Anna Pavlova di Martine Planells

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Martine Planells

internazionali, che si conclude all’Hôtel des Indes de L’Aia nel 1931. Le bellissime fonti iconografiche presenti nel volume e l’accurata documentazione proveniente dal Fondo Pavlova presso la Bibliothèque-musée de l’Opéra di Parigi, di cui si è servita l’Autrice, fanno di questa biografia un’opera unica nel suo genere. M ARTINE P LANELLS è insegnante, giornalista

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«Spesso mi hanno chiesto perché io danzi. Danzo perché devo danzare, danzo perché il sangue che mi scorre nelle vene mi spinge a danzare. Danzo perché quest’Arte è sbocciata in me giovanissima e da allora vive in ogni fibra del mio essere.»

Traduzione dal francese: Fiammetta Paolantonio

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Anna Pavlova

e specialista di danza. Ha lavorato per il «Quotidien de Paris», «L’Événement du jeudi» e per la rivista «Danser». In qualità di produttrice, ha realizzato diverse trasmissioni sulla danza per le emittenti radiofoniche France Musique e France Culture. Oggi collabora con la rivista internazionale di danza «Ballet2000».

ISBN 978-88-6692-061-8

Anna

Martine Planells

Pavlova

L’INCOMPARABILE

Rudolf Nureyev affermava che il suo danzatore ideale in realtà era una donna: Anna Pavlova. Nata a San Pietroburgo nel 1881, Anna Pavlova è un’icona della danza classica, un punto fermo a cui ogni ballerina guarda per raggiungere la perfezione. Dotata di un fisico inusuale per una danzatrice di fine Ottocento – troppo magra, troppo fragile –, Anna trasforma il suo difetto in punto di forza. Sul palco del Mariinskij a San Pietroburgo va al di là della tecnica: usa la propria fragilità per diventare un essere etereo in Giselle e la propria silhouette snella per ottenere una conturbante e sinuosa Nikiya ne La Bayadère. Ma Anna è soprattutto Il Cigno – assolo ideato per lei da Michail Fokin –, che farà per sempre parte della sua esistenza e che danzerà con le dita anche in punto di morte. Mossa dall’ideale che il balletto vada esportato perché tutti meritano di godere della sua bellezza, Anna lascia il Balletto Imperiale per trasferirsi a Londra e fondare una sua compagnia, con la quale girerà il mondo. Nel libro, oltre alla carriera viene ricostruita anche la sua vita privata. Partendo dal Ritratto di Anna Pavlova eseguito dal pittore russo Aleksandr Yakovlev, l’Autrice rievoca il rapporto turbolento che ha legato i due artisti per nove lunghi anni. Una vita appassionante tra viaggi e amori

23/04/19 15:54



ANNA PAVLOVA L’incomparabile



Martine Planells

ANNA PAVLOVA L’incomparabile


Copertina: Francesco Partesano In copertina: Aleksandr Yakovlev Ritratto di Anna Pavlova Traduzione dal francese: Fiammetta Paolantonio Stampa: FP DESIGN – Pavona (Roma) 2019 © Gremese International s.r.l.s. – Roma Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta, registrata o trasmessa, in qualsiasi modo e con qualsiasi mezzo, senza il preventivo consenso formale dell’Editore. ISBN 978-88-6692-061-8


A Didier e a Victor

«Lei parlava con il corpo… Non trovo parole per descrivere la raffinatezza delle sue espressioni, la perfezione ineccepibile, la bellezza che supera ogni cosa. Era così commovente che sembrava di avere il cuore dilaniato dalla dolcezza… una sorta di sublime dolore.»1 Rudolf Nureyev

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Nel suo Autobiographie (tradotto dall’inglese [Nureyev, R., Nureyev: An Autobiography with Pictures, Hodder & Stoughton, Londra, 1962] da e a cura di Ariane Dollfus, Arthaud, Parigi, 2016, p. 59), Rudolf Nureyev racconta di aver visto, durante il primo anno alla scuola di Leningrado, un «vecchio film molto usurato». Era Anna Pavlova che danzava La Nuit di Anton Rubinštejn, un assolo creato per lei nel 1916 da Nikolaj Legat.



