2015
4 Corso accreditato ECM Dermoscopia: le differenti possibilità diagnostiche in ambito dermato-oncologico
Innesto adiposo autologo come nuovo trattamento del tessuto cicatriziale: una realtà ormai consolidata Pronto intervento contro l’onicomicosi
LETTERATURA INTERNAZIONALE ANGOLO DELLA CLINICA ANGOLO DELLA PROFESSIONE
Hi Tech Dermatology Italian High Tech Network in Dermatological Sciences
2015
SOMMARIO
ECM / modulo 4
Dermoscopia: le differenti possibilità diagnostiche in ambito dermato-oncologico
pag. 13
R. Pampena, G. Argenziano, G. Pellacani, F. Farnetani, S. Bassoli, E. Moscarella, S. Borsari, E. Benati, C. Longo
Innesto adiposo autologo come nuovo trattamento del tessuto cicatriziale: una realtà ormai consolidata
pag. 23
V. Bandi, V. Vinci, A. Lisa, S. Giannasi, M. Giaccone, A. Veronesi
Pronto intervento contro l’onicomicosi
pag. 29
C. Carnovale
editoriale
pag. 11
letteratura internazionale
pag. 35
angolo della clinica
pag. 37
approfondimenti scientifici dal mondo
pag. 40
angolo della professione
pag. 42
attualità
pag. 54
corsi e congressi
pag. 56
marketing & sviluppo
pag. 58
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NORME REDAZIONALI
Requisiti per la pubblicazione di un manoscritto Gli articoli devono pervenire al Comitato di Redazione (info@laserforum.it) in copia cartacea e in forma elettronica nella loro stesura definitiva, completi di nome, cognome, qualifica professionale, indirizzo, telefono, email e firma dell’autore/i. Le illustrazioni devono essere numerate progressivamente e corredate di relative didascalie, con precisi riferimenti nel testo. Devono essere ad alta risoluzione (almeno 300 DPI, in formato TIFF, EPS oppure JPEG). Grafici e tabelle dovranno essere forniti su supporto cartaceo e magnetico (possibilmente in formato Microsoft Excel), numerate progressivamente e corredate di relative didascalie, con precisi riferimenti nel testo. È necessario includere l’autorizzazione per riprodurre materiale già pubblicato in precedenza o per utilizzare immagini ritraenti persone, qualora identificabili. L’articolo deve comporsi delle seguenti parti: Titolo, conciso e senza abbreviazioni, in italiano e in inglese Sottotitolo, in italiano e in inglese Nome e cognome di autore/i e relative qualifiche professionali Sommario di apertura, in italiano (minimo 30, massimo 50 parole) Riassunti in italiano e in inglese (minimo 50, massimo 100 parole). Parole chiave in italiano e in inglese (da 2 a 5), usando i termini indicati nell’Index Medicus. Qualora l’articolo sia una ricerca, il lavoro deve essere sintetico e non superare le 2.000 parole (bibliografia esclusa). Qualora l’articolo sia una rassegna, deve avere una lunghezza massima di 3.500 parole (bibliografia esclusa). Entrambi con un numero massimo di 12 foto. L’articolo può assumere la forma di una comunicazione breve, non superando in questo caso le 1.000 parole con un numero massimo di 4 foto. Struttura dell’articolo Qualora l’articolo sia una rassegna (casi clinici, test su strumenti eccetera) è sufficiente prevedere una divisione in paragrafi e sottoparagrafi, tale da rendere meglio identificabili le parti di cui è composto il lavoro e agevolare la fruizione del testo. Qualora sia una ricerca, l’articolo avrà la classica struttura dell’articolo scientifico. In questo caso si avranno: Introduzione, riassume lo stato attuale delle conoscenze; Materiali e metodi, descritti in modo tanto dettagliato da permettere ad altri la riproduzione dei risultati; Risultati, riportati in modo conciso e con riferimenti a tabelle e/o grafici. Discussione e conclusioni, enfatizzando gli aspetti importanti e innovativi dello studio. Bibliografia. Le voci bibliografiche dovranno essere elencate in ordine di citazione nel testo con una numerazione araba progressiva. Le voci bibliografiche dovranno essere redatte secondo lo stile dell’Index Medicus, pubblicato dalla National Library of Medicine di Bethesda, MD, Stati Uniti. Dovranno quindi recare cognome e iniziale del nome degli autori, il titolo originale dell’articolo, il titolo della rivista, l’anno di pubblicazione, eventualmente il mese, il numero del volume, il numero di pagina iniziale e finale. I rimandi bibliografici all’interno del testo, invece, dovranno essere posti tra parentesi recando il numero della voce/i cui fanno riferimento, in ordine di apparizione. L’approvazione alla pubblicazione è concessa dal Board scientifico. Le bozze inviate agli autori devono essere restituite corrette degli eventuali refusi di stampa entro il termine che verrà indicato. I lavori non possono essere stati offerti contemporaneamente ad altri editori, né pubblicati su altre riviste. L’Editore provvederà gratuitamente alla pubblicazione degli articoli, per la stesura dei quali è esclusa ogni sorta di compenso a favore dell’Autore/i. La proprietà letteraria dell’articolo pubblicato spetta all’Editore. Estratti Gli autori possono richiedere estratti a pagamento. Per ogni informazione riguardante gli estratti è possibile contattare la Redazione scrivendo a redazione@griffineditore.it
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hi.tech dermo
Alta tecnologia in dermatologia ricostruttiva Periodico trimestrale Anno X - dicembre 2015 Direttore responsabile Giuseppe Roccucci g.roccucci@griffineditore.it Redazione Andrea Peren - a.peren@griffineditore.it Lara Romanelli - redazione@griffineditore.it Rachele Villa - r.villa@griffineditore.it Segreteria di redazione e traffico Maria Camillo - Tel. 031.789085 customerservice@griffineditore.it Vendite Stefania Bianchi s.bianchi@griffineditore.it Barbara Guglielmana b.guglielmana@griffineditore.it Giovanni Cerrina Feroni g.cerrinaferoni@griffineditore.it Lucia Oggianu l.oggianu@griffineditore.it Consulenza grafica Marco Redaelli - info@creativastudio.eu Stampa: Alpha Print srl Via Bellini, 24 - 21052 Busto Arsizio (VA) Abbonamento annuale (4 numeri): 30 euro Singolo fascicolo: 7,50 euro Copyright© Griffin srl unipers. ISSN 1971-0682 Registrazione del Tribunale di Como N.22/06 del 29.11.2006 EDITORE Griffin srl unipersonale
P.zza Castello 5/E 22060 Carimate (Co) Tel. 031.789085 Fax 031.6853110 info@griffineditore.it www.griffineditore.it
Iscrizione nel Registro degli operatori di comunicazione (Roc) n. 14370 del 31.07.2006 L’Editore dichiara di accettare, senza riserve, il Codice di Autodisciplina Pubblicitaria. Dichiara altresì di accettare la competenza e le decisioni del Comitato di Controllo e del Giurì dell’Autodisciplina Pubblicitaria, anche in ordine alla loro eventuale pubblicazione. Tutti gli articoli pubblicati su hi.tech dermo sono redatti sotto la responsabilità degli Autori. La pubblicazione o ristampa degli articoli della rivista deve essere autorizzata per iscritto dall’Editore. Ai sensi dell’art. 13 del D.Lgs. 196/03, i dati di tutti i lettori saranno trattati sia manualmente sia con strumenti informatici e utilizzati per l’invio di questa e altre pubblicazioni o materiale informativo e promozionale. Le modalità di trattamento saranno conformi a quanto previsto dall’art.11 D.Lgs.196/03. I dati potranno essere comunicati a soggetti con i quali Griffin srl intrattiene rapporti contrattuali necessari per l’invio della rivista. Il titolare del trattamento dei dati è Griffin srl, P.zza Castello 5/E, Carimate (Co), al quale il lettore si potrà rivolgere per chiedere l’aggiornamento, l’integrazione, la cancellazione e ogni altra operazione di cui all’art. 7 D.Lgs. 196/03.
CON IL PATROCINIO DI
Adoi Associazione Dermatologi Ospedalieri Italiani Aida Associazione Italiana Dermatologi Ambulatoriali Ela European Laser Association Isplad International Italian Society of Plastic Aesthetic and Oncologic Dermatology Sidco Società Italiana di Dermatologia Chirurgica Oncologica SIDeMaST Società Italiana di Dermatologia Medica, Chirurgica, Estetica e delle Malattie Sessualmente Trasmesse
Aidnid Associazione Italiana di Diagnostica non Invasiva in Dermatologia CoNESCoD Comitato Nazionale Etico-Scientifico Sorveglianza dei Cosmetici e dei Dispositivi Medici Ddi Donne Dermatologhe Italiane Dermoscopy Forum Forum italiano di dermoscopia e imaging cutaneo Esld European Society for Laser Dermatology Girtef Gruppo Italiano Radiofrequenze e Terapia Fotodinamica Gisv Gruppo Italiano per lo Studio e la Terapia della Vitiligine Istd International Society of Teledermatology Sidec Società Italiana di Dermatologia Estetica e Correttiva SIDeLP Società Italiana dei Dermatologi Liberi Professionisti Sild Società Italiana Laser in Dermatologia Sildec Società Italiana Laser Chirurgia Dermatologica e Cosmetica Sircped Società Italiana di Radiofrequenza in Chirurgia Plastica e Dermatologia
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Hi Tech Dermatology - italian high tech network in dermatological sciences Il Network, con sede a Milano, Via della Moscova 42, ha come fine quello di creare una vera e propria rete di connessione tra medici specialisti che, operando nell’ambito della dermatologia e della chirurgia plastica, utilizzano dispositivi biomedici di alta tecnologia. Si propone pertanto di mantenere e sviluppare la formazione e l’aggiornamento professionale del dermatologo e del chirurgo plastico ed estetico al più alto livello della pratica clinica in merito agli impieghi delle tecnologie e dei dispositivi medico chirurgici. L’Associazione ha come sua caratteristica costitutiva l’interdisciplinarietà e, nell’espletare le sue attività, trova sedi idonee e confacenti i momenti congressuali delle varie società mediche e chirurgiche, con le quali il Network avrà ampia collaborazione. Di tale interdisciplinarietà il Network desidera fare propria peculiarità principale, in quanto l’Associazione non nasce come una nuova società scientifica, ma si costituisce con l’intento di rappresentare una realtà trasversale in cui tutti i professionisti di specialità affini, interessati all’impiego nell’ambito della loro professione di dispositivi ad alta tecnologia, possano affluire per scambiare le proprie esperienze e crescere in virtù di questi scambi. Inoltre l’Associazione si propone di valutare sia la qualità dei dispositivi medico chirurgici che i loro protocolli applicativi. Hi Tech Dermatology è presente on line con il suo sito ufficiale www.hitechdermatology.org e si avvale della pubblicazione della Rivista hi.tech dermo, che rappresenta la sua espressione scientifica. Sono soci dell’Associazione tutti coloro che, enti, persone fisiche e giuridiche, cooperano al progresso e allo sviluppo della scienza medica nel campo delle applicazioni della dermatologia e chirurgia plastica, estetica ricostruttiva, della dermatologia chirurgica e oncologica e della dermatologica estetica e correttiva, e che a tale progresso e sviluppo siano interessati. Sono presidenti onorari del Network i professori Luigi Rusciani Scorza e Nicolò Scuderi. Sono soci onorari i presidenti in carica delle società scientifiche di riferimento e personalità proposte e accettate dal consiglio direttivo. Il consiglio direttivo del Network è formato dal coordinatore: Pier Luca Bencini; vice coordinatore: Patrizio Sedona; segretario scientifico: Michela Gianna Galimberti; tesoriere: Gian Marco Tomassini; consiglieri: Marco Ardigò, Davide Brunelli, Marco Dal Canton, Giovanni Pellacani. Sono responsabili e coordinatori territoriali per l’Italia settentrionale Matteo Tretti Clementoni (email: mtretti@tin.it), per l’Italia centrale Claudio Comacchi (email: comacchidermatologia@interfree.it) e infine per l’Italia meridionale e insulare Federico Ricciuti (email: ricciutifederico@tiscali.it).
BOARD SCIENTIFICO
Direttore scientifico Pier Luca Bencini
Comitato di redazione Marco Dal Canton
Michela Gianna Galimberti
Michele Fimiani
Giovanni Pellacani
Giacomo Calzavara Pinton
Luigi Rusciani Scorza
Comitato scientifico Vincenzo Ansidei
Salvatore Curatolo
Alberto Massirone
Giovanni Fabio Zagni
Marco Ardigò
Antonino Di Pietro
Luciano Mavilia
Malvina Zanchi
Giuseppe Argenziano
Michela Gianna Galimberti
Santo Raffaele Mercuri
Cristina Zane
Enrico Bernè
Saturnino Gasparini
Massimo Papi
Nicola Zerbinati
Franco Buttafarro
Gianluigi Giovene
Federico Ricciuti
Giovanni Cannarozzo
Gabriella Fabbrocini
Corinna Rigoni
Giampiero Castelli
Massimo Laurenza
Mario Santinami
Claudio Comacchi
Caterina Longo
Gian Marco Tomassini
Anna Chiara Corazzol
Leonardo Marini
Gian Marco Vezzoni
Responsabili sezioni speciali Istopatologia
Imaging cutaneo
Oncologia cutanea
Vincenzo De Giorgi
Ausilia Manganoni
Diagnostica non invasiva
Direttore proceeding devices
Epidemiologia
Marco Fumagalli
Luigi Naldi
Medicina legale
Dermochirurgia oncologica
Riparazione tissutale
Giuseppe Guerriero
Marco Romanelli
Medicina legale
Imaging cutaneo
Giorgio Annessi Ignazio Stanganelli Valerio Cirfera Chirurgia plastica ricostruttiva
Pierfrancesco Cirillo
Fisica e bioingegneria
Orazio Svelto
Farmacologia clinica
Stefano Veraldi
Pietro Rubegni
Giovanni Lombardi
Editors internazionali Peter Bjerring (DANIMARCA)
Martin Mihm (STATI UNITI)
Peter Soyer (AUSTRIA)
Glen Calderhead (GIAPPONE)
Harry Moseley (SCOZIA)
Mario Trelles (SPAGNA)
David Green (STATI UNITI)
Girish Munavalli (STATI UNITI)
Mariano Velez-Gonzalez (SPAGNA)
Sean Lanigan (REGNO UNITO)
Ercin Ozunturk (TURCHIA)
Maria Alejandra Vitale (SPAGNA)
Jean Luc Levy (FRANCIA)
Marc Roscher (SUD AFRICA)
Marwan al Zarouni (EMIRATI ARABI UNITI)
Claudia I.M. van der Lugt (OLANDA)
Xavier Sierra (SPAGNA)
Editors onorari Presidente Isplad
Andrea Romani
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Presidente Sidco
Giuseppe Zumiani
Presidente Sidemast
Giampiero Girolomoni
Presidente Aida
Cecilia Pravettoni
EDITORIALE
Rimozione laser dei tatuaggi: un problema in cerca d’autore Pier Luca Bencini Direttore scientifico di hi.tech dermo
L’introduzione dei sistemi laser q-switched a nanosecondi di durata d’impulso hanno notevolmente migliorato l’efficacia dei trattamenti per eliminare i tatuaggi, e questi sistemi hanno rappresentato per circa 15 anni il gold standard treatment per la cura dei tatuaggi. Ma la loro rimozione oltre a non poter essere in alcun modo garantita, è a tutt’oggi una delle procedure laser più difficili sia per l’ampia varietà di pigmenti utilizzati e le diverse tipologie di pigmentazione, sia per le notevoli variabili personali. Recentemente abbiamo dimostrato come l’insuccesso terapeutico possa essere legato anche a stili di vita quali l’habitus al fumo e la presenza di multi pigmenti nella decorazione. Conoscere i fattori predittivi del successo terapeutico è indubbiamente importante per programmare la strategia di intervento, ma attualmente il successo della procedura non può essere garantito neppure utilizzando le procedure più rigorose e le apparecchiature della migliore tecnologia. Pochi anni fa sono state proposte alcune nuove strategie per cercare di migliorare i risultati ottenibili solo con l’impiego di strumenti a nanosecondi. In particolare l’associazione di questi laser con laser frazionali ablativi e non, sembrano secondo alcuni studi aumentare la rimozione della quantità di pigmento, riducendo i danni texturali, grazie alla capacità dei sistemi frazionali di favorire una eliminazione transepidermica del pigmento, anche se nostre esperienze non ci hanno consentito di confermare questi risultati. Più recentemente il Dr. Kossida ha proposto una variante del metodo tradizionale con laser a nanosecondi, consistente in passaggi multipli nella stessa seduta, il cosiddetto metodo R20, perché prevede un intervallo di 20 minuti tra un passaggio laser e l’altro. La metodica si basa sul presupposto teorico di colpire il pigmento a più profondità tissutali, con l’eliminazione progressiva degli strati più profondi, i risultati da lui riportati, apparentemente superiori alle metodiche classiche attendono però ulteriori conferme su studi di larghe casisitiche. L’avvento della tecnologia laser a picosecondi rappresenta l’ultima frontiera nel tentativo di ottimizzare i risultati riducendo le sedute necessarie. I laser a picosecondi emettono impulsi brevissimi (10-12 di secondo) e apparentemente rappresentano il trattamento più promettente, assicurando, ma gli studi dovranno confermarlo, una rimozione del tatuaggio rapida ed efficace. Già una decina di anni fa alcuni studi avevano paragonato l’efficacia dei laser a nanosecondi con apparecchiature sperimentali a picosecondi, ma allora i risultati erano stati dibattuti per il rischio di danni texturali dovuti agli imponenti effetti di splattering fotomeccanico dell’impulso a picosecondi. Del tutto recentemente e con un apparecchio indubbiamente tecnologicamente più avanzato, il gruppo del Dr. Ross ha per primo condotto uno studio controllato di confronto fra l’efficacia dei laser a nano rispetto a quello a picosecondi su tatuaggi neri, sostenendo la maggior efficacia di questa nuova apparecchiatura. Altri studi, sia nel maiale sia nell’uomo, sembrano confermare la superiorità di questo Sistema, che dovrà comunque essere valutato da un numero più ampio di studi controllati e caratterizzati da un lungo periodo di follow-up, vista la recentissima introduzione sul mercato del primo apparecchio: il 2013 e l’elevatissimo costo di commercializzazione. Ci attendiamo soprattutto una conferma sulla efficacia anche su soggetti tradizionalmente resistenti (come i fumatori o i portatori di tatuaggi di vecchia data), e sulla effettiva capacità di questo nuovo sistema di ridurre l’incidenza dei danni texturali e di agire su più cromofori a dispetto della selettività di assorbimento della sua lunghezza d’onda, come in parte inizialmente adombrato dalle aziende costruttrici quando hanno lanciato sul mercato la tecnologia. Pier Luca Bencini
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CORSO ECM A DISTANZA 2015
Diagnostica dermatologica non invasiva CORSO FAD RISERVATO AGLI ABBONATI PAGANTI
DESCRIZIONE DEL CORSO
Lo scopo del corso è di fornire le conoscenze di base nell'ambito delle diverse tecniche di diagnostica non invasiva in dermatologia. Verranno descritti la dermatoscopia e il microscopio laser confocale con i diversi pattern diagnostici, sia per le lesioni melanocitarie sia non melanocitarie, utili per una corretta diagnosi in dermato-oncologia. Verranno inoltre descritte le più recenti tecniche di diagnostica non invasive ( OCT) attualmente in fase di studio e le loro possibili applicazioni nella pratica clinica. DIRETTORE SCIENTIFICO
Giovanni Pellacani, Direttore Clinica Dermatologica, Università degli studi di Modena e Reggio Emila STRUTTURA DEL CORSO
Modulo 1 - La microscopia laser confocale, diagnostica non invasiva in dermato-oncologia Autori: Francesca Farnetani (dermatologo), Valeria Coco (dermatologo), Silvana Ciardo (tecnico di laboratorio biomedico), Giovanna Mazzaglia (farmacista-data manager ), Giovanni Pellacani (dermatologo) Modulo 2 - Optical Coherence Tomography: quali strumenti, quali sviluppi e quali applicazioni in dermatologia Autori: Laura Bigi (dermatologo), Sara Bassoli (dermatologo), Silvana Ciardo (tecnico), Giovanni Pellacani (dermatologo), Francesca Farnetani (dermatologo) Modulo 3 - L'invecchiamento cutaneo: diverse possibilità diagnostiche e terapeutiche Silvana Ciardo (tenico di laboratorio biomedico), Maurizio Greco (dermatologo), Caterina Longo (dermatologo), Giovanna Mazzaglia (farmacista-data menager), Marco Manfredini (dermatologo), Giovanni Pellacani (dermatologo) Modulo 4 - La dermatoscopia: le differenti possibilità diagnostiche in campo dermato-oncologico Giuseppe Argenziano (dermatologo), Sara Bassoli (dermatologo), Elisa Benati (dermatologo), Stefania Borsari (dermatologo), Francesca Farnetani (dermatologo), Caterina Longo (dermatologo), Elvira Moscarella (dermatologo), Riccardo Pampena (dermatologo), Giovanni Pellacani (dermatologo) MODALITÀ DI SOMMINISTRAZIONE DEL CORSO E ACCREDITAMENTO ECM
In ogni numero di hi.tech dermo (in uscita tra gennaio e dicembre 2015) verrà pubblicato un modulo composto da un articolo e da un questionario di autovalutazione. A fine corso saranno disponibili online (www.fadmedica.it) tutti i moduli pubblicati sulla Rivista e sarà possibile rispondere online a un questionario di valutazione finale, che si compone delle domande contenute nel “questionario di autovalutazione” che viene pubblicato al termine di ogni modulo. L’erogazione dei crediti ECM avverrà al superamento della prova finale, per la quale è necessario rispondere correttamente al 75% delle domande. Tutti gli iscritti al corso riceveranno le informazioni necessarie per l’accesso online e la compilazione dei questionari. Per informazioni generali contatta l’Editore Griffin srl – Maria Camillo (ufficio abbonamenti) Tel. 031.789085 (ore 9-13) customerservice@griffineditore.it Per informazioni tecniche sullo svolgimento del corso contatta il provider ECM Fad Medica srl – Andrea Mecci (responsabile formazione) - Tel. 06.90407234 - info@fadmedica.it
ECM/DERMOSCOPIA
Dermoscopia: le differenti possibilità diagnostiche in ambito dermato-oncologico The usefulness of dermoscopy in skin cancer diagnosis
Riassunto La dermoscopia rappresenta il gold standard per la diagnosi precoce dei tumori cutanei. La standardizzazione di tale metodica è stata definitivamente raggiunta nel 2003, mediante un consensus meeting via internet, nell’ambito del quale è stato validato un alfabeto dermoscopico e una procedura chiamata 2-step analisi. Il primo step permette di distinguere le lesioni melanocitarie dalle non melanocitarie; il secondo invece, le lesioni melanocitarie benigne dalle maligne. Utilizzando la 2-step analisi come filo conduttore, abbiamo revisionato l’utilità della dermoscopia nella diagnosi dei tumori cutanei. Abbiamo inoltre considerato le limitazioni di questa metodica, evidenziando l’importanza di un approccio diagnostico integrato.
