hi.tech dermo 1/2019

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2019

CONGRESS REPORT I ATTUALITÀ IN DERMATOLOGIA LETTERATURA INTERNAZIONALE I ANGOLO DELLA CLINICA

IN QUESTO NUMERO

Fenomeno di Kasabach-Merritt: microcircolazione e aspetti dermatologici Metodica combinata per contrastare il fotoaging del viso Melanoma cutaneo: la diagnosi precoce può ridurre incidenza e mortalità Tatuaggi: quali sono i rischi per la pelle? Psoriasi e malattie croniche intestinali: le evidenze crescenti di una comorbilità

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SOMMARIO

Editoriale

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CLINICA IN DERMATOLOGIA Fenomeno di Kasabach-Merritt: microcircolazione e aspetti dermatologici

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Metodica combinata per contrastare il fotoaging del viso

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Melanoma cutaneo: la diagnosi precoce può ridurre incidenza e mortalità

pag. 22

Tatuaggi: quali sono i rischi per la pelle?

pag. 26

Monociti: una terapia rigenerativa per la cura dell’ulcera venosa e linfatica

pag. 30

Biomateriali: importanti risultati nella cura di lesioni “inguaribili”

pag. 32

Psicodermatologia in Italia: complessità del rapporto mente-corpo

pag. 35

Psoriasi e malattie croniche intestinali: le evidenze crescenti di una comorbilità

pag. 38

Risonanza magnetica per le persone tatuate: il rischio è trascurabile

pag. 40

TECNOLOGIE IN VETRINA

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pag. 6-10

ANGOLO DELLA CLINICA

pag. 43

ATTUALITÀ IN DERMATOLOGIA

pag. 46

PRODOTTI E TECNOLOGIE

pag. 50


Norme editoriali per le proposte di pubblicazione

hi.tech dermo Trimestrale di attualità clinica, scientifica e professionale in dermatologia

La Rivista hi.tech dermo valuta la pubblicazione di contributi scienti-

Direttore responsabile Giuseppe Roccucci g.roccucci@griffineditore.it

fici e clinici originali provenienti dal mondo ospedaliero, universitario e della libera professione. Gli articoli proposti per la pubblicazione possono essere inviati alla redazione (redazione@griffineditore.it) nella loro stesura definitiva, completi di nome, cognome e qualifica professionale. Le illustrazioni devono essere numerate progressivamente e corredate di relative didascalie, con precisi riferimenti nel testo. Devono essere ad alta risoluzione (almeno 300 dpi, in formato tiff, eps oppure jpeg). In caso di immagini già pubblicate in precedenza, è necessario includere l’autorizzazione alla riproduzione da parte di chi ne detiene i diritti. Grafici e tabelle dovranno essere forniti possibilmente in formato Microsoft Excel o simili, numerate progressivamente e corredate di relative didascalie, con precisi riferimenti nel testo. I lavori devono essere originali: non possono essere stati offerti contemporaneamente ad altri editori, né pubblicati su altre riviste. L’Editore provvederà gratuitamente alla pubblicazione degli articoli accettati, per la stesura dei quali è esclusa ogni sorta di compenso a favore dell’Autore/i. La proprietà letteraria dell’articolo pubblicato spetta all’Editore.

Redazione Lara Romanelli l.romanelli@griffineditore.it Rachele Villa r.villa@griffineditore.it Andrea Peren a.peren@griffineditore.it Segreteria di redazione e traffico Maria Camillo customerservice@griffineditore.it Vendite Stefania Bianchi s.bianchi@griffineditore.it Paola Cappelletti p.cappelletti@griffineditore.it Lucia Oggianu l.oggianu@griffineditore.it Grafica e impaginazione Marco Redaelli info@creativastudio.eu Stampa: Starprint srl - Bergamo EDITORE Griffin srl unipersonale P.zza Castello 5/E - 22060 Carimate (Co) Tel. 031.789085 - Fax 031.6853110 www.griffineditore.it hi.tech dermo. periodico trimestrale Anno XIV - n. 1 - marzo 2019 Copyright© Griffin srl Registrazione del Tribunale di Como nr. 22/06 del 29.11.2006 - ISSN 1971-0682 Iscrizione nel Registro degli operatori di comunicazione (Roc) nr. 14370 del 31.07.2006 La proprietà letteraria degli articoli pubblicati è riservata a Griffin srl e il contenuto della Rivista non può essere riprodotto in alcuna forma e su qualsiasi supporto. L’Editore non è responsabile dei messaggi ospitati negli spazi a pagamento.

Hanno collaborato in questo numero: Mariella Fassino, Renato Torlaschi, Cristina Zane

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EDITORIALE

Nuovo corso Aggiornamento clinico, attualità scientifica e professionale, informazione sulle tecnologie: sono questi i tre pilastri del nuovo format comunicativo di hi.tech dermo, che si presenta ai lettori con tre sezioni facilmente identificabili. La Rivista cambia leggermente il modo di presentare i contenuti, ma non la sua essenza, continuando oggi, dopo 13 anni di pubblicazioni ininterrotte, a raccontare la dermatologia italiana a 360 gradi, da quella ospedaliera a quella libero professionale, con grande attenzione verso le attività di tutte le società scientifiche della specialità e con l’indispensabile attenzione alle tecnologie proposte dalle aziende del settore. Nella sezione “clinica in dermatologia”, spazio allora ad articoli di approfondimento clinico e scientifico, con un taglio il più possibile clinico-pratico, affiancati alle ultime acquisizioni della letteratura internazionale, che nell’era dell’evidence based medicine è sempre più il punto di riferimento per valutare appropriatezza ed efficacia delle terapie. E non rinunceremo ai tanto apprezzati “congress report”, in grado di veicolare il “take home message” dei principali congressi italiani. La sezione dedicata all’“attualità in dermatologia” presenterà invece argomenti più legati alla professione, all’attualità politico-sanitaria, a tutto ciò che gravita attorno all’attività clinica quotidiana, senza dimenticare di presentare in anteprima i contenuti di corsi e congressi sul territorio. In “prodotti e tecnologie”, sezione realizzata grazie alla collaborazione con le aziende più attive dell’area dermatologica e della medicina estetica, il lettore troverà infine spunti per un continuo aggiornamento merceologico, con recensioni sui prodotti di ultima generazione, come farmaci, prodotti iniettabili, laser, fotototerapia, terapia biofotonica, e tante altre novità del settore. Proveremo a raccontarvi tutto questo con la passione di sempre, con formule in qualche modo diverse rispetto al passato, senza più una direzione scientifica e un board formale, ma ospitando ancora sulle pagine di hi.tech dermo contributi preziosi dall’università, dai reparti ospedalieri e dagli studi professionali. Al Direttore scientifico Pier Luca Bencini e a tutto il Board va il più sincero ringraziamento dell’Editore per la serietà e la qualità del lavoro fatto in tutti questi anni e che ha portato hi.tech dermo fino a qui. Giuseppe Roccucci L’Editore

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TECNOLOGIE IN VETRINA

Istituto Helvetico Sanders: autotrapianto con tecnica Fue Risultati duraturi nei casi di alopecia cicatriziale con autotrapianto di capelli senza bisturi, con la tecnica Follicular Unit Extraction Definizione di alopecia cicatriziale Il termine alopecia cicatriziale viene usato per indicare la perdita definitiva dei follicoli piliferi e dei capelli, di solito in chiazze, qualunque ne sia stata la causa determinante. L’elemento più significativo che caratterizza l’alopecia cicatriziale è l’irreversibilità del processo patologico per la distruzione delle cellule staminali nella regione della protuberanza del follicolo pilifero. Tra le alopecie cicatriziali primitive, basandosi su una classificazione eziologica, rientrano le alopecie linfocitarie (come il lichen plano-pilare, l’alopecia mucinosa, la cheratosi follicolare spinulosa decalvante e la pseudoarea di Brocq - PAB - primitiva), le alopecie neutrofile (come la follicolite decalvante, la cellulite disseccante dello scalpo e l’acne cheloide della nuca) e le alopecie miste (la follicolite - acne - cheloidale, l’acne necrotica e la dermatosi pustolosa erosiva). Fanno invece parte delle cicatriziali secondarie, quelle derivanti da cause fisico-chimiche, infettive (Kerion) o metabolico-degenerative (porfiria). Esistono poi delle fattispecie di natura pseudocicatriziale, che possono essere congenite (aplasia cutis, nevo alopecico, atrichia congenita), neoplastiche e immunologiche (sclerodermia).

modo nelle alopecie primarie (come il lupus eritematoso o il lichen planus pilaris), la distruzione delle cellule staminali della zona del buldge dei bulbi piliferi, causata dall’infiammazione provocata dalla risposta linfo-

citaria e anticorpale, determina la definitiva scomparsa dei bulbi. La strada della chirurgia è maggiormente indicata nei casi di alopecie secondarie, provocate da lesioni del cuoio capelluto secondarie a traumi

Alopecia cicatriziale e chirurgia di ripristino dei capelli Non tutte le alopecie cicatriziali possono essere trattate mediante intervento chirurgico. In particolar

Fig.1: alopecia cicatriziale del paziente prima dell’intervento

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TECNOLOGIE IN VETRINA

0,5%. Nella fase dell’espianto il paziente è posizionato sul lettino in posizione prona con la testa posizionata all’interno di un prono pillow. La zona donatrice viene rasata preventivamente a 1 mm, lunghezza necessaria per permettere il prelievo delle unità follicolari mediante l’utilizzo di un microbisturi circolare (punch) motorizzato. Nella seconda parte dell’intervento, la fase d’impianto, il paziente è in posizione supina e si procede all’infiltrazione dell’anestesia locale della zona ricevente. Per impiantare le unità follicolari si utilizzano delle implanter pen, delle speciali penne in cui l’unità follicolare viene caricata nell’ago cavo presente a un’estremità e impiantata nel sottocutaneo attraverso l’azionamento dello stantuffo presente all’altra estremità.

Caso di alopecia cicatriziale secondaria Il soggetto maschile, anni 44, in seguito a intervento di neurochirurgia, riportava un’alopecia cicatriziale lineare in concomitanza delle aree di sutura ed è stato sottoposto a un intervento di autotrapianto capelli Fue. Fig.2: risultati del post-intervento con tecnica Fue

(incidenti automobilistici, lesioni sportive, legate a infortuni sul lavoro), esiti di interventi chirurgici (interventi di neurochirurgia, lifting), ustioni termiche, chimiche o da radiazioni.

L’autotrapianto capelli Fue nei casi di alopecia cicatriziale Con la tecnica Fue, le unità follicolari vengono prelevate direttamente dal cuoio capelluto della zona donatrice (area che si estende dalla zona

occipitale al parietale) attraverso dei bisturi circolari (punchs) con un diametro inferiore a 1 mm. A differenza della Fut (Follicolar Unit Transplantation), la Fue ha il vantaggio di non lasciare una cicatrice lineare, ma puntiforme e se correttamente eseguita, difficilmente può essere vista con un taglio corto e inoltre la guarigione delle ferite è molto rapida. L’intervento viene eseguito in anestesia locale utilizzando lidocaina al 2%, adrenalina e bupivacaina al

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Dott.ssa Elisa Francesconi Medico chirurgo Divisione Autotrapianti di Istituto Helvetico Sanders

Istituto Helvetico Sanders numero verde 800 283838 www.sanders.it


TECNOLOGIE IN VETRINA

Fototerapia domiciliare: un valido strumento in più per il dermatologo Ottimi risultati e scarsi effetti collaterali fanno della fototerapia un trattamento che ottiene una decisa compliance del paziente nel comfort della propria abitazione La fototerapia si è da tempo affermata come terapia di elezione per molte patologie dermatologiche: psoriasi, vitiligine e dermatite atopica in primis, ma anche per dermatite seborroica, lichen, micosi fungoide, ecc. Ormai quasi tutte le strutture pubbliche sono dotate di cabine con emissioni UVB a banda stretta e molti ambulatori privati ne completano l’offerta con possibilità di fruirne ad orari più comodi. I brillanti risultati e gli scarsi effetti collaterali fanno della fototerapia un trattamento che ottiene una decisa compliance sia da parte del medico sia del paziente, che però a volte è limitata dalla necessità di doversi recare presso i centri di fototerapia ad orari poco compatibili con la vita professionale, magari ubicati in zone lontane e i cui tempi di trasferta e attesa comportano una costanza delle sedute non ottimale: la frequenza che permette di ottenere i migliori risultati richiede infatti 3 esposizioni settimanali a giorni alterni per periodi che vanno da un minimo di 2 a diversi mesi di trattamento. Accade dunque che il paziente perda qualche seduta, con la conseguenza di non poter osservare un corretto rateo di incrementi dei dosaggi ottimali e il raggiungimento della MED (Minimal Erytematogenic Dose) si allontana, e i risultati diventano meno rapidi e brillanti. Da tempo è però possibile offrire la fototerapia UVB a banda stretta anche nel comfort dell’abitazione, me-

diante attrezzature utilizzabili facilmente e in totale sicurezza anche in ambiente domiciliare: sarà sufficiente osservare il protocollo terapeutico assegnato dal proprio dermatologo, che contiene tempi e modalità precisi di somministrazione. Ederma è un’azienda specializzata in questa offerta, con una gamma completa di apparecchiature idonee sia al trattamento di singoli distretti cutanei sia di pannelli a tutta altezza, in cui è possibile trattare le più disparate situazioni patologiche: esistono apparecchiature adatte al trattamento di viso, mani, piedi, di dimensioni contenute, e apparecchiature con un fronte radiante che irradia tutto il corpo, prima di fronte e poi di schiena. Si sostituiscono così le prestazioni delle cabine con dimensioni e costi contenuti, ma soprattutto nel comfort e nella comodità della propria abitazione, con la possibilità di fruirne in qualsiasi giorno e a qualsiasi ora, senza perdere nemmeno una seduta e utilizzandole costantemente a giorni alterni. Il dottor Stefano Tardio, consulente clinico di Ederma, utilizza la fototerapia da oltre vent’anni, con applicazioni che ne confermano l’efficacia: «da quando è possibile effettuare i trattamenti al proprio domicilio la possibilità di usare la fototerapia ha aumentato la compliance di molti pazienti che prima avevano difficoltà a fruirne: oggi i protocolli terapeutici sono ampiamente sperimen-

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tati e i sistemi di programmazione dei dosaggi sono semplici e facili da seguire, sia per il paziente sia per il medico che li può seguire a distanza con visite periodiche di controllo e di eventuale aggiustamento delle modalità di somministrazione. Specialmente per le patologie di lungo termine, come la vitiligine, o l’alopecia areata, è essenziale che il paziente possa effettuare il trattamento senza dovervi dedicare troppo tempo e agli orari a lui più comodi: solo così si ottengono i migliori risultati».

