L'atalante di Jean-Max Méjean

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I MIGLIORI FILM DELLA NOSTRA VITA Collana diretta da Enrico GiacovElli

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L’ATALANTE [ L’Atalante, 1934 ] DI

JEAN VIGO JEAN-MAX MÉJEAN

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L’ATALANTE DI JEAN VIGO

Vigo

Cognome Nome

Jean

nato il

26 aprile 1905

a

Parigi

morto il a

15 ottobre 1934

Parigi tubercolosi

per

sepolto a

Parigi, Cimitero di Bagneux

FILMOGRAFIA

À propos de Nice [A proposito di Nizza, 1930] Taris, roi de l’eau o La natation par Jean Taris [Taris, re dell’acqua o Il nuoto secondo Jean Taris, 1931] Zero in condotta (Zéro de conduite, 1933) L’Atalante (1934)

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LA CARTA D’IDENTITÀ DEL FILM

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L’ATALANTE (L’Atalante, 1927)

Regia: Jean Vigo;

soggetto:

Jean Guinée [Robert de Guichen]; Jean Vigo, Albert Riéra; copione con piano inquadrature: Jacqueline Morland; fotografia: Boris Kaufman (operatori: Louis Berger e Jean-Paul Alphen); scenografia: Francis Jourdain; montaggio: Louis Chavance; trucco: Acho Chakatouny; musica originale: Maurice Jaubert; canzoni: Charles Goldblatt; ingegnere del suono: Marcel Royné; assistenti alla regia: Albert Riéra, Pierre Merle. sceneggiatura e dialoghi:

I nterpreti e personaggi: Jean Dasté (Jean), Dita Parlo (Juliette), Michel Simon (Père Jules), Louis Lefèbvre (giovane mozzo), Raphaël Diligent (Raspoutine; padre di Juliette), Gilles Margaritis (venditore ambulante), Maurice Gilles (proprietario), Fanny Clar (madre di Juliette), Rafa Diligent (padre di Juliette), René Blech (testimone di nozze), Gen Paul (invitato che zoppica), Charles Dorat (ladro), Jacques Prévert (un’ombra), Pierre Prévert (passeggero che va di fretta), Lou Tchimoukov, Genya Lozinska, Albert Riéra, Paul Grimault, Claude Aveline. Origine: Francia (1934). Produzione: Jacques-Louis Nounez per Argui-Films, G.F.F.A. - GaumontFranco Film-Aubert. Riprese: novembre / dicembre 1933 e gennaio 1934 Durata cinematografica: 89’. Prima proiezione privata: 25 aprile 1934 Proiezione con il titolo Le chaland qui passe: settembre 1934 Distribuzione: G.F.F.A. - Gaumont-Franco Film-Aubert.

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L’ATALANTE DI JEAN VIGO

Jean Daste – Jean.

Dita Parlo – Juliette

Michel Simon – Père Jules

Louis Lefebvre – Il mozzo

Fanny Clar – La madre

Gilles Margaritis – Il venditore ambulante

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LA CARTA D’IDENTITÀ DEL FILM

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plot 1 : I. Il film si apre con un’inquadratura della prua della chiatta “L’Atalante”, quindi la macchina da presa si sofferma su vari elementi del paesaggio, tra cui, in particolare, la chiesa da cui escono Père Jules e il suo giovane mozzo. Si tratta della «chiesetta di Maurecourt, nel dipartimento di Seine-et-Oise (l’odierno Yvelines), vicino a Conflans-Sainte-Honorine, capitale del trasporto fluviale, alla confluenza dell’Oise con la Senna»2. È il giorno delle nozze di Jean, battelliere, con Juliette, figlia di contadini dell’Oise. Père Jules e il giovane mozzo escono velocemente dalla chiesa per preparare l’arrivo degli sposi, ma Père Jules rientra perché ha dimenticato di farsi il segno della croce davanti all’acquasantiera. Il corteo nuziale, accompagnato da un fisarmonicista, si dirige verso la chiatta. In testa al corteo, i novelli sposi oltrepassano il paese salutati dal suono di una campana. Attraversano poi la campagna, passando accanto a pagliai imponenti come piramidi. Intanto, sull’imbarcazione, Jules e il mozzo si affaccendano attorniati da numerosi gatti per poter accogliere al meglio gli sposi. Jules fa ripetere al mozzo le parole che dovrà pronunciare e gli chiede di togliere i fiori dall’acqua. I fiori ricadono accidentalmente in acqua quando il ragazzo inizia a danzare sulle note della fisarmonica di Jules, così da costringerlo ad andare alla ricerca di alcuni rami lungo l’argine per recuperare il bouquet finito in acqua e accogliere finalmente la sposa con le parole: «Le auguro di essere felice a bordo dell’Atalante». II. Non appena gli sposi sono arrivati, la chiatta si avvia lungo il fiume. La sposa viene fatta salire mediante una sorta di montacarichi, mentre gli invitati restano sulla banchina e la madre piange per la figlia. Inizia così la loro vita a bordo dell’Atalante, piena di alti e bassi, di momenti di gioia e momenti di tristezza. Quando Jean abbraccia Juliette, i gatti si buttano su di loro. Juliette cammina con il suo vestito bianco sul ponte della chiatta, in tutto simile all’apparizione di un fantasma. Per raggiungerla, Jean scivola e i gatti lo attaccano di nuovo graffiandolo sul viso. III. L’equipaggio è composto dal giovane mozzo e da Père Jules, pittoresco lupo di mare che vive nella sua cabina insieme a una miriade di gatti in un indescrivibile marasma. Sarà lui, la mattina dopo, insieme al mozzo e a Jean, a svegliare Juliette. Jean e Juliette sono infastiditi perché una gatta ha deciso di partorire proprio sul loro letto, evento che commuove profondamente Père Jules. Ovunque spuntano gatti, e Juliette si dimostra

1

Suddiviso per sequenze (cfr. il capitolo “Il racconto del film”).

