Gente di Bracciano n. 9 Giugno 2016

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Gente diBracciano Giugno 2016 numero 9

Tratto dallo studio dellĘźarchitetto Guido Viettone per gentile concessione di Biagio Minnucci


Gente diBracciano Giugno 2016 - Numero 9

Dedicato a Bruno Editore: Associazione Gente di Bracciano Presidente: Claudio Calcaterra Direttore responsabile: Graziarosa Villani

L’antipolitica

Redazione: Francesco Mancuso, Vittoria Casotti, Mena Maisano, Biancamaria Alberi, Luigi Di Giampaolo

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Collaboratori: Massimo Giribono Fabercross, Pierluigi Grossi Registrato al Tribunale di Civitavecchia n. 1388/2014 Stampa e impaginazione: FEDE 2011 srl Via dei Vignali, 60 - Anguillara Sabazia su carta riciclata foto di copertina a cura di

Se vuoi contribuire al progetto contatta la Redazione: gentedibracciano@tiscali.it

cell. 349 1359720

Manifestazione di protesta a favore dei due italiani

bbasso i partiti, abbasso i politici di professione, abbasso tutti, abbasso tutte le idee, le capacità, l’impegno, l’onestà. Ancora, abbasso la memoria, le conoscenze e la pratica, abbasso le identità individuali e collettive, in poche parole abbasso la politica…E la alternativa? Eccola…Il caos! Guardiamo alle ultime elezioni comunali della nostra (vostra) città di Bracciano. Dieci liste per sei candidati sindaco, inoltre nove liste civiche e una soltanto identitaria (Pd). Liste formate con grande fatica, dove c’era di tutto, parenti, amici, molti giovani e qualche anziano. Bene i giovani, (il futuro), ma bene anche gli anziani, (esperienza e memoria storica). Cosa è avvenuto il 5 giugno? Quali scelte ha fatto il “popolo” di Braccino? Molto semplice, scelte mirate a votare chi il parente (anche se probabilmente non la pensa come lui), chi l’amico (non si sa mai, se mi dovesse servire qualcosa so a chi rivolgermi). E poi c’è il voto di protesta, senza conoscere chi voto, cioè il caos. Amministrare bene una città è un’impresa difficile e complicata, specialmente quando si esce da una crisi importante come è successo nella nostra città. Auguri alla prossima giunta comunale, qualunque sia. Mantenete le promesse fatte in campagna elettorale, (sperando che ne siate all’altezza), senza interessi di parte, per ricreare nei cittadini fiducia e rispetto per chi amministra senza ombra del sospetto e della maldicenza, che negli ultimi tempi l’ha fatta da padrona a Bracciano. Claudio Calcaterra

Sacco e Vanzetti: il pregiudizio che uccide Il 23 agosto 1927 i due anarchici italiani, accusati ingiustamente, vengono giustiziati. La ballata di Joan Baez e Ennio Morricone a loro dedicata scelta da Amnesty International per la campagna 2016 contro la pena di morte “Di certo Sacco e Vanzetti – commentano in una nota coloro che hanno realizzato un sito dedicato ai due - pagarono per le loro idee anarchiche, idealiste e pacifiste (al momento dell’intervento americano del conflitto del 15-18 si rifugiarono in Messico per non essere arruolati) e per il fatto di far parte di una minoranza etnica disprezzata ed osteggiata come quella italiana. Non da meno pesarono le azioni violente e terroristiche dell’altra ala del pensiero anarchico dei primi anni del secolo (ad esempio Gaetano Cresci e Giovanni Passanante) e non ultime alcune contraddizioni della linea difensiva. Dopo circa un anno di processo il 14 luglio 1921 furono condannati alla sedia elettrica”. Alle ore 0,19 venne giustiziato Nicola Sacco, alle 0,26 fu la volta di Bartolomeo Vanzetti. Le esecuzioni causarono proteste anarchiche in varie città ed in Germania. I corpi dei due anarchici furono cremati e trasportati in Italia, in due urne, da Luigina Vanzetti. Oggi le ceneri di Sacco si trovano nel cimitero di Torremaggiore (Foggia), sua città natale, e quelle di Vanzetti nel cimitero di Villafalletto (Cuneo), nella tomba dove riposano i genitori, le sorelle ed il fratello Nel 1977 dopo che il caso era stato più volte riaperto, il governatore del Massachusetts, Michael s. Dukakis, riabilitò le figure di Sacco e Vanzetti, proclamando il 23 agosto di ogni anno il S.&V. Memorial Day. “Il processo e l’esecuzione di Sacco e Vanzetti devono ricordarci sempre che tutti i cittadini dovrebbero stare in guardia contro i propri pregiudizi, l’intolleranza verso le idee non ortodosse, con l’impegno di difendere sempre i diritti delle persone che consideriamo straniere per il rispetto dell’uomo e della verità”. A cura di Claudio Calcaterra

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o non augurerei a un cane o a un serpente, alla più bassa e disgraziata creatura della Terra — non augurerei a nessuna di queste ciò che ho dovuto soffrire per cose di cui non sono colpevole. Ma la mia convinzione è che ho sofferto per cose di cui sono colpevole. Sto soffrendo perché sono un radicale, e davvero io sono un radicale; ho sofferto perché ero un Italiano, e davvero io sono un Italiano [...] se voi poteste giustiziarmi due volte, e se potessi rinascere altre due volte, vivrei di nuovo per fare quello che ho fatto già». E’ l’ultimo discorso di Bartolomeo Vanzetti. Poco dopo salirà sulla sedia elettrica. Siamo a Charlestown. E’ il 23 agosto 1927. Con lui l’amico Nicola Sacco. La storia di Sacco e Vanzetti segna una pagina nera per il Paese del sogno americano. Essere italiani ed anarchici era troppo e i due furono ingiustamente accusati di aver preso parte ad una rapina ad una fabbrica di calzature in cui restarono uccisi un cassiere ed una guardia giurata. Pagarono con la pena di morte, a seguito di un accusa ingiusta, il loro essere anarchici e pacifisti. Proprio quest’anno Amnesty International dedica a loro una campagna contro la pena di morte, intitolata come la celeberrima canzone Here’s to you composta nel 1971 su musica del premio oscar Ennio Morricone e testo di Joan Baez ispirato alle ultime parole di Vanzetti. La canzone fu scritta come colonna sonora del film di Giuliano Montaldo “Sacco e Vanzetti”. I due erano sbarcati in Usa nel 1908, Sacco era calzolaio, mentre Vanzetti era pescivendolo. Entrambi ribadirono fino all’ultimo la loro innocenza, ma malgrado nel 1925 un pregiudicato, tal Celestino Madeiros avesse testimoniato di aver partecipato alla rapina assieme ad altri complici, scagionando completamente i due italiani la condanna a morte venne eseguita.

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Bracciano al ballottaggio tra rinascita e diffidenza sociale

Parco: la Guerra di Troia finisce sul piatto L’area protetta diventa una “cinghialara”. In vendita anche cinghialetti sotto i 10 chili

Elezioni comunali: il futuro è dietro l’angolo

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La Sala delle Armi del Castello Odescalchi

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ome sempre in occasione delle elezioni amministrative, anche stavolta l’appuntamento elettorale ha infiammato gli animi della cittadinanza con il risultato di una percentuale di votanti molto alta. L’esito del primo turno elettorale che ha portato al ballottaggio in realtà era abbastanza prevedibile visto il numero delle liste, quello che era meno prevedibile era il nome dei due che, tra i sei candidati sindaco, sarebbero stati i più votati. Lo spoglio dei voti, dopo una nottata di numeri altalenanti, ha risposto all’interrogativo dei braccianesi che, domenica 19 giugno, saranno chiamati a scegliere tra Armando Tondinelli, sostenuto da due liste civiche “anti-sistema” formatesi nel centro destra, e Claudio Gentili, anche lui sostenuto da due liste che si collocano nel centro sinistra. Nonostante il clima generale di sfiducia e rabbia contro la politica, favorevole ad una formazione come quella di Tondinelli, lo scarto di voti tra i due è stato abbastanza modesto (circa 60 voti), ciò nonostante si deve prendere atto che sfiducia, disperazione e rabbia non sono più sentimenti individuali, ma sono diventati fenomeni sociali, atteggiamenti collettivi che sboccano nel bisogno di un Capo capace di imporsi, di sconfiggere il potere costituito, di guidare verso la salvezza. E’ l’immagine che il candidato

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Tondinelli cerca di dare di sé invocando giustizia, legalità, epurazione di tutti i corrotti dalla cosa pubblica. Viceversa, Gentili mantiene un profilo pacificante, promette una rinascita sociale nel rispetto dei diritti civili, non alza i toni. La semiparità del risultato elettorale tra i due restituisce un quadro di una comunità spaccata in due, tra chi vuole la testa di un’intera classe politica e chi auspica il ricrearsi di uno spirito solidale tra tutta la comunità. La particolarità che si rileva dall’analisi dei contenuti delle due campagne elettorali, al di là delle preferenze individuali e anche delle dichiarazioni dei candidati, è un inquietante denominatore comune che riguarda il completo superamento, ormai avvenuto, della distinzione tra destra e sinistra che sono diventati valori arcaici da mettere in soffitta o nelle cantine, materiale semmai di studio, ammesso che ne valga la pena. L'epoca moderna che ne fece i suoi valori dominanti è finita, il linguaggio è cambiato, il pensiero è cambiato. Questa è la diagnosi di quanto sta accadendo alla nostra società che non è più caratterizzata da un’ondata di antipolitica, ma esprime al contrario una forte richiesta di politica nuova, sotto forma di una leadership che sappia indicare soluzioni e che si identifica in una sola perso-

