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INIZIATIVE IN FARMACIA Nuova Carta della qualità, farmacie consolidano il ruolo socio-sanitario sul territorio
integrazione alimentare Una dieta varia e integratori specifici proteggono da stati carenziali in gravidanza
farmacologia Ipotiroidismo, levotiroxina in formulazione liquida migliora l’aderenza al trattamento
pediatria e maternità Probiotici somministrati in gravidanza e al neonato ridurrebbero il rischio di allergie
aprile 2016
salute e benessere Gotta, patologia del passato che rappresenta ancora oggi una sfida sanitaria aperta
Corso accreditato ECM Alimentazione e sport in diverse condizioni fisiopatologiche
Alimentazione ed esercizio fisico: raccomandazioni per l’anziano
editoriale Giuseppe Roccucci g.roccucci@griffineditore.it
Viaggio nel mondo della salute Sono periodi molto caldi per il mondo della salute, sempre più orientato ad approfondire analisi, fare valutazioni, ipotizzare scenari e scegliere quello su cui puntare. La crisi economica è vero, ha lasciato il segno, ma ha generato un movimento di ricerca di ogni aspetto positivo e di autocritica del sistema, che lo sta portando ad autorigenerarsi. Anche in un recente convegno il ministro della Salute Beatrice Lorenzin ha ribadito l’importanza di «un’accurata analisi dello stato di salute come base di un’attenta programmazione finalizzata al soddisfacimento dei bisogni della popolazione». Dal rapporto “Crisi economica, sistemi sanitari e salute in Europa” pubblicato sulla rivista Health Policy in Non Communicable Diseases, emerge chiaramente come dal 2007 al 2011 la propensione dell’Italia a investire in salute sia in controtendente crescita rispetto alla maggior parte dei paesi europei. In Italia l’incidenza della spesa sanitaria su quella pubblica è passata infatti dal 13,85% al 14,2%, mentre è diminuita in 44 su 53 paesi. Personalmente registro in questi ultimi mesi un fermento di occasioni di incontro e confronto nel mondo della salute e in particolare della farmacia. Da ognuno di questi eventi escono per i partecipanti una spinta e un’energia che li aiutano a riflettere su come è cambiato il panorama, come potrebbe essere affrontato il cambiamento e quale scenario li aspetta. Partiamo dall’analisi dei dati diffusi da IMS Health sull’andamento del mercato della farmacia nel 2015, che vede una crescita generale dell’1,6% arrivando a toccare i 25,3 miliardi euro. I prodotti con obbligo di prescrizione segnano il passo con un sostanziale leggero rallentamento (-0,1% ) attestandosi a 15,1 miliardi di euro, dove si registra l’aumento dei farmaci da automedicazione soprattutto in valore (+3,4%). I restanti 10,2 miliardi di euro , ovvero il 40% del fatturato della farmacia, riguardano il mercato di libera vendita, la cui crescita annua ha raggiunto nel 2015 il 4,1%. A trainare il settore si segnalano la dermocosmesi (+3% in fatturato, 5% in consumi), il parafarmaceutico (+2,5%) soprattutto grazie ai prodotti per la gestione del diabete, che rappresenta quasi la metà di tale comparto con i suoi 1,1, miliardi di euro. La parte del leone la fanno però gli integratori, che aumentano sia a valori che a volumi rispettivamente del 7,95 e del 6,4%, arrivando a valere 2,5 miliardi di euro e superando di fatto il comparto dell’automedicazione. L’aumento della domanda si spiega da una parte con l’evoluzione delle esigenze di salute della popolazione, che riconosce ormai l’enorme impatto della cultura della prevenzione, dall’altra con l’attività congiunta di counseling del medico e del farmacista ad orientare le scelte del paziente; metà dei medici di medicina generale e un terzo degli specialisti consigliano integratori abitualmente perché ne riconoscono l’utilità clinica sulla base di un razionale scientifico. Con un quadro della situazione come questo il viaggio per gli operatori della salute può continuare con grandi soddisfazioni a patto però che il motto rimanga sempre lo stesso: mutatis mutandis (cambiate ciò che bisogna cambiare). Giuseppe Roccucci
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La crisi economica
è vero, ha lasciato il segno, ma ha generato un movimento di ricerca di ogni aspetto positivo
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e di autocritica del sistema, che lo sta portando ad autorigenerarsi
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sommario
3 Editoriale
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Carta della qualità rinnovato il patto sociale tra farmacie e i cittadini Intervista ad Annarosa Racca di Renato Torlaschi
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Il prodotto del mese
Integrazione alimentare
oleasir, nuova linea cosmetica naturale a base di estratti di olive toscane
Alimentazione e supplementazione in gravidanza
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Corso ECM 2016
Salute e benessere
Alimentazione ed esercizio fisico: raccomandazioni per l’anziano
Helicobacter pylori, l’eradicazione riduce il rischio di tumori gastrici
di Silvia Maffoni e Matteo Vandoni
di Vincenzo Marra
di Hellas Cena
29 Farmacologia
Ipotiroidismo, terapia liquida azzera i tempi di attesa di Renato Torlaschi
33 Pediatria e maternità
Prevenire le malattie già nel grembo materno con i probiotici di Renato Torlaschi 4
Professione Salute
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sommario 39
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Salute e benessere
Gestione
Gotta: male antico, emergenza nuova
È possibile parlare di scenari futuri nel settore farmaceutico?
di Monica Oldani
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di Andrea Luca Imposti
Ricerca
Veicolare i farmaci con le nanotecnologie di Andrea Peren
50 Professione
Incentivi alle assunzioni proseguono nel 2016 di Andrea Telara
52 Focus
Investire nel biomedicale: ecco le azioni da tenere d’occhio
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di Andrea Telara
Attualità
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Eventi
Le aziende informano
Direttore responsabile Giuseppe Roccucci
Redazione Andrea Peren a.peren@griffineditore.it Lara Romanelli redazione@griffineditore.it Rachele Villa r.villa@griffineditore.it
Stampa Reggiani spa - Divisione Arti Grafiche Via Alighieri, 50 Brezzo di Bedero (VA)
Board scientifico
Grafica Grafic House, Milano
Abbonamento annuale Italia: euro 0,95 Singolo fascicolo: euro 0,19
Hanno collaborato Hellas Cena, Andrea Luca Imposti, Silvia Maffoni, Vincenzo Marra, Monica Oldani, Andrea Telara, Renato Torlaschi, Matteo Vandoni
Professione Salute periodico bimestrale Anno VII - n. 2 - aprile 2016
Hellas Cena (Direttore) Donatella Ballardini Silvia Brazzo Mario Calzavara Mariano Casali Rachele De Giuseppe Massimo Labate Luca Marin Mara Oliveri Marco Rufolo
Vendite Stefania Bianchi s.bianchi@griffineditore.it, tel. 340.1246792 Giovanni Cerrina Feroni g.cerrinaferoni@griffineditore.it, tel. 346.2330694 Lucia Oggianu l.oggianu@griffineditore.it, tel. 338.9609937 Ufficio Abbonamenti Tel. 031.789085 - customerservice@griffineditore.it SIDeMaST
Società Italiana di Dermatologia medica, chirurgica, estetica e delle Malattie Sessualmente Trasmesse
Registrazione del Tribunale di Como con il n. 4 del 14/04/2010 Editore Griffin srl unipersonale, piazza Castello 5/E 22060 Carimate (CO) Tutti gli articoli pubblicati su Professione Salute sono redatti sotto la responsabilità degli Autori. La pubblicazione degli articoli della rivista deve essere autorizzata per iscritto dall’Editore. Ai sensi della legge in vigore, i dati dei lettori saranno trattati sia manualmente sia con strumenti informatici e utilizzati per l’invio di questa e altre pubblicazioni o materiale informativo e promozionale. Le modalità di trattamento saranno conformi a quanto previsto dalla legge. I dati potranno essere comunicati a soggetti con i quali Griffin intrattiene rapporti contrattuali necessari per l’invio della rivista. Il titolare del trattamento dei dati è Griffin, al quale il lettore si potrà rivolgere per chiedere l’aggiornamento, l’integrazione, la cancellazione e ogni altra operazione prevista per legge. In base alle norme sulla pubblicità l’editore non è tenuto al controllo dei messaggi ospitati negli spazi a pagamento. Gli inserzionisti rispondono in proprio per quanto contenuto nei testi.
ne parliamo con
Carta della qualità rinnovato il patto sociale tra farmacie e cittadini Un’iniziativa di Cittadinanzattiva e Federfarma che si pone l’obiettivo di promuovere un’assistenza sanitaria sempre più attenta
Intervista di Renato Torlaschi
ai bisogni di cura della persone, confermando di fatto il ruolo sociale e sanitario della farmacia
I
n tema di accessibilità, la farmacia garantisce l’accesso ai propri locali, rimuovendo le barriere e propone all’autorità competente, tramite le proprie organizzazioni, l’adozione di orari di apertura, diurna e notturna. Riguardo all’accoglienza e attenzione alla persona, la farmacia si pone come servizio pronto ad andare incontro alle esigenze dei cittadini, anche in termini di orientamento, rassicurazione e conforto. Relativamente all’informazione, la farmacia si impegna nell’offerta di informazioni aggiornate, qualificate, semplici e comprensibili su modalità di assunzione, conservazione, trasporto e smaltimento di farmaci e parafarmaci, per favorirne l’uso più corretto. Per garantire la sicurezza, la farmacia fornisce, in caso di emergenza, le informazioni e il supporto necessari a superare la situazione di pericolo, tramite il collegamento con le strutture sanitarie deputate. Per erogare servizi conformi agli standard di qualità, la farmacia si impegna a instaurare un rapporto di collaborazione con il medico prescrittore, onde evitare, anche dal punto
Annarosa Racca Presidente di Federfarma
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di vista burocratico, disagi ai cittadini. Questi sono solo alcuni esempi tratti dai capitoli che compongono la nuova “Carta della qualità della farmacia”, che Federfarma ha elaborato, in sinergia con Cittadinanzattiva-Tribunale per i Diritti del Malato. Ne abbiamo parlato con la presidente di Federfarma, Annarosa Racca. Presidente Racca, cos’è la Carta della qualità della farmacia? La Carta è un elenco dei diritti dei cittadini in farmacia e degli impegni che la farmacia assume per garantire tali diritti a tutti, redatta insieme a Cittadinanzattiva. Accessibilità, accoglienza e attenzione alla singola persona, informazione, sicurezza, standard di qualità dei servizi erogati, fanno parte del Dna della farmacia. Con la Carta questi principi vengono esplicitati e declinati nei singoli impegni assunti dalla farmacia nei confronti di tutti coloro che ogni giorno ne varcano la soglia per ottenere un farmaco, un consiglio, un servizio o anche solo un’informazione. La Carta della
Intervista ad Annarosa Racca
qualità è una sorta di manifesto “culturale” che indica i principi sui quali si basano sia l’impegno sociale delle farmacie. Il valore della Carta è quello di far emergere con chiarezza tutto quello che la farmacia fa e può fare per andare incontro ai bisogni del cittadino. Perché, a vent’anni dalla prima stesura, Cittadinanzattiva-Tribunale per i diritti del malato e Federfarma hanno realizzato una nuova Carta della qualità della farmacia? La nuova Carta della qualità rinnova l’impegno assunto dalle farmacie per favorire il rispetto dei diritti dei cittadini, alla luce delle novità del panorama sanitario attuale (ad iniziare dalla farmacia dei servizi e dalla riorganizzazione dell’assistenza territoriale) e del contesto sociale ed economico (difficoltà economiche di moltissime famiglie, difficoltà di accesso a servizi e prestazioni socio sanitarie). L’impegno riguarda tutti i cittadini, non solo quelli che vivono in città e hanno tutti i servizi a portata di mano, ma anche quelli che vivono in zone lontane dalle strutture sanitarie, nelle aree disagiate ed economicamente poco redditizie dove la farmacia c’è sempre, anche quando ha chiuso perfino l’ufficio postale. Con la Carta della qualità, infatti, le farmacie si impegnano a rispettare e diffondere i principi contenuti nella Carta europea dei diritti del malato, a tenere conto in ogni fase
la carta della qualità in farmacia in sintesi Ecco alcuni dei principi chiave riportati nel documento. Questa farmacia si impegna a rispettare e divulgare i 14 diritti della Carta Europea dei Diritti del Malato, promossa da Cittadinanzattiva, ed assicura: accessibilità, accoglienza e attenzione alla persona, informazione, sicurezza, standard di qualità dei servizi erogati. Ecco alcuni degli impegni assunti dalle farmacie aderenti. La farmacia: z riserva particolare attenzione alle persone fragili, alle mamme, ai bambini, agli anziani, alle persone con patologie croniche e ai migranti (con opuscoli informativi in varie lingue); z reperisce i farmaci prescritti nel più breve tempo possibile o, in caso di difficoltà, individua la farmacia più vicina in grado di erogarli; z facilita l’accesso ai farmaci per le terapie croniche anche al di fuori del territorio di residenza delle persone;
z monitora l’andamento delle terapia, in sinergia con medici e altri professionisti sanitari, e favorisce la segnalazione di eventi avversi; z promuove iniziative per la corretta conservazione e lo smaltimento dei farmaci, per favorirne una corretta assunzione e ridurre gli sprechi; z presta particolare attenzione ai percorsi materno infantili, promuovendo l’allattamento al seno, favorendo l’accesso della donna ai servizi sociosanitari, fornendo informazione sul corretto uso dei farmaci in gravidanza e in età pediatrica; z promuove stili di vita salutari e iniziative di prevenzione; z si adopera per rendere il proprio sito web accessibile e, in caso di vendita on line, adotta tutte le garanzie previste dalla normativa a tutela dei cittadini; z promuove l’utilizzo di farmaci equivalenti a prezzo più basso anche nel caso di farmaci consigliati dal farmacista, al di fuori di logiche di mercato.
della propria attività dei bisogni delle persone e delle difficoltà che esse possono incontrare nell’esercitare il proprio diritto alla salute. La prima stesura nel 1994 costituì una delle primissime esperienze di Carta della Qualità... Sì, fu una delle prime Carte, un’iniziativa innovativa nata dalla volontà di Federfarma di essere all’avanguardia nel mettersi dalla parte dei cittadini e da quella delle singole farmacie di dare risposte adeguate e moderne alle esigenze della popolazione, non solo per quanto riguarda la salute e l’uso del farmaco ma anche per l’attenzione alla persona, l’assistenza ai soggetti più deboli, l’aiuto e la rassicurazione nei confronti di anziani malati e delle loro famiglie. Tutte le iniziative attivate in questi anni – fino alla recentissima consegna gratuita a domicilio dei farmaci – confermano il ruolo sociale e sanitario della farmacia. Come ha sottolineato il ministro della Salute Beatrice Lorenzin nel corso della presentazione dell’iniaprile 2016
Professione Salute
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ne parliamo con
ziativa, «la Carta della qualità, a oltre vent’anni dalla sua nascita, è testimonianza del fondamentale rapporto tra la farmacia e il territorio. I principi ispiratori della Carta sono il marchio distintivo della relazione di fiducia tra i professionisti e i cittadini». Cosa significa per le farmacie l’adesione alla nuova stesura della Carta? Dal 1994, anno di stesura della prima Carta, a oggi tante cose sono cambiate nel contesto sanitario, sociale ed economico del Paese e la farmacia si evolve per essere più vicina ai cittadini. La nuova Carta della qualità costituisce per le farmacie uno stimolo forte ad andare sempre più in direzione delle esigenze di salute dei cittadini. Con i nuovi servizi, da ultimo la consegna gratuita dei farmaci a domicilio riservata a categorie particolarmente fragili, la farmacia consolida il proprio ruolo di primo presidio sociosanitario sul territorio a disposizione della popolazione, pronta a dare ai cittadini più servizi, il più possibile vicini a casa. Di fatto, aderendo alla Carta della qualità, le farmacie si impegnano a rispettare e diffondere i principi contenuti nella Carta europea dei diritti del malato, a tenere conto in ogni fase della propria attività dei bisogni delle persone e delle difficoltà che incontrano nell’esercitare il proprio diritto alla salute. 8
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Vanno in questa direzione di piena soddisfazione degli utenti i nuovi servizi, per i quali è però importante il sostegno delle istituzioni… La collaborazione delle istituzioni è fondamentale per poter proseguire sulla strada del miglioramento del servizio e del rispetto dei diritti dei cittadini. Stiamo facendo il nostro dovere e anche molto di più, considerando che ci troviamo in una fase difficile dal punto di vista economico, con i continui tagli alla spesa farmaceutica, con il costante aumento delle trattenute imposte alle farmacie, con la crisi che riduce il potere d’acquisto dei cittadini. Nonostante questo contesto, le farmacie hanno continuato a puntare sul miglioramento del servizio offerto e sull’ampliamento della gamma di prestazioni assicurate ai cittadini. La Farmacia dei servizi in molte zone è già una realtà grazie all’impegno dei colleghi che si sono organizzati e sono riusciti da dare ai cittadini i nuovi servizi: prenotazione di visite ed esami, test diagnostici di prima istanza, screening di prevenzione di patologie di forte impatto sociale, come lo screening per prevenire o individuare precocemente il tumore al colon retto. Funzioni che la farmacia svolge spesso in collaborazione con altri operatori in una complementarità che la nuova Carta sottolinea a rafforza ed è fondamentale per avere sempre meno ospedale e più territorio. Riassumendo, Presidente Racca, qual è l’importanza della Carta? La sfida del Sistema sanitario nazionale è quella di riuscire a erogare servizi sempre più efficienti su tutto il territorio, guardando con particolare attenzione a una popolazione che invecchia. La Carta della qualità è il modo con cui i farmacisti raccolgono la sfida, misurandosi con i cittadini in un rapporto aperto alla valutazione degli standard di efficienza. Qualità, sicurezza, trasparenza, personalizzazione della cura e umanizzazione sono le parole chiave della sanità che vogliamo realizzare. Nel corso del 2016 un monitoraggio civico realizzato da Cittadinanzattiva permetterà di valutare i risultati raggiunti per poter consentire alle farmacie di individuare nuovi traguardi da raggiungere. n
il prodotto del mese
punti di forza Linea cosmetica ad elevato potere antiossidante e antiaging, a base di polifenoli estratti da olive Toscane, ha proprietà ristrutturanti e lenitive, protegge dal fotoinvecchiamento
oleasir, nuova linea cosmetica naturale a base di estratti di olive toscane Oleasir è una linea completa di cosmetici a base di polifenoli estratti da olive toscane ad elevata attività antiossidante e antiradicalica
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e proprietà benefiche dell’oliva per la pelle e la bellezza della persona sono ormai riconosciute da secoli e rendono questo prezioso prodotto un ingrediente di eccellenza per la cosmesi naturale. Sulla base della propria trentenna-
i.r.a. istituto ricerche applicate s.r.l. www.iralab.it - info@iralab.it
le esperienza, I.R.A. Istituto Ricerche Applicate ha sviluppato la nuova linea cosmetica Oleasir, prodotti all’avanguardia che sfruttano l’elevata azione antiossidante dell’idrossitirosolo contenuto in alta concentrazione nella fase acquosa dell’oliva, regalando il necessario nutrimento alla pelle, rinforzandola in profondità e favorendo il mantenimento del film idrolipidico superficiale necessario per contrastare l’aggressione da parte degli agenti esterni quali smog e radiazioni solari. I prodotti della linea Oleasir rallentano inoltre l’inesorabi-
le trascorrere del tempo e donano alla pelle un aspetto visibilmente più giovane, liscio e vellutato. Attualmente la linea cosmetica Oleasir è costituita da tre prodotti: una crema viso studiata per proteggere la pelle e prevenire i processi di ossidazione e di invecchiamento cellulare, una crema corpo revitalizzante e ristrutturante a rapido assorbimento per assicurare il massimo del comfort e infine una lozione specifica per la cura dei capelli in grado di migliorare l’attività follicolare, contrastando l’insorgenza dei capelli bianchi dovuto al progressivo trascorrere dell’età. Tutto ciò grazie all’utilizzo in formulazione dell’idrossitirosolo estratto dalla fase acquosa ottenuta della spremitura dell’oliva Toscana IGP, riconosciuta in tutto il mondo per le sue proprietà benefiche. n
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Professione Salute
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Abbonamento
solo la rivista
30 €
2016
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*Alimentazione e sport
L’apparato gastroenterico tra salute e patologia: ruolo di alimentazione e stile di vita
in diverse condizioni fisiopatologiche
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Il corso è costituito da 5 moduli didattici e darà diritto a maturare 21 crediti ECM Corso erogato nei fascicoli di Professione Salute e disponibile anche online
puoi abbonarti anche online su www.academystore.it
I corsi sono svolti nell’ambito del programma ECM del Ministero della Salute, con modalità FAD (Formazione a Distanza). I crediti acquisiti con gli eventi formativi sono validi su tutto il territorio nazionale.
