Nero catrame di Edoardo Maspero

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Le Girandole Nero catrame


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A Fiammetta e a Fede


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When I get to the bottom I go back to the top of the slide Where I stop and I turn and I go for a ride Till I get to the bottom and I see you again. The Beatles – Helter Skelter L’uomo è quasi sempre tanto malvagio quanto gli bisogna. Se si conduce dirittamente, si può giudicare che la malvagità non gli è necessaria. Ho visto persone di costumi dolcissimi, innocentissimi, commettere azioni delle più atroci, per fuggire qualche danno grave, non evitabile in altra guisa. Giacomo Leopardi – Pensieri (CIX) Ma non crediate che io stia per svelare un mistero o per scrivere un romanzo. Poe – I delitti di Rue Morgue This is the way, step inside. Joy Division –AtrocityExhibition Io sto cercando una via d’uscita nella mia vita. Uomini di mare – La mia vita


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Edoardo Maspero

NERO CATRAME ROMANZO


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RINGRAZIAMENTI: Agatha: a te devo tutto, ogni mio sorriso. Luca C., Federico B., Jonny C, Giovanni N., Carlo M.

Copertina: Patrizia Marrocco Stampa: Area Digitale s.r.l.s. – Roma 2018 © Gremese International s.r.l.s. – Roma Ogni riferimento a fatti o persone realmente esistenti è puramente casuale. Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di questo libro può essere registrata, riprodotta o trasmessa, in alcun modo e con qualsiasi mezzo, senza il preventivo consenso formale dell’Editore. ISBN 978­88­8440­991­1


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Tanti piccoli occhi che brillano nell’oscurità. È questa la prima immagine che mi viene in mente guardando fuori dal finestrino dell’aereo. Tanti piccoli occhi che brillano nell’oscurità. Ti guardano come se ti conoscessero; come se sapessero ogni segreto del tuo passato, presente e futuro. Scrutano lentamente ogni parete della tua anima fino a ricercarne la più acuta e sincera debolezza, e una volta scovatala sembra che questa risalga dall’intestino fino a strozzartisi in gola, come un urlo disperato che nessuno ascolterà mai. Questi piccoli occhi mi guardano perché sanno che sto tornando da loro, nonostante mi fossi promesso di non tornarci mai più. Sanno che non posso più scappare da loro. Il signore seduto alla mia destra sta leggendo un giornale, del quale intravedo la pagina di sinistra. È la pagina pubblicitaria di un libro. Leggo il titolo: “Il caso Giulia Mandolfini: Verità e orrore nascosto”. Giulia Mandolfini era una ragazza che è stata prima violentata e poi assassinata. Questo lo so perché mentre ero via ogni tanto compravo qualche giornale italiano e c’erano sempre un paio di articoli su questa ragazza. Ora ne hanno pubblicato un libro. Il signore alla mia destra ferma una hostess e le chiede una Sprite. Verità e orrore. Le parole del libro mi rimangono impresse nella testa, quasi me le avessero innestate nel cervello e tatuate sulla pelle. Ora i piccoli occhi sembra che stiano parlando. Immobili nel­ l’oscurità continuano a ripetere: “Verità e orrore, verità e orrore, verità e orrore”. Lo gridano squarciando la notte. La hostess torna con la Sprite e il signore la ringrazia, poi si si­ stema gli occhiali, gira la pagina del giornale e continua a leggere. Il capitano annuncia che fra dieci minuti atterreremo a Milano Malpensa. Le hostess ci fanno segno di allacciare le cinture. Io me le allaccio e penso a come sarà tornare a casa, come sarà ri­ 9


