Milano calibro 9 di Ferdinando Di Leo di Davide Pulici

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Milano calibro 9




i cult del grande cineMa popolare Collana diretta da CLAUDIO BARTOLINI

A Fernando, che mi ha indicato la via...


Milano calibro 9 [ 1972 ] DI

fernando di leo DAVIDE PULICI


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Milano calibro 9 di fernando di leo

Prefazione

Scrivere la prefazione di un saggio su Milano calibro 9 significa parlare di Fernando Di Leo e parlare di Fernando Di Leo significa parlare dell’inizio di un’avventura che dura ormai da oltre 24 anni e si chiama «Nocturno Cinema». Quando io e Davide Pulici fondammo la rivista (l’unica interamente dedicata al cinema di genere italiano), Fernando fu uno dei primi registi coi quali entrammo in contatto. Devo dire che la spinta iniziale la diede Davide. Lui era ossessionato da un suo film, Il boss, e dall’attrice protagonista Antonia Santilli. Davide è il tipo che riesce a trasformare le proprie ossessioni in ragioni di vita ed è contagioso. La frequentazione con Fernando fu costante e continuativa e, soprattutto, fu un’importante scuola di vita. Perché Fernando era personaggio complesso, profondo, intellettuale, ironico ed elegante. Non era un moralista. I suoi valori affondavano le radici nel Settecento francese, il suo modello era Voltaire, altri dèi non ne aveva. Nel suo appartamento al numero 11 di via Emanuele Gianturco trascorrevamo i pomeriggi curiosando tra i suoi incartamenti (sceneggiature mai realizzate, foto di scena, articoli di giornali, racconti inediti…), a parlare della vita o, meglio, della visione della vita. L’iter delle nostre discese a Roma, per fare interviste a personaggi che fino ad allora nessuno ricordava più, era più o meno lo stesso. La mattina la si spendeva in viale delle Milizie 138, negli uffici di un altro amico da troppo tempo scomparso, Aristide Massaccesi, e poi si pranzava con Fernando in piazza del Popolo, rigorosamente da Canova. Pagava sempre lui, non ci ha mai permesso neanche di fare il


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gesto. Diceva: «Io sono ricco di famiglia, me lo posso permettere!». Era un Signore, di quelli all’antica, provenienti da un meridione (la Puglia) che oggi non esiste più e che a tratti si può ritrovare nella Catania di La seduzione, film che Di Leo aveva adattato dal romanzo Graziella di Patti ma che, come la maggior parte delle sue opere, conservava un bagaglio di esperienze e di intuizioni personali. Una volta, da Canova, abbiamo incontrato Franco Lo Cascio che pranzava con Riccardo Billi. Era l’epoca del boom del porno direct-to-video e Lo Cascio, che di Fernando era stato l’aiuto regista storico, si era costruito una carriera da Reuccio dell’hard con lo pseudonimo di Luca Damiano. Noi avevamo tentato di intervistarlo diverse volte, ma lui si era sempre dimostrato alquanto schivo. Fernando lo chiamò al nostro tavolo e gli disse che questi suoi amici milanesi gli volevano parlare. Lo Cascio cambiò atteggiamento all’istante. Fu subito disponibile e accondiscendente e ci diede appuntamento a casa sua per il giorno a venire. Quando il Reuccio tornò al suo tavolo per discutere animatamente col produttore di alcuni “affetti” in scadenza da lì a poco, Fernando, con il suo fare sornione ma per nulla arrogante, ci disse: «Da adesso in poi vedrete Franco sotto un’altra luce… quella che emano io!». Aveva ragione, Fernando Di Leo emanava una luce che abbagliava e affascinava. Se n’è accorto il pubblico della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia nel 2004, quando ho presentato il mio documentario Fernando Di Leo: la morale del cinema. Fernando, ahimè, era scomparso l’anno prima, ma tra gli spettatori c’era anche un entusiasta Quentin Tarantino che avrebbe voluto conferirgli un Leone d’oro alla carriera postumo. Ovviamente non gliel’hanno permesso. Eppure quel riconoscimento Fernando se lo sarebbe meritato più di tutti perché lui, in fondo, con la maggior parte del

