pressi della sua villa che lei amava tantissimo. Eduardo de Filippo le dedicò, poco dopo la morte, un componimento: "Confusi con la pioggia sul selciato, sono caduti gli occhi che vedevano gli occhi di Nannarella che seguivano le camminate lente sfiduciate ogni passo perduto della povera gente. Tutti i selciati di Roma hanno strillato. Le pietre del mondo li hanno uditi". Di lei Jean Renoir scrisse: "La Magnani è la quinta essenza dell'Italia, ed anche la personificazione più completa del teatro, del vero teatro con scenari di cartapesta una bugia fumosa e degli stracci dorati, dovevo logicamente rifugiarmi nella commedia dell'arte e prendere con me in questo bagno la Magnani, le sono grato per aver simboleggiato nel mio film tutte le altre attrici del mondo". A cura di Claudio Calcaterra

Abusivismo: siglato protocollo di intesa tra Comune di Bracciano e Procura di Civitavecchia per le demolizioni

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zioni, allo scopo di ottimizzare gli interventi esecutivi, con un minor impegno di spesa. Quando la sentenza di abuso edilizio sarà definitiva, la Procura di Civitavecchia interverrà direttamente a demolire l'abuso perpetrato. Le demolizioni seguiranno le priorità previste nella fasce di intervento determinate nel protocollo, con priorità per le opere non complete o completate realizzate in zone di inedificabilità assoluta, cioè zone sottoposte a vincolo paesaggistico.

Comuni che fanno riferimento alla Procura della Repubblica di Civitavecchia, compreso il Comune di Bracciano, hanno sottoscritto di recente un protocollo di intesa con la Procura Generale presso la Corte di Appello e la Procura della Repubblica di Civitaveccchia, finalizzato alle procedure di demolizione degli immobili abusivi. Con questo protocollo, le demolizioni verranno effettuate direttamente dalla Procura di Civitavecchia, secondo le modalità operative congiunte e concordate, nel rispetto delle attribu-

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Controcorrente 8: Alla ricerca di “sé” È

una bella giornata di primavera, le rondini sfrecciano in un cielo color pastello, sono nell’agorà di Atene insieme a Buddha, Socrate e Freud, a interrogarci sull’uomo, sul libero arbitrio, sulla libertà di ciascuno nell’incontro con l’altro, su come conquistare nuovi traguardi di “civiltà”. Socrate, Buddha e Freud non hanno avuto dubbi al riguardo: la risposta unanime è stata “la conquista della conoscenza di sé”, ovvero della conoscenza della natura illusoria della mente umana, perennemente condizionata dentro e fuori di sé. Nella chiacchierata, accompagnata da una fragrante tisana alla melissa e sapienti biscotti, sono emerse le diversità dei metodi che i magnifici tre hanno proposto per raggiungere la conoscenza di sé: per Buddha la meditazione, per Socrate la dialettica, per Freud la psicoanalisi. Sono stati, però, tutti d’accordo sul fatto che la conoscenza, quella con la “C” maiuscola, quella che può rendere l’uomo libero, non può ottenersi con l’apprendimento solo astratto o solo meccanico di dati, concetti e teorie, cioè con quel tipo di conoscenza che ancora oggi viene praticata nella maggioranza delle scuole e dei corsi universitari. Ho detto loro che oggi, nel tempo in cui tutto è merce da consumare freneticamente, rifugiarsi nella meditazione, farsi affascinare da un mentore o andare da uno psicoanalista può rischiare di essere solo un alibi fallace, una supplichevole domanda ad un “altro” di farsi carico del fardello di dolore e di angoscia che si sta portando sulle proprie spalle e che, nel tempo, può divenire insopportabile, invivibile. Al temine delle mie parole Buddha ha cominciato la sua cantilena di pensiero, Socrate mi ha domandato perché ho usato il verbo “affascinare”, Freud mi ha chiesto delle mie pulsioni eterne. Alla mia richiesta di essere più espliciti ho avuto tre risposte, singolari e su piani nettamente differenti. Buddha ha raccontato due aneddoti: …un giorno il figlio di un vecchio contadino tornò a casa tutto contento: aveva trovato un meraviglioso cavallo. Gli abitanti del villaggio, seppure un po’ invidiosi, si complimentarono per la sua fortuna. Ma il vecchio scosse il capo, dicendo: “Non so se è una fortuna”. Poco tempo dopo, il

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Il pensatore, scultura di Rodin

figlio cadde dal cavallo e si ruppe una gamba. I vicini di casa dissero: “Che brutta disgrazia!” Anche questa volta il vecchio disse: “Non so se è una disgrazia”. Una settimana più tardi i messi dell’imperatore setacciarono la campagna, alla ricerca di nuove leve militari. I giovani che partirono per la guerra, morirono tutti. La caduta da cavallo salvò la vita al figlio del contadino… si è fermato qualche istante, le mani congiunte, gli occhi al cielo, assente da noi, poi, con la sua voce calma, piana, ha raccontato il secondo aneddoto: …un viandante alla ricerca del mondo arrivò in una radura di una foresta. Lo attendevano due tigri affamate, due splendide tigri affamate. Il viandante cercò scampo nella fuga e arrivò vicino a un dirupo. Davanti il dirupo, dietro le tigri. Guardò giù e vide uno sperone di roccia e un arbusto che usciva malizioso dalle pareti del dirupo. Si buttò giù e riuscì ad afferrare l’arbusto. Sopra le tigri affamate, sotto il dirupo, lui lì, attaccato all’ arbusto, a godersi lo spettacolo. Un piccolo roditore affamato uscì dalla sua tana nello spero-

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ne della roccia e vide quell’ arbusto che sognava da tempo immemore. Era fuggito anche lui alla due tigri che riconobbe in cima al dirupo, si chiese solo chi fosse quell’ uomo appeso al suo arbusto e incominciò a roderlo. Il viandante provò a raccontare al piccolo roditore le sue angustie, nulla da fare, quello continuò a rodere il suo arbusto. L’uomo girò gli occhi e vide una fragola, rossa come il cielo del tramonto, si allungò, la colse e mangiò la fragola più buona che avesse mai mangiato in vita sua…non disse una parola in più, si limitò a guardare le nostre reazioni, a dire il vero più perplesse che convinte. Poi è toccato a Socrate che ha recitato, per me, un brano del Simposio: …andrebbe proprio bene, Francesco, se la sapienza fosse tale, da fluire da quello di noi che ne è più pieno a quello che ne è maggiormente vuoto, come avviene per l'acqua nei bicchieri, che attraverso un piccolo batuffolo di lana scorre da quello più pieno a quello più vuoto. Se la cosa sta così anche per la sapienza, io ho in grande considerazione l'essere seduto vicino a te: ritengo infatti