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vedere Arianna, l’amica che mi deve venire a prendere all’aeroporto, e come sarà rincontrare tutti gli altri. Continuo a pensare alle parole “verità e orrore”. Mi accorgo che la manovra di atterraggio sta per iniziare. Guardo per l’ultima volta fuori dal finestrino e poi… chiudo gli occhi. Quando la vedo, Arianna mi abbraccia. Mi dice che le sono man­ cato e incomincia a chiedermi com’è andato il viaggio. Le dico che è andato tutto bene, e sorrido. Indossa una canottiera dalla quale le si scorge il top e un paio di jeans attillati, ai piedi porta un paio di All Star nere basse, con delle piccole borchie ai lati. La trovo uguale a quando l’avevo salutata sei mesi fa. Gli occhi marroni sono uguali a sempre, ma non so perché non mi siano mai mancati. I capelli le cadono lisci sulle spalle, con quel colore castano chiaro che sembra danzare nell’aria. Mi prende per mano e mi bacia la guancia, abbracciandomi di nuovo. Sento il suo corpo contro il mio e avverto una sorta di peso sinistro addosso, ma non le dico niente. Ripete che le sono mancato, e io sono costretto a risponderle: – Anche tu. – Mi dovrai, cioè… ci dovrai raccontare un sacco di cose imma­ gino! – dice. – Nemmeno così tante… – rispondo. – Non abbiamo più avuto tue notizie, perché non hai messo foto del viaggio su Facebook? – chiede, sorridendo perplessa. – Boh… così – rispondo, scrollando le spalle. – Ma Adam, così nessuno saprà che sei andato via! – ribatte lei, scuotendo la testa. Scrollo di nuovo le spalle e non rispondo. Mi tiene ancora per mano, e io continuo a camminare seguendola. – Gli altri non vedono l’ora di rivederti – mi sussurra. Le rispondo che anche io voglio vederli, chiedendomi se stia di­ cendo la verità o meno. Fuori dall’aeroporto una lunga scia di taxi. Le loro insegne lumi­ nose trafiggono l’oscurità della notte. Davanti a noi un signore sulla 10


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cinquantina, al fianco di una donna decisamente più giovane di lui dall’accento sudamericano che indossa un vestitino verde, gambe lun­ ghe. Due tassisti, al suo passaggio, si scambiano un’occhiata furtiva e una risata. – Bene, bene, abbiamo parlato molto di te! – riprende Arianna. – Mi fa piacere – rispondo, sapendo che sta mentendo. – E poi… sei stato via tanto, non ti è proprio mancato niente? – Qualche cosa. Usciamo dal parcheggio dell’aeroporto e lei apre la macchina. Un’Audi Q5 bianca. – Salta su – dice, spalancando la portiera. Metto le mie valigie nel bagagliaio ed entro, sedendomi davanti, vicino a lei. – Sai Adam, – dice, mettendo in moto – ti trovo un po’ freddo… – No, è solo il fuso orario – rispondo. Lei non replica, si sistema i capelli e partiamo. E per tutto il viaggio, in attesa di imboccare la strada per tornare nel centro di Milano, Arianna continua a parlare e io annuisco ripetu­ tamente; a volte cerco di fingermi sorpreso e lei riesce anche a credere a qualche mia falsa quanto improvvisata risata. Poi mentre mi accendo una sigaretta guardo fuori dal finestrino e penso che su una cosa ha ragione: mi sento freddo. Alla radio passano Come as You Are dei Nirvana. Ascolto le parole: Take your time, hurry up The choice is yours, don’t be late Take a rest, as a friend, as an old memoria. Aspiro due boccate di sigaretta ma non mi va, quindi la passo ad Arianna che fa gli ultimi due tiri e la butta fuori dal finestrino. Guardo nello specchietto e vedo la luce della sigaretta spegnersi sull’asfalto e scomparire nella notte, dietro di noi. Quando arriviamo a casa mia Arianna si congeda con un bacio sulla guancia e mi informa che domani sera ci sarà una festa a casa di Francesca. – Non puoi mancare, ci saranno tutti! – dice, sorridendo. – Sì, si può fare – rispondo. 11


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– Mi raccomando, vestiti bene, come ai vecchi tempi – precisa, fa­ cendomi l’occhiolino. – Sarà fatto… – le dico. Poi mi sorride e si avvicina, baciandomi nuovamente. – Ora riposati cucciolo – sussurra. Sale in macchina, fa manovra, suona il clacson per darmi l’ultimo saluto e scompare. Dallo spiazzo della discesa in cui mi ha lasciato vedo casa mia e immagino, non so perché, che sia vuota. Arrivato alla porta la trovo chiusa. Suono il campanello, nessuno mi apre. Mi accendo una sigaretta e ricordo che mia madre prima di partire mi aveva scritto per dirmi che se non ci fosse stata mi avrebbe lasciato le chiavi sotto lo zerbino del garage. Apro il garage e trovo le chiavi. Apro la porta, la richiudo e guardo la casa. Non è cambiato niente. Vado in camera mia e anche lì è tutto come prima che partissi. C’è il poster di Taxi driver disteso sul pavimento. Lo raccolgo, scoccian­ dolo di nuovo al muro. De Niro cammina da solo lungo una strada, mani in tasca e sguardo confuso, disilluso, abbattuto. La scritta che campeggia sotto i suoi piedi recita: “Un uomo solo e dimenticato che prova disperatamente a essere vivo”. Mi stendo sul letto e chiudo gli occhi. Accendo lo stereo e metto su Speaking in Tongues dei Talking Heads. Mi guardo allo specchio e noto che sono dimagrito, mi pettino leg­ germente i capelli e scendo verso il soggiorno; più precisamente verso la dispensa degli alcolici. Li scruto attentamente. Diversi tipi di vodka e gin disposti in fila. Scelgo il secondo e me ne verso un bicchiere piuttosto gene­ roso, lo mischio con della lemon che ho trovato in frigo. Mentre il drink è pronto torno in camera per controllare che la marijuana che avevo lasciato nel cassetto del comodino prima di partire ci sia an­ cora. Fortunatamente la trovo e faccio su una canna in poco tempo, esco sul balcone e la accendo. 12