Corso ECM 2016 Modalità di Formazione a Distanza (FAD) riservato agli abbonati paganti*
Alimentazione e sport in diverse condizioni fisiopatologiche Responsabile scientifico Prof.ssa Hellas Cena Medico Chirurgo, Specialista in Scienza dell’Alimentazione, Università degli Studi di Pavia Programma del corso L’esercizio fisico e l’attività sportiva sono fondamentali per favorire il pieno sviluppo dell’organismo e per promuovere e mantenere uno stato di salute ottimale sia a breve che a lungo termine. Alla luce di tali considerazioni, nel corso Alimentazione e sport in diverse condizioni fisiopatologiche verranno approfonditi diversi aspetti: z come una alimentazione corretta ed equilibrata rappresenti il sistema più adatto per soddisfare i particolari bisogni energetici e nutrizionali degli sportivi, sia amatoriali che professionisti; z come nell’anziano, in seguito a modificazioni fisiologiche quali il rallentamento del metabolismo basale, la diminuzione della muscolatura scheletrica e una ridotta attività fisica, sia necessario un intervento nutrizionale adeguato unitamente a un corretto programma di esercizio fisico al fine di mantenere un buono stato di benessere sia fisico che cognitivo e psichico; z come un’alimentazione equilibrata e corretta, affiancata a un valido e continuo programma motorio, sia un’efficace misura da adottare nella cura di patologie croniche (diabete mellito di tipo 1), nella riabilitazione del paziente affetto da patologia cardiovascolare e nel paziente oncologico. Struttura del corso z Alimentazione nell’adulto sportivo sano (Mara Oliveri, Anna Gerbaldo) z Alimentazione ed esercizio fisico: raccomandazioni per l’anziano (Matteo Vandoni, Silvia Maffoni) z Esercizio e nutrizione nella riabilitazione della patologia cardiovascolare (Pietro Mariano Casali, Francesca Bicocca) z Alimentazione e attività fisica nel paziente oncologico (Luca Marin, Silvia Brazzo) z Ruolo di alimentazione e sport nel diabete di tipo 1 (Francesca Bicocca) Obiettivi del corso Il presente corso si prefigge di raggiunfìgere i seguenti obiettivi: z l’obiettivo specifico di alimentare in modo continuo le conoscenze delle figure professionali che lavorano in ambito sanitario; i contenuti forniti potranno essere “trasferiti” all’utente finale, con ripercussioni in termini di “aumento di competenze” della comunità in cui si è chiamati ad agire; z l’obiettivo più generale di contribuire al mantenimento e rafforzamento del network comunicativo con le varie figure professionali in un percorso verso l’implementazione e lo sviluppo delle loro competenze individuali in ambito preventivo, che potrà avere importanti ripercussioni “a cascata” in termini di “guadagno di salute” di tutta la popolazione. Modalità di somministrazione del corso e accreditamento ECM In ogni numero di Professione Salute a partire dal n. 1/2016 e per tutto il 2016 (gennaio-dicembre) sarà pubblicato un modulo composto da un articolo e da un questionario di valutazione. Tutti i moduli pubblicati sulla Rivista saranno disponibili online su sito www.fadmedica.it, dove sarà possibile, modulo per modulo, rispondere ai questionari di valutazione. L’erogazione dei crediti ECM avverrà al superamento di tutti i questionari. Tutti gli iscritti al corso riceveranno le informazioni necessarie per l’accesso online e la compilazione dei questionari.
*Per informazioni: tel. 031.789085 e-mail: customerservice@griffineditore.it
CORSO ecm
Alimentazione ed esercizio fisico: raccomandazioni per l’anziano
A cura di Silvia Maffoni
Medico in formazione specialistica in Scienza dell’alimentazione Università degli Studi di Milano
Matteo Vandoni
Laboratorio di attività motoria adattata (Lama) Università di Pavia
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L’
età di 65 anni in Italia è frequentemente adottata come soglia per definire la popolazione anziana nonostante al giorno d’oggi sia l’età biologica dell’individuo, condizionata dal suo stato di salute e dalla sua condizione fisica, a influenzarne la definizione. L’anziano fragile possiede infatti caratteristiche ben diverse rispetto a un soggetto che ha
superato i 65 anni di età ma conserva un buono stato di salute e di autonomia. Viene definito tale infatti un soggetto di età avanzata, o molto avanzata, caratterizzato da una sindrome multidimensionale in cui vi è una ridotta resistenza a fattori stressanti dovuta al declino dei sistemi fisiologici e che è strettamente collegata ad outcome negativi nell’ambito
alimentazione e sport in diverse condizioni fisiopatologiche
della salute (ospedalizzazione, istituzionalizzazione, morte). La fragilità comporta quindi un rischio elevato di rapido deterioramento della salute e dello stato funzionale (1). La definizione più utilizzata è di Fried et al. e si basa sulla valutazione di criteri quali debolezza muscolare, perdita di peso involontaria, rallentamento del passo, spossatezza e sedentarietà. In Italia, per differenziare i soggetti anziani e di conseguenza l’intervento nutrizionale da attuare, può essere utile effettuare una valutazione del paziente tramite test specifici come il Mini Nutritional Assessment (MNA), strumento ideato per individuare i pazienti anziani già affetti o a rischio di malnutrizione, suddividendoli per grado (2). In base al punteggio ottenuto è possibile discriminare in basso, medio o alto rischio e l’intervento a cui sottoporli. Il MNA permette inoltre il monitoraggio del paziente nel tempo. Secondo l’Academy of Nutrition and Dietetics tutti i soggetti sopra ai 60 anni, e non solamente la popolazione fragile, malnutrita o malata, dovrebbero poter accedere a un’alimentazione adeguata e servizi nutrizionali appropriati. Per assicurare un invecchiamento in buona salute e minimizzare gli effetti della malattia e della disabilità sono necessarie delle raccomandazioni dietetiche flessibili e culturalmente accettabili dalla popolazione, oltre a programmi di attività fisica e di supporto adeguati (3).
le riduzione sono diverse e tra queste vi è sicuramente la riduzione della massa magra metabolicamente attiva, cioè della componente cellulare alla base del metabolismo dell’organismo, prima fra tutte rappresentata dalle cellule muscolari. Spesso la riduzione della massa “magra” va di pari passo con la riduzione dell’attività fisica spontanea o programmata, mentre frequentemente gli introiti calorici non subiscono variazioni, portando il soggetto anziano a un aumento della massa grassa; questa situazione è in parte favorita nella donna dai cambiamenti ormonali che si verificano a partire dall’instaurarsi della menopausa. Normalmente, mentre un uomo adulto con un indice di massa corporea ideale e un’altezza media di 1,70 m ha all’incirca un dispendio energetico di 2325 kcal/die, un soggetto con età superiore ai 60 anni, di pari peso e altezza, avrà un dispendio di circa 1930 kcal/die; nella popolazione femminile, prendendo come riferimento un’altezza di 1,60 m, il dispendio passerà da 1890 kcal/die a 1695 kcal/die. Carboidrati
L’alimentazione nell’anziano: fabbisogni energetici e dei principali nutrienti
Secondo i Livelli di Assunzione Raccomandata per i Nutrienti (Larn) 2014 (4), i fabbisogni stratificati per età si modificano nell’età adulta a partire dai 60 anni. Energia
Il dispendio energetico, cioè quella quantità di energia consumata ogni giorno dall’individuo durante le attività quotidiane, si riduce progressivamente con l’avanzare dell’età, e con esso le necessità di introito energetico che possiede un individuo per mantenersi sano. Le cause di ta-
Nel caso dell’assunzione specifica dei carboidrati, i Larn 2014 fanno riferimento all’obiettivo nutrizionale per la prevenzione (SDT), indicazioni di riferimento non legate alla copertura del fabbisogno biologico ma rivolte alla prevenzione. Si basano prevalentemente su dati di esposizione nella popolazione o sul parere di esperti derivati dall’interpretazione di evidenze riportate in letteratura. In questo caso si tratta di raccomandazioni qualitative con indicazioni sulla natura e la frequenza di consumo di specifici alimenti, volte a ridurre il rischio di malattia. Pertanto vengono raccomandate fonti di carboidrati a basso indice glicemico (per esempio
cereali preferibilmente integrali e non raffinati con cotture al dente, legumi e verdure), evitando tuttavia quegli alimenti a basso indice perché ricchi in grassi o fruttosio. Viene suggerito di far in modo che le calorie derivate dai carboidrati rappresentino circa il 40-60% dell’intake energetico totale. Di questi, tuttavia, è importante che gli zuccheri semplici (quindi esclusi gli amidi e la fibra) non superino il 15%. Va inoltre limitato l’uso di fruttosio come dolcificante e il consumo di bevande dolcificate con fruttosio o altri zuccheri aggiunti, soprattutto se i soggetti hanno in comorbidità intolleranza glucidica o diabete conclamato e/o sovrappeso/obesità. Proteine
Per quanto riguarda l’assunzione di proteine viene preso come riferimento l’assunzione raccomandata per la popolazione (PRI), cioè il quantitativo che copre i fabbisogni della maggior parte della popolazione. In questo caso non vi sono cambiamenti rispetto alla popolazione adulta in quanto a partire dai 18 anni, sia per i maschi che per le femmine, l’introito da raggiungere è di 0,9 g per kg di peso corporeo. Nei soggetti presi come riferimento dai Larn 2014 risulta essere pertanto di circa 63 g/die per i maschi e 54 g/die per le femmine. Le fonti alimentari da cui trarre le proteine sono rappresentate principalmente da carne e derivati, pesce, latticini e formaggi, uova, legumi. Per quanto riguarda le frequenze di conaprile 2016
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CORSO ecm
sumo si fa riferimento alle Linee guida per una sana alimentazione italiana dell’Istituto nazionale di ricerca per gli alimenti e la nutrizione (Inran) (5). La difficoltà principale nell’anziano è legata al fatto che molto spesso l’alimentazione quotidiana di tale soggetto è ripetitiva e frequentemente esclude i secondi, prevedendo pasti semplici nella preparazione, soprattutto se sono presenti problemi legati alla masticazione e alla digestione, alle possibilità economiche, alla riduzione dell’appetito. Tuttavia è importante che questo non accada in quanto mantenere un adeguato consumo di proteine per kg di peso corporeo permette di mantenere la massa magra adeguata nel tempo, contrastando l’aumento della fragilità, e consente di evitare il rallentamento dei processi di guarigione delle ferite e la riduzione dell’efficacia del sistema immunitario. Un intake proteico adeguato è fondamentale per contrastare la sarcopenia, poiché la capacità di sintetizzare proteine muscolari dopo un pasto di proteine di elevata qualità, e dopo l’esercizio fisico, rimane costante anche nell’età avanzata, anche se non va dimenticato che sia nel giovane che nell’anziano il limite massimo di proteine utilizzabile per la sintesi muscolare è di 30 g per pasto. Lipidi
Per quanto riguarda i lipidi, le raccomandazioni nel paziente adulto e nell’anziano si sovrappongono. Infatti i lipidi totali per entrambe le popolazioni devono essere compresi tra il 20% e il 35% dell’introito energetico totale; sarà più basso per i sedentari e più alto in coloro che continuano ad avere una corretta attività fisica; per stare bene è infatti fondamentale introdurre una certa quantità di grassi, evitando gli eccessi. Nella popolazione italiana spesso l’introito di grassi è eccessivo, soprattutto per quanto riguarda gli acidi grassi saturi e i trans, a discapito dei grassi insaturi. Gli alimenti contenenti grassi infatti, oltre a fornire energia apportano acidi grassi di diver16
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se tipologie tra cui i monoinsaturi (Monounsaturated Fatty Acids, MUFA) e i polinsaturi (Polyunsaturated Fatty Acids, PUFA). Tra questi ultimi distinguiamo gli acidi grassi essenziali omega-6 (acido linoleico) e omega-3 (acido linolenico), che non possono essere sintetizzati dall’organismo ma devono essere introdotti con l’alimentazione. Al giorno d’oggi l’introito di questi acidi grassi è fortemente preponderante verso gli omega-6 (fino a 20 volte superiore a quello degli omega-3), mentre il rapporto ideale consigliato dai Larn 2014 prevede un rapporto w3:w6 di 1:6. Questo sbilanciamento si verifica perché gli omega-6 sono maggiormente distribuiti in natura mentre gli omega-3 li troviamo soprattutto in alcuni oli e semi (semi di lino, noci, mandorle) e in alcuni pesci (alici, sgombro, salmone) che non vengono sempre inclusi nell’alimentazione quotidiana. Tutti gli acidi grassi polinsaturi vanno incontro facilmente a ossidazione, perdendo l’efficacia potenzialmente protettiva sull’apparato cardiovascolare soprattutto grazie all’azione che riduce colesterolo LDL e trigliceridi e che incrementa il colesterolo HDL. Inoltre, se esposti ad alte temperature, possono addirittura dar luogo alla formazione di composti dannosi e per questo motivo si consiglia sempre di non sottoporre gli alimenti citati a cotture che richiedano elevate temperature, preferendo quando
possibile il consumo a crudo. Tra i grassi monoinsaturi, anch’essi con un’azione potenzialmente benefica sul quadro del colesterolo in quanto contribuiscono alla riduzione dei livelli di HDL e all’incremento dell’HDL, troviamo l’acido oleico, prevalente nell’olio d’oliva, di cui è pertanto consigliato il consumo quotidiano come condimento esclusivo, preferibilmente a crudo. Negli alimenti ricchi di grassi di origine animale è spesso presente un quantitativo significativo, più o meno elevato, di colesterolo. Questo può, sebbene parzialmente e in maniera variabile da persona a persona, influenzare il colesterolo circolante ematico. Per questo motivo è importante limitare quei prodotti maggiormente ricchi di colesterolo tra cui prodotti lattiero-caseari grassi (formaggi, latte intero, panna, burro), le carni grasse e i loro derivati (affettati, insaccati), molluschi e crostacei (gamberi, granchio, cozze e vongole) e prodotti vegetali ricchi di grassi saturi come certi oli (olio di palma, olio di cocco). In tabella 1 sono riportati gli apporti giornalieri di riferimento dei lipidi per la popolazione italiana secondo i Larn. Vitamine e minerali
Calcio e vitamina D sono legati a numerosi benefici, ma nel caso dell’anziano il calcio è quello maggiormente legato alla prevenzione e/o
tabella 1 - apporti giornalieri di riferimento di lipidi per la popolazione italiana Acidi grassi saturi PUFA totali LC-PUFA PUFA n-6 PUFA n-3 Acidi grassi trans En: energia totale della dieta SDT: obiettivo nutrizionale per la prevenzione AI: assunzione adeguata RI: intervallo di riferimento per l’assunzione di macronutrienti Fonte: Livelli di Assunzione Raccomandata per i Nutrienti, 2014
<10% En (SDT) 250 mg (AI) 5-10% En (RI) 4-8% En (RI) 0,5-2,0% En (RI) Il meno possibile (SDT)
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al ritardo della progressione dell’osteoporosi. Secondo i Larn, l’assunzione raccomandata per la popolazione femminile a partire dai 60 anni di età diventa di 1200 mg al giorno e rimane costante per gli anni a seguire. Per quanto riguarda la popolazione maschile, tra i 60 e i 75 anni sono previsti 1000 mg al giorno, che diventano 1200 mg a partire dai 75 anni. Per quanto concerne il calcio, è risaputo che si trova soprattutto nei latticini. È importante consumarne 1-2 porzioni al giorno sotto forma di latticini magri (latte scremato o parzialmente scremato, yogurt magro), mentre va limitato il consumo di formaggi in quanto spesso ricchi di sodio e grassi. Non bisogna dimenticare che una delle fonti di calcio più facilmente assimilabile è rappresentata dall’acqua ricca in calcio, che può contenerne fino a 400 mg per litro. I soggetti con problemi ai reni o di calcoli dovrebbero affidarsi al medico curante, onde evitare che ne venga introdotto in eccesso. La vitamina D può essere introdotta tramite la dieta, con alimenti o integratori ma, dato che spesso gli alimenti contenenti quantità rilevanti di vitamina D contengono anche più grassi e colesterolo e che la vitamina viene normalmente sintetizzata a livello cutaneo, è importante che all’alimentazione varia ed equilibrata sia affiancata un’esposizione quotidiana all’aria aperta e quindi alla luce del sole in ogni stagione, evitando gli orari più caldi nei mesi estivi e facendo attenzione all’idratazione.
L’omeostasi dell’osso è poi influenzata anche da minerali (magnesio, fosforo), dalle vitamine A e K, dalle proteine e dall’assetto ormonale; infatti, la riduzione degli estrogeni in menopausa è spesso il fattore scatenante la progressione di osteoporosi nelle donne che, per questo motivo, necessitano di essere seguite con un occhio di riguardo. In ogni caso la prevenzione dell’osteoporosi permette di mantener un osso sano, allontanare la fragilità ossea e potenziali fratture che possono portare a disabilità e/o allettamento prolungato con decadimento fisico e cognitivo. Per quanto riguarda vitamina B12 e acido folico, l’assunzione raccomandata per la popolazione anziana di queste due vitamine idrosolubili coincide con quella della popolazione adulta ed è sovrapponibile nei due sessi; vanno pertanto assunti 2,4 µg al giorno di vitamina B12 e 400 µg al giorno di folati. Studi in letteratura hanno riportato una correlazione tra l’età e i livelli di vitamina B12 che sembra ridursi nei soggetti più anziani, specialmente se di sesso maschile (6), mentre i folati eritrocitari sembrano essere in concentrazioni maggiori rispetto ai soggetti più giovani. Entrambe queste vitamine del gruppo B sono comunque a rischio di essere introdotte in quantità inadeguata nell’anziano, per motivi differenti, tendenzialmente legati al tipo di alimentazione e a eventuali terapie farmacologiche concomitanti. La vitamina B12 ad esem-
pio è di origine esclusivamente animale e molto spesso si riduce nell’anziano che introduce meno alimenti di origine animale, soprattutto per quanto riguarda carne e pesce; inoltre farmaci antidiabetici orali (metformina) o altri che modificano il pH gastrico inducendo un’alterazione dell’assorbimento possono contribuire a un eventuale sviluppo di deficit. Allo stesso modo, l’intake dei folati può essere ridotto a causa dello scarso consumo di verdura e frutta fresche, e soprattutto di verdura a foglia verde e crucifere. Farmaci antitumorali specifici (metotrexate) possono interferire con il loro metabolismo riducendone la concentrazione. Le complicanze legate a un deficit di queste vitamine includono anemia macrocitica e disturbi neurologici a carico del sistema nervoso sensoriale e motorio. Negli Stati Uniti molti prodotti di uso comune sono fortificati con queste vitamine, mentre in Italia la fortificazione coinvolge solo gruppi selezionati di cibi (tra cui ad esempio i cereali da prima colazione). Variare l’alimentazione e affidarsi al proprio medico per controlli annuali delle concentrazioni ematiche rappresenta un buon metodo di difesa da tali carenze in quanto ridotti livelli possono sovrapporsi al declino fisiologico dell’attività cognitiva, aggravandolo o accelerandolo senza che siano presi provvedimenti efficaci. Fibra
Molto spesso l’intake di fibra nell’anziano è inferiore rispetto ai livelli raccomandati. Secondo le linee guida nazionali negli adulti (Larn 2014), senza distinzione di età e sesso, è indicato consumare tra i 12,6 e 16,7 g di fibra alimentare ogni 1000 kcal introdotte con la dieta, sebbene venga sottolineato di assumere comunque almeno 25 g al giorno di fibra anche in caso di apporti energetici inferiori a 2000 kcal/die. Si consiglia di preferire alimenti naturalmente ricchi in fibra alimentare quali cereali integrali, legumi, frutta e verdura che permettono oltretutto di raggiungere un adeguato intake di carboidrati, vitamine e minerali senza tuttavia ecaprile 2016
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cedere nell’introito energetico, a differenza dei cibi raffinati che sono più poveri di nutrienti e più densi di energia e potenzialmente in grado di predisporre a un maggior rischio di malnutrizione e obesità. La fibra inoltre permette di modulare l’assorbimento dei grassi e del colesterolo, di ridurre l’indice glicemico degli alimenti e favorisce la motilità intestinale. Bisogna far maggior attenzione nell’anziano fragile in quanto l’aumentato senso di sazietà indotto dagli alimenti ricchi di fibra potrebbe comportare una riduzione dell’appetito e dell’introito alimentare complessivo, inducendo un peggioramento dello stato nutrizionale del soggetto. Infine, l’introito di fibra deve essere accompagnato da un’adeguata assunzione di acqua e fluidi onde evitare che il transito intestinale, che spesso nell’anziano può essere difficoltoso a causa di una riduzione del tono e della peristalsi, ne risulti compromesso con il rischio di una subocclusione o di un occlusione intestinale vera e propria. Acqua
A partire dai 18 anni di età l’assunzione adeguata giornaliera di acqua totale non subisce modificazioni e dovrebbe essere di circa 2 litri per le femmine e 2,5 litri per i maschi, indipendentemente dall’età. Rispettare queste indicazioni permette di rimpiazzare le normali perdite quo18
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tidiane e prevenire la disidratazione. Purtroppo il quantitativo raccomandato non è sempre raggiunto, soprattutto dal paziente anziano che spesso ha una riduzione della percezione della sensazione di sete; questo può essere rischioso se il paziente è in trattamento ad esempio con farmaci diuretici oppure se presenta una glicemia scompensata in quanto entrambe queste condizioni possono indurre disidratazione aumentando la frequenza della minzione. Alcuni anziani riducono l’intake di acqua di proposito per ovviare a problemi di incontinenza. A questo si può aggiungere il fatto che i reni dei soggetti di età avanzata possono perdere in parte la capacità di concentrare le urine. In tutti questi casi è fondamentale istruire il paziente stesso e i famigliari e/o i caregiver della necessità e dell’importanza di bere nell’arco della giornata, utilizzando eventualmente strategie quali contare il numero dei bicchieri d’acqua assunti (per es. 10 bicchieri d’acqua da 200 ml) oppure utilizzare bottiglie graduate da terminare nell’arco della giornata. Per facilitare l’idratazione può essere utile affiancare alla semplice acqua il consumo di tè e tisane o di succhi di frutta e brodi, da valutarsi in base alle comorbidità del paziente stesso: è infatti da scongiurare l’eccessivo introito di zuccheri in un soggetto diabetico e/o obeso così come è da controllare l’intake di sodio nel paziente iperteso.
