Gente di bracciano ottobre 2015

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Gente diBracciano Ottobre 2015 numero 5


Gente diBracciano

Ottobre 2015 Numero 5

Dedicato a Eleonora

Editore: Associazione Gente di Bracciano Presidente: Claudio Calcaterra

Direttore responsabile: Graziarosa Villani

Redazione: Francesco Mancuso, Vittoria Casotti, Mena Maisano, Biancamaria Alberi, Luigi Di Giampaolo

Collaboratori: Massimo Giribono Fabercross, Pierluigi Grossi Registrato al Tribunale di Civitavecchia n. 1388/2014 Stampa: FEDE 2011 SRL Via dei Vignali, 60 Anguillara Sabazia su carta riciclata foto di copertina a cura di

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Il bene di Bracciano

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uante cose fa Bracciano ultimamente, “Parla”, “Canta”, “E’ in movimento”, vuole salvarsi. Ma… “Non sei di Bracciano se…”. Al tempo dei social media la politica corre su un post, un tweet, un link e in questo vorticoso dinamismo si perde il senso della meta. Cosa vogliono davvero i braccianesi? Mancano programmi, visioni future. Cupinoro da ormai un trentennio segna lo spartiacque nella politica locale. Nel 1991 si protestava per un uso corretto, oggi è “ferma”. Gli impianti oggi autorizzati presso il sito, in caso di non accoglimento della proposta che la Bracciano Ambiente al Tribunale di Civitavecchia in sede di procedura fallimentare presenterà come da proroga concessa fino al 3 novembre, potrebbero passare dalla gestione pubblica a quella privata. Dove va Bracciano? Nessuno si interroga seriamente su uno dei passaggi epocali che ha investito la cittadina con la fine della leva obbligatoria? Nessuno si chiede qual è l’effettivo ruolo che Bracciano debba avere nel tessuto produttivo del Lazio, stretta come ai margini di una Città Metropolitana, per ora solo abbozzata e che ora resta priva anche del “sindaco metropolitano”. Il turismo? Perché allora il Parco, che avrebbe dovuto essere un volano economico, oltre che restare sin dal 1999 senza il piano d’assetto definitivo è depotenziato? Perché persiste e si aggrava il braccio di ferro con Acea sulla “proprietà” di un lago da bere oggi divenuto il “serbatoio” di emergenza di una città allo sbando? Nessuno si chiede perché il raddoppio dei binari della linea ferroviaria fl3 che davvero cambierebbe la qualità della vita sul territorio resta ancora sulla carta. No. Al tempo della politica sui social media non si discute di tutto questo, si posta, si tweetta e commenta, si linka e si condivide, in un turbinio impazzito di parole e sensazioni senza meta. Una “opposizione” mediatica che amplifica gli interventi della magistratura. Il fatto vero è che il territorio sembra abbandonato dallo Stato che taglia e non restituisce, dalla Regione Lazio che (ad eccezione di un timido sostegno per l’ospedale Padre Pio) promette e non mantiene. Viene da chiedersi: è possibile che tutto questo sia oggetto di dibattito solo alla vigilia delle elezioni e che non si possa davvero tornare a confrontarsi sulle questioni che davvero fanno bene a Bracciano? Graziarosa Villani

La Révolution: nulla sarà più come prima

all’oppressione. Il diritto alla proprietà è protetto (ma non è più “sacro”). Il tentativo della Convenzione montagnarda di superare la contraddizione fra le esigenze dell’uguaglianza dei diritti, proclamata in linea di principio, e le conseguenze del liberalismo economico, malgrado la sua sconfitta finale, ha costituito una anticipazione che ha nutrito il pensiero politico e sociale per due secoI rivoluzionari hanno avuto intera la coscienza li, anche se la Costituzione del ’93 non è mai entrata in vigore. Tuttavia quello che spesso non è messo in rilievo con sufficiente del valore storico della loro esperienza forza è che alla Rivoluzione francese si deve la nascita della vita a società, come ogni cosa vitale, è una tendenza rigorosamenpolitica democratica moderna. Basta un semplice elenco delle te definibile. La definizione di società include la concezione innovazioni che essa ha introdotto nella pratica politica e che sono che molti considerano “società civile”. La Rivoluzione Francese oggi nel costume di tutti i paesi democratici: la sovranità nazionadel 1789-1795 trasformò la società civile in società di diritti, le è delegata a deputati designati con elezioni a suffragio univerdistruggendo i poteri assolutisti in tutta Europa. Rileggendo sintesale (1792); la cittadinanza non può essere limitata da distinzioni ticamente la storia di quella rivoluzione, si può rilevare che i diritfondate sul colore della pelle (1794); la pratica dei dibattiti e della ti dell’uomo, dichiarati il 26 agosto 1789 a Parigi dall’Assemblea vita parlamentare; la ripartizione degli eletti secondo l’orientaCostituente, oggi, anno 2015, sono calpestati dall’ignoranza dilamento politico (alla destra del banco della presidenza i conservagante, dall’egoismo, dal razzismo, dall’odio, dall’omofobia e dai tori, al centro i moderati, a sinistra i progressisti); la subordinaziopoteri “moderni” di oggi. ne alla sovranità nazionale di tutte le autorità, in particolare la Claudio Calcaterra supremazia del potere civile sui militari (i “rappresentanti in missione presso le armate con poteri illimitati); la a Rivoluzione francese ha distrutto definipubblicità dei dibattiti (nella sala della tivamente dalle fondamenta la monarchia Convenzione il pubblico poteva essere di assolutistica in Francia. Tutte le monarchie 7.000 e anche 8.000 persone); la separazione assolutiste europee, sconfitte sui campi di batfra Stato e Chiesa; il partito politico di massa taglia dalla Rivoluzione, saranno costrette a (la “Società dei Giacobini Amici della Libertà trasformarsi ed aprire quegli spazi di libertà e dell’Uguaglianza” organizzata in provincia attraverso cui farà irruzione la nuova società con circa 2.000 società affiliate, equivalenti basata sulla grande produzione industriale. delle “sezioni” dei giorni nostri); il movimenLa Rivoluzione francese segna l’avvento al to popolare assembleare (le assemblee delle potere della borghesia in Francia come forza società popolari, in cui i sans culottes presenegemone. Sulla sua scia la borghesia darà l’astano le esigenze spontanee delle masse); la salto al potere politico in tutta Europa. stampa e la libertà di stampa (1789); il diritto Queste sono le due principali conseguenze, di petizione. Nulla di tutto ciò esisteva prima unanimemente riconosciute, della Rivoludella Rivoluzione francese. Seguendo anche zione. Ma occorre spingere oltre lo sguardo solo superficialmente la cronologia degli per comprendere l’intera portata di quella straavvenimenti, possiamo vedere come queste ordinaria concatenazione di fatti straordinari innovazioni siano “invenzioni” suggerite al che ha fatto scrivere al filosofo Kant: “Un tale genio creativo dei rivoluzionari del 1789-1795 fenomeno nella storia del mondo non si dimendall’impatto con situazioni mai verificatesi ticherà mai, poiché esso ha scoperto nel fondo prima di allora nella storia. Prima di allora, della natura umana una possibilità di progres- Pubblicazione di Licia Mazzola e Chiara infatti, non esistevano con autonomia politica so morale che nessun uomo politico aveva fino Tardivello (1989) propria le due forze che si affacciano sulla ad ora supposto. Anche se lo scopo perseguito non fosse stato ragscena della storia giusto con la Rivoluzione francese: la borghesia giunto, se la Costituzione dovesse alla fine fallire, o si dovesse e le masse popolari. Né si potrebbe dire che i rivoluzionari del ritornare progressivamente all’Ancien Régime (…) queste prime 1789-1795 non abbiano avuto intera la coscienza del valore storiore di libertà, in quanto testimonianza filosofica, non perderebbeco della loro esperienza. Gli uomini della Rivoluzione hanno ro nulla del loro valore. Poiché questo avvenimento è troppo avuto percezione esatta delle ripercussioni che la Rivoluzione intenso, troppo legato intimamente agli interessi dell’umanità, e francese era destinata ad avere. Sistematicamente e con chiarezza, capace di un’influenza troppo grande su tutte le parti del mondo, tutti i grandi protagonisti della Rivoluzione, a qualunque corrente perché i popoli, in altre circostanze, non se ne ricordino e non del pensiero rivoluzionario appartengano, espongono la convinsiano spinti a riprenderne l’esperienza”. Come per dar ragione a zione che i diritti dell’uomo e le libertà non sono per i soli franceKant e per confermare l’attualità della Rivoluzione anche ai giorsi, ma per tutta l’umanità. Basterà citare la “Introduzione alla ni nostri, nel 1988 il Brasile si è dato una Costituzione, preceduta Rivoluzione francese di Antoine Barnave. Rivoluzione della liberda una Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino molto tà, della dignità, del diritto dei popoli a disporre di sé, la vicina a quella della Rivoluzione francese e dichiaratamente ad Rivoluzione francese ha conferito ha conferito al suo messaggio essa ispirata. Vi sono in realtà due Dichiarazioni dei Diritti un carattere di universalità che ha finito per esercitare la sua dell’Uomo e del cittadino nella Rivoluzione, quella del 1789 e influenza nel mondo. Rivoluzione dell’uguaglianza, la Rivoquella del 1793 (montagnarda). Fra la Dichiarazione dei diritti luzione francese ha lasciato nella coscienza degli uomini la condell’uomo e del cittadino adottata il 26 agosto 1789, opera dei vinzione che “la libertà senza l’uguaglianza non è che un vano Costituenti, e quella votata il 24 agosto 1793 dalla Convenzione fantasma”. Come ha scritto Tocqueville “La Rivoluzione francese montagnarda, le differenze sono evidenti. La prima pone la pronon ha un territorio proprio (…) Ha formato al di sopra di tutte le prietà al primo posto tra le libertà, la seconda presenta un carattenazionalità particolari una patria intellettuale comune di cui re più democratico e sociale. La felicità comune posta come scopo uomini di tutti i paesi hanno potuto divenire cittadini”. Attraverso dello Stato implica il suo intervento e le riforme sociali. i secoli e i continenti, la Rivoluzione francese ha dato alle generaL’uguaglianza diventa il primo dei diritti dell’uomo. Per rifleszioni e ai popoli, con i suoi principi, la ragione di combattere per so, viene riconosciuto al cittadino il diritto all’istruzione e all’asl’emancipazione. sistenza. L’insurrezione è giustificata come mezzo di resistenza Tratto da Manifesti Rivoluzionari (a cura di Claudio Calcaterra)