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Pierre Lherminier, Jean Vigo. Un cinéma singulier, Ramsay, Paris, 2007, p. 232.

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L’ATALANTE DI JEAN VIGO

una brava massaia. Si offre di fare il bucato, ma Père Jules non intende in un primo momento affidarle la propria biancheria. Mentre Jules e il mozzo se ne vanno con un robivecchi, Juliette resta con Jean che si diverte a cercare il viso dell’amata sott’acqua. Quando Jules torna, mostra loro alcune mosse di lotta greco-romana. IV, V. Juliette si distrae e sogna Parigi: sulla chiatta incomincia ad annoiarsi. In una notte di nebbia, Jean la sorprende mentre piange sul ponte. Jules vorrebbe fare delle domande, ma Jean lo rispedisce al lavoro. Lascia temporaneamente la chiatta, poi torna: sorprende Juliette mentre cuce a macchina e si presta a farle da manichino. VI, VII. Arrivati finalmente a Parigi, Juliette non crede ai suoi occhi. Riponendo la biancheria, sogna la città, mentre cerca di ascoltare il rumore del mare da una conchiglia. Père Jules le mostra la propria caotica cabina dove sono presenti, tra le altre cose, vari carillon e un burattino con le sembianze di direttore d’orchestra. Quando l’uomo si taglia con la propria navaja, Juliette ne è al tempo stesso affascinata e inorridita. Scopre quindi due mani nella formaldeide e i tatuaggi sul corpo di Père Jules. L’uomo si mette una sigaretta nell’ombelico e suona una tarantella con la fisarmonica. Juliette si diverte a pettinarlo. A questo punto entra Jean che s’infuria e rompe alcuni piatti. Jules esce. Jean e Juliette fanno pace e decidono di prepararsi per un giro a Parigi, visto che la nebbia si è diradata. Geloso, Jules decide proprio in quel momento di andare dal medico insieme al mozzo. Così Jean e Juliette non possono più uscire dalla chiatta per paura di lasciarla incustodita. Juliette si arrabbia e si cambia d’abito. VIII. In realtà Père Jules intendeva consultare una cartomante in merito alla collana rotta. Dopo essersi fatto leggere le carte e aver fatto l’amore con la donna, rispedisce il mozzo alla chiatta e si dirige, da solo, verso un caffè. Quando rientra, Juliette fa ancora il broncio. Visibilmente sbronzo, l’uomo ha intanto rubato la tromba di un grammofono all’interno del caffè. Urla «Parigi!» nelle orecchie di Juliette. Juliette trova Jean nel loro letto. Jean si sveglia e le racconta di aver sognato che lei se ne andava. Sono disturbati da Père Jules che non riesce a salire sulla chiatta e continua a urlare «Parigi, città infame e meravigliosa». Jean porta Jules nel suo letto e decide di partire immediatamente. Dice a Juliette che è colpa di Père Jules se lei non ha potuto visitare Parigi. IX. Il giorno dopo si recano a una festa da ballo. Passa sull’argine una bicicletta che trasporta un baule su cui sta scritto: pollame all’interno. In realtà è il nome di una balera. Qui vengono accolti da un prestigiatore.

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LA CARTA D’IDENTITÀ DEL FILM

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Juliette è affascinata da un venditore ambulante che, mentre canta per lei, le dice quanto è bella, scatenando così la gelosia del marito che mette bruscamente fine all’escursione. Jean lascia Juliette sulla chiatta ed esce. Passa un uomo-orchestra, ma è lo stesso venditore ambulante che viene a consegnare a Juliette il foulard che Jean le aveva comprato. Adesso vuole portarla con lui nella Ville Lumière, in bicicletta, ma torna Jean e lo caccia via. X. Mentre Père Jules fa solitari, Juliette scappa e, quando Jean ritorna, trova il loro letto vuoto. Allora Jean ordina a Jules di salpare per Corbeil. Nel frattempo, Juliette vaga alla scoperta delle meraviglie di Parigi, ma quando torna sulla banchina, all’alba, la chiatta non c’è più. Alla stazione le rubano la borsa mentre acquista un biglietto. Alcuni passeggeri riescono ad acciuffare il ladro, mentre Juliette si lascia importunare. Non riesce a trovare lavoro, gira a vuoto, scopre la durezza della vita. XI. Sull’Atalante, Jean sembra aver perso ogni interesse per il gioco e per la vita. Lascia la cabina dopo aver immerso la testa in un secchio d’acqua. Nel frattempo Jules ripara il grammofono e chiede al ragazzo di andare a cercare il padrone. Vediamo Jean gettarsi in acqua dal ponte, poi lo osserviamo sott’acqua, dove rivede Juliette in abito da sposa prima di riemergere dal fiume aggrappandosi a una corda. Con un montaggio alternato, seguiamo i due sposi separati che si sognano a vicenda, ognuno nel proprio letto. XII. Arrivati a Le Havre, Jean attraversa il porto e scende sulla spiaggia correndo verso il mare. Quando torna stravolto verso il barcone, viene scambiato per un marinaio ubriaco, ma Père Jules lo difende e lo riaccompagna alla chiatta. In ufficio, il capo è arrabbiato poiché dubita dell’autorità di Jean come capitano, ma ancora una volta Jules tenta di prendere, invano, le sue difese. Decide quindi di partire alla ricerca della padrona. XIII. Père Jules passeggia lungo le banchine, segue qualche donna e infine trova Juliette che ascoltare il Canto dei battellieri in un negozio di musica. La carica sulle spalle e fugge via, mentre gli altri clienti li inseguono gridando. Sulla chiatta, Jean apprende dal mozzo che Jules è andato a cercare sua moglie. Dopo aver preso un po’ d’acqua dal fiume, si rade per farsi bello. Il mozzo annuncia l’arrivo di Père Jules e Juliette. Jean finge di sistemare un po’ la sua cabina e si aggiusta i capelli. Juliette sale sulla chiatta ed entra nella camera. Si baciano e cadono a terra abbracciati. L’Atalante riprende il viaggio, lasciando una scia argentata. Titoli di coda.