1 Il quadro dimenticato Di tutti i quadri che ritraggono Anna Pavlova, questo è il meno conosciuto. All’inizio degli anni Venti, Aleksandr Yakovlev dipinge il Ritratto di Anna Pavlova. All’epoca la ballerina è una diva che ha già conquistato il pubblico del teatro Mariinskij di San Pietroburgo prima di calcare i palcoscenici del mondo. Dall’America al Giappone, Pavlova porta la danza classica ai quattro angoli del globo, come una missione. La danza è la sua vita e lei vuole condividerla. Come altri pittori prima di lui, Yakovlev la rappresenta in tutù. Ma i tessuti, raso e tulle, diventano tutt’uno con la carne. Costume e corpo si fondono. Anna è ai piedi di una scalinata monumentale, davanti a un palazzo che si svela sul fondo come uno scenario teatrale. Al lato, un lembo del tutù si confonde con una tenda scura, forse un sipario. Curiosamente, la mano destra che poggia sul tutù forma quasi un angolo retto con il braccio. Il piede sottile si tende in una punta. Pavlova è un’artista raffinata ed elegante e la curva delle sue spalle emana una sensualità intrisa di dolcezza. Sui capelli, raccolti in uno chignon dietro la nuca, poggia una corona di fiori. Ma ciò che colpisce di questo ritratto è soprattutto l’espressione del viso. Gli occhi chiusi seguono la movenza della bocca che sorride. È grave e serena come una vergine di Raffaello, uno dei pittori preferiti di Yakovlev, ma anche felice. Per quale miracolo questo pittore, avventuriero, etnografo, scrittore, uomo dai molti talenti, russo come lei, è riuscito a cogliere una 7


Anna Pavlova

propensione alla felicità che la leggenda di Pavlova lascia invece nell’ombra?Per i posteri, Pavlova è un’artista che ha consacrato il proprio corpo alla danza. Lo ha fatto rinunciando all’amore? Anna ha molto danzato, fino allo sfinimento, un repertorio che annovera decine di pièces e balletti, benché la sua interpretazione più celebre sia l’assolo del Cigno. Al punto da essere identificata con il balletto di Michail Fokin, dove evoca l’angoscia della morte in tre minuti e cinque secondi. Colei che sulla musica di Saint-Saëns rendeva all’estremo i fremiti dell’agonia di un cigno, ha vissuto solo sotto la luce dei riflettori? Aleksandr Yakovlev, che firmava i primi quadri con la trascrizione fonetica del suo nome in cinese Ya Ko Lo Fou (Fou in cinese significa felicità), possiede una gioia di vivere tale da riuscire a trasmetterla alla sua modella? Possiamo supporre che tra il pittore e la ballerina vi sia qualcosa di eccezionale. Una complicità che va oltre l’amicizia. Nel dipinto, dietro la danzatrice si sente pulsare la donna… Anna Pavlova, ballerina di San Pietroburgo che tutti chiamano «la Pavlova», votata alla tragedia del Cigno che danzerà solo con le mani anche sul letto di morte, ha conosciuto nella vita qualcosa di diverso dalla danza, dagli applausi, dai viaggi che l’hanno portata in tutti i teatri del mondo? È stata felice? È stata anche una donna o solo una danzatrice? A svelarlo non sarà però Victor Dandré, presentato come suo «marito» – cosa che in realtà nessun atto ufficiale attesta. Nella biografia Anna Pavlova in Art and Life pubblicata nel 1932, un anno dopo la morte di Anna, Dandré riferisce qualche scarno aneddoto sulla donna, ma il suo obbiettivo è soprattutto quello di mettere la danzatrice su un piedistallo da cui non scenderà mai. Né il quadro né il nome di Yakovlev figurano nel capitolo intitolato «Pittori e scultori». Per Dandré, quel pittore e quel quadro non esistono. E lei, così attenta alla propria immagine al punto da controllare le centinaia di fotografie che le vengono scattate e farle ritoccare quando non le piacciono, ambisce forse a essere altro 8