Abstract Dermoscopy is nowadays considered the gold standard approach for early diagnosis of skin cancers. The standardization of this procedure was reached in 2003, when the dermoscopic alphabet and a 2-step diagnostic procedure were validated by a consensus meeting via the internet. The first-step distinguishes melanocytic versus non-melanocytic lesions; the second step allows the differentiation between melanoma and benign melanocytic lesions. Using the 2-step analysis as leading thread, we reviewed the utility of dermoscopy in the diagnosis of skin cancers. We also considered the limitations of this procedure, empathizing the importance of an integrative approach.
Parole Chiave Dermoscopia; diagnosi non invasiva; melanoma; tumori cutanei nonmelanoma
Key Words Dermoscopy; non invasive diagnosis; melanoma; non-melanoma skin cancers
Riccardo Pampena1 Giuseppe Argenziano2 Giovanni Pellacani3 Francesca Farnetani3 Sara Bassoli3 Elvira Moscarella4 Stefania Borsari4 Elisa Benati4 Caterina Longo4 1 Dermatology Unit “Daniele Innocenzi”, Dept. of Medical and Surgical Sciences and Biotechnologies, Sapienza University of Rome, Terracina 2 Dermatology Unit, Second University of Naples 3 Department of Dermatology, University of Modena and Reggio Emilia 4 Skin Cancer Unit, Arcispedale S. Maria Nuova-IRCCS, Reggio Emilia
Riferimento per contatti: longo.caterina@gmail.com Conflitti d’interesse dichiarati: nessuno
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Il fonendoscopio del dermatologo Il dermatoscopio è ormai diventato uno strumento fondamentale nella pratica clinica quotidiana del dermatologo. Numerose evidenze scientifiche hanno infatti evidenziato la superiorità diagnostica di tale metodica in ambito dermato-oncologico, rispetto all’osservazione a “occhio nudo”(1,2). Dall’alfabeto dermoscopico alla 2-step analisi Un momento decisivo nella standardizzazione della diagnosi dermoscopica dei tumori cutanei è stata la definizione di un alfabeto condiviso a livello mondiale. Tale obiettivo è stato raggiunto nel 2003, mediante la pubblicazione dei risultati di un consensus meeting eseguito via internet (3). In questo consensus è stata inoltre valutata la performance della cosiddetta “2step analisi”, una nuova procedura per la classificazione delle lesioni cutanee pigmentate. Il primo step consiste nella discriminazione tra lesioni melanocitarie e non melanocitarie; il secondo invece nella differenziazione tra lesioni melanocitarie benigne e il melanoma mediante l’utilizzo di 4 diversi algoritmi diagnostici: l’analisi di pattern modificata (4), l’ABCD dermoscopico (5), il metodo di Menzies (6) e la 7-point check list (7). Primo step La valutazione del primo step si basa sull’individuazione dei seguenti parametri: rete pigmentata, globuli, strie, colorazione blu omogenea, pattern parallelo. Qualora almeno uno di questi parametri risulti presente nella lesione, il primo step può considerarsi po-
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sitivo e dunque si procede con il secondo step. Primo step positivo: secondo step - Lesioni melanocitarie e algoritmi diagnostici ABCD dermoscopico L’ABCD dermoscopico è stato il primo algoritmo a essere utilizzato (5). Si basa sulla valutazione dell’Asimmetria, dei Bordi, dei Colori e delle strutture Dermoscopiche. La simmetria è valutata in relazione a 2 assi ortogonali, con un punteggio da 0 a 2, in cui 0 corrisponde a una lesione simmetrica, 1 alla presenza di asimmetria rispetto a un solo asse e 2 ad asimmetria rispetto a entrambi. Il punteggio è poi moltiplicato per 1,3. Per la valutazione dei bordi la lesione viene suddivisa in 8 spicchi uguali e al bordo di ogni spicchio viene assegnato un punteggio di 0 nel caso in cui sia regolare o di 1 se si interrompe bruscamente. Il punteggio così ottenuto (0-8) viene moltiplicato per 0,1. Per quanto riguarda i colori, viene valutato il numero di colori contemporaneamente presenti tra 6 (bianco, rosso, marrone chiaro e scuro, nero, blu-grigio) e viene assegnato un punteggio da 1 a 6, poi moltiplicato per 0,5. Infine le strutture dermoscopiche ricercate nella lesione sono: rete pigmentata, aree destrutturate, punti, globuli e strie. In base al numero di strutture presenti viene assegnato un punteggio da 1 a 5, che viene moltiplicato per 0,5. Il punteggio ottenibile dell’ABCD dermoscopico varia dunque da 1,0 a 8,9. Una lesione con un punteggio <4,75 viene considerata benigna, >5.45 maligna e per valori intermedi la lesione viene considerata sospetta.
7-Point check list Nel 1998 è stata pubblicata la prima versione della 7-point checklist (7) poi rivisitata nel 2011 (8). Tale metodica ha dimostrato livelli di sensibilità e specificità del 95% e 75%, rispettivamente, superiori all’ABCD dermoscopico (85% e 65%), ma non all’analisi di pattern tradizionale (91% e 90%). La 7-point check-list comprende 3 criteri maggiori (rete pigmentata atipica, velo blu-biancastro e pattern vascolare atipico) a ognuno dei quali viene assegnato un punteggio di 2 e 4 criteri minori (strie irregolari, pigmentazione irregolare, punti e globuli irregolari e strutture di regressione) a ognuno dei quali viene assegnato un punteggio di 1. Un punteggio minimo di 3 è richiesto per la diagnosi di melanoma. L’esigenza di una revisione della 7-point check list è nata, come dichiarato dagli autori, dalla necessità di adeguare tale metodica a un contesto clinico di pazienti con numerosi nevi atipici e che possono presentare dei melanoma molto sottili. In queste circostanze è necessario stabilire una soglia più bassa per l’asportazione. La nuova 7-point check list valuta gli stessi criteri dermoscopici della prima, fatta eccezione per la pigmentazione irregolare, sostituita dai blotches irregolari. Inoltre a ogni parametro viene assegnato un punteggio di 1 e l’asportazione chirurgica della lesione viene raccomandata per un punteggio ≥1 (8). Metodo di Menzies Nel metodo di Menzies (6), per la diagnosi di melanoma è necessario che siano assenti 2 criteri negativi, rappresentati dalla presenza di un singolo colore e di simmetria
ECM/DERMOSCOPIA
puntuale o assiale della pigmentazione, e che sia presente almeno 1 dei seguenti criteri positivi: velo blu-biancastro, punti marroni multipli, pseudopodi, strie radiali, depigmentazione simil-cicatriziale, punti e globuli neri periferici, almeno 5 colori diversi e rete pigmentata ispessita. Analisi di pattern L’analisi di pattern si basa sul riconoscimento di una serie di pattern dermoscopici (4). La metodica originaria è stata revisionata con la suddivisione in pattern globali e locali (9). I pattern globali comprendono: reticolare, globulare, ad acciottolato, omogeneo, starburst (a stella che esplode), parallelo, composto (presenza contemporanea di 2 pattern) e multicomponente (presenza di almeno 3 pattern globali diversi, altamente suggestivo per melanoma). I pattern locali comprendono invece: punti, globuli, strie, velo blu-biancastro, blotch e rete pigmentata. Nell’analisi di pattern vengono valutate le caratteristiche qualitative e quantitative dei differenti pattern dermoscopici, in termini di simmetria, distribuzione, omogeneità e numero. Primo step negativo - Lesioni non melanocitarie Nel caso in cui non si riscontrino criteri riconducibili a lesioni melanocitarie nel primo step, la 2-step analisi esaurisce la propria funzione e la lesione viene classificata come non melanocitaria. Lo spettro delle lesioni non-melanocitarie comprende però numerose entità, sia benigne che maligne. I criteri dermoscopici di molte di esse sono stati ampiamente descritti negli ultimi
decenni, per altre invece, più rare, o con un estremo polimorfismo clinico-dermoscopico, la definizione di criteri generali è molto complessa. Tra le lesioni tumorali maligne che non soddisfano i criteri del primo step, il gruppo più consistente è rappresentato da quelle di origine cheratinocitaria: carcinoma basocellulare e squamocellulare. Inoltre, seguendo le indicazioni di Ackerman, consideriamo nel gruppo dei carcinomi squamocellulari anche le cheratosi attiniche e il cheratoacantoma (10,11). Carcinoma basocellulare (BCC: Basal Cell Carcinoma) (Figura 1) Diagnosi La dermoscopia ha mostrato livelli di accuratezza estremamente elevati nella diagnosi del BCC (95%99%), malgrado numerose tipologie di lesioni melanocitarie e non melanocitarie, nonché malattie infiammatorie cutanee, come la psoriasi, entrino in diagnosi differenziale con tale tumore (12). La dermoscopia ha permesso inoltre di evidenziare come BCC multipli in un medesimo individuo abbiano spesso un pattern dermoscopico simile. Tale concetto, noto anche per i nevi melanocitari, viene definito “signature pattern” (13). L’algoritmo diagnostico elaborato da Menzies e collaboratori nel 2000 per la diagnosi del BCC, ha dimostrato una sensibilità del 97% e una specificità del 92% e 93% nella diagnosi differenziale con melanomi e nevi melanocitari, rispettivamente (14). Tale algoritmo si basa sull’assenza della rete pigmentata e sulla presenza di almeno 1 tra 6 criteri positivi: vasi arboriformi, ulcerazione, aree
ovoidali grigio-blu, aree a foglia d’acero, strutture a ruota di carro e multipli punti o globuli grigio-blu. L’utilizzo della dermoscopia ha consentito di individuare la presenza di pigmento in oltre il 30% dei carcinomi basocellulari non-pigmentati all’esame clinico. Ciò permette di selezionare con maggiore accuratezza i BCC da poter sottoporre a terapia fotodinamica, in quanto le forme pigmentate hanno dimostrato un minor tasso di risposta a tale trattamento (15). Recenti evidenze hanno ampliato ulteriormente la lista dei criteri positivi correlati alla diagnosi di BCC (3,16). Nello specifico sono stati introdotti: vasi superficiali fini e brevi, punti a fuoco, strutture concentriche, piccole erosioni multiple, aree omogenee rosso-biancastre brillanti e strutture cristalline (corte strie bianche brillanti). Questi nuovi criteri si possono riscontrare principalmente nelle forme superficiali di BCC e rivestono particolare importanza nella diagnosi differenziale con patologie infiammatorie cutanee e con altri tumori non-melanocitari, come la cheratosi attinica, il morbo di Bowen e il carcinoma squamocellulare invasivo. La variabilità dermoscopica del BCC è il risultato della diversa combinazione dei criteri citati e dipende principalmente dall’istotipo, che a sua volta è però influenzato da altri fattori, quali il genere, l’età e il fototipo. Infatti è stata dimostrata una maggior prevalenza dell’istotipo superficiale sul tronco e sugli arti inferiori di giovani donne, mentre la maggior parte dei BCC nodulari interessa la regione testa-collo di uomini. Infine le forme pigmentate sono prevalenti nei fototipi più scuri (17).
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Dermoscopia e Istotipo La correlazione tra diversi pattern dermoscopici e istotipi di BCC è stata ampiamente dimostrata (12,16); tali osservazioni trovano fondamento nella corrispondenza tra criteri dermoscopici e strutture istopatologiche (18). L’istotipo nodulare è caratterizzato soprattutto dalla presenza di vasi arboriformi e ulcerazione e nelle forme pigmentate da aree ovoidali grigio-blu e punti e globuli multipli grigio-blu (12,16). L’infiltrante e lo sclerodermiforme,
invece, sono entrambi caratterizzati da vasi più fini e meno arborizzati e da aree omogenee rosso-biancastre nel primo, o da un colore biancastro di fondo nel secondo. Anche in questo caso l’ulcerazione è spesso presente e le forme pigmentate sono caratterizzate soprattutto da aree ovoidali grigio-blu e da punti e globuli multipli grigio-blu (16). Nell’istotipo superficiale, invece, solitamente non sono riscontrabili vasi arboriformi, bensì fini e brevi, con poche ramificazioni. L’ulcerazione è assente, mentre sono
spesso osservabili piccole erosioni multiple e aree omogenee rosso-biancastre brillanti. Nelle forme pigmentate predominano le strutture concentriche, le aree a ruota di carro e le strutture a foglia d’acero, espressioni della localizzazione del pigmento a livello della giunzione dermo-epidermica. La presenza di tali criteri conferisce alla dermoscopia una sensibilità dell’81,9% e una specificità dell’81,8% nella diagnosi differenziale tra il superficiale e gli altri istotipi di BCC (19).