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Le stelle brillano nel cielo, e sembra che stiano respirando silen­ ziosamente. Cerco di ascoltarle ma ho ancora in mente le parole lette in aereo. “Verità e orrore.” Fumo lentamente, assaporando lo sfrigolio dell’erba che brucia. Non è granché, ma non è nemmeno da buttar via. Sorseggio il drink mentre i Talking Heads dallo stereo cantano Burning Down the House. Mi chiedo cosa succederebbe se lo facessi; immagino un grande falò nel cuore della notte, che divampa fino a in­ ghiottire ogni palazzo circostante. Forse lo dovrei fare. Ci penso per un po’, anche abbastanza seriamente, ma alla fine convengo che forse non è la cosa più appropriata da fare, quindi non lo faccio. Mi sveglio sul divano e mi guardo intorno. Nel posacenere sul ta­ volino di cristallo ci sono i mozziconi delle sigarette che mi sono fu­ mato oggi. Guardo l’orologio e noto che sono le ventuno e trentadue. Ho mezz’ora di tempo per prepararmi prima che Arianna mi passi a prendere. Il mio primo giorno a casa l’ho passato perlopiù a fumare e dor­ mire, ed è già arrivata l’ora di andare alla festa. La colf filippina, dopo essersi presentata, mi ha chiesto se deside­ rassi qualcosa da mangiare ma le ho detto che ero a posto così. Poi ho ordinato una pizza e ne ho mangiata metà, dopodiché mi sono addormentato sul divano. “Forse è meglio farsi una doccia”, penso. Vado in bagno e mi rado attentamente, poi in doccia. Quando esco mi spruzzo Calvin Klein come dopobarba. Mi metto una camicia bianca, una giacca blu di Burberry, un paio di pantaloni beige Jeckerson e mocassini, mi guardo allo specchio, che sembra quasi oscurato, ed esco di casa. Guardo l’iPhone per la prima volta nella giornata e noto che sono stato aggiunto in un gruppo Whatsapp dal nome “Ricchezza”. Nel gruppo Blanc, Coco, Ferrari, Arianna, Francesca e una serie di numeri che non conosco. Coco ha inviato un’immagine di una ragazzina nuda, sui quindici anni, che si sta fotografando nello specchio del bagno con 13


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il suo iPhone. Rimetto il telefono in tasca, chiedendomi chi sia quella ragazza. Camminando verso lo spiazzo in fondo alla discesa vedo Arianna che mi aspetta. – Come siamo carini! – dice, sbuffando fuori il fumo della sua si­ garetta. – Grazie, anche tu stai bene – le dico. – Allora, eccitato per il tuo ritorno? – mi chiede. Alzo le spalle e bisbiglio un “abbastanza” poco credibile. – Oh Adam, devi essere sempre così misterioso – dice, accarez­ zandomi la guancia. Sorrido. – È da un sacco che non vediamo l’ora di vederti e tu te ne stai lì tutto incazzato – sbotta. – Tranquilla Ari, sto bene – le dico, con un tono di voce apparen­ temente calmo, cercando di rassicurarla. – Sì va be’, comunque alla festa c’è tutto l’occorrente per divertirsi, basta chiedere! I soldi ce li hai, vero? – Sì – rispondo. – Quanto? – Duecento penso. – Bene bene, bravo pulcino – bisbiglia, aprendomi la portiera. – Salta su! Salgo in macchina e partiamo. – Sai, – incomincia Arianna – hai presente Robi, il tossico, te lo ricordi? – Sì, – rispondo – sì, so chi è, faceva le elementari con me… – Be’, – continua Arianna – ha avuto un po’ di problemi di droga… eroina, – precisa – non ricordo se rosa o cobret, e insomma i suoi ge­ nitori devono averlo scoperto e lui deve aver alzato le mani con sua madre o cose del genere… – Sul serio? – chiedo. – Sì, deve averla presa per il collo e spinta contro il muro, o mi­ nacciata con un coltello, non ricordo. – Ne sei certa? – le domando. – Così si dice, quindi sarà vero – conferma Arianna, sicura. – Mi dispiace… – dico a bassa voce. – Sì, ci dispiace un po’ a tutti e poi, – continua, mentre inserisce la 14