Uno degli obiettivi per la salvaguardia della salute pubblica è quello di individuare una strategia per prevenire gli effetti avversi dell’invecchiamento attraverso la promozione di uno stile di vita attivo e specifici programmi di attività fisica. Infatti, per chi è avanti negli anni l’esercizio fisico può rivelarsi uno dei migliori strumenti a disposizione per allontanare da sé lo spettro di malattie croniche e disabilitanti, per garantirsi un’autonomia funzionale e per assicurarsi la permanenza nella propria comunità di riferimento, fattori questi che costituiscono alcuni tra gli elementi fondamentali per mantenere intatta la qualità della vita (7). Le evidenze correnti hanno stabilito che gli anziani riescono a trarre benefici e fornire risposte efficaci sia ad allenamenti di forza sia ad allenamento aerobico (7). L’allenamento aerobico può aiutare a mantenere e migliorare vari aspetti della funzionalità cardiaca (8) e polmonare, aumentando nel contempo le capacità di resistenza. L’allenamento contro resistenza (forza), invece, contrasta la perdita di massa muscolare, che si verifica tipicamente durante l’invecchiamento, migliorando in generale le capacità funzionali. Inoltre, nell’anziano che si allena regolarmente, si assiste a una riduzione dei fattori di rischio associati a diabete, osteoporosi (miglioramento della salute ossea dovuta a una preservazione della densità minerale con riduzione del numero di cadute e fratture) (9), favorendo lo stato generale di salute e aumentando l’aspettativa di vita. Sistema cardiovascolare: effetti dell’allenamento aerobico
Tra gli effetti dell’invecchiamento sul sistema cardiovascolare vi è una riduzione del massimo consumo di ossigeno (VO2max), l’indicatore più utilizzato sulle capacità cardiache globali e massimali. Infatti, numerose ricerche indicano che il VO2max diminuisce di circa il 15% per decade iniziando dai 25-30 anni a causa, princi-
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palmente, delle riduzioni della gittata massima cardiaca e del ridotto scambio di ossigeno arterovenoso. La frequenza massima cardiaca, invece, diminuisce da 6 a 10 battiti al minuto per decade ed è responsabile della gittata cardiaca. In aggiunta alla ridotta capacità di utilizzo di ossigeno, questi meccanismi riducono anche la funzionalità della muscolatura scheletrica. La pressione sanguigna e le resistenze periferiche, a parità di lavoro assoluto e relativo e di intensità d’esercizio, sono più elevate nei soggetti anziani rispetto ai giovani. Per quanto riguarda gli effetti dell’allenamento aerobico, dalle ricerche degli ultimi dieci anni si è evinto che le persone più anziane possono adattarsi a un programma di allenamento in maniera efficace come le persone giovani. Infatti, il soggetto anziano può raggiungere gli stessi guadagni di VO2max (dal 10 al 30%) in risposta a un allenamento aerobico e le dimensioni dei guadagni seguono lo stesso andamento dei giovani: maggiore è l’intensità, maggiori sono i guadagni. In aggiunta, il miglioramento graduale in seguito a esercizi di intensità moderata permette di sopportare carichi di intensità maggiore. Questi concetti si ritrovano nelle raccomandazioni circa l’intensità d’esercizio dell’American College of Sport and Medicine (10), che prevedono un intensità variabile dal 55-65 fino al 90% della massima frequenza cardiaca. Per quanto riguarda la durata degli allenamenti, le raccomandazioni prevedono durate variabili dai 20 ai 60 minuti per almeno 3-5 volte a settimana. Chiaramente vi è una grande discrepanza tra i valori sia di intensità che di durata e frequenza e questo è dovuto al fatto che le raccomandazioni possono essere adattate a individui sedentari e più fragili come ad anziani attivi e allenati. Nella programmazione dell’allenamento di un anziano andrà quindi valutato in maniera scrupolosa il grado di allenamento e la possibile compresenza di fattori di rischio per l’esercizio. Sarà poi di fondamentale importanza
il controllo attento dell’intensità tramite il calcolo delle corrette frequenze cardiache e l’utilizzo del cardiofrequenzimetro. I miglioramenti di salute associati con i fattori di rischio per le patologie cardiovascolari includono la modificazione positiva del profilo lipidico (lievi incrementi di HDL; riduzioni più marcate del colesterolo LDL, trigliceridi e colesterolo totale), della pressione arteriosa (assesta su valori inferiori la pressione sanguigna a riposo anche in soggetti anziani con ipertensione cronica) e della composizione corporea (11).
arrivando al 15% per decade fino ai 70 anni e a circa il 30% successivamente. A fronte di adeguati stimoli derivanti dall’allenamento, gli anziani possono conseguire notevoli guadagni di forza. Un incremento di 2-3 volte il livello di forza può essere raggiunto con un allenamento di almeno 3-4 mesi. Grazie ad allenamenti più duraturi (dai 6 mesi in poi) è possibile apprezzare anche un incremento dei volumi muscolari (12). Poiché la sarcopenia e la perdita di forza sono molto diffuse nella popolazione anziana,
Apparato muscolo scheletrico: effetti dell’allenamento di forza
La sarcopenia (perdita di massa muscolare) è un effetto ben documentato nell’invecchiamento. Le conseguenze della sarcopenia possono essere molteplici e andare dalla maggior possibilità di cadere e riportare fratture fino al rallentamento del metabolismo, alla scarsa regolazione glucidica e alla graduale perdita di autonomia nelle attività quotidiane. L’eziologia di tale patologia è da ricercarsi nello scarso utilizzo della muscolatura che provoca atrofia, per cui la riduzione della forza muscolare è direttamente associata alla perdita della massa muscolare. La sedentarietà, inoltre, contribuisce a un riallineamento neuromuscolare (modificazione delle unità motorie e dell’innervazione delle fibre), a una riduzione dei processi di crescita e una modificazione nel turnover proteico. Più in generale, però, la perdita di volume muscolare deriva da una graduale diminuzione sia della grandezza che del numero delle fibre muscolari. Arrivati all’età di 50 anni si è perso il 10% di volume muscolare, dopo di che questo processo accelera in maniera significativa,
è importante pianificare strategie per preservare e incrementare la massa muscolare negli anziani. Una prevenzione mirata può migliorare i livelli di attività fisica sia in anziani sani e indipendenti che in uomini e donne più fragili. In definitiva, l’allenamento di forza, oltre ai possibili effetti sull’azione dell’insulina, sulla densità minerale ossea, sul metabolismo energetico e sulle capacità funzionali, è anche un mezzo efficace per aumentare il livello di attività fisica negli anziani. Cambiamenti nella composizione corporea dell’anziano
Il processo di invecchiamento è associato a cambiamenti significativi della composizione corporea, della distribuzione del grasso e del aprile 2016
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metabolismo di base. In particolare, nell’anziano si osserva una diminuzione della quantità di massa magra e un aumento del tessuto adiposo. È riportato come la perdita di massa magra nell’uomo avvenga in misura preponderante tra i 40 e i 60 anni, mentre nelle donne questa diminuzione è più marcata dopo i 60 anni (11, 12). La preservazione della composizione corporea può avvenire tramite una combinazione sia di allenamento aerobico che di forza, in grado di ridurre la percentuale di massa grassa nonostante minime variazioni ponderali (effetto di preservazione e di incremento della massa muscolare) (11,12). Quando, poi, la perdita di adipe si concentra nella zona addominale, in particolare negli uomini, vi è una riduzione significativa del rischio di eventi cardiovascolari e un miglioramento dell’insulino-sensibilità che caratterizza il diabete o le fasi che lo precedono. Conclusioni
In sintesi, se l’invecchiamento e i suoi effetti sono un fenomeno inevitabile e in continua ascesa, l’abitudine a un’attività fisica regolare deve essere promossa precocemente e senza remore viste le potenzialità concrete di preservazione di salute e autonomia di vita. È altre-
sì chiaro che solo personale competente (quali i laureati in Scienze Motorie e ISEF) è in grado di stabilire le giuste tipologie di esercizio, la durata e l’intensità delle attività, i corretti recuperi e appropriate valutazioni funzionali atte a eseguire in sicurezza i programmi finalizzati alla salute degli anziani. n
Bibliografia 1. Linee-Guida sull’Utilizzazione della Valutazione
Multidimensionale per l’Anziano Fragile nella Rete dei Servizi. Progetto Finalizzato del Ministero della Sanità ICS 110.1 RF 98.98.
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nutritional status of the elderly:The Mini Nutritional Assessment as part of the geriatric evaluation. Nutr Rev. 1996 Jan;54(1 Pt 2):S59-65.
questionario di valutazione 1. La nutrizione nel soggetto anziano: a) è standardizzata in tutti i soggetti che abbiano compiuto 65 anni di età, salvo alcune differenze riferibili al sesso b) viene personalizzata dal medico specialista con il supporto di test specifici c) è sovrapponibile a qualsiasi altro intervento nutrizionale nella popolazione adulta sana d) non è necessario che tenga conto di patologie, purché non interessino il tratto gastro-intestinale 2. Il Mini Nutritional Assessment (MNA): a) è uno strumento ideato per dividere i soggetti anziani in sani e malati b) viene utilizzato solo nella popolazione anziana sana per conoscerne le abitudini alimentari
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c) viene utilizzato solo nella popolazione anziana malata, per conoscerne le abitudini alimentari d) è uno strumento ideato per individuare i pazienti anziani già affetti o a rischio di malnutrizione e suddividerli per grado 3. Il dispendio energetico nell’individuo anziano: a) aumenta fisiologicamente e progressivamente con l’aumentare dell’età b) si riduce progressivamente, sebbene la composizione corporea subisca modificazioni c) si riduce progressivamente, spesso contemporaneamente alla modificazione della composizione corporea, rappresentata principalmente da un aumento della massa grassa a discapito della massa magra d) è indipendente dall’attività fisica
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4. L’introito di proteine nel soggetto anziano: a) deve essere ridotto rispetto al fabbisogno del soggetto adulto in seguito al rischio di sovraccarico renale b) è indipendente dal peso corporeo, in quanto ogni anziano deve introdurre una quantità costante corrispondente a 30 g di proteine al giorno c) non è necessario calcolarlo all’interno del piano nutrizionale in quanto la sintesi proteica è severamente ridotta d) in Italia è regolamentato dai Larn, che raccomandano un’assunzione quotidiana pari a 0.9 g per kg di peso
con l’avanzare dell’età e dovrebbe essere pertanto di circa 2 litri per le femmine e 2,5 litri per i maschi
5. Quale delle seguenti affermazioni riferite ai lipidi è corretta? a) Con l’avanzare dell’età devono raggiungere almeno il 50% dell’introito energetico totale b) Con l’avanzare dell’età non devono superare il 20% dell’introito energetico totale c) L’introito energetico derivante da essi deve rappresentare dal 20 al 35% dell’introito totale, indipendentemente dalla tipologia di acidi grassi d) L’introito energetico derivante da essi deve rappresentare dal 20 al 35% e di questi meno del 10% deve essere rappresentato da acidi grassi saturi
10. Quali sono i principali effetti dell’allenamento aerobico? a) Miglioramento di capacità cardiovascolari e potenza muscolare b) Miglioramento di capacità cardiovascolari e polmonari c) Miglioramento di capacità cardiovascolari e polmonari e resistenza d) Miglioramento di capacità cardiovascolari e polmonari e flessibilità
6. Per quanto riguarda i micronutrienti nella popolazione anziana, quale delle seguenti affermazioni è corretta? a) Sebbene il calcio venga introdotto in maniera insufficiente con l’alimentazione, non vi è rischio di compromissione dello stato osseo se questo si è già consolidato negli anni precedenti b) La vitamina D non può essere introdotta con gli alimenti, ma solo sintetizzata per via cutanea c) La vitamina B12, essendo di origine esclusivamente animale, molto spesso si riduce nell’anziano che introduce meno derivati animali. d) L’acido folico, essendo di origine esclusivamente animale, molto spesso si riduce nell’anziano che introduce meno derivati animali. 7. Con riferimento all’assunzione di fibra nell’anziano, quale affermazione è corretta? a) Deve essere inferiore a 25 g/die onde evitare, a seguito del ridotto introito idrico, fenomeni di subocclusione intestinale. b) Le linee guida nazionali indicano come adeguato un consumo negli adulti, senza distinzione di età e sesso, tra i 12.6 e 16.7 g ogni 1000 kcal introdotte con la dieta c) Favorisce l’assorbimento di macro e micro nutrienti d) Aumenta l’indice glicemico degli alimenti, pertanto è sconsigliabile in pazienti con intolleranza glucidica 8. L’introito idrico nella popolazione anziana sana: a) non deve superare 1 litro/giorno per evitare sovraccarico cardiovascolare b) può essere completamente costituito da bevande zuccherate e succhi di frutta aumentando così anche l’introito energetico e di zuccheri, spesso scarsamente presenti nell’alimentazione dell’anziano c) deve essere uguale nella popolazione maschile e femminile d) non subisce modificazioni dal punto di vista quantitativo giornaliero
9. Le evidenze correnti hanno stabilito che gli anziani riescono a trarre benefici da: a) allenamenti aerobici e di flessibilità b) allenamenti di flessibilità c) allenamenti di forza d) allenamenti aerobici e di forza
11. Quali sono i principali effetti dell’allenamento di forza? a) Miglioramento di capacità cardiovascolari e potenza muscolare b) Miglioramento di capacità polmonari e funzionali c) Miglioramento di apparato muscolare e capacità funzionali d) Miglioramento di apparato muscolare e cardiovascolare 12. Qual è il limite superiore di massima frequenza cardiaca secondo le linee guida dell’American College of Sport and Medicine? a) 70% b) 80% c) 90% d) 75% 13. Per quanto riguarda la durata degli allenamenti, le raccomandazioni prevedono: a) dai 40 ai 60 minuti per almeno 2 volte a settimana b) dai 20 ai 60 minuti, 3-5 volte a settimana c) dai 30 ai 60 minuti 4 volte a settimana d) almeno 30 minuti tutti i giorni 14. Che percentuale di volume muscolare si perde per decade oltre i 70 anni? a) 50% b) 30% c) 15% d) 10% 15. A fronte di un allenamento adeguato, quale può essere il guadagno di forza conseguibile in 3-4 mesi? a) 1,5 volte il valore iniziale b) 2-3 volte il valore iniziale c) 2 volte il valore iniziale d) 0,5 volte il valore iniziale
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Alimentazione e supplementazione in gravidanza Il raggiungimento di uno stato nutrizionale ottimale durante la gravidanza è fondamentale per la salute materna e del nascituro. L’aumento della richiesta calorica deve essere soddisfatto da una dieta varia ed equilibrata e di alcuni nutrienti è fortemente consigliabile la supplementazione
Hellas Cena
Dipartimento di Sanità Pubblica, Medicina Sperimentale e Forense Unità di Scienza dell’Alimentazione Università degli Studi di Pavia
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L
a gravidanza è quello straordinario periodo della vita della donna caratterizzato da modificazioni fisiologiche a carico del suo corpo che promuovono e favoriscono l’adattamento all’accoglienza, sviluppo e crescita del nuovo essere. In gravidanza vi è un aumento della richiesta calorica giornaliera dovuta ad un aumento del dispendio energetico attribuibile all’incremento del metabolismo basale, a sua volta causato dallo sviluppo del feto e della placenta, dall’aumento delle dimensioni degli organi interni della madre, dall’aumento del lavoro respiratorio e cardiovascolare. Qualitativamente le scelte alimentari devono prevedere un’attenzione particolare rispetto all’introito di proteine, al tipo di grassi assunti nonché all’apporto di vitamine e minerali. In gravidanza è necessario un particolare ri-
guardo nei confronti dell’assunzione di calcio, ferro, folati, vitamine del gruppo B, acidi grassi omega-3. La corretta prevenzione nutrizionale
Una corretta “prevenzione nutrizionale”, da raccomandare a tutte le donne in età fertile che programmano una gravidanza, a coloro che non la escludono e a quelle che non usano metodi contraccettivi efficaci, deve includere la promozione di un’alimentazione equilibrata e varia, ricca di verdura e frutta, alimenti ad alto contenuto di folati e un’adeguata supplementazione di acido folico (AF) da iniziare almeno un mese prima del concepimento e continuare per tutta la gravidanza. L’acido folico non è efficace nel prevenire l’insorgenza di difetti di sviluppo del tubo neurale se il trattamento viene iniziato dopo la quarta settimana
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compensato dall’interruzione del flusso mestruale e dall’aumento della capacità di assorbimento intestinale di ferro, non riesce a essere soddisfatto dalla sola dieta. Molto interessanti sono le ultime ricerche riguardo l’azione protettiva degli omega-3 sul prodotto del concepimento, non solo come aiuto fin dai primi giorni durante la formazione del tessuto nervoso ma anche come protezione della durata della gravidanza stessa ed evidente ridotta prevalenza di allergie nei neonati. Mantenere l’intestino in salute
di gravidanza. Il ministero della Salute sottolinea l’efficacia dell’integrazione di acido folico e ne supporta la somministrazione. Anche la vitamina B12 è coinvolta nello sviluppo dei difetti del tubo neurale nonché nella crescita e nello sviluppo cognitivo e motorio. Pertanto in target specifici di popolazione in cui c’è un consumo insufficiente, per esempio nelle donne vegane oppure in presenza di difetti dell’assorbimento, è bene integrarla con supplementazioni specifiche. Più a lungo la madre è stata una vegana, maggiore sarà la probabilità di avere concentrazioni basse di cobalamina nel siero e nel latte che correlano strettamente con insufficienza della cobalamina nell’infante, la quale si può ripercuotere sulle attività cognitive. Anche la supplementazione di ferro in gravidanza può rendersi necessaria dato che l’aumentato fabbisogno, nonostante sia in parte
Oltre ai nutrienti che possono essere assunti in parte con la dieta e supplementati con integratori specifici, altri nutraceutici vengono promossi durante la gravidanza come coadiuvanti di disturbi collaterali quali la stipsi, che è stato stimato possa riguardare una gestante su tre. Adeguati apporti di acqua e fibre grazie a un’alimentazione ricca di vegetali o, in alternativa, con fibre solubili come il glucomannano ad alta viscosità e con prebiotici come il Lattulosio possono essere utili ed evitare l’uso di lassativi da contatto controindicati in gravidanza. Infine, sempre a livello intestinale, sarà importante anche mantenere un ottimale microbiota. Infatti il nascituro viene al mondo con l’intestino pressoché sterile e, durante il parto naturale, ingoia i batteri presenti nel canale del parto alla nascita. Quella sarà la prima colonizzazione del suo intestino che è uno degli eventi immunologici più importanti per il neonato, che potrà condizionare, nel bene o nel male, la sua futura salute di bambino e adulto. Nelle ultime 6-8 settimane di gravidanza assumere probiotici, come alcuni ceppi selezionati di Lactobacilli e Bifidobatteri, e prebiotici, come i FOS (fruttooligosaccaridi) e alcuni polimeri come l’inulina e particolari amidi, che giungono indigeriti nell’ultimo tratto dell’intestino e sono utilizzati come nutrimento dalla flora batterica, può essere molto utile. Questo, infatti, consentirà alla futura mamma di arrivare al parto in uno stato di eubiosi, che potrà incidere positivamente sulla salute del nascituro. n aprile 2016
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L’infezione del batterio, che colpisce in Italia tra il 30 e il 50% della popolazione adulta ed è responsabile di 9 ulcere su 10, secondo l’Oms provocherebbe il 78% di tutti i tumori gastrici. Per combatterlo sono in arrivo nel nostro Paese importanti novità farmacologiche
Helicobacter pylori, l’eradicazione riduce il rischio di tumori gastrici
L’
Helicobacter pylori è un batterio Gram negativo a forma di spirale capace di colonizzare la mucosa dello stomaco e del duodeno, innescando una reazione infiammatoria che determina la gastrite cronica superficiale o atrofica. Tale microrganismo riesce a sopravvivere nell’ambiente acido dello stomaco (pH 1-2), danneggiandone le cellule, grazie all’attività dell’ureasi che produce ammoniaca, in grado di neutralizzare l’acido e ridurre l’attività battericida delle cellule immunitarie. L’infezione che si scatena è il fattore eziologico primario dell’ulcera peptica, duodenale e gastrica, patologie che si manifestano sotto forma di irritazione, piaghe o come un vero
e proprio foro che si forma nella mucosa producendo un dolore intenso, soprattutto a stomaco vuoto. Si calcola complessivamente che nove ulcere su dieci siano causate proprio dall’H. pylori, il quale sarebbe presente nella metà della popolazione mondiale.
di Vincenzo Marra
Modalità di trasmissione e sintomi dell’infezione
A proposito dei meccanismi di trasmissione del batterio permane incertezza, anche se le modalità orale o oro-fecale appaiono essere quelle maggiormente probabili. Ulteriori possibilità di contagio potrebbero avvenire per contatto con acque o con strumenti endoscopici contaminati, seppure non vi siano dati certi al riguardo. aprile 2016
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h. pylori causa dell’ulcera: la scoperta Durante il ventesimo secolo la comunità scientifica riteneva che l’ulcera fosse provocata in prevalenza dallo stress, dall’assunzione di cibi acidi o molto piccanti e da un regime alimentare scorretto. Le cure si traducevano quasi esclusivamente in condizioni di assoluto riposo, nella prescrizione di una dieta “leggera” e di farmaci per alleviare la sintomatologia. A partire dai primi anni Ottanta, però, iniziò a instillarsi tra i ricercatori un’ipotesi del tutto diversa, secondo cui, cioè, l’origine dell’ulcera potesse essere addebitabile a un processo infettivo. Esattamente nel 1982, infatti, i due ricercatori australiani Robin Warren e Barry Marshall isolarono il batterio Helicobacter pylori, il quale sembrava essere la causa d’insorgenza dell’ulcera gastrica e duodenale. Il primo a comprendere il ruolo di responsabilità del batterio nella comparsa dei disturbi fu il patologo Warren, attraverso la constatazione che in quasi la metà dei pazienti sottoposti a biopsie si evidenziava la presenza di colonie batteriche nella parte infe-
riore dello stomaco, con il focolaio d’infiammazione che insisteva proprio nel punto in cui erano presenti gli H. pylori. Il giovane collega Marshall arrivò a provare su se stesso gli effetti dell’H. pylori, e insieme a Warren osservò che nonostante i sintomi dell’ulcera peptica potessere essere alleviati mediante l’inibizione della produzione di acidi gastrici, molto spesso i fastidi si ripresentavano, poiché l’infiammazione cronica dello stomaco dovuta ai batteri rimaneva intatta. Dedussero quindi che solo attuando una cura antibiotica sarebbe stato possibile combattere l’infiammazione causata dal batterio, dimostrando definitivamente, a dispetto della diffidenza e dello scetticismo del mondo scientifico, che a provocare gastriti e ulcere fosse un’infezione. Risale al 1996 l’approvazione da parte della Food and Drug Administration del primo trattamento antibiotico specifico, mentre nel 2005 Marshall e Warren vennero insigniti del premio Nobel per la medicina proprio grazie alla scoperta dell’H. pylori.