Trattamento della psoriasi La fototerapia UVB a banda stretta permette di giungere alla remissione delle chiazze di psoriasi, che siano minime o che impegnino tutto il corpo, e di mantenere la psoriasi sotto controllo, di tenerla a bada, evitando che nuove recidive giungano a livelli fastidiosi. Che sia minima o totale, la psoriasi richiede da un minimo di 24 a un massimo di 48-60 sessioni di fototerapia per giungere a remissione: i miglioramenti si vedono solo a partire da almeno 3 settimane dall’inizio della terapia, con dosaggi che arrivino almeno all’80% della MED, e diventano sostanziali nel secondo mese di trattamento. La remissione arriva al 90-100% nel 98% dei casi, con l’unica differenza sui tempi di reazione, che sovente sono dilatati a causa dell’effetto rebound da sospensione di precedenti terapie, soprattutto di corticosteroidi e/o altri farmaci, sia topici che sistemici.


TECNOLOGIE IN VETRINA

Fig. 1: trattamento della prosiasi con impiego della fototerapia

Trattamento della vitiligine Gli UVB a banda stretta hanno la capacità di stimolare l’attività melanocitaria e di ridurre quegli eccessi della funzione immunitaria che hanno causato la loro inattività: sottoponendosi dunque a queste radiazioni, e seguendo un protocollo preciso, si può bloccare la diffusione della vitiligine e riattivare quei melanociti che si sono “addormentati”. Una buona fototerapia prevede esposizioni ogni 48 ore (o almeno 3 volte la settimana) con un dosaggio di partenza e degli incrementi variabili per fototipo, che porteranno a un dosaggio ottimale (MED: Minimal Erytogenic Dose) da mantenersi nel tempo. Se si resta entro il dosaggio MED la

fototerapia può essere protratta anche nel lungo termine, senza maggiori rischi rispetto a un individuo che non faccia fototerapia. Per ottenere il primo risultato, e cioè il blocco della diffusione delle macchie, sono necessari normalmente tre mesi di terapia, al termine dei quali verrà ottenuta la loro stabilizzazione e la comparsa dei primi gettoni di ripigmentazione. Si tratta di un segnale della ripresa dell’attività melanocitaria, un ottimo segnale che indurrà a perseverare nella terapia sino alla ripopolazione delle chiazze acromiche. Questa avverrà in diversi mesi, a volte in anni, prima più velocemente e poi più lentamente, ma proseguirà fintanto che si fornirà lo stimolo degli UVB.

Trattamento della dermatite atopica Il trattamento di fototerapia UVB a banda stretta della DA prevede di regola da 24 a 36 esposizioni, con un dosaggio di partenza variabile a seconda del fototipo e degli incrementi progressivi che arrivino fino alla MED (Minimal Erytematogenic Dose), dose di massima efficacia terapeutica. Solitamente il prurito comincia a ridursi a partire dall’ottava esposizione e si placa quasi totalmente entro i 2 mesi. Le esposizioni successive stabilizzano i risultati e permettono una latenza positiva più o meno lunga, a seconda dei soggetti coinvolti, tra i 3 e i 12 mesi, senza o con modesti eventi pruriginosi. Dottor Stefano Tardio Consulente clinico Ederma Fototerapia

Fig. 2: risultati ottenuti con la fototerapia nel trattamento della vitiligine

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Ederma fototerapia Garro Sas Tel. 0171.487008 info@ederma.net www.ederma.net


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EnCurve: un’efficace soluzione per le adiposità del corpo e degli arti Alta tecnologia, facilmente accessibile ai pazienti e ai medici, per ridurre gli adipociti attraverso l’apoptosi indotta dalla radiofrequenza La crescente domanda relativa ad apparecchiature di alta tecnologia per combattere gli accumuli adiposi del corpo ha dato i suoi frutti: Bioskin Italia, azienda specializzata nelle alte tecnologie per il settore medico estetico, inizierà la commercializzazione di EnCurve, ultima nata in casa Lutronic. Il sistema più facile, sicuro ed efficace per ridurre gli adipociti attraverso l’apoptosi indotta dalla radiofrequenza, particolarmente indicato per la riduzione della circonferenza addominale, delle gambe e delle braccia. La particolare frequenza utilizzata (27,12 MHz), riscalda selettivamente gli adipociti, fino alla temperatura ottimale per l’apoptosi cellulare (45°C). Assorbendo la radiofrequenza 27,12 MHz, gli adipociti vibrano/ oscillano, e l’energia da frizione genera calore all’interno delle cellule dagli adipociti stessi. L’apoptosi determina, tramite processi biochimici, la morte della cellula; il processo termina con lo smaltimento da parte dei macrofagi. EnCurve è la soluzione innovativa, facilmente accessibile ai pazienti e ai medici, anche senza molta esperienza con i trattamenti di rimodellamento del corpo: per questa ragione è stato creato PISA (Personalized Impedance Synchronization Application), un sofisticato feedback che consente di personalizzare il trattamento, minimizzando la perdita di energia e ottenendo un risultato cli-

nico migliore e più sicuro. EnCurve sincronizza l’energia del trattamento con le variazioni dell’impedenza del paziente perché questa varia leggermente ma in modo continuo, mentre il paziente riceve il trattamento a causa, per esempio, della respirazione addominale. L’impedenza dell’area di trattamento di ogni paziente è monitorata individualmente, in tempo reale. Il paziente sarà soddisfatto di potere usufruire di un trattamento simultaneo per addome e fianchi e per le gambe. EnCurve sarà apprezzato dal medico per il suo funzionamento, che non richiede il lavoro di un operatore, e non necessita di alcun prodotto monouso; risulta facile da installare e da utilizzare, si adatta alle diverse linee del corpo e consente svariate impostazioni cliniche; è adatto ai diversi ambienti clinici, è adattabile alle diverse posizioni dei lettini da visita ed è indipendente dalla loro altezza; è regolabile per coprire completamente l’addome e i fianchi in un’unica soluzione. Il training per l’utilizzatore è minimo: l’applicatore viene posizionato sull’area da trattare ma non a con-

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tatto. Il braccio e l’applicatore sono adattabili senza l’utilizzo di sistemi di bloccaggio. Il trattamento è veloce (circa 30 minuti) e il dolore associato è nullo o minimo. Un esclusivo sistema di raffrescamento della pelle, regolabile su più livelli, evita la formazione di sudore e aumenta il comfort evitando potenziali panniculiti. Il trattamento, non invasivo e non a contatto, non richiede tempi di recupero e non impatta sulle attività quotidiane. Sono consigliati quattro trattamenti a distanza di circa 10 giorni uno dall’altro; il risultato è visibile dalla seconda settimana. EnCurve può essere combinato con altre metodiche quali carbossiterapia, radiofrequenza transdermica, HIFU, onde d’urto: questo consente di customizzare il trattamento in funzione del tipo e delle caratteristiche della patologia da trattare nonché di accelerare il risultato finale. Antonio Calanchi Presidente di Bioskin Italia srl

Bioskin Italia srl Tel. 051.6332568 bioskin@bioskin.it www.bioskin.it



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CLINICA IN DERMATOLOGIA

MICROCIRCOLAZIONE

Fenomeno di Kasabach-Merritt: microcircolazione e aspetti dermatologici La rarità della patologia si traduce in assenza di linee guida e di indicazioni precise per il trattamento di questa patologia frequente in età pediatrica

Luca Guarnera Luca Guarnera*, Pierluigi E. Mollo**, Federica Pomella***, Salvino Bilancini*****, Massimo Lucchi***** Gabriella Lucchi*****, Sandro Tucci*****, Giorgio Guarnera**** *Università degli Studi di Roma “La Sapienza” **Angiologo medico - Ini Divisione Città Bianca Veroli (FR) ***Angiologo medico - Servizi ambulatoriali territoriali branca Angiologia - Asl Frosinone ****Chirurgo vascolare - già presidente Associazione italaliana ulcere cutanee (Aiuc) - Studio Appia 197, Roma *****Angiologi medici studio angiologico JF Merlen, Frosinone

Il fenomeno di Kasabach-Merritt ( KMP ), caratterizzato da porpora, trombocitopenia grave e coagulopatia, è una complicanza di due tumori vascolari ad insorgenza in età pediatrica: l’emangioma Kaposiforme e l’emangioma a ciuffi. Tali tumori possono avere localizzazione superficiale o profonda con evoluzione variabile. Le alterazioni dei parametri laboratoristici nel contesto del KMP potrebbero far pensare a una CID, ma diversi sono il processo fisiopatologico e l’iter diagnostico-terapeutico. La rarità del KMP si traduce in assenza di linee guida e indicazioni precise per il trattamento. I principali farmaci utilizzati con successo sono rappresentati da: corticosteroridi, antiaggreganti, vincristina, interferoni. Viene utilizzata anche la radioterapia. È opportuno evitare trasfusioni piastriniche a meno di sanguinamenti attivi. La KMP è una sindrome di recente descrizione (primo caso descritto nel 1940), la prevalenza non è nota e

solo negli ultimi anni si stanno comprendendo gli step fisiopatologici della malattia e i possibili trattamenti. Il fenomeno compare come complicanza di due emangiomi: l’emangioendotelioma Kaposiforme (KHE) e l’emangioma a ciuffi (Tufted angioma, TA), entrambi rari, dalla prevalenza sconosciuta e più frequenti nell’età pediatrica (1). Il primo si configura come una massa viscerale o, più raramente, cutanea. Può manifestarsi con placche infiltrate, di colore blu-porpora, oppure sotto forma di masse palpabili o come una sindrome da compressione tumorale. L’eziologia non è nota e la diagnosi definitiva si ottiene solo con la biopsia (2). Il secondo si presenta sotto forma di placche rosse infiltrate spesso coperte da peli e circondati da un alone più chiaro. Il nome è dovuto ai reperti istologici che mettono in luce piccoli ciuffi di capillari dispersi nel derma. L’evoluzione della patologia è variabile; può andare incontro a involuzione spontanea, evoluzione

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CLINICA IN DERMATOLOGIA

cronica o ispessimento e indurimento della cute circostante fino a causare deficit funzionali per interessamento muscolare (spesso a livello degli arti inferiori) (3).

Fisiopatologia Alla base del KMP c’è un meccanismo di sequestro piastrinico all’interno della massa tumorale, con attivazione delle stesse cellule e piastrinopenia periferica. È stata dimostrata a livello di questi tumori un’espressione anomala di una proteina prodotta fisiologicamente dalle cellule endoteliali durante lo sviluppo vascolare embriologico, la podoplanina. Tale proteina si lega alle piastrine grazie all’interazione con recettore simil-lecitinico tipo C2 (CLEC2), presente sulla superficie delle piastrine stesse. Il legame comporta l’intrappolamento all’interno della massa tumorale, l’attivazione e l’aggregazione delle piastrine, con conseguente carenza periferica. Le piastrine vengono attivate inoltre in seguito all’esposizione del collagene subendoteliale (dovuta al rapido accrescimento delle cellule neoplastiche con aumento della permeabilità endoteliale e creazione di lesioni nei vasi tumorali) e tale attivazione si automantiene grazie all’adenosina difosfato (ADP), molecola rilasciata dalle piastrine stesse che ne promuove il legame e l’aggregazione. A seguito dello scatenamento della cascata coagulativa, si manifesteranno tipiche alterazioni laboratoristiche: aumento del tempo di trombina (PT) e di protrombina (APTT), diminuzione del fibrinogeno e aumento del D-dimero. Possono insorgere sia sanguinamenti intralesionali,

Fig. 1: sezione tissutale istopatologica dell’emangioma asportato (fonte: Dhandore PD et al. J Clin Neonatol 2016) causando un incentivo dello stimolo coagulativo in atto, sia manifestazioni periferiche da consumo piastrinico, come la porpora. Le piastrine attivate ma non intrappolate all’interno della massa tumorale saranno aggredite poi a livello splenico dal sistema reticolo-endoteliale; possibile l’insorgenza quindi di ipersplenismo con anemia e comparsa in circolo di schistociti, frammenti di eritrociti attaccati a livello splenico dal sistema RE (anemia schistocitica). L’anemia può essere inoltre causata da danno fisico degli eritrociti a livello periferico (anemia emolitica microangiopatica). L’attivazione piastrinica è inoltre fondamentale per il mantenimento e l’accrescimento del tumore stesso. Le piastrine infatti sono uno dei principali tipi cellulari responsabili della secrezione di VEGF, fattore proangiogenico la cui secrezione è stimolata nelle situazioni di ipossia (come quelle che si vengono a creare in tumori a rapido accrescimento, dove la proliferazione cellula-

Tabella I

DIAGNOSI DIFFERENZIALE Altri emangiomi infantili associati a coagulopatia

Qualora sia possibile, il dubbio diagnostico verrà fugato dalla biopsia; con l’esame immunoistologico si può distinguere agevolmente KHE/TA dai più comuni emangiomi infantili (questi ultimi, a differenza dei primi caratterizzati dall’immunofenotipo GLUT1). Se la biopsia non è attuabile l’ipotesi di KHE/TA con fenomeno KMP va sempre tenuta in considerazione

Coagulazione intravascolare disseminata (CID)

Sebbene anche la CID possa insorgere in concomitanza con altri tumori o malformazioni vascolari, e nonostante la confusione presente in letteratura tra i due fenomeni, CID e KMP sono due sindromi diverse. Fisiopatologicamente infatti la KMP si configura come un processo localizzato all’interno della massa tumorale e la terapia è differente. Nella KMP inoltre la risposta al trattamento è molto più imprevedibile

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CLINICA IN DERMATOLOGIA

Società italiana di microcircolazione La rivista hi.tech dermo pubblicherà su ogni numero dell’anno gli articoli scientifici realizzati da alcuni esperti della Società italiana di Microcircolazione (SIM), società scientifica senza scopo di lucro, con sede a Roma. La SIM, la cui area di interesse è rappresentata dalla medicina vascolare con particolare riferimento alla microcircolazione, ha come obiettivi di studio l’epidemiologia, la prevenzione, la diagnostica clinicostrumentale, i quadri clinici, le relative opzioni terapeutiche e gli aspetti riabilitativi delle malattie del microcircolo nonché lo studio degli aspetti morfologici, dermatologici microanatomici, istologici, fisiologici, biochimici e fisiopatologici del distretto microcircolatorio dell’apparato vascolare. La società si propone di realizzare tali obiettivi attraverso la programmazione e la realizzazione di congressi, corsi di aggiornamento, convegni e seminari in ambito sanitario accreditati nella competente sede ministeriale, nel rispetto dei programmi ECM, l’aggiornamento del personale medico e, più in generale delle categorie di operatori professionali in sanità, anche mediante attività formative a distanza. I soci si suddividono nelle seguenti categorie: onorari, ordinari, aderenti, corrispondenti stranieri. I soci onorari sono figure di ogni nazionalità note per particolari meriti scientifici, culturali e istituzionali nel campo della microcircolazione; sono soci ordinari tutti i laureati in Medicina e Chirurgia con oltre 3 anni di laurea, con attività prevalente o esclusiva in Angiologia e in discipline affini; i soci corrispondenti stranieri sono cultori stranieri della disciplina nominati dal Consiglio direttivo; i soci aderenti sono laureati in Medicina e Chirurgia da meno di tre anni, con interesse prevalente verso le discipline vascolari. Sono organi della SIM il presidente, il Consiglio direttivo, l’Assemblea dei soci, il Collegio dei revisori dei Conti, il Collegio dei Probi Viri e le Sezioni regionali.