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na, non in una maggioranza o, peggio, in un'anonima organizzazione di partito. L’identificazione di un progetto in un singolo individuo risponde al bisogno di cambiamento, ma va tenuto presente che basta una piccola smentita da parte dei fatti, perché la speranza si tramuti nella più grande delusione e nel più totale rigetto. Il personalismo in politica non ha mai pagato e soprattutto non ha mai dato risultati positivi, né per chi lo interpreta, né per chi lo ha scelto. Non ci sono dubbi che queste elezioni amministrative rappresentano un momento importante ed in netta discontinuità rispetto al passato chiunque sia il vincitore finale, va tuttavia tenuto presente che per costruire davvero un futuro migliore occorrerà essere capaci di sconfiggere la diffidenza sociale in modo da far emergere la parte migliore della comunità braccianese, la sua voglia di fare, le idee piccole e grandi per migliorare il paese, le proposte per rivoluzionare il rapporto tra il Comune e la cittadinanza nella consapevolezza che tutto è possibile, se lo si vuole davvero fare. E’ fondamentale superare la rabbia sociale espressa dai braccianesi e trasformarla in azioni positive in grado di creare capitale sociale e far crescere in modo armonico la nostra società. Flavia Odorisio

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AA Cinghiali Vendesi a tre euro al chilo. A venderli il Parco di Bracciano-Martignano che non ha trovato soluzione migliore che mettere all’asta gli animali vivi catturati nel parco per farci saporite pappardelle o al massimo per liberarli ad aziende faunistiche venatorie. La Guerra di Troia, come si potrebbe configurare la vicenda, finisce così nel piatto, per buona pace dei vegani in numero sempre crescenti e degli ambientalisti che si sono battuti per il Parco e che non avrebbero mai pensato di sostenere in qualche modo un allevamento di animali da mandare al macello. Un tempo si davano soldi agli agricoltori per danni da fauna selvatica, poi si è pensato alle recinzioni elettriche, ma erano troppo costose, poi alla caccia selezionata ed ora alla vendita diretta. Certo uno strano modo di promuovere un prodotto tipico considerando che la proliferazione del cinghiale sabatino si deve anche alla tutela dell’ambiente. Davvero strano che nella stesso giorno mentre a Bracciano presso la sede di via Saffi sono stati banditi gli animali vivi, ad Anguillara nei nuovi spazi dell’Ecomuseo delle Acque è stato organizzato un incontro nel corso del quale sono state illustrate pubblicamente le azioni previste dal "Piano per il contenimento numerico del cinghiale nel Parco" approvato dalla Regione Lazio. Una fiera del bestiame da una parte in cui si venderanno anche cinghialetti sotto i 10 chili, chiacchiere e distintivo dall’altra. In pratica ogni settimana ci sarà una giornata di caccia al cinghiale la ditta che si è aggiudicata l’asta avrà l’obbligo di prelevare gli esemplai di Sus scrofa vivi presso i “siti di cattura”. Dal parco al piatto il passo è breve. Ma il direttore del Parco è sensibile e nel capitolato dispone che non dovranno essere sottoposti a sofferenze inutili. I proventi da cinghiale derivanti dalle vendite verranno reinvestiti per le attività del parco mentre i guardiaparco con molta probabilità diverranno “cacciatori”.

Il bando evidentemente è andato a buon fine poiché con una nota del 15 giugno il Parco di Bracciano-Martignano comunica di aver avviato il piano di contenimento. “L’Ente Parco di Bracciano-Martignano - si legge - dando seguito all’aggiudicazione del bando per la cattura di esemplari vivi di cinghiali, ha avviato in questi giorni le catture all’interno dell’Area Protetta già previste nel “Piano di controllo numerico del cinghiale nel Parco” approvato dalla Regione Lazio. La cattura dei cinghiali, attraverso l’utilizzo di appositi chiusini, e la preparazione per il trasporto dei capi - prosegue è coordinata dal personale del Parco. Il Piano così elaborato ha recepito la Direttiva regionale che stabilisce i “criteri di attuazione dei prelievi faunistici ed abbattimenti selettivi per ricomporre squilibri ecologici all’interno dei Parchi della Regione Lazio”.

Agostino Fausti: Asso del volo italiano Agostino Fausti, nato a Bracciano il 2 agosto 1918. Sergente Maggiore Pilota è considerato un asso dell’aviazione militare italiana. Morì in combattimento sui cieli dell’Africa Settentrionale il 4 luglio 1940. Decorato con la Medaglia d’Oro al Valor Militare.

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Le donne, i cavallier, l’arme e gli amori ...di Isabella e Vittoria Le vicende delle due duchesse di Bracciano

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ue figure femminili aleggiano nel castello e attirano l’attenzione dei visitatori: Isabella de’ Medici e Vittoria Accoramboni. Furono le prime due duchesse di Bracciano, entrambe mogli del primo duca Paolo Giordano Orsini. Hanno in comune due caratteristiche: la loro bellezza e la prematura fine a cui entrambe andarono incontro in giovane età. Alla leggiadria delle due donne, si contrappone la figura del duca che viene concordemente descritto di natura corpulenta, pingue al punto di dover cavalcare solo cavalli particolarmente robusti in grado di reggerne il peso. I tragici avvenimenti che videro coinvolte le due signore ispirarono numerosi romanzi che, però, hanno creato delle immagini storicamente poco attendibili, sovrapponendosi poi e prevalendo sulla veridicità degli avvenimenti. Gli scritti più noti sono: “Isabella Orsini, duchessa di Bracciano” di F. D. Guerrazzi (Firenze 1844), “Vittoria Accoramboni” di L. Tieck (tradotto dal tedesco da C.E. Furzi nel

1843) e “Vittoria Accoramboni, Duchesse de Bracciano” novella di Stendhal nelle “Cronache Italiane” (1837), nonché la tragedia di John Webster “Il diavolo bianco o Vittoria Corambona” (1612). La letteratura e la tradizione orale dipingono Isabella come una grande dama e donna di notevole cultura, ma divoratrice di uomini, al punto che è ancora viva la leggenda che gli occasionali amanti venivano soppressi e gettati in un trabocchetto costruito nel castello. Vittoria, compresa anche la sua famiglia, viene descritta come una cortigiana alla ricerca di una posizione sociale più elevata e causa dell’uccisione di Isabella da parte del marito Paolo Giordano, tutto preso dalla sua nuova fiamma. La realtà storica contrasta con questa rappresentazione, ma iniziamo dal loro ingresso in scena che è stato completamente diverso. Isabella appartiene alla potente famiglia dei Medici di Firenze (è la figlia di Cosimo e nipote di Lorenzo il Magnifico) e viene data

Rinascimento Nero Dopo più di quattro secoli scagionato Paolo Giordano I Orsini per la morte di Isabella Un libro indica le cause della morte in un blocco intestinale

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sabella de' Medici (1542-1576), la bella figlia del granduca di Toscana Cosimo I e di Eleonora di Toledo, non morì affatto uccisa dal marito, per gelosia, nella villa di Cerreto Guidi (Firenze). Molto più semplicemente cessò di vivere per una malattia delle vie urinarie. A scagionare Paolo Giordano I Orsini, duca di Bracciano, a cui Isabella andò in moglie quando aveva solo sette anni, è una ricerca di Elisabetta Mori, archivista dell’Archivio Storico Capitolino di Roma che da circa 20 anni studia la figura di Isabella dè Medici. Fino a oggi su di lei si avevano informazioni un po' confuse: soprattutto nell’Ottocento e all’inizio del Novecento anche Isabella era rimasta "vittima" della cosiddetta "leggenda nera" di Casa Medici, secondo cui il 16 luglio 1576 la nobildonna sarebbe stata uccisa dal marito per motivi d’onore, esasperato dai suoi tradimenti. Per ribaltare questa diceria popolare - che vantava anche risvolti diplomatici strumentali - Elisabetta Mori ha appena pubblicato il libro dal titolo «L’onore perduto di Isabella dè Medici» (Garzanti, pagine 432, euro 25). Una delle tesi proposte dalla studiosa romana, infatti, è che la figlia di Cosimo I e Eleonora di Toledo si spense perché affetta da «oppilatione», ovvero un "intasameno" delle vie biliari (ma anche urinarie e intestinali) che la portò alla morte. Insomma a soli 34 anni, la sorella di due granduchi (Francesco I e Ferdinando I) scomparve per cause naturali e non per mano del marito che, al contrario, si dimostrò sempre innamoratissimo di lei, come dimostrano i documenti originali rintracciati da Elisabetta Mori, a cominciare dalle lettere d’amore tra i due sposi. Il libro di Mori risulta molto importante nella sterminata bibliografia medicea, soprattutto per le novità. Per secoli gli storici hanno dipinto Isabella de' Medici come una donna priva di freni morali e dedita a «illecite passioni», giustificate solo dalla scarsa considerazione che il marito Paolo Giordano Orsini avrebbe avuto per lei. Tanto che alla fine lui, dopo essersi macchiato di molti altri delitti, l’avrebbe uccisa. Quella di Isabella e Paolo Giordano, rampolli di due grandi casate italiane, sostiene Mori, è una delle più sanguinose «leggende nere» del nostro Rinascimento. La tragica morte di Isabella ha ispirato, nel corso dei secoli, scrittori, poeti e scienziati, dall’elisabettiano Webster al romantico Dumas, da Domenico Guerrazzi a Gaetano Pieraccini. Ora è finalmente possibile riscoprire la verità e restituire a Isabella l’onore cancellato da mille calunnie. Tratto da un articolo de La Stampa del 26/02/2012