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mucchio selvaggio del cinema italiano di genere c’entrava poco o niente. Come Umberto Lenzi amava spesso dire: «Fernando Di Leo è più riconducibile al cinema noir di Jean-Pierre Melville che non al poliziesco all’italiana». In realtà Fernando era qualcosa di ancora diverso. Il suo modo di intendere e rappresentare la malavita, così come la sessualità, non è riconducibile a modelli precostruiti. Era un regista libero, proprio perché era un uomo libero. Come tutti, certo anche lui ha dovuto accettare più di qualche compromesso, ma l’ha fatto sempre tentando di mantenere almeno un concetto di fondo che fosse espressione di un suo modo di intendere l’arte e la vita. Non era uno di quei registi che dovevano giocare la carta del genere per spacciare contenuti più profondi. Non era un Damiano Damiani o un Carlo Lizzani e non voleva esserlo. Lui amava il genere e voleva raccontare le sue storie. Il contenuto era imprescindibile al suo modo di concepire la narrazione, perché la visione del mondo che aveva era quella di un intellettuale che ama il cinema come forma di intrattenimento. Anche nei suoi lavori meno riusciti c’era sempre un tema di riflessione importante che non aveva mai un sapore banale; il tutto espresso senza rinunciare a quella spettacolarità che la sua concezione del mezzo filmico non poteva non avere. Era forse più simile a Sergio Leone, regista con il quale aveva condiviso molto. Il suo carattere, le sue idee, il suo modo di approcciare le storie, anche quelle “virtualmente” scritte da altri (Scerbanenco in primis), era sempre riconducibile all’uomo Di Leo e al cinefilo Di Leo, perché lui, a differenza di quasi tutti gli altri, il cinema, anche quando aveva smesso di farlo, lo frequentava sempre da spettatore. Discutemmo a lungo, per esempio, del remake di Lolita. Sosteneva che Adrian Lyne non avesse colto il concetto. Che non avesse, cioè, capito l’essenza del racconto di Nabokov e che Dominique Swain fosse


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troppo matura e consapevole della propria sessualità per incarnare quel “desiderio proibito” che turbava l’uomo maturo. Meglio, secondo lui, aveva fatto Luc Besson in Leon, che pur non essendo un film erotico aveva tratteggiato bene il rapporto di morbosa attrazione (mai esplicitato) tra Jean Reno e la ragazzina ingenuamente maliziosa evocata da Natalie Portman. Aveva ragione. Come sempre. O quasi. Il bello, con Fernando, era che potevi comunque discutere, anche quando la pensavi diversamente. La dialettica era edificante. Si parlava molto dei suoi film e spesso avevamo pareri discordanti, per esempio su Avere vent’anni, ma il suo punto di vista aveva sempre qualcosa di rivoluzionario. Su una cosa però eravamo del tutto d’accordo: Milano calibro 9 era il migliore dei noir che aveva realizzato. Un gioiello. Di gran lunga più compatto ed equilibrato di tutti gli altri film. Davide Pulici non era d’accordo con noi, per lui Il boss era imbattibile, ma non ha mai negato l’importanza e la magnificenza del film. Sono felice che oggi, dopo così tanta acqua passata sotto i ponti, sia proprio Davide a scrivere questo importante saggio sul Milano calibro 9 e che l’abbia fatto con quello stile, quella capacità di approfondimento e di scrittura che per primo Fernando Di Leo gli aveva riconosciuto. È un tributo necessario, ma soprattutto è come ritrovarsi di nuovo là, in quell’elegante appartamento nel cuore di Roma, stipato di libri, quadri, polvere e storia, dove l’odore delle sigarette, che ormai Fernando non fumava più, aleggiava ancora nell’aria. Al di fuori di quella casa, per noi, nulla sarebbe stato più come prima.