Fig. 1: Diversi pattern dermoscopici di carcinoma basocellulare (BCC - Basal Cell Carcinoma): a) fibroepitelioma di Pinkus, dermoscopicamente caratterizzato da un colore di fondo rosa-biancastro con vasi arboriformi sottili al centro della lesione e puntiformi alla periferia; b) BCC pigmentato superficiale, con piccole erosioni multiple, aree omogenee rosso-biancastre brillanti, aree a ruota di carro e strutture a foglia d’acero, espressioni della localizzazione del pigmento a livello della giunzione dermo-epidermica; c) BCC nodulare, caratterizzato dalla presenza di vasi arboriformi e punti-globuli multipli grigio-blu; d) BCC pigmentato infiltrante, caratterizzato da aree omogenee rosso-biancastre, aree ovoidali grigio-blu e da punti e globuli multipli grigio-blu; e) BCC pigmentato, con vasi arboriformi, punti-globuli multipli grigio-blu ed aree omogenee rosso-biancastre brillanti; f) BCC pigmentato, la presenza di aree ovoidali grigio-blu è correlata all’istotipo infiltrante, poiché espressione della localizzazione dermica dei nidi basaloidi pigmentati.
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ECM/DERMOSCOPIA
Fig. 2: Carcinomi squamocellulari: a) Cheratosi attinica, caratterizzata dermoscopicamente dal cosiddetto pattern a fragola, che consiste in uno pseudoreticolo eritematoso che circonda gli sbocchi follicolari, oltre che da aree omogenee bianco-giallastre, corrispondenti alla presenza di squame-croste superficiali; b) morbo di Bowen, caratterizzato da squame biancastre superficiali e dalla presenza di vasi puntiformi e/o glomerulari raccolti in clusters; c) Carcinoma Squamocellulare infiltrante, dermoscopicamente caratterizzato da vasi polimorfi (puntiformi, glomerulari, a forcina e lineari irregolari), white circles (strutture tondeggianti bianco-brillanti con accumuli giallastri di cheratina, centralmente) e micro-ulcerazioni ricoperte da croste ematiche arancio-giallastre.
L’istotipo baso-squamoso è caratterizzato da un aspetto anatomo-patologico ibrido tra il carcinoma basocellulare e lo squamocellulare. Un aspetto ibrido è riscontrabile anche da un punto di vista dermoscopico, con la presenza contemporanea di almeno 1 criterio di BCC e 1 di carcinoma squamocellulare (20). Infine il fibroepitelioma di Pinkus è una variante non comune di carcinoma basocellulare, dermoscopicamente caratterizzata da un colore di fondo rosa-biancastro con vasi arboriformi sottili al centro della lesione e puntiformi alla periferia (21). Dermoscopia e management terapeutico La dermoscopia riveste un ruolo fondamentale nella scelta terapeutica nel BCC. Ciò dipende principalmente dalla capacità di tale metodica di predire l’istotipo e di individuare le forme pigmentate
con maggiore accuratezza rispetto alla semplice osservazione clinica (16). Infatti è stato dimostrato come le forme superficiali multifocali, frequentemente recidivanti in seguito ad asportazione chirurgica, possano beneficiare di terapie topiche, come l’imiquimod e la terapia fotodinamica (22). Le terapie locali hanno dimostrato una minore efficacia negli altri istotipi di BCC, in cui l’asportazione chirurgica rimane il gold standard (16). Cheratosi Attinica (AK: Actinic Keratosis) (Figura 2) La AK viene attualmente considerata un carcinoma squamocellulare in situ (10). È stato dimostrato che la dermoscopia permette di raggiungere livelli di sensibilità e specificità molto elevati nella diagnosi di questa lesione (98,7% e 95%, rispettivamente), in particolar modo quando localizzata sul volto (23).
In quest’ultimo caso l’aspetto dermoscopico della AK è caratterizzato dal cosiddetto pattern a fragola (70% dei casi), che consiste in uno pseudoreticolo eritematoso che circonda gli sbocchi follicolari. Tali sbocchi sono inoltre circondati da un alone bianco e da vasi lineari e ondulati e possono presentare materiale cheratotico al loro interno, assumendo un aspetto targetoide. Tipicamente si riscontrano anche aree omogenee bianco-giallastre, corrispondenti alla presenza di squame-croste superficiali. Le pseudorosette sono delle strutture dermoscopiche recentemente descritte nella AK; esse consistono in 4 punti bianco-brillanti localizzati all’interno dello sbocco follicolare, visibili solo con la dermoscopia a luce polarizzata (24). Il significato di questo criterio nella diagnosi della AK resta però ancora da definire con chiarezza. Le aree omogenee bianco-giallastre e la presenza di un eritema di fondo,
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caratterizzano anche le AK localizzate in sedi diverse dal volto. Modello di progressione da AK a Carcinoma Squamocellulare invasivo (iSCC: invasive Squamous Cell Carcinoma) Nel 2012 Zalaudek e colleghi hanno proposto un modello che descrive l’evoluzione degli aspetti dermoscopici nell’ambito della progressione della AK del volto in iSCC (24). Successivamente tale modello è stato arricchito di ulteriori elementi, di seguito riportati (25). I processi di neoangiogenesi determinano modificazioni della componente vascolare che si esprimono nella comparsa di vasi puntiformi e convoluti nel contesto dello pseudoreticolo rosso della AK, che progressivamente assumono un aspetto glomerulare, per poi evolvere in vasi a forcina e successivamente in vasi lineari irregolari, localizzati soprattutto alla periferia della lesione. Vi è contemporaneamente un progressivo aumento della componente cheratotica a livello follicolare e perifollicolare che dermoscopicamente corrisponde a strutture tondeggianti bianco-brillanti piene (white follicles) o con accumuli giallastri di cheratina centralmente (white circles). Nelle fasi di attiva progressione tali strutture assumono un aspetto allungato, con asse maggiore orientato radialmente. Questo pattern è stato denominato “red starburst” ed è caratteristico delle lesioni in fase evolutiva. Successivamente queste strutture si fondono progressivamente formando delle aree omogenee opache bianco-giallastre e squamo-crostose (white structureless areas), che
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confluiscono al centro della lesione nelle forme micro-invasive e più differenziate. Col progredire dell’invasione dermica sono spesso osservabili micro-ulcerazioni ricoperte da croste ematiche arancio-giallastre cha a volte confluiscono in un’ulcerazione centrale di dimensioni maggiori. L’aumento della cheratinizzazione si esprime, inoltre, nella comparsa di un alone biancastro intorno alla componente vascolare. Le forme più indifferenziate di iSCC sono dermoscopicamente aspecifiche, in quanto gli aspetti corrispondenti all’accumulo di cheratina sono pressoché assenti e la componente vascolare è polimorfa (26). Gli aspetti dermoscopici descritti per il iSCC del volto nell’ambito di questo modello sono riscontrabili anche in lesioni localizzate in altre sedi. Morbo di Bowen Il morbo di Bowen è una particolare forma di carcinoma squamocellulare in situ, istopatologicamente, clinicamente ed eziologicamente distinto dalla cheratosi attinica (10). Da un punto di vista dermoscopico è caratterizzato da squame biancastre superficiali e dalla presenza di vasi glomerulari raccolti in clusters (16). Sebbene meno frequentemente della AK, anche il morbo di Bowen può progredire in un iSCC. È probabile che segua un modello dermoscopico di progressione analogo a quello della cheratosi attinica, quando localizzato sul volto. Cheratoacantoma La collocazione nosologica del cheratocantoma è ancora incerta. Que-
sto tumore condivide molti aspetti istopatologici e dermoscopici con il carcinoma squamocellulare ben differenziato, per tale motivo alcuni autori lo considerano una variante auto-risolutiva di carcinoma squamocellulare (11). Dermoscopicamente il cheratoacantoma è caratterizzato dalla presenza di una massa centrale bianco-giallastra di cheratina, circondata da bordi lisci e rilevati sui quali sono osservabili vasi a forcina, circondati da un alone biancastro. Inoltre possono essere riscontrate altre strutture presenti nel carcinoma squamocellulare, quali: vasi puntiformi, glomerulari o lineari, white follicles e white circles (27).
Conclusioni L’evoluzione del linguaggio dermoscopico ha permesso al dermatologo, negli ultimi decenni, di avere a disposizione un sempre più ampio dizionario di parole, frasi e la punteggiatura appropriata per scrivere la diagnosi di numerosi tumori cutanei. Ciononostante, vi sono ancora molti punti interrogativi ai quali trovare risposte e il rischio di incorrere in banali errori grammaticali è sempre dietro l’angolo. Per tali motivi, nel quotidiano utilizzo della dermoscopia, è fondamentale ricordare che essa va sempre integrata con la valutazione clinica e anamnestica del paziente e che non vi è una perfetta corrispondenza tra i criteri dermoscopici e le strutture istologiche da cui essi derivano. Dunque nei casi dubbi, l’asportazione della lesione cutanea è sempre auspicabile, al fine di risolvere il quesito diagnostico.
ECM/DERMOSCOPIA
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QUESTIONARIO DI AUTOVALUTAZIONE 1. Two-step analisi: quale delle seguenti affermazioni è corretta? il primo step valuta se la lesione è melanocitaria o non melanocitaria, il secondo se la lesione melanocitaria è benigna o maligna il primo step valuta se la lesione è benigna o maligna, il secondo se è melanocitaria o non melanocitaria il primo step serve a differenziare le lesioni melanocitarie dal carcinoma basocellulare, il secondo invece le lesioni melanocitarie benigne dalle maligne il primo step valuta se la lesione è melanocitaria o non melanocitaria, il secondo se la lesione non melanocitaria è benigna o maligna
alto grado di accuratezza, permette inoltre di differenziare i diversi istotipi e la definizione dei margini del tumore. È però del tutto inutile nella diagnosi precoce di eventuali recidive post-trattamento la dermoscopia permette di effettuare la diagnosi di carcinoma basocellulare con un alto grado di accuratezza, permette inoltre di differenziare i diversi istotipi, di definire i margini del tumore e di diagnosticare precocemente eventuali recidive la dermoscopia non ha dimostrato un alto grado di accuratezza nella diagnosi del carcinoma basocellulare, malgrado ciò permette di differenziare i diversi istotipi e di definire i margini del tumore
2. Quali algoritmi vengono utilizzati nel secondo step della 2-step analisi? 7-point check list, ABCD dermoscopico, metodo di Menzies, Analisi di pattern modificata nuova 7-point check list, ABCD dermoscopico, 3-point check list solo l’analisi di pattern modificata ABCD dermoscopico, metodo di Menzies, Analisi di pattern, 3-point check list
4. Cheratosi attinica e carcinoma squamocellulare invasivo, quale delle seguenti afermazioni è vera? la dermoscopia ha dimostrato un alto grado di accuratezza nella diagnosi di cheratosi attinica, ma non sono stati descritti finora dei criteri dermoscopici per la diagnosi di carcinoma squamocellulare invasivo è stato descritto un modello dermoscopico di progressione della cheratosi attinica del volto in carcinoma squamocellulare invasivo la dermoscopia permette di individuare con certezza le cheratosi attiniche che progrediranno in un carcinoma squamocellulare invasivo è stato descritto un modello dermoscopico di progressione della cheratosi attinica del volto in carcinoma squamocellulare invasivo; la dermoscopia permette di individuare con certezza le cheratosi attiniche che progrediranno in un carcinoma squamocellulare invasivo
3. Carcinoma Basocellulare: Quali sono le possibili applicazioni della dermoscopia? la dermoscopia permette di effettuare la diagnosi di carcinoma basocellulare con un alto grado di accuratezza, ma non permette la differenziazione dei diversi istotipi, né la definizione dei margini del tumore la dermoscopia permette di effettuare la diagnosi di carcinoma basocellulare con un
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ECM/DERMOSCOPIA
5. Quando viene raccomandata l’asportazione di una lesione cutanea in base ai parametri della nuova 7-point check list? per un punteggio ≥1 per un punteggio ≥3 per un punteggio >5.45 solamente in presenza di blotches irregolari e rete pigmentata atipica 6. Su cosa si basa l’algoritmo dermoscopico di Menzies per la diagnosi del carcinoma basocellulare? assenza di rete pigmentata e presenza di almeno 1 criterio dei seguenti: vasi arboriformi, ulcerazione, aree ovoidali grigio-blu, aree a foglia d’acero, strutture a ruota di carro, punti e globuli grigio-blu assenza di rete pigmentata, presenza di vasi arboriformi e di almeno 1 altro criterio tra i seguenti: ulcerazione, aree a foglia d’acero, punti grigio-blu presenza di vasi arboriformi e di aree ovoidali grigio-blu, indipendentemente dalla presenza di rete pigmentata presenza sia di rete pigmentata con caratteristiche diverse dalle lesioni melanocitarie che di vasi arboriformi.
7. Quali sono le caratteristiche dermoscopiche del carcinoma basocellulare superficiale? sono presenti sempre vasi arboriformi presenza di vasi fini e brevi con poche ramificazioni e di aree ovoidali grigio-blu presenza di vasi fini e brevi con poche ramificazioni e nelle forme pigmentate, di aree a ruota di carro, strutture concentriche e a foglia d’acero è sempre presente ulcerazione
8. Quali sono i criteri dermoscopici del fibroepitelioma di Pinkus? sono gli stessi del carcinoma basocellulare nodulare presenza di aree a foglia d’acero e colore di fondo rosa-biancastro con vasi arboriformi sottili al centro della lesione e puntiformi alla periferia presenza di aree a foglia d’acero colore di fondo rosa-biancastro con vasi arboriformi sottili al centro della lesione e puntiformi alla periferia 9. Il carcinoma squamocellulare poco differenziato: ha criteri dermoscopici ben codificati presenta spesso un pattern vascolare polimorfo solitamente non presenta accumulo di cheratina nel proprio contesto presenta spesso un pattern vascolare polimorfo e solitamente non presenta accumulo di cheratina nel proprio contesto
10. Il morbo di Bowen: è un sottotipo di cheratosi attinica è caratterizzato dermoscopicamente da squame biancastre superficiali e da vasi glomerulari raccolti in clusters è una forma di carcinoma squamocellulare invasivo deve essere sempre trattato chirurgicamente
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CHIRURGIA PLASTICA / trattamento esiti cicatriziali
Innesto adiposo autologo come nuovo trattamento del tessuto cicatriziale: una realtà ormai consolidata Autologous fat graft as a new treatment of scars: a well-established reality
Valeria Bandi1 Valeriano Vinci1 Andrea Lisa1 Silvia Giannasi1 Micol Giaccone1 Alessandra Veronesi1 Università degli Studi di Milano, Scuola di Specializzazione in Chirurgia Plastica Ricostruttiva ed Estetica, Dipartimento Biometra - Humanitas Research Hospital, Unità Operativa di Chirurgia Plastica, Direttore Prof. Marco Klinger, Rozzano (Milano)
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Riassunto Negli ultimi 10 anni il progresso nella ricerca sulla cicatrizzazione è stato significativo, mentre quello nelle terapie non ha portato soluzioni per gli esiti a lungo termine fino a quando l’iniezione di tessuto adiposo si è imposta come metodo innovativo per il rimodellamento cicatriziale. Le nostre ricerche nelle cicatrici da ustione hanno evidenziato miglioramenti in termini di trama, colore, qualità e dolore della cicatrice. Dal 2006 abbiamo trattato oltre 3.000 pazienti con cicatrici mature, esiti di trauma, radiodermite e ulcere croniche con risultati incoraggianti, con minimo discomfort per i pazienti. Riteniamo pertanto l’innesto adiposo un importante strumento terapeutico nel rimodellamento cicatriziale.
Abstract Significant progresses in research about scars have been reported in the past 10 years, despite this evolution scar therapies have not similarly progressed with regard to long term outcomes, since fat grafting has been reported to be effective for scar remodeling. Our studies in burn scars have shown mature scars improvement in terms of texture, color, quality of skin patterns and pain. From 2006 we performed this technique in more than 3.000 patients with mature scars, including traumas, radiodamage and chronic ulcers with encouraging results and poor discomfort for patients. We consider lipostructure an important therapeutic procedure for scar remodeling.