STRUTTURA SOCIETARIA Soci fondatori Claudio Allegra Luciana Bagnato Salvino Bilancini Piero Bonadeo Antonio De Marco Giacomo Failla Giorgio Guarnera Giuseppe Leonardo Biancamaria Ligas Massimo Lucchi

Pierluigi Edgard Mollo Pio Maurizio Nicosia Federica Pomella Giusto Trevisan Sandro Tucci Consiglio direttivo Salvino Bilancini, presidente Giorgio Guarnera, vice presidente Pierluigi Edgard Mollo, segretario Piero Bonadeo Giacomo Failla Giuseppe Leonardo

Massimo Lucchi Pio Maurizio Nicosia Giusto Trevisan Collegio revisori dei Conti Luciana Bagnato, presidente Federica Pomella Sandro Tucci Collegio dei Probi Viri Claudio Allegra, presidente Biancamaria Ligas Antonio De Marco

Si terrà il 13-14 giugno a Fiuggi, il primo Congresso nazionale della società italiana di microcircolazione, presso l’Hotel Ambasciatori

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CLINICA IN DERMATOLOGIA

re non va di pari passo con la proliferazione vascolare) per mezzo del fattore indotto dall’ipossia (HIF). L’importanza delle piastrine nel processo di proliferazione tumorale è dimostrata dal fatto che le trasfusioni di piastrine, effettuate per contrastare la piastrinopenia nel KMP, causano un rapido accrescimento tumorale e un peggioramento del quadro coagulativo (tabella I) (4).

ne della possibilità di ischemia di tessuti sani circostanti. La radioterapia è stata la prima tecnica utilizzata: diversi case-report ne provano l’efficacia ma non ne sono stati ancora stabiliti gli effetti collaterali a distanza. Per quanto riguarda il principale pericolo in questi pazienti, rappresentato dall’aspetto coagulativo (la percentuale di mortalità si aggira attorno al 30 % in base alle fonti) (7), le trasfusioni di piastrine, a meno di quadri emorragici attivi, non sono indicate, per le motivazioni espresse nel precedente paragrafo. Utilizzati con successo invece inibitori dell’aggregazione piastrinica (aspirina, ticlopidina, dipiridamolo), in combinazione tra loro e con altri regimi terapeutici antineoplastici (8). Sono stati utilizzati inoltre antifibrinolitici, come l’acido tranexamico, con scarso beneficio, dato che il promotore del quadro coagulativo è il deficit piastrinico più che la fibrinolisi (9).

Iter diagnostico-terapeutico La diagnosi di KMP si effettua con emocromo ed esami della coagulazione (#PT, #APTT, #D-dimero, $fibrinogeno, $piastrine, anemia emolitica, schistociti), imaging (ecografia, TC, RM) e biopsia della lesione, ove possibile, per differenziare KHE/TA da emangioblastomi infantili (5). Non ci sono linee guida né studi clinici randomizzati che possano indirizzare la terapia del KMP. Tra i trattamenti farmacologici i corticosteroidi hanno un ruolo di spicco, utilizzati per molti anni nel KHE/TA con KMP, anche a dosi elevate (fino a 30mg/kg), non senza importanti effetti collaterali (dall’ipertensione alla facies cushingoide). La vincristina, chemioterapico utilizzato in protocolli di natura ematologica, ha proprietà antiangiogeniche ed è stato utilizzato con successo in questi pazienti, a fronte di effetti collaterali neurologici (neurotossicità, blanda mielotossicità). Il propanololo (β-bloccante) ha buona efficacia sugli emangioblastomi infantili, ma non è molto attivo su KHE/TA (il farmaco agisce infatti su recettori GLUT1, tipicamente assente nei tumori suscettibili di KMP). Molecole della famiglia degli interferoni sono efficaci sia su KHE che su TA (in particolare Interferon α-2B), con o senza KMP. Promettenti risultati sono stati inoltre ottenuti con il sirolimus, inibitore di mTor, utilizzato nel rigetto dei trapianti. (6) Sono necessari ulteriori studi per chiarificare l’utilità di altri farmaci come la talidomide, inibitore di IkB, con effetto antiinfiammatorio e antiangiogenico, e il bevacizumab, anticorpo monoclonale anti-VEGF, fattore chiave della patologia. Sono stati inoltre effettuati diversi approcci non farmacologici. L’escissione chirurgica del tumore è curativa ma attuabile solo in pochi casi. L’embolizzazione arteriosa con materiali di vario genere (alcol polivinilico o combinazioni varie di desametasone, bleomicina e olii) richiede una certa esperienza e non è attuabile in tutti i pazienti; dovrebbe essere presa in considerazione solo per le lesioni piccoli o localizzate, anche in considerazio-

Bibliografia 1. Kelly M. Kasabach-Merritt phenomenon. Pediatr Clin North Am. 2010 Oct;57(5):1085-9. 2. Hu PA, Zhou ZR. Clinical and imaging features of Kaposiform Hemangioendothelioma. Br J Radiol. 2018 Jun;91(1086):20170798. 3. Rambhia KD, Khopkar US. Tufted angioma. Indian Dermatol Online J. 2016 Jan-Feb;7(1):62-3. 4. O’Rafferty C, O’Regan GM, Irvine AD, Smith OP. Recent advances in the pathobiology and management of KasabachMerritt phenomenon. Br J Haematol. 2015 Oct;171(1):38-51. 5. Mahajan P, Margolin J, Iacobas I. Kasabach-Merritt Phenomenon: Classic Presentation and Management Options. Clin Med Insights Blood Disord. 2017 Mar 16;10:1179545X17699849. 6. Wang Z, Li K, Dong K, Xiao X, Zheng S. Refractory KasabachMerritt phenomenon successfully treated with sirolimus, and a mini-review of the published work. J Dermatol. 2015 Apr;42(4):401. 7. Larsen, EC; Zinkham, WH; Eggleston, JC; Zitelli, BJ (June 1987). “Kasabach-Merritt syndrome: therapeutic considerations”. Pediatrics. 79 (6): 971-80. 8. Fernandez-Pineda I, Lopez-Gutierrez JC, Chocarro G, Bernabeu-Wittel J, Ramirez-Villar GL. Long-term outcome of vincristine-aspirin-ticlopidine (VAT) therapy for vascular tumors associated with Kasabach-Merritt phenomenon. Pediatr Blood Cancer. 2013 Sep;60(9):1478-81. 9. Hall GW. Kasabach-Merritt syndrome: pathogenesis and management. Br J Haematol. 2001 Mar;112(4):851-62.

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MEDICINA ESTETICA RIGENERATIVA

Metodica combinata per contrastare il fotoaging del viso Efficacia di soft peeling seguiti dall’applicazione di un siero con un’elevata concentrazione di fattori di crescita e peptidi biomimetici

Giuseppe Maria Izzo Specialista in Dermatologia e Venereologia. Vice presidente Scuola di Medicina estetica Icamp, Milano

Da alcuni anni, in medicina estetica, è in costante aumento l’utilizzo di preparati contenenti fattori di crescita e/o peptidi biomimetici. Grandi progressi tecnologici ci sono stati nella loro formulazione, utilizzati sia come iniettabili sia come topici. Nella medicina estetica rigenerativa è in forte aumento l’utilizzo dei fattori di crescita ottenuti con prelievi ematici o di grasso, trattati e poi iniettati nel viso, nel cuoio capelluto o nel corpo dei pazienti per trattare sia gli inestetismi da fotoaging sia il defluvium capillorum e l’alopecia androgenetica, o gli inestetismi cutanei legati a pregresse cicatrici di qualsiasi eziologia (fig. 1). Personalmente non abbiamo mai utilizzato i prelievi ematici sia a causa delle norme legislative restrittive della nostra regione, sia per i timori di molti pazienti al pensiero di subire tali prelievi e successiva iniezione intracutanea dei preparati ottenuti (fig. 2). In verità negli ultimi mesi ci siamo avvicinati a una metodica pensata da Alessandro Gennai per il medico estetico, con il prelievo tramite cannule molto sottili, della frazione stromale del tessuto adiposo della regione addominale, dei fianchi o delle cosce, con risultati correttivi di grande livello, ma con la limitazione data dai timori di una parte dei pazienti riguardo il prelievo con le cannule. Nell’articolo riferiamo però della nostra esperienza con

Fig 1: fattori di crescita utilizzati nella medicina estetica per contrastare inestetismi da fotoaging, defluvium capillorum e alopecia androgenetica, o inestetismi cutanei

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La seconda è un acido glicolico al 60 % a pH 1,1, che penetra più rapidamente per le piccole dimensioni della molecola dell’acido, e premette una maggiore penetrazione dei principi attivi del siero in una cute meno sensibile e più fotoinvecchiata. La terza è a base di acido glicolico al 60 %, con pH 1, ed è adatta alle cuti più spesse, carnose e con maggior danno della texture cutanea, comunque con penetrazione controllata.

Il siero Il “must” del sistema è il siero (fig. 3) che va applicato dopo la neutralizzazione del peeling che abbiamo praticato. In esso sono presenti cinque fattori di crescita di origine biotecnologica, prodotti cioè dalla bioingegneria. Hanno alcune peculiari caratteristiche che li rendono realmente efficaci e unici nel loro genere: sono nano-incapsulati in doppio strato fosfolipidico (liposoma), per cui sono protetti e vengono rilasciati progressivamente. Sono alla massima concentrazione possibile (10 %) per ogni fattore di crescita. Agiscono in sinergia con cinque peptidi biomimetici a elevata concentrazione.

Fig. 2: il paziente viene sottoposto a soft peeling, seguiti dall’applicazione di un siero e utilizzo domiciliare di un preparato simile a quello applicato in ambulatorio un preparato da applicare sulla superficie cutanea, ricco di fattori di crescita e peptidi biomimetici, che ci è sembrato essere molto efficace nella correzione del fotoaging del viso, da solo o in associazione ad altre metodiche di trattamento.

I fattori di crescita I fattori di crescita – scoperti nel 1986 da Rita Levi Montalcini e da Stanley Cohen che ricevettero per questa scoperta il premio Nobel – sono frammenti proteici appartenenti alle citochine, di piccole dimensioni e in grado di legarsi ai recettori di membrana per modulare le funzioni delle cellule, attivandole o inibendole. Sono prodotti da numerose cellule, come fibroblasti, piastrine, cellule epidermice, ecc. Essi agiscono tramite l’attivazione dei recettori della tiro-

Sistema utilizzato La metodica prevede di sottoporre il paziente a una serie di soft peeling, in media da tre a cinque, a distanza variabile tra 7 e 10 giorni, seguiti dall’applicazione di un siero con un’elevata concentrazione di fattori di crescita e peptidi biomimetici, accompagnato dall’utilizzo domiciliare di un preparato simile a quello applicato in ambulatorio (fig. 2).

I peeling chimici Sono state preparate tre formulazioni di peeling in gel, tutte chelate per un approccio non invasivo sulla cute del paziente, e che hanno lo scopo di permettere un’efficace penetrazione del preparato ambulatoriale. La prima è a base di acido mandelico al 60 % a pH 1,2, che sfrutta le proprietà della molecola, di grandi dimensioni, per trattare le cuti più sensibili, anche quelle con rosacea, acne o melasma.

Fig. 3: nel siero sono presenti cinque fattori di crescita di origine biotecnologica, prodotti cioè dalla bioingegneria

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Fig. 5: nel siero iniettato sono presenti anche cinque peptidi biomimetici alla massima concentrazione possibile > Palmitoyl tripeptide-5. Ha il suo target biologico nel derma, dove stimola i fibroblasti, attivando il tgf, ridensifica la matrice ed ha azione antiradicalica > Tetradecyl aminobutyroylvalylaminobutyric urea. Ristrutturante della matrice dermica, aumenta la sintesi di ialuronano, e stimola la sintesi di decorin e lumican, proteine che legano le fibre collagene, dando maggior compattezza alla cute.

