Professione Salute 1/2018

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FARMACOPEA Un tavolo tecnico è al lavoro per l’aggiornamento della farmacopea ufficiale

NUTRIZIONE Aumento di peso nelle donne di mezza età: il ruolo controverso della menopausa

PEDIATRIA Come quantificare e trattare la sintomatologia dolorosa nel bambino

PATOLOGIE RESPIRATORIE Gestione dell’asma in gravidanza: meglio non interrompere la terapia

marzo 2018

INQUINAMENTO Polveri sottili, biossido di azoto e ozono: gli effetti negativi sulla salute

Corso accreditato ECM Modulo 1 Intolleranza al lattosio: dalla definizione clinica all’intervento nutrizionale



editoriale

Allergie e intolleranze alimentari

Hellas Cena

Le reazioni avverse agli alimenti stanno crescendo a ritmi così vertiginosi, nel mondo occidentale, da meritarsi l’appellativo di vera e propria “epidemia allergica”. Le ragioni di tale fenomeno sono state ricondotte a diversi fattori: l’ereditarietà, la ridotta esposizione a microbi, il consumo di nuovi prodotti alimentari, l’evoluzione delle tecniche di produzione degli alimenti e l’incremento della sensibilità ad allergeni dei pollini che ha portato a un incremento delle reazioni crociate con gli alimenti, nonché l’inquinamento ambientale e il cambiamento climatico. Purtroppo è estremamente difficile fornire dati precisi sulla reale prevalenza delle reazioni avverse (immunologiche e non) agli alimenti, in quanto rappresentano un problema di difficile valutazione, soprattutto perché risultano spesso sovrastimate dalla percezione individuale. Diversi altri studi europei confermano questa discrepanza fra il sospetto clinico-anamnestico e la conferma diagnostica. A ciò si aggiunge una ampio numero di patologie internistiche, che può mimare la sintomatologia clinica di un’allergopatia per cui si rende necessaria una diagnosi differenziale. Il tutto si complica quando ci si trova di fronte alle cosiddette “intolleranze indefinite” cioè quelle manifestazioni in cui non si evidenzia un deficit enzimatico o una sintomatologia causata da sostanze farmacologicamente attive presenti negli alimenti, nè si possono dimostrare reazioni immunomediate pur in presenza di sintomi riconducibili ad una aller-

Le reazioni

avverse agli alimenti stanno crescendo a ritmi così vertiginosi nel mondo occidentale,

da meritarsi l’appellativo

gia, e che spesso vengono “indagate” con metodologie non validate.

di vera e propria

In questo contesto Professione Salute, in collaborazione con il Laboratorio di Dietetica

epidemia allergica

e Nutrizione Clinica dell’Università Degli Studi di Pavia, propone quest’anno, come tematica del corso Fad 2018, la tematica delle allergie e intolleranze alimentari, offrendo un aggiornamento scientifico e indicazioni pratiche in merito a un fenomeno di grande attualità con particolare riguardo ai seguenti temi. Intolleranza al lattosio. L’intolleranza al lattosio è una condizione causata dal deficit dell’enzima lattasi, una beta-galattosidasi in grado di scindere il lattosio nei due monosaccaridi che lo compongono: nei soggetti deficitari è essenziale un’alimentazione priva di lattosio per evitare la sintomatologia derivante dall’incompleta digestione. Reazioni avverse al nichel: linee guida per una dieta nichel free. Il nichel rappresenta una delle cause della dermatite da contatto ed essendo presente in molti alimenti, nonché in diversi utensili da cucina, una modalità di esposizione è quella alimentare. Evidenze scientifiche dimostrano il beneficio derivato da un intervento dietoterapico, pianificando un adeguato livello di assunzione. marzo 2018

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editoriale

Celiachia e Gluten Sensitivity. La varietà dei disturbi legati all’ingestione di glutine è molto ampia e complessa: la Gluten Sensitivity è una condizione in cui l’ingestione di glutine provoca una sintomatologia sovrapponibile a quella relativa alla celiachia, differenziandosi da essa in quanto non vengono riscontrate alterazioni anatomiche intestinali e risposta autoimmune da parte dell’organismo. Diagnosi delle allergie alimentari: quali novità? Ogni manifestazione indesiderata e imprevista conseguente all’assunzione di un alimento si traduce in quadri clinici estremamente diversi: l’iter diagnostico deve seguire percorsi scientificamente validati e definiti, riducendo al minimo il rischio per la salute del paziente. I probiotici nella prevenzione delle allergie. Negli ultimi anni sempre più studi hanno associato l’alterazione, meglio definita come “disbiosi”, del microbiota intestinale con la sensibilizzazione alle patologie allergiche, ipotizzando l’uso dei probiotici come azione preventiva ed efficace. Approfondire le conoscenze su questi disturbi è molto attuale e utile per tutti coloro che si occupano di benessere e salute. Una diagnosi precoce e un trattamento dietetico adeguato sono indispensabili per il successo terapeutico e per evitare di ricorrere a test diagnostici non scientificamente validati pur di trovare una soluzione alla sintomatologia. Test che, per mancanza di specificità diagnostica, possono indurre a classificare falsi positivi, causando l’eliminazione di alimenti o gruppi di alimenti che espongono il soggetto, che si sottopone a diete “restrittive” non bilanciate, al rischio di sviluppare gravi carenze nutrizionali. Hellas Cena Medico Chirurgo, Specialista in Scienza dell’Alimentazione Professore di Nutrizione Umana, Ricercatore responsabile del Laboratorio di Dietetica e Nutrizione Clinica, Università degli Studi di Pavia Vice Presidente Associazione Nazionale Specialisti in Scienza dell’Alimentazione (ANSiSA)

