– Eminenza, io non sono felice. – Perché dovrebbe essere felice? Il suo compito non è questo. Chi le ha detto che si viene al mondo per essere felici?
Guido e il cardinale
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I MIGLIORI FILM DELLA NOSTRA VITA Collana diretta da enrico Giacovelli
A mio padre, scomparso mentre stavo scrivendo questo libro
roberto chiesi
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8½ [1963] DI
FEDERICO FELLINI ROBERTO CHIESI
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8½ DI FEDERICO FELLINI
Cognome Fellini Nome
Federico
nato il
20 gennaio 1920
a
Rimini
morto il a
31 ottobre 1993
Roma
per
Ictus
sepolto a Rimini, Cimitero Monumentale
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LA CARTA D’IDENTITÀ DEL REGISTA
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FilmograFia
Luci del varietà, 1950 (co-regia Alberto Lattuada) Lo sceicco bianco, 1952 I vitelloni, 1953 “Agenzia matrimoniale”, ep. da L’amore in città, 1953 La strada, 1954 Il bidone, 1955 Le notti di Cabiria, 1957 La dolce vita, 19591 “Le tentazioni del dottor Antonio”, ep. da Boccaccio ’70, 1962 8½, 1963 Giulietta degli spiriti, 1965 “Toby Dammit”, ep. da Tre passi nel delirio, 1968 Fellini – Block-notes di un regista (Fellini: A Director’s Notebook, 1969) Fellini – Satyricon, 1969 I clowns, 1970 Roma, 1972 Amarcord, 1973 Il Casanova di Federico Fellini, 1976 Prova d’orchestra, 1978 La città delle donne, 1980 E la nave va, 1983 Ginger e Fred, 1985 Intervista, 1987 La voce della luna, 1990
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Il film uscì all’inizio del 1960, ma vi erano già state alcune proiezioni private per amici nel dicembre 1959.
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8½ DI FEDERICO FELLINI
8½ (1963) regia: Federico Fellini; soggetto: Federico Fellini, Ennio Flaiano (ideato da Federico Fellini); sceneggiatura: Federico Fellini, Tullio Pinelli, Ennio Flaiano, Brunello Rondi; fotografia: Gianni Di Venanzo (operatore: Pasquale De Santis); musica: Nino Rota, con brani aggiuntivi da Die Walküre / La Valchiria di Richard Wagner (“Cavalcata delle valchirie”), Il barbiere di Siviglia di Gioacchino Rossini, L’Apprenti sorcier / L’apprendista stregone di Paul Dukas, La Gioconda di Amilcare Ponchielli (“Danza delle ore”), Dichter und Bauer / Poeta e contadino e Leichte Kavallerie / Cavalleria leggera di Franz von Suppé, / Una notte sul monte Calvo di Modest Musorgskij, Libellentanz / La danza delle libellule di Carlo Lombardo e Franz Lehár (“Fox-trot delle gigolettes”), Š / Lo schiaccianoci Fiesta di Samuels-Whitcup-Dean e Ça c’est Paris di José Padilla; distribuzione musicale: CAM; suono: Mario Faraoni, Alberto Bartolomei; direttore di doppiaggio: Ettore Giannini; società di doppiaggio: CID; montaggio: Leo Catozzo (assistente al montaggio: Adriana Olasio); scenografia: Piero Gherardi (assistente scenografo: Luciano Ricceri); costumi: Piero Gherardi e Leonor Fini (assistente costumi: Orietta Nasali Rocca; capo sarta: Clara Poggi; sarta: Alba Rivaioli); arredamento: Vito Anzalone; trucco: Otello Fava; parrucchiera: Renata Magnanti; aiuto regia: Guidarino Guidi; assistenti regia: Giulio Paradisi, Francesco Aluigi, Lina Wertmüller; collaborazione artistica: Brunello Rondi; fotografo di scena: Paul Ronald, Tazio Secchiaroli. interpreti e personaggi: Marcello Mastroianni (Guido Anselmi), Claudia Cardinale (Claudia), Anouk Aimée (Luisa Anselmi, doppiata da Fulvia Mammi), Sandra Milo (Carla), Rossella Falk (Rossella), Barbara Steele (Gloria Morin), Madeleine Lebeau (l’attrice francese, doppiata da Deddi Savagnone), Caterina Boratto (la signora dell’hotel), Edra Gale (la Saraghina), Guido Alberti (Pace, il produttore, doppiato da Carlo Croccolo), Mario Conocchia (Conocchia, direttore di produzione, doppiato da Mario Carotenuto), Bruno Agostini (Agostini, segretario di produzione),
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LA CARTA D’IDENTITÀ DEL FILM
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Cesarino Miceli Picardi (ispettore di produzione, doppiato da Enzo Liberti), Jean Rougeul (Daumier, lo scrittore, doppiato da Alberto Bonucci), Mario Pisu (Mario Mezzabotta), Yvonne Casadei (Jacqueline Bonbon, la soubrette), Ian Dallas (Maurice, il telepata, doppiato da Gianrico Tedeschi), Mino Doro (agente di Claudia), Nadine Sanders (Nadine, la hostess), Georgia Simmons (la nonna di Guido), Hedy Vessel (Hedy, l’indossatrice, doppiata da Adriana Asti), Tito Masini (il cardinale), Annie Gorassini (amica di Pace), Rossella Como (Tilde, amica di Luisa), Mark Herron (Enrico, corteggiatore di Luisa, doppiato da Riccardo Cucciolla), Marisa Colomber (zia di Guido), Neil Robinson (agente dell’attrice francese, doppiato da Elio Pandolfi), Elisabetta Catalano (Matilde, sorella di Luisa, doppiata da Luisella Visconti), Eugene Walter (giornalista americano), Hazel Rogers (la negretta dell’harem), Gilda Dahlberg (Tina, moglie del giornalista americano, doppiata da Bice Valori), Mario Tarchetti (Coletti, ufficio stampa di Claudia), Mary Indovino (Maya, partner del telepata), Frazier Rippy (segretario laico del cardinale, doppiato da Elio Pandolfi), Francesco Rigamonti (amico di Luisa), Giulio Paradisi (un amico), Marco Gemini (Guido bambino), Giuditta Rissone (madre di Guido), Annibale Ninchi (padre di Guido), Olimpia Cavalli (Olimpia), Mario Tedeschi (direttore del collegio), Sebastiano de Leandro (un prete), Alfredo de la Feld (segretario del cardinale, doppiato da Ennio Balbo), Eva Gioia e Dina De Santis (Eva e Dina, ragazze dell’ispettore di produzione), Roberto Nicolosi (medico delle terme), Ferdinand Guillaume alias Polidor (un clown), John Stacy (il contabile della produzione), Matilde Calnan (amica di Luisa), Maria Tedeschi (preside del collegio), Francesco Caracciolo (seminarista del collegio), Palma Mangini (una vecchia della casa di campagna), Maria Raimondi (zia di Guido), Roberta Valli (bambina, amica di Guido nella casa di campagna), Riccardo Guglielmi (Guido bambino nella casa di campagna), Giacomo Gabrielli (vecchio per il ruolo del padre), Vadim Wolkonsky (capo portiere, doppiato da Francesco Sormano), Sonia Gessner (interprete della moglie nel provino), Elisabetta Cini (il cardinale nei provini), Olimpia Cavalli (signorina Olimpia, Carla nei provini), Maria Antonietta Beluzzi (Saraghina nei provini), Madame Alexandra (infermiera / cantante al night delle terme), Grazia Frasnelli (sarta / una Saraghina nei provini), Giulio Calì, John Karlsen (un uomo al volante nell’incubo / prete del collegio), John Francis Lane (giornalista della conferenza-stampa), Gideon Bachmann (un fotografo della conferenza stampa), Deena Boyer (giornalista alla conferenza-stampa), Alan Helms (giornalista alla conferenza-stampa), Agnese Bonfanti, Valentina Lang, Annarosa Lattuada, Flaminia Torlonia, Anna Carimini, Maria Wertmüller, Luciana Sanseverino (ospiti dell’hotel termale), Luciano Bonanni (imbonitore del fachiro).