Poiché si sa ancora molto poco sulle modalità di trasmissione di H. pylori, anche le misure preventive disponibili sono esigue. In generale, si raccomanda comunque di lavarsi bene le mani, mangiare cibo adeguatamente cucinato e bere acqua sicura. Generalmente l’infezione acuta da H. pylori può provocare nausea o vomito di breve durata, mentre l’infezione cronica può restare, nella maggioranza dei casi, asintomatica oppure presentare i tipici sintomi dell’ulcera: bruciore, dolore gastrico, difficoltà di digestione. La gastrite causata dall’infezione, stimolando la secrezione acida all’interno dello stomaco, può scatenare, a sua volta, ulcera gastrica o duodenale. Il sintomo più comune dell’ulcera gastroduodenale è un bruciore misto a dolore avvertito nella parte superiore dell’addome (epigastrio), soprattutto lontano dai pasti e di primo mattino, anche se può manifestarsi in qualsiasi momento della giornata, e durare da pochi minuti fino ad alcune ore. Più raramente 26
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possono presentarsi sintomi quali nausea, vomito e perdita di appetito; talvolta, poi, l’ulcera può sanguinare e indurre anemia. L’infezione da H. pylori porta con sé rischi estremamente seri per la salute: nel lungo termine, infatti, è associata a un aumento pari a 2-6 volte del rischio di incorrere nel linfoma MALT (tessuto linfoide associato alle mucose) e nel carcinoma gastrico, la terza forma di cancro più comune nel mondo dopo quelli al seno e al polmone. Per tali specifiche ragioni, il batterio rientra nel primo gruppo della classifica degli agenti cancerogeni stilata dalla World Health Organization, secondo cui, inoltre, il 78% di tutti i casi di tumore gastrico è attribuibile all’infezione da H. pylori. Come avviene la diagnosi
La diagnosi dell’infezione da H. pylori può avvenire mediante diversi metodi, invasivi e non, a seconda delle specifiche condizioni del paziente. Test sierologici: consistono nella ricerca sanguigna di anticorpi IgG specificamente diretti contro H. pylori (sensibilità e specificità 8095%, a seconda del kit utilizzato). Breath test (test del respiro): dopo aver somministrato al paziente dell’urea marcata radioattivamente si misura la quantità di anidride carbonica emessa con l’espirazione; questo gas costituisce infatti il prodotto metabolico del batterio in presenza di urea (sensibilità e specificità 94-98%). Test di ricerca dell’antigene fecale: consente di individuare la presenza del batterio attraverso il controllo degli antigeni nelle feci. Endoscopia: durante l’esame vengono prelevati campioni (biopsie) della mucosa dello stomaco e del duodeno, analizzati poi al microscopio alla ricerca del batterio. Questo esame è considerato lo standard ottimale per la diagnosi dell’ulcera. Opzioni terapeutiche
Il trattamento dell’H. pylori consiste in una terapia di 1-2 settimane con una combinazione di antibiotici in associazione con un inibitore di
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pompa protonica (PPI) o con antagonisti dell’istamina (H2), i quali contribuiscono ad alleviare i sintomi dell’ulcera e a curare l’infiammazione della mucosa gastrica. Esistono diversi tipi di terapie. La triplice terapia che comprende PPI, claritromicina e amoxicillina o metronidazolo, proposta alla prima conferenza di Maastricht, è il trattamento standard. La terapia sequenziale è una cura di dieci giorni che si compone di un periodo di cinque giorni con amoxicillina e PPI, seguito da un periodo di cinque giorni con PPI più claritromicina e metronidazolo (o tinidazolo), mentre la terapia concomitante è una cura quadruplice non a base di bismuto che prevede l’utilizzo di PPI e tre antibiotici. Infine, c’è la possibilità di ricorrere alla terapia quadruplice a base di bismuto, metronidazolo e tetraciclina più un PPI per sette-dieci giorni. Ovviamente per contrastare il fenomeno dell’antibiotico-resistenza è opportuno fare molta attenzione nella scelta di uno di questi trattamenti. Infezione da H. pylori: le novità farmacologiche
Durante il 22° Congresso nazionale delle malattie digestive tenutosi a Napoli lo scorso febbraio, è stato reso noto l’arrivo anche in Italia di un nuovo farmaco per l’eradicazione dell’Helicobacter pylori. Si tratta di Pylera (Allergan), una capsula a tripla combinazione fissa che contiene tre sostanze: bismuto subcitrato potassio,
metronidazolo e tetraciclina cloridrato da assumere dopo i pasti in associazione con omeprazolo. L’azione precisa del bismuto nel trattamento delle infezioni da H. pylori è ancora sconosciuta. Sembra che il meccanismo includa: inibizione della sintesi proteica e della parete cellulare, tossicità diretta sulla funzionalità della membrana, sintesi ATP e prevenzione della cito-aderenza dell’H. pylori alla superficie delle cellule epiteliali. Il meccanismo di azione antimicrobico del metronidazolo dipende dalla produzione di radicali che danneggiano il Dna dei batteri, provocando un processo di morte cellulare. La tetraciclina interferisce con la sintesi proteica. «Questa nuova formulazione fa sì che sia di nuovo disponibile in Italia la cosiddetta quadruplice terapia basata sul bismuto, la cura più efficace nel trattamento sia di prima linea che di pazienti che non hanno risposto a precedenti terapie – afferma il professor Franco Bazzoli, ordinario di gastroenterologia presso l’università di Bologna. Inoltre, la nuova combinazione ha il vantaggio di una somministrazione molto più pratica, grazie al fatto che i tre farmaci sono contenuti in una singola capsula. Una caratteristica fondamentale per il paziente, poiché si riflette in maggiore semplicità di assunzione e quindi in una migliore aderenza al trattamento. Pylera, in combinazione con omeprazolo – conclude Bazzoli – si è già dimostrata altamente efficace nell’eradicazione dell’H. pylori». n
approfondimenti A onor del vero, la scoperta dell’Helicobacter pylori da più fonti è attribuita al medico italiano Giulio Bizzozero (1846-1901), patologo presso l’università di Torino, che nel 1892 si imbattè nei tipici batteri spiraliformi osservandoli all’interno dello stomaco di un animale, ma la scoperta non venne considerata di rilevanza e pertanto trascurata.
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Ipotiroidismo, terapia liquida azzera i tempi di attesa La novità è nella formulazione liquida del farmaco di riferimento per la cura dell’ipotiroidismo. Da oggi la levotiroxina liquida può essere assunta contemporaneamente alla colazione e messa anche direttamente nella spremuta, nel cappuccino o nel caffè, favorendo l’aderenza terapeutica senza pregiudicarne l’efficacia
È
una piccola rivoluzione ma potrà migliorare la vita di quattro milioni di italiani: coloro che soffrono di ipotiroidismo. Non si tratta neppure di un nuovo farmaco ma della nuova formulazione di uno già esistente, la levotiroxina, che è estremamente efficace ma finora costringeva il paziente ad alzarsi da mezz’ora a un’ora prima di fare colazione. Infatti, le formulazioni in compresse devono dissolversi a livello gastrico per poter essere assorbite dall’intestino, entrare in circolo e raggiungere gli organi interessati. Questo processo è complesso ed estremamente delicato e può essere influenzato da diversi fattori, in primo luogo dal cibo e dagli altri farmaci che alterano la quantità di principio attivo che si riversa nel
torrente circolatorio; inoltre le tempistiche dell’assorbimento influiscono sensibilmente sulla risposta clinica del paziente. La novità del giorno è rappresentata da tre studi scientifici, tutti italiani, che dimostrano come la levotiroxina in formulazione liquida possa cambiare drasticamente questo scenario: il farmaco può essere assunto senza perdere di efficacia subito prima o anche durante la colazione.
di Renato Torlaschi
Levotiroxina liquida: tre studi ne indagano l’efficacia
La levotiroxina sodica (L-T4) è una sostanza praticamente identica all’ormone tiroideo naturale e, grazie all’azione delle desiodasi, viene trasformata nell’ormone attivo, la triiodoaprile 2016
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tironina (T3); costituisce la terapia d’elezione per l’ipotiroidismo ed è uno dei farmaci più prescritti al mondo, trattandosi di una condizione estremamente diffusa. «Indubbiamente esistono condizioni ben più severe – conferma Carlo Cappelli, endocrinologo, responsabile degli Ambulatori della tiroide-endocrinologia-2° Medicina presso l’Asst degli Spedali Civili di Brescia – ma quello che la rende così rilevante è proprio la sua diffusione; sappiamo da studi epidemiologici condotti nei Paesi anglosassoni ma anche in Italia che, con maggiore o minore severità, è presente nell’8-9% della popolazione adulta, particolarmente nelle donne, e che aumenta con il trascorrere degli anni. Le conseguenze dell’ipotiroidismo non trattato non sono immediatamente catastrofiche come quelle dei diabetici privati dall’insulina, ma con il tempo si tende a produrre una perdita di brillantezza e delle prestazioni, una
la tiroide e le cause di ipotiroidismo La tiroide è una ghiandola localizzata nella parte bassa e frontale del collo. Gli ormoni rilasciati dalla tiroide viaggiano nel flusso sanguigno e influiscono praticamente su ogni parte del corpo, dal cuore al cervello, dai muscoli alla pelle. La tiroide controlla il modo con cui le cellule usano l’energia estratta dal cibo, in altre parole il metabolismo. Tra le altre cose ne sono implicati il controllo della temperatura, il battito cardiaco e l’efficienza nel bruciare le calorie. Se l’ormone tiroideo non è sufficiente, i processi dell’organismo rallentano. La causa più comune di ipotiroidismo è la cosiddetta tiroidite cronica di Hashimoto, un processo infiammatorio autoimmune caratterizzato da una cronica infiltrazione linfocitaria: spesso silente, porta in molti casi a una graduale ma progressiva e irreversibile ipofunzione della tiroide. Altre cause comuni di ipoitiroidismo possono essere le seguenti. Radioterapia nell’area del collo. Indicata per il trattamento di certi tumori, in particolare linfomi, può danneggiare le cellule della tiroide rendendo difficoltosa la produzione degli ormoni.
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Trattamento con iodio radioattivo. È comunemente prescritto a pazienti con una tiroide iperattiva, ma la radiazione distrugge le cellule della ghiandola tiroidea portando al problema opposto. Terapie farmacologiche. Alcune medicine indicate per trattare problemi cardiaci, condizioni psichiatriche e tumori (per esempio l’amiodarone, il litio, l’interferone alfa, l’interleuchina 2) possono influire sulla produzione degli ormoni tiroidei. Chirurgia alla tiroide. Interventi di rimozione della tiroide portano inevitabilmente a ipotiroidismo, ma se viene rimossa solo una parte della ghiandola, quella che rimane può essere in grado di produrre abbastanza ormoni per i bisogni dell’organismo. Poco iodio nella dieta. Per la sua produzione ormonale, la tiroide ha bisogno di iodio. Il corpo non lo produce e lo si assume con il cibo. Oltre al sale iodato, sempre più presente nelle nostre tavole, altre fonti di iodio sono i molluschi, i pesci di acqua salata, le uova, i prodotti caseari e le alghe marine.
serie di effetti piuttosto ubiquitari sull’organismo e, in alcuni soggetti, questa condizione può influire in modo decisamente sfavorevole sulla qualità della vita. Il trattamento farmacologico disponibile, la levotiroxina in compresse, funziona molto bene ma come tutte le terapie sostitutive ha l’inconveniente di dover essere assunta ogni giorno e deve dunque convivere con le normali attività quotidiane». Proprio Carlo Cappelli ha coordinato uno dei tre studi sulla levotiroxina liquida, che è stato pubblicato recentemente su Thyroid. Randomizzato, in doppio cieco controllato con placebo, il trial è stato condotto su 77 pazienti (di cui 64 donne) affetti da ipotiroidismo ma che in precedenza non avevano ancora ricevuto trattamenti; sono stati suddivisi in due gruppi per ricevere una soluzione orale di L-T4 direttamente alla colazione oppure mezz’ora prima. Ogni paziente ha completato due periodi di trattamento di sei settimane ciascuno, con diverse tempistiche di somministrazione: placebo prima di colazione e farmaco a colazione o viceversa. Alla fine di ciascun periodo sono state misurate la tiroxina libera, la triiodotironina libera e la tireotropina (TSH) e proprio la differenza dei livelli di questo ormone nel siero (tipicamente elevati nei pazienti ipotiroidei) è stata scelta come outcome primario. I pazienti trattati con il farmaco hanno raggiunto uno stato eutiroideo e non è stata osservata alcuna differenza significativa in funzione della diversa tempistica di assunzione del farmaco in nessuno dei parametri considerati. Gli autori hanno dunque concluso che la formulazione liquida di levotiroxina può essere assunta direttamente con la colazione, favorendo in questo modo l’aderenza terapeutica: osservazione particolarmente rilevante visto che proprio la mancata compliance è la più probabile causa di variabilità della concentrazione di TSH nel sangue. Un altro studio è stato condotto dal team di Efisio Puxeddu, professore all’Università di
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Perugia, e ha confermato, come dice lo stesso autore, che «la formulazione liquida di levotiroxina è in grado di superare le restrizioni di assunzione proprie della formulazione in compresse. È stata dimostrata la pari efficacia terapeutica, attraverso la misurazione della concentrazione di TSH, tra la somministrazione della levotiroxina liquida durante la colazione o dieci minuti prima di colazione». Per questa sperimentazione sono stati arruolati pazienti adulti con ipotiroidismo primitivo di qualsiasi natura in cui era indicata la terapia sostituiva con levotiroxina liquida. Nella fase iniziale dello studio, i pazienti hanno ricevuto dosi scalari di levotiroxina liquida, somministrata 30 minuti prima della colazione, fino al raggiungimento di una concentrazione di TSH entro valori normali; a questo punto, hanno iniziato un periodo di run-in di sei settimane. Al termine di questa fase, i pazienti sono stati randomizzati a due sequenze di trattamento differenti, separate da un periodo di wash-out di 6 settimane. In tutti i pazienti sono stati valutati i livelli ematici di TSH al termine di ciascun periodo di studio e l’analisi dei dati ha mostrato una concentrazione media senza differenze clinicamente e statisticamente significative e indipendenti dalla sequenza e dal periodo di trattamento. Il terzo degli studi citati è stato coordinato da Enrico Papini, responsabile scientifico dell’Associazione medici endocrinologi (Ame) e direttore della Uoc Endocrinologia e malattie del metabolismo presso l’Ospedale Regina Apostolorum ad Albano Laziale. Condotto in tre centri di riferimento per la tiroide, è stato eseguito su 101 pazienti ipotiroidei con valori stabili di TSH in corso di terapia sostitutiva e i risultati verranno presentati al prossimo congresso dell’Endocrine Society. «Il passaggio dalla tradizionale terapia in compresse alla formulazione liquida al momento della colazione – riferisce Papini – si è associato a un miglioramento della qualità di vita nella maggioranza (66%) dei casi,
secondo quanto dichiarato dagli interessati, mentre i valori medi di TSH e i principali parametri metabolici non hanno mostrato modificazioni significative. Resta ovviamente confermata, nella pratica clinica, la necessità di un ricontrollo dopo un mese del profilo tiroideo in seguito al passaggio dall’una all’altra forma di terapia». La nuova formulazione migliora il successo terapeutico
Questi risultati sono stati accolti con molto interesse dalle associazioni che vedono l’aderenza terapeutica uno dei fattori cruciali di successo del percorso di cura e per ottenerla, come afferma Paola Polano, presidente del Comitato associazione pazienti endocrini (Cape), sono essenziali l’informazione e il coinvolgimento del paziente. «È ormai evidente – sostiene Polano – che l’efficacia della cura delle patologie, e per quanto ci interessa di quelle tiroidee, non dipende soltanto dalla appropriatezza prescrittiva ma anche dal coinvolgimento del paziente nel percorso terapeutico soprattutto in presenza di una patologia cronica come l’ipotiroidismo Più la prescrizione tiene conto delle specifiche difficoltà del singolo paziente, maggiore sarà la corretta applicazione della terapia con conseguente migliore efficacia della stessa». n
approfondimenti I risultati di questi studi potrebbero mettere d’accordo endocrinologi e pazienti, come rileva un’indagine DoxaPharma, che ha intervistato pazienti, medici di medicina generale e endocrinologi. L’indagine ha messo in evidenza come l’elemento critico della terapia dell’ipotiroidismo sia proprio l’imposizione di quella pausa tra l’assunzione della levotiroxina e la colazione, che anticipa il risveglio e rallenta l’inizio della giornata. Infatti il 68% degli endocrinologi e il 43% dei medici di famiglia riceve segnalazioni da parte dei pazienti sull’insofferenza di questa modalità di assunzione.