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che io sarò riempito di molta e bella sapienza da parte tua. La mia infatti è ben poca cosa e alquanto incerta, quasi come un sogno, la tua invece è brillante, e possiede molte possibilità di incremento, e brilla così con tanta forza da parte tua, che sei così eterno nella tua ricerca del senso della vita… poi, forse stimolato dalla presenza di Freud, ha raccontato perché rifiutò di diventare l’amante di Alcibiade, benché già lo amasse da lungo tempo…vedete, Alcibiade era prigioniero della logica dello scambio dei beni, degli averi, della bellezza apparente, la sua, contro la bellezza vera, che riteneva fosse in me, al fine di guadagnare oro scambiando bronzo. Ma se soltanto Alcibiade avesse potuto osservare meglio, non con la vista, ma più in profondità con altri occhi, avrebbe scoperto che io non gli nascondevo il fatto di essere “nulla”. Alcibiade voleva invece il mio “tutto”, il mio tesoro nascosto, una sorta d’immagine divina di me che si era costruito nella sua mente, mentre io gli offrivo il mio essere “nulla”, dicendogli che non c’è niente da scambiare, che non si può scambiare il piano dell’avere con quello dell’essere “nulla”… A questo punto è curiosamente intervenuto Freud dicendo che l’entrata in analisi avviene in un modo del tutto analogo al pensiero di Socrate, infatti, a un analizzante che domanda di carpire all’analista il suo supposto sapere dell’inconscio, l’analista offre il “nulla” del suo desiderio, aprendo così, al soggetto in analisi, la possibilità di una libera associazione tra i significanti delle sue parole, delle sue espressioni, dei suoi pensieri, dei suoi ricordi, dei suoi sogni e anche dei suoi lapsus, per provare a fargli intercettare il luogo del suo dolore. Allora Socrate, sornione, sbirciando di traverso Freud, ha ripreso a parlare: “guardate, che, in un modo o nell’altro, siamo tutti ignoranti, io, però, so di non sapere, ci vuole umiltà per ammettere la propria ignoranza e i propri torti. L’orgoglioso pretende di aver ragione anche quando non sa nulla di un argomento e anche quando pensa, con molte possibilità di errare, di sapere tutto di un argomento. La prova che ha ragione è una sola: perché lo dice lui.” Uno scontro fra titani, mi stavo divertendo da matto e attendevo la reazione di Freud, che invece continuava a tacere, con gli occhi misteriosi del gatto che aspetta il topo, il che mi ha provocato un po’ fastidio, avesse ragione Socrate! Per nulla intimorito dal silenzio, Socrate si è messo a raccontare un aneddoto:…un giorno il

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padre condusse la figlia davanti ad una finestra e le chiese: “Fuori sta piovendo o c’è il sole?”. “Non sta piovendo, è tutto asciutto”, rispose la giovane. “Ebbene”, disse il padre, “se io dico che piove, vuol dire che piove!”. “Ma allora a te interessa solo avere ragione?” “Sì”, disse il padre. In quell’attimo quella giovane donna ebbe una sorta d’illuminazione e la luce della consapevolezza rischiarò la storia della sua vita, disse tra sé che suo padre sbagliava, era la prima volta. Ma presto la luce svanì, e le furono necessari altri trenta anni e due matrimoni - con persone simili a suo padre - per tornare a vedere la realtà così come ciascuno di noi sa e può rappresentarla…e assunse un’aria modesta e scanzonata insieme, tacendo. E’ stato Freud a rompere un silenzio che stava diventando ingombrante, ho pensato che volesse reagire a Socrate, invece ha cominciato a parlare, non so perchè, di religione, dicendo che una delle sue funzioni primarie è quella di fornire alle persone conforto nel fronteggiare le inevitabili crudeltà e ingiustizie della vita, ma, insieme, ha tenuto a sostenere che la religione rappresenta un tentativo immaturo e auto-deludente nel cercare di dare conforto… io ho “fede” – ha affermato nella scienza. La psicoanalisi non è una scienza come lo sono la fisica o la chimica, è piuttosto una forma laica di spiritualità, in qualche modo essa svolge la funzione di riempire il vuoto creatosi con la “morte della religione”. La psicoanalisi non si concentra in modo esclusivo sulle domande esistenziali profonde che si pone la religione: qual è il significato della vita nell’affrontare la nostra mortalità? In che modo noi, come individui, ci inseriamo in un cosmo più grande? Come troviamo il senso nel mezzo del dolore, della sofferenza e del lutto, che fanno inevitabilmente parte della vita? L’analista, a differenza del prete, che è il portavoce di una religione organizzata, parla per l’individuo sepolto vivo, per così dire, nella cultura… Una risata li ha seppelliti e sconcertati, alle parole di Freud mi è tornata alla memoria una frase di un guitto moderno che dice…Dio è morto, Marx pure e io non sto tanto bene..., poi ho visto i loro sguardi di tenero rimprovero e per recuperare un po’ della loro fiducia in me ho raccontato del tempo in cui mi chiamavo Drupad e facevo il contadino, era il quinto secolo a.c.:…vivevo nel nordest dell’India e l’agricoltura stava venendo gradualmente rimpiazzata da un’economia di mercato e dalla nascita di grandi

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centri urbani, una classe di mercanti, nuova, arrembante, era in ascesa, i nostri valori culturali, le nostre credenze religiose venivano messi in dubbio ed emergeva, prepotente, un profondo senso di individualismo. La società agricola in cui ero nato e vissuto era statica, conservatrice, era rigidamente divisa in quattro caste, strettamente gerarchiche: i preti, i guerrieri, i contadini e i servitori. Queste caste erano ereditarie e io non avevo dubbi che rispecchiassero l’ordine del cosmo. I soli in possesso della sacra conoscenza dei Veda, erano i Brahmani, i sacerdoti, che dettavano le responsabilità delle caste e le relazioni tra esse, era loro dovere eseguire i riti sacrificali, e spesso scorreva sangue per controllare la vita, a noi l’obbligo di obbedire ai loro precetti. Poi arrivò la voce di un uomo strano che negava l’esistenza dell’anima, diceva che la morte, la malattia e il lutto sono aspetti ineliminabili della vita e che la sofferenza è il risultato del tentativo di aggrapparsi disperatamente a ciò che si desidera. A quei tempi ero diventato povero, senza speranze, allora ho abbandonato la terra e ho seguito il maestro per valli e monti alla ricerca di un modo più saggio di vivere. La meditazione era il suo insegnamento, meditazione della tranquillità, dell’intuito, della coscienza del respiro, dovevamo andare alla ricerca continua della natura della nostra mente, per acquisire, attraverso l'esperienza diretta, una comprensione di come sono le cose, senza affidarci a opinioni o teorie, per far nascere quel senso di calma profonda che proviene dal conoscere qualcosa nel nostro intimo, al di là della dimensione del dubbio. Ho viaggiato anni con il maestro, beatamente, fino a quando una serpe di dubbio mi ha attraversato la mente: è stato il giorno in cui ho saputo che la morte stava arrivando, allora il gorgo della vita mi ha riconsegnato angoscia, seppure temperata dal viaggio compiuto dentro di me… Il mio racconto di Drupad ha innescato una nuova discussione su cosa può rendere l’uomo libero da superstizioni, illusioni, inganni, legami pericolosi. Occorre rendere conscio l’inconscio, comprendere i nostri moventi nascosti, in caso contrario noi non siamo padroni di noi stessi, ma sudditi di forze oscure che abitano al nostro interno e governano la nostra vita… è stata la risposta unanime dei tre cavalieri del riscatto. Aiuto!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! Francesco Mancuso

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Isoëtes sabatina: la nuova specie di pianta acquatica che vive solo nel lago di Bracciano

Rinvenuta da Mattia Azzella del Dipartimento di Biologia Ambientale della Sapienza e da Angelo Troia del Dipartimento di Biologia ambientale e Biodiversità dell’Università di Palermo

Vaneggiamenti di un vecchio romantico

Addio a… “Ora io non ho una destinazione, per questo, non sono ancora arrivato”

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i rivolgo a voi animatori, organizzatori, curatori, presentatori, imbonitori, giudicatori, sabotatori, sbruffoni, cantastorie e incantatori di serpenti. Ideatori di mode e costumi sempre nuovi, ai vostri bei corpi sempre in compravendita e a lunga conservazione, amministratori e avvocati sempre invocati a perpetrare la causa oltre il funerale. Addio a tutti gli animali, alle piante, ai fiori, al mare, al Sole, alla Luna, agli esseri viventi che soffrono dal primo vagito, dal primo respiro, dal primo movimento, globulo bianco e rosso, plasma fisico della materia. Alle ore di lavoro accanito, al computer, ai fornelli, alle lavatrici, ai banchi di mercato, ai centri commerciali, ai banchi di scuola, alle cartelline, libri, voti, quadri, sogni e alle poesie. A tutti i dimenticati vicini e lontani, addio ai manicomi, alle chiese, alle caserme, ai baraccati, agli emarginati, ai ladri e gli assassini, alle mie ombre, alle mie prigioni e alle vostre che gelosamente custodite per sentirvi liberi da altre più dissennate e consumate prigioni. Addio agli amici forzati della tivvù, forzati del telefonino e del sesso. Addio alle stanze coi pavimenti da lucidare, alle gite domenicali, ai viaggi turistici, visite, feste e baldorie, bicchierate e ricorrenze, alla ricerca dell’eterna