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Marcello Mastroianni – Guido Anselmi
Sandra Milo – Carla
Anouk Aimée – Luisa
Barbara Steele – Gloria
Claudia Cardinale – Claudia
Caterina Boratto – La misteriosa signora
Rossella Falk – Rossella
Yvonne Casadei – Jacqueline
Edra Gale – La Saraghina
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LA CARTA D’IDENTITÀ DEL FILM
Annibale Ninchi – Il padre
Giuditta Rissone – La madre
Tito Masini – Il cardinale
Guido Alberti – Pace, il produttore
Mario Conocchia – Conocchia
Mario Pisu – Mezzabotta
Jean Rougeul – Daumier
Madeleine Lebeau – L’attrice francese
Ian Dallas – Maurice il mago
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origine: Italia-Francia, 1963. produzione: Angelo Rizzoli per Cineriz (Roma) / Francinex (Paris); organizzatore generale: Clemente Fracassi; direttore di produzione: Nello Meniconi; secondo direttore di produzione: Alessandro von Normann; ispettore di produzione: Mario Basili; segretari di produzione: Albino Morandin, Angelo Iacono; segretaria di edizione: Mirella Gamacchio; negativi: Dupont; sviluppo e stampa: Istituto Nazionale Luce; tecnico: Enzo Verzini. riprese: 9 maggio – 14 ottobre 1962 (interni: Roma, studi Titanus Appia; esterni: EUR, Tivoli, Filacciano, Viterbo, Ostia, Fiumicino, area militare di Cecchignola). durata cinematograFica: 138’04’’ (3843 metri; bianco e nero, 1.85, mono). Distribuzione: Cineriz. prima proiezione: 14 febbraio 1963 (cinema Fiamma, Roma). distribuzione francia: Columbia (prima proiezione: 29 maggio 1963); distribuzione regno unito: Gala Film Distribution (prima proiezione: 22 agosto 1963); distribuzione stati uniti: Joseph E. Levine per Embassy Pictures (prima proiezione: 25 giugno 1963). titoli stranieri: Fellini 8½ (Argentina, Spagna, Uruguay); 8½ (Brasile, Bulgaria, Canada, Corea del Sud, Croazia, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania Est, Germania Ovest, Giappone, Grecia, Jugoslavia, Messico, Regno Unito, Slovenia, Stati Uniti, Svezia, Turchia, Ucraina, Unione Sovietica); 8 és ½ (Ungheria). premi: Oscar 1963 per il migliore film straniero e i migliori costumi in bianco e nero (Piero Gherardi); Gran Premio del Festival di Mosca 1963; Nastro d’argento 1964 per la migliore regia (Federico Fellini), migliore produzione (Angelo Rizzoli), migliore attrice non protagonista (Sandra Milo), migliore soggetto originale (Federico Fellini, Ennio Flaiano), migliore sceneggiatura (Federico Fellini, Tullio Pinelli, Ennio Flaiano e Brunello Rondi), migliore fotografia in bianco e nero (Gianni Di Venanzo) e migliore musica (Nino Rota); Premio Bodil 1964 (Copenaghen) per il migliore film europeo. prima trasmissione televisiva: RAI Tv, 16 ottobre 1972.
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plot Un uomo siede al volante di un’automobile che è rimasta bloccata in un pauroso ingorgo all’interno di un tunnel. Quando nel suo abitacolo penetra del gas, l’uomo viene preso dal panico ma riesce a uscire dal finestrino. Vola libero in aria, fra le nubi, sempre più in alto nel cielo. Ma una corda è legata stretta alla sua caviglia e un uomo dai capelli grigi, in una spiaggia sottostante, tiene stretta l’altra estremità. Obbedendo all’ordine di un altro uomo, sopraggiunto a cavallo, lo tira brutalmente giù al suolo. Era solo un incubo. Il sognatore, Guido Anselmi, celebre regista cinematografico, sta seguendo una cura in un albergo termale nell’attesa di iniziare le riprese del prossimo film, che sta rimandando da tempo. Ha sottoposto la sceneggiatura a un odioso e saccente critico, Daumier, che non gli risparmia i giudizi negativi. Alle terme, dopo avere avuto la visione di un’incantevole ragazza che lo affascina, Guido incontra l’amico produttore Mezzabotta che ha lasciato la moglie e si è innamorato di Gloria, una studentessa amica di sua figlia. Dopo avere letto, con fastidio, le sgradevoli osservazioni di Daumier sul proprio progetto, Guido va ad accogliere alla stazione l’amante Carla e la nasconde con circospezione nell’Albergo della Ferrovia, dove si intrattiene con lei in giochetti erotici prima di un amplesso. Addormentatosi, il regista sogna sua madre, vestita a lutto in un immenso cimitero deserto e in rovina dove rivede anche il padre, che si lamenta di essere stato sepolto in una tomba troppo angusta. Appaiono poi il produttore Pace con il direttore di produzione Conocchia, che non nascondono dubbi e diffidenze nei confronti di Guido. Sempre nel sogno, la madre all’improvviso bacia con voluttà il figlio e si trasforma in sua moglie Luisa. Ritornato alla realtà, Guido incrocia all’Hotel delle terme un cardinale e il suo seguito di prelati. Viene quindi assillato dall’agente di una giovane diva, Claudia, che gli chiede di fissare con precisione le date delle riprese, poi da Conocchia, che gli domanda spiegazioni sulla scena dell’astronave, da una celebre attrice francese che vorrebbe conoscere il proprio ruolo nel film, da una coppia di giornalisti statunitensi. Il regista riesce a defilarsi da alcuni di loro grazie all’aiuto di Agostini, segretario di produzione, e nasconde a tutti con disinvoltura le insicurezze che sta covando, mentre la sua attenzione è attirata soprattutto da una bella ed elegante sconosciuta. Arriva anche il produttore, con la sua giovane amante, cui Guido rende omaggi fra l’ossequioso e l’ironico. Scende la sera e il regista siede con gli altri ospiti dell’albergo in un night-club all’aperto, fingendo di non conoscere Carla, tutta sola a un tavolino a pochi metri da lui. I telepati Maya e Maurice (che il regista conosce da tempo) eseguono un numero di prestigio. Maurice legge telepaticamente ciò che Guido sta pensando e Maya lo trascrive su una lavagna.