Il quadro dimenticato

oltre alla dea della danza, una leggenda vivente? Non si sa per certo. E questo fa di Anna una delle prime dive del Ventesimo secolo. Ancora oggi, come ben sanno tutte le giovani danzatrici, il commento di un maestro che le paragona alla Pavlova rappresenta la speranza di poter forse un giorno raggiungere la perfezione. Anna le fa sognare, così come sognava Rudolf Nureyev quando a Ufa la sua prima insegnante, Anna Udeltsova, gli parlava della Pavlova: «Mi spiegava […] come la più grande delle ballerine si esercitasse religiosamente per acquisire una tecnica ineccepibile, ma anche come l’atmosfera che creava intorno a sé rendesse invisibile ogni evidenza di tecnica, dando ogni volta l’impressione di una spontaneità assoluta. Al punto che gli spettatori estasiati pensavano di assistere al compimento di un miracolo. Quest’idea mi incantava. L’arte di dissimulare l’arte era certamente la chiave della grandezza di un artista»2. Anna Pavlova, ballerina di San Pietroburgo, ha saputo uscire dal proscenio del teatro Mariinskij e percorrere il mondo per diventare danzatrice esemplare. «L’incomparabile» diranno di lei i critici americani. Alla galleria Tret’jakov di Mosca, il bel ritratto di Anna Pavlova dipinto da Aleksandr Yakovlev sprigiona ancora oggi un fascino immutato. Nel guardarlo non si può non pensare che ogni donna custodisce un segreto, ogni donna ha il suo mistero. Qual era quello di Anna Pavlova?

2

Nureyev, R., op. cit. p. 59.

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2 Lo studio di danza Lo studio sta al ballerino come l’atelier sta al pittore. È un luogo chiuso e privato dove l’artista può dedicarsi in solitudine alla sua arte. Tutti i danzatori lavorano in uno studio, ma non tutti ne hanno uno in casa propria. Quello di Marius Petipa, il maître de ballet francese nato a Marsiglia che regnerà per oltre cinquant’anni sul destino del teatro Mariinskij, è un passaggio obbligato. Petipa si è fatto montare in casa un pavimento inclinato con un grande specchio e una sbarra. Qui le sue danzatrici ricevono le ultime raccomandazioni e assorbono le parole del Maestro prima di affrontare la scena. Anna vi si recherà spesso, ma avrà sempre anche uno studio in casa sua. Nei periodi trascorsi a Ivy House, la sua dimora londinese, lo studio occupa l’immenso salone. Sulla soglia, il visitatore è accolto da un ritratto della danzatrice in piedi dipinto da Steinberg nel 1909. Istintivamente gli allievi tentano di penetrare l’immagine di questa eterea signora vestita di bianco, avvolta in una stola azzurro pallido, con una lira in mano e la fronte cinta da una corona di alloro. Lunghe sbarre di legno corrono lungo una parete, mentre quella opposta è occupata da un grande specchio. In un angolo c’è il pianoforte, dono proveniente dall’America. Sui muri, i disegni di Léon Bakst e alcuni ritratti di Maria Taglioni; sotto vetro una pagina delle memorie della danzatrice francese. Anna allestisce il suo primo studio a San Pietroburgo, nell’appartamento di via Angliyskiy. Quando nel 1905 viene scritturata dal teatro Mariinskij, 10


Lo studio di danza

Pavlova si trasferisce da via Kolomenskaja a via Angliyskiy, un indirizzo già ben noto ai servizi segreti di informazione. Al numero 18 di quella strada, infatti, il giovane zarevic Nicola II ha sistemato la sua amante, la ballerina Matil’da Kšesinskaja, nel periodo del loro legame sentimentale. Scrittori e artisti amano questo quartiere e anche Djagilev abita a due passi. L’appartamento di via Angliyskiy è un munifico dono di Victor Dandré alla sua giovane protetta. Figlio di un ricco proprietario terriero di Poltava, Dandré non sorride mai, ma è fortunato. Grande estimatore di arte, ha saputo scovare eleganti mobili intarsiati risalenti all’epoca di Luigi XV, lampadari e candelabri di cristallo, quadri di grandi pittori e soffici tappeti. In questo interno carico e sontuoso lo studio è un’enclave di sobrietà: un pianoforte, sbarre, specchi e null’altro. Lo specchio, indispensabile al danzatore, non è un accessorio narcisistico, ma lo aiuta a correggere i propri difetti. È un alleato importante, perché rivela impietoso ogni minima imperfezione. Tutti i più grandi danzatori si attendono dallo specchio la verità nuda e cruda. E la verità è feroce anche per un’artista come Anna Pavlova, che non si accontenta di approssimazioni. È una ballerina, danza su uno dei prosceni più belli del mondo, è adulata dalla famiglia imperiale, da nobili e artisti, da tutta la San Pietroburgo che conta. Ma ha dei difetti e ne è consapevole. Enrico Cecchetti, la cui insolita nascita nel 1850 in un camerino del teatro Tordinona di Roma sembra una chiara predestinazione alla scena, è stato primo ballerino poi insegnante alla Scuola Imperiale di Balletto del teatro Mariinskij. Celebre per il suo occhio acuto, giudica i movimenti sempre troppo rigidi e ritiene che i danzatori non lavorino abbastanza. Segue con attenzione gli esordi di Anna alla Scuola e più avanti dirà di lei: «Il genio non si spiega»3. Nei suoi confronti nutre una tenerezza paterna. Lui e la moglie Guiseppina, la quale fino alla morte indosserà una medaglia che Anna ha donato al Maestro quando 3