Parole Chiave innesto adiposo, lipostruttura, cicatrici
Key Words fat grafting, lipostructure, scars
Riferimento per contatti: Valeria Bandi - valeria.bandi@humanitas.it Conflitti d’interesse dichiarati: nessuno
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Circa 100 milioni di persone presentano nuove cicatrici ogni anno nel solo mondo, sviluppato prevalentemente come conseguenza di eventi traumatici o interventi chirurgici. A seguito di ciò, dal 38 al 70% dei pazienti soffre di un difetto di cicatrizzazione (per esempio ipertrofia cicatriziale, contrazione cicatriziale o presenza di cicatrici cheloidee) e la maggior parte di questi pazienti è costituita da vittime di ustione e bambini (1,2). Il trattamento degli esiti cicatriziali ha sempre fatto parte dei compiti affidati al chirurgo plastico grazie alla sua esperienza nel trattare i tessuti superficiali. Molti trattamenti sono stati proposti negli anni per poter migliorare la qualità dei tessuti sede di cicatrice, da quelli meno invasivi (pressoterapia, massoterapia, corticosteroidi, fluorochinolonici, laserterapia) a quelli che necessitano di un approccio chirurgico (z-plastiche, lembi V-Y e innesti, tra i più comuni) senza però mai trovare un metodo completamente risolutivo. In questo panorama di trattamenti solo parzialmente efficaci, il nostro gruppo ha applicato una terapia chirurgica basata sull’utilizzo del tessuto adiposo prelevato o dai fianchi, o dalle regione trocanteriche o dai quadranti addominali inferiori, la cui storia inizia già nel 1893 quando Neuber riportò buoni risultati dell’innesto adiposo nell’aumentare le dimensioni dei tessuti molli (3). Successivamente Hollander nel 1908 descrisse la prima tecnica per prelevare il grasso e successivamente riportò, corredandoli di documentazione fotografica,
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i casi di due pazienti affetti da lipodistrofia e la cui deformità venne corretta grazie all’innesto adiposo ottenuto mediante la tecnica presentata. Nel 1926 Charles Conrad Miller descrisse la sua esperienza riguardo l’infiltrazione di tessuto adiposo mediante l’utilizzo di cannule, riportando che era la miglior procedura per l’innesto adiposo confrontandolo alle tecniche precedenti che invece necessitavano di ampie incisioni. Dopo questo primo periodo la ricerca della migliore metodica di prelievo di innesto di tessuto adiposo ebbe nuova linfa negli anni 80’quando si sviluppò la tecnica della liposuzione. La liposuzione fornì infatti ai chirurghi plastici la possibilità di studiare un grasso semiliquido che poteva essere iniettato con relativa facilità con un ago o una cannula. Illouz fu il primo a descrivere la sua esperienza nell’utilizzare questo grasso semiliquido nella correzione di deformità addominali come pure nel trattamento di lipodistrofie facciali. Nei suoi primi articoli diede descrizioni positive sia della tecnica utilizzata sia dei risultati ottenuti, seguiti dai report di altri chirurghi plastici, che sostenevano i suoi risultati positivi. Nei lavori successivi, l’iniziale entusiasmo lasciò spazio a un’analisi meno positiva quando fu riportato nel lungo periodo un ridotto attecchimento del grasso. Il principale inconveniente riscontrato era una bassa sopravvivenza del tessuto innestato con risultati conseguentemente non longevi nel lungo periodo, dal momento che il grasso dopo essere stato
prelevato veniva passato in un setaccio e successivamente risciacquato ripetutamente e sospeso in soluzione fisiologica. La rivoluzione nello sviluppo della procedura di innesto di tessuto adiposo autologo fu grazie ai lavori di Coleman che nel 1995 descrisse i risultati ottenuti con una tecnica atraumatica che consentiva l’attecchimento del tessuto innestato con effetti durevoli nel corso degli anni (4). Oltre alla permanenza della correzione, Coleman notò anche un miglioramento del tono-trofismo cutaneo. Descrisse infatti un incremento della qualità dei tessuti, non solo per effetto del riempimento, ma anche per un progressivo ammorbidimento della cute e per un miglioramento della pigmentazione, non solo nella sede di innesto ma anche nella cute posta in prossimità. Gli effetti rigenerativi riportati da Coleman stimolarono l’utilizzo dell’innesto di tessuto adiposo autologo in vari campi differenti, quali il trattamento di cute radiodistrofica come descritto dal Prof. Rigotti a Verona (5). Basandoci su queste evidenze, abbiamo deciso di sfruttare le proprietà rigenerative del tessuto adiposo trattando esiti cicatriziali retraenti e dolenti esito di ustione. Successivamente, dati i risultati che evidenziavano un netto miglioramento delle condizioni locali, abbiamo esteso le indicazioni a cicatrici derivanti da traumi, chirurgia, fistole cutanee e ulcere poste in aree cicatriziali, fino al trattamento di sindromi dolorose quali la Nevralgia di Arnold e la sindrome da dolore
CHIRURGIA PLASTICA / trattamento esiti cicatriziali
Post Mastectomia (PMPS) e la correzione della microstomia in pazienti affetti da sclerosi sistemica (6-11).
Materiali e metodi Da settembre 2006 a luglio 2015 abbiamo trattato circa 3.000 pazienti per esiti cicatriziali di varia natura. Inizialmente ci siamo concentrati sugli esiti da ustione allargando poi la nostra esperienza sulle cicatrici post-chirurgiche e post-traumatiche, fistole cutanee e ulcere poste in aree cicatriziali. Negli ultimi anni i nostri studi si sono spinti fino al trattamento delle patologie degenerative della cute, includendo pazienti affette da sclerosi sistemica che lamentavano microstomia e pazienti affette da gravi forme di morfea. Nel nostro protocollo, prima di sottoporre ciascun paziente a intervento chirurgico, si esegue una
valutazione preoperatoria al fine di raccogliere consenso informato e documentazione iconografica e ridiscutere con il paziente quali siano le sedi principali di retrazione cicatriziale, spesso associata a dolore e a limitazione funzionale. In caso di pazienti in buone condizioni generali da operare in sedazione, si aggiunge una valutazione anestesiologica preoperatoria, mentre gli esami ematochimici e elettrocardiogramma sono riservati a casi specifici.
Tecnica chirurgica La tecnica che utilizziamo per preparare il tessuto adiposo è quella descritta da Coleman e si esegue in anestesia locale, eventualmente associata a sedazione del paziente. L’addome e la regione trocanterica sono le regioni più spesso utilizzate per il prelievo adiposo, data la loro facilità di accesso con il paziente in
posizione supina e l’abbondanza di grasso in questa sede. Attraverso un’incisione eseguita con una lama chirurgica, si procede all’infiltrazione mediante cannula smussa di soluzione anestetica (miscela di 10 mL di levobupivacaina 7,5mg/mL 20mL di mepivacaina 10mg/mL in 100 ml di soluzione fisiologica). Qualora non sussistano controindicazioni anestesiologiche si associa 0,5 mL di adrenalina che conferiscono alla soluzione un maggiore effetto emostatico oltre a quello anestetico. Il tessuto adiposo viene successivamente prelevato attraverso le stesse incisioni utilizzate per l’infiltrazione della soluzione anestetica. La cannula di prelievo è fornita di punta smussa per favorire la raccolta di piccole quantità di grasso e non di lunghe strisce di tessuto. La cannula viene successivamente mossa avanti e indietro per eseguire il prelievo, prestando
Figg. 1-2: Foto pre e post 3 mesi da innesto di tessuto adiposo autologo, in donna di 37 anni con esiti cicatriziali post ustione da ferro da stiro coscia destra.
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Figg. 3-4: Foto pre e post 4 mesi da innesto di tessuto adiposo autologo in donna di 42 anni con esiti cicatriziali retraenti dolenti regione cervicale e volto da ustione da fiamma.
attenzione a eseguire movimenti radiali nel sito donatore, per ridurre al minimo eventuali deformazioni del tessuto adiposo locale. Le siringhe riempite di tessuto adiposo prelevato vengono inserite in una centrifuga dotata di rotore centrale e contenitore che può essere sterilizzato in modo da poter ridurre la possibilità di contaminazione. La centrifugazione viene eseguita a circa 3.000 giri al minuto per 3 minuti ed è in grado di separare il materiale raccolto in tre livelli. Il livello superiore, quello meno denso, è composto principalmente da olio derivato dalla rottura delle cellule adipose. La parte centrale è quella composta da adipociti e utile da un punto di
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vista terapeutico. Il livello inferiore è infine costituito dallo strato più denso ed è composto principalmente da sangue, acqua e soluzione anestetica. Il tessuto adiposo centrifugato e purificato dalle frazioni non utili da un punto di vista terapeutico viene trasferito in siringhe da 1 mL che consente un controllo molto maggiore della quantità innestata a ogni passaggio. Nella nostra esperienza, basata in primis sul trattamento di tessuti fibrotici e cicatriziali, l’utilizzo di cannule smusse è difficile e talvolta non applicabile e per questo utilizziamo aghi angiografici taglienti da 18 G (12). Per un corretto innesto del tessuto adiposo è fondamentale un movi-
mento radiale di avanzamento e retrazione. Solo durante l’arretramento dell’ago si procede a innestare il grasso con una leggera pressione sullo stantuffo della siringa per inserire la più piccola quantità di tessuto (tecnica retrograda). Una volta innestato il grasso può essere plasmato con un massaggio, in modo da ridurre al minimo le irregolarità di superficie. Per la correzione degli esiti cicatriziali il posizionamento corretto del grasso è principalmente nel sottocute, a livello della giunzione dermo-epidermica. Il grasso viene posto al di sotto delle briglie cicatriziali con un gran numero di passaggi che vengono effettuati attraverso ogni incisione seguendo un percorso radiale. La
CHIRURGIA PLASTICA / trattamento esiti cicatriziali
distribuzione del grasso in varie direzioni crea una sorta di intreccio, una rete ideale, che sostiene la cute correggendo la retrazione determinata dalla cicatrice. Questa tecnica inoltre sembra permettere una migliore sopravvivenza del trapianto di grasso e riduce al minimo la possibilità di formazione di cisti. L’area trattata, è medicata con cerotti lasciati in sede per una settimana, il paziente viene ammonito di evitare la pressione e la frizione per limitare lo spostamento del grasso infiltrato. Le aree donatrici sia l’addome che la regione trocanterica ricevono una medicazione elasto-compressiva che deve essere mantenuta in sede per 5 giorni allo scopo di prevenire la formazione di ematomi. La procedura viene eseguita in regime di Day Hospital e il paziente viene dimesso con una terapia antibiotica per 5 giorni a base di cefalosporine e terapia antidolorifica al bisogno.
Discussione In tutti i pazienti trattati abbiamo osservato un miglioramento della qualità sia dal punto di vista estetico sia funzionale; in particolare, da menzionare sono la riduzione del dolore e l’aumento dell’elasticità della cicatrice clinicamente dimostrabile. I primi risultati sono osservabili nei primi 14 giorni, seppure il miglioramento della cicatrice continui per tre mesi e risulti stabile a distanza di un anno dall’intervento. Dopo l’innesto di tessuto adiposo autologo la cute cicatriziale diviene più morbida, più estensibile, e
molto spesso il colore è più omogeneo rispetto a quello della cute circostante sana. Nel trattamento delle briglie cicatriziali che coinvolgono aree articolari si osserva il miglioramento della mobilità del distretto corporeo coinvolto; lo stesso miglioramento funzionale è osservabile quando sono coinvolte aree nobili come le palpebre, la valvola nasale, la regione periorale, con la possibilità per il paziente di un ripristino parziale della mimica facciale (bacio, sorriso e altre espressioni dell’umore). L’innesto di tessuto adiposo autologo può essere sfruttato per il ripristino dei volumi corporei nelle zone di depressione cicatriziale, con un effetto cumulativo tra il rilascio della cicatrice e il riempimento volumetrico. Nelle pazienti trattate per esiti cicatriziali a seguito di chirurgia demolitiva mammaria (quadrantectomia o mastectomia) che spesso lamentano una sintomatologia dolorosa cronica codificata come Sindrome Dolorosa Post Mastectomia (Post-Mastectomy Pain Syndrome, PMPS) la lipostruttura rappresenta un trattamento non solo della qualità degli esiti cicatriziali ma anche della sintomatologia algica. Attualmente l’innesto di tessuto adiposo autologo rappresenta una tecnica sicura, con bassissima possibilità di complicanze sistemiche quali embolie, infezioni o trombosi; da una revisione critica dei nostri primi 1.000 casi, infatti, abbiamo evidenziato solo rare complicanze locali lievi quali l’insorgenza di deformità della sede di prelievo (cicatriziali o da ecces-
siva deplezione adiposa), edemi ed ecchimosi post operatori che si risolvono nell’arco di 2 settimane dalla procedura (13). Tale report conferma come tale procedura sia estremamente sicura con tassi di complicanze ridotti. Il meccanismo preciso mediante il quale la lipostruttura porti al miglioramento clinico osservato è ancora da chiarire. In alcuni pazienti abbiamo eseguito sezioni istologiche che hanno dimostrato dopo il trattamento, una neodeposizione di collagene, ipervascolarizzazione locale, e iperplasia dermica che confermano una vera e propria rigenerazione tissutale dei tessuti trattati. Il nostro gruppo ha considerato che i risultati descritti, per quanto ampiamente positivi e fatta eccezione per quelli istologici, per propria natura incontrovertibili, fossero eccessivamente legati a criteri di soggettività sia per quanto riguarda la soddisfazione del paziente, portato a un giudizio eccessivamente positivo, dato il miglioramento sensibile nella sua condizione patologica, sia da parte del clinico che poteva essere non imparziale nel giudicare i risultati della sua tecnica innovativa. Questa variabilità sarebbe potuta essere considerata un freno a un’analisi strettamente scientifica dei risultati ottenuti. Pertanto ci siamo avvalsi anche di uno strumento di analisi oggettiva di un parametro cutaneo per confermare quanto già dimostrato. Per praticità è stato scelto il durometro, uno strumento “prestato” alla medicina, che nasce per un utilizzo industriale, per la misurazione della durezza di
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CHIRURGIA PLASTICA / trattamento esiti cicatriziali
materiali, quali gomme, plastiche, cuoio, in modo standardizzato. All’originario utilizzo per valutare materiali industriali, si associano i successivi adattamenti per la valutazione di materiali biologici quali pelli di animali e infine l’utilizzo nelle aziende farmaceutiche per lo studio della cute umana e in ricerca (14-15). Una volta adagiato sulla cute, lo strumento fornisce immediatamente una misura della durezza cutanea osservabile nel pannello circolare che presenta valori variabili da 0 a 100. In un sottogruppo di 20 pazienti, che presentavano ampie aree cicatriziali, abbiamo diviso la sede di trattamento in due parti, una trattata con innesto adiposo autologo mentre l’altra infiltrata con soluzione fisiologica. A tempo zero le due aree sono state misurate con durometro. A distanza di tre mesi, le aree sono state nuovamente sottoposte a misurazione, osservando una riduzione dei valori nelle aree trattate con innesto adiposo e pertanto una riduzione della durezza cutanea. I risultati clinici possono essere attribuiti alla presenza nel tessuto adiposo di cellule staminali di origine mesenchimale nonché a prodotti ad esse correlate, quali fattori di crescita, citochine o un insieme di questi, in grado di rimodellare il tessuto cicatriziale. Tali fattori locali potrebbero anche spiegare l’effetto terapeutico nel trattamento delle sindromi dolorose e in grado di determinare analgesia prolungata a livello cicatriziale. Nella nostra esperienza l’innesto di tessuto adiposo autologo
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rappresenta una rivoluzione nel trattamento degli esiti cicatriziali, in grado di determinare una rigenerazione tissutale senza bisogno di nuove incisioni chirurgiche e può essere utilizzato in tutte le cicatrici senza limitazioni di estensione, dimensioni o sede, anche in casi in cui tecniche di revisione chirurgica sarebbero controindicate per un alto rischio di recidiva dell’ipertrofia cicatriziale, ad esempio gli arti o le zone di tensione.
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DERMATOLOGIA / cura delle unghie
Pronto intervento contro l’onicomicosi Carla Carnovale Farmacista
Un’infezione micotica da non trascurare che può modificare forma e colore delle unghie L’onicomicosi è un’infezione dell’unghia causata generalmente dai funghi dermatofiti, dai lieviti e dalle muffe non dermatofite. Sebbene colpisca principalmente adulti e anziani, raramente è possibile riscontrare lesioni tipiche ungueali anche nei bambini. Le onicopatie infettive non rappresentano un pericolo per la salute dell’individuo, tuttavia a causa dell’elevata incidenza con cui si manifestano nella popolazione generale costituiscono un significativo evento clinico degno di nota e di specifici approfondimenti. La micosi ungueale colpisce infatti il 5% della popolazione mondiale; solo in Italia oltre 7 milioni e mezzo di persone ne sono affette (1). L’eziopatogenesi è strettamente connessa al tipo di patogeno coinvolto nell’infezione, tuttavia i meccanismi alla base accomunano tutti gli agenti eziologici. Su tutti, la capacità del patogeno di moltiplicarsi a temperatura corporea e di sintetizzare enzimi responsabili dell’attacco diretto e della digestione della cheratina. I patogeni coinvolti sono
opportunisti, quindi seppur intrinsecamente incapaci di provocare uno stato morboso, possono causare l’infezione in un organismo con compromesse o ridotte capacità difensive.
Principali fattori di rischio Sulla base di tali premesse, i più comuni fattori di rischio comprendono la presenza di: patologie immunosoppressive o a carico di cute e unghie (tra
cui psoriasi e tinea pedis); diabete; fumo; patologie vascolari periferiche; familiarità. Il tasso di incidenza è inoltre determinato da diversi fattori quali, la predisposizione genetica, la tipologia di lavoro, la qualità dell’ambiente, il clima e l’igiene personale (2). Studi in merito hanno inoltre rilevato che l’incidenza aumenta con
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l’avanzare dell’età e nei maschi per la presenza di testosterone che predispone l’insorgenza della patologia. Nella donna invece gli estrogeni esplicherebbero un effetto protettivo, spiegando la frequenza più elevata nelle donne in menopausa (3).
Segni e sintomi clinici Indipendentemente dal microrganismo coinvolto, un caratteristico quadro clinico accomuna le onicomicosi (4). Il patogeno attacca le unghie dei piedi e delle mani infiltrandosi fino al letto ungueale, causando una piccola macchia biancastra sulla lamina. L’unghia diventa opaca, perde la sua naturale lucidità e trasparenza, assumendo una pigmentazione scura dovuta all’accumulo di materiale cheratinico al di sotto della lamina ungueale. In seguito al progressivo ispessimento, diventa fragile, porosa e friabile. Spesso si verifica un sollevamento dal letto ungueale con conseguente e definitivo distacco (onicolisi). Quelle dei piedi risultano le unghie maggiormente coinvolte, poiché più frequentemente esposte a luoghi caldi, umidi e privi di luce, condizioni ideali per la proliferazione degli agenti patogeni. Inoltre, a causa della ridotta circolazione sanguigna diretta verso le unghie dei piedi, il processo di riconoscimento e di eradicazione dell’infezione risulta più complicato. Si distinguono quattro manifestazioni cliniche: onicomicosi subungueale distale-laterale, la forma più co-
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mune, sostenuta principalmente da dermatofiti; onicomicosi superficiale bianca, causata principalmente dai dermatofiti, talvolta da non-dermatofiti; frequente nei malati di Aids; onicomicosi subungueale prossimale, la forma meno comune, provocata principalmente dalla candida, coinvolge per lo più le unghie delle mani; onicomicosi con totale distrofia dell’unghia, che determina una completa distruzione della lamina ungueale ed è generalmente provocata da dermatofiti.
Come avviene la diagnosi Il consulto del medico diventa necessario quando viene rilevato un ispessimento o uno scolorimento di un’unghia, primi segni clinici dell’infezione. Il podologo o dermatologo effettuerà un’anamnesi del paziente
e un’indagine obiettiva riuscendo facilmente a presupporre un coinvolgimento di un microrganismo patogeno. Per emettere però una corretta diagnosi e impostare un’appropriata terapia farmacologica, è necessario effettuare specifici esami di laboratorio prelevando un piccolo campione dell’unghia interessata. Le tecniche maggiormente utilizzate comprendono l’esame microscopico diretto, che consente di effettuare un primo screening per verificare la presenza di funghi, e l’esame colturale, che identifica la specie di patogeno coinvolto nell’infezione, indirizzando il medico nella scelta corretta del farmaco.