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quarta – prima che si incominciasse a bucare ogni tanto portava la sua roba e non era niente male. – E adesso dov’è? – le chiedo. – In una comunità in qualche parte della Liguria, il padre lo deve aver spedito lì. Era stanco del fatto che fosse diventato così aggressivo e che sì, insomma, si bucasse, ma chi non fa qualche peccatuccio a volte? – chiede, con tono innocente. – Già – rispondo. Le macchine fuori dal finestrino sfrecciano sulla strada. – E comunque se n’è andato, mi dispiace… di… invece sai che Victoria è diventata lesbica? – chiede divertita. – No, questo non lo sapevo – rispondo. “Chi è Victoria?”, mi chiedo. – E sì, al The Club una volta era talmente strafatta e ubriaca che ha incominciato a dire che aveva voglia di… va be’, hai capito, no? E che le donne a differenza degli uomini sanno dove andare a toccare, sue testuali parole, e diceva che non raggiungeva orgasmi così da, be’, non sapeva nemmeno lei dire da quando – ride. – Capisco – rispondo. – Sì, e poi infatti è uscita con Matilde poco dopo, e hanno fatto una cosa a quattro con Simo e Ale, quei due p.r. del Club House… ma ti ripeto, così dicono, te lo racconteranno meglio stasera alla festa – conclude. Annuisco. – Di un po’, – continua Arianna – ma là dove sei stato come si stava a droghe? – Non male, il prezzo era buono e non ci si doveva impegnare più di tanto per rimediarla, come dappertutto – dico. – Capisco, capisco – annuisce lei. – E il fascino dell’italiano? Ha fatto colpo? – mi chiede sorridendo. Incomincio a ridere e non so cosa rispondere. Ho conosciuto una ragazza francese, ma non ho voglia di raccontarglielo. Molto proba­ bilmente incomincerebbe a far domande e daremmo il via a una di­ scussione su com’era di faccia, di culo, di tette e roba simile, così penso che sia meglio liquidare la questione con un “Abbastanza”. Lei mi guarda e mi sfiora la spalla, dicendomi: – Sei sempre di molte parole. Annuisco. – Già – le dico. 15


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E poi sto zitto, per i restanti dieci minuti di viaggio, mentre Arianna parla, ma non la ascolto. Arriviamo alla villa di Francesca, fuori Milano, a Bellagio, per le undici e trentadue. Il gran cancello che delimita l’inizio della sua abi­ tazione è ben visibile e saldo nel terreno. Intravedo il lago, baciato da un fioco bagliore lunare; sfiorato da una calma disturbante. Arianna mi dice di scendere e di aspettarla mentre va a parcheg­ giare. Scendo e fisso il cancello. Non so se sia per l’effetto della marijuana che ho ancora in corpo ma sembra enorme, imponente e senza via d’uscita. Sento la musica prorompere con causticità mordente, e accenden­ domi una sigaretta ho come un tremore alle mani, lo sguardo continua a cadermi sulle sbarre d’acciaio e sulle punte affilate del cancello. – Tutto bene? – mi chiede Arianna. Io annuisco e lei suona il campanello, diciamo i nostri nomi ed en­ triamo. La villa occupa un perimetro di settecento metri quadrati, con un giardino che si estende per un paio di chilometri oltre le stalle dei ca­ valli di Francesca. La piscina è lunga circa ottanta metri con una pro­ fondità massima di due e dieci. La maggior parte della gente le balla intorno e il dj è posizionato lontano circa cinquanta metri dall’inizio della vasca. Mi sembra di vedere gente che conosco ma non voglio andare a salutarli da solo, così aspetto che Arianna faccia la prima mossa. Il giardino sembra infinito, e nonostante ci siano consistenti spazi vuoti è pieno di persone che come fiori marci sembrano nascere dalla terra. Più o meno sono tutti vestiti molto eleganti, con completi di qualche stilista rinomato del quale non ricordo il nome, e alcune ra­ gazze sono in abito, ognuno di un diverso colore, ai piedi portano Jef­ frey Campbell. Sembrano oscurare il prato come un’eclissi nera e assassina. Senza preoccupazioni o problemi si sfiorano i capelli, a volte tenendoli tra le mani e innalzandoli verso l’aria, fulminandosi con lo sguardo e tentando di imporsi con ferocia al centro della festa. 16


