TuttoLeone di Oreste De Fornari

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TuttoLeone


«CineOmnibus» Monografie di cinema e spettacolo per la scuola e l’università Collana diretta da Enrico GiacovElli


Oreste De Fornari

TuttoLeone A cura di Enrico GiacovElli

Con contributi di Franco FErrini e DiEGo Gabutti


a Michela

Si ringraziano: Enrico Appetito, Guia Croce, Gloria De Antoni, Gianluca Farinelli e Rosaria Gioia (Cineteca di Bologna), Emma Ferrini, Massimo Ghirlanda e Sabina Meini (Centro Studi Commedia all'Italiana), Marco Giusti, Anna Guedy, Angelo Humouda, Raffaella Leone, Paolo Luciani e Cristina Torelli (Officina Filmclub), Massimo Marchelli, Piero Messori, Carmelo Milone, Giorgio Navarro, Nicola Petralia, Valeria Paniccia, Antonietta Pizzorno, Claver Salizzato, Aldo Tassone, Patrizia Viola, Alejandro Villareal. Un ringraziamento speciale a Enrico Giacovelli, che ha curato questo volume con competenza e creatività, arricchendolo di note, materiali e illustrazioni.

Copertina: Francesco Partesano In copertina: in alto, da sinistra: Clint Eastwood in Per qualche dollaro in più, Lee Van Cleef in Il buono, il brutto, il cattivo; al centro: Claudia Cardinale in C’era una volta il West, Rod Steiger in Giù la testa, Elizabeth McGovern in C’era una volta in America; in basso: Charles Bronson in C’era una volta il West, Eli Wallach in Il buono, il brutto, il cattivo, Robert De Niro in C’era una volta in America. A pagina 2: La prima inquadratura ravvicinata di Clint Eastwood in Per un pugno di dollari. A pagina 319: Lee Van Cleef in Per qualche dollaro in più. Fonti iconografiche: La gran parte delle immagini è tratta da fotogrammi delle pellicole citate. Per le immagini di Leone bambino si ringrazia Raffaella Leone. Quanto alle altre foto aggiuntive, per quanto possibile l’Editore ha cercato di risalire al nome del loro autore così da darne la doverosa menzione, ma le ricerche si sono rivelate infruttuose. Nel chiedere dunque scusa per qualunque eventuale omissione, l’Editore si dichiara disposto sin d’ora a revisioni in sede di eventuali ristampe e al riconoscimento dei relativi diritti ai sensi dell’art. 70 della legge n. 633 del 1941 e successive modifiche. Stampa: Peruzzo Industrie Grafiche – Mestrino (PD) L’Autore ha tratto una parte dei materiali qui pubblicati dal suo volume Tutti i film di Sergio Leone, Ubulibri 1984. 2018 © Gremese International s.r.l.s. – Roma Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta, registrata o trasmessa, in qualsiasi modo e con qualsiasi mezzo, senza il preventivo consenso formale dell’Editore. ISBN 978-88-6692-034-2


ÂŤCosa vuol dire buono, brutto, cattivo? Siamo tutti un po' brutti, un po' cattivi, un po' buoniÂť.

Sergio Leone



SOMMARIO Introduzioni Quando il pubblico applaudiva di Oreste De Fornari (1983), 9 Chi ha tradito il cinema italiano? di Luc Moullet (1983), 10 L’uomo che corruppe il western di Oreste De Fornari (2018), 11

Prima parte – Vita e film,

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Biofotogrammi (Il film della vita), 15 I film di Sergio Leone: 27 1. Prima del West (Gli ultimi giorni di Pompei; Il Colosso di Rodi), 29 2. La trilogia del dollaro (Per un pugno di dollari; Per qualche dollaro in più; Il buono, il brutto, il cattivo), 37 3. La trilogia del tempo (C’era una volta il West; Giù la testa; C’era una volta in America), 69 4. Sei modi per non somigliare a John Ford, 106

Seconda parte – Parole, 1. 2. 3. 4.

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Leone racconta, 131 Leone raccontato, 143 Leone giudica (I colleghi e i loro film), 181 Quando un uomo con la pistola... (Frasi e dialoghi dai film), 185

Terza parte – Materiali,

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1. Documenti, 213 Il western-melodramma di Giuseppe Rausa (1984), 213 Il film che Leone non ha voluto girare di Oreste De Fornari (2008), 215 Squadrone Hollywood di Diego Gabutti (2018), 217 C’erano una volta l’America, il West e… il Festival di Cannes di Franco Ferrini (2013), 219 2. FiLmograFia reaLe e raSSegna-Stampa, 235 a) I film diretti e firmati da Leone, 235 b) I film parzialmente diretti (ma non firmati), 287 c) Leone produttore, attore, sceneggiatore, aiuto-regista, pubblicitario, 306 3. FiLmograFia Di BaBeLe, 311 I progetti non realizzati, 311 Altri progetti accarezzati o rifiutati, 313 4. BiBLiograFia eSSenziaLe, 315

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Il cinema western di Leone sintetizzato nei titoli di testa di Per un pugno di dollari.