Racster, O., The Master of the Russian Ballet: The Memoirs of Cav. Enrico Cecchetti, con un’introduzione di Pavlova, Hutchinson, Londra, 1922, p. 259.

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Anna Pavlova

è entrata al Mariinskij nel 1899, la considerano una figlia. Tuttavia, la tenerezza non esclude la lucidità. Nonostante Anna sia una danzatrice famosa, il Maestro ha il coraggio di farle notare che ha una debolezza nella schiena e la spiacevole abitudine di poggiare le mani sul tutù. «Di quanto tempo pensate che avrò bisogno per superare questi difetti?» gli chiede lei. «Tre anni» risponde Cecchetti4 . Lei non se la prende, la sua franchezza non la offende. Al contrario, gliene è riconoscente. Spesso un artista affermato è circondato da adulatori che preferiscono ridere alle sue spalle piuttosto che avere il coraggio di fargli notare un difetto che rischia di diventare grottesco. Ma Cecchetti è fatto di altra pasta, dice la verità. Anna gli chiede immediatamente di diventare il suo insegnante privato. Ma il progetto rischia di fallire perché Cecchetti dirige una scuola a San Pietroburgo e le due cose sono inconciliabili. Lei, determinata, appiana ogni difficoltà proponendogli un salario che corrisponde esattamente al compenso che lui riceve dalla Scuola, e suggerendogli di lasciarne in mano le redini a Giuseppina e al loro figlio. Il Maestro si arrende e l’accordo è concluso. Appassionato del Rinascimento italiano, egli le inculca ciò che ha appreso di quel periodo: la bellezza sta nell’essenziale e le posizioni delle braccia nascono dalla colonna vertebrale e dalla giuntura delle spalle. Cecchetti, che ha custodito fedelmente gli insegnamenti della Scuola italiana di Carlo Blasis, si reca a fare lezione a casa della ballerina. La scena si ripete immutabile. Con la tenuta già indosso – un pantaloncino a sbuffo e una corta tunica5 – Anna fa appena in tempo a finire una tazza di tè che il Maestro bussa alla porta con il suo bastone. Borbotta «sono in ritardo», si lamenta della rigidità dei danzatori visti 4

Ibid. p. 212.

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Enrico Cecchetti le raccomanda di indossare questa tenuta per poter correggere agevolmente la posizione delle gambe e delle ginocchia.