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La casa è di un bianco immacolato, dal quale spuntano diverse fi­ nestre che dominano la scena, come occhi colmi di lacrime costretti a osservare uno spettacolo che hanno già visto milioni di volte. Mi tornano in mente gli occhi che avevo visto dall’aereo. Il dj sta suonando una canzone che non conosco. Arianna è vicino a me e osserva anche lei la situazione scuotendo la testa a ritmo di musica, quando improvvisamente arriva Francesca che le si getta addosso abbracciandola, dopodiché abbraccia me. – Ma eccovi! Dov’eravate finiti? – ci chiede. Arianna alza le spalle e sorride. – E tu? Perché non ti sei mai fatto sentire? – mi chiede Francesca, abbracciandomi di nuovo. – Hai ragione, ero impegnato – le rispondo, ricambiando l’abbrac­ cio. Francesca mi guarda e si consuma in una risata acerba. – Mi racconterai, sono curiosissima! Gli altri, tutti quelli della compagnia, ti aspettano dentro! – dice, indicandomi la casa – O forse sono fuori seduti a un tavolino, non so – ride. Indossa un vestito corto scuro Versace, che le fa una generosa scol­ latura dalla quale si intravede il seno. Ai piedi Jeffrey Campbell. – Sentite, prendete da bere, vicino alla piscina c’è il bar! Ovvia­ mente è tutto pagato ma se volete, ecco… altre cosucce, basta chiedere a Tim. Lo trovate dentro casa, non fatevi problemi, ditegli solamente che vi manda Francesca, ok? – aggiunge. Annuisco e ringrazio. Così fa anche Arianna, che le da un bacio sulla guancia. Poi Francesca ci saluta, mi fa l’occhiolino e si congeda con un: “Divertitevi!”. Arianna continua a scuotere la testa e muovere la gambe e quando si accorge che la sto fissando sorride e mi dice di andare dagli altri. – I genitori di Francesca dove sono? – chiedo ad Arianna. – Il padre alle Maldive, e la madre a SaintMoritz credo… Ma come mai questa domanda? – mi chiede, stupita. – Così – rispondo. – Va be’ dai, andiamo dagli altri – conclude, prendendomi per mano. Lo stomaco incomincia a pesarmi e mi rendo conto che avverto un leggero senso di nausea. Arianna mi tiene stretta la mano mentre 17


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ci dirigiamo verso l’ingresso della casa e noto che fuori ci sono diversi tavoli e, seduto a uno di quelli, vedo Blanc. – Hei Adam, allora? – dice, stringendomi vigorosamente la mano. – Tutto bene, tu? – dico io. – Oh sì cavallo, sì… Quando sei atterrato? – mi chiede, mentresi sistema i capelli corti e mori, scalati ai lati. Indossa una camicia bianca aperta sul petto, scolpito e abbronzato. – Ieri sera. – Oh, ieri sera? – Mi è passata a prendere Arianna. Noto che è piuttosto fatto e continua a mescolare il suo Mojito. – Ne vuoi un goccio? – mi domanda, passandomelo. – Sì – faccio io. Lui fa un sorrisetto strano e poi si tira nuovamente indietro i ca­ pelli. – Oh, la sai l’ultima? – dice, entusiasta. – Quale? – chiedo. – Sarò su una pagina di Vogue Italia, non è il massimo? – esclama entusiasta. – Oh complimenti – faccio io, mentre mi fisso su dei coriandoli per terra, impiastrati di alcool e cenere. – Grazie, – fa lui – mi sono dato da fare in quella palestra, quella vicino a Corso Como, hai presente? Virgin active, hai presente? – dice, scandendo le parole. – No, a dir la verità no – replico io. Lo sguardo mi cade sulla pi­ scina, dove un ragazzo che mi sembra di conoscere ha buttato una tipa, senza reggiseno, in acqua. La ragazza schiamazza coprendosi il seno e un po’ di ragazzi, cinque o sei credo, stanno filmando la scena con il loro iPhone. – Oh, dovresti andarci, mi sembri un po’ ingrassato – dice, squa­ drandomi da testa a piedi. – Sì? – Non tanto, ma credo che un po’ di palestra ti farebbe bene, ci si può andare insieme, che ne dici? – Sì va bene, va bene – annuisco io. – Oh sì, – continua lui – ci sta anche un sacco di gente famosa lì, sai? – Tipo? 18