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INTRODUZIONI introDuzione 1983 (i) Quando il pubblico applaudiva di Oreste De Fornari Si narra che quel pomeriggio del gennaio 1966 Sergio Leone si trovasse nel suo ufficio quando vi fecero irruzione tre tipi minacciosi che esordirono in dialetto romanesco: «Dotto’, abbiamo visto il film venti volte, abbiamo scommesso un milione, lei ce lo deve dire: è la figlia o la sorella?». La loro curiosità riguardava l’ultimo film di Leone, Per qualche dollaro in più, e in particolare il grado di parentela tra la ragazza violentata nel flashback e Lee Van Cleef, che ne custodisce il ritratto nell’orologio e la vendica uccidendo il bruto. Nonostante uno scambio di battute chiarificatrici (Eastwood: «C’è aria di famiglia in questa foto». Van Cleef: «Succede a volte tra fratello e sorella»), i tre romani non avevano capito. Forse le battute erano state coperte da grida e applausi: accadeva spesso coi western, soprattutto quando la regia era di Leone. Si sa che il cinema popolare italiano vive di brevi entusiasmi. Il boom del western ha seguito quello dell’horror, del peplum, del feuilleton avventuroso, del film-opera, eccetera. Non proprio generi, appena filoni. Il genere è un prodotto industriale, comporta un flusso di investimenti regolari, il filone appartiene piuttosto a un’economia di rapina: sfruttato intensivamente, si esaurisce presto. Inoltre il filone è rivolto a un pubblico circoscritto, talvolta solo regionale, come nel caso del film napoletano degli anni Cinquanta. Solo la commedia all’italiana, prodotto medio per eccellenza, sembra sfuggire a questo clima di precarietà: équipes più o meno stabili di registi e sceneggiatori, attori e personaggi ricorrenti, favore costante di ogni tipo di pubblico. Anche i western di Leone hanno avuto successo, come le commedie, sia nelle prime visioni che in periferia, sebbene non abbiano i requisiti del prodotto medio. A differenza di Risi o Comencini, Leone non cerca di attenuare i motivi più sofisticati e quelli più volgari, ma li esaspera: ci sono battute da farsa accanto a finezze un po’ ermetiche. Davanti a certi silenzi prolungati (Lee Van Cleef che entra nella fattoria messicana all’inizio di Il buono, il brutto, il cattivo) si sentivano a volte gli incitamenti del pubblico, «Ma cosa aspettate a parlare!», cosa che capitava abitualmente solo con i film di Antonioni. Erano comunque sintomi di impazienza più che di malcontento. Invece certi critici italiani detestavano veramente Leone: gli davano del manierista, che in quell’epoca austera era quasi un insulto. Dopo vent’anni il manierismo è di gran moda e la gerarchia tra generi colti e generi popolari è stata finalmente abolita. Leone ormai è considerato una specie di classico. Si parla, per C’era una volta il West, di metawestern, di western decostruzionista, di cinema che riflette su se stesso. Umberto Eco ha paragonato la «nostalgia atea» di Leone per il West a quella dell’Ariosto per il Medioevo. Ma questo frasario paludato non si addice troppo ai suoi film. Si rischia di dimenticare che un tempo la folla, per vederli, sfondava il botteghino, i moralisti accusavano Leone di apologia della violenza e certi cinéphiles imparavano a memoria i dialoghi. Succedeva perfino che la musica di C’era una volta il West venisse suonata ai matrimoni al posto della Marcia nuziale di Mendelssohn.