Manlio Gomarasca


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Di Leo

Cognome Nome

Fernando

nato il

11 gennaio 1932

a

San Ferdinando di Puglia (Foggia, oggi Barletta-Andria-Trani)

morto il a

2 dicembre 2003

Roma

mestieri cinematografici

Sceneggiatore, regista


la carta d’identità del regista

FILMOGRAFIA (REGIE)

Un posto in paradiso, ep. da Gli eroi di ieri… oggi… domani, 1963 (co-regia Enzo Dell’Aquila) Rose rosse per il führer, 1968 Brucia ragazzo, brucia, 1969 Amarsi male, 1969 I ragazzi del massacro, 1969 La bestia uccide a sangue freddo, 1971 Milano calibro 9, 1972 La mala ordina, 1972 Il boss, 1973 La seduzione, 1973 Il poliziotto è marcio, 1974 Colpo in canna, 1975 La città sconvolta: caccia spietata ai rapitori, 1975 Gli amici di Nick Hezard, 1976 I padroni della città, 1976 Diamanti sporchi di sangue, 1978 Avere vent’anni, 1978 Vacanze per un massacro, 1980 L’assassino ha le ore contate, miniserie in 6 episodi, 1981 Razza violenta, 1984 Killer contro killers, 1985

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Milano calibro 9 (1972) REGIA: Fernando Di Leo; SOGGETTO: Fernando Di Leo; SCENEGGIATURA: Fernando Di Leo; DIALOGHI: Fernando Di Leo; FOTOGRAFIA: Franco Villa; OPERATORE ALLA MACCHINA: Claudio Morabito; ASSISTENTE OPERATORE: Enrico Biribicchi; AIUTO REGISTA: Franco Lo Cascio; MAESTRO D’ARMI: Gilberto Galimberti (non accreditato); COMMENTO MUSICALE: Luis Enríquez Bacalov (orchestra diretta dall’autore, con la partecipazione strumentale degli Osanna); FONICO: Goffredo Salvatori; DISTRIBUZIONE MUSICALE: Edizioni Nazionalmusic, Milano; REGISTRAZIONI: Westrex Recording Systems, eseguite alla C.D.S. ai villini, con la collaborazione della C.I.D. Cooperativa Italiana Doppiatori; MONTAGGIO: Amedeo Giomini; SCENOGRAFIA: Francesco Cuppini; COSTUMI: Francesco Cuppini; SARTA: Marcella Moretti; ARREDAMENTO: ditta Sormani; TRUCCO: Antonio Mura. INTERPRETI E PERSONAGGI: Gastone Moschin (Ugo Piazza), Barbara Bouchet (Nelly Bordò), Lionel Stander (L’Americano), Mario Adorf (Rocco Musco), Frank Wolff (Commissario capo), Ivo Garrani (Don Vincenzo), Philippe Leroy (Chino), Luigi Pistilli (Vice-commissario Mercuri), Giuseppe Castellano (Nicola), Mario Novelli (Pasquale Tallarico), Giulio Baraghini (Brigadiere), Ernesto Colli (Alfredo Bertolon), Fernando Cerulli (Portiere d’albergo), Salvatore Aricò (Luca), Ettore Geri (Barista nel night), Giorgio Trestini (Franceschino), Omero Capanna (Uomo con impermeabile), Bruno Bertocci (François Durremmat), Alessandro Tedeschi (Corriere tedesco), Empedocle Buzzanca (Uomo sfregiato dal barbiere), Imelde Marani (Ragazza col mantello), Sergio Serafini (Studente), Gastone Pescucci (Funzionario di polizia), Fernando di Leo (Turista con