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L’ATALANTE DI JEAN VIGO

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INTRODUZIONE

Mi risulta difficile stabilire con precisione il momento in cui la magia e il lirismo dell’Atalante incantarono i miei occhi al punto da segnarmi per sempre. Dagli anni dell’università, grazie soprattutto all’influenza che Henri Agel ebbe sui nostri giovani spiriti, ho sempre sentito parlare di Jean Vigo, in quanto il suo nome è associato alla creazione dei cineforum, ma anche a un importante premio cinematografico istituito nel 1951. Per una strana coincidenza, a meno che non si tratti di magia o sincronicità, se non addirittura di serendipity, il primo appartamento in cui ho vissuto una volta arrivato a Parigi, sulla collina di Montmartre in rue Lamarck, si trovava proprio accanto alla sede della Federazione Jean-Vigo, oggi scomparsa, dove ricordo benissimo di aver preso in prestito alcune pellicole, quando ero ancora un giovane professore di periferia all’inizio della carriera. Negli anni Duemila sono poi entrato a far parte della redazione della rivista «Jeune Cinéma», nata dalla Federazione Jean-Vigo dei circoli del cinema giovanili che, nel 1960, comprendeva ben trecento cineforum liceali! Come sarà ormai chiaro, era destino che io scrivessi questo libro e, naturalmente, è a questo film che ho pensato immediatamente nel momento in cui Gianni Gremese mi ha chiesto di partecipare a questa nuova collana. Se non ricordo male, è al cineforum del liceo, dove studiavo in pensionato alla fine degli anni Sessanta, che ho visto le prime immagini girate da Jean Vigo. E, poiché nulla accade per caso, non fu L’Atalante, ma Zero in condotta – un film che non mancò di fare breccia nella mia mente di pancul 1, come venivamo chiamati all’e1

Termine gergale francese usato per designare gli studenti che vivono nei pensionati.

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L’ATALANTE DI JEAN VIGO

poca, lasciando in me un segno indelebile – ad aiutarmi a sviluppare una mentalità, se non anarchica, quanto meno visceralmente indipendente. Quella rivolta di un gruppo di ragazzini, se vogliamo ancora più incisiva e tragica di quella della Guerra dei bottoni di Yves Robert (1962), continua a ossessionarmi. A posteriori, quando ripenso al fatto che Zero in condotta fu vietato alla sua uscita e che, circa trent’anni dopo, fu proiettato nei cineforum liceali, comprendo pienamente la portata della soggettività delle azioni umane, e in particolare della giustizia e della morale. Per quanto riguarda il modo in cui scoprii L’Atalante, in una sorta di trance che contribuisce alla sua magia, vorrei citare le parole di Jean Epstein, riportate da Paulo Emilio Salès Gomès nel suo libro su Jean Vigo: «Questa fotografia delle profondità vede l’angelo nell’uomo come la farfalla nella crisalide»2. Il destino del film, esattamente come quello di Almereyda e di Jean Vigo, è profondamente caotico. Il film, come si è detto più volte, fu realizzato in un’agitazione febbrile, quella in genere tipica di qualsiasi creazione, ma soprattutto quella del regista fortemente malato che fu obbligato a girare le sue scene in un inverno particolarmente rigido. Come dimostrato da numerosi artisti, è impossibile partorire un’opera d’arte senza dolore, alla stessa stregua della nascita descritta nella Bibbia. Allo stremo delle forze, Jean Vigo non riuscirà a portare a termine le riprese, che affiderà per le ultime inquadrature al suo montatore di fiducia Louis Chavance. In seguito il film verrà accolto con freddezza, per cui produttori e distributori si sentiranno autorizzati a tagliuzzarlo a volontà, arrivando perfino a rimontarlo in modo diverso e ad attribuirgli un altro titolo mediante l’introduzione di una canzone dell’epoca da cui prenderà il nome, Le chaland qui passe. Ma, come in qualsiasi autodafé, nulla viene realmente distrutto da fuoco e anatemi. François Truffaut lo ha 2

Paulo Emilio Salès Gomès, Jean Vigo, Ramsay, Paris, 1957, p. 56.

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INTRODUZIONE

dimostrato in Fahrenheit 451, dove alcuni individui ribelli imparano a memoria i libri proibiti e distrutti. Il cinema è ancora più coriaceo, alcune immagini riaffiorano come scampate a un Titanic sommerso – per riprendere la metafora dell’annegamento o del nuoto, tanto cara a Vigo. È così che mi tornano alla mente alcune visioni subliminali – viste dove? mistero! – di visi, onde e amore per un’imbarcazione la cui prua appare in tutta la sua fierezza portando, dalle prime immagini del film, il nome di una sorta di cacciatrice, celebre eroina greca, in nulla inferiore agli uomini nell’arte della guerra e della caccia. Probabilmente rubate, poiché all’epoca non si conosceva ancora il digitale che in un certo senso faciliterà l’insegnamento del cinema, o quanto meno la sua divulgazione, tali immagini vennero sicuramente veicolate da Henri Agel, il nostro Langlois3 locale, che le portava sotto braccio in pizze di alluminio, introducendole nell’aula magna dell’Università Paul-Valéry di Montpellier dove appunto insegnava cinema. Talvolta arrivava proprio così, in punta di piedi, come un Orfeo irascibile, e batteva il pugno sul tavolo perché non sapevamo niente o quasi. Allora faceva un segnale alla moglie o al proiezionista, quand’era di servizio nella sua postazione di guardia, ed ecco apparire immagini spesso rigate o deformate, destinate tuttavia a cambiare per sempre le nostre vite. È in uno di quei giorni che devo aver visto apparire qualche scena dell’Atalante, in particolare l’inizio del film con un matrimonio contadino, una pagina da antologia. Indubbiamente Agel non intendeva mostrarci l’intero film, poiché rispettava il pensiero di Vigo tanto da non volerlo snaturare proiettando una versione non corrispondente a quella sognata dal regista. Quando fu il mio turno (sono stato formatore in analisi filmica) ricordo di essere arrivato anch’io con una videocassetta, e più avanti poi con un 3