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Isabella de’ Medici

Vittoria Accoramboni

come promessa sposa a Paolo Giordano Orsini ancora bambina, ma anche lui è suo coetaneo (nel 1553 anno della promessa, lei ha solo 11 anni, mentre lui ne ha 12). Il matrimonio vero viene celebrato 7 anni più tardi, nel 1560. Pochi giorni dopo il feudo di Bracciano viene elevato a ducato. E’ chiaramente un matrimonio politico, accolto con favore ovunque, che procura onori e vantaggi ad entrambe le famiglie: i Medici trovano un potente alleato a Roma, gli Orsini assumono una valenza ed una visibilità ben oltre lo Stato Pontificio. Isabella è però troppo legata alla sua Firenze ed all’ambiente che circonda il granduca suo padre per cui preferisce rimanere a vivere nella sua famiglia di origine e disdegna di seguire il marito a Roma, men che meno a Bracciano, dove, addirittura, c’è chi afferma non abbia mai soggiornato, o forse solo per qualche giorno, in occasione della venuta a Roma del padre Cosimo, nel 1569. Quindi gli amanti di una notte gettati nel trabocchetto del castello sono una pura invenzione. Questa è la descrizione di Isabella fatta da Riguccio Galluzzi nella sua “Istoria del Granducato di Toscana” stampato a Firenze nel 1781. “Donna Isabella sorella del G. Duca e moglie di Paolo Giordano Orsini Duca di Bracciano si stava continuamente in Firenze senza aver mai voluto seguitare il marito a Roma e nelle sue spedizioni. Il G. Duca Cosimo avea amato questa figlia con tenerezza particolare, e la sua autorità avea trattenuto l’Orsini dal rimoverla dalla di lui presenza. Essa era divenuta l’oggetto della ammirazione di ciascheduno per le sue rare doti, poiché alla bellezza e leggiadria naturale accompagnava le lettere, la poesia, la musica, e l’uso di varie lingue; perciò la sua presenza era il condimento di tutte le feste e trattenimenti di Corte, e perché favoriva ed approvava gli amori della Bianca Cappello non era discara al G. Duca”. La Cappello era notoriamente l’amante del Granduca. Se si escludono i rapporti occasionali, almeno a Bracciano, qualche dubbio permane, però, sulle frequentazioni fiorentine, soprattutto all’interno della corte del padre,

dove qualche tresca sembra essere esistita, soprattutto quella tra Isabella e Troilo Orsini, un aitante cugino di Paolo Giordano mandato a Firenze dal duca proprio per essere d’aiuto ad Isabella. Amante o no, Troilo fu fatto uccidere l’anno successivo alla morte di Isabella mentre si trovava in missione a Parigi. Vittoria appartiene invece ad una famiglia molto più modesta, gli Accoramboni di Gubbio, dove nacque nel 1557, quindi 15 anni dopo Isabella. A soli 16 anni, nel 1573, sposa Francesco Peretti, illustre sconosciuto per meriti personali ma nipote di un cardinale, Felice Peretti di Montalto, che alcuni anni dopo, nel 1585, diverrà papa Sisto V. Come tutti i matrimoni del tempo, anche questo fu certamente un matrimonio di interesse, voluto dalla famiglia di lei ma ben accetto all’altro contraente per la favolosa bellezza della giovane sposa. La famiglia Peretti non apparteneva ad un grande casato e quindi non poteva pretendere più di tanto, anche se poteva vantare un cardinale tra i suoi componenti, ma il Montalto, figlio di un giardiniere, era stato un semplice frate francescano che aveva fatto carriera per la sua cultura e abilità, non per meriti dinastici. I rapporti tra Paolo Giordano ed Isabella furono molto cortesi ed affettuosi nella loro corrispondenza epistolare, abbastanza fitta, ma nella sostanza i due vissero separati per la maggior parte del tempo, e quando stavano insieme dimoravano prevalentemente a Firenze. Paolo Giordano era poi spesso assente per le sue partecipazioni alle varie guerre che lo impegnavano. Nel 1576, a soli 34 anni, Isabella muore in circostanze non proprio chiare: forse perché fortemente malata o forse strangolata per mano del marito. La maggior parte degli scritti del tempo propendono per la seconda ipotesi, probabilmente suggestionati dalla analoga fine fatta, pochi giorni prima, dalla cognata Eleonora di Toledo uccisa dal marito Pietro de’ Medici, fratello di Isabella. Si riporta il testo contenuto nel “Diario Fiorentino” di Agostino Lapini (un contemporaneo morto a Firenze nel 1592) che narra dei due decessi. “La notte de’ di 10 di luglio

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1576, che fu in martedì, a ore 5 di notte morse la signora Eleonora di casa Toleda e moglie del signor Pietro dei Medici,..et a dì 16 di detto luglio si fe’ il mortorio…. A’ dì detto, in lunedì a ore 18 circa, morse la signora Isabella figliuola del gran duca Cosimo de’ Medici, a Cerreto Guidi; fecesegli il suo mortorio detto dì, e seppellissi in S. Lorenzo: la quale parse a chi la vidde, uno mostro: tanto era nera e brutta. Dissesi che era stata advelenata; e chi disse che era stata come la sua sopradetta parente ammazzata. Dio abbi perdonato a tutt’a dua, e sien morte di che morte si voglia...”. In epoca posteriore si ipotizzò che Isabella fosse stata uccisa dal marito perché fortemente innamorato di Vittoria Accoramboni e quindi per togliere un ostacolo al suo nuovo amore. Ma nel 1576 Vittoria era sposata da poco, aveva solo 19 anni e non si conoscono elementi che possano avvalorare i suoi rapporti con Paolo Giordano in quel periodo. Quindi, che si tratti di morte naturale o di omicidio, sembra escludersi che possa esserci un collegamento con Vittoria. Rimasto comunque vedovo, Paolo Giordano conosce Vittoria, ventenne, tramite un fratello di lei, tale Marcello, un poco di buono che era entrato a far parte della cerchia dei servitori del duca. Le frequentazioni in casa Peretti (si ricorda che Vittoria era già moglie di Francesco Peretti) si fanno assidue anche per sollecitazione di Tarquinia, madre di Vittoria, che comincia ad intravedere una collocazione socialmente più rilevante per la figlia. Ma c’è un ostacolo di mezzo: il marito che, opportunamente, il 17 aprile 1581 viene ucciso in una imboscata, complice lo stesso fratello di Vittoria, Marcello. Sono passati pochi giorni dall’uccisione e Paolo Giordano sposa Vittoria già nel mese di maggio: una vedovanza davvero breve. Causa il processo avviato per l’omicidio, che vedeva coinvolti vari personaggi legati al duca, tra cui un certo Paolo Barca di Bracciano, le nozze vengono annullate dal papa. Inoltre si intima al duca di non transitare ed entrare nella casa di Vittoria sotto la pena di mille ducati d’oro (il decreto verrà poi revocato a fine ottobre dello stesso anno dopo il dichiarato adeguamento di Paolo Giordano ai voleri del papa). Vittoria, apparentemente abbandonata, è costretta a subire vari soprusi, tra cui anche la prigione a Castel S. Angelo e poi l’esilio a Gubbio, sempre con il vincolo di non sposarsi se non previo assenso del papa. Seguono quattro anni di varie e altalenanti vicissitudini dove i due si incontrano, quasi sempre a Bracciano, talvolta pubblicamente, talvolta di nascosto, e tentano di celebrare altre nozze, ma da loro sempre ufficialmente negate per non contraddire gli ordini del papa. Si arriva così al 1585, anno cruciale per la loro esistenza e che vede la morte di entrambi. Seguiamo la cronologia degli eventi. Il 24 aprile, inaspettatamente, viene eletto papa il cardinale Felice Peretti di Montalto, lo zio del primo marito di Vittoria, che assume il nome di Sisto V. Nello stesso giorno della sua elezione Paolo Giordano e Vittoria si sposano