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scommessa sul grande amore, alle licenze, alla grande amicizia sincera in chiave erotica. Addio a tutti i parenti vicini e lontani, alla famiglia dove ciascun membro lamenta e vanta d’aver rubato una casa all’altro e fa i conti su quella che gli toccherà in eredità quando l’altro/a sarà morto. Addio alla militanza, all’impegno sociale. Addio a te scuola con centinaia e centinaia di personaggi da capire, blandire, educare tutti insieme da questo cumulo di idiozie che chiamano comunicare e conoscenza. Addio alle tue innovazioni, ovazioni, ai tuoi perbenismi e modernismi suffragio alla cultura di pasta al forno fatta da una mamma anche prestata, letto caldo comodo e tanta tivvù contro la fame nel mondo, sotto la sorvegliante presenza dei genitori. Addio alle pubblicità divoranti che hanno alimentato miti, chimere, illusioni, dove si stava bene a bere le sere. Addio macchine e tecnologie avanzate, blocchi, incroci senza sbocchi, che rimarresti a piangere abbandonando tutto, anche te stesso, riunioni, assemblee, manifestazioni, pillole, gocce e fiale antidolore, belletti, ombretti, corsetti, profumi, candele, fiori finti. Addio ai triti ruoli maschio-femmina, alla cronaca, all’attualità, alla memoria, trasmissioni gratuite della storia. Addio al perbenismo assoluto, al pos-

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sedere il più possibile senza dare. Addio a te medico, alla tua casa studio lussureggiante di marmi, all’odiosa servapadrona, e tutte le tue fortune parentali, alle tue dosi da cavallo, che hanno trasferito all’altro mondo, tanti tuoi simili, per overdosi di medicinali, addio alle divagazioni sulle innumerevoli tue sedute sessuali, libere, sterminate dopo le fatali dipartite di tuoi pazienti. Grazie alle tue insolite affettuose cure a base di “Coraggio bambola!”: oppure “ma che fai tu, figlia mia con l’amichetto? Ciao stellina riguardati…” inchiodandola a letto per lunghi interminabili giorni, sottratti anche al lavoro, questi sì. Ora io non ho una destinazione, per questo, non sono ancora arrivato ma, addio lo stesso adesso, che ancora non pare finita questo straccio di vita, strana, straordinaria, che accetto come articolo di fondo d’interrotti semitragicomici eventi, tanti uguali da non potersi numerare, ma la mia destinazione ora so è il silente abbandono d’ascoltarvi tutti, intrecciare le vostre voci che poco a poco allontanano dalla mia, forse anche piuttosto banale e ignorante ed anche un po’ perversa, nel mio “solo” spazio tempo “vuoto” di conoscenza, tributo al luogo comune, votato per sempre alla pura dispersione e alla totale incoscienza, addio! Claudio Calcaterra

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i chiama Isoëtes sabatina. E’ una nuova specie acquatica scoperta di recente individuata finora solo nel lago di Bracciano. Sembra incredibile. Una nuova specie tale da allungare il lungo elenco di Linneo che vive sotto casa, nelle nostre acque. Appena scoperta e già in pericolo, minacciata com’è dagli spregiudicati prelievi dal lago, invocati dai balneari e maledetti dagli ecologi. A scoprire questa pianta dall’aspetto gentile sono stati Mattia Azzella del Dipartimento di Biologia Ambientale della Sapienza e da Angelo Troia del Dipartimento di Biologia ambientale e Biodiversità dell’Università di Palermo. Azzella ne ha parlato in un recente incontro a bordo della motovave Sabazia II. Cosa si può dire di questa nuova specie? Chiediamo ad Azzella. “L’Isoëtes sabatina è una pianta acquatica. Il nome. lo deve al fatto di appartenere al genere delle isoetacee dal greco ‘isos’ (uguale) e ‘etos’ (anno), in riferimento alle foglie uguali e persistenti per tutto l'anno e di essere una specie nuova alla scienza rinvenuta ad oggi solo nel lago di Bracciano, l’antico lacus sabatinus. Si tratta di una geofita bulbosa che vede il periodo di sporificazione tra luglio-settembre. La pianta vive a ridosso delle sponde del

lago, non oltre ad un metro e mezzo di profondità. La flora acquatica del lago di Bracciano non è stata studiata sistematicamente prima del 2009. La pianta è stata trovata sulla sponda sud est del lago in uno strato sabbioso alla profondità che varia tra mezzo metro e un metro e mezzo arrivando, nella stagione invernale, a circa due metri e mezzo di profondità. L’area interessata è di circa 700 metri quadri. In quell’area con i nostri sudio abbiamo individuato circa un migliaio di esemplari maturi. Si consideri che le più vicine specie di Isoëtes vivono nella zona alpina”. Il suo rinvenimento è indice di una alta biodiversità del lago? “Il lago di Bracciano è ricco di specie particolari, la sua vegetazione acquatica rigogliosa è considerata dai biologi un punto di riferimento a livello europeo. Questa splendida felce acquatica è sopravvissuta alla scomparsa di molti laghi laziali, all'attacco dell'uomo e, per ora, è stata trovata unicamente nel lago di Bracciano, che oltre ad ospitare questo raro endemita, ospita anche la metà delle characeae italiane (una famiglia di alghe), un terzo della flora europea. Le Characeae sono alghe delicate, sono molto sensibili all’inquinamento, e sono tutelate in diversi paesi europei”.

L’Isoëtes sabatina potrebbe scomparire? “Seguendo gli schemi della IUCN - Unione Internazionale per la Conservazione della Natura, la Isoëtes sabatina può essere considerata una specie a rischio estinzione. La minaccia maggiore è lo sfruttamento delle acque lacustri per l’uso civile. La nuova specie vegeta nel primo metro di profondità, molto vicino alla costa, un ulteriore abbassamento anche di poche decine di centimetri potrebbe compromettere la sopravvivenza della specie stessa. Quello che è innaturale è il cambiamento attuale dovuto all’emungimento eccessivo a cui si affianca il problema del cambiamento climatico esiste un principio in ecologia secondo cui maggiore è la complessità di un sistema naturale, maggiore sarà la stabilità dell’ecosistema. Maggiore il numero di specie in un lago, maggiore è la complessità del sistema, e maggiore sarà il grado di pulizia dell’acqua. Si potrebbero rilevare una minaccia anche i progetti di una pista ciclabile, le aree di sosta, ed i belvedere posizionati proprio dove cresce questa rarissima alga. Un ruolo importante nella conservazione di questa specie è affidato al Parco Regionale di Bracciano-Martignano”. Graziarosa Villani

Foto di Mattia Azzella

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“A nessun altro paese rivolsi il pensiero in questo tempo della villeggiatura se non ad esso” Nel 1849 le vacanze dell’avvocato Oreste Raggi a Bracciano