Henri Langlois, direttore della Cinémathèque Française e figura di riferimento per i registi della Nouvelle Vague [NdC].

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L’ATALANTE DI JEAN VIGO

DVD,

per mostrare alcune immagini di questo film, altresì utilizzate da Jean-Luc Godard nella sua splendida storia del cinema dal titolo Histoire(s) du cinéma. Perché Jean Vigo fu senza dubbio il grande antesignano di quel movimento che in seguito verrà battezzato come Nouvelle Vague. L’immagine, l’icona, ti segna per sempre con il suo lato mistico, religioso. Il cinema, per alcuni cinefili, è d’altra parte diventato una nuova religione, basta recarsi in uno dei suoi templi chiamati cineteche per capirne la portata. Nei meandri del magnifico Underground di Emir Kusturica, è possibile riconoscere, tra l’altro, la sposa dell’Atalante che nuota sott’acqua come un’ondina. Si tratta di un’immagine familiare e, allo stesso tempo, strana, che riporta alla memoria quanto dichiarato da Federico Fellini in merito al proprio cinema: «Spesso mi capita di essere fulminato da immagini che scoppiano in un silenzio assoluto davanti alla mia faccia. Lì per lì non te ne rendi conto, ti sembra di non aver visto niente, ma dopo un po’ hai come il ricordo che è successo qualcosa, che hai visto qualcosa e rimani stranito e perplesso a cercare: cos’era? E da dove viene?»4. Come si sarà ormai capito, non appartengo a quella categoria di cinefili che ricordano perfettamente i titoli, le inquadrature e i soggetti. Per quanto mi riguarda, «la memoria non mi assiste, non ricordo più molto bene»: la mia visione del cinema è quella di un sognatore, ricordo ogni tanto determinate immagini che mi hanno tolto il fiato e riprendo a sognare. Credo che L’Atalante rientri tra quelle opere che ci sembrano leggere, ma al tempo stesso hanno la capacità di segnarci a vita senza conoscerne il motivo, se non perché sono intrise di una poesia senza fine 5 che ne costituisce la vera forza. Forse non vale la pena ricordarsi ogni scena del film, ma questo sarà comunque il mio 4

Federico Fellini, Fare un film, Einaudi, Torino, 2015, pp. 3-4.

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Piccolo omaggio al bel film di Alejandro Jodorowsky, Poesia senza fine, 2016.

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INTRODUZIONE

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compito nelle pagine che seguono. Sarà senza dubbio interessante seguire passo passo la struttura della pellicola, soprattutto dopo il suo restauro, grazie a Pierre Philippe e Jean-Louis Bompoint, nella versione più vicina a quella voluta e immaginata da Jean Vigo (che di fatto realizzerà solo quattro film e alcune ore di riprese destinate a restare inedite). Rammento un compito di filosofia in cui ci veniva posta la questione cruciale del ricordo: «Cosa diventano i nostri ricordi quando non li pensiamo?». Devo aver escogitato chissà quale bella trovata per riempire qualche pagina secondo l’indispensabile struttura dell’epoca (tesi-antitesi-sintesi), ma non riesco a ricordarla. Quello che so è di aver pensato immediatamente al cinema e alle sue immagini perdute: quei film che bruciano in parte nel corso delle proiezioni, quella cellulosa che dopo qualche anno si disintegra in una polvere biancastra, quei produttori sgraziati che tagliuzzano l’opera, quei film che muoiono perché mai distribuiti, quelle riprese dimenticate che si scoprono talvolta per caso nei contenuti extra di un DVD, e via dicendo. Sì, più che altro credo di aver riflettuto su cosa diventano le immagini quando non le pensiamo. Come quelle sognate, sono evanescenti: è questo il motivo per cui la gente ha bisogno di raccontare i film e per cui i libri sul cinema sono pieni di fotogrammi, ma è anche la ragione per la quale l’industria della cartolina cinematografica con i suoi mostri sacri ha ancora una vita davanti. Poi, in un giorno di maggio del 1990, dopo essersi fatti ripetutamente pestare i piedi, si entra in una sala del Festival di Cannes per scoprire infine, sbalorditi, la versione restaurata de L’Atalante. Non si parlava ancora di restauro digitale, di 4K e di tanti altri termini tecnici un po’ incomprensibili. Eppure il film era proprio là, sullo schermo, con le immagini recuperate e la struttura narrativa quasi intatta. L’audio crepitante, la voce di Michel Simon impercettibile in alcuni momenti, le striature, le macchie, tutti quei piccoli particolari che contribuiscono