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di nuovo ufficialmente, considerando decaduto il diniego posto dal precedente papa. Paolo Giordano è abbastanza sveglio per capire che il nuovo papa si vendicherà della morte del nipote e allora, insieme a Vittoria, fugge per Venezia, vantando buoni rapporti con il doge, e si stabilisce a Salò, dove però muore il 13 novembre. Si propende, per lo più, per una morte naturale anche se non mancano le voci di un avvelenamento perpetrato dalla famiglia Medici. Nel libro “Delle Historie del mondo” di Cesare Campana, dove si narrano le vicende accadute dall’anno 1580 al 1596, stampato a Venezia nel 1596, viene così descritta la morte di Paolo Giordano. “...Ritirossi dunque Paolgiordano… nello Stato della Repubblica Venetiana, dove non guari (molto) dimorò, che venne a morte, perché assaltato da una non molto gagliarda febbre in Salò, vicino al Lago di Garda, e facendosi cavar sangue dal braccio, incontanente spirò. Sua moglie Vittoria, che con essolui si trovava, afflitta oltremodo, per cotanta perdita, con poca famiglia si fermò in Padova…” Poco più di un mese dopo, il 22 dicembre, è la volta di Vittoria che viene assassinata a Padova, dove si era rifugiata, per mano di sicari assoldati da Lodovico Orsini, parente di fiducia del marito, nell’intento di eliminare una scomoda ereditiera. Aveva solo 28 anni. Sempre il Campana annota nel suo libro: “...ma mentre si tratteneva in Padova…che che ne fusse la ragione…fu per sua commissione (di Lodovico) da alcuni satelliti ammazzata una sera miserabilmente la Accorambona, et un suo fratello”. La giustizia della Repubblica di Venezia è inesorabile. Sempre il Campana annota: “…si mandò un Avogador publico, per ispedire giustizia contro Lodovico, e suoi seguaci, che erano al numero di ben cinquanta”. Solo quattro giorni dopo il misfatto, vengono condannati a morte lo stesso Lodovico, soffocato in carcere con un laccio di seta, e, tra coloro che avevano partecipato all’uccisione di Vittoria, 22 pagarono con la vita (tra cui 13 furono impiccati e 2 vennero compressi con una tenaglia infuocata e poi squartati), mentre altri furono mandati in galera, alcuni liberati. Con questa carneficina cala il sipario sulle vicende amorose delle prime due duchesse di Bracciano che ancora oggi rivivono nella fantasia, in occasione delle visite al castello, quella presenza che non hanno potuto, o voluto, assicurare in vita. Ma il mondo gira e, quattro anni dopo questi tragici avvenimenti, nel 1589, entra in scena la terza duchessa di Bracciano, quella Flavia Peretti che, a soli 15 anni, va in sposa a Virginio Orsini, che di anni ne aveva 17, figlio di Paolo Giordano e di Isabella de’Medici. Chi era Flavia Peretti? La pronipote di Sisto V, che passa da persecutore degli Orsini a loro parente acquisito. Anche lei morirà giovanissima, a soli 32 anni, dando alla luce il suo dodicesimo figlio. Come la suocera Isabella, mai conosciuta, frequenterà poco il castello di Bracciano preferendo vivere a Roma o Firenze. Pierluigi Grossi

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Controcorrente 13 Elogio del libro N

ella cabala il 13 è l'elemento di troppo, quello che fa passare da un ciclo a un altro con ciò che questo cambio implica di ansie per l'arrivo di un nuovo ciclo ignoto e contiene in sé il principio dell’ineluttabilità del cambiamento. Si dice porti male, mai a tavola in 13, ma, come ha osservato giudiziosamente Grimod: “il numero di 13 persone a tavola è da temere solo quando c’è cibo per sole dodici”. Con questo numero chiudo il viaggio che abbiamo fatto con “Controcorrente”, sento di aver esaurito la vena che ci ha condotto in curiosi viaggi dentro e fuori di noi: identità e alterità, solidarietà vs competizione, l’utilità dell’inutile, realtà e finzione, universo e cervello, alla ricerca di sé, discorrendo con la morte, crescita vo cercando… e via leggendo. E voglio chiudere con un inno a colui che mi ha consentito questo viaggio: il libro.

stici, i soggetti pittorici, i colori, scultura, il segno dello scalpello, il lavoro di colle e resine, il fuoco della fiamma ossidrica, architettura, lo sguardo architettonico, l’equilibrio e/o la rottura con l’ ambiente circostante, studio del linguaggio, la nascita delle parole, le parole che indicano le cose, comunicazione, i conflitti e le mediazione, la pragmatica, la forma orale, il corpo, i segni, diritto, privato e pubblico, diritti e rapporti di forza, politica, la storia, l’evoluzione, i suoi significati e le sue forme, matematica, il suo linguaggio e il suo rigore, i giuochi matematici, zoologia, classificazione degli animali, il loro habitat, i loro comportamenti, la loro riproduzione, gialli, fantascienza, fumetti…. Difficilmente entro in libreria con una lista definita di libri da acquistare, i libri li devo incontrare, così entro e vagolo per ore per scaffali e banchi, li tocco, li apro, guardo le loro forme, leggo le loro sinossi, a volte scatta una molla e allora non posso fare a meno di portarmeli via, altre volte ricevo suggestioni da amici, altri ossessi miei simili, oppure dalle recensioni che escono su giornali, la televisione, levato il format di Piero Dorfles, brilla per il suo silenzio, oppure dai tanti depliant a cui sono abbonato e che raccontano di libri, antichi, nuovi, appena usciti, libri a volte introvabili, qua e là rimango intrigato da qualche titolo, da qualche racconto della natura del libro, allora aspetto che mi incontri. Nella lettura cerco i fili che collegano un sapere a un altro, cerco nessi non verità, con disordine sistematico inseguo impulsi, bisogni, necessità. Per cercare di farmi capire voglio narrare il mio vissuto con un libro che mi ha intrigato per un lungo periodo: lo “Strano caso del lago Vittoria”. Il lago Vittoria è una sorta di enorme brodo primordiale, caldo e poco profondo, dove alberga una fantastica diversità di vita. Bagna il Kenia, la Tanzania e l’ Uganda e contiene più di tremila isole. Protagonisti assoluti del lago erano i ciclidi, un gruppo di pesci che, a partire da un comune antenato, si differenziarono in centinaia di specie diverse, ponendo seri problemi agli studiosi di evoluzione. Per risolvere il rompicapo arrivò sulle rive del lago un giovane biologo olandese, Tijs Goldschmidt, autore del libro. Intenzionato a dedicarsi anima e corpo alla ricerca della scomparsa dei ciclidi, si accorse ben presto che vivere nell’Africa equatoriale non era affatto semplice, così, nel suo libro, narra anche le storie buffe e tragiche degli abitanti del luogo che si mescolarono ai mille imprevisti di una ricerca sempre più snervante, i difficili dibattiti con i colleghi che si alternano agli scontri surreali con la burocrazia locale, insomma l’ Africa irrompe nel libro e al racconto della scienza si alterna il racconto di un’ esperienza di vita. Un giorno arrivò sulle rive del lago un uomo, c’è chi

I libri sono la mia ossessione, sono una rivincita ai miei studi di perito industriale in meccanica fine di precisione, trasformatasi poi in un simpatico delirio, in un bisogno insopprimibile di sapere, di scandagliate l’anima e il mondo per tentare di afferrare la pietra filosofale. Tutto nacque nello studio di mio zio orco, preside di un liceo romano, che era saturo di scaffali pieni di libri, ordinati, disordinati, cianfrusagliati, aperti, chiusi, con copertine in cuoio, in tela, in carta, antichi, vecchi, nuovi, vissuti, sfogliati, intonsi, brochure, tomi, enciclopedie, atlanti, incunaboli, trattati, manuali, un’estasi. Le rare volte che riuscivo ad entrare nel suo studio senza essere visto, chi veniva trovato lì rischiava la fucilazione, rimanevo affascinato, mi trasformavo in cielo terso e pioggia, in sole e ombra, in vento e bonaccia. Zio mi aveva dato da leggere Alice nel paese delle meraviglie, un mondo onirico sotterraneo fatto di paradossi, di assurdità, di nonsensi, e in quei frangenti io mi sentivo come precipitato in quel mondo di sogno. Un giorno, mentre sfogliavo una rara edizione dell’Ariosto, seppi che sarei diventato un cannibale di libri. Leggere è stata la mia rivincita per riempire i pozzi della mia solitudine, della mia irrequietezza e non mi è mai stato chiaro quale simpatico mostro quelle letture hanno messo in movimento nella mia testa, nella mia pancia. Leggo tutto: letteratura, prosa, poesia, teatro, narrativa di ogni angolo del mondo e di ogni forma espressiva, autobiografie e biografie dei vincitori e dei vinti, storia dell’umanità, degli stati, delle loro relazioni, storia di Roma e della sua caduta, l’“oggettività” della storia, filosofia, la storia della filosofia, i greci, Platone, Aristotele, Spinoza, psicanalisi, la storia della sua nascita, i metodi psicanalitici, sociologia, la storia delle classi sociali, l’anomia, la secolarizzazione, religioni, la storia delle religioni, la Bibbia, il Corano, Gilgamesh, psicologia, l’intelligenza, il comportamentismo, il cognitivismo, scienza, i modelli scientifici, le teorie e le leggi che li regolano, tecnologia, dal ferro al silicio, astronomia, il big bang, i buchi neri, le esplosioni stellari, ecologia, l’ambiente, l’equilibrio e la violenza della natura, economia, le sue forme arcaiche, il capitalismo, il socialismo, il liberismo, geografia, gli atlanti, i suoi confini, i suoi fiumi e i suoi monti, sindacato, la sua storia, la contrattazione, la sua natura sociale e politica, geologia, la crosta terrestre, le fraglie, la paleontologia, biologia, le basi molecolari della vita, la spirale alla scoperta della vita, fisica, lo spazio, il tempo, la massa, i quanti, fauna e flora, le loro leggi, i loro cicli, la loro relazione con l’uomo, pittura, i movimenti arti-