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introDuzione 1983 (ii) Chi ha tradito il cinema italiano? di Luc Moullet Esistono in Italia due tipi di cinema degni di interesse: da una parte un “cinema d’autore” fondato su soggetti nuovi, quello di Rossellini, Visconti, Antonioni, Fellini, Pasolini, Bertolucci, applaudito dalla critica, ma per molto tempo ignorato dal pubblico; e dall’altra parte, un cinema fondato sulle convenzioni dei generi, i “filoni” come li chiama Oreste De Fornari, quello di Cottafavi, Bava, Matarazzo, Jacopetti, un cinema disprezzato dalla critica transalpina, ma che attira le folle. All’interno di questo cinema dei “filoni”, Sergio Leone batte i record di provocazione: mentre il cinema italiano lotta con tutti i mezzi contro l’invasione dei film americani, Leone praticamente fa soltanto western, tutti i suoi film sono ambientati in America e spesso sono girati in lingua inglese. Mentre la qualità di un film italiano veniva spesso valutata in funzione del suo quoziente di neorealismo, Leone si fa beffe della realtà, e si interessa solo al passato, mai al presente. Il cinema impegnato detta legge? Ebbene, Leone non prende mai partito (Giù la testa). Leone, o il perfetto traditore del cinema italiano. E tuttavia – il libro di De Fornari lo mostra bene – questi due cinema nemici hanno dei legami solidi tra loro: Monicelli e Risi che passano improvvisamente dal secondo campo al primo, come De Sica, che ritornerà alla fine della sua carriera al film di genere; Bertolucci che collabora alla sceneggiatura di un film di Leone; Pasolini che recita in un western e prende per un film i due comici più modesti, Franchi e Ingrassia; Leone assistente e comparsa in Ladri di biciclette, Cottafavi che passa dal mélo e dal peplum agli adattamenti di Conrad e dei classici greci. In realtà il cinema dei “filoni” si rivela spesso più personale, più artistico del “cinema d’autore”, troppo spesso ridotto ormai a un velleitarismo più o meno di sinistra o estetizzante (Scola, Brusati, Pontecorvo, Cavani, Bolognini, Petri, Vancini, Maselli, Lizzani, Zeffirelli, eccetera). Con il suo montaggio aggressivo, Leone rimane il principale erede contemporaneo di Ėjzenštejn. Raggiunge il cinema più moderno, costruito sulla durata: come Rivette, non può fare un film riuscito se non lo fa durare almeno due ore e un quarto. I suoi primi film erano troppo corti, ed è soltanto con Il buono, il brutto, il cattivo che Sergio Leone ha potuto veramente diventare se stesso. C’è in lui una nuova concezione del tempo – fondata sulla dilatazione – in cui consiste l’essenza del suo genio. Al di là delle differenze sottolineate dalla quantità di spettatori e dalle etichette sbrigative, si pensa a Marguerite Duras. Ma nella Duras la dilatazione del tempo esprime la realtà quotidiana, materiale o morale, mentre in Leone si inscrive in generi, il film d’azione, il western, dove la rapidità è sovrana. Nuova provocazione, maggiore delle provocazioni della Duras. In Leone la velocità esiste, eccessiva, irreale: vengono sparate parecchie scariche di fucile in un batter d’occhio, ma soltanto dopo un cerimoniale inverosimile di cinque minuti scandito da innumerevoli primi piani dove non succede niente, contrari alla logica narrativa tradizionale. Questo ritmo è contraddittorio, come il costante accumularsi della trivialità e della maestosità. Non siamo lontani da Menotti e dalla sua opera del sordido. Raro esempio filmico di un’avanguardia compresa e adorata dal pubblico più vasto. Opera ammirevole e precaria, come quella di Syberberg o di Jancsó: dipende dalla scoperta di nuovi principi formali (stavo per scrivere nuove formule) il cui interesse può esaurirsi molto presto, e si capisce allora meglio, in Leone, la sua paura di girare.