Fig. 4: i fattori di crescita agiscono tramite l’attivazione dei recettori della tirosin-kinasi che, tramite la sua fosforilazione, regola la proliferazione cellulare in risposta ai fattori di crescita sin-kinasi che, tramite la sua fosforilazione, regola la proliferazione cellulare in risposta ai fattori di crescita (fig. 4). Nel siero da noi preso in esame sono presenti cinque fattori di crescita che hanno importanti funzioni sull’eutrofia della cute: > Egf e Igf-1. Agiscono in sinergia sulla cinetica dell’epidermide il primo e sulla stimolazione fibroblastica il secondo, migliorando il trofismo cutaneo > Bfgf. Oltre a migliorare il trofismo cutaneo agisce a livello del follicolo pilifero migliorandone la circolazione del plesso peripapillare > Kgf. Fattore di crescita dei cheratinociti, migliora i trofismo cutaneo e favorisce la fase anagen del capello > Trx. Salvaguarda le cellule dallo stress ossidativo ed ha azione schiarente Sono presenti anche cinque peptidi biomimetici, alla massima concentrazione possibile (fig. 5): > Dipeptide diaminobutyroyl benzylamide diacetate. Antagonizzando il recettore nicotinico muscolare dell’acetilcolina, ha un azione botolike, riducendo le rughe di espressione > Palmitoyl dipeptide-5 diamino-hydroxibutyrate. Agisce in sinergia con il successivo, stimola la produzione di laminina v, collagene iv, vii e xvii, e integrina, mantenendo l’integrità della cute > Palmitoyl dipeptide-5 diaminibutyroil hydroxythreonine. Di concerto con il precedente, mantiene integra la giunzione dermo-epidermica

Considerazioni sul trattamento Il protocollo da noi seguito, come ho già spiegato prima, prevede che i peeling, in numero variabile in rapporto allo stato della cute e alla risposta del paziente ai trattamenti, vengano praticati ogni 7-10 giorni, per dare continuità all’azione dei fattori di crescita prima della loro naturale inattivazione. Alla luce dei nostri risultati preliminari, compiuti su un numero non troppo elevato di pazienti (25), possiamo mostrare questa tabella riassuntiva (tabella I): Tabella I

GRADO DI SODDISFAZIONE DEI PAZIENTI

19

Molto grande

13

Grande

8

Sufficiente

3

Insoddisfacente

1


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Conclusioni

La nostra valutazione è stata fatta invece tenendo conto della documentazione fotografica in itinere e della variazione dei principali parametri cutanei che hanno mostrato un miglioramento dell’idratazione e una stabilizzazione del pH (figure 6-7).

Una metodica semplice priva di effetti collaterali è gradita ai pazienti per i risultati e per l’assenza di downtime, ripetibile sia con sessioni periodiche di mantenimento sia con nuovi cicli di trattamento.

Fig. 6: pre e post-trattamento. Un miglioramento dell’idratazione e una stabilizzazione del pH sono gli effetti dell’innovativa metodica

Fig. 7: pre e post-trattamento con la metodica combinata

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DIAGNOSI PRECOCE E PREVENZIONE

Melanoma cutaneo: la diagnosi precoce può ridurre incidenza e mortalità Il progetto “Clicca il neo” combina una campagna educativa sul melanoma e una app che permette di inviare immagini di lesioni pigmentarie cutanee da parte degli utenti

Luigi Naldi Centro Studi Gised, Bergamo - Uoc di Dermatologia, Ospedale san Bortolo, Vicenza

Si è conclusa, a inizio 2019, con la prossima pubblicazione sul Journal of the American Academy of Dermatology, la prima fase del progetto “Clicca il neo” (1). Di seguito riprendiamo brevemente, i presupposti del programma, presentiamo il progetto e forniamo alcuni elementi di prospettiva.

il compianto Paolo Carli aveva documentato come coloro che eseguivano un auto-esame della cute avessero melanomi di spessore inferiore rispetto a coloro che non eseguivano l’auto-esame (4). Le nuove tecnologie (iPhone e smartphone), dotate di strumenti sempre più avanzati (fotocamere ad alta risoluzione, rapida connessione ai sistemi cloud, ecc.), possono essere agevolmente impiegati per documentare le problematiche cutanee e, in particolare, l’insorgenza o sviluppo di neoformazioni sospette. Sulla base di tali considerazioni, il Centro Studi del Gruppo italiano Studi Epidemiologici in Dermatologia (Gised) ha avviato, nell’intera provincia di Bergamo, con il patrocinio dell’Agenzia di tutela della salute (Ats), a partire dal luglio 2015, un progetto di diagnosi precoce dei tumori cutanei denominato “Clicca il Neo”. Più recentemente, il programma è stato attivato anche nell’ambito della Ulss 8 di Vicenza.

Diagnosi precoce dei tumori cutanei Il melanoma cutaneo rappresenta una delle cause principali di mortalità per problemi dermatologici, con un’incidenza crescente negli ultimi decenni. Gli interventi di educazione e di promozione della diagnosi precoce possono costituire, in linea di principio, un mezzo utile per ridurre incidenza e mortalità. È sorprendente, considerando la facile accessibilità della cute, come il melanoma si situi al secondo posto tra tutti i tumori per lunghezza dell’intervallo tra comparsa dei primi sintomi e diagnosi (2). Tradizionalmente, le campagne di diagnosi precoce si sono basate su un’informazione al pubblico riguardo alle modalità con cui riconoscere il melanoma in fase precoce promuovendo l’auto-esame della cute. È ben noto che oltre il 70% dei melanomi è riconosciuto, in prima istanza, da chi ne è portatore (3). Già nel 2003,

Caratteristiche del progetto “Clicca il neo” Il progetto “Clicca il neo” prevede la combinazione di una campagna educativa sul melanoma con la messa a disposizione del pubblico di una app che permetta di inviare immagini di lesioni pigmentarie cutanee da

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Fig. 1: schema generale del funzionamento del processo di valutazione in “Clicca il neo”

parte degli utenti, insieme a ulteriori informazioni utili a inquadrare il tipo di lesioni (età, sesso, sede e dimensione della lesione). Le immagini inviate sono valutate da specialisti (sistema “store and forward”) che forniscono, non una diagnosi ma un giudizio circa il grado di sospetto delle lesioni e circa l’opportunità di una valutazione clinica diretta in caso di lesioni giudicate come sospette. Nella app è inclusa una guida al riconoscimento di lesioni sospette, un sistema di geolocalizzazione che permette di limitare l’utilizzo della app alle aree geografiche in cui sia attiva una collaborazione specifica con le aziende sanitarie e un sistema di controllo per ottimizzare l’acquisizione delle immagini. Preliminare all’utilizzo della app è l’accettazione delle norme sulla privacy e delle condizioni d’uso del servizio da parte dell’utente. Nella provincia di Bergamo, area target con circa 1.100.000 abitanti (dati Istat 2011) e con un’incidenza

del melanoma di circa 14 casi per 100.000 abitanti per anno, è stato attivato un programma di valutazione dell’affidabilità della app e dell’efficacia del sistema di teledermatologia che prevede: 1. uno studio di validazione, ora concluso, che ha confrontato, su un campione di 200 soggetti consecutivi, la valutazione online con un esame clinico diretto dell’intera superfice cutanea da parte di specialisti differenti rispetto a quelli che avevano fornito la valutazione online 2. un’analisi dei dati del Registro Tumori della provincia per verificare se la campagna produca o meno, nel complesso, uno spostamento delle diagnosi di melanoma verso lesioni più sottili 3. uno studio randomizzato tra tutti i dipendenti della ATS di Bergamo confrontando l’esito di screeening periodici con esame clinico diretto dei soggetti con l’utilizzo della app.

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Tabella I: motivazioni alla scelta di una lesione da sottoporre a valutazione tramite la app

Motivazione

n.

%

La lesione appare diversa dalle altre

150

77,7

La lesione è localizzata in un’area cutanea di facile accesso per una valutazione diretta

140

71,8

La campagna “Clicca il neo” mi ha aiutato a identificare la lesione

180

82,3

La lesione mi è stata indicata da un familiare

76

39,2

Risultati dello studio di validazione

stata di aiuto nell’individuazione della lesione (tabella I) e il grado di soddisfazione rispetto allo strumento fornito è risultato, nel complesso, molto elevato. Va notato come la frequenza di osservazione di un melanoma nello studio di validazione sia stata molto più alta rispetto a quanto atteso in base al caso e anche maggiore rispetto alla frequenza di osservazione attesa in visite di screening su popolazione non selezionata.

Lo studio di validazione è stato condotto nel periodo marzo-luglio 2017. I primi 313 utenti che avevano inviato immagini valutabili tramite la app sono stati invitati a eseguire una valutazione clinica diretta e un totale di 232 soggetti (74,1%) ha accettato. Nel corso dello studio sono stati individuati 6 melanomi (spessore medio 0,4 mm) e 2 carcinomi basocellulari, tutte lesioni giudicate sospette alla valutazione online. L’accuratezza diagnostica della valutazione online rispetto all’esame clinico diretto è stata considerata molto soddisfacente. I dati sono, come si è accennato all’inizio, in corso di pubblicazione sul Journal of the American Academy of Dermatology e non è possibile presentarli in questa sede. L’82,3% dei soggetti ha commentato che la campagna d’informazione era

In prospettiva L’esperienza condotta finora ha dimostrato la fattibilità tecnica e la potenziale utilità di un sistema di tele-dermatologia nel promuovere la diagnosi precoce dei tumori cutanei. In particolare, la percentuale di lesioni melanocitarie sospette o a rischio osservabili

Fig. 2: materiale sviluppato per la campagna informativa di “Clicca il neo”

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con il sistema di teledermatologia è risultata notevolmente più elevata rispetto a quanto atteso sulla base del caso e rispetto a quanto sperimentato nella normale pratica clinica ambulatoriale. Non solo il sistema di teledermatologia si è dimostrato efficiente nel rilevare il melanoma ma anche utile nell’anticipare le diagnosi, essendo i melanomi rilevati tutti molto sottili. Risulta notevole anche il grado di accordo tra il giudizio “remoto” e la valutazione specialistica diretta, almeno per quanto riguarda le lesioni con conferma istologica che abbiamo osservato. Un recente vademecum sulle cure integrate supportate da tecnologie digitali sostiene che “innovare i processi assistenziali significa portare a sistema modelli di cura più efficaci e sostenibili; le tecnologie sono un elemento complementare (anche se spesso abilitante) in questo percorso. Per la maggior parte, non si tratta di sviluppare nuovissime soluzioni, ma di utilizzare al meglio un insieme adeguato di buone pratiche e di componenti tecnolo+giche esistenti” (6). Noi condividiamo questo punto di vista. Un problema fondamentale è la sostenibilità del sistema. Non vi è dubbio che sistemi di imaging più sofisticati rispetto alla semplice immagine clinica, come la videodermatoscopia o la microscopia confocale, offrano maggiore precisione diagnostica. Tuttavia, il loro utilizzo non è alla portata di tutti e il searching piuttosto che la conferma diagnostica specifica rimane il tema più rilevante. Per il futuro, pensia-

mo di valutare la combinazione della app con modalità automatiche di riconoscimento di lesioni sospette attraverso l’impiego di reti neurali altamente performanti come la deep convolutional neural network (3).

Bibliografia 1. Cazzaniga S, Castelli E, Di Landro A, et al. Mobile Teledermatology for Melanoma Detection. Assessment of Validity in the Framework of a Population-based Skin Cancer Awareness Campaign in Northern Italy. J Am Acad Dermatol 2019 (in press). 2. Keeble S, Abel GA, Saunders CL, et al. Variation in promptness of presentation among 10,297 patients subsequently diagnosed with one of 18 cancers: evidence from a National Audit of Cancer Diagnosis in Primary Care. Int J Cancer. 2014;135:1220–1228. 3. Mills K, Emery J, Lantaff R, et al. Protocol for the melatools skin self-monitoring trial: a phase II randomised controlled trial of an intervention for primary care patients at higher risk of melanoma. BMJ Open. 2017;7(11):e017934. 4. Carli P, De Giorgi V, Palli D, et al. Dermatologist detection and skin self-examination are associated with thinner melanomas: results from a survey of the Italian Multidisciplinary Group on Melanoma. Arch Dermatol. 2003;139(5):607–612. 5. Progetto Telesalute, a cura di Federsanità Anci e Sics. Servizi innovativi di cure integrate supportati dalle tecnologie digitali. Vademecum operativo, Roma 2016. 6. Esteva A, Kuprel B, Novoa RA, et al. Dermatologist-level classification of skin cancer with deep neural networks. Nature. 2017;542:115-118.

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REAZIONI DERMATOLOGICHE

Tatuaggi: quali sono i rischi per la pelle? Le reazioni avverse più frequenti sono a carico della cute. È teoricamente possibile anche l’interessamento sistemico, in particolare per quanto riguarda le infezioni

Cataldo Patruno Professore di Malattie cutanee e veneree, Università Magna Graecia di Catanzaro Vicepresidente della Società italiana di Dermatologia allergologica professionale e ambientale (Sidapa)

«Quando svolgevo la mia attività presso la Dermatologia dell’Università Federico II di Napoli abbiamo raccolto, dal 2011 al 2015, una casistica di 19 pazienti che riferivano, come principale problema dermatologico una reazione avversa al tatuaggio. Nella gran parte dei casi si trattava di reazioni immunomediate particolarmente intense». Cataldo Patruno, oggi professore di Malattie cutanee e veneree all’Università Magna Graecia di Catanzaro, si riferisce a uno studio, piccolo ma estremamente interessante, sulle malattie della pelle indotte dai

tatuaggi (1). «I numeri sembrerebbero piccoli se valutati rispetto al numero di tatuaggi attualmente presenti. Da allora, però, abbiamo cominciato a considerare i tatuaggi di tutti i pazienti che si rivolgevano a noi per qualunque altro problema dermatologico: la statistica si è almeno decuplicata. I colloqui avuti con questi pazienti hanno evidenziato che il mancato consulto dermatologico specificamente per problemi legati al tatuaggio deriva essenzialmente dal fatto che si trattava di reazioni per lo più lievi, considerate quasi normali dai pazienti, e dalla paura di dover rinunciare o comunque modificare il tatuaggio confermando quanto tale pratica sia ormai diventata un vero e proprio fenomeno sociale nel nostro Paese».

Professor Patruno, quali sono le principali reazioni avverse più comunemente riportate in seguito ai tatuaggi? Senza dubbio le reazioni avverse più frequenti sono quelle a carico della cute. D’altra parte, è teoricamente possibile anche l’interessamento sistemico, in particolare per quanto riguarda le infezioni. In passato, ad esempio, sono stati descritti casi di epatite B trasmessa con il tatuaggio, oppure endocarditi, fino a vere e proprie sepsi. Attualmente, però, i tatuatori professionisti sono soliti rispettare norme igieniche che ormai hanno quasi azzerato tale rischio. Invece, le conseguenze secondarie

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alla migrazione del pigmento nei linfonodi dove persiste, come nella cute, per tutta la vita, sono attualmente legate all’interferenza del pigmento con la valutazione istopatologica in caso di dissezione linfonodale.