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iaggio Storico-pittoresco su le rive del lago Sabatino, o sia di Bracciano, discorso dell'avv. Oreste Raggi nelle vacanze autunnali del 1849”: così l’autore titolava un lungo saggio pubblicato a puntate nel corso del 1850 su una storica rivista del tempo. Ma chi era Oreste Raggi? Nato a Milano nel 1812, ha esercitato la professione di avvocato e di insegnante, oltre che in varie città del nord, anche a Roma, ed è noto per le sue ricerche e pubblicazioni storiche riferite soprattutto ai centri dei Castelli romani. Il suo libro più famoso è “I colli Albani e Tuscolani”. E’ stato un amante di arte e letteratura, divenendo molto amico di Edmondo De Amicis. Come narra lui stesso all’inizio del racconto, riferendosi a Bracciano così scrive: “… Questo paese vidi e ammirai per pochi momenti, or volgono tre anni, quando, tenuto dal barone l’ultimo dibattimento criminale…, io vi andai come difensore. Le tranquille acque del lago, gli ameni poggi che lo circondano, la sublimità della rocca che lo signoreggia, m’improntarono nell’anima tanta soavità, e tanto desiderio di rivedere quei luoghi, che a nessun altro paese rivolsi il pensiero in questo tempo della villeggiatura se non ad esso”. Il racconto del viaggio descrive anche la strada percorsa, partendo da Roma, e le difficoltà connesse a percorrerla. “La via che noi abbiamo percorsa, lasciata la Cassia, spesso è meglio a' pedoni che non a chi vada in carrozza. Danno opera al presente a rifarla: ma i lunghi tratti di essa, che a quando a quando s'incontrano conservatissimi di antico lastricato, sono incomodi e fanno balzare le nostre pesanti vetture, e se giungi alla meta con le ossa addolorate, è miracolo che non te le abbia rotte col ribaltare delle carrozze medesime”. Al tempo le strade non erano asfaltate né era stata ancora costruita la ferrovia (lo sarà circa 50 anni dopo) e quindi le condizioni di viaggio non erano delle migliori, soprattutto in quel momento che fervevano i lavori di sistemazione della “braccianese”. E a tale proposito Raggi ha modo di esprimere la sua critica opinione sulle modalità di realizza-

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zione del tracciato stradale che vedeva sacrificata una parte dell’antico basolato romano della via Clodia. “Ma quale profanazione non è quella che io veggo? Arrestatevi da tanta rovina, cessate dal devastare quell'antica via, dal rompere in minutissimi pezzi per rifarla al moderno uso quelle grandi pietre, sulle quali portarono il piede uomini di tanto valore e di tanto senno, dai quali noi siamo indegni discendere. Se i padri nostri, se lo andare di molti secoli che vi passarono sopra la rispettarono, e tramandarono fino a noi quel monumento di romana grandezza, perché non rispetteremo noi, perché non tramanderemo religiosamente ai nostri nipoti? Già lunghi tratti di essa avete distrutti, o barbari; rispettate, non osate toccare quelli che vi rimangono. O voi che vegliate alla conservazione degli antichi monumenti, vi muova carità di questa via Claudia, che altrimenti vedreste la maledizione degli avvenire in poco andare di tempo scomparsa dalla faccia del mondo, che qui verrebbero indarno per ricercarla. La via nuova, che pure è necessario facciate, cammini a fianco dell'antica: che il viaggiatore in vedendola tornerà volentieri col pensiero alle glorie di quei grandi che la costruirono, alle memorie di quei tempi che più non sono!“. Prosegue la descrizione dell’ultimo tratto di strada. “Pieno il petto di verace sdegno in pensando alla rovina di quest'antica via, col desiderio che cessi un tanto vituperio, con ansia di giungere presto in Bracciano, io passava il ponte, che chiamano di Prato Capanna, lasciava a sinistra la via che conduce alla Manziana ed all’Oriolo, altro ponte passava nominato del Parente: e cominciando una faticosa salita, già vedeva da un lato alcun poco del lago, quando a un tratto, giunto sull'alto di quella, mi si discopriva nel più sublime aspetto il desiderato paese, e gli ultimi raggi del sole già presso al tramonto illuminavano bellamente i merli del maestoso ed antico castello”. E’ a questo punto che si rammarica di non essere un pittore per poter raffigurare lo spettacolo che sta ammirando

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appena giunto all’ingresso del paese. Ma Raggi precisa che un valente pittore suo amico, tale Alessandro Mantovani da Ferrara, aveva provveduto a farlo qualche anno prima, dipingendo il panorama che si ammira dalla loggia della prima casa che si incontra, detta la Palazzina, al tempo di proprietà della famiglia De Santis. Il quadro era stato dipinto su commissione del duca Marino Torlonia (la cui famiglia era subentrata agli Odescalchi nella proprietà del feudo di Bracciano nel periodo 1803-1847) ed era custodito a Roma, nella sede di Villa Torlonia presso Porta Pia. Il dipinto era stata molto lodato anche dal marchese Massimo d’Azeglio, considerato un esperto della materia essendo anche lui un pittore, pur se maggiormente noto come politico e patriota. E’ interessante analizzare la citata descrizione dell’ingresso in paese che avveniva risalendo via Flavia e non percorrendo via Claudia, attuale arteria principale ma non ancora realizzata in quel periodo nella parte che immetteva in quell’area che sarebbe poi diventata piazza Roma. L’edificio detto la Palazzina era, pertanto, la prima costruzione in cui ci si imbatteva arrivando in paese, ubicato nella parte finale in salita della stessa via Flavia, prima che si arrivi alla chiesa del Divino Amore e la strada ridiscenda verso l’attuale via Negretti (in passato tutta la strada era chiamata Flavia fino a piazza 1° Maggio). Si entrava così nel rione Borgo, al tempo ancora chiamato borgo Flavio, come la via d’accesso, dal nome dell’ultimo duca Orsini. Quali attrattive principali del luogo, vengono poi citati la chiesa di S. Maria Novella, il duomo, il palazzo comunale con relativa fontana, ma soprattutto la quiete che si godeva nel bosco di querce che sorgeva intorno al convento dei Cappuccini, nel quale ogni giorno passava “alcune ore in leggendo nella più cara e soave tranquillità”. Ma da acuto osservatore di reperti storici non gli era sfuggito un particolare: in un muro interno del convento dalla parte dell’orto, tra l’intonaco, erano presenti i frammenti di un antico sarcofago con figure scolpite a bassori-

Gente di Bracciano

lievo. Sul posto, infatti, erano stati rinvenuti, in vari momenti, diversi reperti che lasciavano presupporre, sulla sommità del colle, la edificazione di un antico tempio pagano, sulle cui rovine era stata poi costruita la chiesetta di S. Lucia, primo luogo di culto cristiano a Bracciano centro.

quindi un altro ponte, si esce in un largo che chiamano Praterina e donde una via a destra ti conduce alle ferriere, per altra torni nel paese chiamato Bracciano nuovo ossia nei borghi”. Il forte sviluppo edilizio, avvenuto a Bracciano soprattutto intorno agli anni 2000, ha determinato che il Bracciano

all’inizio del suo saggio, di andare a trascorrere le vacanze in luoghi affollati dove affluivano le persone che abbandonavano la città, ricostituendo le premesse scomode del vivere cittadino. Scriveva infatti: ”…Quando mi abbia avere tutti i fastidi, il lusso, le convenienze sociali di una grande città, io

Veduta di Bracciano dalla zona dei Cappuccini - Eduard Lear (1841) tratto da Vedute del Territorio del lago di Bracciano a cura di Valentina Del Monaco

Durante il soggiorno braccianese non poteva mancare la visita al castello con descrizione del percorso fatto: “...discendiamo omai da questa rocca, attraversiamo nuovamente la castellana e giù per altre scale percorriamo il secondo piano; dipoi eccoci nel cortile, e dopo quell’oscuro androne prendiamo la cordonata che ora ci rimane a manca ed usciamo per la porta settentrionale dove troviamo le scuderie ed i granai… Passato un arco così detto porta falsa, e

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nuovo del 1800 faccia parte ora del centro storico e una Bracciano nuova, sorta in prossimità del colle dei Cappuccini, raccolga una quantità di persone notevolmente superiore ai circa 2.300 abitanti del 1850. Nonostante la forte crescita della popolazione residente, Bracciano ha mantenuto le caratteristiche proprie di centro residenziale autonomo, variegato, ameno e tranquillo, fugando i timori dell’avvocato Raggi, espressi proprio