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L’ATALANTE DI JEAN VIGO

alla magia senza tempo del cinema. Ho pensato ancora una volta a Fellini, quando vorrebbe realizzare con I clowns un film sulla famiglia Fratellini, ma incontra tutta una serie di ostacoli senza riuscirci mai davvero. Perfino nelle cineteche i film talvolta sono come assopiti ed è molto difficile scovarli. Un film non è come un libro, salvo che si riesca a vederlo in DVD, ciò che non rientra però nello stesso rituale: qui parliamo della magia del cinema sul grande schermo e di tutto il cerimoniale che l’accompagna. Ma quello che in quell’occasione mi colpì di più fu intravedere dopo la parola “fine”, quando si accendono le luci per destarci da un sogno a occhi aperti, Luce Vigo in lacrime. Grazie Jean Vigo, e grazie alla sua meravigliosa troupe, per aver creato un capolavoro simile. Undici anni dopo il critico cinematografico Bernard Eisenschitz è riuscito a convincere la Gaumont e Luce Vigo a ritoccare ancora una volta questo film che non smetterà mai di morire per rinascere, ragion per cui non si sa più quale sia la versione giusta da proporre agli spettatori. Nel suo blog6, Jean-Louis Bompoint disapprova questa nuova manipolazione del film che, a parer suo, è stata fatta «con intenzioni tanto maldestre quanto “pseudo-intellettuali”, senza avvicinarsi minimamente allo spirito di Jean Vigo. È quindi in una nuova versione mutilata e incompleta che il film di Vigo viene ormai distribuito nelle sale, come in DVD»7.

6

http://jeanlouisbompoint.over-blog.com/article-la-restauration-de-l-atalante-jeanvigo-44349484.html 7

Mentre questo libro si appresta ad andare in stampa, un’altra versione restaurata del film (a cura della Cineteca di Bologna) è stata proiettata al Festival di Cannes 2017 e poi al Festival “Il cinema ritrovato” di Bologna. Sarà quella definitiva? Non crediamo... [NdC]

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INTRODUZIONE

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Proiezione dell’Atalante sotto le stelle, al “Cinema ritrovato” di Bologna (giugno 2017).

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L’ATALANTE DI JEAN VIGO

Jean Vigo sulla copertina di un’edizione spagnola del libro di Paulo Emilio Salès Gomes.

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PROLOGO

A proposito di Jean Vigo «Cineasta maledetto per eccellenza, Jean Vigo resta pur sempre l’autore di un’opera immensa e fondamentale. Scomparso prima di aver potuto apportare qualsiasi modifica al suo primo e unico lungometraggio, L’Atalante, quando già si intravedeva davanti a lui una carriera ricca ed entusiasmante, il regista lasciò un vuoto enorme»1. È prendendo a prestito le parole di Sylvain Perret che si potrebbe definire in maniera esaustiva la breve e folgorante carriera di Jean Vigo. Ma è impossibile riassumere la sua vita: esistono persone che il destino trascina

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come in un vortice e Vigo rientra senza dubbio in questa categoria. Potremmo affermare che la sua vita, proprio come quella di suo padre – anche se in modo diverso – fu un romanzo. Nato da genitori anarchici, Jean Vigo detto Nono nacque il 26 aprile 19052 in una stanza piena di gatti scheletrici di rue Polonceau, in un quartiere estremamente povero della zona nord di Parigi. Ben presto affidato ad alcuni amici rivoluzionari, visse un’infanzia alquanto agitata. Non è possibile parlare di lui senza citare i suoi genitori, in particolare il padre, figura quasi emblematica dell’anarchia, quindi del socialismo e in seguito del tradimento. Figlio del vicario del Principato di Andorra, Eugène Bonaventure 2

La sua data di nascita varia a seconda delle biografie: abbiamo scelto di utilizzare qui quella indicata da Salès Gomès nella sua opera di riferimento.

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L’ATALANTE DI JEAN VIGO

de Vigo (1883-1934) divenne – giovanissimo – un anarchico dalle profonde radici catalane, trasformando il proprio nome in Miguel Almereyda. Espressione della fedeltà a uno spirito anarchico che, almeno per il momento, percepiva come inviolabile, il nome fu in effetti scelto come una vera e propria bandiera. Secondo la spiegazione di Pierre Lherminier: «Un nome che lo ricollega ovviamente, per assonanza, alle sue origini iberiche, ma che allo stesso tempo racchiude in sé tutta la fierezza di un cospiratore o di un vendicatore mascherato. Probabilmente si tratta soprattutto di un nome provocatorio dal tono di sfida: tutti gli autori che si sono interessati a lui hanno sostenuto (sulla scia, sembra, di GaltierBoissière) che tale pseudonimo fosse un anagramma – appositamente scelto e non dovuto al caso – di “y a la merde”, ovvero “c’è merda”, da sputare in faccia alla società borghese»3. Con un padre continuamente condannato

e incarcerato, i primi anni della vita del piccolo Nono furono difficili, e tuttavia degni di un poema epico. Ad appena tre anni, ad esempio, trascorse il Natale in prigione con la madre (che con il consenso di Clémenceau4 poteva far visita al marito). Almereyda assistette anche all’assassinio del socialista pacifista Jean Jaurès presso il Café du Croissant, mentre il piccolo Nono giocava sotto il tavolo con il figlio del padrone5.

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Pierre Lherminier, op. cit., p. 20.

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Miguel Almereyda nel 1912. 4

Primo ministro francese dal 1906 al 1909 e dal 1917 al 1920. Paulo Emilio Salès Gomès, op. cit., p. 20.