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assicura che fosse un funzionario inglese dell’ambasciata d’Egitto con un secchio, con dentro pochi esemplari di perca del Nilo, un vorace predatore, che gettò nelle acque del lago. Nel giro di qualche anno le perche si riprodussero spaventosamente e devastarono il complesso ecosistema, portando all’estinzione di tre quarti della specie dei ciclidi, gran divoratori dei gamberetti del lago. Ma il pesce che ha portato la morte dei ciclidi e la proliferazione dei gamberetti fece germogliare la vita sulla sponda, per gli indigeni fu mkombosi, il salvatore, perché è più grande e commestibile dei ciclidi. Il futuro del lago si fa, così, sempre più intricato, arrivano le multinazionale del pesce che sfruttano il basso costo della mano d’opera locale, mentre Goldschmidt assiste, impotente, alla strage dei suoi pesciolini e alla relativa prosperità raggiunta dai suoi amici tanzaniani. Credo che non ci sia pescivendolo a cui ho comprato quel pesce – il persico gigante a 10/12 euro al chilo - a cui non abbia raccontato questa storia, pubblicizzando l’autore. In questo libro ho assaporato l’incontro tra geografia, sociologia, politica, economia, antropologia, scienza, biografia, mistero della natura, tutti insieme appassionatamente a disegnare nessi, fili, trame, connessioni che mi hanno affascinano, intrigato. L’ ho incontrato discutendo, con un ambientalista, dell’effetto farfalla, ispirata da uno dei più celebri racconti fantascientifici di Ray Bradbury, Rumore di tuono, in cui si immagina che nel futuro, grazie ad una macchina del tempo, vengano organizzati dei safari temporali per turisti. In uno di questi viaggi, in una remota epoca preistorica un escursionista del futuro calpesta una farfalla e questo fatto provoca una catena di allucinanti conseguenze per la storia umana, per associazione di idee mi ha allora raccontato lo strano caso del lago Vittoria e sono entrato nel mio trip libresco. Vi dicevo che quando entro in libreria non chiedo, cerco, così ho girato librerie per mesi, stavo disperando quando alla Feltrinelli, un po’ nascosto, nello scaffale delle edizioni Einaudi, l’ho visto, ho sentito un brivido di gioia e l’ho ammesso alla mia corte.

- La distruzione delle opere di Cremuzio Cordo che si lasciò morire di fame nel 25 d.C., per aver difeso la libertà di scrivere la storia di Roma repubblicana ai tempi dell’impero. - I libri di alchimia dell'enciclopedia di Alessandria furono bruciati nel 292 dall'imperatore Diocleziano. - Atanasio, vescovo di Alessandria, fece distruggere tutti i libri “eretici”. In questo modo molti testi del principio dell’era cristiana vennero bruciati. - Una delle più famose distruzioni di libri avvenne nell'anno 642, quando il generale Amr ibn al-As, distrusse la Biblioteca di Alessandria e i libri in essa contenuti su ordine del califfo Omar. - Il 7 febbraio 1497 ebbe luogo a Firenze un rogo di libri e opere artistiche, essendo ritenuto materiale immorale, nel "Falò delle vanità", promosso da Girolamo Savonarola. - Il rogo dei manoscritti Maya e Aztechi da parte della santa Inquisizione, per ordine di Diego de Landa, vescovo dello Yucatan. - Agli inizi del secolo XVI, gli Andalusi dovettero consegnare alle autorità castigliane i libri scritti in arabo, si salvavano quelli riguardanti medicina, filosofia e storia, gli altri bruciati. - Il rogo dei libri di autori ebrei durante l'epoca nazista, dal 1930 fino al 1945 in Germania. Il rogo più noto fu quello avvenuto nella Bebelplatz di Berlino il 10 maggio 1933. - Nel 1961 si consumò in Italia nel cortile della procura di Varese l'ultimo rogo di libri per disposizione legale; si trattava della condanna per oscenità dell'opera Storielle, racconti e raccontini del marchese de Sade, pubblicata dall'editore Luigi Veronelli l'anno precedente. - In Cile dopo il colpo di Stato dell'11 settembre del 1973 i militari cileni sequestrarono e bruciarono migliaia di libri di politica, sotto l'ordine del dittatore Augusto Pinochet. - Il 29 di aprile del 1976, il generale Menéndez – colpo di Stato in Argentina - ordinò un rogo collettivo di libri, tra i quali si trovavano opere di Marcel Proust, Gabriel García Márquez, Julio Cortázar, Pablo Neruda, Mario Vargas Llosa, Saint-Exupéry, Eduardo Galeano... - Il 16 gennaio 2015 sono stati bruciati circa 2000 libri dall’ISIS poiché non considerati "islamicamente corretti", prelevati dalla grande biblioteca di Mossul, dalla biblioteca dell'università, dalla Biblioteca musulmana sunnita, dalla biblioteca della Chiesa Latina e dal Convento dei Padri Domenicani, tra i quali vi erano scritti risalenti a migliaia di anni fa. Vi saluto e vi ringrazio con uno dei miei libri dei libri, Mondo scritto e mondo non scritto di Italo Calvino, una quarantina di saggi pubblicati e letti in varie sedi…passo gran parte delle mie ore di veglia in un mondo speciale dove le parole si susseguono una dopo le altre, dove ogni frase, ogni capoverso occupano il loro posto prestabilito…quando mi stacco dal mondo scritto per ritrovare il mio posto nell’altro, fatto di tre dimensioni, di cinque sensi, popolato da miliardi di nostri simili…trovo forme di realtà intellegibili, un insieme di sensazioni confuse…mentre attendo che il mondo non scritto si chiarisca ai miei occhi, c’è sempre una pagina scritta a portata di mano, in cui posso tornare a tuffarmi…là almeno, anche se riesco a capire solo una piccola parte dell’insieme, posso coltivare l’illusione di poter tenere tutto sotto controllo…anche nella mia gioventù le cose andavano in questo modo, ma a quell’epoca m’illudevo che mondo scritto e mondo non scritto s’illuminassero a vicenda…oggi posso dire che del mondo scritto conosco molto di più…invece quello che succede nel mondo che mi circonda non finisce di sorprendermi, spaventarmi, disorientarmi…a questo punto mi chiederete: se dici che il tuo vero mondo è la pagina scritta, se solo là ti senti a tuo agio, perché vuoi staccartene, perché vuoi avventurarti in questo vasto mondo che non sai padroneggiare? La risposta è semplice. Perché sono uno scrittore…mi è necessario per rimettere in moto la mia fabbrica di parole che deve sempre estrarre nuovo combustibile dai pozzi del mondo non scritto. Francesco Mancuso

Ma la natura umana!!! Fernando Baez scrive una “terribile” storia universale della distruzione dei libri. «Dove si bruciano i libri, si finisce per bruciare anche gli uomini»: queste parole di Heinrich Heine ci ricordano che in tutte le epoche e civiltà il libro, come strumento di trasmissione delle idee e della memoria, è stato vittima del fanatismo e della censura. Da quando è nata la scrittura, gli elementi della natura e la volontà distruttrice dell’uomo hanno messo in pericolo la sopravvivenza dei suoi supporti materiali. In questo libro Fernando Báez ricostruisce l’inquietante storia della distruzione dei libri, vittime delle catastrofi naturali, delle fiamme, delle guerre e soprattutto dell’intolleranza politica e religiosa. Ne scrivo una lista parziale. - Il rogo dei libri e l'assassinio di accademici da parte di Qin Shi Huang, il fondatore della Cina, nell'anno 212 a.C., molti intellettuali che disobbedirono all'ordine furono sepolti vivi.

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CGIL: lavoro e diritti da oltre un secolo

Trilussa e la libertà La libbertà de pensiero Un gatto bianco, ch’era presidente der circolo der Libbero Pensiero sentì che un Gatto nero, libbero pensatore come lui, je faceva la critica riguardo a la politica ch’era contraria a li principi sui. “Giacché nun badi a li fattacci tui, – je disse er Gatto bianco inviperito -, rassegnerai le proprie dimissione e uscirai da le file der partito: che qui la poi pensà libberamente come te pare a te, ma a condizzione che t’associ a l’idee der presidente e a le proposte de la commissione!” – “E’ vero, ho torto, ho aggito malamente…” – Rispose er Gatto nero. E pe’ restà ner Libbero Pensiero da quela vorta nun pensò più gnente.