Cura e prevenzione Oltre a causare dolore e disagio, l’onicomicosi può talvolta procurare gravi limitazioni fisiche
DERMATOLOGIA / cura delle unghie
Tabella 1 - Onicomicosi: approccio farmacologico locale Antimicotico
Schema posologico
Durata del trattamento
Amorolfina
1-2 volte a settimana sull’unghia pulita e limata
9-12 mesi (micosi del piede) 6 mesi (micosi della mano)
Tioconazolo
2 volte al giorno sull’unghia infetta e sulla cute circostante
6-12 mesi
Ciclopirox
Inizialmente 1 volta al giorno e successivamente 1 volta a settimana
6 mesi
Bifonazolo
1 sola applicazione al giorno
2-3 settimane
Urea
Ogni giorno sull’unghia e lasciato agire per 24 ore prima del raschiamento
21-41 giorni
Dispositivo medico
Schema posologico
Durata del trattamento
Dispositivo a base di acido acetico e di lattato di etile
2 volte al giorno
Per almeno 3 mesi, si consiglia l’uso fino alla guarigione completa dell’unghia
Dispositivo a base di lattato di etile, acido lattico, acido citrico
2 volte al giorno
3-4 settimane
e professionali impattando negativamente sulla qualità della vita della persona affetta. L’elevata contagiosità rende inoltre necessario un pronto intervento farmacologico per la definitiva e completa eradicazione dell’infezione. Negli stadi precoci, in caso di onicomicosi bianche superficiali e per i casi in cui la terapia sistemica sia controindicata o rifiutata dal paziente, si predilige un approccio farmacologico locale. Le diverse opzioni comprendono molecole ad ampio spettro d’azione e disponibili in diverse formulazioni farmaceutiche quali: amorolfina (crema allo 0,25%, smalto medicato per unghie al 5%);
tioconazolo (crema, polvere, emulsione cutanea all’1%, soluzione ungueale al 28%); ciclopirox (crema, gel, soluzione e polvere cutanea all’1%, smalto per unghie all’8%); bifonazolo (crema, gel, soluzione e schiuma cutanea all’1%). Negli stadi precoci si è inoltre dimostrato efficace l’uso di unguenti contenenti urea al 40% in associazione a un prodotto antimicotico (5) che, ammorbidendo le parti dell’unghia contaminate, ne facilita l’asportazione. Esistono inoltre in commercio efficaci prodotti che applicati localmente acidificano il pH dell’unghia, alterando la crescita del fungo. La tabella 1 illustra nel dettaglio lo
schema posologico delle opzioni terapeutiche correlate al trattamento farmacologico locale. Seppur associata a rarissimi e transitori effetti collaterali locali (sensazione di bruciore, eritema, prurito) la terapia topica è associata a significativi fallimenti terapeutici e ad alti tassi di ricaduta (6). L’uso del ciclopirox è correlato a una percentuale di inefficacia terapeutica del 61%, poco più bassa (40%-50%) in caso di trattamenti con amorolfina o tioconazolo (7). I due principi attivi più efficaci utilizzati come terapia sistemica di prima linea, comprendono: itraconazolo, ad ampio spettro d’azione;
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Tabella 2 - Onicomicosi: approccio farmacologico sistemico Antimicotico
Schema posologico
Durata del trattamento
Terbinafina
250 mg/die, via orale
3 mesi (micosi delle mani) 3-6 mesi (micosi di piedi)
Itraconazolo
200 mg/die, via orale
per 3 mesi
terbinafina, efficace solo contro i funghi dermatofiti. A differenza delle vecchie molecole (ketoconazolo e griseofulvina), offrono un elevato tasso di guarigione e un buon profilo di sicurezza. Possiedono un’attività più mirata che si associa a una significativa riduzione della durata del trattamento (10-18 mesi vs 3-6 mesi) (8). La tabella 2 riporta lo schema posologico delle due molecole. Per quanto riguarda l’itracona-
zolo, la sua lenta eliminazione dall’organismo giustifica uno schema posologico alternativo “discontinuo”: 200 mg 2/die per 7 giorni a cui fanno seguito 3 settimane di sospensione. Il ciclo va ripetuto per 2 mesi nel caso della micosi delle mani e per 3 mesi nel caso del piede. Nel caso di infezioni sostenute da dermatofiti (80-95% dei casi), in termini di efficacia la terbinafina produce percentuali di guarigione più elevate dell’itraconazolo (76% vs 60%) e una
Le unghie dei piedi Guida pratica per riconoscere le malattie e la corretta gestione Le malattie delle unghie rappresentano un settore specialistico della Dermatologia e sono spesso poco conosciute. In particolare, le onicopatie dei piedi rappresentano oggi un campo in cui dermatologo e podologo collaborano al fine di garantire una gestione ottimale del paziente che può così beneficiare non solo di diagnosi e terapia a livello specialistico, ma anche di trattamenti periodici da parte del podologo. L’intento di questo libro, scritto da Bianca Maria Piraccini, professore Associato in Malattie Cutanee e Veneree presso l’Università degli Studi di Bologna, è quello di fornire al podologo una visione ampia ma precisa delle patologie ungueali, in modo da poterle distinguere ed effettuare una pronta diagnosi differenziale per una maggior precisione diagnostica-terapeutica. Hanno collaborato alla realizzazione della guida pratica, edita da Timeo Editore: Massimiliano Giordani, podologo, Michela Starace, dermatologa, e il prof. Sandro Giannini, ortopedico.
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percentuale minore di recidive (21% vs 48%) (9). Due aspetti importanti da considerare legati all’uso dell’itraconazolo sono inoltre correlati alla possibile insorgenza di danno epatico10 e all’interazione con l’isoforma 3A4 dell’enzima microsomiale CYP450, che aumenta dunque il rischio di interazione con un vasta gamma di farmaci (sulfaniluree, H2 antagonisti, warfarin, digossina, succo di pompelmo) (11). In seconda linea, quando la risposta alla terapia iniziale è stata inadeguata, può essere utile adottare un approccio combinato (un antimicotico sistemico più un antimicotico topico) (12). Sebbene la Food and Drug Administration non abbia approvato l’uso del fluconazolo come terapia per le micosi delle unghie, i primi dati sull’efficacia sembrano promettenti. È stato infatti evidenziato un significativo miglioramento clinico (del 90%) e una riduzione in termini di costi e incidenza di effetti collaterali rispetto alle altre terapie sistemiche disponibili, in pazienti trattati con 450 mg una volta a settimana per 3 mesi (13). Tuttavia, la terbinafina e l’itraconazolo restano le due opzioni migliori in termini di efficacia, destinando per ora l’utilizzo del fluconazolo a pazienti che si di-
DERMATOLOGIA / cura delle unghie
Onicomicosi in età pediatrica e in gravidanza Stime relative all’incidenza delle onicomicosi pediatriche si attestano intorno allo 0,2% (14). Nella maggior parte dei casi colpisce bambini immunodepressi o con precedenti familiari gravi di onicomicosi. La griseofulvina rimane il farmaco di prima scelta, tuttavia la sua efficacia è variabile e sono frequenti le ricadute. Recenti studi in merito hanno rilevato un buon profilo rischio-beneficio della terbinafina e dell’itraconazolo per la cura della tinea capitis (infezione della cute sostenuta da dermatofiti) nei bambini (indicazione gIà approvata in molti Paesi) (15). Se ufficialmente confermate anche per terapie a lungo termine, necessarie per la cura delle onicopatie infettive, potrebbero diventare le opzioni terapeutiche ideali per curare le micosi ungueali nei bambini. Le donne in gravidanza rappresentano un’altra fascia della popolazione particolarmente vulnerabile e dunque esposta a un maggior rischio di contrarre infezioni. A causa del lieve indebolimento fisiologico dovuto alle basse difese immunitarie, l’insorgenza di onicomicosi in donne che presentano concomitanti fattori di rischio è una possibilità da prendere in considerazione. In caso di diagnosi conclamata, si sconsiglia l’assunzione di antimicotici orali a favore di un utilizzo topico di rimedi erboristici a base di olio essenziale di Melaleuca alternifolia da applicare localmente fino alla totale guarigione dell’unghia.
mostrano non tolleranti agli altri antifungini (13). Il rispetto delle buone norme igieniche delle mani e dei piedi rappresenta sicuramente la miglior forma di prevenzione. È fondamentale asciugare accuratamente le dita e la pianta dei piedi dopo ogni contatto con l’acqua, indossare calzature e calzini traspiranti che permettano una buona ventilazione per evitare sudorazioni eccessive che renderebbero l’ambiente caldo e umido, condizioni ideali per la proliferazione degli agenti patogeni. L’elevata contagiosità rende infine fondamentale evitare il contatto diretto con superfici quali piscine e docce pubbliche.
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LETTERATURA INTERNAZIONALE
Rassegna di articoli selezionati dalle principali riviste scientifiche A cura di Annachiara Corazzol
Miglioramento del melasma nel cambiamento del metodo contraccettivo Questo articolo riporta le osservazioni fatte su una piccola casistica, ma potrebbe tuttavia fornire qualche elemento utile nella difficile gestione del melasma. Le quattro pazienti considerate nello studio hanno osservato la comparsa del melasma nel periodo in cui stavano assumendo un contraccettivo orale contenente norgestimato o drospirenone. Dopo aver cambiato metodo anticoncezionale ed essere quindi passate alla spirale contenente levonorgestrel, hanno notato il miglioramento del melasma, avvenuto spontaneamente senza che vi fossero stati cambiamenti delle abitudini e della protezione solare. Le possibili spiegazioni potrebbero essere legate sia ai tassi ormonali ematici più bassi con la contraccezione locale sia alla mancanza dell’estrogeno nelle spirali. Acta Derm Venereol. 2015 Apr 28;95(5):624-62 Melasma Improving Spontaneously upon Switching from a Combined Oral Contraceptive to a Hormone-releasing Intrauterine Device: A Report of Four Cases Locci-Molina N, Wang A, Kroumpouzos G. 3
Patogenesi allergica delle reazioni al tatuaggio di colore rosso Le reazioni provocate dai pigmenti utilizzati nei tatuaggi sono in gran parte correlate al colore rosso; si suppone che tali dermatiti siano di natura allergica, ma per determinarne la natura con maggiore precisione, gli AA dello studio hanno eseguito 19 biopsie su altrettanti pazienti e hanno poi sottoposto a valutazione istologica e immunoistochimica il materiale prelevato. La patologia risultata prevalente è stata la dermatite dell’interfaccia (78%) con sovrapposti aspetti granulomatosi (32%) e pseudolinfomatosi (32%).
L’infiltrato cellulare dermico era costituito da T- linfociti(100%), cellule di Langerhans e macrofagi. Il riscontro di tali dati ha permesso quindi di confermare la patogenesi allergica delle reazioni al tatuaggio rosso. 3 J; Skin Research and Technology (May 2015) Histopathology and immune histochemistry of red tattoo reactions Høgsberg T, Thomsen B, Serup J.
Terapie alternative per il trattamento dell’idrosadenite suppurativa L’idrosadenite suppurativa è una malattia infiammatoria cronica che causa la comparsa di lezioni molto dolorose come ascessi profondi e fistole in varie parti del corpo. I trattamenti farmacologici e chirurgici possono ridurre l’intensità dell’infiammazione ma hanno scarsa efficacia nella prevenzione delle recidive e nella progressione della malattia. Le terapie basate sull’uso dei laser e di altre luci possono affiancare i trattamenti classici, fornendo un supporto nella complessa gestione della manifestazione. La riduzione dei follicoli piliferi, eseguita in particolare con laser Nd:YAG 1064 ma anche con altri apparecchi per epilazione, offre benefici terapeutici ai pazienti affetti da idrosadenite stadio Hurley I e II, mentre le aree di maggiore estensione interessate dalle lesioni richiedono il trattamento ablativo con laser CO2. Anche la terapia fotodinamica, opportunamente modificata, potrebbe offrire nuove possibilità. Journal of the American Academy of Dermatology 2015 Nov, Vol 7;5 Laser and light-based treatment options for hidradenitis suppurativa Iltefat H. Hamzavi, MD, James L. Griffith, MD, Farhaad Riyaz, MD, Schapoor Hessam, MD, Falk G. Bechara, MD
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ANGOLO DELLA CLINICA
Chiazza alopecica al vertice in sede di precedente trauma
Quadro clinico Bambina di 7 anni, caucasica, giungeva alla nostra attenzione per la presenza di una chiazza alopecica in sede parietale sinistra, insorta da circa dieci giorni. In corrispondenza di tale chiazza eritematosa si percepiva la presenza di una tumefazione sottocutanea di circa 2x3 cm, di consistenza molle, non dolente ma dolorabile alla palpazione (fig. 1). In anamnesi, veniva riferito un traumatismo al vertice durante incidente automobilistico avvenuto due anni prima, non indagato con esami strumentali. La paziente godeva di buona salute, non assumeva alcuna terapia e i genitori negavano familiarità per patologie dermatologiche o sistemiche di rilievo. È stata eseguita un’ecografia dei tessuti molli, che mostrava una formazione fusata a contenuto cistico con sottostanti granulazioni e alterazione del profilo della teca
Laura Pavoni Ausilia Maria Manganoni Cristina Zane Clinica Dermatologica, A.O. Spedali Civili di Brescia Università degli Studi di Brescia.
cranica, meglio definita al RX del cranio come un’area ovalare di osteolisi di circa 14 mm. È stata, dunque, posta indicazione ad approfondimento strumentale mediante TC e RM dell’encefalo che confermavano la presenza al vertice della lesione osteolitica trans-diploica della teca e della componente lesionale extracranica, con spessore di circa 7 mm ed estensione di 2,5 cm (fig 2). In considerazione dei dati emersi, è stata posta indicazione ad asportazione chirurgica. L’esame microscopico del tessuto evidenziava una proliferazione di cellule epitelioidi di media/grossa taglia, con numerosi granulociti eosinofili e occasionali cellule giganti plurinucleate. L’indice di proliferazione della lesione (MIB1/ki67) era inferiore al 5%. Le colorazioni immunoistochimiche hanno rilevato l’espressione della proteina S100, CD1a, langerhina (rare cellule), CD68R e CD163 (fig. 3).
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Fig. 1: Chiazza alopecica al vertice Fig. 3: Proliferazione di cellule epitelioidi di media/ grossa taglia, con numerosi granulociti eosinofili (a) Ematossilina-eosina (x40) (b) Colorazione per S-100; (c) Colorazione per CD1a
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Fig. 2: TC encefalo: Osteolisi transdiploica e componente extracranica.
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Diagnosi Granuloma eosinofilo
Discussione Il granuloma eosinofilo è la forma benigna e localizzata delle istiocitosi a cellula di Langerhans, gruppo di patologie così definite perché caratterizzate da granulomi risultanti dalla proliferazione e diffusione di istiociti patologici simili alle cellule di Langerhans, ossia cellule dendritiche di origine midollare che si trovano principalmente nell’epidermide, mucose e a livello polmonare. L’incidenza è stimata essere fra 1/200.000 e 1/2000.000. L’eziologia rimane sconosciuta. Si contemplano principalmente due possibili ipotesi. La teoria reattiva si basa sulla similarità tra le lesioni con i granulomi infettivi o da corpi estranei, nonché sulla possibile autoregressione. Dall’altro lato l’ipotesi neoplastica, che è supportata dal fatto che nelle istiocitosi a cellula di Langerhans sia documentata una derivazione midollare e clonalità. Inoltre, in letteratura sono riportati casi di familiarità correlati ad alterazioni cromosomiche e di associazione con mielodisplasie. Il granuloma eosinofilo è un disordine mono o poliostotico senza coinvolgimento extrascheletrico che colpisce prevalentemente i bambini maschi, nel 60-70% prima dei 2 anni di vita. Si manifesta più frequentemente come lesione singola di consistenza morbida, che tende a espandersi a livello dell’osso. Nel 43-80% coinvolge le ossa piatte (osso parietale 42%, frontale 31%), seguite dalle ossa
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lunghe e dal rachide. Molto raramente è sintomatico, per cui il riscontro è prevalentemente occasionale in concomitanza di un RX cranio eseguito per un’altra ragione o per fratture patologiche. Solo nel 23% dei casi agli esami ematici è presente eosinofilia. Le diagnosi differenziali comprendono: cisti epidermoidi, emangiomi, displasia fibrosa, metastasi. La diagnosi si fonda principalmente sugli esami strumentali. L’RX del cranio mette in evidenza una lesione rotondeggiante oppure ovalare, non sclerotica, dai margini definiti e frastagliati, coinvolgente l’osso cranico a tutto spessore, anche se la malattia inizia a livello della diploe ossea (la parte centrale dell’osso cranico). Occasionalmente, si può osservare un aumento della densità ossea centrale; solitamente non sono presenti anormalità vascolari dell’osso circostante, né reazione periostale. La TC del cranio rileva la presenza di una massa soffice compresa all’interno di un’area di distruzione ossea avente un’aumentata densità centrale. Da differenziare con un epidermoide che ha invece un’area di sclerosi ossea circostante. L’esame istologico si caratterizza per la presenza di numerosi istiociti, eosinofili e cellule multinucleate in una rete fibrosa reticolinica. Le colorazioni immunoistochimiche per la proteina S-100 e per CD1a sono tipicamente positive. L’osservazione dei granuli di Birbeck alla microscopia elettronica è diagnostica. Il granuloma eosinofilo ha un’ottima prognosi e in alcuni casi
può regredire spontaneamente. Solitamente le lesioni singole sono trattate con curettage osseo e innesto osseo. Le lesioni craniche multiple sono generalmente associate al coinvolgimento anche di altre sedi ossee extracraniche e vengono trattate con chemioterapia o con basse dosi di radioterapia. In alcuni casi si può osservare una recidiva locale o in altre sedi ossee o anche cerebrali, incluso l’ipotalamo (presentandosi in questo caso con diabete insipido e ritardo della crescita). Nel nostro caso, l’RX delle ossa extracraniche ha escluso la presenza di altre lesioni. La paziente è stata sottoposta a curettage osseo e prosegue il follow-up radiologico che mostra una progressiva riduzione in dimensioni dell’area osteolitica parietale sinistra.