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È una frase misteriosa: «Asa nisi masa». Quelle parole appartengono all’infanzia di Guido che si rivede bambino nella grande fattoria della nonna dove le fantesche e un giovane uomo lo immergono in una tinozza colma di vino. Lo portano poi a letto avvolto in un lenzuolo. Nella camera, dove dormono altri ragazzi, c’è una bambina che recita la strana formula citata dalla medium. Si ritorna al presente: nell’atrio dell’hotel, Guido incrocia ancora la misteriosa signora, rivede Mezzabotta che fa il buffone al piano per divertire Gloria e viene ancora incalzato dall’attrice francese. Riceve poi una telefonata dalla moglie Luisa alla quale chiede di venire a trovarlo. Poi entra nelle stanze della produzione dove trova Cesarino, l’ispettore, con due ragazze, e incontra Conocchia che lo rimprovera ammonendolo di non essere più quello di una volta. Guido immagina ancora la bellissima ragazza della fonte – un personaggio del film che sta preparando – come presenza seducente e dolcemente rassicurante ma lo chiamano al telefono: Carla, chiusa all’Albergo della Ferrovia, ha la febbre alta. Nel parco delle Terme, il regista incontra il cardinale per un colloquio, ma l’alto prelato non lo ascolta. Guido guarda una donna che scende la collina: affiora il ricordo dei turbamenti provati quando, da ragazzo, si allontanò dal collegio per andare a guardare la Saraghina, un enorme donnone selvaggio alla quale lui e altri adolescenti chiedevano di esibirsi nella rumba per poche monete. Guido venne scoperto in flagrante dai preti che, in collegio, prima lo rimproverarono di fronte alla madre, subito pronta a condannare il comportamento del figlio, e poi lo punirono severamente. Ma alla prima occasione il ragazzino scappò di nuovo per raggiungere la Saraghina. In seguito Guido fa i fanghi, sogna di venire brevemente ricevuto dal cardinale durante il bagno termale e gli confessa, inascoltato, la propria infelicità. La sera incrocia per le vie della cittadina la moglie Luisa. Inizialmente il loro incontro è affettuoso, poi la donna si rabbuia senza che Guido riesca a capire il perché. La donna è accompagnata dalla sorella e da uno stuolo di amiche, quasi tutte ostili a Guido. Insieme vanno a visitare le scenografie dell’astronave che dovrebbero essere utilizzate in una scena del film. Guido confida la sua crisi a Rossella, un’amica della moglie, poi, quando rimane solo nella camera d’albergo con quest’ultima, emergono i risentimenti e il logorio di un rapporto che sembra arrivato al capolinea. L’indomani, in un caffè all’aperto, mentre Luisa e Guido sono seduti ad un tavolino, arriva Carla che si siede tutta sola cercando di passare inosservata ma viene notata dalla moglie del regista, che ha intuito da tempo il suo tradimento e glielo rinfaccia con asprezza. Guido sogna un’improbabile amicizia fra le due donne, poi la sua fantasia lo induce a immaginare la fattoria dell’infanzia trasformata addirittura
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in un harem con tutte le donne della sua vita, quelle amate e quelle soltanto desiderate da lontano, riunite sotto uno stesso tetto a venerarlo. Ma quando Guido stabilisce che la ballerina Jacqueline, ammirata da ragazzo nei varietà e ormai ricordo sempre più sbiadito, dovrà salire “esiliata” al piano di sopra, la soubrette e le altre donne si ribellano. Guido deve “domarle” a colpi di frusta, ma il clima rimane giocoso e termina con la riconciliazione generale e il congedo di Jacqueline. Si ritorna alla realtà. Il produttore ha organizzato la proiezione dei provini in un cinema locale perché vorrebbe che Guido scegliesse gli interpreti del film. Il regista, infastidito dalla solita acidità di Daumier, immagina di farlo impiccare. Sfilano le scene dei provini per i ruoli di Carla, della Saraghina e della moglie Luisa, che assiste alla proiezione con le amiche. Ma i filmati riflettono nitidamente situazioni reali e la donna, offesa e ferita, abbandona la sala e annuncia risentita a Guido che ha ormai deciso di lasciarlo definitivamente. Arriva la giovane diva Claudia e Guido subito si allontana con lei in auto, senza decidere nulla sugli attori. Parlando del suo personaggio e del film, si sofferma sulla crisi del protagonista e sul suo desiderio di ricominciare tutto da capo grazie all’incontro con la purezza di una giovane donna. Ma confessa a Claudia, in un velato rimando a se stesso, anche l’assoluta sfiducia del suo personaggio all’idea di essere veramente in grado di voltare pagina. All’improvviso il regista e l’attrice vengono raggiunti dagli uomini della produzione. Gli comunicano come Pace abbia deciso di convocare l’indomani una conferenza-stampa per annunciare l’inizio della lavorazione del film. Così, il giorno dopo lo trascinano alla conferenza-stampa che si terrà alla base dell’astronave. I giornalisti lo aggrediscono con domande malevole in un clima di ostilità sempre più accesa. Guido non risponde, il produttore diventa minaccioso e il regista si nasconde sotto il tavolo, con una pistola per suicidarsi... La scena cambia, si sta smontando tutto l’allestimento scenografico. Ormai è deciso: il film non si girerà più. Daumier si congratula con il regista in un lungo monologo logorroico ma Guido, incupitosi, viene raggiunto da Maurice il telepata che gli annuncia festoso come sia «tutto pronto». Il regista avverte ora l’insorgere di un’inaspettata felicità. I personaggi della sua vita scendono le scale dell’astronave e vengono diretti da Guido con il megafono in una passerella conclusiva, una sorta di marcetta circense. Arriva una fanfara con tre clown e Guido bambino in divisa da collegiale (bianca, stavolta) che suona la musica della sarabanda, dove si inseriscono anche Guido e Luisa. Cala improvvisamente la notte e il cerchio del riflettore illumina la fanfara, poi soltanto Guido bambino che suona le ultime note con il flauto ed esce dal cerchio luminoso dei fari mentre scende il buio.