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Il forno di Clara

Dentro il cuore del borgo di Bracciano vive un forno antico e Sisto ne è il profeta

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el cuore del borgo di Bracciano “vive” un forno antico, il forno di Clara, si trova in via Scaletta di piazza Padella. È il forno dove Sisto e Clara cuociono porchette per la gioia dei braccianesi e dei forestieri che hanno la fortuna d’incontrarle. Sono con Sisto e Clara che mi raccontano il loro incontro con il forno, incontro che ha cambiato le loro vite, e la sua storia più recente, perché il forno esiste dal 1300, ma di questo parlerò dopo. Le voci di Sisto e Clara si accavallano, i ricordi si riaffacciano nella loro mente e man mano che i loro racconti, le loro emozioni, si dipanano trovano accoglienza sul mio quaderno acchiappaparole. Negli anni ’30 del secolo scorso gestiva il forno una certa Calliope, che era la musa greca della poesia epica, chissà come le arrivò quel nome! Il forno lo aveva avuto in affitto, per pochi soldi, dalla diocesi di Civita Castellana e Sutri, che nel medioevo sopraintendeva alla vita di Bracciano. Di più Sisto e Clara non ricordano, poi un lampo e raccontano di quando, nel 1944, durante i bombardamenti, il forno rimaneva sempre spento il giorno, si accendeva solo di notte per dare meno riferimenti “fumogeni” ai grappoli di bombe che arrivavano a sconquassare cose e persone …“un forno che non fuma la notte è un mezzo forno”, dice ispirato Sisto. Verso la fine degli anni ’40 i nonni di Clara, Amedeo Canini e Clara Giorgetti rilevarono, anche loro per pochi soldi, l’affitto del forno. Divenne presto il forno di Clara. Amedeo si ammalò presto e Clara prese in mano l’attività e la cura dei loro cinque figli. La domenica era una giornata speciale, arrivavano al forno tielle di patate con il pollo, tante patate poco pollo, pomodori con il riso, melanzane e peperoni dell’orto da abbrustolire e lì, in attesa delle cotture, si chiacchierava, si cucivano i panni degli assenti, si rideva e cantava, la comunità si ritrovava in un giorno di festa e faceva festa. Era una garanzia anche per la cottura dei cibi, Clara infornava e le comari controllavano la cottura, secondo loro gusti e piacimenti. Ed era difficile che ci fossero liti per chi fosse il primo o il secondo, le comari dovevano mettersi d’accordo prima sull’ora della venuta e Clara “comandava” gli

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cannone, ma non si perse d’animo, le prese una per una e le lanciò per la discesa e, giocosamente, urlò al vento …“mangiate popolo, mangiate, oggi le pizze di Anitona sono gratis”...non ne avanzò una, erano i tempi frementi e affamati del dopoguerra! Ma con il forno Amedeo e Clara non riuscivano a sfangare il mese, così, nei giorni feriali, lavoravano, a mezzadria, i terreni dell’avvocato Cini. La storia di Amedeo l’ho già incontrato, con Tina e Mena, nel numero di Gente di Bracciano che racconta “La piccola storia della famiglia Canini”, dove Tina raccontò che Amedeo fu fatto cavaliere, nessuna delle due ricordava perché, ma Tina ricorda quanto lo prendessero in giro…”i cavalieri vanno a cavallo, non sui somari”…facezie e arguzie paesane. Amedeo andava a raccogliere con il somaro le fascine per il forno e lo aiutavano, sempre più spesso, i suoi cari figli. Amedeo e Clara

appuntamenti e guai a sgarrare! Una volta Anitona ebbe un coccolone quando si accorse che le sue pizze di Pasqua non lievitavano, forse sbagliò l’impasto, quando uscirono dal forno sembravano palle di

Vincenza, Antonio e la figlia Clara

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E arriviamo al 26 luglio del 1959 Antonio, con sua moglie Vincenza, subentra ai genitori. E c’è una prima innovazione, il forno non è più solo cottura, ma si cominciano a cuocere le porchette: sale, pepe, aglio, finocchio e via nel forno del 1300 a solleticare le papille dei clienti, il sabato e la domenica. Siamo vicini al boom economico, le caserme si riempiono e gli affari di Antonio crescono. Ma anche per loro non basta vendere porchetta per vivere dignitosamente. A Bracciano ci sono sei “porchettari” e il sabato e la domenica è tutto un vociare, un accordarsi per turnare nei posti migliori per la vendita, con qualche simpatica litigata braccianese quando c’era qualche malumore da comporre, lì per la viuzza sotto la piazza del Comune. Così Antonio prende la licenza per vendere legna e allora via per boschi a tagliare, a portar via nel deposito dietro al forno e a vendere. E alle 5 del mattino giù ad accendere il forno e la sera via a tagliare legna, per tirare su le loro due figlie, Clara e Anna. Clara si commuove quando parla dei genitori …“na vita di lavoro, senza pause, per dare a noi benessere ed educazione, una vita passata con un senso profondo della famiglia, senza grilli per la testa, due amorevoli e amati genitori, finivano la giornata alle

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Antonio cuoce al forno una porchetta

21 e ricominciava alle 4 di mattina…”. Intanto Antonio, primo tra tutti i “porchettari” di Bracciano, comincia a mettere in vendita la porchetta d’estate tutti i giorni e la carne fresca in autunno, al mercato in via XX Settembre, e ci vede lungo, le vendite aumentano. Ma negli anni 65-66 scoppia la peste suina e per un anno niente più porchetta e carne fresca. Ma Antonio e Vincenza non si scoraggiano e in quegli anni mettono su un banco di verdure al mercato e riescono a tirare avanti, anche in quei tempi difficili. E quando riparte la vendita del suino Antonio e Vincenza aprono un punto vendita in via G. Palazzi, 4, a tutt’oggi aperto. Ogni tanto devo frenare Sisto e Clara, non riesco a ordinare il fiume di parole che riversano nel mio quaderno, anche se è un acchiappaparole, così mi ritrovo non so come e quando con la storia del 1° giovedì di marzo, festa di san Liberato, giorno in cui iniziava la stagione della porchetta. In quel giorno era festa grande a Bracciano, gli uomini a fare il primo bagno al lago e la porchetta a scorrere a “chili” nelle gole accoglienti dei festaioli. Mi raccontano che le porchette uscivano dal forno ancora impalate, uno davanti e uno dietro a correre verso la piazza per portarle ancora calde e le strade piene del grasso residuo che colava sul selciato. Per far sapere dove andava Pollicino buttava molliche di pane, loro odoroso grasso, lo stesso che vendevano a sgommarelli prendendolo dai soli dove il grasso colava nel forno, per arricchire pietanze e minestre dei braccianesi.