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– Oh, tipo… – si ferma, pensandoci su – oh, gente che conta, im­ portante, della tv – mi assicura, sorridendo. C’è un momento di silenzio, e Blanc finisce il suo mojito gettando il bicchiere per terra. – L’altro giorno mi sono tagliato, robe da pazzi – riprende. – Cioè? – chiedo. – Guarda – dice, mostrandomi il braccio; un taglio piuttosto pro­ fondo dal quale spuntano dei filetti grigi, metallici, che si intreccia­ nono tra le vene. – Che hai fatto? – Hanno messo dei poveri al tavolo di fianco al nostro al Wknd, ed partita la rissa – spiega lui. – E com’è finita? Blanc mi fa l’occhiolino e ridacchia: – Male per loro, bello, male per loro. – Ferrari come sta? – dico. – Alla grande, è al bar con Sonia, una schizzata mica male, vallo a salutare – dice, indicandomi il bancone bar. Vado al bar, passando vicino a un tavolo sul quale dei ragazzi stanno giocando a beer pong e parlando di un tavolo da fare a un fe­ stival di musica, Nameless: – Un tavolo da fare lontano dai plebei e dai poveri – dice uno, piuttosto alto, canottiera scollata e Rolex. Al bar becco Ferrari. – Hei Adam, allora siamo tornati? – dice, con una mano intorno alla spalla di Sonia, una ragazza piuttosto carina, bionda, occhi azzurri, un top nero che le innalza il seno, collant, gonna corta e Jeffrey Cam­ pbell. – Ieri – rispondo io. – Bene bene – fa lui. – Lei è Sonia – dice, presentandomi la tipa. – Ciao ciao – civetta Sonia, sorridente. – Mio padre è sempre via per lavoro sai? – Che lavoro fa? – le chiedo. – Oh un lavoro importante – dice, lentamente, drammaticamente. – Ha diverse aziende, sì, ma non so di cosa di preciso… ma… belle aziende – dice, ridacchiando. Si sistema il seno e poi sbuffa sonora­ mente, indicandomi la sua mano: – Ma è possibile che questi cazzo di timbri delle discoteche non vanno mai via? Le guardo le mani, piccole, curate, e il timbro sulla pelle. Ferrari 19


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la bacia, e poi dice: – Andiamo a salutare Coco. Torniamo verso i ta­ voli e noto che, in piscina, la ragazza in topless sta pregando i suoi amici di farla uscire e continua a ripetere: “Fatemi uscire, non è più divertente” e le parole, non so perché, mi fanno un certo effetto e mi viene in mente un articolo letto su un giornale di questa ragazzina che venne gettata, molto ubriaca, in piscina e più cercava di uscire più le persone, posizionandosi ai vari lati della vasca, la rigettavano dentro. Il gioco andò avanti per ore e la gente si dava il cambio per non farla uscire finché la ragazza, già di per sé strafatta, ci annegò dentro. Tutti si accorsero solo alla fine della festa, quando il corpo era con il viso rivolto all’ingiù, che era affogata. Giro lo sguardo verso la ragazza in piscina e me la immagino inghiottire cloro e soffocare lentamente, mentre l’acqua le riempie i polmoni. Coco è seduto su un divanetto di pelle nera con due ragazze, quando mi vede si alza e mi dà una pacca sulla spalla. – Eccolo – dice, sorridendo. – Eccoci – faccio io. – Come stai? Com’è andata? – chiede. – Sì, tutto bene – rispondo io. – Voi che avete fatto? – Ibiza, seratone, mare; Cala Comte, un sacco di tavoli al Circo Loco, Ibiza Global Radio, Tipic, Destino, e closing party al Pacha… Ti sei perso un bel po’ di serate – dice, toccandosi le narici, molto pro­ babilmente intasate per via della coca. – Sì, belle serate – ripete, questa volta annuendo. – Loro sono Jade e Samantha – aggiunge poi, indi­ candomi le due ragazze sedute sul divanetto. Loro sorridono e poi tornano al loro iPhone, dal quale stanno ascol­ tando una registrazione audio di una tipa. Dal rumore disturbato dell’iPhone esce una voce confusa, acuta, che farfuglia: “Ero davvero tirata scema piccole ieri sera, non so co­ s’ho fatto”. Le ragazze ridono. Una mora, l’altra bionda, vestito corto, parigine e Jeffrey Campbell. Coco le guarda sorridendomi, come a dirmi se me le voglia fare e io faccio spallucce. Blanc torna verso di noi e io mi accorgo che davvero a stare in mezzo a tutti sobrio non ci riesco, così gli chiedo se ha un po’ di coca da allungarmi. – Ma certo – fa lui – Quando vuoi. – Ora – dico. – Andiamo – esclama, toccandosi le tasche dei Dondup. Entriamo 20