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INTRODUZIONE
Un mistero, un sortilegio Durante la mia infanzia, 8½ era un mistero, uno dei tanti misteri del cinema da scoprire. Nella seconda metà degli anni Settanta il film non era in distribuzione nelle sale e non mi era stato possibile vederlo in televisione. Rimaneva quindi un enigma racchiuso nelle fotografie in bianco e nero scattate sul set, che scoprii a dieci anni, nel 1976, nelle pagine di una storia del cinema a dispense o, l’anno dopo, in alcuni bianchi volumi Vallardi della fine degli anni Sessanta, trovati sulle bancarelle dei libri usati. Una fotografia mostrava un uomo senza volto perché inquadrato di spalle, avvolto in un grande lenzuolo bianco e con un cappello nero sulla testa, circondato da due file di donne sorridenti, in uno stanzone sconfinato dominato da un’immensa tinozza. Chi era? Che cosa significava quella strana festa? Il cappello nero e il lenzuolo mi facevano pensare al fantasma innocuo di un fumetto, o anche a Little Nemo, diventato inutilmente adulto. In un’altra riconoscevo il bel volto familiare e rassicurante di Marcello Mastroianni, un po’ sciupato, con occhiali e cappello – quindi era lui il fantasma! – ritratto mentre sedeva sgomento sul cofano di un’automobile, come in procinto di gettarsi di sotto. Oppure fotografato in primo piano, con scheletriche strutture metalliche sullo sfondo, come se fosse precipitato in un film fantastico che non gli apparteneva. O ancora con una frusta in mano e un’aria comicamente feroce, o ancora mentre parlava in stretta complicità con il regista, Federico Fellini, che spesso indossava il suo stesso
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cappello, come se fossero uniti dal segreto di un gioco che riguardava soltanto loro due. A dieci anni non avevo ancora visto nessun film di Fellini ma ero rimasto profondamente affascinato dalle tante fotografie del Casanova appena uscito (eravamo nell’inverno del 1976-77). Mi aveva colpito l’immersione fisica del regista nello spazio dei suoi film, fotografato spesso con i costumi di scena addosso, mescolato alla finzione magica che stava evocando. In genere, guardando le fotografie e leggendo i riassunti sui libri a disposizione, finivo per farmi un’idea quasi mai fedele a quello che avrei scoperto essere effettivamente il film. Ma nel caso di 8½ era impossibile farsi un’idea, anche vaga. Tutto appariva enigmatico e sfuggente, a cominciare dal titolo, quel numero che sembrava la formula di un sortilegio. Il numero d’ingresso in un’altra dimensione, dove si nascondevano Mastroianni vestito di nero e un’orda di donne che lo proteggevano sorridenti. Una parola d’ordine, un codice per iniziati che mi sembrava contenere già qualche anticipazione della vita adulta, ancora così lontana... Molti erano, all’epoca, i film irraggiungibili, impossibili da vedere, da trovare anche se, nella seconda metà degli anni Settanta, il cinema era ancora vivo dappertutto (manifesti disseminati ovunque sulle mura cittadine di Bologna e un proliferare di sale di prima, seconda, terza e quarta visione). Vidi il mio primo film di Fellini a tredici anni ma in bianco e nero e in televisione. Anzi, ne vidi due perché quella sera stessa vennero programmati Toby Dammit, l’episodio di Tre passi nel delirio, e I clowns. Nonostante il piccolo schermo, la forza di quei due film mi folgorò, mi incantò e lo stesso avvenne per Prova d’orchestra, pochi mesi dopo. Quei film toccavano le stesse corde remote dei sogni e come i sogni avevano il potere di farti discendere a realtà più profonde, sotterranee, inabissate dentro di noi. Un vero shock fu vedere al cinema La città delle donne, quando uscì all’inizio della primavera del 1980: non avevo mai vissuto al cinema un’espe-
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INTRODUZIONE
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rienza così vertiginosa, così ipnotica e uscii stregato dalla sala. Un’altra visione sconvolgente fu Fellini Satyricon, visto e al tempo stesso sognato in una proiezione all’aperto dell’estate del 1981. Da allora mi innamorai non solo dei film di Fellini ma di tutto quello che derivava dal suo universo, i suoi libri (Fare un film, il volume Laterza con i suoi disegni grotteschi e iridescenti) e i libri su di lui (la monografia di Fava e Viganò edita da Gremese, la collana della Cappelli “dal soggetto al film”). Cominciai a ottenere risposte su che cosa fosse quel misterioso film. Ma 8½ rimaneva invisibile. Non lo proiettavano da nessuna parte. A quell’epoca non erano ancora diffuse le videocassette e quindi dovevo attendere impaziente l’occasione propizia. Poteva essere una riedizione nelle sale (ma ormai, nei primi anni Ottanta, i film del passato iniziavano a essere sempre più rari nei cinema) o la proiezione in un cineclub, o, peggio, una trasmissione in televisione. Soltanto il 15 febbraio del 1982, finalmente, l’Angelo Azzurro, il cineclub più attivo in quegli anni a Bologna, proiettò 8½. Così potei finalmente avere il mio battesimo di spettatore di quel capolavoro in una sala cinematografica. Fu come assistere a un disvelamento: ecco la matrice originaria dei fantasmi, delle visioni, degli incantamenti felliniani. Tutto nasceva da 8½, tutto nasceva da quel film, anche se era, appunto, il suo ottavo e mezzo. Da allora ho rivisto 8½ una decina di volte ma ogni nuova visione è sempre stata un’esperienza dentro una dimensione che in parte era diventata uno spazio familiare, già visitato, dove si sono depositate le polveri di ricordi personali e inventati e dall’altra un fenomeno che si rinnovava di continuo, schiudendo ancora percorsi e strati inediti e imprevisti, rivelando nuove sfumature a seconda del luogo e del momento. Un film che ha il respiro, le contraddizioni, gli umori, le angosce e le accensioni di un essere vivente.