E siamo al 1 aprile del 1993 Sisto e Clara subentrano nell’attività di famiglia. Il forno antico del 1300 è ora di loro proprietà: l’hanno comprato Antonio e Vincenza nel 1991 dalla diocesi di Sutri e Civita Castellana, che andavano dismet-

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Vincenza prepara la brace

tendo alcune proprietà. È un periodo denso di scelte importanti. Antonio e Vincenza ormai faticano a tenere in piedi l’attività e Sisto, che lavora come tecnico nel campo della telefonia fa una scelta coraggiosa. Si licenzia e decide di subentrare nell’attività di famiglia. C’è passione nelle sue parole…”guadagnavo anche bene, ma sarei dovuto andare in giro per l’Italia, lontano da Clara e dai figli, e poi, e poi, questo forno antico mi ha conquistato, se non fossimo subentrati avrebbe fatto la fine di tutti gli altri forni antichi di Bracciano, buttati giù per far posto a camere e ripostigli, fine di una storia di comunità, chiudevo gli occhi e vedevo le migliaia di persone che nel tempo trovavano un tempo d’allegria e di parole da scambiare mentre il cibo cuoceva al calore della sua volta, allora mi son detto: licenziati e fallo vivere e io vivrò con lui, così ho fatto apprendistato con Antonio e ho cominciato un nuovo mestiere, vicino alla famiglia e al mio forno antico…così, con la voce venata di orgoglio e con gli occhi luccicosi, Sisto mi ha raccontato la sua scelta di vita, sulla mensola libri di etruscologia, l’altra sua passione, davanti Clara a bere con avidità le parole di “suo marito”. Anche loro innovano l’attività, porchetta per 365 giorni l’anno. Clara ha un guizzo e mi racconta perché l’attività si chiama la Moretta, era per via del colore dei capelli mori e della carnagione olivastra di Vincenza, come quella della sua gente, i calabresi. Racconta che un giorno vennero a negozio dei lumbard, insomma gente del nord, a comprare porchetta e a chiedere notizie della “mora”. Al banco c’era lei, mora come la mamma, e il lumbard rimase un attimo interdetto, era lei, ma troppo giovane. Era un militare che fece il suo periodo di leva a Bracciano e che si era imporchettato per quanto era

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buona, così era sceso di nuovo a trovare i tempi della sua gioventù e aveva voluto ritrovare, con la sua famiglia al seguito, una delizia di quel suo tempo di vita…è buona come allora e forse più… rantolò, facendo scivolare sulla lingua una cotenna ancora croccante! Mentre scrivo mi arriva una telefonata di Clara, mi racconta di un episodio che ha rammentato dopo che sono andato via. Aveva 8, o forse 10 anni, e a lei toccava controllare il banco di vendita nella via sotto il Comune, quando i suoi genitori avevano commesse da fare. Doveva solo controllare, ma quel giorno arrivò una comitiva di romani che voleva assolutamente mangiare la porchetta della Moretta: erano clienti assidui, dissero. Lei non voleva, per l’ordine datole dal padre, perché non sapeva usare la stadera per pesare la porchetta, perché non sapeva tagliarla bene. Ma quelli insistettero tanto che lei, alla fine, acconsentì. Era orgogliosa, quando arrivò Antonio, di consegnargli il primo guadagno di una vendita da lei effettuata. Prese un rabbuffo solenne: si era un po’ tagliata e quei manigoldi l’avevano raggirata sul peso. Una pausa e le piace raccontarmi che il lunedì, giorno di macellazione, era tradizione accendere il braciere a negozio per asciugare le salsicce di fegato e, dato che i suoi genitori pranzavano a negozio, si cucinavano un po’ di salsicce, così, man mano che le rosolavano, il profumo si spandeva tutto attorno ed era usanza offrirne un po’ agli amici che passavano di lì, certo gli affari, ma, insieme, il senso dello stare insieme, della comunità. È da un paio d’ore che il mio acchiappaparole si riempie, ma sento che occorre vedere questo forno antico. Sisto non ha un attimo d’esitazione e mi conduce al suo amore, ha un piccolo camioncino, all’inizio non capisco perché così piccolo, ma quando s’infila nei vicoli

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che ci portano a destinazione mi si rivela tutto chiaro: due centimetri a destra e due a sinistra, non di più, una piccola esitazione e il camioncino raderebbe i muri dei vicoli, o viceversa, ma Sisto vola, rimane solo la mia apprensione e la mia ammirazione per quella sua guida “volante”. Rimango colpito dal fatto di entrare in un luogo che ha 700 anni di vita: ne deve aver viste di cose! Sisto getta una luce nel forno: la volta è ancora quella antica, un metro e dieci, un metro e venti d’altezza, i mattoni tutti messi a taglio, lungo circa quattro metri, c’entrano tre porchette! Mi racconta che quello è il suo luogo di lavoro, ma anche di meditazione.Vorrebbe che quel luogo potesse parlare per raccontargli storie, in mancanza le sogna lui. È incantato dal mistero di quei muri trecenteschi.

Mi porta fuori e mi fa vedere il punto di sutura del muro con il tetto, appaiono, come disegnate, delle merlature, forse era una torretta d’avvistamento in tempi in cui il Castello ancora non c’era! Dentro il cuore del borgo di Bracciano vive un forno antico e Sisto ne è il profeta. Per un attimo mi sento conquistato dal clima medievale in cui Sisto mi ha trascinato, poi vedo i soli dove “alloggiano” le porchette impalate, delizie per il viandante goloso, e allora torno in “terra”. Mentre torniamo alla magione, sempre sfiorando i muri delle case dei vicoli, mi racconta la storia di un suo affezionato cliente che lavorava all’ENEA, l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile. Per i 50 anni di attività la Moretta si era messa in festa, ma lui

non poteva partecipare perché era il suo turno, lungo sei mesi, di ricerca sui mutamenti dell’ambiente laggiù, nel Polo Sud, così si portò via un po’ di porchetta e promise una bella sorpresa al suo ritorno. E così fu. Quando tornò aveva con sè una strana foto: una porchetta giuggiolava tra pinguini curiosi, sì, proprio una porchetta, seppure di cartapesta: fu il suo modo di festeggiare la Moretta. La foto fa mostra di sé nel negozio della Moretta. Oggi Giacomo, loro figlio, gestisce un punto vendita sulla piazza di fronte all’uscita del castello. La quarta generazione si affaccia per continuare a far vivere il forno antico di Bracciano, il forno di Clara, con un tocco di gioventù e tanto orgoglio perchè riesce a mantenere viva la tradizione dei nonni. Francesco Mancuso

Clara, Sisto e il figlio Giacomo

Il giorno del giudizio universale

A un passo dal volo la fiamma del nulla. Ancora noi. All’alba della pioggia… A pochi passi dal temporale.

A pochi passi dal temporale i nostri miseri pensieri della perduta memoria. Ai limiti di guerre vicine e lontane, carnefici e vittime, a pochi passi dal temporale. Si lo so, rapidi incontri, difesa della nostra coscienza e, lontananza dai nostri occhi. Sì lo so, l’ultimo albero superstite… Sì lo so, le trasparenze mancanti… Sì lo so, le migrazioni del dolore… Alle porte arrugginite dell’odio razzista che conosciamo noi a pochi passi dal temporale. A sinuosi silenzi e, breve, il canto dei sicari. Ottobre 2015

Un lampo lungo 43 anni

Bracciano in multivisione nella “serata indimenticabile” organizzata dai Fotocineamatori al centro anziani

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8 agosto scorso al centro anziani Aurelio Appolloni, l’Associazione Fotocineamatori Bracciano ha presentato la serata in multivisione “Omaggio a Bracciano”. Introdotta dai saluti del presidente del centro, Rossana Negretti, la serata è proseguita con l’intervenuto del sindaco Giuliano Sala che ha tessuto gli elogi in merito all’alacre attività svolta dal Centro anziani sul territorio, e ha riconosciuto all’Associazione Fotocineamatori Bracciano, il valore dell’opera svolta in favore della conoscenza delle bellezze naturali ed archeologiche locali. Ha quindi preso la parola il presidente della Fotocineamatori, Mario Gentilucci, che ha illustrato in sintesi la storia della prestigiosa associazione. Vari i temi in programma: oltre a Omaggio a Bracciano, Arti e Mestieri, Bracciano in Bianco e Nero, Persone, personaggi…interpreti, Quarant’anni e Noi. Le proiezioni, davanti a una affollata platea, hanno suscitato un caloroso entusiasmo e scroscianti applausi. Tant’è che alla pressante richiesta di bis, il socio Carlo Faina ha prolungato il programma con altre due proiezioni: Ti ricordi una volta (“La nevicata del ’56 a Roma”) e “La crisi”. Nel 1972 un manipolo di giovani appassionati di fotografia, staccatosi orgogliosamente dal “Circolo Aurora” – scrive in una nota Gentilucci- fonda l’A.F.Bc. E subito al lavoro, in un gorgoglio scintillante di iniziative: l’immediata iscrizione alla Federazione Italiana Associazioni Fotografiche (F.I.A.F.), il “Concorso fotografico Lago di Bracciano” prima regionale poi nazionale con cinque edizioni consecutive; seguono “Estemporanee Fotografiche”, si realizza la prima Mostra Retrospettiva “C’era una volta Bracciano”. Le prime gite sociali. Il fiore all’occhiello dell’attività del primo decennio è il Concorso Internazionale “Fotografia e Meteorologia” nel 1980, cui fa seguito uno scambio di visite e mostre con un club fotografico di Viroflay, cittadina francese gemellata con Bracciano. Cresce sia l’apprezzamento della cittadinanza che il consenso di enti pubblici e altre associazioni. La ricerca fotografica “Le acque nel Braccianese”, con la partecipazione fattiva della Forum Clodii, l’itinerario turistico-culturale “Riviviamo il centro storico”, con mostre e proiezioni, la “Passione di Cristo” e il “Presepe Vivente”, la partecipazione al nuovo concorso fotografico nazionale “Riscopriamo l’Italia”: tutte queste manifestazioni vedono crescere sempre più lo spessore culturale della Fotocineamatori. Col “tempo si intensifica anche l’attività strettamente amatoriale che si concretizza nella mostra “La campagna romana di Sandro Becchetti” (1986), nella partecipazione al