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eskimo/Uomo che telefona), Mira Vidotto (Ragazza bionda siciliana), Fortunato Cecilia (Vincenzo Affatato), Marina Brengola (Ragazza bionda milanese), Rossella Bergamonti (Ragazza rossa bolognese), Edda Tiberio (Ragazza mora calabrese), Eleonora Vivaldi (Cassiera del bar), Marco Mariani, Mauro Vestri, Cesare Di Vito, Luigi Antonio Guerra, Nello Palladino (Poliziotti al commissariato), Alberto Fogliani, Gianni Milito (Uomini al night), Lina Franchi, Dolores Calò, Pupita Lea Scuderoni (Donne al night), Claudio Morabito (Uomo nel bagno del bowling), Antonio Mea, Franco Beltramme, Gilberto Galimberti, Artemio Antonini, Giuseppe Leone, Domenico Maggio, Mario Pavone, Rolando De Santis (Uomini dell’Americano), Franco Lo Cascio (Tobino), Angelo Boscariol (Poliziotto), Tony Trono, Luciano Cecchini. ORIGINE: Italia, 1972; VISTO CENSURA: 59724, dell’8 febbraio 1972. PRODUZIONE: Cineproduzioni Daunia 70; ORGANIZZATORE GENERALE: Armando Novelli; DIRETTORE DI PRODUZIONE: Lanfranco Ceccarelli; ISPETTORE DI PRODUZIONE: Vincenzo Salviani; SEGRETARIO DI PRODUZIONE: Luciano Appignani; SEGRETARIA DI EDIZIONE: Vivalda Vigorelli; PELLICOLA: Eastmancolor; COLORE: Telecolor; RIPRESE: Ottobre – novembre 1971 (INTERNI: stabilimenti della Dear Film; ESTERNI: Milano e provincia [Cinisello Balsamo, Arese], Roma, Bolsena [Viterbo]). DURATA CINEMATOGRAFICA: 103’, colore, 1.85. mono. DISTRIBUZIONE: Lia Film. PRIMA PROIEZIONE: 25 febbraio 1972. DISTRIBUZIONE GERMANIA OVEST: Constantin Film (prima proiezione: 10 agosto 1972); DISTRIBUZIONE OLANDA: C.F.M. Filmverhuur (prima proiezione: 5 aprile 1973); DISTRIBUZIONE FRANCIA: A.M.L.F. (prima proiezione: 10 luglio 1974). TITOLI STRANIERI: Milão Calibre 9 (Brasile); Milano – caliber 9 (Danimarca); Milán, calibre 9 (Spagna); Milano kaliberi 9 (Finlandia); Milan calibre 9 (Francia); Milano Calibro 9 (Gran Bretagna); Oi tyhodioktes tou Milanou (Grecia); Zij gingen over lijken (Olanda); Calibre Nove (Portogallo); Kaliber 9 (Svezia, Slovenia); Caliber 9 (Stati Uniti); Milano Kaliber 9 (Germania Ovest); Kalibar 9 (Jugoslavia).

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Gastone Moschin – Ugo Piazza

Mario Adorf – Rocco Musco

Frank Wolff – Commissario capo

Barbara Bouchet – Nelly Bordò


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Philippe Leroy – Chino

L. Pistilli – Vice-commissario Mercuri

Salvatore Aricò – Luca

Giuseppe Castellano – Nicola

Lionel Stander – L’Americano

Mario Novelli – Pasquale Tallarico

Ivo Garrani – Don Vincenzo

O. Capanna – Uomo con impermeabile


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TRAMA Milano. Ugo Piazza s’è fatto tre anni di galera. È finito dentro per rapina e oggi, un lunedì alle 8:30, torna libero. È un duro: occhi imperturbabili, faccia di pietra. Non sembra tipo da lasciarsi fregare facilmente. E questo è ciò che pensano coloro che sono lì, fuori da San Vittore, ad attenderlo. C’è un’ombra, una presenza indecifrabile nascosta dentro un giubbotto rosso. Lo segue, lo spia, senza che lui se ne accorga. E ci sono gli altri. Gli uomini dell’Americano, il boss al servizio del quale Ugo lavorava quando lo hanno messo dentro. Sono i due sgherri Nicola e Pasquale agli ordini di Rocco Musco, siciliano nervoso e manesco, longa manus dell’Americano. La ferocia di costoro è stata vista all’opera, mentre punivano le pedine di un passaggio di valuta durante il quale i soldi erano diventati carta straccia. Uno studente, una ragazza e un vecchio sono stati massacrati e spediti al creatore con un candelotto di dinamite tra le corna. Questa è la gente che sta aspettando Ugo Piazza al varco. Da tre anni lo aspettano, convinti che si sia fregato trecentomila dollari dell’Americano durante un traffico di denaro. Si è preso quei soldi e poi ha compiuto una rapina di poco conto per farsi beccare. Musco e i suoi due tirapiedi caricano Ugo in auto e lo portano in un posto fuori mano: Rocco fa il gradasso, strapazza Ugo con calci in bocca e pugni nello stomaco. Ma Ugo non sputa il rospo, non ha niente da dire, i soldi non li ha presi. Senza più documenti – glieli hanno stracciati – è costretto a recarsi in Questura per un duplicato. Un commissario che lo conosce bene lo sfotte e lo denigra di fronte a un giovane collega di idee progressiste. Lui abbozza, non può che piegare la testa. Qualche ora più tardi, nell’alberghetto pidocchioso dove ha preso alloggio e si sta intrattenendo con una prostituta, Piazza riceve una seconda visita di Rocco e dei suoi tirapiedi. Sfasciano la camera dell’hotel per cercare i soldi rubati ma, in realtà, vogliono solo inguaiare ulteriormente Ugo, sebbene il pretesto sia convocarlo dall’Americano che gli vuole parlare. Lui non reagisce, non dice nulla, ma il mattino dopo va a trovare Chino, un sicario a contratto che vive con il vecchio e cieco Don Vincenzo, “padrino” di altri tempi. Ugo ha bisogno di soldi e Chino glieli dà. È uno fuori dai giochi, Chino, un indipendente che rispetta gli altri e viene rispettato. Non vuole prendere le parti di nessuno e nessuno deve metterlo in mezzo. Mentre Piazza è lì, Rocco commette un errore madornale irrompendo nell’appartamento e impossessandosi dei soldi che il sicario ha appena dato all’altro. La corda, troppo tesa, si spezza: Chino reagisce, colpisce Rocco e i