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non lascio Roma per recarmi in Albano, o in altro paese dove tutta Roma in pochi dì si trasfonde. Io cerco il silenzio e la quiete della villa, la soavità di una amena campagna, il paese in cui possa vivere liberamente, spaziare per le aperte pianure, riposare sopra il pendio di una collina, sulle meste rive di un lago, inerpicarmi sopra ruvidi monti, celarmi tra il fitto di un bosco…”. E Bracciano offre ancora tutto questo. Pierluigi Grossi

Gente di Bracciano


I tesori di Vicarello

Nei 1852 durante gli scavi effettuati per la sistemazione del complesso termale, vennero ritrovati preziosi reperti di varie epoche

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isitando il Museo Nazionale Romano, i cui reperti sono custoditi presso il Palazzo Massimo di Roma, in prossimità della stazione Termini, si possono ammirare vari capolavori e veri e propri tesori, tra cui le monete antiche custodite nell’apposito “Medagliere”. Tra queste è in bella mostra la collezione che annovera parte del materiale rinvenuto nel deposito votivo di Vicarello, già appartenuta al museo Kircheriano. Nei primi giorni di gennaio del 1852, infatti, durante gli scavi effettuati per la sistemazione del complesso termale, vennero ritrovati preziosi reperti di varie epoche. Prima di descriverne il contenuto, è interessante conoscere le modalità e le circostanze del ritrovamento come vennero descritte dall’archeologo Giuseppe Marchi, esperto nella materia ed appositamente chiamato per un sopralluogo subito dopo l’evento, in un articolo pubblicato nel marzo del 1852 con il titolo “Le acque Apollinari e la loro stipe”. “..Non rincrescerà a'nostri lettori l'udir come queste sieno ora tornate in luce. I bagni di Vicarello… erano rimasti per lunghi secoli deserti e dimentichi. Nel pontificato di Clemente XII (papa dal 1730 al 1740) vi fu creato sopra e all'intorno un ricovero disagiatissimo, ove infermi di svariate malattie si condannavano a passare pochi giorni di cura per la certezza che avevano di riacquistare la sanità d'altronde disperata. In questi tempi ultimi crescea la fama di quelle terme salutifere; ma un piccino numero di que' che avrebbero bramato d'avvantaggiarsene, trovar vi poteva discreta accoglienza. Perciò i reggitori del Collegio germanico-ungarico, al quale il tenimento e i bagni di Vicarello appartengono, deliberarono di demolire quel tugurio e sostituirvi una comoda abitazione…..Pertanto il chiusino primitivo, che era insieme la unica vasca, convenne che fosse demolito a fine d'allacciar l'acqua nelle nuove forme: ed erano pochi minuti che lo stantufo mandava fuori dalla sua tromba l' acqua della sorgente, quando sotto la sua superficie incominciossi a scoprire che il chiusino era

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ingombro di antico metallo. Il soprastante a' lavori, uomo in giovane età d'antica fede germanica, si fè tosto recare una bigoncia da uve, e ritenuti presso di sé i suoi più fedeli, diede mano ad estrarre il metallo. L'acqua nella sua sorgente truovasi poco meno che a quaranta gradi del termometro di Reaumur, onde il primo degli uomini che vi si mise dentro giunse appena a toglierne quella piccola quantità che giaceva sopra un risalto di tegolone, il qual divideva il chiusino come in due piani inferiore e superiore. Uscitone

L’albergo delle Terme negli anni Trenta

con le vesciche intorno al piede e poco meno che senza la pelle alle piante, lo stantufo operava con maggior gagliardia ed un secondo operaio vi scendeva a distruggere il tramezzo in gran parte corroso dal calore, e dalla forza dell'acqua e ad incominciar a ritrarre il metallo che sotto il tramezzo stesso si nascondeva. L'impresa durò più ore; gli operai che l'uno all'altro si succedettero, furono tredici che tutti ne uscirono malconci dalle scottature, ed il metallo ritrattone bastò a far ripiene ben due bigoncie”. Questa la descrizione del ritrovamento. Ma quale il contenuto? Soprattutto monete, di varie epoche e di vari metalli,

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raccolte in una stipe. La stipe è un luogo sacro dove venivano deposti gli oggetti offerti alla divinità, come ringraziamento o auspicio di un desiderio. Nella fattispecie era il dio Apollo il beneficiario dei doni ed a lui erano intitolate le terme che si chiamavano, appunto, “Aquae Apollinares”. A conferma della dedica al dio, su tre vasetti di rame e su due d’argento era incisa una epigrafe che precisava trattarsi di doni ad Apollo Silvano e alle Ninfe. Poiché le nostre terme possono vanta-

re una frequentazione ed un utilizzo di vari secoli, essendo i doni deposti sempre nello stesso luogo, con il tempo si era formata una stratificazione di oggetti che ci rivela anche l’epoca e la genia dei donanti. Le monete sono in prevalenza di rame e d’argento ed abbracciano un arco temporale che va dal periodo etrusco al tardo romano. E’ interessante evidenziare, poi, che non sono presenti solo monete “locali”. Nel resoconto dell’archeologo Marchi si precisa che “Roma repubblicana e Roma imperiale vi hanno la massima quantità: ma non vi mancano le monete di città e di popoli da Roma lontani”.

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Una conferma della frequentazione “cosmopolita” delle terme è data anche da altri particolari. Sempre negli scavi del 1852, frammisto ad un muro demolito è stata rinvenuta una base di marmo con la dedica ad Apollo da parte di un individuo proveniente da Afrodisia, città dell’Asia minore, oggi Turchia. Ci sono pure tre bicchieri d’argento con l’indicazione delle stazioni poste lungo la direttrice che proveniva da Cadice, in Spagna e prossima al Portogallo. Il percorso inciso sui tre bicchieri varia in qualche piccolo dettaglio nelle stazioni indicate, per cui si può ipotizzare che i donanti abbiano fatto il viaggio in tempi diversi, essendo forse anche

soggetti diversi. Abbiamo quindi la prova tangibile della forte fama e attrazione che, al tempo, le terme esercitavano anche su popoli così lontani. La devozione ad Apollo è stata ulteriormente confermata nel 1977, quando durante gli scavi effettuati nella zona del ninfeo, venne alla luce una statua di marmo raffigurante il dio, ora custodita nel Museo civico, e chiamata appunto “Apollo di Vicarello”. Dopo la distruzione di questo territorio, dovuta alle invasioni barbariche, per tutto l’alto medioevo le terme furono praticamente abbandonate e dimenticate. Intorno al 1300 sorse un nuovo interesse per la località ma, per usufruire di una

vera e propria riattivazione delle cure termali, bisogna arrivare ai primi del 1700, quando il Collegio Germanico, che ne era divenuto proprietario nella seconda metà del 1500, iniziò la costruzione degli stabilimenti di supporto alle terme, attive fino a circa il 1960. Da allora, ed ormai da vari e troppi anni, le terme hanno cessato di svolgere la loro funzione “salutifera” perché il complesso termale, ora proprietà di una società privata, è fatiscente e non più accessibile al pubblico. Ma qui entrano in gioco altri fattori ed altri interessi che esulano dalla sfera di competenza di una ricerca storica. Pierluigi Grossi

Sandro Ferrone: “la crisi alle spalle”

Il Re del pronto-moda a Bracciano nel negozio della sua catena in occasione della presentazione del libro di Emanuela Scanu “Oltre l’immagine”

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andro Ferrone, classe 1937, figlio d’arte. E’ stato definito il Re del pronto-moda italiano. Oggi è una firma importante della moda italiana e la sua azienda, malgrado la crisi, cresce e allo stesso tempo si rinnova guardando sempre ad uno stile “classico” per una donna volitiva, sicura di sé. Il 13 luglio la prossima collezione Autunno/ Inverno 2015-16 ispirata agli anni Settanta con testimonial la bella Rocio Muñoz Morales è stata presentata nell’ambito delle sfilate di Alta Roma a Villa Laetitia. Lo abbiamo incontrato a Bracciano presso il suo negozio l’8 luglio in occasione della presentazione del libro di Emanuela Scanu “Oltre l’immagine – psicologia, alimentazione stile”. Che momento è per la moda oggi, soprattutto per quella italiana? Sono ben felice di vedere questa crisi alle spalle e non più davanti. In questi ultimi anni vedendola davanti la situazione aveva creato molte preoccupazioni. Sono abbastanza fiducioso del futuro almeno per quanto riguarda la mia azienda. Ce l’abbiamo fatta. Abbiamo perso per strada tanta gente, questo non è consolante però si sono ampliate le possibilità. Come azienda stiamo investendo abbastanza. Abbiamo aperto una succursale a Bologna molto importante. La sua produzione si concentra in Italia? E’ concentrata quasi al 90 per cento in Italia. Solo i piumini faccio in Cina, solo i piumini perché in Italia non si possono fare, almeno i piumini d’oca. Cosa devo dire. Sono molto fiducioso. Ho dei giovani in azienda che mi aiutano molto. L’azienda cresce e quindi io sono felice. La donna che veste Ferrone che donna è?