Ci piace ricordare Pietro Ingrao attraverso le parole da lui scritte nel suo sito

Cara lettrice, caro lettore, Internet non è un mezzo consueto, per chi è nato nel 1915; ma è il mezzo di comunicazione del presente, e ho pensato di usarlo. Sono un figlio dell’ultimo secolo dello scorso millennio: quel Novecento che ha prodotto gli orrori della bomba atomica e dello sterminio di massa, ma anche le speranze e le lotte di liberazione di milioni di esseri umani. Scriveva Bertolt Brecht: “Nelle città venni al tempo del disordine, quando la fame regnava. Tra gli uomini venni al tempo delle rivolte, e mi ribellai insieme a loro”. Il mondo è cambiato, ma il tempo delle rivolte non è sopito: rinasce ogni giorno sotto nuove forme. Decidi tu quanto lasciarti interrogare dalle rivolte e dalle passioni del mio tempo, quanto vorrai accantonare, quanto portare con te nel futuro. Buona esplorazione. a cura di Claudio Calcaterra

Mi perdo nella notte, annuso i fantasmi e le stelle. Cammino guardingo e ho paura. Non so come farò a tornare indietro. Mi interesso alla vita, improvviso il gioco dell’assuefazione. Vivo d’indipendenza e trasporto sospiri.

Claudio Calcaterra

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Foto Roma Show dal 1990 al ’98 e alle mostre FIAF in tutta Italia. Il 1995 segna l’avvento della multivisione tra i Fotocineamatori. Quindi le mostre “Il ’900 a Bracciano”, “Bracciano negli anni 2000”, la mostra del trentennale e la “Festa della fotografia” per il 35° anniversario. Poi varie edizioni del Premio di Fotografia Estemporanea Digitale “Lago di Bracciano”, il “Centenario della Fondazione dell’Associazione Sportiva Calcio Bracciano 1910”, varie edizioni del progetto sovracomunale “Essere insieme”, in stretta collaborazione con la Asl. Ad oggi, senza ombra di dubbio, si può affermare che l’A.F.Bc. rappresenta orgogliosamente in modo tangibile la memoria storica del territorio. Importanti le pubblicazioni. In primo luogo i tre volumi di “Ritratto di Paese”:il 1° “un secolo di fotografia”, il 2° “Bracciano com’era”, il 3° “Bracciano…per sempre”. Quindi “Vagabondando…con la macchina fotografica”, Trent’anni di AFBc (1972-2002), 40 anni di fotografia (1972-2012). Di grande valore l’apporto che ognuno dei soci, a suo modo, ed in particolare dei presidenti che si sono succeduti nel tempo, hanno riversato nelle attività, facendo solido gruppo, contribuendo così a mantenere vivo negli anni lo spirito di coesione circa le finalità di questa associazione.

Ingrao: “il tempo delle rivolte non è sopito”

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Festeggiamenti per l’anniversario della fondazione dell’Associazione

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Controcorrente 9 L’universo e il cervello: una coppia di amanti seraficamente diabolici

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veva da poco imparato a camminare, finalmente poteva utilizzare le mani per accendere il fuoco, andare a caccia, inventare segni per farsi capire. Quella notte era felice, la caccia gli aveva permesso un lauto pasto, il fuoco era caldo e la sua donna lo stava aspettando, improvvisamente alzò gli occhi il cielo ed ebbe una vertigine: non aveva mai fatto caso a tutte quelle luci sopra la sua testa. Gli nacque un pensiero, forse il primo oltre il capire come fare per sopravvivere e ne fu piacevolmente sgomento: la terra sotto i suoi piedi e quelle luci, solo molto più tardi seppe che erano pianeti e stelle, lassù, sconosciute, irraggiungibili, che sparivano quando quella più grande annunciava un nuovo giorno. Pensò che sotto di lui ci fosse solo terra e sopra solo cielo e immaginò forze sovraterrene che governavano il movimento di quei misteriosi lumini nel cielo. Quella notte immolò una preda a quello che “nominò” il suo nuovo protettore, colui che governa il cielo e la terra. Secoli dopo un greco, un certo Anassimandro, passò anni a studiare il cielo, non lo convinceva questa storia che sotto c’era solo terra e sopra solo cielo, si chiedeva dove andasse quella palla di fuoco la notte e come mai, mentre lei spariva, apparisse quella strana falce che man mano, con il passare dei giorni, si riempiva fino a divenire tonda. Ci mise del tempo ma capì che lui viveva su una specie di isola di terra, un grande sasso forse, e che tutto attorno c’era cielo, sostenne, insomma, che la Terra galleggiava immobile nello spazio, senza cadere e senza essere appoggiata a nulla. Poi arrivarono, poco tempo dopo, Pitagora e Parmenide, siamo attorno al 500 a.C., che capirono che la forma della terra non poteva che essere sferica. Fu Aristotele nel suo libro “Sul cielo” a usare “argomenti scientifici” per sostenere la sfericità della terra: immaginò la terra sospesa nel “vuoto” e, a cerchi concentrici, tutti quei puntini luminosi che le orbitavano attorno a distanze irregolari. È questa l’immagine dell’universo che Dante studierà a scuola. Ci vollero altri secoli per sistemare meglio la faccenda. Siamo attorno al 1500 e un tal Copernico dimostrò che non poteva essere la Terra al centro del mondo, bensì il Sole. Va detto che fu molto cauto nel propagandare le sue idee, temeva la reazione della Chiesa cattolica che vedeva minacciato il suo dogma più profondo, la centralità della creazione della Terra da parte del suo Dio, onnipotente e onnisciente: la Terra un semplice lumino che gira attorno al Sole, roba da non credere! Non fu un caso che il nucleo centrale della sua teoria, l'essere il Sole al centro delle orbite degli altri pianeti, e non la Terra, fu pubblicato nel libro De revolutionibus orbium coelestium solo l'anno della sua morte. Il libro è il punto di partenza di una conversione dottrinale dal sistema geocentrico a quello eliocentrico e contiene gli elementi più salienti della teoria astronomica dei nostri tempi, comprese una cor-

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retta definizione dell'ordine dei pianeti, della rivoluzione quotidiana della Terra intorno al proprio asse, della precessione degli equinozi. Bisogna dire che, inascoltato, già Aristarco di Samo, attorno al 300 a.C., aveva sostenuto il sistema eliocentrico. Ce lo ricorda anche Giacomo Leopardi che scrisse in gioventù una storia dell’Astronomia, stimolato da un’eclissi che si presentò a Recanati nel 1811 e da una cometa che passò sopra il suo cielo, ma essenzialmente perché riteneva che solo la scienza può eliminare gli errori dell'ignoranza, della superstizione e della magia. Tutti erano però convinti che quello fosse l’unico mondo del creato. Ci volle tanto tempo ancora, molto studio e nuovi e più sofisticati strumenti di osservazione per scoprire che la nostra è una galassia tra altre cento miliardi osservabili. Penso al mio antenato che per primo alzò gli occhi al cielo, vorrei consolarlo, anch’io sono rimasto sgomento quando ho saputo che razza di niente infinitesimale è il luogo dove vivo e sogno. Fa impressione vedere una fotografia di Hubble, il grande telescopio narrante che abbiamo spedito nello spazio, delle galassie osservabili: ammassi di stelle, le più grandi galassie arrivano a conte-