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Prevenire le malattie già nel grembo materno con i probiotici
La somministrazione di probiotici durante la gravidanza contribuirebbe efficacemente a ridurre il rischio di allergie e di infezioni nel nascituro. Lo dimostrano ricerche lunghe e complesse, molte delle quali condotte in Italia
C’
è chi ha definito il corpo umano come un meta-organismo e in effetti è fatto anche di virus, batteri e funghi, i componenti che formano il microbioma. Adottare questa prospettiva ci può anche aiutare a migliorare la nostra salute, provando a influire sulla composizione del microbioma stesso, per
curare certe malattie e prevenirne altre. Sorprendentemente, il tutto può iniziare ancor prima della nascita quando, durante la gravidanza, è il microbioma della madre a influire in maniera determinante su quello del nascituro: un’impronta che, pur con continue modificazioni, rimarrà per tutta la vita.
di Renato Torlaschi
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Microbiota e microbioma
Susanna Esposito, direttore dell’Unità di pediatria ad alta intensità di cura del Policlinico dell’Università degli Studi di Milano e Presidente WAidid
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Iniziamo con le definizioni: il microbiota umano è l’insieme di microrganismi che vivono in simbiosi con l’organismo, per la maggior parte nel tubo digerente, mentre il termine microbioma si riferisce all’insieme del patrimonio genetico e delle interazioni ambientali della totalità di questi microrganismi: può trattarsi dell’intero organismo umano oppure di una sua parte, come l’intestino o la cute. Anche se le ricerche sul microbioma, moltiplicatesi negli ultimi anni, appaiono ancora in una fase iniziale, il concetto non è nuovo ed è stato formulato da Joshua Lederberg, genetista e microbiologo, insignito con il premio Nobel nel lontano 1958. Si stima che i microrganismi presenti nel corpo umano siano in numero dieci volte maggiore rispetto alle stesse cellule umane, a cui sono metabolicamente e immunologicamente integrati, ma forse è ancora più impressionante pensare che, nel loro insie-
me, formano una biomassa che pesa oltre un chilo e mezzo. Le specie di microrganismi identificate sono circa un migliaio e ogni essere umano ospita almeno 160 specie. La formazione del microbioma
Come spiega Susanna Esposito, direttore dell’Unità di pediatria ad alta intensità di cura del Policlinico dell’Università degli Studi di Milano e Presidente WAidid, l’Associazione mondiale per le malattie infettive e i disordini immunologici, al momento della nascita il corpo umano è sterile. Il microbioma caratteristico di ogni individuo si forma già durante la vita fetale e si completa dall’ottavo al trentaseiesimo mese di vita. Vi contribuiscono diverse fonti: il microbioma della madre, il microbioma della pelle, proveniente da madre, padre, parenti, babysitter e coloro che hanno un contatto fisico con il neonato, l’ambiente, l’alimentazione e le caratteristiche genetiche. Durante il corso della vita, l’impronta batterica, ossia l’abbondanza relativa dei gruppi batterici (phyla) di ciascun individuo, cambia: la composizione tende a essere diversa tra una persona sana e una obesa, tra una giovane e una anziana. Influiscono molto certe condizioni cliniche, ma anche i farmaci e, se gli antibiotici trasformano il bioma in senso negativo, alcuni probiotici influiscono positivamente. «Tuttavia – chiarisce Susanna Esposito – si è visto che il microbioma ha una certa resilienza e, dopo l’interferenza di farmaci o malattie transitorie, tende a ritornare com’era prima. Appare comunque accertato che il microbioma è in grado di influenzare tutta una serie di condizioni cliniche molto varie. Tra queste ci sono malattie infettive acute come può essere la diarrea acuta o infezioni sistemiche del neonato, ma anche disturbi neurologici come l’autismo, oltre alle patologie allergiche in cui pare esistere un’associazione tra determinate caratteristiche del microbioma e lo stato atopico: sono in corso numerosi studi che si
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propongono di valutare se, nei soggetti con determinate allergie, l’assunzione di probiotici possa influenzare favorevolmente in termini preventivi lo sviluppo di certe condizioni cliniche». L’impiego dei probiotici in gravidanza
Ma, come si diceva, resta il problema della resilienza e quindi dell’effetto temporaneo prodotto dall’assunzione dei probiotici. Alcuni studiosi hanno però avuto un’idea molto brillante: se il “microbioma basale” è determinato in modo così significativo da quello della madre, perché non somministrare alla partoriente ceppi di probiotici con effetto benefico sulla salute con l’intento di determinarne la presenza anche nell’intestino del neonato? Michael Schultz, dell’università tedesca di Regensburg, ha pubblicato più di dieci anni fa, con un gruppo di colleghi, uno studio pionieristico sul Journal of Pediatric Gastroenterology & Nutrition (1). Dopo una sperimentazione in cui vennero somministrate a donne incinte ceppi del probiotico Lactobacillus rhamnosus, ha affermato: «è difficile modificare in modo permanente la composizione della complessa microflora intestinale nell’adulto e batteri probiotici somministrati per via orale producono solo una colonizzazione temporanea dell’intestino». Tuttavia questo è possibile in un neonato, colonizzando la madre prima del parto: «questa colonizzazione rimane stabile per sei mesi e, in alcune circostanze ancora non chiaramente definite, può persistere fino a 24 mesi». Spesso le relazioni tra microrganismi e determinate condizioni cliniche sono molto precise e alcune sono già state individuate. «Il Bifidobacterium animalis subsp. lactis BB12 – riferisce Susanna Esposito – sembra associarsi a un’evoluzione tendenzialmente favorevole dei rischi allergici; contro le infezioni sistemiche del neonato si può considerare l’Enterococcus faecium L3; per prevenire le coliche il Lactobacillus casei R0215; invece riguardo alla digeribilità del latte, per evitare l’allergia
somministrazione di enterococcus faecium l3 nel terzo trimestre di gravidanza in donne con positività al tampone per streptococco e/o candida
Positività prima del trattamento
Positività dopo il trattamento
Candida (Albicans)
44/112
7/112
84%
Streptococco (gruppo B)
24/112
5/112
79,5%
Streptococco (gruppo D)
12/112
6/112
40%
Streptococco + Candida
20/112
0/112
100%
Gardnerella + Candida
14/112
0/112
100%
Ceppo
alle proteine del latte vaccino potrebbe essere utile il Lactococcus lactis subsp lactis SP 38». La professoressa parla spesso di ricerca, perché il fiorire di studi a cui stiamo assistendo fornirà certamente dati utili, mentre oggi in molti casi gli indizi non sono ancora suffragati da prove incontrovertibili: «Le evidenze più forti riguardano le infezioni e la somministrazione di Enterococcus faecium L3 ha dimostrato un effetto antimicrobico sul nascituro (vedi tabella in questa pagina). Esiste poi un razionale e di conseguenza un potenziale vantaggio per altre condizioni cliniche molto comuni nel neonato come coliche e allergie. In quest’ultimo caso le indicazioni più promettenti stanno nella prevenzione della dermatite atopica e si è dimostrato in laboratorio che i probiotici possono modificare certe caratteristiche nella risposta dei linfociti, con una riduzione della secrezione di citochine di tipo 2. Bisogna però sottolineare una cosa apparentemente ovvia: come succede sempre con i probiotici, anche in questo caso si ha un vantaggio in soggetti che hanno una predisposizione, non si propone un’assunzione generalizzata per tutte le donne gravide». Si tratta di ricerche complesse, che richiedono un lungo follow-up prima di fornire dati certi e sono complicate dal fatto che sono rivolte a malattie molto comuni con numerosi cofattori, per cui risulta molto più difficile rilevare gli effetti della somministrazione di un dato probiotico. Per una volta il nostro Paese è all’avanguardia: mentre i Paesi anglosasso-
Efficacia
approfondimenti «I probiotici sono microrganismi vivi – spiega la professoressa Susanna Esposito – presenti in molti alimenti comuni, come yogurt o latte fermentato che rappresentano dei validi alleati per la salute delle donne in gravidanza e del bambino nei primi anni di vita quando somministrati in quantità adeguate».
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ni sembrano un po’ meno interessati perché i vantaggi promessi sono più sfumati rispetto ad altri approcci, in Italia sono molti i gruppi che lavorano su questo tema. Tra questi anche quello di Susanna Esposito presso il Policlinico dell’Università di Milano: «In questo momento stiamo facendo uno studio su un probiotico nasale costituito da Streptococcus salivarius DSM 23307 e da Streptococcus oralis 89a nella prevenzione dell’otite media acuta ricorrente. Lo scorso anno abbiamo già pubblicato sullo European Journal of Clinical Microbiology & Infectious Diseases un lavoro (2) in cui si dimostra che la somministrazione di Streptococcus salivarius 24SMB a bambini da uno a cinque anni si associa a una riduzione del rischio di recidive di questa malattia e ora vorremmo valutare quali sono i bambini che traggono maggiore beneficio da questo approccio preventivo». Trapianto fecale, una soluzione per problemi difficili
Bibliografia 1. Schultz M, Göttl C, Young RJ, Iwen P,
Vanderhoof JA. Administration of Oral Probiotic Bacteria to Pregnant Women Causes Temporary Infantile Colonization. J Pediatr Gastroenterol Nutr. 2004 Mar;38(3):293-7. 2. Marchisio P, Santagati M, Scillato M, Baggi E, Fattizzo M, Rosazza C, Stefani S, Esposito S, Principi N. Streptococcus salivarius 24SMB administered by nasal spray for the prevention of acute otitis media in otitis-prone children. Eur J Clin Microbiol Infect Dis. 2015 Dec;34(12):2377-83. 3. Khoruts A, Dicksved J, Jansson JK, Sadowsky MJ. Changes in the composition of the human fecal microbiome after bacteriotherapy for recurrent Clostridium difficile-associated diarrhea. J Clin Gastroenterol, vol. 44, n. 5, pp. 354-60.
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Può non apparire particolarmente attraente, ma il trapianto fecale sta mostrando effetti benefici sempre più evidenti sulla salute. Il Fecal microbiota transplant (Fmt) è una procedura in cui le feci sono raccolte da un donatore testato e dopo aver indagato ed escluso la presenza di batteri o virus o parassiti contagiosi, vengono mescolate con una soluzione fisiologica o di altro tipo e successivamente inserite nella tratto gastrointestinale superiore attraverso un sondino nasogastrico che risale fino a livello del cieco. Sono state però sperimentate anche capsule, ovviamente rivestite, per una più semplice somministrazione orale. Lo scopo del trapianto fecale è di ricostituire la flora batterica “buona” quando è stata compromessa, spesso in seguito all’uso di antibiotici, provocando la proliferazione di batteri “cattivi”, specialmente il Clostridium difficile. Si tratta di uno dei microrganismi più pericolosi per l’uomo, responsabile di diarree gravi e della colite pseudomembranosa da C. difficile, as-
sociata a complicazioni gravi, alta morbilità e mortalità. Queste infezioni sono sempre più frequenti e sono aggravate dalla comparsa di ceppi batterici estremamente difficili da trattare, che non rispondono più alla terapia classica a base di metronidazolo e vancomicina. Il trapianto di microbioma fecale sembra molto efficace in queste situazioni critiche e si sono registrati numerosi casi di guarigione clinica, anche se ancora non sono disponibili studi randomizzati che ne diano una conferma definitiva. Ma i ricercatori della University of Minnesota (3) riferiscono di trapianti che «hanno avuto un impatto significativo sulla composizione della flora intestinale dei pazienti. Il cambiamento nella composizione batterica è stato accompagnato da risoluzione dei sintomi. I batteri del donatore hanno occupato rapidamente le loro nicchie con conseguente ripristino sia della struttura che della funzione delle comunità microbiche presenti». n
salute e benessere_GOTTA
La gotta in una famosa illustrazione del caricaturista inglese del 18° secolo James Gillray, pubblicata nel 1799
Gotta: male antico, emergenza nuova
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dispetto della sua storia plurimillenaria – nel corso della quale se ne rinvengono la prima descrizione clinica di cui si abbia notizia in un papiro egizio del 2600 a.C. e la prima formulazione della spiegazione fisiopatologica a metà del 1800 – la gotta rappresenta ancora, per certi versi, una sfida sanitaria aperta. Non soltanto perché nella gestione clinica della malattia si impone via via la necessità di adattare criteri diagnostici e approccio terapeutico alla disponibilità rispettivamente di elementi classificativi (clinici e strumentali) più appropriati e di nuove risorse farmacologiche, ma anche perché da una ventina d’anni se ne sta rilevando un continuo aumento di incidenza nella popolazione generale, un aumento di prevalenza in fasce di popolazione già gravate da comorbidità e tassi di sottodiagnosi e di sottotrattamento che, per una condizione così da lungo tempo e così
ben conosciuta, possono apparire paradossali. E in considerazione dell’impatto sulla qualità di vita dei pazienti, della compromissione a lungo termine della funzionalità articolare e della frequente associazione con un aumentato rischio cardiovascolare e renale (che oggi si pensa essere non semplice comorbidità ma complicanza diretta della malattia), il ritardo nella diagnosi, il controllo subottimale dell’iperuricemia e lo scarso ricorso ad adeguate misure preventive che sono stati riscontrati nei più recenti studi di popolazione configurano una vera e propria emergenza.
di Monica Oldani
Aumentano i casi, ma tarda il trattamento
acuti e febuxostat
Pur con consistenti variazioni su base geografica e nonostante la disomogeneità metodologica che rende gli studi epidemiologici condotti in diversi Paesi difficilmente comparabili, i dati di prevalenza e di incidenza ri-
Una terapia corretta della patologia prevede la dieta come intervento non farmacologico, i corticosteroidi orali e la colchicina a basso dosaggio negli attacchi o allopurinolo per il trattamento ipouricemizzante a lungo termine
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levati nel corso degli ultimi decenni descrivono tutti concordemente un progressivo aumento dei casi di malattia, con particolare riferimento alle nazioni industrializzate (essendo però ancora scarse le informa-
la nuova classificazione acr/eular Tra i motivi che rendono gli studi epidemiologici e clinici sulla gotta di difficile confronto vi è spesso il ricorso a set di criteri diagnostici e di indicazioni differenti. Nella lunga storia della gotta sono state prodotte svariate linee guida e classificazioni cliniche basate su dati obiettivi, di laboratorio e strumentali, che sono state adottate in periodi, in Paesi e in contesti sanitari diversi. Da un lato l’esigenza di ovviare a tale disomogeneità metodologica e dall’altro la necessità di aggiornare in modo uniforme le procedure diagnostiche sulla base delle conoscenze più recenti, hanno spinto le due maggiori istituzioni scientifiche del settore, l’American College of Rheumatology (Acr) e la European League Against Rheumatism (Eular) a produrre, attraverso il lavoro di un panel internazionale di venti esperti, una classificazione condivisa. L’obiettivo generale di Acr ed Eular è stato quel-
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lo di formulare criteri clinici dotati di maggiore sensibilità e specificità di quelli finora utilizzati e di includere nuovi parametri, sia clinici (relativi all’evoluzione della sintomatologia articolare), sia di laboratorio (relativi al monitoraggio dell’acido urico sierico e sinoviale), sia strumentali (relativi ai reperti ecografici, radiografici e tomografici attualmente noti). Nella classificazione Acr/Eular 2015 sensibilità e specificità dei criteri sono mediamente alte, rispettivamente 92% e 89%. Neogi T, Jansen TL, Dalbeth N, Fransen J, Schumacher HR, Berendsen D, Brown M, Choi H, Edwards NL, Janssens HJ, Lioté F, Naden RP, Nuki G, Ogdie A, Perez-Ruiz F, Saag K, Singh JA, Sundy JS, Tausche AK, Vaquez-Mellado J, Yarows SA, Taylor WJ. 2015 Gout Classification Criteria: An American College of Rheumatology/European League Against Rheumatism Collaborative Initiative. Arthritis Rheumatol. 2015;67(10):2557-68.
zioni riguardanti i Paesi in via di sviluppo). A livello globale sono riportate percentuali di prevalenza comprese tra 0,1 e 10%, con i valori più alti nelle popolazioni adulte dell’America settentrionale (>3% negli Stati Uniti), dell’Europa occidentale (>3% in Gran Bretagna, Olanda, Spagna e quasi il 5% in Grecia) e dell’area oceanica (percentuali comparabili a quelle occidentali in Australia e Nuova Zelanda e percentuali decisamente più alte in alcune isole del Pacifico, Taiwan, Hong Kong, Singapore) (1). Pochi i pazienti in terapia
Parallelamente, dagli studi che si sono occupati di delineare oltre all’andamento epidemiologico anche gli orientamenti dominanti nella gestione della malattia è emerso il secondo aspetto critico della situazione: complessivamente una quota sorprendentemente bassa dei pazienti è in trattamento con farmaci ipouricemizzanti. Sebbene sia ampiamente provato che tale approccio terapeutico è in grado di prevenire la neoformazione di cristalli di urato monosodico e di favorire la dissoluzione dei depositi sinoviali già costitu-
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iti, facendo della gotta l’unica forma di artrite cronica in una certa misura “curabile”. Una recente revisione sistematica realizzata presso l’australiana James Cook University nel contesto della medicina generale (che ha incluso 9 studi retrospettivi condotti prevalentemente in Gran Bretagna e negli Stati Uniti, per un totale di quasi 260.000 pazienti) ha riscontrato tassi di trattamento profilattico inferiori al 50% e percentuali ancora più basse per quanto riguarda il monitoraggio uricemico, persino nei soggetti sottoposti a terapia (2). In Europa, l’ultimo studio epidemiologico che ha preso in esame la popolazione britannica riporta in un periodo di quindici anni compreso tra il 1997 e il 2012 un aumento dei valori di prevalenza e di incidenza rispettivamente del 63,9% e del 29,6%, a fronte di tassi di trattamento con ipouricemizzanti pressoché invariati e, allo stato delle cose, decisamente inadeguati: al di sotto del 40% sul totale dei pazienti e ancora più bassi sui nuovi casi (<20% a 6 mesi dalla diagnosi e <30% a 12 mesi) (3). In sintesi, pochi i pazienti trattati e oltretutto avviati al trattamento con notevole ritardo. La mobilitazione italiana
Per quanto riguarda la diffusione della malattia, l’Italia si attesta su valori un po’ inferiori a quelli dei Paesi europei più colpiti, ma anche qui il trend di crescita si conferma: un’indagine condotta sul quinquennio 20052009 ha registrato nella popolazione generale adulta un incremento della prevalenza da 0,5% a 0,9%, che diventa nettamente superiore (circa 8%) se si considera la fascia di età over 65 (4). In aggiunta, si stima vi siano circa 5 milioni di soggetti a rischio di svilupparne le manifestazioni cliniche sulla scorta di livelli uricemici prossimi al punto di saturazione dell’urato monosodico (6,8 mg/dL o 404 μmol/L). Il problema già da alcuni anni ha mobilitato l’impegno delle società scientifiche del settore.
Nel 2011 la Società italiana di reumatologia (Sir) ha avviato lo studio multicentrico King (Kick-off of the Italian Network for Gout) per valutare l’impatto delle condizioni cliniche legate alla malattia e di alcune variabili socio-demografiche sulla qualità di vita e sul livello di disabilità funzionale dei pazienti. I riscontri sul campione di 446 pazienti seguiti per 12 mesi hanno evidenziato la necessità di una più adeguata gestione della malattia, che contempli non solo la diagnosi precoce, il trattamento sintomatico appropriato e la prevenzione della cronicizzazione, ma anche l’integrazione di interventi mirati sulle condizioni patologiche associate e di misure educative (5). A spiegare l’espansione quasi epidemica della gotta sono infatti principalmente fattori di natura socio-economica e socio-demografica: l’estensione degli stili di vita predisponenti (consumo di alimenti ad alto contenuto di purine, alcolici e bevande ricche di fruttosio) a fasce di popolazione via via più ampie e l’ampliamento della popolazione di età avanzata maggiormente esposta ai fattori di rischio iatrogeni (assunzione di diuretici) e clinici (insufficienza renale) e a comorbidità che ne complicano la gestione. La stessa Sir, con l’obiettivo di rendere più efficaci i protocolli terapeutici nazionali, ha da poco portato a termine un lavoro multidisciplinare di aggiornamento e di adattamento al contesto italiano delle raccomandazioni Eular 2006, sintetizzandolo in un documento di consenso che contiene le 12 proposizioni originali rielaborate sulla base degli ultimi dati sul ruolo della dieta come intervento non farmacologico, sulla validità dei corticosteroidi orali e della colchicina a basso dosaggio nella gestione degli attacchi acuti e sull’efficacia e sicurezza del febuxostat, in alternativa all’allopurinolo, per il trattamento ipouricemizzante, e che si chiude con la formulazione di 8 quesiti di ricerca ancora aperti, da approfondire nel prossimo futuro (6). n
Bibliografia 1. Kuo C-F, Grainge MJ, Zhang W,
Doherty M. Global epidemiology of gout: prevalence, incidence and risk factors. Nature Rev Rheumatol 2015 Jul 7. 2. Jeyaruban A1, Larkins S, Soden M. Management of gout in general practice-a systematic review. Clin Rheumatol 2015;34(1):9-16. 3. Kuo CF, Grainge MJ, Mallen C, Zhang W, Doherty M. Rising burden of gout in the UK but continuing suboptimal management: a nationwide population study. Ann Rheum Dis. 2015;74(4):661-7. 4. Trifirò G, Morabito P, Cavagna L, Ferrajolo C, Pecchioli S, Simonetti M, Bianchini E, Medea G, Cricelli C, Caputi AP, Mazzaglia G. Epidemiology of gout and hyperuricaemia in Italy during the years 2005–2009: a nationwide population-based study. Ann Rheum Dis 2013;72:694–700. 5. Scire CA, Manara M, Cimmino MA, Govoni M, Salaffi F, Punzi L, Monti MC, Carrara G, Montecucco C, Matucci-Cerinic M, Minisola G for KING Study Collaborators. Gout impacts on function and healthrelated quality of life beyond associated risk factors and medical conditions: results from the KING observational study of the Italian Society for Rheumatology (SIR). Arthritis Res Ther 2013;15(5):R101. 6. Manara M, Bortoluzzi A, Favero M, Prevete I, Scirè CA, Bianchi G, Borghi C, Cimmino MA, D’Avola GM, Desideri G, Di Giacinto G, Govoni M, Grassi W, Lombardi A, Marangella M, Matucci Cerinic M, Medea G, Ramonda R, Spadaro A, Punzi L, Minisola G. Raccomandazioni della Società Italiana di Reumatologia sulla gestione della gotta. Reumatismo 2013; 65(1):5-24.