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Non abbiamo una donna precisa. Posso dire che le nostre creazioni piacciono a una donna medio giovane. A volte vedo piacevolmente che vestono Ferrone anche ragazze sotto i 20 ma più che altro penso che la nostra cliente sia una donna posata, che veste per andare in ufficio, che veste per apparire con sobrietà. Non parliamo di età perché oggi è difficile dire fino a che età è possibile fare tante cose. Io ho tantissimi ed ancora eccomi qua. Lei come ha cominciato? E’ una storia lunga. Mio padre e mia madre sono stati i primi a fare i vestiti già confezionati da donna perché prima si usava tessuto, bottoni e l’abito veniva confezionato dalle sartine del palazzo. Hanno riunito le prime sartine per

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fare le vestagliette da donna. Una vestaglietta di queste, col buco laterale, da “basso napoletano”, le aveva sul film la Ciociaria Sofia Loren. Sono un po’ un figlio d’arte Lei ha ancora la passione per la ricerca del tessuto? Come no. La ricerca del tessuto è abbastanza importante. Una volta era più bello, era più facile trovare buoni tessuti perché per tutte le aziende di tessuti erano italiane. Adesso purtroppo molti tessuti arrivano dall’estero e si assomigliano, si copiano. A volte si è convinti di avere un tessuto in esclusiva invece poi non lo è perché accade di tutto in questo settore. Fino a 15 anni fa lavoravamo solo tessuti italiani. Adesso devo dire che anche in questo settore una piccola ripresa dei tessutai e questo ci rallegra. Nel campionario che abbiamo presentato durante le sfilate di Alta Roma devo dire che ci sono tantissimi tessuti italiani, finalmente. Costano un po’di più. Bisogna salire di livello. Perché la manodopera in Italia è più cara ed anche chi fa il tessuto ha la necessità di non rimetterci. Un negozio a Bracciano, come mai questa scelta? Ne abbiamo aperti tanti 120, 130, in parte anche all’estero. Quindi la provincia risponde? Sì La provincia risponde. Credo dovremmo farcela a superare questa possibilità. Il centro commerciale di Bracciano è bello però potrebbe essere più affoltato. Generalmente offriamo un prodotto che come rapporto qualità prezzo è molto interessante. Non siamo ancora fuori di prezzo. La gente lo accetta volentieri. Ed anche, se mi è permesso di dire, fatto bene perché è fatto tutto in Italia. Graziarosa Villani

Gente di Bracciano


Eccellenze a Bracciano Il Circolo culturale “Renzo Renzi”

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e che, non poche volte, ci coinvolge e, in qualche caso, ci travolge. Andare oltre le apparenze è difficile. Soprattutto oggi. Allora? Ecco allora l’obiettivo del circolo culturale Renzo Renzi: ritrovare e tornare alla propria cultura, alle tradizioni dei nostri paesi, alla loro storia e, attraverso il pensiero di uomini illustri, riappropriarci di quello spirito che ha aiutato in ogni tempo e che aiuta ancora oggi l’uomo moderno ad essere pienamente se stesso. Così da poter comprendere come le sue capacità si esaltino e si riflettano nel sociale e come “operino” nell’ambiente in cui vive. In questo modo egli incide, non importa se poco o tanto, là dove egli vive. Moltissime sono le attività portate avanti dal circolo culturale “Renzo Renzi”. Per elencarle non basterebbe una pagina intera. Mi limito a ricordarne alcune: corso riservato agli stranieri domiciliati a Bracciano nelle materie grammatica italiana, codice stradale, diritto costituzionale, corso di utilizzazione del computer; concorso riservato agli alunni delle classi IV e V e delle scuole superiori di Bracciano; visita guidata al Museo Storico dell’Aeronautica Militare di Vigna di Valle; conferenza sulla storia di Bracciano; collaborazione con l’Associazione Walter Tobagi per la premiazione del concorso riservato ai detenuti delle case di pena del Lazio; collaborazione con l’associazione musicale Il Pentagramma per la proiezione di varie opere liriche. Luigi Di Gianpaolo

l circolo culturale “Renzo Renzi” nasce nel settembre del 2008 grazie all’iniziativa di Roberto Perugini, appassionato cultore di storia locale e nazionale. Perché un circolo culturale e perché intitolarlo a Renzo Renzi? La risposta a questa ultima domanda è semplice: perché Renzi è stata una persona davvero straordinaria e di grande cultura. Ma torniamo alla domanda iniziale: perché un circolo culturale? Già perché? Ma se riflettiamo ci accorgiamo che un tempo – 10,20,30, 40 anni fa…sembrano secoli! – tutto era più semplice: il buono era buono, il bravo era bravo, il mascalzone era mascalzone, perfino il bianco era bianco. Oggi è proprio così? Con i tempi che corrono pensate che la gente non dorma, per sapere chi portava a casa la cavallina storna? O per conoscere il buon De Amicis e il suo libro “cuore”? Ma andiamo! I giornali, la radio, la televisione, poi di che parlano? Forse del cittadino onesto, dello studente che studia tutto il pomeriggio, del ragazzo che aiuta la vecchietta ad attraversare la strada per evitare che finisca sotto una macchina? Ora se la realtà è questa, o si avvicina a questa, o potrebbe venire questa, allora occorre comprendere quali meccanismi perversi si sono messi in moto. Eccoci allora tornare alla domanda iniziale: perché un circolo culturale? Un circolo culturale nasce proprio dalla necessità di capire il “senso” di questa realtà, spesso così contraddittoria. C’è insomma la voglia di decodificare quanto avviene intorno a noi

Centro Urbano 2: le richiesta del Consiglio di Quartiere Richieste del Consiglio di Quartiere Centro Urbano 2 al signor Mauro Negretti, assessore in rappresentanza del Comune di Bracciano, da presentare ai vari assessori competenti. Pur conoscendo le difficoltà del momento per mancanza di liquidità da parte del Comune chiediamo alcune cose a costo zero pregandola di darci delle risposte per poter fare chiarezza verso i nostri concittadini: 1) Regolamento di mercato da rispettare. 2) Presenza di un vigile nelle ore di mercato di mercoledì. 3) Regolamento dei sensi unici nelle ore di mercato. 4) Mettere nelle fermate del bus comunale l’ora e percorso di linea. 5) Mettere una volta al mese un contenitore mobile per scarico materiali voluminosi (materassi, vecchie biciclette, reti, stufe, etc.). 6) Richiesta a Trenitalia del prolungamento di fine corsa a Manziana per tutti i treni che oggi terminano a Bracciano e poi farli tornare subito indietro e rimandarlo a Manziana agli stessi orari che abbiamo tuttora in vigore aumentando di conseguenza una corsa nella ripartenza Bracciano-Manziana-Bracciano-Roma. Questo comporterebbe un grande risparmio energetico ed un aumento dei posteggi facendo presente che Manziana è l’ultimo paese del percorso ferroviario Roma-Viterbo nel territorio ex provincia di Roma. 7) Possibilità di apertura all’altezza di via Pizzuti con via Bombieri di un piccolo passaggio a livello pedonale. 8) Autorizzazione di volontariato con autocertificazione di responsabilità civile e penale per tutto ciò che può accadere nell’esercizio di utilizzo delle attrezzature messe a disposizione dal Comune. 9) Autorizzazione di volontariato per eseguire nel locale del quartiere Centro Urbano 2 la possibilità di misurare la pressione arteriosa e glicemia gratuitamente a tutti coloro che ne fanno richiesta nei tempi e nei giorni da stabilire, sempre dietro autocertificazione di responsabilità. Nulla è dovuto dal Comune per qualsiasi tipo di prestazione. 10) Sbloccare situazione posteggio ospedale di Bracciano.