na, significa solo che “tempo” non è un concetto utile quando si studiano le strutture più generali del mondo… L’ho letto e riletto, ho tentato di capire, ma mi sono sentito più agitato e sconcertato di quel mio lontano antenato… mi sono consolato un po’ solo con il fatto che neanche lui, allora, capiva bene il cielo sopra di lui….poi…poi…è arrivata tanta scienza….. Quando è nato il primo “pensiero”? Per un lungo periodo, sempre quando il nostro antenato cominciò a camminare, l’unico e feroce istinto che lo tenne in vita fu quello della sopravvivenza. Era in un mondo ostile, pieno di enormi carnivori anch’essi alla ricerca della sopravvivenza, solo quando liberò le mani poté cominciare a creare oggetti di difesa e d’attacco, aprendosi così alla comunicazione con i suoi simili. Immagino quel mio antenato che, dopo una giornata di rischi e paure per procacciarsi di che vivere, prima di addormentarsi nella sua caverna viene “assalito” dai ricordi della giornata e dalle cose da fare il giorno dopo: chi sa se qualcuno si sarà chiesto da dove arrivassero quelle parole silenziose che sorgevano da dentro il suo corpo. Ci volle Ippocrate, attorno al 400 a. C., per affacciare l’ipo-

nere miliardi di stelle, di polveri di stelle, di buchi neri, di scoppi nucleari. E sono ancora alle prese con due concetti che non riesco a digerire. 1. Gli scienziati ci dicono che lo spazio non è piatto, ma solcato da onde: un grande oceano più o meno mosso in cui scorrono, sbattono, vivono e muoiono miliardi di stelle. E ci dicono che questo immenso universo, elastico e costellato di galassie è cresciuto per una quindicina di miliardi di anni, emergendo da una piccola nuvola caldissima e densissima quel giorno del big bang. 2. Poi c’è la questione del tempo. “Il tempo? Se non me lo chiedi so cos’è. Ma se me lo chiedi non lo so più», diceva Agostino d’Ippona, il vescovo vissuto tra il IV e il V secolo. Nel suo bel libro divulgativo “Sette brevi lezioni di Fisica”, Carlo Rovelli scrive che “il tempo non esiste”, ma che questo non significa che non ci sia il tempo nella nostra vita quotidia-

tesi che la sede dei pensieri fosse il cervello. Aristotele riteneva invece che il cervello era deputato a raffreddare il sangue caldo, secondo lui gli esseri umani erano più razionali delle bestie in quanto possedevano un cervello più grande in grado di raffreddare meglio il loro sangue caldo. Nel tempo in cui l’uomo modellava la Venere di Milo e il pensiero si estrinsecava in sottili e profonde argomentazioni filosofiche, il cervello era ritenuto del tutto estraneo a queste realizzazioni. Ci volle il buon Galeno negli anni 100 per mettere un po’ d’ordine nella materia. Dissezionò il cervello di molti animali, specialmente ungulati, e ne studiò le caratteristiche. Attraverso l'osservazione delle differenze di struttura e di sostanza fra cervello e cervelletto, concluse che il primo, essendo più tenero, dovesse essere il contenitore delle sensazioni, mentre il secondo, essendo più denso, dovesse controllare i muscoli. Le sue conclusioni non erano molto lontane dalla

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realtà. Ma il cervello, la sua struttura, il suo funzionamento rimasero ancora per secoli sconosciute, ancora alla fine dell’800, seppure fosse ormai riconosciuto come il “luogo” del pensiero, la sua struttura era oggetto delle più disparate congetture. Ci provò Leonardo da Vinci a capire, ci ha lasciato disegni del cervello straordinari, descrivendo le connessioni che esistevano tra il cervello e gli organi di senso, tra il cervello e il midollo spinale, ma migliorò poco la conoscenza del funzionamento di questo nostro strano amico cranico. Anche Andrea Vesalio ci ha lasciato straordinarie immagini del cervello. Ne dissezionò parecchi e corresse gli errori di Galeno. Anche a lui toccò fuggire per salvare la propria vita, le sue ipotesi mettevano in dubbio la natura divina della mente umana. Il progresso della conoscenza del cervello e del sistema nervoso è avvenuta in maniera discontinua, tra balzi e arresti, così come per le scoperte dell’universo. Oggi sappiamo che nello strato corticale del cervello viaggiano un milione di miliardi di connessioni che danno comandi alle nostre emozioni, ai nostri pensieri, ai nostri gesti, ai nostri sensi. Una famosa ricercatrice a cui è stato chiesto a che punto siamo nella scoperta del funzionamento del nostro sistema nervoso e della sua centrale energetica ha risposto: “se immaginiamo che la meta sia posta al decimo scalino di una rampa tortuosa, noi siamo vicini a raggiungere il quarto”, aggiungo io, inguaribile “ottimista”, che i primi si fanno con leggerezza, siamo ancora freschi…la fatica è arrivare in cima! Ho scoperto queste cose in un difficile, intanto per me, libro di Rita Levi Montalcini “L’asso nella manica a brandelli”. Ho incontrato l’ippocampo e l’amigdala, la capacità del cervello di modificare sé stesso, i lobi parietali, temporali e frontali, il talamo, il sistema limbico, il cervelletto e le straordinarie connessioni che esistono tra loro, come apprendiamo e ricordiamo e mi dicono che siamo all’inizio della conoscenza di mister cervello… Dopo aver navigato per il mistero e il fascino dell’universo e della “mente” proviamo a tornare a noi. Che posto abbiamo noi che amiamo e odiamo, che ridiamo e piangiamo, che aiutiamo e distruggiamo, in questo intrigante e inquietante affresco che ho tentato di tracciare, del tutto parziale e con sicure inesattezze? Intanto c’è da osservare che siamo anche il soggetto che indaga e studia la struttura dell’universo e le funzioni del cervello e lo facciamo attraverso idee e pensieri che si formano in quel dedalo di fili che s’intrecciano nella nostra simpatica calotta cranica, seppure è d’obbligo affermarlo con prudente prudenza stante dove siamo, ad oggi, arrivati nella conoscenza del fenomeno. E siamo anche fatti degli stessi atomi che si scambiano le foglie sugli alberi e le stelle nelle galassie. Allora cosa sono le nostre credenze, i nostri valori, le nostre fibrillazioni, il nostro sapere, che ci fanno sentire, spesso, assolutamente unici? Ovviamente la risposta è incerta, come la nostra esistenza. Malgrado ciò non riesco ad evitare la domanda, la sento essenziale e credo che senza questa tensione dell’uomo a scavare in questi misteri saremmo ancora nelle caverne a stupirci del battito del nostro cuore…tum, tum, tum, così batteva il cuore del primo fibrillante, quel rumore lo terrorizzò, ma mai avrebbe supposto che proveniva da dentro sé stesso, alzò gli occhi al cielo e uccise una preda, a volte un nemico, per calmare la rabbia del Dio creato dalla sua mente, a difesa del suo non-sapere. Molti pensano che la strada della conoscenza è la speranza dell’uomo per vivere in armonia, con sé e con la natura. A me rimane il dubbio, malgrado millenni di scoperte e di rivoluzioni nella conoscenza, che sia, invece, rimasta una vistosa traccia, nelle reti intricate del nostro cervello, della violenza che permise ai nostri antenati di sopravvivere. Aiuto!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! Francesco Mancuso

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Un'eccellenza gustosa a Bracciano

La cucina oltrefrontiera di Attilio Pettirossi

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h sì! ogni paese ha eccellenze di vario tipo, qualcuna più conosciuta, qualcun'altra un po' meno. A Bracciano di eccellenze ce ne sono diverse, ma questa è particolarmente “gustosa”. Chi è quest'eccellenza? Ve lo dico subito. Perché gustosa? Vi dico subito anche questo. Dunque: l'eccellenza è Attilio Pettirossi. È “gustosa” perché Attilio è un grande chef e lo è a livello internazionale, ma anche a livello locale. La sua preparazione di piatti particolarmente ricchi di vitamine capaci di “scatenare energie” ha contribuito a rendere meno dura la vita degli scienziati impegnati in un'importante spedizione scientifica in Antartide. Quando la temperatura raggiungeva i - 50 gradi una minestra fumante certo risollevava il morale. Che ne dite? E che dire della sua organizzazione nelle varie cucine, dei cestini, panini e pranzetti organizzata per tutta la troupe del film kolossal “Marco Polo”? Anche i cinesi battendo le mani gli hanno fatto i complimenti “blavo, blavo”. E i pranzi per i divi di Hollywood? Quelli poi! Anche dopo aver bevuto bicchieri e bicchieri di un miscuglio di liquori, mandati giù tra risate e pacche sulla spalla al divo o alla diva vicino al divanetto, tutti insieme, battendo le mani e ritmando “Attilio, Attilio” “spachetti, spachetti” e qualcuno aggiungeva “alla cabonara” Attilio. Insomma, Attilio nell'inventare e mescolare sapientemente sale, pepe, mayonese, pomodori, spezie e sughi e parmigiano è imbattibile. Qual è il suo segreto? Tanta passione con tanto amore per il suo lavoro e tanta esperienza. Sarà questo il suo segreto per preparare piatti veramente unici? Per quello che mi riguarda la sua ricetta per preparare spaghetti alla Papalina mi è piaciuta moltissimo. Beh quando lo incontrate fatevela dare! E sì. Attilio Pettirossi è proprio un'eccellenza gustosa. Luigi Di Giampaolo