Può approfondire le reazioni a carico della pelle? L’infiammazione che solitamente si manifesta durante o subito dopo l’esecuzione del tatuaggio non deve essere considerata come una vera e propria reazione avversa, così come le eventuali ecchimosi: si tratta di manifestazioni che solitamente si autorisolvono e fanno parte della storia naturale della procedura. Ma sicuramente esistono anche vere e proprie reazioni avverse, e quelle più frequentemente riscontrate sono le immunomediate (tatto-induced immunologic reaction). Si tratta di quadri clinici e istologici variabili, dall’eczema a eruzioni lichenoidi, da granulomi a pseudolinfomi. Si suppone che la patogenesi sia comune e legata alla reattività cellulo-mediata nei confronti di diversi componenti degli inchiostri utilizzati. Anche l’epoca dell’insorgenza è variabile: da poche settimane a diversi decenni dall’esecuzione del tatuaggio, indipendentemente dalla morfologia. Praticare un esame istologico è sempre necessario: si conoscono, ad esempio, reazioni granulomatose di tipo sarcoideo che hanno permesso di scoprire una sarcoidosi sistemica subclinica. Sono inoltre riportate, più raramente, le infezioni, la comparsa in sede di tatuaggio di una malattia cutanea di cui il paziente è già affetto (cosiddetto isomorfismo o fenomeno di Koebner), nonché di tumori. In questi casi, però, non sempre si può escludere l’occasionale o fortuita localizzazione della patologia cutanea proprio nell’area tatuata.

come psoriasi o vitiligine, nelle quali è possibile che insorga l’isomorfismo di cui già abbiamo già parlato, ovvero della possibilità di indurre la malattia in seguito al traumatismo, come appunto avviene durante la procedura del tatuaggio. Tutto ciò comporta non solo l’estensione della patologia ma anche il rischio di ritrovarsi un tatuaggio rovinato esteticamente e non più accettabile.

Quanto sono frequenti?

Come si possono affrontare queste condizioni avverse?

In letteratura è riportata una frequenza di reazioni avverse cutanee dal 2% al 27% degli individui tatuati. Questa estrema variabilità dipende soprattutto da come sono stati raccolti i dati (intervista telefonica oppure diretta), dal tipo di domande che vengono somministrate e dalla presenza o meno di una diagnosi medica.

In caso di infezioni, isomorfismo o tumori ovviamente la terapia sarà quella per la specifica patologia. Più complesso è invece il discorso riguardante le reazioni immuno-mediate. In alcuni casi è possibile l’autorisoluzione dopo un periodo molto variabile da caso a caso; d’altra parte, sono anche possibili recidive. In generale, un primo tentativo terapeutico viene effettuato con steroidi topici o, talvolta, intralesionali; in alcuni casi è però necessaria l’asportazione chirurgica, da preferire alla laserterapia: quest’ultima, infatti, di frequente può essere seguita da estensione e peggioramento della reazione avversa per maggiore liberazione di determinanti antigenici dagli inchiostri.

Cosa rischiano in particolare i pazienti che hanno già problemi alla pelle ma si fanno comunque dei tatuaggi? Non esistono, al momento attuale, controindicazioni assolute al tatuaggio se non la gravidanza e l’allattamento. È però opportuno che gli individui affetti da patologie cutanee valutino bene l’opportunità di praticare un tatuaggio, in particolare se si tratta di quelle condizioni,

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Quali sono i materiali e le procedure più a rischio?

tuaggi che presentino ampie aree completamente scure.

Qualunque inchiostro, tranne quello bianco, può causare una reazione immunomediata. Nella maggior parte dei casi i responsabili sono gli inchiostri rossi; è singolare che questa maggiore frequenza sia stata riportata sia in passato con i prodotti mercuriali, non più utilizzati, sia attualmente con i colori azoici, il cadmio e il rosso ocra, che li hanno soppiantati. Più raramente sono interessati i tatuaggi di colore nero e verde. Nonostante la patogenesi delle reazioni sia cellulo-mediata, l’esecuzione del patch è di relativa importanza, essendo frequente la negatività anche testando i componenti puri dell’inchiostro e anche in forme spiccatamente eczematose. Ciò probabilmente perché la sostanza è introdotta direttamente nel derma, dove è possibile lo sviluppo di sottoprodotti con attività immunogena. È inoltre importante chiarire che, anche per questo motivo, non ha nessun valore l’esecuzione di test predittivi, in particolare utilizzando l’inchiostro come tale.

Ci sono cure particolari da prestare alla pelle tatuata per ridurre l’insorgenza di certi effetti avversi tardivi? Le reazioni immunomediate possono essere favorite dall’esposizione solare, così come dalle lampade abbronzanti. Esistono poi vere e proprie reazioni fotomediate in aree tatuate. È pertanto necessaria l’attenta fotoprotezione dei tatuaggi posti in aree fotoesposte, in particolare nei mesi estivi. Nei pazienti con cute secca, è utile l’utilizzo di creme emollienti, perché in questi soggetti è riportata una maggiore tendenza alla eczematizzazione.

C’è molta improvvisazione nel settore? C’è la necessità di una regolamentazione? Negli ultimi anni la situazione è sicuramente migliorata, soprattutto per quanto riguarda una sempre maggiore professionalità dei tatuatori. L’igiene è ormai garantita, in pratica dappertutto, e la possibilità di contrarre infezioni è veramente minima. È pertanto necessario rivolgersi a tatuatori professionisti, che abbiano seguito specifici e riconosciuti corsi di formazione, che seguano corsi di aggiornamento e che operino in strutture idonee. È però da rimarcare che al momento attuale esiste una carenza normativa importante, nonostante la risoluzione europea ResAP nel 2008 imponga l’adeguamento da parte delle legislazioni nazionali. Dal 2013 giace in Parlamento una legge che dovrebbe normare la professione, in particolare stabilendo i requisiti minimi necessari per poterla esercitare, stabilendo con precisione le attività e i materiali permessi. Alcune Regioni hanno promulgato regolamenti parziali che hanno effetto, ovviamente, solo sul territorio regionale.

Anche la rimozione dei tatuaggi comporta dei rischi? La principale reazione avversa di un tatuaggio è il pentimento di averlo praticato. Pertanto la richiesta della rimozione è andata sempre più aumentando. Rispetto ad alcuni anni fa, sono attualmente disponibili alcuni laser con i quali sono ormai molto rare reazioni avverse come le ustioni e i conseguenti esisti cicatriziali. Il vero problema può essere l’insoddisfazione per la non completa scomparsa del tatuaggio, cosa che avviene in particolare per quelli multicolorati.

Oggi sono molto diffusi tatuaggi scuri ed estesi ad ampie zone della pelle: può esserci il rischio che nascondano melanomi e che quindi la diagnosi arrivi troppo tardi?

Renato Torlaschi

È certamente una possibilità concreta. Pertanto, prima di tatuarsi, è necessario scegliere bene l’area, assicurandosi che sia priva di lesioni melanocitarie e comunque lasciare un margine non tatuato intorno ad ogni nevo di almeno un centimetro. In realtà è sempre necessario un consulto dermatologico prima di eseguire un tatuaggio. Ciò è particolarmente vero se si ha un fototipo chiaro, si è portatori di un elevato numero di nevi, si ha familiarità per melanoma e si è già stati affetti da melanoma. In questo caso, come nei tumori cutanei in genere, è fondamentale che si eviti di tatuare la cicatrice chirurgica e la aree circostanti allo scopo di evidenziare eventuali recidive. In genere, poi, indipendentemente dai suddetti fattori di rischio, è necessario evitare di praticare ta-

Giornalista scientifico

Bibliografia 1. Napolitano M, Megna M, Cappello M, Mazzella C, Patruno C. Skin diseases and tattoos: a five-year experience. G Ital Dermatol Venereol. 2018 Oct;153(5):644-648.

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CLINICA IN DERMATOLOGIA

CONGRESS REPORT

Monociti: una terapia rigenerativa per la cura dell’ulcera venosa e linfatica Una valida ed efficace alternativa di trattamento, che accorcia i tempi di cicatrizzazione, per i casi poco rispondenti ad altri approcci terapeutici

Enrico Cappello Chirurgo vascolare Istituto Neurologico Mediterraneo, Pozzilli (IS)

L’utilizzo di monociti nella cura delle ulcere venose e linfatiche rappresenta attualmente una valida alternativa di trattamento, specialmente per quei casi poco rispondenti ad altri approcci terapeutici. Ma quali sono i meccanismi che ne sono alla base e quali risultati è possibile ottenere? Ce ne parla Enrico Cappello, chirurgo vascolare Istituto Neurologico Mediterraneo, che è intervenuto in occasione del recente Congresso Corte (Conferenza italiana per lo studio e la ricerca sulle ulcere, piaghe, ferite e la riparazione tissutale) di Roma.

cere venose e linfatiche si basa sulla compressione elastica. Questa è l’unica terapia che ha dimostrato un’efficacia statisticamente significativa per la guarigione di tali lesioni. Non tutte le lesioni però rispondono velocemente alla terapia compressiva, in particolare nei pazienti diabetici o con vasculite, dove l’eziopatogenesi delle ulcere è mista con una componente da deficit arteriole presente. La terapia rigenerativa con monociti trova il suo spazio in tutte le lesioni che con il solo bendaggio non giungono a guarigione. Il vantaggio principale è accorciare i tempi di cicatrizzazione.

Dottor Cappello, l’utilizzo dei monociti non è indicato nella cura dell’ulcera venosa ma esistono delle eccezioni. Quali sono e quali vantaggi si possono avere per tali casi?

Come si ottengono i monociti? Con un prelievo di 120 cc di sangue venoso inserito in un filtro che per gravità separa le cellule mononucleate. Il risultato dell’estrazione è di 10 cc. La popolazione cellulare estratta è composta da monociti, linfociti e piastrine.

L’ulcera venosa si presenta come danno del microcircolo basato sulla formazione dell’edema. Questo processo aumenta gli spazi cellulari, riduce l’apporto di ossigeno e determina una necrosi, ossia l’ulcera. Tutti i processi di necrosi creano una distruzione della struttura microcircolatoria arteriole e ventilare con danno permanente che si autoalimenta per incapacità del microcircolo di rigenerarsi e consentire alle cellule di creare nuovi tessuti. La terapia per la cura delle ul-

Che cosa succede alla lesione? Una cosa fondamentale da comprendere è che i monociti iniettati in un tessuto si trasformano in macrofagi. In realtà sono la stessa cellula che prende un nome diverso a seconda che si trovi nel torrente ematico o in un tessuto.

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CLINICA IN DERMATOLOGIA

Quando vi è una lesione aperta, i macrofagi si trovano selezionati in una sottopopolazione che si chiama M1. Queste cellule sono gli spazzini dei tessuti, ossia ingeriscono e digeriscono qualsiasi scoria, comprese le cellule distrutte o apoptotiche. Quando abbiamo una lesione infetta o infiammata con una contaminazione batterica, gli M1 scatenano una guerra contro tutto e tutti, non selettiva, che crea stress ossidativo e distruzione cellulare sia di cellule esterne come i batteri, sia di cellule proprie del tessuto. È come una bomba che distrugge qualsiasi cosa sia buona che cattiva. Questo processo nelle ulcere croniche è ridondante quindi la medesima ulcera crea se stessa. La caratteristica più importante dei macrofagi M1 però è quella di emettere interleuchine che condizionano tutte le cellule presenti nel tessuto quali linfociti, fibroblasti e cellule epiteliali. Dicono a tutti che c’è una guerra in atto:

“combattete e distruggete tutto”. La capacità della terapia con monociti è quella di polarizzare i macrofagi da una popolazione M1 a una popolazione M2. Quest’ultima è rappresentata da cellule che producono interleuchine che modulano la risposta rigenerativa del tessuto. Indicono le cellule intorno ad essi a generare vasi sanguigni e struttura testuale neoformata. In altre parole, esse dicono all’ambiente circostante che la guerra è finita, che è possibile abbassare le difese e iniziare i processi riparativi perciò passano da un’ulcera cronica a una lesione in granulazione.

Quando ha senso ricorrere a questo tipo di terapia? Ogni volta che il bendaggio da solo non riesce a ottenere una guarigione.

Lucia Oggianu


CLINICA IN DERMATOLOGIA

CONGRESS REPORT

Biomateriali: importanti risultati nella cura di lesioni cutanee “inguaribili” Un approccio innovativo per il trattamento dell’ulcera venosa e linfatica che ha ridotto drasticamente il tasso di amputazioni maggiori e i tempi di guarigione

Ferdinando Campitiello Responsabile dell’UOS Studio e Cura delle les. Ulc.Aa.ii. e del Centro di Eccellenza per lo Studio e il Trattamento delle Ulcere Cutanee

Alle tecniche di ricostruzione tradizionalmente note, negli ultimi anni, si è affiancata la chirurgia rigenerativa e l’ingegneria tissutale, un approccio innovativo che ha prodotto interessanti risultati di guarigione di lesioni cutanee definite inguaribili. Ce ne parla il professor Ferdinando Campitiello, Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli”, che ha presentato una relazione sul tema, in occasione del congresso Corte (Conferenza italiana per lo studio e la ricerca sulle ulcere, piaghe, ferite e la riparazione tissutale) tenutosi a Roma.

tridimensionali che mimano la matrice extracellulare. Scaffold biocompatibili, ovvero che non provocano una risposta indesiderata dell’organismo una volta impiantato, in grado di orchestrare in vivo gli eventi rigenerativi e che tendono a biodegradarsi e a farsi sostituire dal tessuto biologico rigenerato. Scaffold capaci cioè di indurre in vivo un nuovo organo o tessuto con le stesse proprietà fisiologiche dell’organo perduto, senza pretrattamenti cellulari o farmacologici in vitro e a farsi sostituire dal tessuto biologico rigenerato.

Che tipo di evoluzione ha apportato questo nuovo approccio?

Professor Campitiello, chirurgia rigenerativa e ingegneria tissutale, di cosa si tratta?

Si è riusciti a portare a guarigione lesioni cutanee definite “inguaribili per la loro estensione e il loro stadio, riducendo drasticamente il tasso di amputazioni maggiori e i tempi di guarigione.