Presidente Alberto Procaccini, Segretaria Lorella Sacripanti, Consigliere Maria Grazia Bevilacqua, Consigliere Ferdinando Caso Contatti: consiglioquartiere2@gmail.com via del Grillo 6 c 00062 Bracciano

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Buongiorno, Bracciano Luccica il mattino dai lampioni sbiaditi, c’è la nebbia… Svettano le auto, smaglianti, dalla corsara alba sui tetti dove cresce l’erba rugiadosa. Il lago si illumina e dal torrione un cane che va a spasso senza padrone, Bracciano si risveglia con i suoi pendolari alla stazione infreddoliti arriva il giorno In tutto il suo splendore la via del Principe è un viavai di gente d’ogni colore e rango. E’ già domani.

Silvana Meloni

Gente di Bracciano

La Bracciano di Sandro Becchetti “N Località Sambuco, Bracciano, anni '70 dal volume "Tenutelle vendonsi"

egli anni ’60 iniziai la mia attività di fotografo a Roma. Ero il primo della mia famiglia ad aver studiato e sentivo che qualcosa dovevo a coloro che mi avevano consentito di uscire da un “panorama” in cui il tramonto di una sera non rappresentava la bellezza del creato, ma la fine momentanea di una maledizione che sarebbe ricominciata il giorno dopo. Dal 1970, per molti anni, ogni volta che mi è stato possibile, ho registrato in migliaia di fotogrammi, la lenta, inesorabile fine di questo mondo: anche una piccola parte di quelle foto, a mio parere, è sufficiente a testimoniare di un modo di vivere che, per molti, fu “il bel tempo andato…e Bracciano – il mio paese – è oramai una delle tante periferie che circondano la città eterna”. E’ Sandro

Becchetti stesso, fotografo di fama, a dare il segno di una raccolta di foto che ritraggono “momenti” di una Bracciano rurale, di un paese in trasformazione. Così scrive infatti nel volume “Tenutelle Vendonsi”, una pubblicazione ormai datata, realizzata a cura del Parco di Bracciano-Martignano. Ora che è morto a Bracciano sono in pochi a lavorare nel solco di Becchetti, tra questi Massimo Perugini con la sua ricca collezione di oggetti contadini. La sua “opera” è stata di recente oggetto di una nuova mostra, presente la vedova, che si è tenuta a giugno a Bracciano ancora una volta organizzata dal Parco. Ancora una volta forte si è levata dalla platea la richiesta di spazi e sostegno per iniziative che “salvaguardino” la memoria rurale e popolare della Bracciano che fu.

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Gente di Bracciano


1910: a Bracciano arriva l’Artiglieria

La calda estate braccianese

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Le ricerche storiche del Generale Mozzicato sulla Scuola Centrale di Tiro

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ntonino Mozzicato è un Generale di Divisione in congedo. Ama la storia ed in particolare quella che ha riguardato l’Esercito. “Sono convinto – commenta Mozzicato - che chiunque svolga qualsiasi attività, specialmente se si tratta di un appartenente alle Forze Armate, è senza dubbio agevolato, nel suo operare, dalla conoscenza del passato della propria struttura. Qualcuno diceva che nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto si trasforma. Per quanto mi riguarda - aggiunge avendo svolto i due più importanti incarichi alla ex Scuola di Artiglieria - da Colonnello, quello di Capo di Stato Maggiore, per tre anni - e da Generale di Brigata, quello di Comandante della Scuola per due anni, Scuola fortemente legata alla città di Bracciano, sono arrivato alla determinazione di procedere ad una raccolta dei più importanti documenti “storici” sulla prima Scuola di Artiglieria. Ciò, spinto anche dal fatto – commenta - che una documentazione del genere, nella sua interezza, non esiste, tanto meno a disposizione del “pubblico”. Da più di un anno, quindi, mi sono messo al lavoro per conseguire questo risultato, per me, molto importante. I documenti acquisiti, in gran quantità, sono stati opportunamente strutturati in modo da rendere note, ogni anno, le principali attività svolte dall’Istituto e saranno, appena possibile, raccolti in un appropriato documento. Poiché quest’anno ricorre il 70° anniversario della ripresa dei Corsi d’Istruzione, riguardanti il personale dell’Arma di Artiglieria ho ritenuto opportuno rendere noti i principali avvenimenti che hanno riguardato la prima Scuola di Artiglieria in una conferenza che si è tenuta l’11 giugno 2015 all’Archivio Storico di Bracciano, col patrocinio dell’amministrazione comunale e con la collaborazione dell’Associazione Fotocineamatori Bracciano”. La conferenza, presentata dal Generale Antonio Gatto, Presidente della Sezione dall’Unione Nazionale Ufficiali in Con-gedo d’Italia di Bracciano, ha visto una numerosa partecipazione di cittadini, tra cui molte autorità. In particolare, il consigliere comunale Massimo Mondini ed il Coman-dante dell’Artiglieria ed Ispettore dell’Arma d’Artiglieria, Generale di Divisione Giovanni Domenico Pintus. Erano presenti, inoltre, alcuni colleghi dell’Accademia Militare del Generale Mozzicato ed uno dei loro Tenenti Istruttori, Generale. Mario Davite. “La Scuola Centrale di Tiro D’artiglieria” è stata Istituita a Nettuno il 1° luglio 1888 a seguito di una legge del 1887,

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riguardante l’intero Esercito italiano e, quindi, anche l’Arma di Artiglieria, per far conoscere agli Ufficiali, ai Sottufficiali ed anche agli specialisti civili dell’Arma le qualità balistiche e d’impiego delle Artiglierie in servizio, in modo da avere uniformità di addestramento in tutte le unità operative. All’Istituto venivano inoltre assegnati spesso anche compiti di sperimentazioni riguardanti il miglioramento delle armi già operanti o artiglierie di nuova costruzione. Aveva un organico molto ristretto e tutto quanto era necessario per lo svolgimento dei compiti “istituzionali” veniva concesso in rinforzo di volta in volta, in termini di uomini, cavalli, mezzi, armi e materiali, a seconda delle varie esigenze. Ha operato con questa denominazione e con i compiti iniziali fino al 30 settembre 1910. Dal successivo 1° ottobre ha assunto il nome di “Scuola Centrale D’artiglieria da Campagna”, rimanendo nella sede di Nettuno. Lo stesso giorno veniva istituita a Bracciano la “Scuola Centrale D’artiglieria da Fortezza”, con altri compiti. La neonata Scuola Centrale di Tiro, per i primi sei anni, fu comandata da un Generale, che aveva anche l’incarico di Ispettore delle Esperienze e dal 1895 da un Tenente Colonnello o Colonnello con incarico esclusivo. I corsi ebbero inizio il 15 novembre 1888 e durarono circa 50 giorni nei primi due anni ed un mese negli anni successivi. Alla loro frequenza, in pratica, nell’intero periodo, sono stati ammessi intere generazioni di Quadri Ufficiali e sottufficiali, a volte anche diversi Generali, con preminenza per i Capitani ed i Tenenti. Oltre ai corsi venivano svolte anche specifiche conferenze riguardanti l’impiego dell’Arma di Artiglieria e la cooperazione Artiglieria Arma Base (generalmente la Fanteria). Le sperimentazioni hanno interessato sia