Bibliografia 1. Satter EK, High WA. Langerhans cell histiocytosis: a review of the current recommendations of the histiocyte society. Pediatric Dermatology. 2008;25(3):291–295. 2. Madrigal-Martínez-Pereda C, Guerrero-Rodríguez V, Guisado-Moya B, Meniz-García C. Langerhans cell histiocytosis: literature review and descriptive analysis of oral manifestations. Medicina Oral, Patologia Oral y Cirugia Bucal. 2009;14(5):E222–E228. 3. Blesa JMG, Pulla MP, Canales JL, Candel VA. A review of Langerhans’ cell hystiocytosis. Cancer Therapy. 2008;6:935–944. 4. Kaul R, Gupta N, Gupta S, Gupta M. Eosinophilic granuloma of skull bone J Cytol. 2009 Oct-Dec; 26(4): 156–157.
APPROFONDIMENTI SCIENTIFICI DAL MONDO
Efficacia di due comuni antibiotici nel trattamento di infezioni della pelle A cura di Rachele Villa
Loren G. Miller, medico specialista in malattie infettive presso il Los Angeles Biomedical Research Institute (LA BioMed) e autore principale dello studio Secondo uno studio pubblicato sul New England Journal of Medicine, due antibiotici frequentemente prescritti per trattare gravi infezioni della pelle, la clindamicina e il trimetoprim-sulfametossazolo (Tmp-Smx), presenterebbero percentuali di successo simili, nella cura di infezioni non complicate in pazienti ambulatoriali. Si tratta di uno studio sperimentale decisivo, perché fino ad oggi non vi erano evidenze su quali fossero i migliori antibiotici per la cura delle comuni infezioni cutanee. Il trial infatti è il primo a comparare l’efficacia dei due antibiotici più frequentemente prescritti per curare infezioni severe della pelle che, insieme alle infezioni che interessano anche le sue strutture, sono tra le più comuni cause di ricorso alle cure mediche negli Stati Uniti con circa 14,2 milioni di pazienti ambulatoriali nel 2005 (ultimo anno per il quale sono disponibili delle statistiche) e 850.000 ricoveri. «Severe infezioni della pelle possono causare gravi complicanze mediche e portare alla morte di un paziente, quindi è importante capire quale è il trattamento più efficace, in particolare con l’aumento dello Staphylococcus aureus meticillino-resistente (Mrsa), che è, per definizione, resistente a molti antibiotici» ha dichiarato Loren G. Miller, medico specialista in malattie infettive presso il Los Angeles Biomedical Research Institute (LA BioMed) e autore principale dello studio. Lo studio clinico multicentrico randomizzato, in doppio cieco, ha coinvolto 524 soggetti, tra adulti e bam-
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bini, che presentavano infezioni della pelle non complicate come cellulite, ascessi di 5 cm o più, oppure entrambi. Di questi, 264 sono stati trattati con clindamicina e 260 con trimetoprim-sulfametossazolo. I ricercatori hanno riscontrato esiti simili nei due gruppi, con tassi di guarigione entro dieci giorni dal termine del trattamento che si attestano intorno all’80,3% per il primo gruppo e al 77,7% per il secondo. «Queste non sono considerate differenze significative – ha commentato il dottor Miller – perciò la nostra valutazione è che questi due antibiotici, comunemente prescritti per infezioni severe della pelle, siano similmente efficaci nel trattamento di infezioni non complicate della pelle in bambini e adulti che non presentano serie condizioni concomitanti».
Miller LG, Daum RS, Creech CB, Young D, Downing MD, Eells SJ, Pettibone S, Hoagland RJ, Chambers HF; DMID 07-0051 Team. Clindamycin versus trimethoprim-sulfamethoxazole for uncomplicated skin infections. N Engl J Med. 2015 Mar 19;372(12):1093-103.
La responsabilità penale del medico Alcune note a tre anni dall’entrata in vigore
Dott. Niccolò Bencini Tirocinante presso l’ufficio GIP Tribunale di Milano
della c.d. “Legge Balduzzi” Il presente lavoro si propone di compiere alcune valutazioni dopo tre anni dall’entrata in vigore della c.d. “Legge Balduzzi” (Legge 8 novembre 2012, n. 189), soffermandosi, in particolare, su alcuni aspetti problematici posti dall’art. 3, c. 1, relativo alla responsabilità penale colposa del medico. In particolare, tra i numerosi problemi posti dalla novella legislativa in esame, ci si soffermerà sul richiamo alle linee-guida, alla distinzione tra colpa lieve e colpa grave, e, infine, sull’ambito di applicazione soggettivo e temporale della norma. Nel 2012, con la cosiddetta “Legge Balduzzi”1, il legislatore ha modificato la disciplina della responsabilità penale del medico. In particolare, l’art. 3, comma 1 prima parte, contrariamente alla originaria disposizione contenuta nel Decreto Legge2, ha previsto che «l’esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica, non risponde penalmente per colpa lieve. In tali casi resta comunque fermo l’obbligo di cui all’articolo 2043 del codice civile. Il giudice, anche nella determi-
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nazione del risarcimento del danno, tiene debitamente conto della condotta di cui al primo periodo». La novella legislativa ha posto, sin da subito, numerosi problemi interpretativi, sui quali la dottrina, in questi tre anni, si è a lungo soffermata. Delimitando il campo di analisi ai soli aspetti penalistici, contenuti nella prima parte della norma, è opportuno evidenziare che tra le principali questioni poste dalla norma in esame emergono: la limitazione della responsabilità alla sola colpa grave, nel caso in cui siano rispettate le Guidelines e le best practices della comunità scientifica, l’individuazione delle linee guida e delle buone pratiche, i soggetti ai quali si applica la norma. Al fine di comprendere al meglio la portata innovativa della “Legge Balduzzi” si ritiene necessario procedere a una sommaria analisi dello stato dell’arte prima della novella legislativa.
La situazione precedente la “Riforma Balduzzi” Colpa Lieve e colpa grave Venendo alla prima questione, ossia la limitazione della responsa-
bilità del sanitario alla sola colpa grave, innanzitutto, è stato rilevato che la distinzione tra colpa lieve/colpa grave, operata all’interno della legge Balduzzi, non sia propria del diritto penale prima di tale intervento legislativo; si deve, infatti, osservare che l’art. 43 c. 3 c.p., definisce il delitto colposo «o contro l’intenzione, quando l’evento, anche se preveduto, non è voluto dall’agente e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline», senza compiere alcuna specificazione o distinzione tra colpa lieve o colpa grave. Il grado della colpa, infatti, può essere valutato dal giudice penale solo in sede di commisurazione della pena, ai sensi dell’art. 133 c.p., che prevede che il giudicante nella quantificazione della pena, deve tener conto della gravità del reato, la quale può essere desunta anche «dal grado della colpa»3. Il problema della responsabilità del medico per colpa lieve, tuttavia, non è nuovo nel dibattito giuridico del nostro Paese, e, infatti, si era già posto in passato, con riferimento all’art. 2236 c.c. Tale disposizione civilistica pre-
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vede che «se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d’opera non risponde dei danni, se non in caso di dolo o di colpa grave». Orbene, stante tale limitazione della responsabilità civile alla sola colpa grave, nei casi di speciale difficoltà, la giurisprudenza, soprattutto a cavallo degli anni Sessanta e Settanta, si domandava se tale limitazione valesse anche in campo penale; in particolare, si riteneva che il personale medico non rispondesse penalmente a titolo di lesioni od omicidio colposo, laddove versasse in culpa levis e la prestazione sanitaria comportasse la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà. In particolare, si affermava che la responsabilità penale potesse configurarsi solo nei casi di colpa grave e cioè di macroscopica violazione delle più elementari regole dell’arte. Tale orientamento era avvalorato dalla semplice considerazione che non si comprendeva come fosse possibile affermare la responsabilità penale del medico, laddove lo stesso non fosse responsabile civilmente al risarcimento del danno, trovandosi nella situazione delineata dal citato articolo 2236 c.c. Sulla questione intervenne anche la Corte Costituzionale con la sentenza n. 166 del 1973 che dichiarò non fondata la questione di legittimità costituzionale (in relazione all’art. 3 della Costituzione, il principio di uguaglianza), laddove gli articoli del codice penale consentono al giudice penale di attribuire ri-
levanza penale solo a determinati gradi della colpa (la colpa grave); ne consegue, secondo la Consulta, che «solo la colpa grave e cioè quella derivante da errore inescusabile, dalla ignoranza dei principi elementari attinenti all’esercizio di una determinata attività professionale o propri di una data specializzazione, possa nella indicata ipotesi rilevare ai fini della responsabilità penale». Tale regime peculiare, implicante una limitazione di responsabilità, però, è stato ritenuto applicabile ai soli casi in cui la prestazione comporti la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà e riguarda l’ambito della perizia e non quello della negligenza o dell’imprudenza, sui quali potrebbe, comunque, esserci una responsabilità penale4 (con un’interpretazione più restrittiva di quella della giurisprudenza maggioritaria). A partire, invece, dagli anni Ottanta la giurisprudenza si è attestata su una interpretazione opposta che escludesse qualsiasi rilevanza della disposizione civilistica in ambito penale5. La giurisprudenza più recente, precedente alla Riforma Balduzzi, pur negando il rilevo penalistico della disposizione di cui all’art. 2236 c.c., ha affermato che tale norma «può trovare considerazione anche in tema di colpa professionale del medico, quando il caso specifico sottoposto al suo esame imponga la soluzione di problemi di specifica difficoltà, non per effetto di diretta applicazione nel campo penale, ma come regola di esperienza cui il giudice possa attenersi nel valutare l’ad-
debito di imperizia sia quando si versi in una situazione emergenziale, sia quando il caso implichi la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà»6. Prima della novella legislativa del 2012, dunque, non vi era alcuna distinzione tra colpa lieve e colpa grave, ai fini del rilievo della responsabilità penale; tuttavia, si affermava che la colpa del terapeuta e in genere dell’esercente una professione di elevata qualificazione andasse parametrata alla difficoltà tecnico-scientifica dell’intervento richiestogli e al contesto in cui esso si è svolto7. Le linee guida Esclusa, dunque, la rilevanza della distinzione colpa lieve/colpa grave, in ambito penale, prima della Riforma Balduzzi, preliminarmente, è opportuno soffermarsi anche sulla definizione di linee guida. La più celebre definizione di linee guida in campo medico è stata data dall’Institute of Medicine: «the clinical practice guideline contains systematically developed statements including recommendations intended to optimize patient care and assist physicians and/or other health care practitioners and patients to make decisions about appropriate health care for specific clinical circumstances». Appare, ictu oculi, evidente che siffatta definizione ha un carattere talmente vasto, da essere priva di una reale efficacia selettiva, comportando una serie di problematiche. In sintesi, le linee guida devono caratterizzarsi per i requisiti di scientificità, attualità ed efficacia, e comportano, o dovrebbero
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comportare (con tutti i problemi connessi) una semplificazione e una ottimizzazione dei processi terapeutici, oltre che una codificazione della legis artis in campo sanitario. Prima della Riforma Balduzzi, per quanto concerneva la responsabilità penale, giurisprudenza e dottrina maggioritarie ritenevano che, laddove vi fosse un esito infausto del trattamento sanitario, il mancato rispetto delle linee guida non fosse idoneo a fondare automaticamente la responsabilità penale colposa dell’operatore sanitario; specularmente, il mero rispetto delle linee guida non era di per sé idoneo a escludere, preliminarmente, la responsabilità colposa del personale medico. In altre parole, l’assenza di profili di colpa specifica (ossia il rispetto delle linee-guida, laddove si ritenga che queste abbiano un contenuto cautelare scritto tale da fondare una colpa specifica), non esimeva il giudice di valutare la sussistenza di una eventuale colpa generica (violazione di regole cautelari non scritte) in capo al soggetto agente8. In una recente sentenza, comunque precedente alla Riforma Balduzzi, la Suprema Corte di Cassazione, confermando l’orientamento appena espresso, ha affermato che «in tema di responsabilità medica, le linee guida - provenienti da fonti autorevoli, conformi alle regole della miglior scienza medica e non ispirate ad esclusiva logica di economicità - possono svolgere un ruolo importante quale atto di indirizzo per il medico; esse, tuttavia, avuto riguardo all’esercizio
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dell’attività medica che sfugge a regole rigorose e predeterminate, non possono assurgere al rango di fonti di regole cautelari codificate, rientranti nel paradigma dell’art. 43 cod. pen. (leggi, regolamenti, ordini o discipline), non essendo né tassative né vincolanti e, comunque, non potendo prevalere sulla libertà del medico, sempre tenuto a scegliere la migliore soluzione per il paziente. D’altro canto, le linee guida, pur rappresentando un utile parametro nell’accertamento dei profili di colpa riconducibili alla condotta del medico, non eliminano la discrezionalità giudiziale insita nel giudizio di colpa; il giudice resta, infatti, libero di valutare se le circostanze concrete esigano una condotta diversa da quella prescritta dalle stesse linee guida. Pertanto, qualora il medico non rispetti le linee guida il giudice deve accertare, anche con l’ausilio di consulenza preordinata a verificare eventuali peculiarità del caso concreto, se tale inosservanza sia stata determinante nella causazione dell’evento lesivo o se questo, avuto riguardo alla complessiva condizione del paziente, fosse, comunque, inevitabile e, pertanto, ascrivibile al caso fortuito»9. In sintesi, la Cassazione afferma che: a) le linee-guida non rientrano nel concetto di colpa specifica, non essendo regole cautelari scritte rientranti nei concetti di leggi, regolamenti, ordini e discipline, poiché prive del carattere di vincolatività e tassatività; b) che le linee-guida non prevalgono sulla discrezionalità del medico, che è tenuto a scegliere il
miglior percorso terapeutico per il paziente; c) che, pur nel rispetto delle linee guida, il giudice penale rimane libero di valutare se le circostanze concrete esigano una condotta diversa da quella prescritta dalle stesse linee guida; d) che, infine, laddove il medico non segua le linee-guida, il giudice penale deve valutare se tale inosservanza sia stata determinante nella causazione dell’evento lesivo o della morte del paziente.
L’art. 3 comma 1 della “Legge Balduzzi” La riforma del 2012, all’art. 3 c., 1 prima parte, sancisce che «l’esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve». L’accertamento della responsabilità penale sembra, dunque, essere astrattamente scisso in due: da un lato, l’accertamento da parte del medico alle linee guida e alle buone pratiche, dall’altro l’accertamento di una colpa grave in capo al soggetto agente. Il primo problema che si pone è quello che, come si è visto, non tutte le linee guida hanno un contenuto cautelare, ma possono avere anche altri scopi, quali quelli di contenimento della spesa sanitaria o di gestione/organizzazione del personale, fini che mal si conciliano con i fini cautelari10. Inoltre, anche le linee-guida aventi un contenuto cautelare non rientrano nel concetto di colpa specifica, poiché privi del carattere di vinco-
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latività e tassatività. Ulteriore profilo problematico riguarda, come sì è già detto, la distinzione tra colpa lieve e colpa penale, distinzione che - lo si ripete - non è propria del diritto penale. La giurisprudenza e la dottrina degli ultimi anni, pertanto, sono preoccupate di risolvere tali problematiche. Riguardo al primo problema, è opportuno evidenziare che la Riforma Balduzzi non ha risolto tali problematiche, già precedentemente evidenziate dalla giurisprudenza e dalla dottrina. Infatti, la novella legislativa, lungi dall’essere quel porto sicuro da molti auspicato, non ha elevato le linee-guida quali regole cautelare (né, forse, lo avrebbe potuto fare), ma ha lasciato all’interprete del diritto il compito di verificare, nel caso di specie, se la singola linea guida rilevi
concretamente, nel singolo caso, quale regola cautelare. Una delle fondamentali sentenze sul punto, la sentenza Cantore, ha evidenziato che le linee guida, valorizzate dalla “Legge Balduzzi”, «non indicano una analitica, automatica successione di adempimenti, ma propongono solo direttive generali, istruzioni di massima, orientamenti. Esse, dunque, vanno in concreto applicate senza automatismi, ma rapportandole alle peculiari specificità di ciascun caso clinico. Potrà ben accadere, dunque, che il professionista debba modellare le direttive, adattandole alle contingenze che momento per momento gli si prospettano nel corso dello sviluppo della patologia e che, in alcuni casi, si trovi a dovervi addirittura derogare radicalmente»11. La novella legislativa, inoltre,
come si è accennato seppur brevemente in premessa, cita anche le buone pratiche purché accreditate dalla comunità scientifica; queste ultime sono da identificarsi, secondo la giurisprudenza pressoché costante, con le concrete attuazioni delle linee guida o a procedure che, seppur non standardizzate dalle linee guida sono comunemente accreditate presso la comunità scientifica. Sembrerebbero, dunque, essere “una analitica successione di adempimenti”, che concretizzato le direttive generali contenute nelle linee guida. In secondo luogo, con riferimento alla distinzione tra colpa lieve e colpa grave; anche in questo caso la riforma non opera una definizione legislativa dei due gradi di colpa. Tale distinzione, tuttavia, per usare le parole della Suprema Corte, «assume ora, nell’ambito della responsabilità medica, un peso diverso, estremo. Essa segna l’essere o il non essere del reato»; dunque, ha una importanza prioritaria. La Corte di Cassazione, con la sentenza Cantore, cerca di stabilire alcuni criteri generali, attraverso cui stabilire il grado di responsabilità colposa: 1. «la misura della divergenza tra la condotta effettivamente tenuta e quella che era da attendersi sulla base della norma cautelare cui ci si doveva attenere», cioè la lontananza della condotta tenuta dal medico nel caso concreto, e quella che, invece, avrebbe dovuto tenere; 2. la misura del rimprovero personale sulla base delle specifiche condizioni dell’agente;
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3. la motivazione della condotta: ad esempio «un trattamento terapeutico sbrigativo e non appropriato è meno grave se compiuto per una ragione d’urgenza»; 4. la consapevolezza o meno di tenere una condotta pericolosa e, quindi, dalla previsione dell’evento. Sulla base, dunque, di tali criteri che andranno combinati di volta in volta, nel singolo caso concreto, sarà possibile rinvenire un diverso grado di colpa in capo al soggetto agente. La recente giurisprudenza ha, poi, evidenziato che «in tema di responsabilità medica, la colpa grave a norma dell’art. 3 della legge 8 novembre 2012, n. 189, si configura quando si è in presenza di una deviazione ragguardevole rispetto all’agire appropriato, come definito dalle linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica, tenuto conto della necessità di adeguamento alle peculiarità della malattia ed alle specifiche condizioni del paziente»12. Inoltre, è stato specificato che il mero rispetto delle linee guida non determina automaticamente l’esonero della responsabilità penale del sanitario «dovendo comunque accertarsi se la specificità del quadro clinico del paziente imponesse un percorso terapeutico diverso rispetto a quello indicato da dette linee guida»13 Sintetizzando, secondo l’insegnamento della giurisprudenza della Corte di Cassazione, enucleato soprattutto nella sentenza Cantore, il medico non risponderà penalmente in caso di colpa lieve: laddove «il professionista si orienti correttamente in ambito
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diagnostico o terapeutico, si affidi cioè alle strategie suggeritegli dal sapere scientifico consolidato, inquadri correttamente il caso nelle sue linee generali e tuttavia, nel concreto farsi del trattamento, commetta qualche errore pertinente proprio all’adattamento delle direttive di massima alle evenienze e alle peculiarità che gli si prospettano nello specifico caso clinico». laddove «il professionista che inquadri correttamente il caso nelle sue linee generali con riguardo ad una patologia e che, tuttavia, non persegua correttamente l’adeguamento delle direttive allo specifico contesto, o non scorga la necessità di disattendere del tutto le istruzioni usuali per perseguire una diversa strategia che governi efficacemente i rischi connessi al quadro d’insieme».