L’Associazionismo: una risposta sana alla crisi della politica

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a voglia di fare gruppo e di promuovere contenuti e iniziative in piena autonomia esiste da sempre, ma mai come oggi rappresenta un grande valore aggiunto alla vita sociale della comunità. Alla sfiducia generalizzata verso la politica che travolge anche il riconoscimento delle istituzioni pubbliche si oppone la forza dell’iniziativa delle associazioni sempre più numerose e sempre più desiderose di riuscire ad affermare la propria presenza sul territorio. A Bracciano, ad oggi, si contano 150 associazioni iscritte all’Albo Comunale ed a queste si devono aggiungere i gruppi che, pur non avendo formalizzato la propria presenza sul territorio, si incontrano, progettano e realizzano eventi spesso originali e ricchi di prospettive stimolanti. La vitalità dell’associazionismo a Bracciano è testimoniata dall’evento della “Festa del volontariato” che si realizza a settembre in Piazza IV Novembre già da 10 anni e che quest’anno avuto il significativo titolo

Attilio Pettirossi da istruzioni per la preparazione dei tortellini

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Via Principe di Napoli, 9/11 Tel./Fax 06 90804194 www.caffegranditalia.com Ottobre 2015

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Sul ponte levatoio di Bracciano

“Bellezza è diversità” con la partecipazione attiva di circa 30 associazioni che per sei giorni, dall’8 al 13 settembre hanno movimentato la vita cittadina promuovendo le proprie attività ed organizzando proiezioni, mostre, laboratori all’aperto, spettacoli teatrali, musica, ballo ed happening diversi. La mancanza di risorse economiche del Comune non ha impedito lo svolgersi della manifestazione: non sono serviti contributi pubblici, è bastata la disponibilità dello spazio e l’energia della partecipazione delle persone per creare un evento gioioso e coinvolgente. È un bell’esempio di applicazione del principio della sussidiarietà orizzontale che dà vita ad un nuovo modello di cittadinanza attiva con l’affiancamento degli organismi del privato-sociale alla sfera pubblica in un rapporto paritario dove tutti mettono a disposizione quello che hanno senza stabilire gerarchie, ma semplicemente coordinandosi.

Sul ponte levatoio di Bracciano si elevano intelletti saliscendi, mazzate e fumo sulla gente ignara, su chi scrive e va per la sua strada. Tramonto e lezzi van giù pe’ l’orizzonte, rotolan sassi mirati sulla fronte… Il fiume degli attacchi colpirà con sciabolate alla personalità. Pergamene in disuso di tal fatta, s’accartocciano al vento di disfatta! Come cambiare il mondo? Oh, idioletto!!! Una guerra al giorno. Così falsi scrittori e alieni da conversazione, col malaugurio ad ogni piè sospinto, uniti da cappuccio ed arroganza, col loro sport qual è l’insofferenza, felici di accentuar, con evidenza ogni disgrazia altrui o discrepanza, con il cornetto in bocca e masticando fiele, con maschilismo di seconda mano…di cui van fieri, i Cavalieri Neri, fossili ormai, una tribù loquace nel borgo di Bracciano, che sventura, con gran recrudescenza questionando con la bandiera del cattivo gusto. Rapace è la memoria nel frattempo. E allor? Che pizza, che scommessa!!! Vaghezze o perbenismo culturale? Soggiace la sindrome del dir d’aver ragione. Pipistrelli da dottrina, quand’è sera, tornano a casa mogi. Sul ponte levatoio? Ghigliottina!!! Silvana Meloni

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Si tratta di saper convogliare le energie positive che orbitano nella nostra società post consumista in un progetto più ampio in grado di attribuire un ruolo innovativo ed efficace alla pubblica amministrazione per facilitare uno sviluppo socio-economico sostenibile attraverso il coinvolgimento di tutti gli attori presenti nel territorio e nella comunità. La chiave di volta per il superamento della crisi di fiducia nei confronti di tutte le istituzioni pubbliche non può arrivare dallo scontro tra la Parte Pubblica e gruppi di cittadinanza che rivendicano legittime esigenze insoddisfatte perché quest’opera di delegittimazione finisce inevitabilmente per ritorcersi contro la stessa cittadinanza facendo saltare le regole base che permettono una convivenza civile. Quello che serve, al contrario, è la ricerca di un piano di incontro e collaborazione tra le forze attive della cittadinanza e le amministrazioni pubbliche in modo da agevolare e sostenere l’azione dei gruppi di cittadini che vogliono dare il proprio contributo per il benessere sociale. Spetta al Pubblico fare le regole e vigilare sul loro rispetto, mentre al privato va lasciata la libertà di agire con progetti autogestiti che dalle Istituzioni devono ricevere il giusto sostegno nella certezza che le persone sono portatrici non solo di bisogni ma anche di capacità e che è possibile che queste capacità siano messe a disposizione della comunità per contribuire a dare soluzione, insieme con le amministrazioni pubbliche, ai problemi di interesse generale. Esistono delle bellissime esperienze fatte in questa direzione sia in Italia che in altri Paesi del mondo. La speranza è che anche Bracciano riesca a trovare la modalità per valorizzare degnamente le tante capacità e intelligenze possedute dalla propria comunità. Biancamaria Alberi

ADERISCI AL PROGETTO “GENTE DI BRACCIANO” L’Associazione Culturale Gente di Bracciano

invita

tutti coloro che sono interessati alle nostre attività ad associarsi. Per informazioni ed adesioni gentedibracciano@tiscali.it 349 1359720 Gente di Bracciano


Bracciano nel Cinquecento: le festività da non mancare Da San Sebastiano a San Rocco. Devozione per Statuto. Multe di un carlino per chi lavorava nel giorno di festa

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parte le festività religiose riferite a Cristo o alla Madonna, comuni a tutta la cattolicità, non sono molte le ricorrenze riferite ai santi, o ad eventi a loro riconducibili, che vengono festeggiate a Bracciano. Attualmente sono praticamente limitate a S. Sebastiano (patrono, celebrato il 20 gennaio), S. Stefano (al quale è dedicato il duomo) e S. Lorenzo (patrono di Pisciarelli e festeggiato nella frazione il 10 agosto). S. Stefano e S. Sebastiano sono le uniche due ricorrenze storicamente sempre presenti anche nel passato. Bracciano, inoltre, vanta, fuori dal calendario dei santi, una festività specifica, che con il tempo è diventata anche la più importante, ed è quella riferita al SS. Salvatore. Non conosciamo con certezza il periodo storico in cui si è affermata, ma si presume che sia avvenuta verso la fine del 1500, in contemporanea con l’insorgere della leggenda legata al ritrovamento del trittico del SS. Salvatore, dal momento che nello Statuto di Bracciano, emanato nel 1552, non si fa mai accenno a questa festività. Andando ora ad indicare le altre festività, analizziamo sempre lo Statuto per estrapolarle dal contesto delle varie normative. Nello Statuto si accenna alle festività in concomitanza con alcune circostanze: nell’indicazione delle pene da somministrare per reati di vilipendio o mancato rispetto della religione, nei giorni previsti per il riposo dal lavoro e dalle attività commerciali, e per l’amministrazione della giustizia. Si premette che nei giorni festivi era proibito lavorare, sia direttamente che con gli animali, in qualunque mestiere e per qualsiasi attività. Erano consentite eccezioni per particolari cause di necessità o urgenza, ma dovevano essere autorizzate. In caso di trasgressione si era sottoposti alla pena pecuniaria di un carlino, pena che si raddoppiava se l’infrazione avveniva “in festivitatibus Sancti Stephani, et Sancti Sebastiani, et Sancti Rocchi, et Sancti Angeli de mense maij et septembris”, come cita testualmente lo Statuto. La multa di un carlino (moneta che deriva il suo nome originario dal re Carlo di Napoli) non era poi così leggera! Per avere una idea del suo valore, si precisa che lo stipendio mensile del Vicario del duca, quindi massima autorità, corrispondeva a circa 20 carlini e, di conseguenza, 1 carlino rappresentava la retribuzione del Vicario di circa una giornata e mezza lavorativa. Le feste ritenute più da rispettare erano quindi quelle di S. Stefano, S. Sebastiano, S. Rocco e S. Angelo. Mentre risponde a logica inserire tra le festività più importanti quelle di S. Stefano e di S. Sebastiano appare singolare l’importanza data a S. Rocco e la doppia festività di S. Angelo. S. Rocco è stato un santo molto controverso, di cui è stata messa in discussione la sua stessa esistenza e comunque la collocazione temporale della sua vita (sembrerebbe vissuto tra il 1348 ed il 1379). Morì molto giovane, appena trentenne, dopo aver passato gli ultimi 5 anni della sua vita in carcere e, quindi, avendo avuto modo di esplicare la sua attività in un arco di tempo molto breve. Ciononostante, la sua fama fu repentina e la sua affermazione è connessa alla peste, di cui divenne il principale antidoto nella tradizione popolare a seguito, si tramanda, della guari-