Fondata a Milano nel 1906

L’adesione alla CGIL è volontaria. Essa comporta piena eguaglianza di diritti e di doveri nel pieno rispetto dell’appartenenza a gruppi etnici, nazionalità, lingua, orientamento sessuale, identità di genere, culture e formazioni politiche, diversità professionali, sociali e di interessi, dell’essere credente o non credente. Essa, inoltre, comporta l’accettazione dei principi e delle norme del presente Statuto, in quanto assumono i valori delle libertà personali, civili, economiche, sociali, politiche e della giustizia sociale quali presupposti fondanti e fini irrinunciabili di una società democratica. (Dall’articolo 1 dello Statuto) ----La CGIL basa i propri programmi e le proprie azioni sui dettati della Costituzione della Repubblica e ne propugna la piena attuazione. Considera la pace tra i popoli bene supremo dell’umanità. (Dall’articolo 2 dello Statuto)

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a Confederazione Generale del Lavoro (CGdL) nacque al primo Congresso di Milano (29 settembre – 1° ottobre 1906). La fase “presindacale” vide lo sviluppo delle Società di Mutuo Soccorso, prime forme di associazionismo operaio. Il mutualismo aveva lo scopo di fornire assistenza ai soci in caso di disoccupazione, infortunio, malattia e vecchiaia, escludendo il ricorso alla lotta di classe. La fase “sindacale” iniziò coi primi scioperi degli anni ’60 e ’70 dell’Ottocento. Il progressivo passaggio dal mutualismo alla resistenza si intensificò alla fine del XIX secolo. Le prime Leghe di Resistenza nacquero nell’industria manifatturiera, soprattutto tessile e metallurgica, ma anche nell’edilizia, nei servizi, nei trasporti e, soprattutto, in agricoltura. Nel tentativo di rappresentare tutti i lavoratori di un territorio, negli anni ‘90 del XIX secolo furono costituite le Camere del lavoro. Le prime nacquero nel 1891 a Milano, Piacenza e Torino. Nel 1898 a Milano scoppiarono i “moti per il pane”, duramente repressi dal Governo. Fu la “crisi di fine secolo”, durante la quale furono emanati provvedimenti restrittivi della libertà sindacale e furono chiuse molte Camere del lavoro. La riuscita del primo sciopero generale cittadino, proclamato a Genova nel dicembre 1900 in difesa della locale Camera del lavoro, e la svolta liberale, promossa nel febbraio 1901 dal nuovo Governo liberale Zanardelli e

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Bracciano: il 2 luglio torna la Notte Bianca

La Libbertà La Libbertà, sicura e persuasa d’esse’ stata capita veramente, una matina se n’uscì da casa: ma se trovò con un fottìo de gente maligna, dispettosa e ficcanasa che j’impedì d’annà’ libberamente. Un sindacato di massa

con Giolitti ministro dell’Interno, favorirono la ripresa del movimento sindacale. In quei mesi si costituirono le prime Federazioni nazionali di categoria. Il programma confederale, confermato nei Congressi nazionali di Modena, Padova e Mantova (tenuti rispettivamente nel 1908, 1911 e 1914), puntava al miglioramento delle condizioni di vita delle classi lavoratrici. Così l’accordo siglato nel 1907 tra CGdL, Federazione delle Società di Mutuo Soccorso e Lega Nazionale delle Cooperative (la cosiddetta “Triplice Economica”). Gli strumenti principali individuati per la realizzazione del programma confederale furono due: lo sviluppo della legislazione sociale e la diffusione della contrattazione collettiva. Sotto questo ultimo aspetto la firma dei primi contratti (tra i più importanti l’accordo Itala-FIOM, firmato a Torino nel 1906) evidenziò il tentativo di parte sindacale di ottenere un riconoscimento “istituzionale” da parte di Governo e imprese (nel 1910 a Torino si costituì la Confederazione Italiana dell’Industria). I risultati furono significativi: la riduzione dell’orario di lavoro, la fissazione dei minimi salariali, il riconoscimento delle Commissioni interne nei luoghi di lavoro, il controllo del collocamento.

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E tutti je chiedeveno: - Che fai? E tutti je chiedeveno: - Chi sei? Esci sola? a quest’ora? e come mai?... - Io so’ la Libbertà! - rispose lei Per esse’ vostra ciò sudato assai, e mò che je l’ho fatta spererei...

Programma ricchissimo per la manifestazione organizzata dall’Associazione Commercianti

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opo il successo senza precedenti della edizione 2015 della Notte Bianca, in cui si è registrato il record di oltre 10 mila visitatori, l’Associazione Commercianti di Bracciano sabato 2 luglio ripete l’esperienza grazie al contributo dei propri associati e con un partner d’eccezione “Trenta ore per la vita” l’Associazione che dal 1994 si occupa di sviluppare progetti, oltre 750 fino ad oggi, per i bambini con gravi problemi di salute. Gli ospiti che si riverseranno per le vie e piazze del centro storico - per l’occasione chiuse al traffico - potranno assistere a spettacoli di artisti di strada, clown funamboli mangiafuoco giocolieri, scuole di ballo, esibizioni sportive e per mangiare all’aperto in ristoranti tra i vicoli del centro storico o passeggiare tra le vetrine dei negozi aperti fino a tardi con un cartoccio di cibo da strada tra le mani. Ogni via interessata ha i suoi complessi musicali di ogni genere. Il Museo Civico e quello dell’opera del duomo e l’archivio storico saranno aperti per l’occasione. “Quest’anno sarà una edizione nuova a partire dal mercatino del vintage e dell’antiquariato di qualità, con una maggiore partecipazione di artisti di strada anche di fama nazionale, band musicali e gruppi di ballo. Un colpo d’occhio eccezionale vedere il centro storico invaso da migliaia di persone che potranno fare shopping nei negozi che apriranno la stagione dei saldi tra le vie del nostro paese trasformato in una gigantesca isola pedonale” ha dichiarato il presidente della Associazione Commercianti di Bracciano Beatrice Dominici.

- Dunque potemo fa’ quer che ce pare... fece allora un ometto: e ner di’ questo volle attastalla in un particolare... Però la Libbertà che vidde er gesto scappò strillanno: - Ancora nun è affare, se vede che so’ uscita troppo presto!

Cos'è la Libertà? adesso te lo spiego: Diceva Melapiglio a Menefrego. la Libertà di un popolo è compagna all'acqua che vien giù dalla montagna. Se la lasci passare dove le pare si spreca nei fiumi fino al mare: ma, se c'è chi la guida e la riduce e l'incanala verso l'officina, appena arriva muove la turbina, diventa forza e si trasforma in luce. Bella scoperta! Grazie del consiglio! Rispose Menefrego a Melapiglio. Ma quando l'acqua ha mosso nel cammino una centrale elettrica o un mulino, se canta o se borbotta non è male lasciarle un po' di sfogo naturale.

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Ettore De Santis: Un “favolista”, da “favola” Suo il libro di novelle “Un prato in città”

Due secoli di volo sul lago Un binomio strettissimo tra il territorio e l’aviazione

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h, sì! Oggi di “favole”, se ne sentono molte il cui finale, però, non è né tragico, né comico, ma più spesso tragicomico. Eppure…eppure, il mondo delle favole, per quell’atmosfera magica, ha ancora oggi, nonostante tutto, un suo innegabile fascino. Qualche giorno fa discutevo appunto di favole con il mio collega Ettore De Santis, uno che di favole se ne intende, perché ne ha scritte diverse. Mi diceva che, nel momento in cui notava una certa stanchezza negli alunni apriva il suo libro di fiabe “Un prato in città” e subito si creava nella classe una strana atmosfera: sembrava che le pareti dell’aula lasciassero il posto a quel magico mondo che nasceva quasi per incanto da quelle pagine. “Era - sottolineava con una certa emozione - come se il fantastico diventasse reale. Qualche bambina si accarezzava la treccina. Tutti trattenevano il respiro. Momenti stupendi”. A dire il vero anche io ero preso dal suo racconto al punto che non mi ero accorto del “permesso…, permesso…, per favore…”. Toh. Mi giro e rispondo con un mezzo inchino “avanti…, avanti…”. Sono dei bambini delle elementari in gita. Sono bellissimi con quei cappelli, alcuni gialli, altri di un verde brillante. Tutti con zainetti coloratissimi. Il primo della fila, con un paio di occhialetti da piccolo scienziato mi apostrofa con un “grazie”. Naturalmente tutta la fila si accoda “grazie…, grazie…, grazie…”. Ed io “prego…prego…, prego…”. Ettore mi guarda e sorride. Vedi, mi dice, “questi piccoli hanno bisogno di viaggiare in un mondo senza rumore, senza confusione. Insomma senza tutto ciò che li stressa, senza contare i “stai attento a questo, non fare quello”. “Hanno bisogno di un mondo “magico” fatto di boschi con alberi grandi, grandi, grandi, di ruscelli con acque chiare, chiare. Del canto degli uccellini che rompe, con dolcezza, il silenzio”. “Pensa – continua Ettore – può sembrare strano, ma anche noi abbiamo bisogno di evadere”. “Non ti è mai capitato di guardare il castello e immaginare damigelle, paggetti, signorotti e sentire la musica dei menestrelli?”. Mi accarezzo il mento e rispondo “certo, qualche volta mi è parso di sentire addirittura il profumo del cinghiale arrostito!”. “Accidenti che fantasia!!”. “Ti ricordi – gli dico a proposito di

Ettore De Santis fantasia – quando nostra madre per farci addormentare pronunciava la parola magica “adesso ti racconto”, e noi appoggiati sulla sua spalla dopo pochi minuti entravamo in quel mondo che la sua calma voce descriveva?”. “Permesso…, permesso…”. Toh, mi giro: è lo stesso bambino con gli occhialini da piccolo scienziato. “Prego”, rispondo. Mi fissa. “Il castello è davvero bellissimo poi signore batti il cinque…”. Batto il cinque. Il secondo della fila, con un gelato. “Questo gelato è proprio una favola!!”. Guardo Ettore “Batti il cinque”. Ci mettiamo a ridere. Tutta la fila ci batte le mani. Eh, sì! Ma che mondo sarebbe senza favole.