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suoi due uomini e stavolta scatta anche Ugo. I tre devono incassare, abbassare la testa e rimettere i soldi dove li hanno presi. L’incontro con il capintesta non è più procrastinabile, per Piazza. All’ultimo piano di un grattacielo, nel centro di Milano, Ugo si presenta di fronte al boss. L’Americano gli dice, senza giri di parole, di essere convinto che i soldi, tre anni prima, se li sia intascati lui. Ma adesso vuole che Ugo torni a far parte della banda. Non lo esprime come un desiderio, lo pronuncia come un ordine. Piazza obbedisce, ma il suo piano è rientrare nel giro e cercare di scoprire, dall’interno, chi si è a suo tempo fregato i soldi scaricando la responsabilità addosso a lui. Questo almeno è ciò che confida a Nelly, la sua donna, ballerina in un night. Bellissima e sensualissima, Nelly sembra essergli rimasta fedele: quella notte fanno l’amore, appassionatamente, nell’appartamento di lei dove Ugo si trasferisce a vivere. Ma c’è sempre la misteriosa ombra rossa, che non smette di tallonarlo: è un’incognita senza volto. Intanto, un’operazione di scambio di valuta alla Stazione Centrale, gestita dall’organizzazione dell’Americano, sfocia in due tremende esplosioni che spediscono all’altro mondo sia un corriere svizzero, sia un galoppino italiano. Ugo era lì, sa che il boss ha liquidato platealmente i conti con questa gente per dimostrare la propria forza. Ma l’Americano sta sollevando troppa polvere, la polizia è in fermento e questo è un grosso male: Ugo, Chino e Don Vincenzo lamentano lo stato di cose troppo cambiato rispetto al passato. È la vigilia di un nuovo movimento di soldi destinato a finire nel peggiore dei modi. Lo scambio con un corriere tedesco avviene in un bowling, dove Ugo e Nicola sorvegliano che tutto vada per il meglio. Ma quando Nicola si chiude nei bagni per controllare i soldi, l’ombra vestita di rosso gli è addosso, lo uccide con una pistola col silenziatore e ruba i soldi. La vendetta dell’Americano scatta subito: Rocco prende con sé Ugo e un altro paio di sgherri e parte in macchina per andare a tendere un agguato al responsabile, che pare sia stato scoperto. Piazza dovrà liquidarlo, dovrà essere lui a sparare. Ma quando la trappola è sul punto di scattare, Ugo si rende conto che gli obiettivi nel mirino sono Chino e Don Vincenzo. Rifiuta di sparare, ma gli altri non hanno i suoi stessi scrupoli. Sotto il muro di fuoco e proiettili cade il vecchio cieco, mentre Chino riesce a fuggire dopo avere lasciato a terra alcuni uomini. Il rifiuto di sparare costa caro a Ugo: l’Americano è più che mai convinto che, ora come allora, sia lui il responsabile dello sgobbo, in accordo con Chino: lo fa