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Lo scenografo Piero Gherardi, Marcello Mastroianni e Federico Fellini sul set
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PROLOGO
LA GENESI E LA LAVORAZIONE DEL FILM Da Viaggio con Anita a 8½ Nella primavera del 1957, terminato Le notti di Cabiria, Federico Fellini iniziò a lavorare a un nuovo progetto cinematografico con il suo sceneggiatore Tullio Pinelli e con Pier Paolo Pasolini, che in quel periodo collaborava – non sempre accreditato – con il regista riminese: Viaggio con Anita o Viaggio d’amore1. Come tutti i 1
Il trattamento di Viaggio con Anita, datato luglio 1957, è stato finora pubblicato in versione integrale esclusivamente in traduzione inglese nel volume Moraldo in the City & A Journey with Anita, a cura di John C. Stubbs, University of Illinois Press, UrbanaChicago 1983. Alcune pagine, scritte da Pasolini, sono state pubblicate in Pier Paolo Pasolini, Per il cinema, tomo secondo, a cura di Walter Siti e Franco Zabagli, Meridiani Mondadori, Milano 2001, pp. 2183-2193. Una stesura del trattamento, senza titolo, è conservata presso l’Archivio Pasolini dell’Archivio
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progetti felliniani con la parola “viaggio” nel titolo (Il viaggio di Mastorna e Viaggio a Tulum), non verrà mai realizzato2 ma finirà per fecondare i film successivi. Viaggio con Anita doveva raccontare il ritorno nella natia Fano di Guido, affermato scrittore, che lascia Roma per accorrere al capezzale del padre malato. In crisi coniugale, Guido decide di intraprendere il viaggio con un’amante, Anita appunto, incarnazione di un’autenticità naturale che si contrappone all’indole dubbiosa, bugiarda e esitante dello scrittore. Ma il loro tragitto è rallentato da alcune deviazioni per la volontà più Contemporaneo Alessandro Bonsanti del Gabinetto Vieusseux di Firenze. 2
Mario Monicelli dirigerà nel 1978 un film dallo stesso titolo, basato su una nuova sceneggiatura scritta da Leo Benvenuti, Piero De Bernardi, Monicelli, Paul D. Zimmerman e dallo stesso Pinelli, che costituisce una rielaborazione del progetto felliniano.
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o meno inconsapevole di Guido tendente a ritardare l’arrivo nella cittadina della sua infanzia. Finché, quando arriva a destinazione, il padre è appena spirato. La breve permanenza a Fano induce lo scrittore a confrontarsi con una serie di rimorsi e nodi irrisolti del suo passato e a interrogarsi sulla direzione da imprimere alla propria esistenza. Il progetto incontrò subito alcuni ostacoli pratici e Fellini decise di rimandarlo per dedicarsi alla Dolce vita, che terminò alla fine del 1959. Quando venne il momento di riprendere Viaggio con Anita, all’inizio del ‘60, il progetto ormai non sembrava più soddisfare fino in fondo il regista, forse a causa di una struttura narrativa sostanzialmente lineare, forse perché altre idee avevano preso il sopravvento. Dopo il 1961 venne accantonato in modo definitivo. Intanto, un’altra idea stava prendendo sempre più corpo nella fantasia felliniana: la storia dell’esistenza di un uomo colta in un intersecarsi di più strati temporali e narrativi, dove il reale
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subisce i cortocircuiti intermittenti di visioni e ricordi del passato. Viaggio con Anita o Viaggio d’amore costituisce forse il primo embrione da cui sarebbe nato 8½ e non sembra un caso che uno dei titoli con cui fu annunciato quest’ultimo dai quotidiani fosse proprio Viaggio d’amore. All’inizio del 1962, Fellini definì la storia di Viaggio con Anita «un tentativo disastroso di ricerca dei sentimenti. Un modo per archiviare i tentativi di ritorno all’infanzia in chiave di nostalgia e di riproporli in chiave seria. La provincia, il padre, la madre, gli amici di un tempo fatti uomini, la donna. Il protagonista è un intellettuale arido che va verso il deserto interiore, una solitudine desertica»3. Queste parole potrebbero valere anche per 8½. Il desiderio che il film rappresentasse una forma di “archiviazione”, ossia di liberazione dai «tentativi di ritorno all’infanzia in chiave di nostalgia»,
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Mario Cartoni, Il viaggio d’amore di Fellini, «Il Resto del Carlino», 13 gennaio 1962.
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PROLOGO
è un elemento che li accomuna. Si consideri, a questo proposito, un’altra dichiarazione del regista: «È in fondo un pretesto per mettere dentro tutto quello che mi tormenta da anni. […] Con questo film così la finirò con tutto quello che sa di autobiografico, di ricordi […], sarà una specie di fiammata purificatrice»4. 4
Camilla Cederna, La bella confusione, in Federico Fellini, 8½, a cura di Camilla Cederna, Cappelli, Bologna 1963, p. 32.
Il Viaggio con Anita di Monicelli del 1978
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21 Se la forma narrativa, la fabula, i personaggi, le situazioni di Viaggio con Anita sono radicalmente diversi da 8½, tuttavia non sono pochi gli elementi di consonanza: il nome di battesimo di Guido, lo status di artista affermato (anche nell’ideazione iniziale di 8½ il protagonista doveva essere uno scrittore); la sua personalità contraddittoria e tormentata da recidivi sensi di colpa; la crisi coniugale che lo conduce a sfuggire la compagnia della moglie ma senza separarsene definitivamente; l’amante vista come una presenza rassicurante (anche se Anita ha una personalità assai diversa da quella di Carla, l’amante di Guido Anselmi). Si possono inoltre riscontrare situazioni che presentano alcune analogie: la progettazione della tomba del padre di Guido che per alcuni aspetti anticipa la sequenza del sogno di 8½ (quando al regista appare il padre che si lamenta del soffitto basso della sua sepoltura e gli ricorda che avrebbe potuto disegnarlo egli stesso); l’amante Anita nascosta in un hotel per
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sottrarla a sguardi indiscreti come capiterà alla Carla di 8½. Ma ad accomunare i due progetti, forse è soprattutto il pericolo che minaccia il protagonista di un «deserto interiore», la lucida coscienza che egli ha del proprio egoismo e l’infelicità che ne deriva.