tra il vate e il poeta Harukichi Shimoi, all’epoca arruolato negli Arditi italiani. Storie di uomini, di velivoli, di imprese. Alcuni dettagli sugli anni dell’Imperial Airways sul lago di Bracciano arrivano anche dal libro Flying Empires di Brian Cassidy “Gli idrovolanti della Imperial Airways – scrive Cassidy - in genere giungevano a Bracciano dopo aver fatto uno scalo per rifornimento a Marignane, circa 20 chilometri a nord di Marsiglia. Dopo aver coperto una distanza di circa 557 chilometri, l'avvicinamento a Bracciano da parte degli idrovolanti era spesso piuttosto rischioso, data la frequente presenza di nubi basse sul lago. In caso di sosta per la notte, i passeggeri e l'equipaggio venivano condotti con un pullman al Grand Hotel de Russie a Roma. La tratta successiva del volo da Bracciano verso sud prevedeva uno scalo a Brindisi. In caso di inagibilità del lago di Bracciano per condizioni meteorologiche avverse, lo scalo alternativo era il lago di Paola, conosciuto anche come lago di Sabaudia, in provincia di Latina”. Cassidy parla anche di alcuni episodi specifici. “Un incidente sfiorato dagli idrovolanti sul lago di Bracciano si verificò quando il comandante J. W. Burgess, in addestramento da parte del comandante F. J. Bailey, tentò il suo primo decollo dal lago con il velivolo “Canopus”. Il comandante Burgess ordinò di estendere completamente i flap dell'idrovolante, controllò che questi avessero iniziato a muoversi, dopodiché impostò la miscela del carburante su “Full Rich" e spinse le manette completamente in avanti, portando i motori alla massima potenza. I flap, però, non si arrestarono nella normale posizione di decollo, ma continuarono a estendersi fino alla posizione massima. Dopo aver accelerato sul lago per circa 30 secondi, l'idrovolante fece un balzo improvviso nell'aria di circa 15 metri, per ripiombare poi verso il basso. Fortunatamente il comandante Burgess, che aveva esperienza di decolli dalle agitate acque dell'Oceano Indiano, riuscì a riprendere il controllo dell'aereo, ma solo dopo una serie di salti da canguro sul lago, mentre l'istruttore, comandante Bailey, che si trovava in piedi dietro il pilota, veniva sballottato di qua e di là nella cabina di pilotaggio e gridava "Fermalo, ragazzo! Fermalo!".

racciano e soprattutto Vigna di Valle rappresentano la culla del volo italiano. Un binomio stretto che data più di due secoli e che ora rivive nelle pagine del libro “Il lago degli aviatori”, edito in questi giorni per i tipi della Tuga Edizioni (vera officina culturale locale), nel libro scritto dal colonnello pilota Massimo Mondini, già direttore del Museo Storico dell’Aeronautica Militare di Vigna di Valle e presidente della prestigiosa associazione locale Forum Clodii. Il volume di Mondini ricostruisce un rapporto che è stato sempre florido, a partire da quello che fu considerato un presagio, ovvero l’arrivo del Pallone Aerostatico sul lago che era partito da Parigi nel 1804 quando Napoleone incoronò se stesso imperatore. Da allora il legame non è mai venuto meno ed anzi si è consolidato, passando dall’era dei dirigibili di Crocco e Rinaldoni, dall’epopea del dirigibile Italia e del generale Umberto Nobile che a Vigna di Valle sperimenta i suoi dirigibili in vista della trasvolata del Polo Nord, passando poi per l’episodio che vide la base militare il transito di Benito Mussolini, dalla Sardegna al Gran Sasso, nel periodo successivo al 25 luglio 1943, per la straordinaria epoca dell’Imperial Airways quando sul lago facevano scalo gli idrovolanti in rotta per l’Africa e le Indie. Pagine che riscoprono anche l’attività dei Cantieri Aeronautici di Bracciano di Giuseppe Rossi dei quali oggi rimane solo un diroccato capannone in fondo al lungolago Argenti. Un conoscitore attento, Mondini, che non tralascia dettagli e che anzi celebra un matrimonio felice che vede oggi l’era satellitare nel Sicral il megaradar, proprio sopra a Vigna di Valle, che controlla le operazioni militari. Recentissima inoltre la speciale visita guidata con la quale Mondini ha ricostruito, con il patrocinio dell’Ambasciata del Giappone in Italia e nell’ambito di Bracciano.Co dedicato ai 150 anni dei rapporti Italia-Giappone, il Raid Roma-Tokio del 1920. Gabriele D’annunzio ne fu l’ideatore, undici ardimentosi piloti ne furono i protagonisti prendendo il volo per una trasvolata euroasiatica che vide giungere a destinazione solo Arturo Ferrarin e Guido Masiero. Una impresa epica per i tempi quando il volo era ancora in fase pionieristica. Una avventura straordinaria, che si svolse tra il 14 febbraio e il 31 maggio 1920, frutto di una fantasia di trincea

Il Timballo alla Braccianese

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a fonte è autorevole, nientemeno che Ada Boni, autrice de Il Talismano della Felicità, il famosissimo ricettario spesso dato in dono alle spose novelle affinché le aiuti a tenersi stretto il marito per la gola. Ma del Timballo alla Braccianese davvero sembra essersene persa la memoria. Da una indagine sul campo non abbiamo trovato nessuna massaia pronta nella preparazione di questo piatto. Riproponiamo la ricetta nella speranza che davvero qualche braccianese sia in grado di farci assaggiare questa specialità culinaria locale. Ingredienti per 4 persone Farina: 200 grammi, 4 uova, burro, pangrattato, panna, pollo, lingua. Con la farina e le uova, confezionate una pasta all’uovo di giusta consistenza che stenderete non troppo sottilmente e ritaglierete in quadrati. Lessate le lasagne in abbondante acqua leggermente salata e, a più di mezza cottura, quando cioè saranno molto al dente. Scolatele, passatele in un ampio recipiente con acqua fredda e poi, prendendola ad una ad una, allineatele, senza sovrapporle, su una tovaglia, in modo che possano asciugarsi. Intanto preparate il ripieno che sarà un buon sugo di carne, qualche filetto di pollo cotto nel burro e ritagliato in dadini e un ettogrammo di lingua allo scarlatto tritata. Ungete di burro una teglia e prendendo metà delle lasagne, una per una, ricopritene il fondo, disponendole una attaccata all’altra. Sulle lasagne mettete il ripieno che avrete completato con qualche cucchiaiata di panna. Ricoprite con le altre lasagne, mettete qua e là qualche nocciolina di burro e passate la teglia in forno di moderato calore per una ventina di minuti. Idrovolanti alla fonda sul lago presso il molo di Bracciano

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Racconti dal mondo 0 Viaggio a Monolake

appassionate, è il segno del mio risveglio. Sono qui sulla spiaggia, aspetto che gli sciami di moscerini prendano altre forme, poi un sibilo e uno stormo di uccelli gracchianti piomba sopra di loro facendone strage. Non sono abituato a queste scene di ordinaria violenza. Sono esausto, poi, improvviso, lo sguardo si posa su un complesso di rocce che, per qualche strana alchimia, ha il potere di farmi immaginare il mio luogo di lavoro, così vedo uno sciame di vocianti che urlano senza resa le loro vendite, i loro acquisti, i loro guadagni, le loro perdite, e, sopra di loro, stormi di numeri rapaci che, fuori del loro controllo, disegnano il loro futuro: molti non reggono, muoiono di vergogna, vanno in crisi esistenziale, in depressioni cosmiche, in anomia, altri si suicidano. I moscerini, invece, non danno segni di tragedia, sanno che ritorneranno ad essere tanti, quelli che sono scampati al bisogno di fame degli uccelli prolifereranno come e più di prima. Avverto addirittura una sorta di orgoglio allegro nei superstiti, sanno della funzione sociale della strage, serve a far vivere gli uccelli che intanto ne mangiano solo quanto basta alla loro sopravvivenza, leggi antiche della natura. Le stragi degli umani sono più feroci, non si fanno prigionieri e non si lasciano superstiti, si uccide spesso per il piacere inconfessato di uccidere, una malattia dell’anima degli umani, o forse, lo dico sottovoce, solamente la loro natura. L’atmosfera in cui sono immerso mi sollecita sogni, pensieri estremi che mi lasciano stordito, confuso, intanto vedo che lo sciame di moscerini sopravvissuto si posa sul calore del mio corpo, divento anch’io una nuvola nera e mi sorprendo ancora, non un gesto per allontanarli, cacciarli, lascio che entrino in ogni poro della mia pelle, lascio che il senso di realtà che ha saputo donarmi questo luogo invada anche la mia anima. E’ notte fonda, i moscerini mi danno calore, ma non a sufficienza, così li sposto da me, uno a uno e mi riavvio verso la mia cara amica di viaggio. Rondine è lì, composta e silenziosa ad attendermi, chiede solo un po’ d’affetto. Pulisco il fango sedimentato tra i raggi, levo le croste nate sui copertoni, pulisco con la nafta le moltipliche e via, verso una nuova meta. Ah! In questo delirio di sogni, visioni e realtà urlate ho scordato di scrivere che sono riuscito a catturare un grasso coniglio, proteine per il mio viaggio. Non avrei mai creduto di poterlo e saperlo uccidere, scuoiare, farlo a pezzi, mangiare. A Hyxok li mangiavo spesso al ristorante, in fricassea, a volte compravo confezioni dove il coniglio è già pronto per essere mangiato, due minuti nel forno a microonde e via, così nulla fa pensare alla sua vita di coniglio, a come lo ingozzano per farlo crescere rapidamente, a come lo uccidono, lo scuoiano, che faranno della loro pelle?, a come lo impacchettano per la vendita. Mi si svela un mondo e lo vivo in diretta, con curiosità e passione, con gioia e fatica, con piacere e dolore. Dò un ultimo sguardo al panorama mozzafiato che mi ha regalato mondi di conoscenza e penso, seduto sul sellino di Rondine, alla mia stanza tecnologica di Hyxok, dove il televisore è una parete di una stanza immensa. A volte, quando la notte non riuscivo a prendere sonno o nei secondi di pausa che strappavo alla frenesia del mio lavoro, mi piaceva accoccolarmi nella mia poltrona hi-tech, mettere un massaggio lento per la mia schiena indolenzita e infilarmi in quei programmi che vogliono farti viaggiare senza viaggiare. Li ho amati, fino a oggi. Una volta mi è capitato di vedere il lago che mi ha accolto questa notte, ho visto immagini straordinarie, girate con sapienza, rocce tentacolari, la fauna e la flora del luogo, racconti sapienti, ho anche appreso che in questo lago vive un batterio misterioso, che ha ispirato film e ricerche assassine della NASA, un batterio capace di produrre arsenico, tanto arsenico quanto non se ne è mai visto sulla terra ma oggi so che tutto quel vedere era senz’anima, senza cuore, era solo il racconto di un luogo senza realtà, un luogo che non esiste. Francesco Mancuso