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picchiare, lui stesso lo schiaffeggia. Ma Ugo ha gioco facile nel ribaltare il tavolo e farlo ragionare, mettendogli davanti fatti semplici e oggettivi che dimostrano come lui sia stato avvisato soltanto all’ultimo del “movimento” e come altri fossero al corrente della cosa: Rocco e Pasquale, certamente. L’Americano si viene man mano convincendo che Ugo non può averlo fregato. Non ora, almeno. Manda Rocco a casa di Chino per fissare un incontro e chiarirsi su quanto è accaduto. Ma ciò che si è messo in moto non può essere ormai fermato, perché Chino è una belva assetata di vendetta. Sabato mattina. Mentre nella villa dell’Americano si sta celebrando una festicciola danzante, il sicario fa irruzione e, ucciso l’Americano, stermina i suoi tirapiedi – tranne Rocco, che non è presente – , aiutato da Ugo che volge la pistola contro i suoi stessi compagni di banda. Quando tutti sono rimasti a terra, compreso Chino, e nella villa c’è solo silenzio, Ugo scatta. A bordo di una Mini-Minor si allontana rapidamente dalla strage fino a raggiungere una località isolata, fuori Milano: all’interno di un vecchio rudere recupera i soldi che aveva rubato e accortamente nascosto tre anni prima. Mentre riguadagna la città, al casello dell’autostrada la polizia lo ferma: deve recarsi subito in Questura per quanto è accaduto alla villa dell’Americano. Non sospettano di lui, visto che stava rientrando e non fuggendo, ma lo vogliono interrogare. Negli uffici della Questura attendono anche Rocco e le prostitute presenti alla villa. La situazione si fa difficile per Ugo, non tanto a causa dei poliziotti, quanto perché Rocco, non appena lo ha visto entrare con una borsa in mano, ha capito. Ha capito che Piazza è riuscito a fregare tutti e ne è profondamente ammirato. Fa tanto di cappello, a Ugo, e gli dice che sarebbe pronto a mettersi con lui lasciandogli il comando, dopo un colpo maestro del genere. Il vecchio commissario non trattiene Piazza, non ha nulla per cui incriminarlo: le prostitute, su imbeccata di Rocco, dicono di non avere visto nessuno quando i proiettili hanno cominciato a sibilare. Ugo viene lasciato libero e, non appena fuori dalla Questura, chiama Nelly, avvertendola di prepararsi a partire subito, destinazione Beirut. Poi si dirige in macchina a casa di lei. Nel frattempo anche Rocco è stato rilasciato e sta seguendo Piazza in macchina. E terzi, in questa catena, sono i poliziotti che pedinano entrambi, certi che qualcosa stia per succedere. Ugo arriva da Nelly, le mostra i soldi che ha recuperato. Sorride, disteso. Finalmente può assaporarsi la prima sigaretta in santa pace. Ma la donna, quando gli ha aperto per farlo entrare, ha lasciato la porta socchiusa. E


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mentre Ugo è seduto, alle sue spalle si profila qualcuno, vestito con un giubbotto rosso e armato di una pistola col silenziatore. Nelly lo conosce bene: è il suo giovane amante, Luca, figlio del barista del night dove lavora. Lui era l’uomo che pedinava Piazza fin dal principio e che ora sta per freddarlo, su incitamento di Nelly che gli grida di fare fuoco. Ma qualche attimo di esitazione basta a Ugo per vibrare un pugno in piena faccia alla donna, uccidendola subito prima di essere lui stesso abbattuto dalle pallottole di Luca. Su questa scena fa il suo ingresso nell’appartamento Rocco. Gli bastano pochi secondi per capire quello che è successo e la sua rabbia esplode contro Luca, all’idea che uno come Ugo Piazza sia stato fregato in questo modo. In men che non si dica è addosso al ragazzo, lo afferra e gli spacca la testa sbattendola più volte contro uno spigolo, la schiuma alla bocca e le lacrime agli occhi. L’intervento dei poliziotti, che gli staccano di dosso Rocco, non salva Luca. Morto come la sua amante e come Ugo, il fumo della cui ultima sigaretta si alza dal mozzicone rimasto in bilico sul bordo del tavolo.

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