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introDuzione 2018 L’uomo che corruppe il western di Oreste De Fornari Ho resistito molto tempo prima di convertirmi al culto di Leone. La prima volta che ho scritto di lui fu sul giornale della scuola, più di cinquant’anni fa, spronato da un giovane gesuita che poi è diventato uno specialista di Kurosawa. L’intento era di elogiare Yōjinbō, cioè La sfida del samurai, appena visto al cineforum per ginnasiali, e attaccare Per un pugno di dollari, essenzialmente perché il primo era giapponese e in bianco e nero, dunque era un film d’arte, e il secondo al contrario era un western-spaghetti a colori, dunque era un film commerciale. Tutte qui le mie argomentazioni. E poi all’epoca tutti dicevano male dei western italiani. La diffidenza si è acuita negli anni seguenti, quando sono diventato un cinefilo francesizzante a tendenza americanocentrica, quel che si dice un nipotino dei «Cahiers». E il culto per la sobrietà dei Ford, Hawks, Mann era incompatibile con qualsiasi forma di ammirazione, o anche solo di indulgenza, verso il barocchismo di Leone e dei suoi seguaci (sui seguaci non ho cambiato idea nemmeno adesso). Solo Il buono, il brutto, il cattivo, uscito alla vigilia di Natale del ’66, forse a causa dello sfondo storico (la guerra di secessione), mi aveva ispirato un atteggiamento più benevolo; ero confortato in questo dal giudizio di Enzo Natta su «Cineforum», la rivista che leggevo allora. Più tardi C’era una volta il West mi sembrò poco originale e troppo solenne, giudizio condiviso dai miei amici di «Cinema e Film». Anni dopo, quando si è presentata l’occasione di scrivere un volumetto su Leone per l’editore Moizzi, non me la sono lasciata scappare. Mi attirava soprattutto la possibilità di fare dei paragoni con i western americani. E i paragoni sono il sale della critica, la fanno somigliare a una scienza esatta (ma lo stile, aulico e prolisso, lasciava a desiderare). Col tempo il mio conservatorismo estetico si è attenuato. In occasione dell’uscita di C’era una volta in America, ho provato a trasformare il libro in una specie di album più vasto, pubblicato da Ubulibri, arricchito dalle fotografie e dalle testimonianze del regista e dei suoi collaboratori. Credo ne sia valsa la pena se non altro perché l’America, secondo molti e anche secondo me, è il suo capolavoro. Intanto Leone se n’è andato, troppo presto, nel 1989, portando con sé il sogno del film sull’assedio di Leningrado. Nel ’97 c’è stata la riedizione del libro, sempre per Ubulibri, riveduta e corretta, e di cui Gremese ha pubblicato le versioni in francese e in inglese. Passati altri vent’anni, sono sempre più numerosi i film dove si avverte l’influsso di Leone e i registi che riconoscono un debito con lui si sono moltiplicati. Registi postmoderni, maestri del pastiche come Tarantino, il quale ha dichiarato che Il buono, il brutto, il cattivo è il suo film preferito. Persino uno dei padri del Neorealismo, Carlo Lizzani, ha fatto ammenda della sua incomprensione passata, spiegando che anche il manierismo di Leone era un modo per affermare l’identità italiana. Per la verità, da parte mia, la sola giustificazione che posso addurre per la riproposta di questo libro, che ora appare in una nuova veste (l’apparato fotografico è cambiato, ci sono nuove sezioni, e anche le vecchie sono state aggiornate e arricchite), è il senso della misura. Non credo si faccia un buon servizio a un autore elogiando tutti i suoi film e tutti gli aspetti di ogni suo film. L’enfasi meglio lasciarla a Leone, che era un genio, inutile imitarlo con giudizi a loro volta enfatici. Peraltro lo stesso Leone era capace di autocritica, soprattutto riguardo a Giù la testa. C’era una volta in America, per esempio, continua a conquistarmi attraverso gli anni con i suoi flashback ipnotici e con il suo eroe in chiaroscuro, così generoso da perdonare l’amico che lo ha tradito, e così vile da abusare della ragazza dei suoi sogni. Ma altri suoi aspetti continuano a sembrarmi deboli o irrisolti, come la parte sui sindacati o la scialba figura della ninfomane impersonata da Tuesday Weld (anche Leone non era tanto contento di lei). E altri ancora rimangono troppo oscuri, soprattutto la morte di Max. Escludo che, come ho letto da qualche parte, si sia buttato da solo nel tritarifiuti (suicidio ammissibile solo in un film di Fantozzi). A

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TuttoLeone questo proposito mi permetto di suggerire che la versione americana, apocrifa e abbreviata, sarà pure obbrobriosa (io non l’ho vista, Mary Corliss è stata l’unica a parlarne bene, in un articolo riportato nella terza sezione di questo libro), ma almeno può vantare la trovata di quel colpo di pistola fuori campo che ci informa del suicidio di Max escludendo ogni equivoco. Dopotutto anche Hitchcock aveva risolto un finale allo stesso modo, suggerendo con un colpo di pistola fuori campo il suicidio di Michel Piccoli alla fine di Topaz (anche quello un finale un po’ rimediato, aggiunto in postproduzione). A Leone d’altronde un po’ di ermetismo non dispiaceva, così mi ha detto una delle ultime volte che l’ho visto. Mi ha anche confidato che, dovendo rifare quel film, lo avrebbe reso ancora più labirintico, con più va e vieni nel tempo. Perciò non bisogna scandalizzarsi se ci sono almeno tre diverse versioni in circolazione, che rendono più tortuoso il labirinto. Ermetismo, manierismo, postmodernismo, alessandrinismo, bizantinismo. Forse la definizione migliore di Leone l’ho ascoltata tanti anni fa da Alberto Ongaro: per lui Leone è un corruttore del racconto, un grande corruttore del racconto western. In che senso vada intesa ho cercato di spiegarlo in queste pagine.