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i chiamo Ilan, ad Hyxok trafficavo in borsa ed ero ricco sfondato. Un giorno ho sentito un fremito, mi sono licenziato, ho comprato una bicicletta, l’ho voluta chiamare Rondine, e con lei ho cominciato a girare il mondo. Mentre vi scrivo sto affrontando una strada ghiacciata, il copertone, un super-gelidix 506 antislittamento, riesce appena a crinare la patina di ghiaccio su cui sto pedalando, che così diventa fanghiglia che si deposita sui raggi rendendo pesanti le ruote, devo scendere spesso per pulirle. Ho fatto pochi chilometri, attorno a me solo rocce e pendii mozzafiato. Sto arrivando a Monolake, un lago che ha 760.000 anni di vita, nella contea di Mono, in California. Mark Twain lo descrisse come «il solitario ospite della regione più isolata della terra». Riesco a scollinare e sono travolto da una visione fantastica, in fondo alla valle fa mostra di sé un lago dai colori improbabili, vedo rocce secolari e nuvole nere che si muovono freneticamente in cielo disegnando strane figure, dall'acqua e dal terreno spuntano formazioni tufacee, vere e proprie sculture a cielo aperto. L'alta concentrazione delle formazioni tufacee pervade l'aria di un odore acre che rende l'acqua particolarmente salata, speravo di prendere pesci, ma di loro neanche una traccia, troppo sale. Qua e là qualche fiore e qualche pianta. Con sorpresa mi sono però visto sbucare davanti conigli, lucertole, scoiattoli e donnole. Tutta la spiaggia è ricoperta da un sottile strato nero, sono sciami di moscerini, quando avvertono il mio odore s’alzano in volo, formando nere nuvole erranti. Sulle varie formazioni di tufo riposano strani uccelli, sembrano un incrocio tra corvi e gabbiani, sono lì in attesa del pasto serale, moscerini salati. Mi sono steso sulla sabbia e ho cominciato a parlare con le rocce e le loro forme. Sono in un luogo misterioso, immerso in un’atmosfera grigia, nebbiosa, pieno di paure e, insieme, di curiosità e lascio andare la mia fantasia, comincio a inseguire le nuvole nere erranti e immagino che stiano disegnando le forme deformate delle mie ansie fanciulle. Ecco mio zio Tiech. A tavola era proibito parlare di lui, ma le sue storie, raccontate nei sottoscala e nei bisbigli dei mercati mi affascinavano, avrei voluto incontrarlo, parlargli, sentire la sua voce raccontare la sua storia. Mio zio Tiech fu messo al bando per eccesso di bontà. Un giorno decise di donare tutti i suoi beni ad una confraternita di miserabili, fu interdetto dai suoi parenti, fuggì dal manicomio e visse tra boschi e selve cacciando di frodo, bevendo acqua piovana, vivendo e copulando con lupi e orsi. Fu braccato, ripreso, imprigionato. Morì di mancanza di libertà. Ora la nuvola nera cambia forma e mi rimanda l’immagine di mia zia Jodat. Anche lei fu espulsa dai racconti della comunità. Viveva senza marito, ma con una coda infinita di maschi che sbavavano per lei. Si dice che fosse di una bellezza sconfinata. Amava i suoi uomini fino a ucciderli, ape regina, li trascinava in vortici di piacere inenarrabili e quando li abbandonava morivano, d’inedia. La nuvola nera ha disegnato zia Jodat con un volto aspro, crudele, i suoi capelli di seta sono serpenti velenosi, le sue mani chele in agguato, poi la nuvola si dissolve e la trovo accovacciata in posizione fetale, in una capanna sordida, che canta nenie

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Siglato “un contratto di lago” Per la definizione delle variazioni minime e massime sottoscritto un protocollo d’intesa. Istituito un Comitato di indirizzo e controllo presso la sede del Consorzio Lago Bracciano

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na vera e propria sala operativa per monitorare i livelli del lago presso la sede del Consorzio Lago di Bracciano al molo degli Inglesi. Tutto per scongiurare piene ma anche siccità a tutela dell’ecosistema lago ma anche delle attività turistiche e balneari. E il lago torna ad avere il suo fiume, l’Arrone, questo sconosciuto si è detto un tempo, quale strumento di regimazione delle acque. Questa volta sembra che sia stata davvero intrapresa una strada virtuosa per mettere a punto un sistema che sostanzialmente mantenga stabili i livelli del lago che ad oggi ha una profondità media stimata in 162,50 metri. L’importanza dell’operazione, questa volta, è data dagli attori in campo, effettivamente quelli che hanno competenze sul lago, che hanno siglato un Protocollo d’Intesa “per la regimazione dei livelli idrici del lago di Bracciano, finalizzati alla tutela del territorio e ai provvedimenti necessari per la definizione dei livelli minimi e massimi”. A siglare il protocollo Mauro Lasagna per l’Ardis, ovvero l’Autorità Idraulica, quindi i sindaci di Anguillara, Bracciano e Trevignano, il commissario del Parco BraccianoMartignano Giuseppe Curatolo, il presidente del Consorzio Lago di Bracciano Rolando Luciani, Mauro Alessandri vicesindaco della Città Metropolitana di Roma Capitale, Paolo Saccani di Acea Ato2 spa e Hydra Ricerche snc. Il protocollo specifica dettagliatamente chi fa cosa. In questo ambito importanza riveste l’articolo 3 sull’“assegnazione dei ruoli”. L’Autorità Idraulica-Ardis è individuata come soggetto attuatore delle attività manutentorie del fiume Arrone, nel tratto compreso dal lago alla foce, per complessivi 37,900 chilometri. La società Ato 2 spa – spiega ancora l’articolo 3 – in virtù del disciplinare rep n. 12234 del 26/06/1989, è tenuta ad osservare le prescrizioni emanate a norma di legge dalle competenti Autorità, in materia di tutela delle acque dall’inquinamento e dalla pesca. Nel merito delle variazioni di portata derivabile, stabilita fino ad un massimo di moduli 50, dovrà essere assicurato, in ogni caso, il mantenimento delle escursioni del livello del lago nell’ambito di quelle naturali. Oltre a tali condizioni, la società concessionaria dovrà attenersi alla piena ed esatta osservanza di tutte le norme contenute nel Testo Unico 11/12/1993 n. 1775. A norma dell’articolo 5 che riguarda la gestione delle opere di regolazione “Nel merito, atteso che i sistemi di regolazione dei deflussi del lago sono attualmente costituiti dalle quattro paratoie a regolazione manuale e dall’impianto di captazione della società Acea Ato 2in quanto quest’ultima è già detentrice di misuratori idrometrici, con lettura a distanza, con frequenza temporale sia giornaliera che in intervalli ridotti. I dati emergenti del telerilevamento – prosegue l’articolo 5 – dovranno essere posti in condivisione con l’Autorità idraulica sia per il planning dei deflussi delle paratoie, sia per segnalare un eventuale avvio dell’impianto di captazione e soprattutto, con la sala operativa del Comitato di indirizzo e controllo istituita presso la sede del Consorzio Lago di Bracciano, per consentire sia il monitoraggio che il coordinamento delle eventuali azioni di intervento da attuare secondo le rispettive competenze dei partner”. I sindaci dei comuni rivieraschi si impegnano ad accertare eventuali abusi che possano arrecare danni in prossimità dell’incile del lago (soglia di fondo e paratoie) e lungo l’alveo dell’emissario. Analoghi riscontri potranno

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essere eseguiti dal Parco e dal Consorzio Lago di Bracciano. Individuato inoltre un partner tecnico nella Società Hydra Ricerche snc rappresentata da Andrea Balestri. Propedeutico al protocollo uno studio sulla individuazione del cosiddetto zero idrometrico. Nasce così, grazie anche all’impegno del presidente del Consorzio Lago Bracciano, una sorta di “contratto di lago”, un progetto virtuoso che non potrà che fare bene all’ecosistema lago e all’economia locale che sempre più vuole guardare al turismo e alla ricettività. Graziarosa Villani

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