«Un ritratto a più dimensioni» Camilla Cederna racconta che, nell’autunno del 1960, Fellini le confidò la volontà di realizzare «un ritratto di uomo a più dimensioni», arrivato alla quarantina, «piuttosto stanco, con il fegato in disordine», che sta facendo una cura termale. Il periodo di riposo gli «suggerisce una revisione completa della sua vita»5, con «sogni stimolati dal completo rilassamento e dalla debolezza prodotta dalle cure e che si intersecano con la realtà» ma nella forma di «frammenti, bagliori, fatti per aumentare la 5
Ibidem, p. 18.
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confusione». Poi «alle Terme viene la moglie a trovarlo e anche l’amica, e lui una volta di più non sa come barcamenarsi e va avanti come al solito a furia di bugie. Poi il suo passato lo assale, carico di incertezze, rimorsi, nostalgie, e come in sogni successivi gli si presentano tutte le donne che ha avuto, o che ha soltanto desiderato». Alcuni elementi-chiave sono già delineati: la complicata vita privata del protagonista, le insorgenze dei ricordi del passato e dei sogni, l’ambientazione nello spazio termale, ossia in una dimensione sospesa in un’attesa indefinita, che ha anche una valenza autobiografica dato che lo stesso Fellini era solito trascorrere periodi di riposo e cure a Chianciano. I rituali legati alle terme (la fonte, il fango nei sotterranei) affascinano il regista che li descrive come componenti di una dimensione che sfuma nel fantastico. Ma questa oasi si rivela subito permeabile alle intrusioni del caos privato del protagonista, che appunto riceve quasi simultaneamente le
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visite della moglie e dell’amante, riproponendo problemi pratici e sensi di colpa. Affiorano già anche altre figure del presente che appariranno nel film, come «un vescovo vecchissimo» (che nel film diventerà un cardinale), e del passato, come la Saraghina, che invece affiora dalla memoria di Guido. In un’intervista rilasciata dopo l’uscita del film, l’autore ritornò sulla genesi del progetto, sottolineando come la compresenza di «più dimensioni» narrative avesse rappresentato fin dall’inizio un elemento essenziale della fisionomia del progetto: «Posso dire che l’idea di questo film è anteriore alla Dolce vita. Avevo in animo da tempo, mi pare subito dopo Le notti di Cabiria, di fare un ritratto a più dimensioni di una creatura umana, una storia nella quale si configurassero diversi momenti, vale a dire una storia che si svolgesse insieme su un piano della realtà fisica, su un piano della realtà dei sogni, su un piano dell’immaginazione, con uno scavalcamento continuo
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di tempo – presente, passato, futuro – insomma con una certa contemporaneità; però non riuscivo a trovare il racconto, non riuscivo a trovare il personaggio; volevo farne, in un primo momento, un avvocato, ma di avvocati in verità ne so pochissimo, e anche quando la storia si è configurata in questo modo, come in 8½, i dubbi sul protagonista sono stati presenti fino all’ultimo. In realtà io pensavo che una carta d’identità precisa non servisse, perché in fondo volevo fare la storia di un uomo quale che possa essere la sua professione, la storia di un’anima in crisi»6. Se è vero che Fellini cominciò a pensare a 8½ già anteriormente alla Dolce vita, il primo documento che attesta il progetto risale all’ottobre del 1960 ed è una lettera al suo collaboratore (e futuro regista in proprio) Brunello Rondi7. Il testo di questa lettera presenta numerose consonanze con il soggetto del 6
Anonimo, Confessione in pubblico. Colloquio con Federico Fellini, «Bianco e nero», n. 4, aprile 1963, p. 3. 7
Camilla Cederna, La bella confusione, in Federico Fellini, 8½, op. cit., pp. 20-27.
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film, consegnato alla Direzione Generale Spettacolo del Ministero del Turismo e dello Spettacolo, un testo dattiloscritto di quattro pagine intitolato Film: Fellini n° 8 (Titolo provvisorio). Un uomo, un affermato studioso o uno scrittore «è incastrato in situazioni che a volte sente pesantissime, ma che non riesce a sciogliere. Ha moglie. Ha una amante. Tiene in piedi un’infinità di rapporti nei quali si dibatte come una mosca in una ragnatela ma probabilmente senza questi legami cadrebbe nel vuoto più angoscioso, perché gli sembra di non essere ancorato proprio a niente. La disponibilità totale del suo modo di essere a lungo andare gli si è dimostrata come una specie di pauroso delirio senza senso e senza scopo. A che pro tentare di mettere ordine? Il vero senso di tutto non consisterà forse nell’inserirsi, con tutta la sua vitalità possibile, in questa specie di fantastico balletto cercando soltanto d’intuirne il ritmo?». Le ultime frasi sono significative perché presentano consonanze con il monologo finale del protagonista.
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Inoltre c’è già l’immagine del «fantastico balletto», che, in un certo senso, sembra prefigurare la sfilata semiconclusiva.