In conclusione, alla stregua della nuova legge, «le linee guida accreditate operano come direttiva scientifica per l’esercente le professioni sanitarie; e la loro osservanza costituisce uno scudo protettivo contro istanze punitive che non trovino la loro giustificazione nella necessità di sanzionare penalmente errori gravi commessi nel processo di adeguamento del sapere codificato alle peculiarità contingenti. Tale disciplina, naturalmente, trova il suo terreno d’elezione nell’ambito dell’imperizia». Sulla base di tali considerazioni, dunque, la giurisprudenza successiva ha specificato che la distinzione tra colpa lieve e colpa grave opera solo laddove il medico si sia attenuto alle linee guida e alle buone pratiche clini-
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che, e abbia errato nell’adeguare le prescrizioni alle specificità del caso trattato, per colpa lieve. La novella legislativa «obbliga, infatti, a distinguere fra colpa lieve e colpa grave solo limitatamente ai casi nei quali si faccia questione di essersi attenuti a linee guida»14, ma non si estende agli errori diagnostici connotati da negligenza o imprudenza, perché le linee guida contengono solo regole di perizia. Premesso, infatti, che secondo unanime dottrina la colpa può consistere «nella negligenza, cioè nell’omesso compimento di una azione doverosa -, nell’imprudenza - cioè nella violazione di un divieto assoluto di agire o del divieto di agire con particolari modalità -, o, infine, nell’imperizia - cioè in una carenza di cognizioni o di abilita esecutive nello svolgimento di attività tecniche o professionali»15, secondo la più recente giurisprudenza della Corte di Cassazione, l’esclusione della rilevanza penale del medico per colpa lieve si ha solo quando si discuta della perizia del medico. Mentre per quanto concerne le ipotesi di colpa per negligenza o imprudenza non è applicabile il dettato normativo dell’art. 3, c. 1, in quanto le linee guida contengono solo regole di perizia; pertanto, potrà ritenersi «non punibile, in quanto estranea all’area del penalmente rilevante quale delimitata dalla nuova disciplina, la condotta del medico caratterizzata da un non rilevante discostamento dallo standard di agire dell’agente modello, avendo attenzione alle peculiarità oggettive e soggettive del caso concreto (colpa lieve).
Configurerà invece colpa grave e quindi reato la condotta del medico che riveli un marcato allontanamento dalle linee guida ma anche del terapeuta che si attenga allo standard generalmente appropriato per un’affezione, trascurando i concomitanti e riconoscibili fattori di rischio, ogni qualvolta questi assumano rimarchevole, chiaro rilievo e non lascino residuare un dubbio plausibile sulla necessità di un intervento difforme e personalizzato rispetto alla peculiare condizione del paziente»16; parimenti, non escluderà la responsabilità penale del medico, l’inosservanza delle comuni regole di diligenza o prudenza, anche per colpa lieve17.
stiche e terapeutiche, e, dunque, solo a medici e infermieri. La seconda questione, non marginale, riguarda se la “legge Balduzzi” potesse essere applicata retroattivamente, anche a fatti commessi precedentemente la sua entrata in vigore, o meno. La giurisprudenza, ancora con la sentenza Cantore18, ha specificato che trattasi di un caso di abolitio criminis parziale con conseguente applicazione dell’art. 2 c., 2 c.p.19: la nuova disciplina, pertanto, si applicherà retroattivamente in quanto più favorevole, anche qualora la sentenza di condanna sia già passata in giudicato.
Bibliografia Ulteriori profili problematici Gli ultimi profili problematici della norma concernono l’ambito di applicazione soggettivo e temporale. Riguardo i soggetti destinatari della norma, questa parla genericamente del soggetto «esercente una professione sanitaria»; in tale espressione approssimativa parte della dottrina - minoritaria - ha esteso l’applicabilità di tale norma a tutti coloro che, in forza di un titolo abilitante riconosciuto dallo Stato esercitino o svolgano attività di prevenzione, diagnosi o cura, e, dunque, non solo i medici, ma anche i farmacisti, biologi, psicologi, veterinari, operatori sociosanitari. La dottrina maggioritaria, tuttavia, con maggior rispetto dalla ratio della norma ha limitato l’applicabilità della “riforma Balduzzi” alle sole attività diagno-
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legislativo, in Diritto Penale Contemporaneo, n. 4, 2013, p.73 e ss. Note 1 Legge 8 novembre 2012, n. 189, che ha convertito con modifiche il D.L. 13 settembre 2012 n. 158. 2 L’originario art. 3, c. 1 del D.L. 13 settembre 2012 n. 158, non conteneva alcun accenno alla responsabilità penale, e prevedeva che: «Fermo restando il disposto dell’articolo 2236 del codice civile, nell’accertamento della colpa lieve nell’attività dell’esercente le professioni sanitarie il giudice, ai sensi dell’articolo 1176 del codice civile, tiene conto in particolare dell’osservanza, nel caso concreto, delle linee guida e delle buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica nazionale e internazionale». 3 Art. 133, c. 1 n. 3 c.p. 4 Corte Cost. sentenza 22 novembre 1973 n. 166 così massimata: «Non è fondata in relazione all’art 3 Cost., la questione di legittimità costituzionale degli artt. 589 e 42 del cod. pen. nella parte in cui consentono che nella valutazione della colpa professionale il giudice attribuisca rilevanza penale soltanto a gradi di colpa di tipo particolare. Infatti, il differente trattamento giuridico riservato al professionista la cui prestazione d’opera implichi la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, e ad ogni altro agente che non si trovi nella stessa situazione, non può dirsi collegato puramente e semplicemente a condizioni (del soggetto) personali o sociali. La deroga alla regola generale della responsabilità penale per colpa ha in sé una sua adeguata ragione di essere e poi risulta ben contenuta, in quanto è operante, e in modo restrittivo, in tema di perizia e questa presenta contenuto e limiti circoscritti». 5 Recentemente, Cass. Pen. Sez. IV,
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sentenza 5 aprile 2011 n. 16328 ha affermato «La giurisprudenza di questa Suprema Corte è conseguentemente mutata, anche in relazione all’emergere di una visione del rapporto tra sanitario e paziente che pone in primo piano il paziente stesso quale soggetto che fa valere il diritto costituzionale alla salute. A partire dagli anni ottanta dello scorso secolo, si è affermato e consolidato un indirizzo radicalmente contrapposto a quello antico, che esclude qualsiasi rilievo, nell’ambito penale, dell’art. 2236 c.c.; ed impone di valutare la colpa professionale sempre e comunque sulla base delle regole generali contenute nell’art. 43 c.p.. Si osserva che la norma civile riguarda il risarcimento del danno, quando la prestazione professionale comporta la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà, e non può essere applicata all’ambito penale né in via estensiva, data la completezza e l’omogeneità della disciplina penale della colpa, né in via analogica, vietata per il carattere eccezionale della disposizione rispetto ai principi in materia. La gravità della colpa potrà avere eventualmente rilievo solo ai fini della graduazione della pena. In alcune pronunzie viene anzi rimarcato che nel sanitario prudenza, diligenza e perizia non solo non devono difettare ma devono essere particolarmente accentuate e vigili proprio per la particolare natura dei beni (la vita e la salute) affidati alla sua cura. Insomma la parola d’ordine è: “la colpa è uguale per tutti”. Tale indirizzo deve essere nel suo complesso ribadito». 6 Cass. Pen. Sez. IV, sentenza 5 aprile 2011 n. 16328; in argomento, Cass. Pen. Sez. IV, sentenza 21 giugno 2007, n. 39592, Rv. 237875. 7 Cass. Pen. Sez. IV, sentenza 22 novembre 2011 n. 4391, Di Leila, RV. 251941.
8 E pluribus, Cass. Pen. Sez. IV, sentenza 23 novembre 2010. 9 Cass. Pen. Sez. IV, sentenza 11 luglio 2012 n. 35922. 10 In tal senso, Cass. Pen. Sez. 4, Sentenza n. 7951 del 08/10/2013, Rv. 259334 «in tema di responsabilità medica, le linee guida rilevanti ai fini dell’accertamento della colpa ex art. 3 legge n. 189 del 2012, non devono essere ispirate ad esclusive logiche di economicità della gestione, sotto il profilo del contenimento della spesa, poiché l’efficienza del bilancio può e deve essere perseguita sempre garantendo il miglior livello di cura, con la conseguenza del dovere del sanitario di disattendere indicazioni stringenti dal punto di vista economico che si risolvano in un pregiudizio per il paziente». 11 Cass. Pen. Sez., sentenza 29 gennaio 2013 n. 16237, Cantore, Rv. 255105. 12 Cass. Pen. Sez. 4, Sentenza n. 22281 del 15/04/2014, Rv. 262273. 13 Cass. Pen. Sez. 4, Sentenza n. 24455 del 22/04/2015, Rv. 263732. 14 Cass. Pen. Sez. 4, Sentenza n. 26996 del 27/04/2015, Rv. 263826. 15 Questa la definizione di Marinucci G. – Dolcini E., Manuale di diritto penale Parte Generale, Milano, 2009, p. 294. 16 Cass. Pen. Sez. 4, Sentenza n. 26996 del 27/04/2015, Rv. 263826. 17 In argomento, Cass. Pen. Sez. 4, n. 16944 del 20/03/2015; Cass. Pen. Sez. 4, n. 7346 del 08/07/2014, Rv. 262243; Cass. Pen. Sez. 3, n. 5460 del 04/12/2013, Rv. 258846; Cass. Pen. Sez. 4, n. 11493 del 24/01/2013, Rv. 254756. 18 Cass. Pen. Sez., sentenza 29 gennaio 2013 n. 16237, Cantore, Rv. 255105. 19 Art. 2 c. 2 c.p. «Nessuno può essere punito per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce reato; e, se vi è stata condanna, ne cessano l’esecuzione e gli effetti penali».
Legge di Stabilità 2016 cosa cambia per i professionisti Consistenti sconti fiscali per chi investe in macchinari e in formazione professionale, meno incentivi alle assunzioni e nuovi regimi dei minimi, per chi guadagna meno di 30mila euro all’anno. Ecco le novità nella manovra economica del governo
Il premier Matteo Renzi l’ha definita «una manovra di svolta». È la Legge di Stabilità 2016, che definisce la politica economica del governo per il prossimo anno. In un mare di critiche che arrivano dall’opposizione (come è ovvio che sia) la Legge di Stabilità ha iniziato il suo cammino in Parlamento, dove dovrà essere approvata entro la fine dell’anno. Tra le misure contenute nel testo, ve ne sono alcune che riguardano anche (e soprattutto) il mondo del lavoro autonomo. Ecco di seguito, una panoramica su cosa cambierà dal prossimo anno per le libere professioni, comprese quelle sanitarie. Il super-ammortamento Una delle novità più importanti della manovra economica è rappresentata senza dubbio dal super-ammortamento. Si tratta di uno sconto fiscale destinato a chi acquista beni strumentali all’esercizio dell’attività, come un macchinario. A partire dal prossimo anno, le spese sostenute per questo tipo di investimenti potranno essere ammortizzate dal professionista, cioè sottratte dal reddito imponibile, per una quota pari al 140%, anziché al 100%. Esempio: chi compra un bene strumentale che costa 5mila euro ed è ammortizzabile in 10 quote annuali di 500 euro ciascuna, il prossimo anno potrà sottrarre dal reddito imponibile una cifra superiore alla spesa realmente sostenuta: non 500 euro (cioè il 100% del costo) bensì 700 euro (che corrisponde a una quota del 140%). Fare investimenti per ammodernare e abbellire l’ambulatorio, dunque, dal prossimo anno diventerà più conveniente dal punto di vista fiscale. Anzi, se la Legge di Stabilità entrerà in vigore senza intoppi, l’investimento sarà più conveniente già da quest’anno, poiché lo sconto fiscale sarà retroattivo e riguarderà
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tutte le spese sostenute dal 1 ottobre 2015 in poi. Formazione con lo sconto (fiscale) Sono in arrivo agevolazioni consistenti anche per un’altra categoria di spese sostenute ogni anno dai liberi professionisti: quelle per la formazione e l’aggiornamento. Al momento, tali voci di costo possono essere sottratte dal reddito imponibile per una quota pari al 50% del loro ammontare. A partire dal prossimo anno, la deducibilità dovrebbe salire al 100%, seppur con un tetto massimo di 10mila euro, già oggi esistente. I nuovi minimi Da gennaio, cambierà di nuovo il regime dei minimi. Si tratta, per chi non lo conoscesse ancora, di un sistema di tassazione agevolato destinato ai lavoratori autonomi che hanno redditi bassi, i quali possono
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pagare un’imposta forfettaria unica del 15% al posto dell’Iva, dell’Irpef e dell’Irap. Per i liberi professionisti, il limite di reddito per poter accedere al regime dei minimi salirà dagli attuali 15mila a 30mila euro all’anno, estendendo così la platea dei beneficiari. Inoltre, potranno usufruire di questa tassazione agevolata anche i lavoratori dipendenti e i pensionati che svolgono contemporaneamente una libera professione, a patto che il loro reddito principale non superi i 30mila euro annui. Libertà di contante Un’altra misura contenuta nella manovra economica riguardante i lavoratori autonomi è quella (contestatissima) che innalza il tetto per l’utilizzo del contante. Come sanno bene tutti i liberi professionisti, oggi tutti i pagamenti che superano l’importo di 999,99 euro devono essere eseguiti con strumenti tracciabili come gli assegni, il bancomat o la carta di credito. Il premier Renzi sembra deciso ad alzare questa soglia a 3mila euro, in barba alle critiche che il governo si è attirato dalle opposizioni e pure dalla minoranza del Pd, il partito di cui il presidente del Consiglio è segretario. L’innalzamento del tetto ai contanti consentirà dunque a molti professionisti di farsi pagare più facilmente le prestazioni con “moneta sonante”, anziché con gli assegni o con altri mezzi tracciabili. Non va
dimenticato, però, che le nuove norme non entreranno in vigore subito, ma soltanto dal 2017. Il Jobs act degli autonomi Il governo ha messo in cantiere anche una serie di leggi che dovrebbero portare maggiori tutele per tutti i lavoratori autonomi, compresi i liberi professionisti iscritti agli Ordini. Nello specifico, l’intenzione dell’esecutivo è quella di introdurre un’indennità di maternità anche per chi lavora in proprio, al pari di quanto già avviene per chi ha un contratto da dipendente. Inoltre, per le neo-mamme libere professioniste, dovrebbe essere introdotta l’esenzione dal pagamento dei contributi previdenziali, nei sei mesi che coincidono con il periodo del parto. Ci vorrà del tempo, però, prima di vedere entrare a regime tali novità, definite dal premier Renzi come il «Jobs Act dei lavoratori autonomi». Per introdurre le nuove tutele, infatti, il governo dovrà approvare un apposito disegno di legge staccato dalla legge di Stabilità, con un lungo percorso in Parlamento. Incentivi alle assunzioni Non vanno trascurate neppure le novità che la prossima manovra economica introduce per gli incentivi alle assunzioni, nel caso in cui un professionista (come qualsiasi datore di lavoro) voglia reclutare nuovo personale per lo studio. Fino al prossimo 31 dicembre, chi assume fin da subito un dipendente a tempo indeterminato (o converte un contratto precario in un’assunzione stabile), gode di un consistente sgravio sui contributi. Per i neo-assunti a tempo indeterminato, infatti, è previsto l’azzeramento totale per tre anni della contribuzione Inps, fino a un massimo di 8.060 euro. Da gennaio, con la Legge di Stabilità 2016, il bonus per le assunzioni diventerà molto meno generoso e sarà pari al 40% dei contributi dovuti all’Inps (e non più pari alla totalità della contribuzione). Inoltre, il tetto massimo del bonus scenderà dagli attuali 8.060 euro a 3.250 euro all’anno, mentre gli sgravi dureranno meno, cioè due anni e non tre. Andrea Telara
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ANGOLO DELLA PROFESSIONE
730 precompilato e sanzioni: allarme dei medici per l’entrata in vigore del provvedimento A cura della Redazione
Si è acceso in questi ultimi mesi dell’anno un vivace dibattito sul decreto legislativo che andrà ad aumentare il carico burocratico degli specialisti in Italia e le possibili sanzioni in caso di mancata trasmissione dei dati. Il D.Lgs. 175/2014, prevede che il Sistema Tessera Sanitaria metta a disposizione dell’Agenzia delle entrate le informazioni concernenti le spese sanitarie sostenute dai cittadini, ai fini della predisposizione della dichiarazione dei redditi precompilata. In caso di omessa, tardiva o errata trasmissione dei dati, si applica la sanzione di 100 euro per ogni comunicazione, con un massimo di 50.000 euro. Il provvedimento stabilisce che le suddette informazioni debbano essere trasmesse telematicamente al sistema Ts dalle strutture sanitarie accreditate e dagli iscritti all’albo dei medici chirurghi e degli odontoiatri. I dati forniti dal sistema Ts sono quelli relativi alle ricevute di pagamento, alle fatture e agli scontrini fiscali relativi alle spese sanitarie sostenute dal contribuente e dal familiare a carico nell’anno d’imposta e ai rimborsi erogati. Ai fini della trasmissione dei dati di spesa sanitaria per la precompilazione della dichiarazione dei redditi, gli operatori sanitari indicati nel testo di legge dovranno trasmettere telematicamente i dati dell’assistito e delle relative fatture. Pertanto, a partire dal 31 gennaio 2016, anche i dermatologi dovranno comunicare al Sistema Tessera Sanitaria nazionale le spese mediche sostenute dai propri pazienti nel 2015, che renderanno più completo il modello 730 precompilato. Successivamente, al sistema potranno accedere anche i contribuenti stessi e potranno consultare le spese sostenute. Il Decreto dello scorso 31 luglio (pubblicato in Gazzetta Ufficiale l’11 agosto) contiene le specifiche tecniche per effettuare la comunicazione delle spese ma, come molti osservatori hanno sottolineato, il problema non è solo tecnico. La norma ha scatenato da subito il malcontento dei liberi professionisti della sanità. Di fatto sono molti i medici preoccupati delle nuove norme legate alla presentazione del modello 730 precompilato. Possibili problematiche per il medico Oltre all’approccio sanzionatorio del provvedimento che
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preoccupa i medici, un altro aspetto negativo da considerare è l’aggravio burocratico che comporta. Alcuni esponenti dell’Ordine dei medici hanno espresso posizioni più critiche, come il presidente di Omceo Napoli Silvestro Scotti, medico di famiglia, che ha puntato il dito sul carico burocratico che andrà a gravare sui professionisti, con le prevedibili ripercussioni economiche connesse alla necessità di delegare parte di queste nuove incombenze ai propri commercialisti. Tale aggravio burocratico unitamente all’utilizzo di nuovi strumenti non medicali e al dispendio di ore di addestramento, aggiornamento e di lavoro non riconosciute, comporterebbero un aumento dei costi delle prestazioni sanitarie. I possibili benefici per l’assistito sono quindi oscurati dal potenziale aumento dei costi delle prestazioni sanitarie. L’assistito potrà però godere più facilmente e automaticamente delle detrazioni fiscali per prestazioni sanitarie. Nel caso in cui invece non volesse usufruire dei benefici, può chiedere di non trasmettere telematicamente le fatture e tale richiesta verrà annotata in fattura a cura della struttura sanitaria. La privacy dell’assistito è tutelata durante tutto il percorso di trasmissione. A questo proposito, il decreto del 31 luglio si sofferma sulle modalità con cui verranno trattati i dati, garantendone la riservatezza. Dunque, il contrasto rilevato oltre all’aspetto sanzionatorio e al possibile aumento dei costi delle prestazioni, non è tanto al progetto “730 precompilato” ma alle modalità di invio dei dati necessari. Medici, odontoiatri e assistiti dovrebbero consultare gli specialisti del fisco per aggiornamenti sulle possibilità offerte dal progetto e sugli adempimenti.