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Lo studio di danza

in scena la sera prima, poi comincia la lezione senza ulteriori indugi. Il programma è diverso ogni giorno. Il metodo elaborato dal Maestro mira a far sviluppare l’abitudine ad assumere la postura corretta e a conservarla sia nei movimenti a terra che in quelli in aria. Non è mai indulgente, ma sempre giusto. Di fronte a lui Anna resta umile, torna a essere un’allieva che ha come unico obbiettivo quello di raggiungere la perfezione. Anche il giovane danzatore Nižinskij è invaghito della perfezione. Benché abbia solo diciassette anni viene ingaggiato al teatro Mariinskij, dove tutte le ballerine lo vogliono come partner. Spesso Anna invita Vassia – come lo chiama affettuosamente – a fare lezione con lei. Insieme studiano i pas de deux del repertorio sotto la direzione di Cecchetti. Talvolta si unisce a loro anche la sorella Bronislava Nižinska. Nello studio l’atmosfera non è idilliaca. Totalmente concentrata sulla propria vocazione, Anna non può impedirsi di invidiare la qualità dei salti di Nižinskij e di sua sorella. Da dove viene il loro segreto? Perché ne è convinta: la famiglia Nižinskij ha un segreto. Un giorno, davanti a Cecchetti, chiede a Bronia di togliersi le scarpette: «Bronia, salti così in alto che credo dovremmo guardare nelle tue scarpette… Scopriremo finalmente il segreto che Nižinskij condivide con sua sorella…»6. La battuta fa molto ridere Cecchetti, divertito dal temperamento geloso di Pavlova. Ma la spiegazione è altrove, Anna deve convenirne. E il lavoro che fanno insieme non è che una tappa. Per quanto si senta a proprio agio nel suo studio, il danzatore deve lasciarlo per entrare in scena. È la natura stessa del suo lavoro. Pavlova e Nižinskij danzeranno assai poco insieme. Lei non ama condividere con il partner le acclamazioni del pubblico. Vuole che gli applausi siano per lei e solo per lei! Ciò nonostante, la loro esecuzione del pas de deux dell’Uc6

Nijinska, B., Mémoires 1891-1914, Ramsay, Parigi, 1983, p. 215.

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Anna Pavlova

cellino azzurro ne La Bella addormentata nel bosco7 al Mariinskij, nel febbraio del 1908, è leggendaria. Nelle sue memorie, Bronislava scrive: «Non dimenticherò mai la silhouette fragile e delicata di Pavlova, le sue mani così vive ed espressive. Quando la Principessa e l’Uccellino azzurro danzano insieme, quando giocano, planano e si librano sulle acque tumultuose del torrente, niente può eguagliare la leggerezza della loro danza»8.

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La Bella addormentata nel bosco. Ballet-féerie in 3 atti con prologo ispirato al racconto di C. Perrault. Musica di P. Čajkovskij, libretto di I. Vsevoložskij e M. Petipa, coreografia di M. Petipa. 3 gennaio 1890, Mariinskij / Palazzo di Maria. 8

Nijinska, B., op. cit. p. 191.

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3 L’enigma di un padre Anna nasce a San Pietroburgo il 31 gennaio 18819, in un giorno di pioggia. Piove molto a San Pietroburgo. A un giornalista del «New York Times» che la intervista a New York nel marzo del 1910, racconta la malinconia e la tristezza connaturate all’atmosfera della capitale russa. Una tristezza che lei ha respirato a lungo e che la pervade al punto da essere incline ad amarla anche nell’arte, nel dramma, nella natura… Forse questa disposizione d’animo le deriva anche dalla sua fragilità. Sin da neonata è stata di salute cagionevole; la sua vita è stata spesso appesa a un filo. Sua madre – al momento della nascita – la tiene avvolta per mesi in fasce di cotone. Ljubov’ Feodorovna fa la lavandaia e lavora duramente per crescere sua figlia. Nell’appartamento di via Kolomenskaja, dove fa freddo d’inverno e caldo d’estate, non si mangia sempre a sazietà. Sua madre è povera, ed essere poveri a San Pietroburgo in quegli anni significa mangiare più spesso pane intinto nel tè che kasha, una minestra per le grandi occasioni servita durante le festività natalizie. Dal lato materno la dolcezza le viene da babushka, sua nonna, che vive a Ligovo, a qualche versta da San Pietroburgo. È lì che Anna trascorre i suoi primi anni di vita. Senza babushka che la cura dai continui malanni che l’affliggono, sarebbe morta. La vecchia signora, che conosce le piante e le loro virtù, le insegna tutto sui bucaneve, i mughetti e i funghi; le racconta le storie e 9

Secondo il calendario giuliano in vigore fino al 1917 (e che abbiamo usato come punto di riferimento nel testo per ciò che riguarda gli eventi che avevano luogo in Russia), ossia il 12 febbraio secondo l’attuale calendario gregoriano.