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Santa Maria del Riposo, altare centrale. Raffigurazione di San Sebastiano, patrono della comunità di Bracciano (XVI secolo). www.forumclodii.org

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gione da lui effettuata di qualche persona e, soprattutto, di un cardinale. E’ opportuno ricordare che nel 1347 ci fu la più importante pestilenza a livello europeo e, di conseguenza, tutte le popolazioni di ogni nazione erano atterrite dalla paura di questo male. A parte la citazione dello Statuto, non si riscontra a Bracciano un culto tradizionale o particolare nei confronti di S. Rocco. Esiste solo una chiesetta a lui dedicata, posta a Castel Giuliano, ma costruita solo verso la fine del 1600. La festività, che doveva celebrarsi il 16 di agosto, non viene invece indicata, sempre nello Statuto, tra quelle per le quali erano sospese le audizioni di giustizia. Questa sporadica dedizione a S. Rocco appare come un raf-

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forzamento agli invocati interventi nei confronti di S. Sebastiano, anche lui santo protettore della peste. Le pestilenze dovevano fare grande paura per invocare anche un “aiutino” suppletivo! La ricorrenza di S. Angelo, invece, è riferita a S. Michele Arcangelo che veniva festeggiato sia l’8 maggio (apparizione del santo al vescovo di Siponto) che il l 29 settembre (giorno in cui ricorreva l’anniversario della costruzione della basilica

San Rocco invocato dai fedeli contro la peste

a lui dedicata). Il riferimento all’importanza delle festività coinvolge anche i blasfemi con l’aggravamento della pena per coloro che bestemmiavano. Sempre dallo Statuto si evince che “poiché il tempo, il luogo, ed il cospetto aggravano i delitti così chiunque bestemmierà nei giorni festivi o solenni, o in chiesa o in luogo sacro, o alla presenza del signore o dell’ufficiale la pena sarà aumentata del doppio da quella espressa nel precedente capitolo”. Altri punti dai quali si evincono le festività da osservare sono quei capitoli dello Statuto che regolano l’attività commerciale. Era proibito infatti aprire i negozi nei giorni festivi

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e non si poteva esercitare la vendita pena la multa di un carlino. Era consentita qualche eccezione appositamente autorizzata ma la bottega doveva essere sempre socchiusa e poteva essere aperta solo su richiesta dell’avventore esterno e, comunque, sempre dopo la celebrazione della messa maggiore. Ma nelle festività religiose riferite a: Domenica di Resurrezione, Natività, Epifania, Pentecoste, S. Maria del mese di agosto (Maria Assunta), S. Stefano e S. Sebastiano, non si ammettevano eccezioni o deroghe: tutti i negozi dovevano essere obbligatoriamente chiusi al pubblico. Nel Venerdì Santo, poi, tutte le taverne dovevano essere ermeticamente chiuse. Lo Statuto prevede, inoltre, non solo dinieghi a non fare, ma anche obblighi a cui sottostare. Per esempio, nelle festività di Natale, Pasqua, S. Sebastiano, S. Stefano, S. Giovanni Battista e dell’Assunta, il Vicario doveva convocare i massari o priori (i quattro che presidiavano alla gestione amministrativa della cittadinanza) ed insieme dovevano assistere alla messa maggiore. La messa maggiore, un tempo detta anche messa cantata, che si celebrava nella tarda mattinata, rappresentava l’evento centrale delle celebrazioni festive. Non bisogna dimenticare che il primo atto che il Vicario doveva fare, subito dopo la sua nomina e prima di entrare nella carica (che veniva rinnovata ogni sei mesi), era quello di giurare fedeltà ed osservanza delle norme proprio durante la messa maggiore e davanti all’altare di S. Stefano del duomo. Venivano anche elencate, sempre nello Statuto, le festività durante le quali vigevano alcuni vincoli. Nell’esercizio della giustizia, per esempio, erano previste delle pause per le udienze ed indicati i giorni di riposo da osservare, in onore di Dio e dei santi (sono comunque previsti anche periodi di sospensione per motivi agricoli connessi alla mietitura ed alla vendemmia). Da ciò si deduce che l’accertamento del reato da perseguire, o i tentativi di comporre le liti, erano meno importanti dell’osservanza dei riti religiosi o delle cure della campagna e, pertanto, queste esigenze venivano anteposte alle vertenze giudiziarie. Le festività, nelle quali l’attività giudiziaria si fermava, vengono di seguito raggruppate in base al riferimento, ma, nell’ambito del riferimento, sono elencate nell’ordine indicato nello Statuto. Riferiti a Cristo sono: Natale e vigilia, Circoncisione, Epifania, Domenica di Resurrezione (anche due giorni prima e due dopo), Ascensione, Pentecoste (estesa anche ai due giorni successivi), Corpus Domini, Invenzione ed esaltazione Santa Croce. Più tutte le domeniche dell’anno. Riferiti alla Madonna sono: Concezione Maria Vergine, Purificazione, Assunzione, Annunciazione, Natività. Riferiti ai Santi sono: S. Stefano, S. Giovanni Evangelista, Innocentini, S. Silvestro, Conversione di S. Paolo, S. Sebastiano, S. Gregorio, S. Agostino, S. Girolamo, S. Giorgio, San Marco, Dedicazione S. Michele Arcangelo, le ricorrenze dei dodici Apostoli, S. Giovanni Battista (24 giugno) e sua decollazione (29 agosto), S. Lorenzo, S. Francesco, Ognissanti, S. Caterina, S. Lucia, S. Maria Maddalena. L’osservanza delle festività, pertanto, era solo in funzione religiosa e solo saltuariamente si abbinavano manifestazioni ludiche volte al divertimento della popolazione. Messe e processioni era quanto offriva il “convento” e dovevano bastare. Gli eventi “mondani” erano per lo più concentrati nelle due fiere (prima domenica di maggio e S. Lucia) e nella tradizionale escursione primaverile a S. Liberato che si svolgeva il primo giovedì di marzo e coinvolgeva prevalentemente la gioventù: una vera “pasquetta” ante litteram. Pierluigi Grossi

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“Oasi” in riva al lago

La Grotta dei Serpenti tra scienza e mito

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Sul Monte delle Fate l’antro serpifero e salutifero meta tra Cinquecento e Settecento di persone in cerca di guarigione e di studiosi di medicine

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n prossimità del Sasso, sul Monte delle Fate, collina posta a destra sulla strada che da Bracciano conduce all’ Aurelia, circa un chilometro prima dell’abitato, sono presenti, vicine tra di loro, due cavità naturali storicamente rilevanti ma ormai dimenticate da tutti: la “ grotta Patrizi”, sul versante rivolto al mare, e “la grotta dei serpenti”, dalla parte del bosco di Manziana. Entrambe sono ubicate in terreni di proprietà privata, attualmente chiuse da recinzioni e pertanto non raggiungibili. Al contrario della Grotta Patrizi, per lo più sconosciuta alla popolazione locale, la “grotta dei serpenti” per secoli è stata frequentata, dapprima, da persone in cerca di guarigione e, in seguito, è stata meta di illustri studiosi, curiosi di verificare la veridicità della sua fama. Nella popolazione infatti, era radicata la convinzione che i serpenti della grotta agissero con poteri medicamentosi nei confronti dei malati, addormentati nella caverna, estraendo i liquidi che causavano la malattia guarendoli. Sembra che già nel Medioevo fosse molto frequentata, ma la sua notorietà nazionale risale al Cinquecento, tanto che fu inserita tra le località indicate su alcune carte geografiche. Tra il Seicento e fine Settecento si hanno molte testimonianze relative alla sua frequentazione e quello che meraviglia è la curiosità di recarvisi da parte dei più illustri studiosi, per lo più stranieri.