Si tratta di una definizione coniata ufficialmente nel 1988 dalla National Science Foundation per definire un campo di studi multidisciplinare di ricerca che ha come scopo la rigenerazione dei tessuti e organi danneggiati del nostro organismo al di fuori del corpo umano. La progettazione e la crescita dei tessuti avvenivano al di fuori del corpo e solo in un secondo momento si passava all’impianto dei tessuti artificiali sui tessuti danneggiati. Un tipico esempio è l’uso di pelle “coltivata”. Negli ultimi anni l’obiettivo dell’ingegneria dei tessuti è completamente cambiato grazie all’avvento di scaffold

Come sono classificati i biomateriali? Le classificazioni sono molteplici e non c’è ancora una validata. Possono essere classificati in base alla struttura anatomica (sostituti dermici, epidermici, dermo-epidermici); durata dello scaffold (permanenti, semipermanenti, temporanei); tipo di biomateriale (biologico, sintetico), componente cellulare (acellulare, cellulare).

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Biomateriali biologici e sintetici, ognuno di loro ha un vantaggio. Quale? Il vantaggio dei biologici è che contengono negli adeguati segnali biochimici, un programma tessuto-specifico. I vantaggi dei sintetici, invece, sono le proprietà quali resistenza, velocità di degradazione, microstruttura, permeabilità controllate durante la loro produzione.

In base a che cosa si sceglie il biomateriale? La matrice acellulare ideale è quella che si avvicina maggiormente alla struttura e alla funzione dell’ECM naturale che deve sostituire. Deve essere un modello per l’infiltrazione delle cellule dell’ospite e un supporto fisico che guida la differenziazione e la proliferazione delle cellule coinvolte nella guarigione delle lesioni cutanee. Deve essere biocompatibile quindi non provocare una risposta indesiderata dell’organismo una volta impiantato. La scelta va fatta in base alla bioattività: provocare azioni e reazioni controllate nell’ambiente fisiologico. Deve possedere dei recettori (ligandi) per le integrine presenti

sulle cellule che se si legano nel modo giusto facendo perdere il fenotipo contrattile (farovendo così la rigenerazione tissutale e non la cicatrizzazione). Importante anche la porosità: un diametro medio dei pori di 20-120 μm consente alle cellule di penetrare nel ponteggio e legarsi ai leganti presenti sulla superficie dello scaffold. Un diametro inferiore non consente alle cellule di entrare; un diametro superiore consentirebbe l’accesso di cellule aggregate che non aderiscono alla matrice. E poi riassorbimento e degradazione controllata: la degradazione e il riassorbimento deve avvenire in modo controllato contribuendo così al rimodellamento tissutale senza immettere nell’organismo sostanze tossiche.

Quali attenzioni è necessario prestare per ottenere il miglior risultato? Preparare correttamente il fondo della lesione di impianto allontanando i tessuti necrotici, controllando l’essudato e abbattendo la carica batterica utilizzando antibiotici mirati. Lucia Oggianu



CLINICA IN DERMATOLOGIA

PSICODERMATOLOGIA

Psicodermatologia: la complessità del rapporto mente-corpo La malattia dermatologica vista come meccanismo di difesa inconscio nei confronti di eventi a carattere traumatico

Mariella Fassino Dermatologa Scuola di specializzazione in Psicologia clinica Università degli Studi di Torino

La psicodermatologia Italiana nasce nel solco pionieristico di due importanti protagonisti della dermatologia accademica e ospedaliera del dopoguerra, il professor Emiliano Panconesi e il dottor Roberto Bassi. Dalle rispettive città di Firenze e Venezia, non a caso luoghi di storia e cultura straordinari, i due clinici studiavano modalità di approccio alle malattie dermatologiche dal versante “psi”, si confrontavano con la complessità del rapporto mente-corpo nella clinica dermatologica, nella genesi delle malattie dermatologiche e proponevano nuovi approcci alla gestione talora complessa del paziente affetto da disturbi della pelle. Appartengono alla cultura dermatologica italiana due pubblicazioni che molti di noi conservano tra i libri di formazione a cui tornare per confrontarsi: lo stress, le emozioni e la pelle di Emiliano Panconesi pubblicato nel1988 e la ragazza che odiava gli specchi di Roberto Bassi pubblicato nel 1996. I due clinici seppero animare tra gli anni ’80 e ’90 un dibattito sui temi che ruotano attorno alla psicodermatologia attraverso pubblicazioni scientifiche, congressi, gruppi di discussione, seminari, interventi ai congressi nazionali e internazionali. Per chi ha avuto la fortuna e l’onore di conoscerli, rimane vivo il ricordo di un dibattito appassionato, il piacere di un ascolto non convenzionale, il rimpianto per maestri che hanno saputo fare

cultura spaziando dalla psicoanalisi, alla letteratura, alla mitologia, alle neuroscienze.

Sidep: un po’ di storia La Sidep (Società italiana di Psicodermatologia) nasce il 4 novembre del 1995 a Venezia in occasione del I Corso residenziale di Dermatologia psicosomatica, inizialmente come Gruppo italiano di Dermatologia psicosomatica (Gidep), diventa società scientifica con atto notarile nel 1997. I corsi residenziali di Venezia ideati e realizzati dal prof. Roberto Bassi a cadenza annuale vedevano riuniti dermatologi, psicologi, psichiatri, geriatri, pediatri, epidemiologi, infermieri, medici di famiglia. Gli strumenti di cui si è dotata la Sidep per perseguire l’obiettivo culturale di incrementare le competenze emotive del dermatologo e studiare la complessità biopsicosociale delle malattie dermatologiche sono: i corsi residenziali e i gruppi di formazione in Dermatologia psicosomatica. I corsi residenziali si svolgono senza soluzione di continuità da ventidue anni. Le prime edizioni avevano sede a Venezia, nel 2000 ci fu un’edizione a Torino in seguito a Genova e si articolano in una parte teorica e una parte pratica. La parte teorica si ispira ai modelli di comprensione psi-

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CLINICA IN DERMATOLOGIA

codinamici, facendo riferimento agli autori che in ambito psicoanalitico hanno esplorato le dinamiche mente-corpo e il rapporto medico-paziente: Freud, Ferenczi, Winnicott, Balint, Anzieu, la Scuola francese di Marty. Ampio spazio è dedicato ai concetti che emergono nell’ambito della neuro-psico-immuno-dermatologia e al problema della liason dermo-psichiatrica ovvero della collaborazione tra dermatologi, psichiatri e psicologi. La parte teorica si articola in lezioni Magistrali, letture e dibattiti in cui hanno portato il loro contributo esponenti di spicco della dermatologia psicosomatica, della psichiatria e psicoanalisi italiana ed europea. Ricordiamo: Sylvie Consoli, Roberto Bassi, Alberto Semi, Emiliano Panconesi, Simona Argentieri, John Cotteril, Alberto Cossidente, Vincenzo Maggiulli, John De Korte. La parte pratica vede la costituzione di gruppi di discussione in cui i partecipanti presentano casi clinici attinti dalla propria attività professionale. Attraverso il racconto dell’interazione medico-paziente si analizzano le componenti cognitive e affettive legate alla patologia cutanea, la presenza di un tutor dell’area “psi” permette ai medici di partecipare a un’esperienza molto simile a quella dei gruppi Balint. Ampio spazio è dedicato ai talk show a tema in cui un gruppo di esperti si confronta esaminando una malattia dermatologica da più vertici: dermatologico, psicologico, assistenziale. Oggetto di discussione sono state la psoriasi, la dermatite atopica, le alopecie, l’idrosoadenite suppurativa, l’acne.

corporee negli aspetti psicologici e culturali; l’adolescente e la pelle e molti altri. Che cosa abbiamo imparato? A considerare la pelle non solo come un organo sul quale si possono presentare delle patologie, ma anche come organo all’interfaccia tra: biologia, psicologia e sociologia. La cute come: luogo di realizzazione delle relazioni primarie, rappresentante concreto dell’Io, interfaccia tra mondo interno e mondo esterno, sistema di connessione intersensoriale, sede dell’eccitazione e dell’eros, luogo di espressione dei divieti edipici, sistema comunicativo primitivo, organo di separazione e comunicazione, luogo di investimento psichico. Abbiamo appreso un linguaggio, attraverso il quale è possibile stabilire una comunicazione tra dermatologi e professionisti dell’area “psi”, psichiatri, psicoanalisti, psicologi. Un linguaggio che si fonda sul contributo che le teorie psicodinamiche e psicologiche possono portare alla dermatologia; di seguito un piccolo glossario: Io corporeo e immagine corporea, relazioni primarie, processi di individuazione-separazione, oggetti interni, transfert e controtransfert, alessitimia, strategie di coping, difese psicologiche e difese biologiche.

Obiettivo della psicodermatologia Volevamo anche verificare l’ipotesi di lavoro dalla quale è partita l’esperienza della Sidep: quanta parte occupino le emozioni, i sentimenti, gli affetti nell’insorgenza, nella cronicizzazione, nella riacutizzazione delle malattie dermatologiche. Era nostro obiettivo mettere a punto una tecnica di approccio al paziente che tenesse conto della ricchezza comunicativa di ogni incontro clinico che si esprime attraverso i sintomi, le modalità di presentazione dei sintomi, la domanda, il clima affettivo dell’incontro, la temporalità dell’incontro, la peculiarità del paziente accompagnato, l’accesso alla storia del paziente in una prospettiva narrativa, le possibilità di intervento del medico e le strategie di cura, la modalità di presa in carico del paziente, la pertinenza e la modalità dell’invio agli specialisti dell’area “psico” o ai colleghi di specialità limitrofe, la restituzione del materiale emerso nell’incontro clinico e infine la trasformazione dell’atto medico in atto psicoterapeutico. In questo approccio integrato al paziente la qualità che più abbiamo cercato di esercitare è l’elasticità di metodo alla comprensione e cura della patologia, che non attribuisce un’interpretazione univoca alle malattie cutanee, non

Aree di interesse della psicodermatologia Quali temi abbiamo affrontato e discusso in questi ventitre anni? Numerosi e agli esordi poco trattati dai dermatologi nei congressi e nei dibattiti scientifici, temi che tenacemente si presentano nell’ambulatorio del medico, talora difficili da maneggiare nella pratica clinica. Con soddisfazione, da alcuni anni notiamo che diventano di gran moda, sempre più trattati nella letteratura scientifica e nei congressi nazionali e internazionali. Di seguito ne elenchiamo alcuni: il rapporto medico-paziente in dermatologia alla luce dei modelli di riferimento psicodinamici; l’immagine corporea e i disturbi dell’immagine corporea in dermatologia; la valutazione psicologica del paziente in dermatologia; le finalità, i limiti, le possibilità dei test psicologici diagnostici applicati alla ricerca e alla clinica in psico-dermatologia; i capelli e la psiche; l’antropologia della pelle; le manipolazioni e le modificazioni

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CLINICA IN DERMATOLOGIA

vincola la malattia in modo rigido a un particolare profilo psicologico ma vede interagire personalità e malattia in modo complesso essendo a loro volta influenzate dal substrato genetico e dalla storia personale del paziente. In questa prospettiva la malattia è vista come meccanismo di difesa inconscio nei confronti di eventi a carattere traumatico acuto o cronico: lutti, separazioni, difficoltà di convivenza, perdite (lavoro, affetti, salute, ecc.), cambiamenti del corpo (puerperio, adolescenza, climaterio, vecchiaia, malattia). Eventi che ridefiniscono il rapporto con gli altri e con la propria immagine corporea. Alcuni di noi hanno avuto la possibilità di partecipare alla costituzione e alla realizzazione dei gruppi di formazione in dermatologia, nella cornice della città di Venezia dal 1995 al 2000, a cadenza bimensile sul modello dei gruppi Balint. Esperienza che ha comportato una forte motivazione nei partecipanti, lasciando una traccia nella loro professione, ma che ha avuto una forte connotazione storica, difficilmente replicabile.

Conclusioni La dermatologia può fare a meno della psicodermatologia? Se così non fosse, quali prospettive si aprono nell’am-

bito della clinica e della ricerca? La psicodermatologia può ancora interessare le generazioni dei più giovani? Se sì, quali ambiti sono più percorribili? La formazione clinica? La ricerca? Le psicometrie e la misurazione del disagio e della qualità della vita in dermatologia? E ancora la psicodermatologia deve rientrare nella formazione dermatologica di base? A questi interrogativi si può rispondere che in Europa e nel mondo numerose società di psicodermatologia fanno formazione e ricerca e che la Sidep è affiliata all’Esdap (Società europea di Psicodermatologia). Per parte nostra continueremo a proporre come Sidep il congresso annuale di Genova e la presenza di una sessione Sidep ai congressi dermatologici nazionali con tenacia, determinazione, passione come abbiamo cercato di fare in questi anni. Da ultimo vorrei ricordare la proficua collaborazione con la coppia psicodermatologica più famosa tra gli addetti ai lavori, mi riferisco a Simona e Raffaele Argentieri che come è noto, dal versante psicoanalitico e da quello dermatologico ci hanno incoraggiato in questi anni con la vicinanza, gli stimoli, le riflessioni e alla dott.ssa Anna Graziella Burroni attuale presidente Sidep infaticabile organizzatrice. Dunque anche quest’anno si è discusso di psicodermatologia in occasione del recente Congress Sidep a Genova dal tema “Emozioni, invisibili protagoniste in dermatologia”.

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CLINICA IN DERMATOLOGIA

LETTERATURA INTERNAZIONALE

Psoriasi e malattie croniche intestinali: le evidenze crescenti di una comorbilità Uno studio condotto da un team di ricercatori di Taiwan conferma che la psoriasi è vista come condizione infiammatoria cronica che innesca patologie in diversi distretti

È ben noto che la psoriasi a placche – la forma più comune di psoriasi – è associata a comorbilità sistemiche, tra cui l’artrite, le malattie cardiovascolari, le malattie renali, il diabete mellito e la sindrome metabolica. Questo ha portato alla formulazione del concetto di “marcia psoriasica”, in cui la psoriasi è vista come condizione infiammatoria cronica che causa malattie infiammatorie in diversi distretti. «L’infiammazione sistemica – scrive Wolf-Henning Boehncke dell’Università di Ginevra, uno dei grandi esperti in materia – può causare resistenza all’insulina che a sua volta innesca la disfunzione delle cellule endoteliali, portando ad aterosclerosi e infine infarto miocardico o ictus. Anche se questa “marcia psoriasica” non è ancora stata provata formalmente, solleva questioni clinicamente e accademicamente rilevanti e ottiene supporto dalle recenti osservazioni di numerosi ricercatori» (1). Con una diffusione della malattia che tocca fino al 10% degli adulti in tutto il mondo, una più profonda conoscenza delle comorbilità può diventare un elemento rilevante per la salute globale e migliorare i trattamenti di ogni singolo paziente che potrà, ad esempio, essere indirizzato a test di laboratorio appropriati, come la glicemia a digiuno o il profilo lipidico.