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in casa, passiamo per la cucina e il salotto, dove un televisore da circa novanta pollici domina la scena, andiamo in bagno e Blanc prende uno specchietto da un cassetto e dalla tasca dei pantaloni tira fuori una bustina di coca. Incomincia a tagliarla con una lametta e la sistema in quattro strisce perfette, poi se ne sniffa un paio. La sua testa schizza in aria e dopo aver preso fiato si strofina il naso con le dita. Io mi faccio le altre due e le mani incominciano a tremarmi e sento che la coca è arrivata dritta al cervello. Il lieve brivido che ti accarezza la nuca. Ogni parte del corpo è attiva e reattiva, come se la sentissi palpitare per la prima volta nella mia vita: ogni arto, muscolo e goccia di sangue è in preda a un’estasi impagabile, ma lucida. Il cuore incomincia a bat­ termi velocemente, sottomesso all’adrenalina che mi pulsa nelle vene. – Questa è ottima – dice Blanc, pulendosi il naso allo specchio. La luce abbagliante gli illumina il volto abbronzato. – Ultimamente in giro trovi coca mischiata a levamisolo o altra merda che ti distrugge tutto, devi stare attento cocco – fa Blanc, pet­ tinandosi, mentre fa due respiri profondi. – Come ti senti? Il cuore pulsa violentemente, ma il resto del corpo è pervaso da un senso di sicurezza, di calma, di profonda tranquillità. Una positività maestosa, euforica, che garantisce una leggera distensione nei con­ fronti di ogni situazione: infallibilità. Deglutisco tre volte, schiarendomi la voce e cercando di gestire questa adrenalinica calma. Era da un paio di mesi che non mi facevo. Usciamo dal bagno, e da una stanza vicino alla cucina sbuca un ragazzo moro, sui vent’anni, come noi, a petto nudo, catenella d’ar­ gento al collo e braccialetto con dei teschi al polso, in mutande. Saluta Blanc e mi sorride. Si chiama Marc e dev’essere anche lui un modello, credo. – Come va? – chiede a Blanc. Blanc alza le spalle e butta fuori un “Bene”, muovendo forse un po’ troppo la mascella. – Tu Marc? – Oh sì – fa lui – Non entrare in quella stanza – dice, ridendo. – Perché? – chiede Blanc. – C’è Sonia che sta scopando con Ferrari e Alessandro. Io ho finito ora con quella troia. 21


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– Ok – fa Blanc. Usciamo dalla casa e ci sediamo con Coco, Arianna e France­ sca, a un tavolo. Sul tavolo drink finiti, con sigarette non ancora spente che affogano nel ghiaccio sfuso e pacchetti di Marlboro Light vuoti. Al tavolo arriva anche Tamira, una tipa di Porta Magenta amica di Coco. Vestitino semitrasparente, rossetto leggermente sbavato. Capi­ sco che si è appena fatta di coca, ed è una cosa automatica. Chi tira di coca capisce chi tira di coca. – Ciao Adam! – squittisce, sedendosi maldestramente su una sedia. – Ciao Tamira – faccio io. – È da un po’che non ti si vede in giro! – Ero via. – Ah sì? – Sì. – Oh be’, – sbotta, accendendosi una sigaretta – ma è vera questa storia che Fred ha fatto una festa sul suo yacht a Porto Cervo? – chiede, ad alta voce. Si piega per avvicinarsi al posacenere e dal ve­ stitino scollato le si intravede il seno, quasi scheletrico. È dimagrita moltissimo dall’ultima volta che l’ho vista. – Ma lo chiami yacht quello? – sbuffa Coco. – Ma è vero o no? – insiste Tamira. – Sì – fa Blanc – Ce lo aveva anche scritto nel gruppo su What­ sapp, ma col cazzo che ci vado da quel pezzente. – E perché a me nessuno l’ha detto? – domanda Tamira, mentre si rifà il trucco. – Oh te l’aveva detto ieri, ma eri conciata persa – le dice Francesca, ridendo. – Oh sì, – ghigna Tamira – mi hanno venduto coca ammoniacata di certo, oppure me l’hanno tagliata con troppa novocaina, sicuro. Blanc mi guarda di getto, come a dire: “Cosa ti avevo detto?”. – Perché? – chiede Ferrari, che è appena arrivato. – Niente niente – ride Tamira, facendo l’occhiolino a Francesca. – Comunque vado a farmi un altro drink, ciao belli – dice, e se ne va. – Che ha fatto la sballata? – chiede Ferrari a Francesca. – Oh, lascia stare – sbuffa Francesca. – È svenuta e l’abbiamo por­ tata in ospedale in taxi – spiega. – Ah sì? 22