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Veicolare i farmaci con le nanotecnologie Parallelo alla ricerca di nuove molecole c’è un filone che si occupa di trovare nuovi vettori. La promessa per il futuro
di Andrea Peren
è la nanomedicina, che prova a «costruire» nanoveicoli per i farmaci in grado di aumentarne la precisione, ridurne i dosaggi e quindi gli effetti collaterali
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a ricerca sui farmaci antitumorali ma non solo si concentra sulla nanomedicina, che sarà probabilmente in grado di sviluppare sistemi che trasportino il farmaco solo nelle cellule malate, annullando così gli effetti collaterali dell’attuale somministrazione massiccia, che diffonde i farmaci in tutto l’organismo. Questi “nanoveicoli” dovrebbero navigare nell’organismo per portare il farmaco dove occorre, invisibili al sistema immunitario e capaci di superare le barriere biologiche attive nel nostro corpo. Veicolare i farmaci in questo modo significa aumentarne la biodisponiblità e i parametri farmacocinetici. Si potrebbero così ridurre sensibilmente le dosi di farmaco, aumentandone la precisione ed eliminandone o quasi gli effetti collaterali. Se ne è parlato il 2 febbraio a Milano in occasione del Nano World Cancer Day 2016, evento internazionale organizzato dall’European Technology Platform for Nanomedicine (Etpn www.etp-nanomedicine.eu), un organismo che raggruppa istituzioni di ricerca, aziende farmaceutiche e scienziati per promuovere la ricerca e lo sviluppo della nanomedicina. La conferenza stampa italiana, una delle 12 simultanee organizzate in Europa, dal Regno Unito alaprile 2016
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la Svizzera, alla Germania, Francia, Portogallo, Spagna, Grecia, Irlanda, Austria e Turchia, è stata organizzata dall’Università di Milano-Bicocca e dalla Fondazione Irccs Istituto dei Tumori. Come funzionano i nanoveicoli
I vettori, che hanno una grandezza che va dai 20 ai 500 nanometri (miliardesimi di metro), hanno spiegato i ricercatori riuniti in Bicocca, si adattano sia ai tradizionali farmaci chemioterapici sia ai farmaci biologici (acidi nucleici, proteine): entrambe le classi di farmaci hanno bisogno di nano-shuttle che li portino alla destinazione desiderata, ad esempio il tessuto tumorale. Raggiunta la destinazione occorre ancora superare le barriere biologiche. A tal fine si stanno sviluppando due differenti strategie. «Una – ha spiegato Francesco Nicotra, ordinario di chimica organica dell’Università di Mila-
no-Bicocca e membro dell’Etpn – prevede l’“apertura delle porte” col rilascio del farmaco prima del superamento della barriera; se il farmaco è una piccola molecola, potrà essere in grado di superarla per diffusione. L’altra, indispensabile per i farmaci che non sono in grado di diffondere, consiste nel dotare la nanoparticella di una “chiave” per attraversare la barriera e aprire le porte solo dopo averla superata. Le barriere dispongono infatti di sistemi di trasporto che riconoscono le sostanze utili e ne consentono il passaggio». La ricerca è attualmente concentrata sui sistemi di riconoscimento della fermata giusta, sui metodi per aprire le porte e sulle chiavi per superare le barriere. Anticorpi e ligandi di recettori espressi in abbondanza dalle cellule tumorali, ultrasuoni da indirizzare sul tumore per fare collassare le nanoparticelle sono solo alcuni esempi. «In questo contesto – ha detto Nadia Zaffaroni, direttore della struttura complessa di farmacologia molecolare della Fondazione Irccs Istituto Nazionale dei Tumori – stiamo lavorando in collaborazione con ricercatori leader mondiali nel settore delle nanotecnologie, come il professor Mauro Ferrari dello Houston Methodist Research Institute e il professor Frank Caruso dell’University of Melbourne, e studiando a livello preclinico la rilevanza terapeutica di nanoparticelle “intelligenti” capaci, ad esempio, di concentrarsi specificamente a livello delle aree di infiamma-
WORLD CANCER DAY 2016 Ogni giorno nel mondo vengono diagnosticati mille nuovi casi di tumore, ma l’Italia resta uno dei paesi in Europa con il più elevato tasso di sopravvivenza. Questo grazie alla ricerca avanzata e alle cure d’avanguardia, ma molto può fare la prevenzione. E proprio la diagnosi precoce e la prevenzione sono stati al centro dell’attenzione in occasione del World Cancer Day che si è svolto lo scorso 4 febbraio. L’Istituto Nazionale dei Tumori ha aderito all’iniziativa illuminando la facciata dell’Istituto per diffondere la cultura della prevenzione tra la popola-
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zione. «La giornata Mondiale contro il Cancro – ha dichiarato Enzo Lucchini, Presidente dell’Istituto Nazionale dei Tumori – è l’occasione per fare luce sulle modalità con cui combatterlo: con corretti e salutari stili di vita utili a prevenirlo, con un pronto riconoscimento dei segni che manifesta al suo nascere, con un’efficace terapia, disponibile per un sempre maggiore numero di forme tumorali. L’Istituto Nazionale dei Tumori, operando dalla sua fondazione contro il cancro a tutti i livelli, partecipa e sostiene il WCD richiamandone la finalità appunto ‘facendo luce’ sulla propria facciata». R.V.
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zione nel tessuto tumorale mimando la struttura dei globuli bianchi o altre in grado di aprirsi rilasciando le molecole terapeutiche solo dopo l’internalizzazione nelle cellule tumorali sfruttando caratteristiche chimico-fisiche». Le difficoltà della ricerca traslazionale
Però l’innovazione e la ricerca si devono trasformare in qualcosa di tangibile, in farmaci per ospedali e farmacie, ed è proprio in questa fase che emergono tutte le criticità di un sistema che per vari motivi, ma soprattutto per scarsità di finanziamenti, non riesce a far proseguire il percorso oltre il laboratorio. Chi si occupa di sostenere la ricerca di traslazione della nanomedicina per arrivare alla cura è la Piattaforma europea di nanomedicina (Etpn), nata nel 2005 come iniziativa guidata dall’industria e da alcuni istituti di ricerca. La piattaforma, che oggi conta più di 150 membri in 25 Paesi europei, ha ricevuto finanziamenti importanti dalla Commissione Europea, con la quale ha definito priorità e obiettivi nell’ambito del noto programma di ricerca e innovazione Horizon2020.
L’Unione Europea, tra il 2008 e il 2014, ha finanziato più di 50 progetti di nanomedicina che vanno dalla messa a punto di nuovi sistemi di somministrazione dei farmaci nanostrutturati alla medicina rigenerativa, fino alla creazione di nanoparticelle per la diagnostica precoce. Uno sforzo importante alla luce del fatto che con 4 milioni di nuovi casi all’anno e 8,2 milioni di decessi (nel 2012, fonte World Cancer Report 2014), il cancro è la causa principale di morte e comorbilità a livello mondiale e, nonostante i grandi passi avanti nelle cure, rimane letale nella metà dei casi. In Europa sono più di 500 le piccole e medie imprese che operano nella nanomedicina, tra farmaceutiche, aziende di biotech, chimiche e tecnologie mediche, mentre sono solo 150 negli Stati Uniti. Attualmente comunque sono circa 49 i nanofarmaci presenti sul mercato. Pochi e non tutti indiscutibilmente efficaci. Sul fronte della sperimentazione sono più di 230 i nanofarmaci attualmente testati sull’uomo, il 30 per cento dei quali sono farmaci per la cura del cancro. n
approfondimenti Horizon 2020 è il più grande programma mai realizzato dall’Unione europea per la ricerca e l’innovazione. Condurrà a più innovazioni, scoperte e risultati rivoluzionari trasferendo grandi idee dal laboratorio al mercato. Sono disponibili ingenti finanziamenti per un periodo di 7 anni (2014-2020), oltre agli investimenti nazionali pubblici e privati che questa somma attirerà.
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È possibile parlare di scenari futuri nel settore farmaceutico? In un contesto sempre più competitivo le farmacie devono individuare nuove strategie vincenti per riuscire a differenziare l’offerta proponendo servizi che soddisfino le esigenze del paziente, preservando allo stesso tempo il proprio ruolo socio-sanitario
I
l mio status di “osservatore esterno” mi consente di fare libere valutazioni su quello che percepisco e su ciò che ritengo avverrà, anticipare i trend di consumo e leggere le richieste del mercato. E la richiesta oggi non è solo la ricerca del prodotto giusto al miglior prezzo. Per eccellere bisogna saper anche offrire un approccio personalizzato sulle necessità dei singoli, bisogna proporre esperienze d’acquisto uniche, bisogna dar valore al tempo e aiutare il personale in un approccio alla clientela unico, efficace ed efficiente. Le farmacie rappresentano oggi uno dei settori maggiormente in fermento per la necessità di fornire risposte ai mutati bisogni del cliente. Due anni fa mi rivolsi proprio all’Editore di Professione Salute per cercare di capire quale evoluzione fosse in corso nelle farmacie italiane e come riuscire a introdurre un’azienda francese che mi aveva chiesto di distribuire il proprio prodotto (integratori alimentari) sul mercato italiano attraverso il canale delle farmacie. Negli ultimi anni l’evoluzione e la confusione generata dal susseguirsi di leggi e dalle strategie che le farmacie attuano per la vendita di prodotti farmaceutici, parafarmaceutici e
l’offerta di servizi che soddisfino le esigenze del cliente, obbliga il farmacista a diventare anche un esperto di merchandising per organizzare al meglio lo spazio del punto vendita e attirare l’attenzione del cliente. Lo scorso 8 marzo ho partecipato a un congresso intitolato “Il ruolo della farmacia come presidio del territorio”, organizzato a Milano da Paola Gallas, direttore del Centro Studi Retail Salute e general manager di Farmacia Evoluzione, dove si è parlato di scenari futuri e di punti di vista dei rappresentati dei farmacisti, degli accademici e delle aziende di produzione. Cito testualmente l’intervento di Silvana Casale (Federfarma Modena) intitolato “La farmacia che vogliamo” che evidenzia l’importanza e il ruolo della farmacia nei confronti dei cittadini considerando “l’indipendenza, la vicinanza e gli orari” requisiti necessari per una farmacia orientata alla salute pubblica: «Per preservare ruolo, professionalità e rilevanza socio-sanitaria della farmacia è necessario che questa si re-inventi sfruttando le potenzialità che formazione professionale, distribuzione capillare sul territorio, rapporto con l’utenza e con le pubbliche istituzioni rendono uniche e impre-
di Andrea Luca Imposti
Mi occupo di moderna distribuzione e di retail da molto tempo e le mie ricerche si sono focalizzate sul settore odontoiatrico. Analizzo i consumi italiani e le tendenze distributive implementando strategie di marketing, processi di vendita efficaci e sviluppando l’atteggiamento, la motivazione e il team work del personale
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Sui prossimi numeri di Professione Salute approfondiremo di volta in volta alcuni aspetti del marketing declinato sul canale farmacia
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scindibili occasioni di collaborazione per un sistema sanitario pubblico in difficoltà». Paola Brusa del dipartimento di Scienza e Tecnologia del Farmaco dell’Università degli Studi di Torino ha presentato il progetto da lei coordinato presente ormai da anni sul territorio piemontese che si basa sulla prevenzione di alcune patologie molto diffuse e sul corretto impiego delle informazioni trasmesse ai pazienti in merito a tali patologie. Ebbene i risultati sono eccezionali ma scarsamente considerati dai medici di base che vedono le farmacie come entità di mera somministrazione del farmaco dove non si può generare informazione né tantomeno considerarli luoghi di divulgazione di corrette informazioni. Nell’intervento della dottoressa Brusa è stato palesato come i medici specialisti sono tutti assolutamente favorevoli ad assegnare un ruolo più importante alla farmacia e al farmacista mentre i medici di base hanno osteggiato questo approccio. Si è anche parlato della “funzione sociale” della farmacia ma sta di fatto che le evoluzioni in corso sono evidenti e sono dettate da moltissimi fattori: la crescita demografica con il relativo mutamento sociale, l’avanzamento dell’età media e delle conseguenti nuove necessità, il cambiamento degli stili di vita, il tanto sofferto e temuto ingresso dei “capitali” nel settore farmaceutico, l’utilizzo degli smartphone e della tecnologia in generale, le nuove abitudini dei consumatori. Oggi tutto questo incide sui possibili sviluppi del settore farmaceutico anche se, a strettissimo parere dello scrivente, gli scenari saranno molteplici perché molteplici e differenti sono le condizioni dove le farmacie si vanno a insediare nel territorio. Le farmacie si connotano oggi in base a dove sono ubicate e al loro bacino di utenza, le esigenze dei consumatori di una farmacia posta in un quartiere di una grande città saranno certamente differenti da quelle di una farmacia ubicata in un piccolo paese di campagna centrato su un’economia primaria; il mix dei prodotti e dei servizi offerti dovrà essere molto differente. Trovo anacronistico il sistema di gestione di molte del-
le attuali farmacie dove vale la legge dell’ 80-20, ossia che il 20% della superficie della farmacia (quella dedicata alle prescrizioni) vale l’80% del fatturato. Tutti i lettori avranno sentito parlare di category management: una selezione di prodotti e di approcci commerciali tali da valorizzare il mix dei prodotti stesso, proprio di questo e sempre più spesso ogni farmacista dovrebbe interessarsi per proiettare la propria attività nel futuro e rendere un servizio adeguato ai suoi pazienti/ clienti. La vendita assistita è un altro argomento poco trattato e considerato ma basta osservare paesi che hanno già percorso questa strada per vedere quali benefici possa produrre e quali mutamenti induca nella conduzione della farmacia e nella relazione con il pubblico. Trovo che vi siano troppi elementi di confusione, soprattutto legislativi, affinché la farmacia possa connotarsi e differenziarsi da altre formule che si affacciano sul mercato (capitale, grande distribuzione). La farmacia dovrà evolvere verso un centro di raccolta e distribuzione di informazioni tra ambito medico e farmaceutico, dovrà accogliere servizi pratici per i cittadini come la diagnostica di base e i centri di prenotazione, già attivi in alcune farmacie. Inoltre, la quantità di farmaci e parafarmaci presenti sono il veicolo all’integrazione di nuove figure all’interno delle farmacie più grandi con aree assistite da personale specializzato (estetisti, esperti di make-up e cosmetologi) e mi auguro in futuro che si possano integrare spazi dedicati anche all’odontoiatria estetica. Solo così le farmacie possono affrontare serenamente e con forti elementi di distinzione i prossimi scenari di mercato e altrettanto serenamente vi scrivo che sopravvivranno e si svilupperanno solo le farmacie più attente al cambiamento e che meglio sapranno adattarsi allo stesso. Il settore farmaceutico si regge su un dato medio di 3300 abitanti ogni farmacia, la facilità di spostamento e la velocità dell’acquisto faranno necessariamente crescere le farmacie che meglio adatteranno la loro formula distributiva e l’accoglienza al paziente/ cliente in relazione alle mutate attitudini e modalità di acquisto dei consumatori. n
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Incentivi alle assunzioni proseguono nel 2016 Meno generosi di quelli dello scorso anno, gli incentivi alle nuove assunzioni, introdotti con la Legge di Stabilità 2016, sono comunque attraenti per chi ha intenzione di potenziare il proprio organico
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eno contributi da pagare sullo stipendio del lavoratore, per un periodo di due anni e fino a un importo massimo di circa 3mila euro ogni 12 mesi. Ecco il beneficio che si ottiene assumendo nuovo personale entro il prossimo 31 dicembre. A introdurre queste agevolazioni è stata l’ultima Legge di Stabilità, cioè la manovra economica per il 2016 approvata dal governo Renzi. A ben guardare, gli attuali incentivi alle assunzioni sono molto meno generosi di quelli in vigore fino alla fine dell’anno passato, che prevedevano invece l’esonero totale dai contributi, con una soglia massima di 8.060 euro. Dal primo gennaio scorso, il tetto per le agevo-
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lazioni è sceso a 3.250 euro annui e non potrà oltrepassare comunque il 40% dei contributi. Sempre da gennaio, si è ridotta anche la durata degli incentivi: chi ha reclutato nuovo personale nel 2015, infatti, godrà delle agevolazioni per ben tre anni; chi farà nuove assunzioni nel 2016, invece, potrà usufruire dello sconto sui contributi soltanto per 24 mesi. Qualche esempio concreto
Per capire cosa è cambiato quest’anno rispetto al 2015, è meglio prendere in esame il caso specifico di un professionista che vuole reclutare un dipendente con una retribuzione lorda di 20mila euro annui. Per questo profilo di lavoratore, i contributi previdenziali da
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pagare sono di regola pari a circa 6.600 euro (cioè attorno al 33% del salario). Chi ha fatto l’assunzione entro il 31 dicembre scorso, cioè con gli incentivi del 2015, non dovrà versare all’Inps neppure un centesimo e godrà di tale esenzione per ben 3 anni. Chi recluterà un dipendente con lo stesso stipendio entro la fine del 2016, invece, per 24 mesi avrà uno sconto sui contributi ben più basso, cioè pari a 2.640 euro all’anno, corrispondenti al 40% dei 6.600 euro che avrebbe dovuto versare in assenza degli incentivi. Per tale profilo di lavoratore, insomma, i contributi da pagare nel 2016 ammontano a 3.960 euro (6.600-2.640) e le agevolazioni sono dunque calate di 4mila euro rispetto al 2015. Non va dimenticato, poi, un particolare importante: se la retribuzione del dipendente assunto è più alta, il bonus contributivo del 2016 si ferma comunque entro il limite dei 3.250 euro. Anche in tal caso, è meglio chiarirsi le idee con un esempio concreto, prendendo in esame la situazione di un lavoratore che ha uno stipendio di 30mila euro annui lordi. Per questo profilo di dipendente, i contributi previdenziali da versare ammontano di regola a 10mila euro circa (il 33% di 30mila euro). Chi assumerà nel 2016 un lavoratore con un tale livello di retribuzione dovrà invece versare all’Inps una somma un po’ più bassa, cioè pari a 6.750 euro ogni 12 mesi, così calcolata: innanzitutto, sulla contribuzione ordinaria di 10mila euro si stabilisce l’agevolazione del 40%, che corrisponde a una somma di 4mila euro. Poiché quest’ultima cifra supera il tetto massimo previsto per l’incentivo del 2016, dai 10mila euro di contribuzione ordinaria si sottrae dunque un importo di soli 3.250 euro e si ottiene appunto il risultato di 6.750 euro. Per molti, ma non per tutti
Fatte queste premesse, una cosa resta certa: per chi è intenzionato ad allargare il proprio organico, gli incentivi del governo garantiscono comunque un risparmio non trascu-
rabile sul costo del lavoro, anche se la convenienza rispetto al 2015 è notevolmente diminuita. Non va dimenticato però che le agevolazioni spettano soltanto a certe condizioni e per alcune specifiche categorie di dipendenti. Per avere lo sgravio, infatti, bisogna assumere a tempo indeterminato una persona che, nei sei mesi precedenti, non è stata occupata con un contratto stabile presso qualsiasi altro datore di lavoro. Sono escluse dal bonus anche le assunzioni di quei dipendenti che, nei tre mesi precedenti in l’entrata in vigore della Legge di Stabilità 2016 (cioè nell’ultimo trimestre del 2015), hanno avuto un contratto di lavoro a tempo indeterminato presso la stessa impresa o lo stesso professionista che richiedono gli incentivi. Le agevolazioni spettano anche se il datore di lavoro trasforma in un’assunzione stabile un contratto a tempo determinato di un dipendente che, nei sei mesi precedenti, già risultava come collaboratore. La nuova assunzione proposta può essere anche part-time e avere qualsiasi inquadramento: operaio, impiegato, quadro o dirigente. Non può usufruire degli incentivi, invece, chi propone al dipendente un impiego flessibile come le tanto discusse collaborazioni coordinate e continuative o a progetto (co.co.co e co.pro.). Questi contratti sono stati in gran parte eliminati dal Jobs Act, la riforma del welfare del governo Renzi, ma restano in vigore per una sola categoria di lavoratori: chi esercita una professione intellettuale che richiede l’iscrizione a un Ordine. È il caso per esempio degli avvocati, dei commercialisti, dei medici e degli odontoiatri e dei farmacisti. Dunque, chi ha bisogno di assumere un professionista appartenente a queste categorie, può continuare a proporgli una semplice collaborazione coordinata e continuativa. In questo modo, il professionista rinuncia a ottenere un po’ di sgravi sui contributi ma può contare su un rapporto di lavoro molto più flessibile per quel che riguarda gli orari e le ferie. n aprile 2016
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Investire nel biomedicale: ecco le azioni da tenere d’occhio Molte aziende che producono materiali, dispositivi e apparecchiature mediche hanno guadagnato parecchio in borsa negli ultimi anni. Per gli analisti restano una buona opportunità di investimento, anche se bisogna procedere con prudenza e senza un approccio troppo speculativo
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ltro che titoli di stato, obbligazioni bancarie, oro o petrolio. Per chi va a caccia di guadagni sui mercati finanziari, c’è una categoria di azioni che forse molti investitori italiani non conoscono ancora ma che, almeno nel medio e lungo periodo, possono regalare soddisfazioni a chi le acquista. Sono i titoli delle aziende che producono materiali e apparecchiature biomedicali, utilizzate in diverse aree terapeutiche, dall’ortopedia alla cardiologia, dall’odontoiatria sino all’oncologia. Si tratta di imprese che già oggi fatturano una montagna di miliardi ma che hanno buone probabilità di macinare ricavi e profitti anche nei decenni a venire, per una ragione molto semplice: la popolazione mondiale sta invecchiando progressivamente e avrà sempre più bisogno in futuro di interventi chirurgici sofisticati, con l’impianto di pacemaker al cuore, protesi al ginocchio o impianti dentali, solo per citare qualche esempio.