Crohn e la colite ulcerosa. Già diversi studi ne hanno suggerito l’esistenza, anche perché psoriasi e Ibd condividono elevati livelli, nel siero e nei tessuti, di citochine proinfiammatorie, come il fattore di necrosi tumorale alfa e le interleuchine IL-12 e IL-23. Si è anche visto che il blocco mirato di queste citochine o dei corrispondenti recettori porta spesso a miglioramenti rilevanti in entrambe le condizioni. La forza dell’associazione tra psoriasi e malattie croniche intestinali è stata esplorata recentemente da uno studio condotto da un team di ricercatori di Taiwan, che per la prima volta ha condotto una metanalisi su questo tema, dopo aver individuato in letteratura cinque studi trasversali e quattro studi di coorte, che complessivamente avevano esaminato un numero enorme di pazienti: 7.794.187. Prima di tutto, la metanalisi ha confermato una significativa associazione statistica tra psoriasi e Ibd. Per la precisone, dagli studi trasversali è emerso che i pazienti affetti da psoriasi hanno un rischio aumentato del 70% rispetto alla popolazione generale di contrarre la malattia di Crohn e del 75% di sviluppare colite ulcerosa. Gli odds ratio (OR) calcolati grazie agli studi di coorte hanno sostanzialmente confermato il maggior rischio. Il gruppo di studiosi di Taiwan, oltre a presentare prove convincenti della correlazione tra queste diverse patologie, ne ha ipotizzato le cause: le possibili spiegazioni possono essere fatte risalire ad anomalie genetiche, disfunzioni del sistema immunitario, infiammazione sistemica e alterazione del microbiota intestinale. Fin dal 2012 si era scoperto il primo gene collegato alla psoriasi. Successive analisi del genoma hanno permesso di identificare nove loci genici, su cromosomi diver-

Associazione tra psoriasi e malattie croniche intestinali Una delle associazioni più interessanti da approfondire è quella con le malattie croniche intestinali (Ibd, Inflammatory bowel disease), che comprendono, oltre alle cosiddette “coliti indeterminate”, la malattia di

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CLINICA IN DERMATOLOGIA

ta intestinale simile a quella che si verifica nelle persone con Ibd.

I benefici dei trattamenti Come si diceva, molti trattamenti contro la psoriasi offrono benefici anche per le condizioni associate. Ad esempio, le terapie che bloccano i Tnf-alfa (come etanercept, adalimumab, infliximab) portano a una riduzione o scomparsa delle caratteristiche placche sulla pelle, contrastano l’infiammazione alle articolazioni, riducono i marcatori sierologici dell’infiammazione e possono persino rallentare la progressione delle malattie cardiache. Questa sovrapposizione terapeutica si estende anche alle malattie croniche intestinali: molti farmaci biologici hanno di fatto indicazioni multiple per il trattamento di psoriasis vulgaris, psoriatic arthritis, malattia di Crohn e colite ulcerosa. Sia le Ibd che la psoriasi sono caratterizzate da alterazioni immunitarie unite a infiammazioni e danni specifici ai tessuti come quelli dell’intestino, dell’epidermide e delle articolazioni ma esistono ovviamente differenze cliniche, istologiche e anche terapeutiche. Ad esempio, anticorpi monoclonali che agiscono sull’interleuchina 17 o i suoi recettori sono molto efficaci contro la psoriasi, ma possono esacerbare le malattie croniche intestinali. Si spera che le prossime ricerche scientifiche, nell’ottenere maggiori conoscenze di ciascuna di queste malattie, possano far luce anche su quelle collegate.

si, che sembrano conferire una maggiore suscettibilità alla malattia. All’interno dei loci si trovano diversi geni e molti di questi sono su vie metaboliche coinvolte nel processo infiammatorio: in alcuni casi psoriasi e Ibd sembrano condividere gli stessi loci di suscettibilità. Si sono scoperti anche due geni specifici (IL23R e IL12B) implicati nella patogenesi di entrambe le malattie. La pelle e l’intestino mostrano somiglianze nelle Ibd e nella psoriasi; il microbiota influenza molti processi dell’organismo, tra questi anche la fisiologia e la risposta immunitaria dell’epitelio della pelle e dell’intestino e la regolazione di metaboliti biologici. Inoltre, il microbiota può portare all’espressione di particelle antimicrobiche, a elevate livelli di citochine e, di conseguenza, alla regolazione dell’attività e della differenziazione delle cellule T. Pertanto, una disfunzione del microbiota può causare una disregolazione immunitaria sistemica. Ebbene, si è visto che nei pazienti affetti di psoriasi c’è una diminuzione della diversità e dell’abbondanza di microbio-

Renato Torlaschi Giornalista scientifico

Bibliografia 1. Boehncke WH; Boehncke S; Tobin AM; Kirby B. The ‘psoriatic march’: a concept of how severe psoriasis may drive cardiovascular comorbidity. Exp Dermatol. 2011; 20(4):303-7. 2. Fu Y, Lee CH, Chi CC. Association of psoriasis with inflammatory bowel disease. A systematic review and metaanalysis. JAMA Dermatol. 2018;154:1417-1423.

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CLINICA IN DERMATOLOGIA

LETTERATURA INTERNAZIONALE

Risonanza magnetica per le persone tatuate: il rischio è trascurabile Gli studi scientifici dimostrano che solitamente non si hanno complicanze ma in letteratura è stato documentato un effetto avverso grave, anche se raro

Due fenomeni che si riferiscono ad ambiti totalmente differenti sono diventati molto comuni negli ultimi anni, i tatuaggi e le risonanze magnetiche: ma cosa succede quando una persona con tatuaggi si sottopone a risonanza? Già in passato, gli studiosi si erano preoccupati che l’inserimento della pelle tatuata nel potente campo magnetico di una macchina per la RM potesse avere conseguenze spiacevoli. La ricerca e l’esperienza dimostrano che solitamente non si manifesta alcun problema, ma in letteratura è stato documentato un effetto avverso grave, anche se molto raro.

toporsi a risonanza magnetica. Weiskopf ha coordinato un team che ha studiato le reazioni alla risonanza magnetica di 330 persone con 932 tatuaggi e, come ha scritto recentemente sul New England Journal of Medicine (2), gli effetti della conduttività solitamente sono troppo piccoli persino per essere notati, tantomeno per causare danni. Per precauzione, i ricercatori tedeschi hanno limitato la partecipazione a persone con tatuaggi di dimensioni non superiori a 20 centimetri e con non più del 5% della superficie corporea tatuata. La mancanza di effetti rilevati fa comunque pensare che sia improbabile che tatuaggi un po’ più grandi possano rappresentare un grave rischio. «C’è stato solo un caso specifico – ha detto Weiskopf – in cui il radiologo ha rilevato un piccolo effetto collaterale della scansione, una sensazione di formicolio sulla pelle, ma questa sgradevole conseguenza è scomparsa entro 24 ore, senza che la persona colpita abbia richiesto un trattamento medico».

Principali reazioni alla risonanza magnetica I timori sono generati dalle numerose sostanze chimiche che sono presenti negli inchiostri usati per i tatuaggi: quelli che contengono ferro o nichel rispondono ai campi magnetici che, durante una scansione RM, possono essere abbastanza potenti da generare sensazioni spiacevoli, come se la pelle venisse tirata. Altri pigmenti, molto più comunemente utilizzati, sono conduttori di elettricità e la presenza di un campo magnetico variabile induce correnti elettriche: normalmente si disperdono rapidamente, ma può accadere che il tatuaggio si riscaldi e, almeno in teoria, si potrebbero produrre ustioni. Già diversi anni fa, sull’American Journal of Roentgenology (1), era stato riportato il caso di un’ustione di primo grado a seguito di una risonanza magnetica, effettuata su una donna con trucco permanente tatuato sulle palpebre. Tuttavia, secondo Nikolaus Weiskopf, fisico dell’Istituto Max Plank di Berlino, le preoccupazioni non devono essere tali da impedire alle persone con tatuaggi di sot-

Renato Torlaschi Giornalista scientifico

Bibliografia 1. Franiel T, Schmidt S, Klingebiel R. First-degree burns on MRI due to nonferrous tattoos. AJR Am J Roentgenol. 2006 Nov;187(5):W556. 2. Callaghan MF, Negus C et Al. Safety of Tattoos in Persons Undergoing MRI. N Engl J Med. 2019 Jan 31;380(5):495-496.

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ANGOLO DELLA CLINICA

Protocollo terapeutico efficace per lesioni eritematose figurate

a cura di Cristina Zane

Quadro clinico Una donna di 67 anni giungeva alla nostra attenzione per la comparsa, da circa due settimane, di lesioni eritematose figurate, di cui la paziente riferiva evoluzione ad andamento centrifugo e persistenza delle stesse oltre le 24 ore. In anamnesi la paziente non presentava patologie rilevanti nĂŠ riferiva recente introduzione di nuove terapie farmacologiche al domicilio. Alla nostra valutazione, si osservavano chiazze anulari eritematose policicliche, a margine infiltrato, non desquamative, localizzate agli arti inferiori e superiori, cui si associava una sintomatologia moderatamente pruriginosa in assenza di segni o sintomi di interessamento sistemico (figure 1 e 2). Si sottoponeva la paziente ad accertamenti biochimici di base, immunologici (ANA, ENA, FR, Anti-DNA), oncologici (CEA, AFP, CA-125, CA 19-9) e strumentali (radiografia del torace, ecografia addominale), i quali risultavano nella norma. Si decideva pertanto di eseguire una biopsia cutanea per esame istologico mediante colorazione con ematossilina-eosina, il cui esito descriveva un quadro di dermatite perivascolare superficiale e interstiziale con componente eosinofila (figure 3 e 4).

Figura 1

Figura 2

Figura 3

QUAL Ăˆ LA DIAGNOSI? Confronta la tua ipotesi diagnostica con quella degli autori. Alla pagina seguente trovi la diagnosi e il piano di trattamento consigliato

Figura 4

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)

DIAGNOSI

di flame figures o di caratteristiche suggestive per vasculite. Le caratteristiche anatomo-patologiche consentono pertanto di differenziare l’eritema anulare eosinofilo dalle altre principali forme di eritema figurato, fra cui citiamo l’eritema anulare centrifugo (il cui infiltrato infiammatorio perivascolare è a prevalenza linfo-istiocitaria), l’orticaria vasculitica (la cui istologia mostra tuttavia franchi segni di vasculite leucocitoclasica, con diffuso infiltrato neutrofilico nel derma) e la sindrome di Wells o cellulite eosinofila (che all’istologia presenta un diffuso infiltrato eosinofilico a livello dermico e sovente fino al sottocute, edema del derma, nonché flame figures; è inoltre possibile un interessamento sistemico in corso di sindrome di Wells, con eosinofilia periferica, artralgie, febbre e malessere). A causa della recente descrizione dell’eritema anulare eosinofilo, non esistono ad oggi protocolli terapeutici standardizzati; il trattamento di I linea si avvale di steroidi topici potenti o superpotenti, mentre in II linea (se I linea inefficace) è possibile intraprendere una terapia steroidea sistemica o mediante farmaci antimalarici (idrossiclorochina, clorochina). Sono inoltre in studio terapie sistemiche alternative, tra cui minociclina, ciclosporina a basse dosi, dapsone a basse dosi. La nostra paziente è stata trattata con successo con applicazione di steroide topico superpotente per 15 giorni, con progressiva risoluzione delle lesioni senza esiti e in assenza di recidive al follow-up a tre mesi.

Eritema anulare eosinofilo

TERAPIA L’eritema anulare eosinofilo è un’entità patologica di recente scoperta (25 casi descritti in letteratura al 2017). La combinazione di eritema anulare ed eosinofilia tissutale fu inizialmente descritta nel 1981 nei pazienti pediatrici come eritema anulare dell’infanzia (AEI), ma negli ultimi anni è stata riconosciuta anche negli adulti, principalmente come variante della sindrome di Wells, sebbene una nuova corrente di pensiero propenda a considerarla quale entità distinta. Si tratta di una patologia a maggiore distribuzione nel genere femminile e che può associarsi a disordini sistemici quali asma, artrite reumatoide, neoplasie solide, tiroidite di Hashimoto. Eziologia e patogenesi alla base dell’eritema anulare eosinofilo rimangono in larga parte sconosciuti, tuttavia, data anche l’associazione frequente con disordini autoimmuni, si ipotizza il ruolo dell’autoimmunità: è possibile che un triggering iniziale determini un richiamo di eosinofili, i quali conseguentemente rilasciano mediatori citochinici responsabili di un’alterata melanogenesi e delle caratteristiche lesioni iper-pigmentate centrali. A livello clinico, l’eritema anulare eosinofilo si caratterizza per la comparsa di lesioni anulari o figurate persistenti, ad andamento cronico e con recidive ricorrenti, il cui aspetto clinico peculiare è costituito dalla pigmentazione centrale di tipo “dusky”. Le lesioni sono solitamente riferite come moderatamente pruriginose ma non dolenti, in assenza di modificazioni sistemiche significative (non si riscontra in genere ipereosinofilia periferica). Gli eritemi figurati rappresentano spesso una sfida in ambito clinico dermatologico, data l’ampia rosa di diagnosi differenziali ipotizzabili. Per tale ragione, in presenza di lesioni cliniche suggestive che inducano a sospettare un eritema anulare eosinofilo, occorre confermare la diagnosi mediante una biopsia cutanea per esame istologico (da eseguire sui margini infiltrati della lesione), il quale evidenzia un infiltrato infiammatorio di eosinofili a livello del derma superficiale, a disposizione perivascolare e interstiziale, in assenza

Laura Miccio, Vincenzo Maione, Cristina Zane Clinica dermatologica, Università degli studi di Brescia

Bibliografia 1. El-Khalawany M, Al-Mutairi N, Sultan M, Shaaban D. Eosinophilic annular erythema is a peculiar subtype in the spectrum of Wells syndrome: a multicentre long-term followup study. J Eur Acad Dermatol Venereol. 2013 Aug;27(8):973-9. 2. Nakazato S, et al. Eosinophilic annular erythema is clinically characterized by central pigmentation reflecting basal melanosis: a clinicopathological study of 10 cases. J Eur Acad Dermatol Venereol. 2017 Nov;31(11):1916-1923. 3. Maione V et al. Granulomatous drug reaction after intranasal desmopressin administration. Indian J Dermatol. 2016. Jan-Feb;61(1):125.