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– Sì, ma il bello è che nel taxi si è pisciata addosso – ride France­ sca, portandosi una mano alla bocca. Tutti ridono. – Ma davvero? – chiede Ferrari. – Sì, vuoi vedere il video? – domanda Francesca, estraendo l’iPhone dalla borsetta. Tamira ritorna e Francesca nasconde l’iPhone. – E comunque, se qualcuno vede Fred, gli dica che ce l’ha piccolo, e che se mi vuole sbattere ancora almeno che abbia la decenza di in­ vitarmi alle sue feste! – esclama, ridendo da sola, poi se ne va via di nuovo. Francesca riprende l’iPhone e fa partire il video. Io mi alzo e decido di andare a farmi un drink per tranquillizzarmi perché sono piuttosto agitato. Al bancone, dopo aver preso un negroni, vedo Sonia, la ragazza che stava scopando con Ferrari e Alessandro, da sola. Mi indica un paio di volte, cercando di dire qualcosa, poi smette. Abbassa lo sguardo e si siede per terra, con le mani intorno alle ginocchia. La gente le passa vicino senza farci caso. Io alzo lo sguardo e rimango risucchiato per un attimo dalla notte, una sfera opaca infinita. Quando riabbasso la testa, non so come mai, ho un vuoto allo sto­ maco. Arriva Arianna e mi chiede se mi va di andare via, annuisco, bevo il drink alla goccia e andiamo a salutare gli altri. – Domani aperitivo all’Armani, ok? – mi chiede Coco. – Va bene… – rispondo io. Stringo la mano a tutti e me ne vado con Arianna, che mi chiede se mi sono fatto di coca e io dico “Sì”. Lei dice che Blanc ha sempre roba buona e io dico “Sempre” e poco prima di salire in macchina mi viene in mente che non ho chiesto a Coco chi fosse la ragazzina nuda della foto che ha inviato nel gruppo. Coco mi dice che non ci devo pensare. E che se ci devo proprio pensare, di pensarci poi. Gli ho appena chiesto secondo lui cosa dovrei fare adesso che sono tornato. Se mi convenga riniziare l’università o chissà cosa. Siamo seduti a un tavolo all’Armani Cafè. 23


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Blanc e Ferrari stanno guardando il loro iPhone. Indossano en­ trambi maglie scollate Dsquared2, jeans Dondup e Clarks. Ci sono due signori in completo a un tavolo non troppo distante dal nostro, un gruppo di ragazzi sulle poltrone posizionate ai lati della sala e una signora da sola all’ultimo tavolo in fondo al locale che sor­ seggia un martini. – Non ti devi preoccupare. Non ti devi proprio preoccupare, – con­ tinua a ripetere Coco – non ti devi preoccupare proprio di niente; que­ ste cose si risolvono da sole. E se non si risolvono da sole, qualcuno ce le risolve. Ma… in ogni caso, tu che cosa vorresti fare? – Non ne ho idea – rispondo. – Non ne ho idea, tu hai deciso subito o ti sei preso del tempo? – Ma che tempo e tempo, ma che cosa stai dicendo? Io ho scelto di fare economia per un semplice motivo. – Quale? – chiedo. – Che motivo vuoi che ci sia? – interviene Ferrari. Coco estrae il portafogli dalla tasca posteriore dei jeans e lo lancia sul tavolo. – Questo è il motivo! Se ne sta zitto un attimo e poi si accende una sigaretta. – E non venirmi a dire che sono materialista, cinico o cazzate del genere. – Mai pensato – dico. – Tutto, ogni cosa, al mondo gira intorno a questo – dice svento­ lando il portafogli Prada in aria – e noi abbiamo la fortuna che questo ce l’abbiamo. E comunque vadano le cose abbiamo il culo parato, anche se volessimo vivere di rendita per tutta la vita. Quindi Adam… take it easy. Sei tornato da tre giorni e ti chiedi già se devi andare al­ l’università o no, se devi studiare economia o no, insomma cazzo, devi stare calmo. – Lo so… – rispondo. – Scusa un attimo, – dice mentre si sistema la camicia Ralph Lau­ ren – ordino da bere e poi riprendiamo. Il cameriere passa vicino al nostro tavolo e Coco gli ordina un ne­ groni, il terzo da quando siamo seduti qui. – E poi, – continua – prima di partire, a quella cazzo di università non ti eri già iscritto? – Sì… ma poi mi sono ritirato. – E perché? 24


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