I personaggi Nella lettera Fellini scrive che il protagonista trascorre i giorni «dormendo molto (e sognando tutte le volte che ci fa comodo)». Queste parole rivelano l’importanza che, nell’ideazione del film, ebbero fin da subito le scene oniriche, in parte alimentate dai ricordi. Inoltre il regista elenca una folla di personaggi che orbitano intorno al protagonista: fra questi, la moglie Luisa, l’amante Carla e la Saraghina sono le uniche figure che non mutano fisionomia nei diversi passaggi dalla lettera al soggetto, alla sceneggiatura e poi al film. La moglie «appare sempre più estranea eppure indiscutibile»: quest’ultimo aggettivo indica che il vincolo con lei non può essere messo in discussione, ossia la sua presenza è necessaria
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nell’esistenza del protagonista ma al tempo stesso rappresenta anche un legame opprimente. La Saraghina è «quella specie di Moby Dick riminese che sulla spiaggia, quando avevo otto anni, era stata per me la rivelazione della donna in tutta la sua bieca potenza». L’unica modifica sostanziale dall’ideazione al film è la scelta di non fare udire la sua voce, come invece prevedeva la sceneggiatura, se non nella sequenza dell’harem. Scelta probabilmente ispirata dall’esigenza di rendere più irreale e fantastica la sua presenza come un fantasma dei ricordi primari. Anche il personaggio di Mezzabotta era già previsto ma inizialmente non doveva essere un amico di Guido, né un produttore, bensì un «intellettuale sulla sessantina», fin dall’inizio caratterizzato dal legame con una ragazza che ha l’età di sua figlia e un atteggiamento snobistico e compiaciuto; Claudia, la ragazza nella quale Guido intravede una possibile palingenesi amorosa, doveva essere molto più giovane (fra i quindici e i diciassette anni,
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Carla e la Saraghina, due figure rimaste pressoché immutate nei vari passaggi dal soggetto al film compiuto
come Paola / Valeria Ciangottini di La dolce vita), «ma già matura interiormente, solida, un’offerta di autenticità che il protagonista non sa più accettare». Nella lettera a Rondi, Claudia Cardinale veniva già indicata come interprete ideale, ma il personaggio doveva essere la figlia di un casellante che aspira a trasferirsi in una grande città, oppure la figlia del custode della
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pinacoteca. Soltanto in un secondo tempo subentrerà l’idea di renderla un personaggio fantasmatico del film nel film attraverso la figura dell’attrice Claudia, riflesso della personalità reale della Cardinale. Nella sceneggiatura pubblicata8, l’incontro fra Guido e Claudia sarebbe dovuto avvenire nei pressi del padiglione di un fachiro che si esibisce nel suo numero di sonno protratto da venticinque giorni. L’episodio verrà eliminato nel film (il padiglione del fachiro si intravedrà solo fuggevolmente) e l’incontro con l’attrice avrà luogo nel cinema dove vengono proiettati i provini, così che la “fuga” del regista da quella situazione per lui sgradevole (dopo che, oltretutto la moglie gli ha promesso di lasciarlo) avviene con maggiore naturalezza. Il dottore delle terme doveva essere più giovane, più gelidamente distaccato, e doveva avere un rilievo maggiore rispetto a quello che avrà nel film, dove appare soprattutto con la funzione “pratica” di chiarire, nella seconda 8
Federico Fellini, 8½, op. cit., pp. 137-138.
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sequenza, quale sia la professione del protagonista. Sul cardinale/ vescovo, Fellini scriveva di avere «le idee molto confuse. Ritengo che questo alto prelato che richiama al protagonista tutta una serie di ricordi […] possa aggiungere qualcosa al mio racconto». Infatti, «dovrebbe essere un personaggio evocativo di ricordi, complessi di colpa e chissà quanti altri pasticci ancora». Il cardinale/vescovo era associato al fango delle terme: «Immagini che meraviglia l’ambiente delle terme, il rituale della fonte, e tutto quel fango nei sotterranei, tutti quegli uomini che nel fango diventano mummie, io ci vedo benissimo il protagonista e chi sa perché anche un vescovo vecchissimo, quella è una visione precisa, tutto grigio, lo vedo, vischioso, a bolle, come screpolato...». In seguito, Fellini aggiunge: «Lo vedremo alle terme, nel padiglione dei fanghi, tutto nudo e ricoperto di fango come un mummione che perde dai gomiti e dalle ginocchia croste di fango secco». Questi dettagli, anche vagamente repellenti,
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scompariranno dal film ma non l’aspetto scheletrico, funebre del corpo dell’alto prelato, che si intravede nell’ombra oltre il lenzuolo teso da un prete. È significativo che questa figura – da cui Guido, nel film, si attende parole di conforto – nella prima ideazione evochi immagini che sembrano rimandare alla putrefazione, probabilmente su ispirazione del catastrofico incidente occorso alla salma di papa Pio XII nel 1958, che fu imbalsamata in modo inadeguato tanto da mostrare i segni di una prematura decomposizione durante le esequie funebri (nella primitiva ideazione del film, anche il cardinale sarebbe dovuto morire e venire imbalsamato). Nel soggetto è affermata chiaramente l’angoscia della senescenza e della morte che, come vedremo, aleggia nel film: «Le paure della vecchiaia e della morte, gli si rivelano attraverso immagini in cui egli vede se stesso morto, mentre intorno, la vita continua senza di lui: o attraverso l’incontro inatteso,
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27 concreto, con una sua antica innamorata dei vent’anni, sfiorita, malata, quasi irriconoscibile». Quest’ultimo è un personaggio che verrà ripreso anche nelle stesure della sceneggiatura ma finirà per scomparire dal film, probabilmente per la volontà di attenuare gli elementi funebri. I connotati dell’amante, la signora Carla, non sono molto diversi da come saranno nella sceneggiatura e poi nel film: «Il rapporto che lo lega alla paciosa culona è basato su una specie di opaco benessere fisico, come succhiare una balia stupida e nutriente e poi addormentarsi satollo e spento». La donna veste secondo la moda degli anni Venti, «deve essere un tipo un po’ demodé, ma molto bella, genere vecchio almanacco Bertelli […], magari profumata all’ireos, una donna che non entra nella Seicento e fa fatica a salire sul tram, pelle bianca e rosa, una testa da pavoncina su un corpo alla Rubens, tutta soffice, senza spigoli, magari anche grossa di taglia, non importa ma sopra una gamba affusolata». L’insistenza sull’abbigliamento
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La signora Carla, Ritratto di donna di Rubens e le donne dell’Almanacco Bertelli
retrò è importante perché nel film aleggerà sempre l’atmosfera di un’altra epoca, appunto gli anni dell’infanzia del protagonista e non è un caso che questi connotati si condensino nel personaggio che per Guido rappresenta un eros rasserenante e privo di complicazioni. Nella prima concezione del film,
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Maurice e Maya, i due telepati, si esibiscono già in un numero nel «vastissimo e tetro night-club» che affascina e turba il protagonista. Ma, a differenza del film, Maurice non ha affatto quella privilegiata complicità con il protagonista, anzi sia lui che la sua assistente dovevano apparire come «molto squallidi», «due modesti guitti».
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Nel soggetto appare anche la figura di «una signora straniera», caratterizzata da «un’esistenza perfetta e vitale», che costituisce probabilmente un primo abbozzo della misteriosa dama senza nome interpretata da Caterina Boratto, un’attrice che «appartiene a quelle immagini di attori e attrici che facevano parte del mio immaginario di spettatore, da ragazzino»9. Nella lettera a Rondi appaiono anche due figure che verranno già abbandonate in fase di sceneggiatura: il primo è un amico omosessuale che si trova di passaggio a Chianciano – località precisata anche nella sceneggiatura, mentre nel film la stazione termale rimane indeterminata – con il «suo cupo amante». Viene picchiato da quest’ultimo e finisce in ospedale dove si vedono tre vecchi «che aspettano tranquillamente la morte». È probabile che questo 9
Rita Cirio, Il mestiere di regista. Intervista con Federico Fellini, Garzanti, Milano 1994, p. 75. Le interviste risalgono al 1991-1993.