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ATTUALITÀ IN DERMATOLOGIA

Antibiotico resistenza colpisce soprattutto l’Italia D Il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ecdc), colmando il gap di conoscenze sul tema, ha recentemente valutato su The Lancet Infectious Diseases il “peso” dell’antibiotico resistenza in Europa (1). Le indagini riportate da Alessandro Cassini et al., relative al 2015 e alla popolazione dei Paesi dell’Unione europea (Ue) e dello Spazio economico europeo (See), stimano che si siano verificati 671.689 casi di infezioni antibiotico resistenti, a cui sono attribuibili 33.110 decessi. Stime che corrispondono a un’incidenza di 131 casi di infezione antibiotico resistente per 100 mila abitanti e a 6,44 decessi per 100 mila abitanti. Dall’indagine emerge inoltre che le infezioni resistenti agli antibiotici sono diffuse in tutte le fasce di popolazione, colpendo in particolare i bambini sotto l’anno, mentre negli adulti questa evenienza aumenta con l’avanzare dell’età (con un picco tra 65-84 anni), suggerendo che l’invecchiamento della popolazione residente in Ue e See possa aggravare ulteriormente il problema.

La situazione italiana «Nonostante la presenza dei fenomeni di antibiotico resistenza in tutta Europa, l’analisi di Cassini evidenzia la gravità del problema nel nostro Paese – commentano su EpiCentro.it, il portale dell’epidemiologia per la sanità pubblica, Annalisa Pantosti, Paolo D’Ancona e Patrizio Pezzotti dell’Istituto superiore

te ai carbapenemi. Le infezioni da batteri resistenti ai carbapenemi o alla colistina sono responsabili del 38,7% dei DALYs. In particolare, il “peso” sanitario delle infezioni da K. pneumoniae resistente ai carbapenemi è aumentato più di sei volte dal 2007, sia in termini di numero di infezioni che di decessi.

Cosa possiamo fare di sanità –. Infatti, sebbene le stime sul peso delle infezioni batteriche resistenti mettano al primo posto Italia e Grecia, nel nostro Paese si è verificato un terzo di tutti i decessi correlati all’antibiotico resistenza (10 mila morti). Stime elaborate sulla base dei dati forniti dalla sorveglianza dell’antibiotico resistenza dell’Istituto superiore di sanità (ArIss)».

I microrganismi coinvolti Come riportano i tre esperti, lo studio Ecdc evidenzia che il 67,9% dei DALYs (un indicatore che stima la somma degli anni di vita persi per mortalità prematura – Years of Life Lost – e degli anni di vita vissuti in condizioni di salute non ottimale o di disabilità – Years of Life lived with Disability) è stato causato da infezioni dovute a quattro specie di batteri antibiotico resistenti: Escherichia coli e Klebsiella pneumoniae resistenti a cefalosporine di terza generazione, Staphylococcus aureus resistente alla meticillina (Mrsa) e Pseudomonas aeruginosa resisten-

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«È stato stimato che il 63,5% dei casi di infezione con batteri resistenti sia associato all’assistenza sanitaria, causando il 72,4% dei decessi correlabili e il 74,9% di DALYs – commentano gli esperti dell’Iss –. Un risultato che suggerisce come gli effetti sulla salute delle infezioni con antibiotico resistenza si verifichino soprattutto negli ambienti di cura. È quindi importante contrastare le infezioni correlate all’assistenza per garantire la sicurezza dei pazienti e, allo stesso tempo, cercare trattamenti alternativi per le situazioni di co-morbidità o vulnerabilità». «L’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) ha indicato in 13 miliardi di dollari il costo dell’antibiotico-resistenza in Italia da qui al 2050 se non si cerca di invertire la marea montante» riporta Annalisa Pantosti. Tra gli interventi messi in campo per contrastare il problema, l’anno scorso è stato varato dal ministero della Salute il “Piano nazionale di contrasto all’antimicrobico resistenza 2017-2020” (Pncar), che vuole affrontare e contrastare il fenomeno


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in modo efficace attraverso sei ambiti di intervento: la sorveglianza, la prevenzione e il controllo delle infezioni, l’uso corretto degli antibiotici, la formazione, le attività di comunicazione e informazione, la ricerca e l’innovazione, con azioni integrate condotte sia a livello nazionale che a livello regionale. I nuovi dati pubblicati dall’Ecdc indicano però che tra il 2013 e il 2017 non ci sono state variazioni statisticamente significative nel consumo di antibiotici tra la popolazione residente nell’Ue e nello See, nemmeno in ambito ospedaliero. In conclusione la situazione non è cambiata, forse non ci siamo allar-

mati a sufficienza o forse non abbiamo compreso i rischi a cui l’umanità sta andando incontro. Per questo #KeepAntibioticsWorking (manteniamo efficaci gli antibiotici) è uno degli hashtag scelti per veicolare i messaggi dell’undicesima edizione della Giornata europea degli antibiotici (18 novembre), organizzata proprio dall’Ecdc. Uno slogan che ricorda sia la grande importanza di questi farmaci, sia il rischio che diventino inefficaci a causa della diffusione del fenomeno dell’antibiotico resistenza. Non a caso dal 2015 l’antibiotico resistenza è entrata, come tema prioritario, nell’agenda salute del G7 e

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dal 2016 in quella del G20. Andrea Peren Bibliografia 1. Cassini A, Högberg LD, Plachouras D, Quattrocchi A, Hoxha A, Simonsen GS, Colomb-Cotinat M, Kretzschmar ME, Devleesschauwer B, Cecchini M, Ouakrim DA, Oliveira TC, Struelens MJ, Suetens C, Monnet DL; Burden of AMR Collaborative Group. Attributable deaths and disability-adjusted life-years caused by infections with antibiotic-resistant bacteria in the EU and the European Economic Area in 2015: a population-level modelling analysis. Lancet Infect Dis. 2018 Nov 5.


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Dermoscopy Pro’19: quello che non ti aspetti D Dall’11 al 13 aprile è in programma a Gubbio il meeting Dermoscopy Pro’19 “Quello che non ti aspetti”: un incontro completamente nuovo per dermoscopisti esperti, in cui affrontare evenienze meno comuni nella pratica clinica quotidiana. Un programma ricco con la finalità di portare alla conoscenza patologie, varianti morfologiche e topografiche inusuali, e nel contempo proporre tutte le possibili diagnosi alternative. La prima sessione, “Cose che non ti aspetti” illustra neoformazioni particolarmente rare, quali il carcinoma baso-squamoso, il Paget mammario/ extramammario, il Bowen pigmen-

tato, il tumore di Merkel, i tumori annessiali, il Kaposi/Pseudokaposi e molto altro. La seconda sessione “Aspetti inusuali per neoformazioni comuni” analizza tumori cutanei di per sé non particolarmente rari (nevi di Spitz, cheratosi seborroica, cheratosi lichenoide,

dermatofbroma) nelle loro varianti meno conosciute e spesso difficili da diagnostcare. La terza sessione, “Sedi inusuali per neoformazioni comuni”, tocca sedi topografche speciali quali labbra e cavo orale, orecchio, occhio e palpebra, area ano-perianale dove spesso le neoformazioni cutanee assumono aspetti peculiari. Per informazioni: Segreteria Organizzatva: Joining People srl Tel. 06.2020227 gubbio@joiningpeople.it www.joiningpeople.it

Gli esperti in dermatologia si riuniscono al World Congress of Dermatology 2019 D La Società Italiana di Dermatologia (Sidemast) ospiterà il 24° World Congress of Dermatology (WCD) a Milano dal 10 al 15 giugno 2019. Il congresso si concentrerà su importanti scoperte e progressi in dermatologia, che vanno dalla pratica clinica alla ricerca, alla tecnologia e all’innovazione. Ci saranno molte opportunità per medici esperti e giovani dermatologi, infermieri e professionisti. La kermesse riunirà esperti internazionali per condividere esperienze, conoscenze e abilità professionali per

migliorare l’assistenza ai pazienti. Il congresso internazionale di dermatologia è in memoria del professor Sergio Chimenti e rappresenta la sua idea di invitare in Italia i dermatologi di fama internazionale. Il presidente del World Congress

of Dermatology 2019, il professor Giovanni Pellacani, e il segretario generale Ketty Peris hanno lavorato in sinergia con i loro colleghi e il presidente scientifico Christopher Griffiths per offrire un programma innovativo e ricco di contenuti.

Per informazioni: Segreteria organizzativa: Triumph Italy wcd2019milan@thetriumph.com www.wcd2019milan.org

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Amwc 2019: aggiornamenti in medicina, chirurgia e dermatologia estetica D La 17esima edizione di Aesthetic & Anti-Aging Medicine World Congress-Amwc si terrà da giovedì 4 a sabato 6 aprile al Grimaldi Forum Monaco di Monte Carlo. La kermesse internazionale verterà su temi di medicina estetica, chirurgia plastica, chirurgia estetica, anti-aging e dermatologia estetica. L’edizione 2019 di Amwc darà un riconoscimento speciale a Taiwan per il suo contributo al progresso della medicina globale anti-invecchiamento. Taiwan, situata strategicamente tra l’Asia orientale e sud-orientale, è una delle realtà più dinamiche al mondo in medicina estetica.

Sotto la supervisione scientifica della World Society of Interdisciplinary Anti-Aging Medicine (Wosiam), la conferenza sarà caratterizzata da un

programma altamente interattivo, stimolante e multidisciplinare, forum ideale per stimolare idee, educare, condividere competenze, avviare stimolanti discussioni ed estendere opportunità di networking. La sicurezza del paziente, che rappresenta la priorità numero uno ed è sempre più riconosciuta come una questione di importanza globale, sarà il tema principale della conferenza del 2019. Per informazioni: Segreteria organizzativa: EuroMediCom www.euromedicom.com Tel. +33 (0)1 56 83 78 00

A Bologna la 10a edizione del Congresso internazionale WSRM D La decima edizione del Congresso della Società mondiale di Microchirurgia ricostruttiva (World Society of Reconstructive Microsurgery) si terrà da mercoledì 12 a sabato 15

giugno a Bologna, presso il Palazzo della Cultura e dei Congressi. Il Wsrm 2019, presieduto dal professor Giorgio De Santis, ordinario di Chirurgia Plastica, Ricostruttiva ed Estetica dell’Università degli studi di Modena e Reggio Emilia, si articolerà in sessioni, video sessioni, workshop, dibattiti e letture magistrali. Diversi saranno i temi presentati durante la kermesse internazionale, divisi per aree tematiche: si parlerà di ricostruzione dei tessuti molli, lembi ossei e osteocutanei, Cad/Cam technology, microchirurgia estetica;

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verrà affrontata la ricostruzione autologa con utilizzo di lembi locali e lembi liberi per la sessione sul seno. Altre novità verranno presentate nell’ambito della tecnologia innovativa (robot, imaging, simulazione).

Per informazioni: Segreteria organizzativa: Nord Est Congressi Tel. 06.68807925 info@nordestcongressi.it www.wsrm2019.com


PRODOTTI E TECNOLOGIE

Dermastir Tsunami Deep Cleanser Dermastir Tsunami Deep Cleanser è un detergente efficace e delicato che consente una pulizia profonda, adatta a tutti i tipi di pelle, anche in caso di dermatite, rosacea, impetigine, psoriasi, eczema, eruzioni cutanee, comedoni e acne lieve-moderata. Il packaging sottovuoto garantisce qualità e stabilità degli ingredienti. La sua formula attiva è caratterizzata dalla tecnologia di ossigenazione che, creando un ambiente aerobico, introduce ossigeno nel poro, uccidendo i batteri responsabili della formazione dell’acne; dalla presenza di anti-infiammatori non steroidei (come il ketorolac trometamina), che assicurano un effetto anti-rossore; ialuronato di sodio, per una profonda idratazione; clorofenesina

dalle proprietà batteriostatiche; vitamina E antiossidante contro i radicali liberi e copolimero di acrilato ad azione esfoliante per aiutare la rigenerazione dei tessuti e stimolare un naturale processo di ringiovanimento. La gamma di detergenti Dermastir, studiata per l’uso quotidiano e per tut-

ti tipi di pelle, è inoltre composta dal Normal to Dry Cleanser, Oily to Cobination Cleanser, Foaming Cleanser, Pellet Cleanser, Latte, Toner, Gommage Scrub e ognuno protetto da una confezione sottovuoto. Altri detergenti che non vengono conservati in una confezione sottovuoto possono diventare molto aggressivi per la pelle. Tutta la gamma combina una delicata ma profonda pulizia della pelle rispettandone l’equilibrio, evitando così irritazioni. Per informazioni: Alta Care Laboratoires Tel. 06.69380852 alta@altacre.com www.dermastir.com

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B3 e oro puro omeopatico. Stimola la formazione di collagene e riduce i segni visibili dell’invecchiamento; > Mito Gold C, vitamina C che non ossida e non degrada perché il siero non contiene acqua, melatonina, andrografolide, vitamina B3, oro puro omeopatico. Potente antiossidante e schiarente, blocca la melanogenesi uniformando l’incarnato; > Combi, retinolo e acido glicolico,

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vitamina C, che non ossida e non degrada perché il siero non contiene acqua, melatonina e andrografolide. Esfoliazione naturale e stimolazione del turn over cellulare cutaneo, previene il fotoinvecchiamento, riduce le discromie cutanee; > R, arginina, magnesio, melatonina e andrografolide. Potente idratante, antiossidante, elasticizzante, cross-linkante con effetto lifting globale. Per informazioni: Korpo Srl Tel. 010.580335 info@korpo.com www.korpocare.com



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CONGRESS REPORT I ATTUALITÀ IN DERMATOLOGIA LETTERATURA INTERNAZIONALE I ANGOLO DELLA CLINICA

IN QUESTO NUMERO

Fenomeno di Kasabach-Merritt: microcircolazione e aspetti dermatologici Metodica combinata per contrastare il fotoaging del viso Melanoma cutaneo: la diagnosi precoce può ridurre incidenza e mortalità Tatuaggi: quali sono i rischi per la pelle? Psoriasi e malattie croniche intestinali: le evidenze crescenti di una comorbilità

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