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PROLOGO

Nella notte tra il 13 e il 14 agosto 1917 Miguel Almereyda fu trovato strangolato nella sua cella: le autorità parleranno di suicidio, ma venne sicuramente assassinato in seguito a una questione di spionaggio, famosa come “il caso del Bonnet Rouge”, e alle sue numerose implicazioni in affari loschi. Abbandonato dalla madre, Émily Clero, che in seguito si rifarà una vita con un giornalista, il giovane Jean Vigo passa da un collegio all’altro soprattutto nel sud della Francia (in particolare a Montpellier), dove risiede la famiglia paterna. Visto il suo odio profondo per la vita in collegio, il ragazzo si rivela ben presto uno zuccone, ma Gabriel Aubès, nonno acquisito e fotografo professionista, decide di iniziarlo al mondo della fotografia e di farlo iscrivere al liceo di Chartres con il suo vero nome. La vita di Jean è alquanto caotica, non molto diversamente da quella del padre (di cui intende altresì riabilitare la memoria tornando a Parigi nel 1925 per riallacciare i rapporti con la madre e dedicarsi allo studio

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della filosofia alla Sorbona). Ma Jean è soprattutto attratto dal cinema, arte già fortemente riconosciuta e apprezzata: Claude Autant-Lara lo assiste in questa passione riuscendo a introdurlo presso France Film a Nizza, città in cui si stabilisce nel 1928 con la fidanzata Lydon (soprannome di Lydu Lozinska, conosciuta in cura a Font-Romeu). Il giovane Vigo inizia dunque a lavorare come assistente alla regia negli studi della Victorine, ma attraversa anche lunghi periodi di disoccupazione. Sarà il padre di Lydon, ricco industriale polacco, ad aiutarli dopo il matrimonio. «Si erano conosciuti a Font-Romeu – la Cerdagna e Andorra sono in effetti la culla della mia famiglia paterna – dove soggiornavano per curarsi respirando l’aria pura di montagna»6: così racconterà la loro figlia Luce alla giornalista Valérie Pons. «Mio padre, cagionevole per natura, come mia madre, d’altronde, con cui condivideva la piaga della tubercolosi, è morto quando avevo 6

«L’Indépendant», 19 luglio 2012.

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L’ATALANTE DI JEAN VIGO

tre anni. All’età di otto anni persi anche mia madre». È in parte grazie a suo suocero che Jean Vigo può permettersi la prima macchina da presa Debrie, con la quale filmerà gli animali dello zoo di Parigi. Ma, di salute cagionevole e afflitto costantemente dalla tubercolosi (dunque ricoverato spesso in sanatorio con o senza Lydon), detesta una città borghese come Nizza. Nel 1930 le dedica un pamphlet cinematografico, À propos de Nice, nel quale mostra «gli ultimi bruschi trasalimenti di una società che abbandona le proprie responsabilità, fino a darvi

la nausea e a farvi complici di una soluzione rivoluzionaria»7. In occasione della sua partecipazione al secondo Congresso internazionale del cinema indipendente tenutosi a Bruxelles nel 1930, conosce tra gli altri la regista Germaine Dulac, che stringerà con lui un rapporto di amicizia e deciderà di aiutarlo. Dopo aver rifiutato numerose proposte e aver preso parte alla realizzazione di quelli che allora venivano chiamati i “film di attualità”, nel 1931 Vigo 7

Paulo Emilio Salès Gomès, op. cit., p. 74.

À propos de Nice (1930).

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PROLOGO

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La Natation par Jean Taris (1931).

gira il suo secondo cortometraggio documentario, sul celebre nuotatore Jean Taris, intitolandolo semplicemente La Natation par Jean Taris o Taris, roi de l’eau. Se ne ricorderà per L’Atalante. Dopo il suo incontro con JacquesLouis Nounez, ricco proprietario terriero e produttore amatoriale, nel 1933 può realizzare il suo primo film non documentario, Zero in condotta, con un budget molto limitato e in condizioni, soprattutto a livello di salute, decisamente estreme. Il film non verrà accolto molto bene, e un’associazione

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chiederà addirittura alla censura di vietarlo. Così questo mediometraggio resterà per molti anni proibito, per «danno al prestigio del corpo insegnante francese». Successivamente verrà inserito nei programmi scolastici di educazione all’immagine e sarà argomento di numerose tesi. Ma all’inizio aveva valso a Vigo fama di sovversivo, nonostante l’appoggio incondizionato di Jacques-Louis Nounez che, dieci giorni dopo la proiezione presso l’Artistic con conseguente censura da parte delle autorità giudiziarie, gli scriveva

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Zero in condotta (1933).

quanto segue: «Caro Vigo, mi ha fatto piacere sentirla ieri sera e avere sue notizie. Mi è dispiaciuto molto averla lasciata, mi sarebbe piaciuto potesse avere di questa prima rappresentazione di Z. in C. un ricordo ancor più bello. Credo che lei conosca bene gli uomini considerato quanto ha sofferto. Non si perda d’animo, il suo film è ottimo, anche se non perfetto, per fortuna. Ma come ben sa, è proprio questa la sua forza, quella che le consentirà di affermarsi in tutto

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il suo valore, contribuendo al suo successo»8. In questo periodo, Jean Vigo continua a soffrire della solita malattia estenuante. Tuttavia, alla stregua di un poeta che non riesce a scendere a compromessi (e la cui vita, come quella di Rimbaud, è votata a un messaggio da trasmettere con urgenza), inizia – di nuovo con il supporto di Nounez – un nuovo film, che 8

Pierre Lherminier, op. cit., p. 216.

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sarà l’ultimo. «Quando verso la fine del 1933 comincia a girare L’Atalante, Jean Vigo sa di essere malato», scrive Sylvain Perret. Si occupa tuttavia della supervisione di tutte le riprese, nonché della fase iniziale del montaggio, prima di assegnarne la conclusione al suo montatore Louis Chavance. Di fronte al risultato, e in seguito ad alcune proiezioni accolte senza molte lodi, la Gaumont decide di tagliare numerosi passaggi e apportare al film varie modifiche. La musica di Maurice Jaubert viene sostituita con una canzone 9 in voga, Le chaland qui passe , che darà anche il titolo alla nuova versione. Si susseguono poi altri montaggi, più o meno fedeli, che si moltiplicheranno facendo la fortuna dei cineforum per quasi mezzo secolo. Solo nel 1990 la pellicola verrà restaurata definitivamente (o quasi...) dalla Gaumont per ottenere una versione

il più possibile vicina a quella immaginata da Jean Vigo10.