John Finch (Giovanni Finchio) inglese accreditato alla corte di Leopoldo granduca di Toscana, professore d’Anatomia all’Università di Pisa dal 1663 al 1665; da Lettere inedite di uomini illustri (Firenze-1773). Lettera del 10 dicembre 1663 al granduca Leopoldo di Toscana “Domenica giunsi a Pisa avendo prima visitato nel viaggio la Grotta di Serpente del sig. Marchese Patrizi al Sasso… Entrai da me nella grotta, la quale nella sua larghezza può contenere soltanto un uomo disteso, e nella sua maggiore altezza non arriva a 4 piedi. Aspettavo che uscissero i serpenti, ma non vedendone alcuno mi fu detto da quelli del paese, che non uscivano se non nei tempi caldi alla Primavera; e mi fu raccontato dal Maestro di Casa del Sig. Marchese, che fino a 65 per volta se ne sono veduti intorno ad un ammalato ignudo. Gli ammalati prendono l’oppio per non spaventarsi, e per non muoversi e così spaventare i serpenti, e si dice, che essendo gli ammalati leccati da essi n’escono guariti da qualsisia infermità cutanea. Questi serpenti non sono velenosi: ciò si manifesta dal caso seguito ad un certo, il quale ardito entrava ignudo

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senza prendere l’oppio, e non potendo soffrire un serpente sulla carne compressolo fortemente con la polpa della gamba fu morso dal medesimo: questi però uscendogli il sangue fuggì per due miglia senza fermarsi, e non sentì altro danno. Un meschino, che preso l’oppio vi era entrato solo, fu ritrovato morto nella grotta, ma questo lo attribuiscono alla soverchia quantità dell’oppio da esso preso e non alla malignità de’ serpenti. La grotta è calda a segno tale, che essendo aperto l’uscio (il quale sta serrato con qualche panno quando vi entra l’ammalato) mi fece sudare; onde crederei quei pochi che furono guariti, se pure alcuni ve ne sono, essere risanati dalla virtù dell’Ipocausto o stufa secca, che è profittevole nelle malattie cutanee, piuttosto che dai serpenti. Ben è vero che molti serpenti si ritrovano in questa grotta; perché quantunque io non ne vedessi, osservai però parecchi buchi ove risiedono, e raccolsi diverse delle loro spoglie le quali ho portato meco per vedere se trovo altrove i medesimi. Gli abitanti per distinguergli dagli altri serpenti dicono, che questi hanno una linea bianca intorno a tutto il collo. Io non ho altro ragguaglio da dare a V. A. S. di questo viaggio”.

Francesco Redi, (Arezzo 1626 - Pisa 1697), medico naturalista e letterato; da Osservazioni intorno alle vipere (Napoli1687). “Anch’oggi a me darebbe il cuore in qual si sia uomo, o in altro animale fare una simil prova, pur che a me stesse l’eleggere i serpenti, e tralasciati molti altri, sovvengavi di quelli, che nella piccola grotta vicin’a Bracciano s’avviticchiano intorno a gl’ignudi corpi di coloro, che la dentro si fanno portare per guarire di alcune ostinate malattie, ed ottengono sovente il loro intento, non so già se per cagione de’ serpenti avviticchiati, ovvero, che mi par più credibile, per quel sudore, che copiosissimo dal calor della grotta vien provocato, pure intorno a ciò io me ne rimetto al prudentissimo giudizio di quegli autori, che di questa grotta serpentifera accuratissimamente anno scritto, e particolarmente al dottissimo, e non mai a bastanza lodato Tommaso Bartolini, e al curiosissimo Atanasio Chircherio”. (Athanasius Kircher 1602-1680 gesuita, professore universitario, ideatore in Italia del famoso museo che da lui prende il nome).

Pierluigi Grossi

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segue al prossimo numero

Gente di Bracciano

ul lago di Bracciano, a ridosso del Ristorante Alfredo, tre aitanti e simpatici ragazzi: Valerio, Mattia e Bruno, hanno creato una piccola “Oasi”. Valerio e Mattia, con la loro simpatia e cordialità, gestiscono un accogliente chiosco-bar dove, oltre che consumare fresche bevande, gelati e caffè, vengono serviti ai clienti, comodamente seduti ai tavoli posti sotto il fresco dei lecci e dei pini, gustosi pranzetti e sfiziosi panini. Bruno, coadiuvato dalla bella e dolce signora Naida, con la sua abbagliante abbronzatura, intrattiene i bagnanti con gentilezza, allegria, disponibilità e grande capacità di animazione, riuscendo a coinvolgere gli ospiti, giovani e meno giovani, a trascorrere giornate divertenti tra balli, canti e giochi collettivi, all'insegna della serenità e del benessere fisico-mentale; sempre bene attento a tutti quei bambini e giovani che tra grida di gioia e risate si sfidano giocando con i gonfiabili del parco acquatico. Grazie, Valerio, Mattia, Bruno e dolce signora Naida. Vi attendiamo la prossima estate, per ritrovare quella gioia e serenità che avete saputo donarci in questa estate del 2015, andata lentamente in letargo. Arrivederci all'estate 2016!

Mattia e Valerio

Naida e Bruno

Claudio e Mena

Avincola: “Braccianopoli è un’altra cosa” Spazio aperto ai cittadini e alle cittadine

Nella mia vita politica vissuta a Bracciano posso dire di esse-

Riceviamo e pubblichiamo

veroni e parlano solo di galera e manette. Tutto questo verso un cittadino e un amministratore che ha fatto dell’onestà non solo una bandiera da sventolare ma anche un valore applicato alle proprie funzioni pubbliche e private. Credo proprio che sarà difficile, se non impossibile, dimostrare il contrario. E non sarà una condanna al primo grado di giudizio per danno erariale a modificare queste mie certezze. Quando si condanna una persona pulita anche se al primo grado di giudizio non è mai una bella pagina. Giuliano Sala è una persona pulita per definizione. A volte quando qualcuno di noi faceva un po’ troppo il fiscale su piccole questioni veniva apostrofato: “E non fare il solito Giuliano Sala!!!”. Questo per spiegare di chi stiamo parlando. E poi c’è un’altra cosa che ci tengo a dire: non solo Giuliano Sala ha costruito la sua carriera politica sulla onestà e sulla capacità, non solo queste sue caratteristiche hanno fatto crescere insieme a lui decine di politici onesti e capaci, ma non ha mai colpito i suoi avversari politici sulle questioni riguardanti i loro rapporti con la Magistratura (unico argomento dei suoi attuali avversari politici) …eppure ne ha conosciuti di politici condannati ma condannati davvero per reati gravi! Non l’ho mai sentito argomentare una discussione politica con lo strumento delle manette. Sala ha sempre vinto le elezioni perché i cittadini braccianesi lo hanno premiato per le sue qualità politiche e morali e non perché sapeva mandare la gente in galera, altrimenti sono certo che i cittadini braccianesi, che non si fanno ingannare, non l’avrebbero premiato. Così come sono sicuro che i cittadini di Bracciano non premieranno quelli che in questo momento stanno facendo questa sporca operazione. Chi cerca consenso attraverso un metodo macchiato non può essere una persona pulita e noi abbiamo bisogno di gente che sappia sventolare la bandiera dell’onestà e dell’efficienza e non la bandiera dell’odio e del sospetto”. Lorenzo Avincola

re stato fortunato. Nel mio partito, nella mia sezione, sono sempre stato circondato da persone oneste. Dagli anni ’80 fino ad oggi ho condiviso una storia collettiva con persone al di sopra di ogni sospetto che hanno interpretato la militanza politica come uno strumento per migliorare la vita dei cittadini. Persone che hanno sempre combattuto i corrotti politici locali e respinto ogni tentativo di corruzione. E’ il filo rosso che unisce tante vicende e lega tutti i nomi che ho voluto raccontare ed elencare in un mio libro di ricordi e di passioni. Oggi trovo veramente vergognoso che il migliore esponente (per le indiscusse qualità e per la evidente quantità di cose fatte visibili a tutti) che la classe politica locale ha prodotto negli ultimi anni nella nostra cittadina e non solo nel mio partito, sia al centro di un locale polverone mediatico formato da beceri pettegolezzi, goffi tentativi di utilizzare la magistratura come strumento politico per eliminare l’avversario, uso di termini che tentano di creare solo confusione “Braccianopoli”, “Cittadini contro le mafie…”, “Imminente arresto”, “Collegamento con Mafia Capitale” ecc. Eppure sarebbe sufficiente che un po’ di vento spazzi via il polverone mediatico per scoprire che sotto sotto, c’è il nulla. Giuliano Sala è stato sindaco di Bracciano dal 1994 al 1998, dal 1988 al 2002, dal 2007 al 2012, tanti anni di “gestione del potere” passati senza che si sia mai alzato un polverone, in questo caso il nulla era evidente. Dal 2012 ad oggi, improvvisamente, dopo l’ulteriore vittoria elettorale, ecco il grande polverone. Alcuni consiglieri comunali sconfitti in cerca di improbabili rivincite, un movimento politico che ha solo lo scopo di dimostrare che loro sono puliti (senza potere) e gli altri sono tutti sporchi, alcuni cittadini che si indignano ad intermittenza e sempre da una parte sola, alcuni giornal… (no, i giornalisti no, perché hanno sempre ragione!) hanno smesso di parlare di politica, alzano pol-

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