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Anna Pavlova

le favole di Krylov. Tutta la sua educazione – qualche lezione di cucito, di grammatica e di letteratura – Anna la riceve a Ligovo. Come racconterà nel 1927 a un giornalista, sarà sua madre, una donna semplice ma «delicata, dai tratti fini e aristocratici, il cui viso, pieno di languore emanava un’espressione di dolcezza benevola e di bontà» ad aprirle una finestra inattesa sulla danza e sull’arte. «Ancora oggi, dopo tanti anni, conservo nel cuore l’immagine viva di una madre affettuosa e tenera il cui solo sguardo mi avvolgeva con la sua gioia e mi rendeva felice.»10 Ljubov’ ha fatto grandi sacrifici per comprare due posti per La Bella addormentata nel bosco al teatro Mariinskij. Un regalo di Natale che sarà una promessa di vita. Una sera di dicembre madre e figlia partono insieme con la slitta; la neve appena caduta brilla al riverbero dei lampioni. La madre circonda con il braccio la vita della bambina e stringendosi a lei le dice: «Vedrai il paese delle fate»11. Durante lo spettacolo, mentre ascolta la musica di Čajkovskij, l’emozione è così violenta che Anna affonda le unghie nei palmi fino a sanguinare. Come se la bellezza non potesse che essere associata al dolore. Da quel momento è deciso. Nura, come la chiama affettuosamente sua madre, diventerà ballerina. Ma non una ballerina del corpo di ballo che volteggia nel valzer, no, lei sarà la ballerina. Colei che danza da sola, circondata da quattro pretendenti e che come lei sarà applaudita, concederà il bis, riceverà mazzi di fiori e saluterà il pubblico incantato con una riverenza. La sua vocazione è improvvisa, definitiva e irrevocabile. «Un giorno sarò La Bella addormentata, e come lei danzerò qui, in questo teatro.»12 Per tutta la vita Pavlova ha amato citare un proverbio russo

10

Raccolta di scritti e di interviste di Anna Pavlova, 1923-1928 («Volonté», 20 maggio 1928) BnF-Arts du Spectacle. 11

Pavlova, A., Souvenirs d’une Princesse de la Danse, in «Lectures pour Tous», Parigi, 1 giugno 1913, trad. S. Voirol. 12

Ibid.

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L’enigma di un padre

che recita: «Quando si desidera una cosa è già fatta per metà»13. Uscendo dalla sala blu e oro del Mariinskij, la bimbetta di otto anni conosce già il proprio destino. Il lato paterno, invece, è avvolto nel mistero. Il padre di Anna è morto o scomparso? Perché se ne è andato? La madre resta in silenzio. Di questo padre perduto quando aveva due anni Anna non sa niente. Due nomi si avvicendano nella sua mente: non li ha inventati, li ha sentiti pronunciare da sua madre e babushka a Ligovo, nelle loro conversazioni a bassa voce. È forse figlia del soldato di riserva Matvej Pavlov, oppure di Lazar Polyakov, discendente di una ricca famiglia di banchieri ebrei? Che cosa pensa Anna nel profondo del suo cuore? Ljubov’ Feodorovna, che aveva lavorato come cameriera presso la famiglia Polyakov, era sufficientemente graziosa da attrarre un uomo di condizione sociale agiata. Inoltre, quando Anna si guarda allo specchio, i suoi tratti orientali e il suo portamento naturalmente distinto le rivelano le sue origini. Questa donna audace non saprà mai da dove viene, ma saprà sempre dove va. In questo, sarà sostenuta da diverse figure paterne. Lo zar è una delle più importanti. L’episodio che segue potrebbe apparire come un gesto infantile se non rivelasse la costante ricerca di una figura paterna da parte di Pavlova. All’epoca, in Russia, i sudditi chiamano lo zar con il nomignolo affettuoso di «piccolo padre». Da lui dipende la Scuola Imperiale di Balletto, che si fa carico degli allievi in tutto e per tutto. Anna, che frequenta la Scuola dal 1891, ha quindi avuto occasione di incontrarlo come tutti gli altri allievi. Lo zar Alessandro III ama molto la danza e talvolta, senza preavviso, assiste a una delle rappresentazioni che i bambini fanno nel loro teatro. Quel giorno la visita ha carattere ufficiale, e lo zar è accompagnato dall’imperatrice Marija Fëdorovna e da altri membri della famiglia imperiale. Dopo la conclusione del balletto, gli allievi sono invitati a entrare in sala. Lo zar si avvicina a Stanislava Belinskaja e la prende in 13

Raccolta citata, «Volonté», 20 maggio 1928.