A proposito de L’Atalante Nonostante la malattia che lo accompagnerà per tutta la vita come un’ombra, Vigo era di natura gioiosa e amava ridere e scherzare, come ricorderanno i suoi numerosi amici e collaboratori. Fu indubbiamente molto colpito

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Versione francese dell’italiana Parlami d’amore Mariù di Cesare Andrea Bixio, che era stata due anni prima il leitmotiv del film di Mario Camerini Gli uomini, che mascalzoni... [NdC].

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blogs.mediapart.fr/forum-des-images/ blog/240513/l-atalante-de-jean-vigoanalyse-par-sylvain-perret-redacteuren-chef-d1kult

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dallo scandalo suscitato da Zero in condotta, ma non era certo il tipo da lasciarsi andare alla disperazione. E se è per questo, neanche il suo fedele produttore, come ricorda Jean-Louis Bompoint (al quale dobbiamo in parte il restauro del 1990 dell’Atalante): «Nounez, [che] aveva perso un sacco di soldi in quest’affare11, si impegnò in una nuova produzione di Vigo, imponendo però questa volta la scelta del soggetto. In opposizione alle tematiche provocatorie, cercò un soggetto “insipido”. Tra le conoscenze della moglie c’era un certo Jean Guinée, che aveva partorito una storia estremamente semplice incentrata su una coppia a bordo di una chiatta. Per Nounez, quello era il soggetto ideale per un film. Era persuaso che il talento di Vigo avrebbe trasfigurato quella banale (perfino stupida) storia d’amore. Ritengo che Nounez abbia avuto un lampo di genio. Vigo capì abbastanza rapidamente che doveva cogliere l’occasione. 11

La produzione di Zero in condotta [NdC].

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In riferimento al soggetto confidò un giorno ad Albert Riéra: “Ma cosa vuoi che ne faccia di questo materiale?”. Albert Riéra, persona estremamente accomodante, gli rispose: “D’accordo, è una storia banale. Ma spetta a te renderla interessante”». Al di là dell’aneddoto, le parole di Bompoint mostrano chiaramente il modo in cui si lavorava nel cinema degli anni Trenta e i rapporti che intercorrevano tra un regista e il suo produttore (completamente diversi da quelli intransigenti degli anni Sessanta a Hollywood e a Cinecittà e, a maggior ragione, da quelli dei nostri giorni in cui ci chiediamo se il cinema sia sempre un’arte o non piuttosto un prodotto di grande consumo). All’epoca di Jean Vigo, era ancora possibile considerare il cinema come un’arte basata su una determinata forma di artigianato. Parlando con Pierre Merle e Riéra, Vigo cominciò a mettere insieme alcune risorse. Il giorno prima aveva incontrato a teatro Michel Simon nel suo camerino. Secondo lui era un attore formidabile. Anche

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Dita Parlo e Jean Dasté (foto di scena da L’Atalante).

Simon fu rapito dalla personalità di Vigo, “il figlio dell’anarchico”: accettò la proposta del regista che vedeva in lui il Père Jules ideale»12. In effetti, senza effettivamente cambiarla, Jean Vigo riuscirà a trasformare quella sceneggiatura in un capolavoro. Jean Guinée (all’anagrafe Roger de Guichen nel suo ruolo di manager bancario) si esprimerà così – in una lettera all’editore – parlando della fonte di 12

Colloquio tra Jean-Louis Bompoint e Patrick Perrotte in http://marcel-carne. com/atalante/2011/02/2001-a-proposde-la-restauration-de-1990-patrickperrotte/

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ispirazione del proprio soggetto: «Un giorno, dal Pont de l’Alma, vidi passare una chiatta. Sola al timone, una donna. La chiatta, unico elemento in mezzo al fiume. Il fiume avvolto dalla città. Il tema della solitudine»13. Perché, in effetti, la vera star del film è innanzitutto quella chiatta dal nome altisonante, “L’Atalante”. È l’unica a sembrare inaffondabile, l’unica a non lamentarsi delle intemperie, l’unica

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http://www.radiorectangle.be/fr/ la-chronique-de-damien-breuckerlatalante-de-jean-vigo-a-jeff-buckley. html

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a non soffrire per amore. L’Atalante è un film importante per diversi motivi. In primo luogo perché offre un quadro delle condizioni di vita dei battellieri negli anni Trenta, sottomessi a un padrone e costretti a trascorrere rigidi inverni su imbarcazioni a più o meno lunga percorrenza fino a diventare quasi dei nomadi romantici. La vita sulla chiatta è descritta molto dettagliatamente, sebbene venga resa estremamente poetica dallo scenario e dalla regia, e il tutto è trasfigurato da una storia d’amore senza tempo. Ma L’Atalante è importante nella storia del cinema anche perché esce all’inizio del sonoro, testimoniando alcune peculiarità artistiche del cinema di quegli anni, soprattutto per quanto riguarda la qualità e la bellezza delle immagini in bianco e nero. Continua inoltre a occupare nel contesto cinematografico mondiale un posto di primaria importanza per via del suo destino difficile (come quello del regista), che lo lascerà in qualche modo incompiuto (Vigo si ammalò gravemente prima della fine delle

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riprese) e orfano per lungo tempo del montaggio originale. L’anno delle riprese del film coincide con l’ascesa al potere di Adolf Hitler in Germania, mentre in Francia imperversava una crisi economica che aveva investito in pieno anche il cinema, per via delle difficoltà generate dal passaggio dal muto al sonoro (passaggio che porterà al fallimento di 108 società sulle 156 in attività nel 1932)14. La realizzazione del film di Jean Vigo è dunque un piccolo miracolo, tanto più che la carriera del regista non era cominciata proprio nel migliore dei modi, «Il film è un enigma e, per risolverlo, è necessario buttarsi in acqua, proprio come vediamo fare a Jean per ritrovare la sua amata e la sua immagine – dichiarerà Damien Breuker. – Occorre abbandonarsi al sogno per favorire l’apparizione di un viso: il velo si solleverà un po’ e dietro quella sfumatura si potrà immaginare una forma per riscoprire i contorni astratti di un angelo pallido. […] L’Atalante 14

Pierre Lherminier, op. cit., p. 214.