ATTUALITÀ
Best practice per un modello di decisioni “informate” La ricerca, condotta nell’ambito del progetto Orme, è stata un’occasione di rilettura retrospettiva dei dati attualmente esistenti in materia di epidemiologia, percorsi clinici e trattamenti disponibili in tre aree: le arteriopatie periferiche nella popolazione con diabete mellito; lo scompenso cardiaco e la morte improvvisa; la fibrillazione atriale Stanno emergendo in questi giorni nuovi tagli alla Sanità non proprio attesi. Con la precedente legge di stabilità per il 2016 erano stati stanziati 115,4 miliardi di euro; ora la nuova proposta li ha ridotti a 111. La necessità di far quadrare i conti sembra stia prevalendo sulla scuola di pensiero che vede la sanità come un servizio primario e necessario da mantenere a livelli di eccellenza. Il ricorso al taglio dei costi indiscriminato è il frutto della solita politica miope, di breve periodo, volta a nascondere sotto il tappeto gli errori passati e le inefficienze presenti. La mancanza di analisi prima e programmazione sanitaria poi potrebbe determinare un veloce impoverimento di quella cultura dell’eccellenza che ha contraddistinto fino a oggi alcune parti del nostro sistema sanitario. La capacità di programmazione deve nascere dal dialogo franco e aperto di tutte le parti in causa, sia quelle della politica (Ministero e Consigli Regionali) che quelle degli operatori diretti (medici, farmacisti e specialisti in genere) e per finire quelle degli investitori (le aziende che operano nella sanità), che può scaturire la chiave giusta per scardinare l’ignoranza sul futuro e garantire un approccio sempre consapevole nelle azioni da intraprendere. È di questi giorni un ottimo esempio di collaborazione tra pubblico e privato che vede protagonisti la Regione Lombardia e un’importante azienda medicale (Medtronic) nel progetto Orme (Outcome Research & Medtech Efficiency), che nasce dalla volontà di dimostrare il ruolo centrale dell’innovazione biomedicale come chiave
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di volta “per produrre efficienza e contribuire alla sostenibilità dei Sistemi Sanitari Regionali”. O meglio, come può un’azienda sostenere investimenti per migliorare i processi terapeutici di singole patologie a fronte del sistematico taglio dei costi o dei rimborsi dei Drg alle strutture ospedaliere? Quale diventa il ruolo di queste imprese? È giusto che si debbano convertire ad attività conservative e rinunciare al progresso? A parer mio esiste una sola risposta se pensiamo di vivere in un Paese progressista, ed è no, non è giusto. E a confermarlo sono i risultati del progetto Orme su alcuni ambiti clinici, elaborati da un ente terzo, come l’Università Milano Bicocca, che si è avvalso “di un unico a livello internazionale e inestimabile patrimonio di dati sanitari” a disposizione della Regione Lombardia sui ricoveri, prestazioni ambulatoriali, spese farmaceutiche e altri centri di spesa più specifici, nell’arco temporale di 10 anni (dal 2000 al 2009) per singolo paziente. Dalla ricerca sono emersi risultati significativi, tra i quali cito a titolo di esempio l’innalzamento costante dei tassi di ospedalizzazione del paziente nei tre anni precedenti il momento dell’intervento o del fatto acuto; ciò ha sicuramente messo in rilievo come un intervento preventivo, reso possibile grazie alla innovazione tecnologica, avrebbe consentito di alleviare le pene del paziente e ridurre sensibilmente la spesa sanitaria legata a quel caso. Con questa analisi si giunge così a spostare l’attenzione sugli esiti clinici ed economici correlati alle procedure e ai percorsi terapeutici dei pazienti. Il progetto Orme è un caso di best practice nella partnership pubblico-privato, “in cui tutti gli attori coinvolti contribuiscono alla messa a disposizione di informazioni, ciascuno nel suo ambito di competenza”. A beneficiarne sarà la programmazione sanitaria consapevole e, come logica conseguenza, il diritto alla salute di tutti i cittadini. Giuseppe Roccucci
Gubbio 2016: “percorsi” in Dermoscopia
Due, a grande richiesta, saranno le date della prossima edizione del Meeting di Dermoscopia e Imaging Cutaneo – Gubbio’16 “Percorsi”: dal 14-16 aprile e dal 15-17 settembre 2016. L’incontro, dedicato ai medici specialisti cultori della materia, si propone la formazione teorico-pratica e l’aggiornamento sulle tematiche e sulle tecniche principali della dermoscopia. Questa rappresenta ormai una parte sostanziale e imprescindibile del processo diagnostico in dermatologia: i campi di applicazione della metodica spaziano diffusamente da quello originario dell’oncologia a quelli più recenti dell’inflammologia, dell’infettivologia, dell’entomologia.Tale impiego così esteso della dermoscopia nella pratica
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quotidiana sollecita l’operatore a continui processi decisionali di natura diagnostica, prognostica e gestionale. Il programma si articola in tre tipi di “percorsi”: - percorsi biologici: gli aspetti dinamico-evolutivi delle neoformazioni cutanee, il concetto stesso di nevogenesi, quello di grading dermoscopico della displasia melanocitaria e i modelli di progressione delle varie forme di melanoma e di carcinoma squamoso; - percorsi diagnostici: gli algoritmi decisionali nel tempo proposti per obiettivare e semplificare la distinzione tra lesioni di natura non-melanocitaria e melanocitaria e, tra queste ultime, tra lesioni benigne, atipiche o francamente maligne. In questo ambito
non mancheranno gli algoritmi dermoscopici relativi alle lesioni pigmentate di sedi particolari, quali quelle plantari e ungueali; - percorsi gestionali: una sorta di guida a come meglio sfruttare la dermoscopia nella quotidianità. Si tratteranno tematiche essenzialmente pratiche, quali la gestione corretta del paziente e della visita stessa, il monitoriaggio clinico-dermoscopico dei soggetti ad alto rischio per melanoma, la gestione dei nevi congeniti in età pediatrica e adulta, e – come anticipato – le nuove applicazioni della dermoscopia in campo inflammologico, infettivologico, entomologico e tricologico. Ampio spazio verrà dato al monitoraggio dermoscopico di trattamenti con Ingenolo Mebutato, con Pdt, con Laser e Ipl. Sarà inoltre prevista una sessione dedicata alla casistica clinico-dermoscopica, impostata sull’interattività tra docenti e discenti.
Per informazioni: Segreteria Organizzativa Joining People Tel 06 2020227 Fax 06 20421308 info@joiningpeople.it
Arte e dermatologia
La Mostra “Arte e pelle” del centro Studi Gised - associazione senza scopo di lucro, con l’obiettivo di promuovere la ricerca clinica indipendente in ambito dermatologico e di sostenere le attività del Gruppo Italiano Studi Epidemiologici in Dermatologia (Gised) - sarà a Milano presso l’Ircss Ospedale San Raffaele, dove sarà visitabile fino al 15 gennaio 2016 nella Galleria delle Botteghe. Sul sito del Centro Studi Gised, nella sezione “Arte e Dermatologia” si è parlato invece di Hans Holbein il Giovane e lo scrofuloderma. L’artista - nato ad Augsburg (Bavaria) nel 1497 e morto a Londra nel 1543 - è stato uno dei più grandi ritrattisti del ‘600. In alcuni ritratti dipinge Sir Richard Southwell, influente membro della corte d’Inghilterra, e sia nei disegni preparatori sia nei dipinti è possibile vedere sul collo e sulla fronte cicatrici, probabilmente successive a una forma di tubercolosi cutanea detta anche scrofuloderma.
CORSI E CONGRESSI
Medicina estetica in Italia: un mercato che non conosce crisi a cura di Lara Romanelli
Si è tenuto dal 15 al 17 ottobre scorso a Milano, il XVII Congresso Internazionale di Medicina Estetica Agorà-Amiest, dove 2.500 medici provenienti da oltre 15 Paesi al mondo, si sono riuniti per discutere di un mercato che allo stato attuale non conosce crisi «Il mercato della Medicina Estetica» - ha dichiarato al Congresso Alberto Massirone, presidente della Società Italiana di Medicina a Indirizzo Estetico Agorà-Amiest nonché presidente del Congresso - «si dimostra estremamente solido e dinamico: nel 2014 le richieste di trattamenti di medicina estetica hanno rappresentato il 76% del totale, con un incremento rispetto all’anno passato di oltre il 6%, contro un 24% di richieste di interventi di chirurgia estetica. Segno che gli italiani, anche in tempo di crisi, non rinunciano a prendersi cura del proprio aspetto ma ricercano sempre più trattamenti mininvasivi e che garantiscano risultati naturali, anche nella visione di migliorare non solo l’aspetto estetico ma anche la qualità di vita intercettando con l’inestetismo possibili cause di un “malfunzionamento”
dell’organismo». Tre sono i protagonisti di questo mercato: filler, tossina botulinica e rivitalizzazione cutanea. Si affidano alla medicina estetica prevalentemente le donne, nella fascia dai 35 ai 55 anni rappresentando l’80% delle richieste, ma gli uomini iniziano a guadagnare terreno. Secondo Massirone, quest’anno si è avuto un incremento del 20% degli iscritti provenienti - oltre che dall’Europa - da Egitto, Vietnam, Corea, India, Russia, Turchia, Stati Uniti, Canada, Brasile, Argentina, Australia e Cina - a dimostrazione del ruolo guida che l’italian style riveste nel mondo, anche nell’ambito della medicina estetica. Grande attenzione in questa edizione del congresso
ha suscitato la presentazione del Decalogo della medicina estetica, scaricabile gratuitamente dal sito della società (www.societamedicinaestetica.it), un importante strumento con l’obiettivo di sfatare i luoghi comuni che contribuiscono a distribuire informazioni false sulla medicina estetica. Importanti sono i dati di una indagine statistica, realizzata da Agorà-Amiest su tutto il territorio nazionale, che confermano l’Italia al quarto posto in Europa per numero di interventi, settima nel mondo. Diverse sono state le novità presentate nel campo della medicina estetica, come l’impiego di laser per il trattamento definitivo delle onicomicosi, la ricerca dell’armonia nei trattamenti di ringiovanimento del volto nel
rispetto dell’età, in modo da non cadere nello stereotipo di tipo anglosassone che vuole fare apparire tutti i visi statici e amimici. Infine, la resurfacing dei genitali femminili sia esterni, sia intervenendo sulla plasticità interna in modo da dare un refreshing per una nuova serenità e nuova elasticità nonostante gli inconvenienti post menopausali. È emerso inoltre che la donna, ma sempre di più anche l’uomo, secondo Massirone, vuole invecchiare bene, avere un aspetto fresco e correggere l’inestetismo che crea disagio per sentirsi bene nel suo corpo e con gli altri. Piacersi aiuta a vivere meglio. Per questo si parla sempre più di medicina estetica come medicina preventiva e sociale. Ma gli italiani hanno compreso anche che la medicina estetica non è solo correzione dell’inestetismo fine a se stesso ma è anche prevenzione, integrazione e benessere. Si è parlato infine, nell’anno di Expo, del ruolo dell’alimentazione nei processi di guarigione, nel post-operatorio e nella prevenzione dell’invecchiamento e di alcune patologie.
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MARKETING & SVILUPPO
FOTOFINDER INCONTRA IL DESIGN DI APPLE FotoFinder Systems GmbH, ai vertici nel settore della diagnosi precoce del cancro della pelle, continua a innovare sistemi medici di imaging, combinando la brillantezza e la performance della sua tecnologia con il design di Apple. La nuova configurazione FotoFinder dermoscope presenta una soluzione “all-in-one” per la dermatoscopia digitale di alta qualità e la mappatura dei nei con una tecnologia che consente un’ottima esperienza visiva. Il sistema combina la videocamera Full HD medicam 800HD con l’iMac, sul quale sono installati tutti i componenti, il software e il sistema operativo Microsoft Windows. La videocamera è connessa al computer tramite la Docking Station di FotoFinder. Tramite l’interfaccia
opzionale FotoFinder universe wireless, i risultati dermatoscopici si possono visualizzare sugli iPad Apple. Questo permette di lavorare decentralizzati, mentre tutti i dati rimangono al sicuro sul server o in rete. L’interfaccia wireless si può utilizzare anche con l’handyscope, il primo dermatoscopio mobile connesso per iPhone e iPod touch. Le immagini vengono scattate con l’handyscope utilizzando l’applicazione universe
wireless da cui le immagini sono trasferite nella cartella clinica del paziente nel software dermoscope tramite Wi-Fi. Questo permette ai medici di scattare le immagini con piccoli dispositivi a portata di mano e mantenendo tutti i dati sicuri sul computer centrale. FotoFinder Hub offre la possibilità di archiviare online nella banca dati web “a nuvola”, uno spazio privato e sicuro; inoltre offre anche funzioni avanzate il servizio del consulto diagnostico. (iPhone, iPod e iMac sono marchi di Apple Inc., registrati negli Stati Uniti e in altri Paesi)
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to anti-età che contrasta sia le cause endogene sia esogene dell’invecchiamento, grazie alla combinazione di due principi attivi all’avanguardia: resveratrolo puro e acido ialuronico. Insieme, questi due principi attivi forniscono una completa azione anti-age, effetto lifting. Anche di questa linea sono disponibili due versioni del cofanetto: - Coffret Liftiane crème: leggero e de-
licato trattamento anti-rughe, riempitivo e tonificante per pelle normale e mista. Ottima base per il make up, grazie a una combinazione di silice e amido di mais, ha un istantaneo e duraturo effetto opacizzante; - Coffret Liftiane crème riche: ricco e vellutato trattamento anti-rughe, riempitivo e tonificante per pelle secca. In regalo nei due cofanetti, Liftiane Yeux+Lèvres (15 ml), il contorno occhi e labbra per rughe, occhiaie e borse. Per informazioni: Laboratories Svr Tel. 02.6713271 info@laboratoires-svr.it www.filorga.it
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4 Corso accreditato ECM Dermoscopia: le differenti possibilità diagnostiche in ambito dermato-oncologico
Innesto adiposo autologo come nuovo trattamento del tessuto cicatriziale: una realtà ormai consolidata Pronto intervento contro l’onicomicosi
LETTERATURA INTERNAZIONALE ANGOLO DELLA CLINICA ANGOLO DELLA PROFESSIONE
Hi Tech Dermatology Italian High Tech Network in Dermatological Sciences
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