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Dunque, se le persone con i capelli bianchi aumentano nel numero e i ricavi del settore biomedicale andranno a gonfie vele, anche le azioni di certe aziende hanno buone chance di viaggiare con il turbo in borsa. Questo, almeno, è ciò che pensano diversi esponenti della comunità finanziaria internazionale, che sono ovviamente abituati a cogliere la palla al balzo per far soldi e che hanno messo da tempo gli occhi su aziende del settore. Affari a stelle e strisce
Le imprese che producono materiali e apparecchi biomedicali quotate in borsa sono moltissime e si concentrano prevalentemente negli Stati Uniti. Chi fosse intenzionato ad acquistare queste di azioni, dunque, deve possedere un conto-titoli che consente l’accesso alle principali borse americane di Wall Street, cioè al New York Stock Exchange e
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al Nasdaq. Quasi tutte le banche italiane offrono questa possibilità ai propri clienti, soprattutto a quelli un po’ più esperti che possiedono un conto online e investono con il fai-da-te. Nell’era di internet, dunque, comprare un’azione americana è facile quanto acquistare un Buono del Tesoro o un titolo di una società italiana quotata sul listino di Piazza Affari, cioè alla borsa di Milano. Ma come si fa a riconoscere le aziende vincenti, tra quelle che producono materiali e apparecchi biomedicali? La domanda è tutt’altro che campata in aria visto che il rischio di fare qualche passo falso è sempre in agguato. Non va dimenticato, infatti, che l’investimento su un singolo titolo azionario è sempre una scommessa dall’esisto incerto, che può regalare molte soddisfazioni ma anche parecchie amarezze, qualora le borse dovessero attraversare una fase prolungata di ribassi o di forti oscillazioni, come è avvenuto a partire dall’agosto scorso con lo scoppio di una mini-crisi finanziaria in Cina. Meglio dunque procedere con i piedi di piombo e destinare a una singola azione (anche se di un settore molto gettonato come quello delle apparecchiature mediche), una parte assai limitata della propria ricchezza complessiva, cioè una quota non superiore all’1 o 2% del totale, o magari fino al 3-4% per chi è disposto a rischiare un po’ di più. La bussola degli analisti
Fatte queste premesse di buon senso, si può procedere alla ricerca delle azioni che in futuro possono viaggiare a gonfie vele. Quali sono? Una bussola per orientarsi (anche se tutt’altro che infallibile) è rappresentata dai giudizi sui titoli espressi periodicamente dagli analisti delle principali case d’investimento. È il caso per esempio degli esperti della grande banca d’affari statunitense Goldman Sachs che, nell’agosto scorso, hanno rilasciato una raccomandazione di acquisto sulle azioni di Boston Scientific Corporation, un grup-
le azioni più interessanti del biomedicale Per acquistare le azioni dei maggiori gruppi di apparecchiature biomedicali bisogna avere in banca un conto-titoli che consente la negoziazione sui mercati esteri, in particolare sulle borse statunitensi del Nasdaq e del Nyse (New York Stock Exchange). Oggi quasi tutte le banche italiane (allo sportello o tramite un conto online) consentono ai propri clienti di investire sulle piazze finanziarie straniere. Azienda
il business
ABBOTT LABORATORIES
È un’azienda con oltre 20 miliardi di dollari di fatturato che commercializza diversi tipi di farmaci. Ha una importante divisione dedicata alla produzione di apparecchiature e dispositivi biomedicali, per diverse aree terapeutiche
New York Stock Exchange
BOSTON SCIENTIFIC CORPORATION
È un gruppo con oltre 7,2 miliardi di dollari di ricavi, che si occupa dello sviluppo e della produzione apparecchi biomedici per la cardiologia, la neuromodulazione, l’elettrofisiologia, l’endoscopia, l’oncologia, l’urologia e la ginecologia
New York Stock Exchange
EDWARDS LIFESCIENCES
È un’azienda che fattura quasi due miliardi di dollari ed è specializzata nella produzione di diverse categorie di apparecchi biomedicali, in particolare le valvole cardiache
New York Stock Exchange
JOHNSON & JOHNSON
Anche la nota multinazionale della farmaceutica e della cosmetica, che fattura oltre 70 miliardi di dollari all’anno, ha una importante divisione dedicata alla produzione di materiali e apparecchi biomedicali
New York Stock Exchange
MEDTRONIC
È un colosso che fattura 23miliardi di dollari e ha più 90mila dipendenti. Produce dispositivi biomedicali per le cure cardiache, il diabete, le terapie riabilitative e la chirurgia vertebrale
New York Stock Exchange
ORTHOFIX INTERNATIONAL
È un’azienda statunitense quotata sul mercato del Nasdaq, che produce materiali ricostruttivi e rigenerativi, utilizzati nel campo dell’ortopedia. Ha un giro d’affari di quasi 400 milioni di dollari
Nasdaq
SMITH & NEPHEW
È un’azienda con sede a Londra che produce materiale ricostruttivo per l’ortopedia, per la stabilizzazione delle fratture e la correzione delle deformità. Ha un giro d’affari di oltre 4,7 miliardi di dollari
New York Stock Exchange e Borsa di Londra
ST. JUDE MEDICAL
È un’azienda con sede nel Minnesota, che produce apparecchiature e dispositivi di vario tipo, destinati per lo più alle terapie cardiovascolari. Ha un fatturato di oltre 5,5 miliardi di dollari
New York Stock Exchange
STRYKER CORPORATION
È un’azienda del Michigan che produce materiale ortopedico, utilizzato per soprattutto negli interventi all’anca e al ginocchio. Ha un giro d’affari di quasi 10 miliardi di dollari
New York Stock Exchange
ZIMMER BIOMET HOLDINGS
È un’azienda americana che produce apparecchiature e dispositivi di vario tipo per l’ortopedia e l’implantologia dentale. Ha un fatturato di oltre 6 miliardi di dollari
New York Stock Exchange
dove sono quotate le azioni
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po con oltre 7,2 miliardi di dollari di ricavi che si occupa dello sviluppo e della produzione di apparecchi biomedici per la cardiologia, la neuromodulazione, l’elettrofisiologia, l’endoscopia e l’oncologia. Gli esperti di Goldman Sachs hanno individuato un potenziale di rialzo di oltre il 17% per il titolo di Boston Scientific Corporation, dopo che la società ha diffuso gli ultimi dati di bilancio trimestrali, superiori alle aspettative della comunità finanziaria. Riscuote grande consenso tra gli analisti anche un’altra impresa quotata a New York, che produce materiali di vario tipo, utilizzati prevalentemente in ortopedia ma anche in odontoiatria. Si tratta di Zimmer Biomet Holdings, ha sede nello stato dell’Indiana e raccoglie oggi 19 rating buy (comprare), su 25 analisti che ne seguono il titolo a Wall Street. Il che significa che la maggioranza delle case d’investimento d’Oltreoceano suggerisce ancora di acquistare le azioni di questa società, anche se il loro valore è praticamente raddoppiato tra il 2012 e oggi. Stesso discorso per Medtronic, altro colosso statunitense che fattura ben 23 miliardi di dollari e produce dispositivi biomedicali per le cure cardiache, il diabete, le terapie riabilitative e la chirurgia vertebrale. Su 23 analisti che seguono le azioni Medtronic a Wall Street, 17 consigliano di comprarle, altri 6 suggeriscono di tenerle nel portafoglio mentre nessuno invita gli investitori a venderle. In media, gli analisti hanno individuato per il titolo di questa società un prezzo-obiettivo (target price) superiore a 86 dollari, contro la quotazione di 66 dollari, registrata in questi mesi dalle azioni a Wall Street. In teoria, dunque, il potenziale di rialzo dei titoli Medtronic supera il 25%, benché il loro valore in borsa, come nel caso di Zimmer Biomet Holdings, sia cresciuto di oltre il 100% negli ultimi 5 anni. Azioni da cassetto
Chi fosse interessato ad acquistare le azioni dei produttori di apparecchiature mediche, però, deve evitare l’errore di avvicinarsi 54
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a questi titoli con un approccio speculativo, cioè aspettandosi dei guadagni facili nel breve termine, cioè nel giro di pochi giorni o settimane. In realtà, la strategia migliore da mettere in campo è quella di comprare tali azioni con un obiettivo di rendimento nel medio e lungo periodo, cioè in un arco di tempo superiore a 5 o 10 anni. Meglio dunque tenerle nel “cassetto” per un bel po’, seguendone ovviamente le quotazioni con una certa costanza, pronti a rivenderle quando i guadagni hanno raggiunto una certa consistenza. Per rendersi conto di quanto sia consigliabile seguire tale approccio, basta analizzare l’andamento in borsa di Smith & Nephew, azienda britannica quotata sia a Londra che a New York. Si tratta di un gruppo che produce materiale ricostruttivo per l’ortopedia, per la stabilizzazione delle fratture e per la correzione delle deformità con un giro d’affari di oltre 4,7 miliardi di dollari. Negli ultimi 10 anni, il valore sul mercato delle azioni Smith & Nephew è passato dai 14,5 dollari del settembre 2005 agli oltre 35 dollari dello stesso mese di quest’anno. Nell’arco di una decade, dunque, il rialzo complessivo è stato del 137%, per la gioia di chi ha avuto la costanza di tenersi nel portafoglio i titoli per così tanto tempo. Prendendo in esame il breve periodo, però, si arriva invece a conclusioni ben diverse. Tra il luglio e il settembre scorso, quando le borse internazionali hanno iniziato a traballare a causa della crisi finanziaria cinese, pure le azioni di Smith & Nephew hanno perso quasi il 5% nell’arco di due mesi. Anche investire in un’azienda dal business promettente, insomma, può riservare agli investitori qualche amara sorpresa, soprattutto quando i suoi titoli vengono acquistati nel momento sbagliato, cioè poco prima di una fase di ribassi sui mercati. Meglio dunque non farsi prendere mai troppo dall’entusiasmo: le azioni che fanno guadagnare sempre, infatti, non sono mai esistite né mai esisteranno. n
eventi
Cosmofarma Exhibition compie 20 anni Cosmofarma Exhibition, l’evento di BolognaFiere leader in Europa nell’ambito dei prodotti e servizi legati al mondo della farmacia, in programma a Bologna dal 15 al 17 aprile 2016, celebra la sua 20a edizione. «20 anni di Cosmofarma: un traguardo importante per una manifestazione che, mai come oggi, guarda al futuro – ha dichiarato Duccio Campagnoli, Presidente di Bologna Fiere –. Dal 1996, anno in cui è nata, Cosmofarma ha triplicato l’area espositiva, quadruplicato le presenze delle aziende, più di 400.000 addetti ai lavori l’hanno visitata, sono state organizzate 2.500 ore di approfondimento professionale, sono stati consegnati Premi ad oltre 200 aziende, come riconoscimento dell’attività di imprese e farmacie». Questa edizione vede ancora una volta il prestigioso patrocinio di Federfarma, la Federazione che raccoglie oltre 16.000 farmacie italiane, e il sostegno del Gruppo Cosmetici in Farmacia di Cosmetica Italia. «Cosmofarma offre sempre nuovi utili spunti per rendere le farmacie al passo con i tempi e con l’innovazione, – ha commentato Annarosa Racca, Presidente Federfarma – rafforzandone la funzione di primo presidio sociosanitario sul territorio, capace di dare risposte sempre più adeguate alle diverse esigenze di salute e di benessere della popolazione. Anche in questa ventesima edizione i temi dei focus sono di grande attualità e i colleghi possono trovare molteplici opportunità di aggiornamento professionale oltre, naturalmente, a preziose occasioni di incontro con le aziende. Tutto quello che serve per lo sviluppo di una farmacia sempre più moderna e vicina alla gente, un presidio che, in un momento di grande trasformazione del conte-
sto sociale, normativo e economico, contribuisca a spostare il baricentro della sanità dall’ospedale al territorio. In questo quadro, per agevolare il processo di territorializzazione dell’assistenza e rafforzare il legame con il SSN, si colloca la farmacia dei servizi». Creiamo valore, condividiamo il sapere Il claim scelto per il 2016 rappresenta la storia ventennale Cosmofarma Exhibition “Creiamo valore, condividiamo il sapere” sottolinea il ruolo di Cosmofarma come piattaforma in cui nascono progetti e idee per il futuro della farmacia, e dove si incontrano le esperienze imprenditoriali, l’ingegno e la creatività delle aziende leader del settore. Questi contenuti di eccellenza vengono condivisi con tutti i protagonisti del settore, mediante momenti di formazione, corsi di approfondimento e presentazioni dei prodotti e dei servizi più innovativi. I focus 2016 L’offerta espositiva e convegnistica di Cosmofarma Exhibition 2016 si articola secondo quattro focus di approfondimento, in linea con le più recenti analisi del mercato farmaceutico le necessità di business delle aziende espositrici. In primo piano la cosmesi in farmacia, che con un valore consolidato di circa 2 miliardi di euro continua ad essere una delle voci principali nel bilancio economico delle farmacie. Il focus vedrà un approfondimento con la seconda edizione del convegno “Dermocosm – Vita Cutis”, organizzato con il Professor Antonino di Pietro, dove saranno analizzati i principali temi e le novità terapeutiche relative ai problemi della cute, con la partecipazio-
ne congiunta di medici dermatologi, chirurghi plastici, medici estetici e farmacisti, uniti nel rispondere alle problematiche comuni del cittadino. Riflettori puntati sull’alimentazione, in risposta all’incremento economico del mercato per gli integratori e i nutraceutici, che hanno raggiunto un valore di circa 2,5 miliardi di euro di fatturato, superiore del 10% rispetto allo scorso anno. A tal proposito, dietologi e nutrizionisti saranno invitati a un “simposium” focalizzato sulla nutrizione e sui suoi effetti sull’organismo. Novità del 2016 è il focus sui medical devices/diagnostica e prevenzione: macchinari, prodotti e servizi che permettono di tenere sotto controllo specifiche patologie mediche, migliorando la qualità della vita dei pazienti. Infine si affronta il tema del management in farmacia e della farmacia: un’analisi delle attività di marketing, comunicazione, visual merchandising e di tutte quelle voci gestionali che influenzano il fatturato di una farmacia, rendendola sempre più una vera e propria attività imprenditoriale. aprile 2016
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eventi
FarmacistaPiù, in 4mila a Firenze per la terza edizione Tre giorni di lavori, 43 convegni, 167 relatori, oltre 200 interventi, 22 associazioni di categoria presenti e, soprattutto, 4.000 partecipanti, in rappresentanza dell’intero mondo della farmacia e della professione di farmacista: sono i numeri scaturiti dalla terza edizione di FarmacistaPiù, il Congresso nazionale dei farmacisti Italiani, svoltosi a Firenze dal 18 al 20 marzo. «Oggi non hanno vinto solo i numeri – ha detto in conclusione il senatore Luigi D’Ambrosio Lettieri, Presidente del Comitato Scientifico di FarmacistaPiù e Vicepresidente di Fofi (la Federazione Ordini dei farmacisti Italiani, organizzatrice del Congresso con la partnership di Utifar e Fondazione Francesco Cannavò in collaborazione con Edra) – oggi ha vinto la qualità, la competenza, la concretezza dei dibattiti e degli interventi nei tanti momenti convegnistici». Convegni che hanno affrontato quella che lo stesso D’Ambrosio Lettieri ha definito la sfida del farmacista di domani: «offrire un modello virtuoso nell’integrazione tra sfera sociale e sanitaria, in un mondo di complessità, dove nulla è semplice ma dove dobbiamo essere pronti a cogliere tempestivamente tante importanti opportunità per il rilancio del ruolo professionale e di mission per la farmacia italiana». Giudizio condiviso dal presidente
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di Fofi, senatore Andrea Mandelli: «La formula di FarmacistaPiù è in continua evoluzione ma si conferma un congresso dei farmacisti che ha l’obiettivo di continuare a formare i farmacisti dandogli idee per affrontare il futuro». Confrontarsi con le sfide in atto e con tutti gli attori, politici, scientifici e istituzionali era l’obiettivo dichiarato dal Comitato Scientifico di FarmacistaPiù, di cui fanno parte, oltre agli stessi D’Ambrosio Lettieri e Mandelli, il direttore dell’Aifa Luca Pani e il presidente di Utifar Eugenio Leopardi. Obiettivo centrato, a giudicare dal parterre istituzionale che ha visto sabato mattina, confrontarsi, in un’affollatissima plenaria dedicata al Ddl Concorrenza, il ministro per le Riforme Maria Elena Boschi («un comparto, quello della farmaceutica, che registra una crescita talmente evidente da rappresentare un secondo made in Italy»); il vice ministro allo Sviluppo economico Antonio Gentile («Si tratta di superare definitivamente le “lenzuolate” di antica memoria, ricercando una soluzione equilibrata e rispettosa del ruolo e della professione di tutti»); i presidenti delle Commissioni Parlamentari, rispettivamente di Camera e Senato, Mario Marazziti ed Emilia Di Biasi – entrambi contrari a una deregulation che finisca per snaturare il ruolo delle farmacie quale servizio pubblico essenziale – e, infine, il relatore del Ddl concorrenza in Commissione Industria, senatore Luigi Marino, che ha confermato l’accelerazione nell’iter di approvazione del Ddl con l’arrivo in aula previsto per la prima parte di aprile. Al tema della concorrenza si è aggiunto quello delle riforme, in senso federalista, del Servizio Sanitario Nazionale, con la partecipazione dell’on. Federico Gelli, responsabile Sanità del Partito Democratico («meno ospedale, più territorio: così si salva il Ssn») e dell’assessore
per il Diritto alla Salute della Regione Toscana, Stefania Saccardi («farmacisti strategici, metteremo risorse per valorizzarli»). L’altro tema caldo della produzione farmaceutica e dei farmaci innovativi si è sviluppato con gli interventi di Massimo Scaccabarozzi, presidente di Farmindustria e Luca Pani, direttore dell’Aifa, secondo il quale: «sotto il profilo della sostenibilità dei costi per l’innovazione la farmacia può svolgere un compito strategico e contribuire a contenere la spesa e a recuperare risorse da dedicare ai nuovi medicinali». FarmacistaPiù non è stato solo un appuntamento dedicato alle urgenze legislative: il congresso si è articolato in una ricchissima attività di approfondimenti scientifici e tematici che hanno affrontato i temi delle Medicine Use Review e della farmacia oncologica, della medicina predittiva e dell’evoluzione della farmacia verso pharmaceutical care e chronic care model, solo per citarne alcuni. Un contesto – la dichiarazione di Ludovico Baldessin, direttore esecutivo di Edra – nel quale «la sanità si sta sempre di più “deospedalizzando”, potenziando l’assistenza territoriale e conferendo, tra gli altri, al farmacista il ruolo di migliorare l’assistenza ai pazienti complessi come quelli colpiti da patologie croniche, anche di natura oncologica».