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sfugge a ogni classificazione, poiché esistono varie strade, alcune lettere perdute e qualche anima alla deriva. L’Atalante è un film fatto di monologhi, le parole sono caotiche, slegate, perse, tanto da somigliare a rumori interni, pressioni fisiche dell’acqua sulle nostre tempie sommerse»15. Regista dalla vita breve ma intensa, che Langlois paragonò a Rimbaud, Jean Vigo seppe imporre uno stile che segnerà l’intera storia del cinema francese. Legittimato dalla 15

http://www.radiorectangle.be/fr/ la-chronique-de-damien-breuckerlatalante-de-jean-vigo-a-jeff-buckley. html

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29 Nouvelle Vague, e in particolare da Truffaut, L’Atalante resterà per sempre l’icona impareggiabile del film lirico e quasi surrealista, una specie di modello insuperabile a cui ispirarsi timidamente. Tanto le riprese quanto la stesura della sceneggiatura trasformeranno in effetti il film in una specie di piccolo miracolo che analizzeremo nel dettaglio per cercare di decifrarne tutte le immagini, i significati, le influenze, e dimostrare l’interesse imperituro di un’opera dalla sorte avversa, ma sempre viva e potente agli occhi stupiti delle nuove generazioni.

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IL RACCONTO DEL FILM

(56 inquadrature, durata: 6’27”) Dopo i titoli di testa dallo stile essenziale, con lettere bianche su sfondo nero, accompagnati dal Chant des mariniers [Canto dei battellieri] di Maurice Jaubert (che verrà ripreso, in varie versioni, più volte nel film), L’Atalante inizia con un montaggio semplice, netto, in cui tre inquadrature fisse presentano il mondo dei battellieri in modo contemporaneamente esplicito e poetico, attraverso il passaggio dall’acqua alla terra, con la chiatta a fungere da intermediario nella sua duplice natura: marittima e al tempo stesso terrestre. La prima inquadratura riprende la prua dell’Atalante in tutta la sua fierezza, in un’immagine fissa di otto secondi, inframezzata dal rintocco ansiogeno di una campana

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che probabilmente anticipa l’evento importante che scopriremo a breve, ma che potrebbe anche richiamare il suono delle campane a morto. Di fatto, Jean Vigo non ha inventato niente di nuovo, poiché nel soggetto di Jean Guinée scovato da Nounez viene già menzionato il nome “L’Atalante” per la chiatta. Sappiamo che Jean Vigo, per la scelta dei luoghi e degli oggetti, e in particolare per la chiatta, aveva chiesto consiglio a Georges Simenon, che l’aveva incoraggiato a girare alcune sequenze sul canale dell’Ourcq e a trovare un barcone. «Simenon risponderà molto rapidamente, da Marsilly, vicino a La Rochelle, dove risiedeva all’epoca, affermando, però “è difficile consigliarla senza conoscere il soggetto”. Decide comunque di indicargli tutta una serie di canali e altri corsi d’acqua, i primi nel caso

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in cui Vigo avesse desiderato “una navigazione intensa in un contesto alquanto sinistro”, gli altri qualora avesse preferito piuttosto “scenari tranquilli, giovialità, botti di vino, persone addormentate sulle scarpate, uno stile di vita estremamente semplice e pittoresco”»1. Secondo Paulo E. Salès Gomès2, gli consigliò anche la chiatta “Louise XVI”, un barcone destinato in origine all’alaggio3 e poi trasformato in chiatta a nafta. Non sarà difficile ribattezzarlo “L’Atalante”. Con ogni probabilità la scelta di Jean Guinée non fu casuale, poiché il nome richiama la figura di Atalanta, figlia del re di Sciro per i Tebani4 o figlia di Iasio per gli abitanti dell’Arcadia. Si tratta di un dettaglio senza importanza dal momento che, in entrambe le leggende, la neonata viene abbandonata in una foresta perché 1

2

Pierre Lherminier, op. cit., p. 224. Paulo Emilio Salès Gomès, op. cit., p. 112.

3

Traino da riva mediante la forza dei cavalli. 4

Ovidio, Le metamorfosi, libro X.

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i genitori desideravano un maschio. Atalanta verrà allattata da un’orsa, per poi essere trovata da un gruppo di cacciatori che la cresceranno fino a farne una formidabile cacciatrice. Sarà lei a incitare alla lotta Peleo in occasione delle gare funebri in onore del re Pelia. Parteciperà quindi, unica donna, alla spedizione degli Argonauti guidata da Giasone. Prenderà parte alla caccia del cinghiale di Calidone uccidendolo, gesto che scatenerà una guerra. Durante un’altra battuta di caccia, trafiggerà infine con le sue frecce due centauri, Ileo e Reco, che avevano tentato di violentarla5. Inutile sottolineare che Atalanta è una figura decisamente temibile, per non dire inaffondabile. La seconda inquadratura riprende l’Atalante sulla banchina vista dal fiume, circondata dalla nuvola di vapore di un’altra chiatta di passaggio. L’inquadratura è ancora una volta scandita dal rintocco della campana che non si tarderà a identificare come quella di una chiesa di campagna. 5

Apollodoro II, 9,2.

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