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singoli componenti dei vari sistemi d’Arma, sia artiglierie di nuova adozione. La più significativa di queste sperimentazioni ha riguardato il cannone da 75 della ditta Krupp, denominato da 75 Mod. 906, il quale, proprio da quell’anno, è stato acquisito dall’Italia per armare i Reggimenti d’Artiglieria da Campagna. Ai corsi, alle conferenze ed alle sperimentazioni assistevano spesso Ufficiali di Fanteria e Cavalleria ed a quelli più significativi, anche i vari Comandanti dei Reggimenti, gli Ispettori dell’Arma di Artiglieria ed a volte anche il Re accompagnato dal Ministro competente. Senza dubbio quella Scuola è nata con solide basi sotto tutti i punti di vista ed ha sempre operato con grande serietà e professionalità. Gli eccellenti risultati dei suoi insegnamenti, infatti, sia per quanto riguarda la preparazione tecnica e l’impiego delle varie armi in dotazione e sia per la formazione morale e professionale degli Artiglieri di tutti i gradi sono emersi nella cruenta Battaglia del Piave del 15 giugno del 1918, durante la quale il ruolo dell’Artiglieria fu determinante per la vittoria finale, come tutti i più alti gradi del nostro Esercito e persino il nemico riconobbero. La sintesi di tutti i giudizi espressi è in questa frase: tutto l’organismo delle artiglierie al fronte ha funzionato alla perfezione contribuendo in tal modo a mantenere la promessa fatta alla Patria di non lasciar passare il nemico dal Grappa e dal Piave. In estrema sintesi, in quella battaglia, gli artiglieri seppero unire in un sistema armonico e vincente gli insegnamenti ricevuti durante i corsi svolti nella Scuola Centrale di Tiro d’Artiglieria e l’esperienza acquisita nei precedenti due anni e mezzo di guerra, additando, in tal modo, alle generazioni future, la giusta strada da percorrere, specialmente nei momenti difficili. Antonino Mozzicato

Gente di Bracciano

lazione residente che supera di gran lunga i numeri degli anni passati e rivela una tangibile trasformazione dei comportamenti della comunità locale decisamente più incline ad apprezzare le opportunità offerte dal proprio territorio. Così mentre alberghi e campeggi soffrono della drastica diminuzione della propria clientela, ristoranti, bar, stabilimenti e attività sportive acquatiche diventano luoghi di ritrovo e svago frequentati da residenti della zona. Il grande caldo, unito alla naturale voglia di vacanza che caratterizza il periodo estivo, segna anche il successo delle tante iniziative serali promosse da Associazioni del territorio e generalmente sostenute dal Comune che ha pubblicizzato un calendario di eventi per i mesi di luglio ed agosto che sta riscuotendo un notevole successo di pubblico movimentando le piazze e le vie del centro e creando un accattivante clima festaiolo che invita all’uscita serale non solo le fasce giovanili, ma anche le famiglie. Insomma la crisi economica sommata al caldo sta dando come risultato una sorta di rilancio della vita cittadina che, in controtendenza rispetto al passato, appare oggi particolarmente animata ed offre un panorama di occasioni apprezzate dalla cittadinanza con conseguente valorizzazione di luoghi ed iniziative meno frequenBiancamaria Alberi tati negli anni passati.

emperature torride in tutta Italia, il caldo tanto atteso durante la stagione invernale è arrivato prepotente ed esagerato e sta mettendo a dura prova una popolazione ancora poco abituata a convivere con un clima che non è più quello mediterraneo, ma si avvicina a quello equatoriale. Come reagisce la comunità braccianese al mutamento climatico e soprattutto come sta affrontando il caldo esasperante di questo periodo? La riscoperta del lago, in altri anni snobbato da molti in favore del mare, è l’aspetto più vistoso di un cambiamento di tendenza delle preferenze della cittadinanza che, in numero sempre maggiore, torna ad apprezzare la limpidezza dell’acqua lacustre ed affolla le spiagge libere ed attrezzare del lago di Bracciano. Un’altra scelta molto comune è quella delle piscine che stanno registrando un’affluenza quotidiana straordinaria di pubblico prevalentemente locale. Il dato del minor numero di persone che quest’anno partiranno per una vacanza in Italia o all’estero sembra portare la popolazione braccianese a cercare occasioni vacanziere vicino casa e rivalutare con ciò le bellezze naturali e le strutture turistiche presenti in questa zona. La crisi del turismo che le attività ricettive registrano viene così compensata, almeno in parte, da un’inedita affluenza della popo-

Quattro amici al bar scoprono l’emozione della danza

C

ari lettori, a volte nella vita capitano momenti straordinari attraverso una porta che non sapevamo di aver lasciato aperta. Sicuramente mi direte: cosa vuol dire? Un attimo di pazienza e ve lo spiego. Qualche giorno fa mentre ero al bar con amici per gustare il solito caffè e fare le solite quattro chiacchiere - sarà capitato anche a voi no? - si è aggiunto alla comitiva - ma questo sarà capitato anche a voi no? - un nuovo amico: Gianni Montesano, colonnello dell’esercito in pensione. Mentre si chiacchierava, non ricordo come, il discorso è caduto sulla danza. Gianni ha cavalcato subito l’argomento e ha iniziato a parlare con grande entusiasmo. Lo si notava da come brillavano gli occhi e dal tono della voce. Ha ricordato che ha iniziato con un gruppo di amici e poi, preso dalla passione, ha continuato. Ha sotto-

Agosto 2015

lineato che dal 2008 balla nel gruppo Royal Team Dance sotto la guida del grande maestro Angelo Costanzo e Roberta Mantovan, pluricampioni italiani e campioni mondiali di dance standard, classe master. Mentre parlava andavo con la mente a certe esibizioni a cui avevo assistito e che a dire il vero mi avevano fatto sorridere. Quei volteggi, quei movimenti con le anche un po’ qua, un po’ là, insieme a quel muovere le mani, ora in alto ora in basso, e quegli sguardi che a me sembravano persi nel vuoto, ben tutto mi sembrava un po’ ridicolo. Ora scoprivo, invece, attraverso le parole di Gianni, che ogni passo, ogni movimento, era studiato e ristudiato. Dietro quei volteggi che apparivano facili facili, c’era un impegno e un’attività fisica da fare invidia a molti atleti. Gianni ci teneva a precisare che si allenava tre o quattro volte la settimana al dancing Maceiò di Roma. Eh sì! Cari lettori. Avevo scoperto grazie a Gianni che la danza è una delle espressioni più alte dell’animo e della sensibilità di una persona o meglio di un uomo e di una donna che si sin-

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tonizzavano nei vari passaggi musicali sulla stessa lunghezza d’onda. Sono due persone, ma, pensate un po’, diventa una. Diventano insomma un corpo e un’anima come diceva una bella canzone di qualche anno fa. Accidenti che bello!!! A quel punto ho chiesto a Gianni perché si sia così appassionato. Mi ha risposto sorridendo che non c’è un vero e proprio perché: ci si sente attratti e basta. Certo, quando poi all’attrazione seguono i risultati, la soddisfazione è davvero grande. Gianni e la sua partner, Antonella Zauli, sono veri campioni nazionali e per merito sono transitati sino alla classe A1. Nel 2014 si sono classificati al quinto posto su ottanta nel ranking nazionale. Il 28 febbraio 2015, poi, a Genzano, hanno vinto il campionato regionale. Quella mattina avevo imparato molto sulla danza, sul suo mondo e mi ero emozionato. E il caffè? Era diventato freddo. Pazienza! Avevo scoperto con grande sorpresa e un pizzico d’orgoglio che anche a Bracciano ci sono eccellenze.

Luigi Di Gianpaolo

Gente di Bracciano


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