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29 personaggio sia stato sacrificato non solo per ragioni di lunghezza (l’episodio ha uno sviluppo quasi autonomo) ma anche per una forma di autocensura dato che una descrizione così esplicita di un rapporto omosessuale avrebbe potuto provocare la reazione della censura. In connessione con questo personaggio, doveva inserirsi la visita a un’abbazia «dove c’è una santa di mille anni prima, mummificata dentro una bara di vetro»: ritroveremo questa immagine nell’episodio del collegio di preti dove è rinchiuso Guido adolescente. Un’altra figura eliminata è l’Angelo custode, che anche in queste annotazioni rimane vago: «potrebbe esserci un ricordo e una fantasia del prof. che ripensa a come s’immaginava il suo angelo che ha visto in un sogno». Non vengono invece previsti alcuni personaggi che compariranno nel film: il produttore Pace, la diva francese che reclama insistentemente da Guido ragguagli sul proprio ruolo e il critico Daumier, che nella sceneggiatura è
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battezzato Carini. Già in questa fase Fellini aveva immaginato la sequenza della casa-harem, senza l’episodio della scherzosa ribellione femminile e con un’apparizione – poi eliminata – di padre Arpa, l’amico gesuita di Fellini. Il regista così spiegò la genesi di quella sequenza: «La sequenza dell’harem, una vecchia idea che mi portavo appresso fin da I vitelloni, quando loro stavano in campagna e volevano cercare la moglie del protagonista che era scomparsa. C’era Moraldo che parlava di un cascinale della nonna e fantasticava: “Mi piacerebbe finire la mia vita in questo cascinale, circondato da tutte le donne”. È un’idea che non ho messo in quel film, un appuntino che mi portavo appresso fin da allora e che poi si è dilatato nella sequenza dell’harem di 8½»10. Una delle frasi conclusive della lettera appare particolarmente significativa: «Eppoi il circo 10
con tutti i personaggi della sua vita» che, come ha giustamente sottolineato Paolo Grassini11, induce a pensare che Fellini avesse già in mente l’idea di una finale sfilata circense dei personaggi. Il regista, inoltre, insisteva sull’esigenza che il film dovesse «avere un tono umoristico e che figurativamente deve essere estremamente lindo, lucido e trasparente. Pensavo a Botticelli».
Le sceneggiature La preparazione si arrestò nell’estate del 1961 quando Fellini girò l’episodio “Le tentazioni del dottor Antonio” per Boccaccio ’70, un brillante divertissement in cui si faceva beffe della sessuofobia dell’Italia bigotta che l’aveva attaccato per La dolce vita. La produzione è la Rizzoli Film che, reduce dal trionfo mondiale di La dolce vita e dal successo di 11
Ibidem, p. 145.
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Paolo Grassini, Fellini 8½. La genesi del film, Edizioni ETS, Pisa 2015, p. 24.
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Boccaccio ’70, darà carta bianca a Fellini per 8½. Come già era successo per il film a episodi, viene organizzata una coproduzione italo-francese con Francinex, in proporzione dell’80% per la parte italiana e il rimanente 20% per quella francese. Il budget ammonta a circa 800 milioni di lire. Quando riprese il progetto di 8½, il regista continuò a non esserne persuaso: «Avevo parlato a lungo coi miei collaboratori, anzi mi ero ritirato con loro (uno alla volta, non li mettevo mai tutti insieme) in una bella villa silenziosa a Manziana, vicino al lago di Bracciano, e fu
questo l’ultimo tentativo di ottenere un copione più organico. Avevo dunque delle scene, le facevo e le rifacevo, poi siccome questo film non riuscivo mai a ricordare com’era, mi è venuta l’idea di far la storia di un regista che alla vigilia di cominciare a girare, non si ricorda più niente, domanda dieci giorni di tempo per andare alle Terme a riposarsi, ma nell’albergo delle Terme la produzione l’assedia e lui non sa più cosa fare. Intanto le costruzioni vanno avanti, lui va a vederle nei paesini intorno alla ville d’eau, ma non gli suggeriscono niente, la sua inerzia si espande, e
Fellini dirige Anita Ekberg in Boccaccio ’70
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naturalmente non ha il coraggio di dire che non vuol farlo più. Avanti allora con provini e contratti, e il regista si dibatte fra gli stessi problemi che aveva quell’uomo indefinito della prima stesura (così del vecchio film rimangono in piedi degli interi blocchi), è ingabbiato nei rapporti fra la moglie e l’amante, incapace di risolverli in nessuna delle due direzioni, e in più come regista, vorrebbe fare un film per raccontare tutto questo...»12. Secondo Marcello Mastroianni: «Fellini aveva scritto un film che metteva in scena il triangolo classico: l’uomo, la moglie e l’amante. Presto si è accorto che era troppo povero ed è allora che si aperta una crisi dove è sprofondato per dei mesi. D’altro lato alcuni attori, come me, avevano già firmato il loro contratto e poi Rizzoli, il produttore, gli domandava di continuo quando avrebbe cominciato il film. E Fellini rispondeva: “Sì, lunedì prossimo!”.
E poi ancora: “Fra due settimane!” etc. Non riusciva a sapere come modificare questa storia fino al giorno in cui ebbe la rivelazione. Ha deciso di raccontare come fare un film che non aveva più voglia di fare. Quindi ha raccontato ciò che era accaduto durante quegli ultimi mesi. Quando il film è uscito, ha detto che non era vero, ma io, che gli ero accanto, posso dirvi che è andata proprio così. In 8½ ci sono delle attrici che hanno ripetuto le stesse domande che avevano posto a Fellini qualche settimana prima, durante la preparazione. È in parte un po’ un documentario»13. Il regista assegnò ai suoi sceneggiatori i personaggi di cui dovevano scrivere i dialoghi e le scene che li riguardavano: a Ennio Flaiano affidò Claudia, Mezzabotta e il Mago, mentre a Brunello Rondi assegnò il cardinale e a Tullio Pinelli la moglie Luisa, Carla e la scena dell’harem. Sono pervenute tre versioni della 13
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Camilla Cederna, La bella confusione, in Federico Fellini, 8½, op. cit., p. 50.
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Entretien avec Marcello Mastroianni, a cura di Dominique Maillet, «Lumière du cinéma», n. 10, dicembre 1977.
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