attualità
Lo stretto legame tra sonno e invecchiamento cerebrale Il cervello è un organo straordinario che, a differenza di altre parti del corpo, non si usura, anzi funziona in maniera più efficace se allenato. Per preservare la salute cerebrale è importante riposare bene: secondo gli esperti dormire male contribuirebbe al declino cognitivo e al rischio di demenza
In occasione della Settimana Mondiale del Cervello, che si è svolta dal 14 al 20 marzo 2016, gli esperti della Società Italiana di Neurologia (Sin) hanno voluto richiamare l’attenzione sui numerosi studi scientifici che dimostrano come il cervello, a differenza di altri organi, migliori il proprio funzionamento in proporzione al lavoro effettuato e non risenta, quindi, di un particolare processo di usura correlato al suo impegno continuo. «Fin dall’età giovanile – ha dichiarato il professor Leandro Provinciali, Presidente Sin e Direttore della Clinica Neurologica e del Dipartimento di Scienze Neurologiche degli Ospedali Riuniti di Ancona – il cervello riduce la sua componente più nobile, la quantità di neuroni: in pratica, a breve distanza dall’epoca in cui ha completato il proprio sviluppo inizia a perdere cellule ma, con l’apprendimento, crea nuove connessioni fra i neuroni. In realtà, i collegamenti fra i neuroni rimangono attivi se impiegati con continuità, mentre il numero delle cellule decresce progressivamente, pur non compromettendole prestazioni fino all’età molto avanzata». Una riduzione dell’efficienza cognitiva potrebbe significare l’inizio di un decadimento cerebrale, ma i meccanismi di compensazione attuati sono tali che l’espressione clinica si realizza molto tardivamente rispetto ai cambiamenti biologici. In generale, mettono in guardia gli esperti,
la prima a essere interessata dal decadimento cognitivo è la memoria di episodi, seguita dalla rievocazione di nomi propri. È bene rivolgersi a un neurologo quando si notano le prime avvisaglie di questo tipo. L’importanza di un buon sonno Numerosi studi hanno dimostrato come il sonno e l’invecchiamento cerebrale siano strettamente correlati: da un lato, dormire poco e male contribuisce al declino cognitivo e al rischio di demenza; dall’altro, con il passare degli anni si assiste a un’alterazione del ciclo sonno/veglia con maggiore vulnerabilità a stimoli esterni a causa della riduzione delle onde delta del sonno profondo, con conseguente maggior frammentazione del sonno. Riposare bene è fondamentale, ma non sempre si riesce a farlo a causa di stili di vita frenetici e patologie del sonno spesso sottovalutate. Le alterazioni del sonno si associano spesso a patologie del sistema nervoso «I disturbi del sonno colpiscono circa 13 milioni di italiani – ha affermato il professor Gianluigi Gigli, Ordinario di Neurologia presso l’Università di Udine –. I principali sono l’insonnia, che, in forma più o meno grave, colpisce circa il 41% della popolazione, la sindrome delle apnee in sonno, di cui soffrono circa 2 milioni di italiani, la sindrome delle gambe senza riposo, che colpisce 3 milioni
di italiani, ed i disturbi del ritmo circadiano. I disturbi del sonno si associano spesso ad altre malattie, soprattutto a carico del Sistema Nervoso». Ad esempio, i soggetti affetti da decadimento cognitivo sono frequentemente colpiti anche da alterazioni del sonno. La sindrome delle apnee in sonno è un fattore di rischio riconosciuto per malattie cardio e cerebrovascolari. I pazienti affetti da epilessia lamentano frequenti disturbi del sonno quali insonnia, eccessiva sonnolenza diurna, apnee nel sonno, sonno notturno frammentato, movimenti periodici degli arti in sonno, che spesso sono un fattore limitante il corretto controllo delle crisi. La sclerosi multipla è invece associata a svariati disturbi del sonno, quali insonnia, spasmi notturni, narcolessia, disturbi respiratori in sonno e, in particolare, alla sindrome delle gambe senza riposo. aprile 2016
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attualità
Mal di schiena, al via la campagna informativa nelle farmacie Un’iniziativa che vuole sensibilizzare i cittadini sulla malattia del dolore e arruolare pazienti per il progetto Pain-Omics, una ricerca scientifica internazionale che ha lo scopo di identificare i marcatori genetici alla base dell’evoluzione di un mal di schiena da acuto a cronico
Sono oltre 500 le farmacie coinvolte su tutto il territorio nazionale, che a partire da metà aprile e per tutto l’anno, distribuiranno materiale informativo sul dolore e sulla Legge 38/2010 e realizzeranno un’indagine per capire quali siano le reali esigenze e aspettative dei cittadini con sintomatologia algica nell’ambito della campagna educazionale e di sensibilizzazione promossa da Pinhub (Pain Interregional Network HUB), la prima Rete nazionale per la terapia del dolore, in collaborazione con la Federazione degli Ordini dei Farmacisti Italiani (Fofi) e con alcune associazioni territoriali di medici di medicina generale. Il network italiano Pinhub riunisce una ventina di centri HUB di riferimento per la terapia antalgica e le cure palliative, accreditati da Delibera regionale. È nato ufficialmente a gennaio 2016 con l’obiettivo di favorire la ricerca sul dolore, la definizione e implementazione di appropriati Percorsi Diagnostico Terapeutici Assistenziali (PDTA), per garantire ai cittadini con sintomatologia dolorosa un’uguaglianza di trattamento, ovunque risiedano nel Paese, e una corretta e uniforme applicazione della Legge 38. Saranno 5 mila i pazienti coinvolti nello studio Protagonisti del progetto saranno il farmacista e il medico di medicina generale. In prima linea ci sarà il farmacista che condurrà uno screening sulle diverse tipologie di dolore, tramite 62
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un’apposita check list, e individuerà i potenziali pazienti con mal di schiena improvviso da inviare al medico di famiglia. Quest’ultimo valuterà se indirizzarli a un centro HUB per una visita specialistica e per l’eventuale inserimento della ricerca Pain-OMICS. La ricerca scientifica internazionale PainOMICS supportata da Pinhub è coordinata dall’HUB di Parma e mira a identificare i marcatori genetici associati alla trasformazione di un mal di schiena acuto in una forma cronica, per poterne migliorare la diagnosi e la cura. Si tratta di uno studio di genetica totalmente finanziato con fondi della Commissione Europea ed è il più importante condotto finora a livello mondiale sulla lombalgia, patologia dolorosa molto diffusa, che nel 35% dei soggetti colpiti può sviluppare sintomi di cronicità. Obiettivo di Pain-OMICS è arruolare in Italia ben 5 mila pazienti entro la fine del 2016. «I tempi sono maturi per una reale applicazione della Legge 38 – ha dichiarato il “padre” della normativa Guido Fanelli, Professore Ordinario di anestesia, rianimazione e terapia del dolore all’Università di Parma e Direttore Scientifico del progetto Pinhub –. L’accordo tra Fofi e Pinhub rappresenta uno step ulteriore nel cammino del nostro progetto e dà vita a un’alleanza che coinvolge non solo i Centri Hub di tutte le regioni, ma anche i Medici di famiglia e, da oggi, le farmacie. Questo in linea con i nostri obiettivi: assistere i cittadini con
dolore, favorire lo scambio dei dati e promuovere la ricerca. A cominciare da quella sul mal di schiena, patologia che colpisce tra i 12 e i 15 milioni di italiani; ecco perché Pinhub supporta Pain-OMICS, il più significativo progetto di ricerca scientifica degli ultimi anni sulla lombalgia». «La Federazione degli Ordini dei Farmacisti ha deciso di sostenere questo progetto di Pinhub per una serie di considerazioni importanti – spiega il senatore Andrea Mandelli, Presidente Fofi –. Innanzitutto perché la patologia al centro dell’iniziativa è una delle occasioni più frequenti di accesso alla farmacia, soprattutto alla ricerca di un intervento in automedicazione, ma anche di consigli e indicazioni per affrontare correttamente e in modo efficace il mal di schiena. Il Farmacista, quindi, mette a disposizione la sua prossimità al cittadino per il reclutamento dei pazienti da avviare al percorso diagnostico-terapeutico e, al contempo, rinsalda il rapporto con gli altri professionisti della salute presenti sul territorio: il Medico di Medicina Generale e lo specialista algologo. Non poteva mancare l’apporto dei farmacisti a questo progetto, che punta a migliorare la qualità del trattamento del dolore, un’area che li ha sempre visti in prima fila». Per informazioni sarà attivo il Numero Verde 800.178.541, a cui potrà rivolgersi chiunque abbia problemi di dolore e necessiti di maggiori informazioni.
attualità
Cittadini stranieri, accesso in ospedale è spesso in urgenza Rispetto agli italiani, tra i cittadini stranieri prevale una percezione più positiva del proprio stato di salute. Le patologie più diffuse tra gli stranieri sono quelle che interessano l’apparato respiratorio, quello digerente e i denti, mentre l’accesso in ospedale spesso è in urgenza sia per infortuni sul lavoro che per gravidanza o parto
Iniziamo a sfatare una leggenda metropolitana che si sente pronunciare spesso, quella secondo cui gli immigrati stranieri sono portatori di malattie. Ebbene, gli esperti della cosiddetta medicina delle migrazioni concordano nell’affermare che i migranti contraggono più malattie nel Paese di immigrazione (a causa della precarietà delle condizioni di vita nelle fasi iniziali di inserimento) rispetto a quelle che portano con sé dal Paese di emigrazione, da do-
ve partono nella grande maggioranza dei casi giovani e sani. Gli immigrati presentano profili di sofferenza sanitaria (malattie da disagio, infortunistica soprattutto sul lavoro, malattie infettive, ecc.) addebitabili quasi sempre a politiche di integrazione decisamente poco efficaci, difficoltà di accesso ai servizi e problematiche comunicative con gli operatori sanitari. Dunque, il pericolo per la salute pubblica nel Paese di im-
migrazione è causato proprio dalla mancanza di un’adeguata politica dell’accoglienza, a causa della quale l’immigrato da una parte viene esposto al rischio di malattia anche grave e infettiva e dall’altra gli nega o rende difficile l’accesso ai servizi sanitari di prevenzione e cura. In tema di salute e di assistenza agli immigrati stranieri l’Italia presenta una normativa molto avanzata che prevede per coloro i quali sono provvisti di regolare permesso di soggiorno l’obbligo di iscrizione al Servizio sanitario nazionale e per quelli irregolari le cure ambulatoriali e ospedaliere urgenti o continuative, per malattia e infortunio, oltre alla possibilità di essere inseriti in programmi di medicina preventiva a salvaguardia della salute individuale e collettiva. I dati Istat In tema di numeri, facendo riferimento al censimento Istat 2011, risultano risiedere in Italia 4 milioni e 29.145 cittadini stranieri (il 6,8% del totale della popolazione residente), di cui il 53,3% costituito da donne. Gli immigrati provenienti dai Paesi a forte pressione migratoria rappresentano circa il 95% del totale degli stranieri residenti in Italia soprattutto al nord. Negli anni 2011-2012 l’Istat ha condotto per la prima volta una rilevazione statistica sulla “Condizione e integrazione sociale dei cittadini stranieri”, attraverso la quale sono state ricavate informazioni su numerosi aspetti aprile 2016
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attualità
alta incidenza di ricoveri per traumi da lavoro Le principali cause di ricovero negli uomini dei Pfpm, invece, sono rappresentate da «traumatismi e avvelenamenti» (15%), legati agli infortuni sul lavoro e a varie tipologie di incidenti, seguite dalle malattie dell’apparato digerente (12%) e di quello respiratorio (12%), mentre per quelli dei Psa prevalgono le malattie del sistema circolatorio (21%) e i tumori (11%). Questi dati non evidenziano specifiche criticità sanitarie se non l’elevata frequenza di ricoveri per traumatismi negli uomini (da imputare in genere all’elevato numero di incidenti lavorativi in particolare se il lavoro è in nero), e un rischio maggiore per le malattie infettive (quasi il doppio rispetto ai residenti autoctoni), seppur con un trend in diminuzione. La maggior parte delle malattie infettive riscontrate sono espressione di una fragilità sociale dovuta, spesso, a promiscuità abitativa, difficoltà di accesso ai servizi, scarsa igiene negli ambienti di vita e lavoro e poca attenzione alla prevenzione.
del processo di inserimento dei cittadini stranieri in Italia, tra cui quello relativo alle condizioni di salute. Tra i cittadini stranieri prevale una percezione positiva del proprio stato di salute in misura maggiore rispetto agli italiani: per l’87,5% le proprie condizioni di salute sono buone o molto buone a fronte dell’83,5% degli italiani. A sentirsi in buona salute tra i cittadini dei Paesi Ue sono soprattutto i polacchi (88,4%), tra i non comunitari i cinesi e i filippini (90,2%) e gli indiani (88,8%). In fondo alla classifica si trovano gli ucraini (85,8%) e i marocchini (85,2%). Le patologie più diffuse sono quelle dell’apparato respiratorio (65,4 stranieri ogni mille), dell’apparato digerente e dei denti (20,2 per mille), quelle del sistema nervoso (19,8) e quelle del sistema osteomuscolare (15,5). I disturbi che interessano l’apparato muscoloscheletrico da sovraccarico biomeccanico sono assai diffusi tra lavoratrici e lavoratori stranieri, per via delle attività logoranti esercitate, caratterizzate da sforzi continui e prolungati. 64
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A livello nazionale per l’anno 2010, la proporzione dei ricoveri ordinari in urgenza è stata del 54,1% nella categoria dei Psa, del 64,1% in quella dei Pfpm residenti e del 74,5% tra i non residenti. La distribuzione dei ricoveri in urgenza evidenzia che la maggiore frequenza di accesso con tale modalità per gli appartenenti ai Pfpm si verifica in tutte le classi di età, tranne quelle estreme (inferiori a 4 anni e superiori a 64 anni). Ciò suggerisce, anche in considerazione delle principali cause di ricovero, che per gli uomini l’urgenza è condizionata da traumi e incidenti, mentre le donne utilizzano la modalità dell’urgenza anche per gravidanza/parto, a causa di scarsa conoscenza/utilizzo dei servizi territoriali e della medicina generale, oltre a una difficoltà ad essere prese in carico da questi. Il pronto soccorso dunque risulta essere la principale modalità di accesso alle cure a cui gli immigrati dei Pfpm fanno ricorso.
I lavoratori stranieri sono generalmente esposti a maggiori rischi di infortunio rispetto agli autoctoni, e tali rischi sono soprattutto a carico dei lavoratori maschi impegnati in attività non qualificate e particolarmente pesanti. Nel 2010 gli infortuni sul lavoro riconosciuti dall’Inail sono stati 536.258, di questi 78.368, pari al 14,6% del totale, hanno riguardato i lavoratori nati all’estero. In assenza di disturbi o sintomi va dal medico il 57,5% degli stranieri, di più le donne (59,6% contro il 53,9% degli uomini) e i giovani under 14 (62,9%), di meno i cinesi (44,1%). Inoltre il 13,8% degli stranieri (da 14 anni in su) mostra difficoltà a spiegare in italiano i disturbi al medico e il 14,9% a comprendere ciò che il medico dice. Lo svantaggio è maggiore per le donne, per gli over 54, per chi ha un titolo di studio basso e per le comunità cinesi, indiane, filippine e marocchine. I ricoveri ospedalieri A livello nazionale, ancora oggi, la fonte più attendibile ed esaustiva sulla salute degli im-
migrati stranieri è quella che fa riferimento alle schede di dimissione ospedaliera. Secondo il progetto nazionale di indagine messo a punto da ministero della Salute in collaborazione con l’Agenas “La salute della popolazione immigrata: il monitoraggio da parte dei Sistemi sanitari regionali”, nel 2010, su oltre 10 milioni di ricoveri totali avvenuti nelle strutture italiane la proporzione dei ricoveri degli immigrati stranieri provenienti dai Paesi a forte pressione migratoria (Pfpm) residenti è risultata pari al 4,4%. L’analisi dei ricoveri ordinari dei residenti per sesso evidenzia, sia a livello delle Regioni che a livello nazionale, un maggior ricorso del genere femminile, soprattutto nella categoria dei Pfpm. A livello nazionale la proporzione dei ricoveri delle donne dei Pfpm è del 68,5%, mentre per quelle dei Paesi a sviluppo avanzato (Psa) tale proporzione è del 52,5% (anno 2010). La maggior frequenza di ricoveri tra gli uomini del gruppo Pfpm si verifica tra i 18-49 anni, mentre per le donne più della metà dei ricoveri si concentra nella classe 18-34 anni. Per gli uomini e le donne dei Psa la maggiore proporzione di ricoveri, come era da attendersi, è a carico delle classi di età anziane (maggiori di 64 anni). In Italia, nel 2010, si sono registrati 172 ricoveri totali ogni 1.000 individui appartenenti ai Psa residenti e 103 ogni 1.000 dei Pfpm residenti: la popolazione dei Pfpm, dunque, ricorre al ricovero meno di quanto non avvenga per quella dei Psa, verosimilmente perché si tratta di una popolazione giovane e quindi con minori bisogni assistenziali. A livello nazionale (anno 2010), le principali cause di ricovero delle donne dei Pfpm di tutte le età sono legate alla gravidanza, parto e puerperio (51%), seguite dalle malattie dell’apparato digerente (6%) e del sistema genito-urinario (6%). Per quelle dei Psa i motivi principali sono riconducibili a gravidanza, parto e puerperio (17%), a malattie del sistema circolatorio (15%) e ai tumori (10%). Vincenzo Marra
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Gunabasic, salute e benessere per l’intero organismo
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unabasic è l’integratore completo adatto per ripristinare un ideale rapporto acido-base, correggere i disturbi legati al suo squilibrio e favorire il drenaggio dell’organismo. La sua formula contiene una selezione di componenti, tra cui sali minerali, beta carotene ed estratti vegetali, noti per le proprietà alcalinizzanti, drenanti e remineralizzanti. Tra questi spiccano lo zinco, che contribuisce al fisiologico metabolismo acido-base, e il magnesio, che regola l’equilibrio elettrolitico. Inoltre gli estratti vegetali di carota e finocchio sono utili per il drenag-
gio dei liquidi corporei, mentre l’estratto vegetale di tarassaco contribuisce alle funzioni depurative dell’organismo. Per evitare possibili effetti collaterali, i fosfati, i carbonati e i citrati presenti in Gunabasic sono formulati per coprire il range completo di sistemi tampone e in una concentrazione bilanciata, garantendo il riequilibro del pH senza scompensare verso l’alcalinizzazione. Gunabasic è la soluzione ideale per coloro che soffrono di acidità legata a una cattiva alimentazione, seguono una dieta sbilanciata
(iperproteica) o hanno ritmi di vita stressanti o abitudini poco salutari (fumo, alcool, mancanza di attività fisica). Apporta beneficio a chi si appresta a seguire una dieta dimagrante e agli atleti che abusano di integratori proteici non bilanciati. Gunabasic è anche raccomandato per preparare il “terreno” del paziente prima di una qualunque terapia farmacologica. Gunabasic è privo di glutine e da oggi è disponibile con glicosidi steviolici (stevia).
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a problematica della pelle reattiva e allergica è in continua crescita, a tal punto che è stata classificata dall’Oms al quarto posto tra le malattie croniche. Reattive o allergiche, entrambi questi tipi di pelle ipersensibile diventano col tempo intolleranti ai cosmetici. Per donare sollievo e per riconciliare queste pelli con l’utilizzo dei cosmetici, Laboratoires Svr presenta Sensifine, una linea sicura
per tutte le pelli ipersensibili e intolleranti con una formulazione ultra essenziale (meno di 12 ingredienti) per la massima tollerabilità. Nel cuore della formula si trova il 2% di niacinamide, ad azione lenitiva, antinfiammatoria, idratante e di rinforzo cutaneo, e il 10% di olio di cotone, fonte di omega-3, 6 e 9, ad azione riparatrice, riequilibrante e idratante.
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sanstime, l’UNICO SIERO AL MONDO CHE RICOSTRUISCE L’ACIDO Jaluronico nel derma per via transdermica
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l siero SansTime (brevetto n. 2072032), a differenza di diversi prodotti anti-age in commercio, non contiene acido jaluronico, bensì i suoi precursori: acido
glucuronico e N-acetyl glucosamina. Sono queste le due molecole che introdotte nel derma con un liposoma diventeranno, attraverso l’azione della jaluron sintetasi, acido jaluronico. Si tratta di acido jaluronico vero, quello naturale, poiché prodotto fisiologicamente attraverso un processo biochimico. L’acido jaluronico che si viene a formare dopo 20-25 giorni avrà raggiunto un peso molecolare di circa 500.000/600.000 dalton, sufficiente per produrre quell’idratazione profonda
essenziale per la distensione delle rughe di superficie e già dalla prima settimana di utilizzo si noteranno importanti benefici sulle zone trattate. SansTime non è formulato come un cosmetico tradizionale, poiché è essenzialmente un veicolo transdermico che serve a introdurre nei fibroblasti del derma le due sostanze che formeranno l’acido jaluronico. Queto siero viene assorbito velocemente senza lasciare tracce di unto o grasso in superficie, lascia la pelle liscia e compatta. Si presenta senza conservanti, coloranti e profumo; non contiene sostan-
ze di natura animale e non è stato testato su animali. SansTime si applica, secondo le necessità, sulle zone interessate del viso e del collo; si consiglia di massaggiare delicatamente fino ad assorbimento completo. Per le sue particolari caratteristiche formulative, si raccomanda di usare il siero da solo e prevalentemente di notte, poiché durante il riposo si ha una risposta più efficace. Medichem Tel. 02 92590281 www.medcos.it commerciale@medcos.it
LIPOSCUDIL PLUS, L’INTEGRATORE CHE CONTRIBUISCE AL CONTROLLO DEL COLESTEROLO NEL SANGUE
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iposcudil Plus è un integratore alimentare caratterizzato dalla presenza di elevate quantità di riso rosso fermentato (di cui 10 mg di monacolina K) che contribuiscono al mantenimento di livelli normali di colesterolo nel sangue. Inoltre nella formula di Liposcudil Plus è stato inserito il coenzima Q10 (30 mg) al fine di integrarne l’eventuale deplezione dovuta all’inibizione della sua sintesi da parte delle monacoline. L’integrazione del coenzima Q10 può essere utile nella mioprotezione e favorisce la bioenergetica cellulare. 66
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I componenti di Liposcudil Plus, il riso rosso fermentato da Monascus Purpureus e il coenzima Q10, per mezzo di un’innovativa tecnica farmaceutica sono stati adsorbiti in un sistema autoemulsionante che ne favorisce l’emulsionamento con i sali biliari.
Pertanto presentano il vantaggio di essere più solubili e quindi maggiormente biodisponibili. Con l’impiego di questa tecnica si assicura un’ottimale efficacia del riso rosso fermentato nonché una migliore biodisponibilità del coenzima Q10.
Liposcudil Plus è utile per favorire il controllo dei livelli ematici di colesterolo nell’ambito di una dieta globalmente adeguata. L’effetto benefico si ottiene con l’assunzione di una capsula al giorno da deglutire con un po’ d’acqua, preferibilmente dopo il pasto serale. Per l’uso del prodotto si consiglia di sentire il parere del medico. Piam Farmaceutici Tel. 010 518621 info@piamfarmaceutici.com www.piamfarmaceutici.com