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Prima parte

VITA E FILM

C'era una volta in America.

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Biofotogrammi – Il film della vita vErso

la vita

Primo Novecento. Il nonno materno di Sergio Leone, milanese di origini austriache, è direttore dell’Hotel de Russie a Roma, in piazza del Popolo; il nonno paterno è un notabile di Avellino. Il padre, Vincenzo Leone, che ha studiato legge e ha frequentato l’ambiente artistico napoletano, ben presto diventa attore nella compagnia di Eleonora Duse, con lo pseudonimo di Roberto Roberti. In seguito si trasferisce a Torino, una delle capitali della nascente industria del cinema, e dal 1904 lavora come attore e regista alla Itala Film di Pastrone. Nel 1913 dirige il primo western italiano, La vampira indiana, protagonista Edvige Valcarenghi, in arte Bice Waleran. I due si sposano l’anno seguente. Fino al 1928 Vincenzo Leone dirigerà decine di film con Francesca Bertini.

Galeotto fu il film: La vampira indiana (1913), probabilmente il primo western italiano.

Il padre Vincenzo, alias Roberto Roberti.

1923. Benito Mussolini è Presidente del Consiglio. Leone si iscrive al Partito Nazionale Fascista. Dopo quattro giorni il tesoriere scappa con la cassa e Leone non rinnova la tessera. Quello stesso anno Mussolini gli propone di portare sullo schermo un suo romanzo giovanile, Claudia Particella, l’amante del cardinale, Leone rifiuta (ma secondo Gian Piero Brunetta avrebbe accettato e scritto la sceneggiatura). Presidente dell’associazione registi italiani, propone al Ministro delle Corporazioni Bottai di fronteggiare la crisi del cinema creando un sistema di cooperative. Bottai respinge il progetto (gli sa di comunismo) e minaccia di mandare Leone al confino. È Forges Davanzati a salvarlo («il solo ministro fascista onesto»). 1928. Pola Negri propone a Leone di trasferirsi a Berlino per lavorare con lei, Leone declina l’invito: la moglie, dopo 14 anni di matrimonio, è rimasta incinta.

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La madre Edvige Valcarenghi, alias Bice Waleran.


TuttoLeone 1929-1989: sEssant’anni (E quaranta Di cinEma)

Di vita

1929. Il 3 gennaio nasce Sergio a Palazzo Grimaldi Lazzaroni, Roma, nei pressi della fontana di Trevi. Cresce a Trastevere.

Sergio Leone nel 1929.

Il piccolo Leone in automobile.

1935-1939. Frequenta elementari e medie dai fratelli scolopi di San Giovanni Battista de la Salle. Il caso vuole che tra i suoi compagni di scuola ci sia Ennio Morricone, che ritroverà poi – inizialmente senza riconoscerlo – più di 25 anni dopo. Per farlo esentare dal sabato fascista il padre lo iscrive a dei corsi di scherma. Detesta le lingue morte. Gli piacciono l’italiano, la filosofia, la geografia, e soprattutto la storia. Ha una vera passione per gli spettacoli di marionette napoletane che vengono allestiti al Gianicolo. Gli epici scontri tra bande di ragazzini, cui partecipa sulla scalinata di viale Glorioso, gli ispireranno un soggetto (abbandonato dopo l’uscita del felliniano I vitelloni). Come tutti i ragazzi di allora, Sergio va pazzo per il cinema americano: i suoi eroi sono Errol Flynn e Gary Cooper, ma anche Warner Oland nella serie di Charlie Chan. E Chaplin, naturalmente. Tra i fumetti, ha una preferenza per le avventure di Cino e Franco. Intanto il padre attraversa un lungo periodo di disoccupazione forzata. Per tirare avanti vende la collezione di mobili antichi. Sergio non dimenticherà le domeniche in cui accompagnava il padre al caffè Aragno, ritrovo dell’intellighenzia di sinistra, seguìti da due poliziotti. 1939. Dopo una dozzina d’anni di ostracismo (interrotti soltanto da un’Assunta Spina del 1930), Leone padre torna dietro la macchina da presa, di nuovo grazie a Forges Davanzati, con Il socio invisibile, un film dai toni

Compagni di scuola, ancora ignari di tanto futuro: Sergio Leone (2° in alto da sinistra) ed Ennio Morricone (2° in alto da destra) in terza elementare nel 1937.

Una delle prime avventure (dal titolo così suggestivo che ispirerà un romanzo di Umberto Eco del 2004) di Cino e Franco, il fumetto preferito del piccolo Leone.

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