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Anna Pavlova

braccio. Sarà perché è bionda e ha l’aria angelica? Stanislava è un’ottima allieva nonché la migliore amica di Anna. Lo zar è un gigante che pesa più di cento chili e con la sua fronte immensa e gli occhi profondi e scrutatori incute terrore. Eppure, il suo sorriso è irresistibile. Anna vorrebbe trattenersi, ma non ci riesce, è più forte di lei, e scoppia in lacrime. Nessuno capisce il perché di questo pianto improvviso e quando glielo chiedono risponde che vuole che lo zar prenda in braccio anche lei. L’amabile granduca Vladimir Aleksandrovič, fratello di Alessandro III ride di cuore, la solleva e l’adagia sulle sue ginocchia. Ma Anna continua a piangere. Il granduca è sempre più divertito dalla scena e l’imperatrice Marija Fëdorovna sorride sorpresa. Il direttore della scuola si agita paonazzo, fulminando Anna con lo sguardo e chiedendosi se sia meglio attendere il decreto di esilio in Siberia o suicidarsi seduta stante. Ma lo zar si rivolge alla bambina: «Vieni» le dice. «Hai ragione di piangere, sono stato cattivo. Vieni sulle mie ginocchia, visto che ami tanto il tuo zar»14 . Gelosa, indomita e volitiva, Anna vuole accaparrarsi la scena e l’assenza di un padre rimane per lei una ferita aperta. Non prestandole attenzione, non scegliendola, lo zar, che incarna a un tempo l’autorità suprema e l’immagine tutelare, la rinvia alla sua condizione di orfana. L’emozione è troppo forte.

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Raccolta citata, «Volonté», 22 maggio 1928.

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Martine Planells

internazionali, che si conclude all’Hôtel des Indes de L’Aia nel 1931. Le bellissime fonti iconografiche presenti nel volume e l’accurata documentazione proveniente dal Fondo Pavlova presso la Bibliothèque-musée de l’Opéra di Parigi, di cui si è servita l’Autrice, fanno di questa biografia un’opera unica nel suo genere. M ARTINE P LANELLS è insegnante, giornalista

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«Spesso mi hanno chiesto perché io danzi. Danzo perché devo danzare, danzo perché il sangue che mi scorre nelle vene mi spinge a danzare. Danzo perché quest’Arte è sbocciata in me giovanissima e da allora vive in ogni fibra del mio essere.»

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e specialista di danza. Ha lavorato per il «Quotidien de Paris», «L’Événement du jeudi» e per la rivista «Danser». In qualità di produttrice, ha realizzato diverse trasmissioni sulla danza per le emittenti radiofoniche France Musique e France Culture. Oggi collabora con la rivista internazionale di danza «Ballet2000».

ISBN 978-88-6692-061-8

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L’INCOMPARABILE

Rudolf Nureyev affermava che il suo danzatore ideale in realtà era una donna: Anna Pavlova. Nata a San Pietroburgo nel 1881, Anna Pavlova è un’icona della danza classica, un punto fermo a cui ogni ballerina guarda per raggiungere la perfezione. Dotata di un fisico inusuale per una danzatrice di fine Ottocento – troppo magra, troppo fragile –, Anna trasforma il suo difetto in punto di forza. Sul palco del Mariinskij a San Pietroburgo va al di là della tecnica: usa la propria fragilità per diventare un essere etereo in Giselle e la propria silhouette snella per ottenere una conturbante e sinuosa Nikiya ne La Bayadère. Ma Anna è soprattutto Il Cigno – assolo ideato per lei da Michail Fokin –, che farà per sempre parte della sua esistenza e che danzerà con le dita anche in punto di morte. Mossa dall’ideale che il balletto vada esportato perché tutti meritano di godere della sua bellezza, Anna lascia il Balletto Imperiale per trasferirsi a Londra e fondare una sua compagnia, con la quale girerà il mondo. Nel libro, oltre alla carriera viene ricostruita anche la sua vita privata. Partendo dal Ritratto di Anna Pavlova eseguito dal pittore russo Aleksandr Yakovlev, l’Autrice rievoca il rapporto turbolento che ha legato i due artisti per nove lunghi anni. Una vita appassionante tra viaggi e amori

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