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sommario

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Corso ECM a distanza Modulo 1 intolleranza al lattosio: dalla definizione clinica all’intervento nutrizionale A cura di Mara Oliveri e Valentina Leccioli

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Editoriale

8 Ne parliamo con al lavoro il tavolo per la revisione della farmacopea ufficiale Intervista ad Andrea Mandelli di Renato Torlaschi

Professione Salute Bimestrale di counseling e formazione alla prevenzione Direttore responsabile Giuseppe Roccucci Board Scientifico Hellas Cena (Direttore) Donatella Ballardini Silvia Brazzo Mario Calzavara Mariano Casali Rachele De Giuseppe Massimo Labate Luca Marin Mara Oliveri Marco Rufolo

10 Il brand in lancio Idratanti con ceramidi in emulsione multivescicolare: valutazione del contributo in caso di acne

Grafica Grafic House info@grafichouse.org Hanno collaborato in questo numero Carla Carnovale, Anna Gerbaldo, Valentina Leccioli, Matteo Manuelli, Mara Oliveri, Piercarlo Salari, Renato Torlaschi Vendite Stefania Bianchi s.bianchi@griffineditore.it Paola Cappelletti p.cappelletti@griffineditore.it Giovanni Cerrina Feroni g.cerrinaferoni@griffineditore.it Lucia Oggianu l.oggianu@griffineditore.it Ufficio Abbonamenti Maria Camillo customerservice@griffineditore.it Tel. 031.789085 - Fax 031.6853110 Stampa Alpha Print via Bellini 24 - Busto Arsizio (VA)

Coordinamento editoriale Rachele Villa r.villa@griffineditore.it 6

Redazione Andrea Peren a.peren@griffineditore.it Salute ottobre 2017 LaraProfessione Romanelli l.romanelli@griffineditore.it

SIDeMaST

Società Italiana di Dermatologia medica, chirurgica, estetica e delle Malattie Sessualmente Trasmesse

Editore Griffin srl unipersonale Piazza Castello 5/E - 22060 Carimate (CO) Tel. 031.789085 - Fax 031.6853110 www.griffineditore.it Professione Salute. Periodico bimestrale Anno IX - n. 1 - marzo 2018 Registrazione del Tribunale di Como n. 4 del 14.04.2010 ISSN 2531-8748 Iscrizione Registro degli operatori di comunicazione n. 14370 del 31.07.2006 Tutti gli articoli pubblicati su Professione Salute sono redatti sotto la responsabilità degli Autori. La proprietà letteraria degli articoli appartiene a Griffin. Il contenuto del giornale non può essere riprodotto o traferito, neppure parzialmente, in alcuna forma e su qulalsiasi supporto, salvo espressa autorizzazione scritta dell’Editore. Ai sensi della legge in vigore, i dati dei lettori saranno trattati sia manualmente sia con strumenti informatici e utilizzati per l’invio di questa e altre pubblicazioni o materiale informativo e promozionale. Le modalità di trattamento saranno conformi a quanto previsto dalla legge. I dati potranno essere comunicati a soggetti con i quali Griffin intrattiene rapporti contrattuali necessari per l’invio della rivista. Il titolare del trattamento dei dati è Griffin, al quale il lettore si potrà rivolgere per chiedere l’aggiornamento, l’integrazione, la cancellazione e ogni altra operazione prevista per legge. In base alle norme sulla pubblicità l’editore non è tenuto al controllo dei messaggi ospitati negli spazi a pagamento. Gli inserzionisti rispondono in proprio per quanto contenuto nei testi.


NOTA DELL’EDITORE

Il marchio ActaMedica entra nel gruppo Griffin Editore

28 Nutrizione menopausa e aumento di peso: quale rapporto? di Matteo Manuelli e Anna Gerbaldo

32 Pediatria la gestione del dolore nel neonato e nel bambino di Piercarlo Salari

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Patologie respiratorie L’asma in gravidanza

Salute e benessere inquinamento: È crisi globale e la salute è sempre più a rischio

di Carla Carnovale

di Renato Torlaschi

45 Attualità

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Le aziende informano

Nuovo marchio per la divisione libri di Griffin, l’editore di Professione Salute. Dopo lo sviluppo della divisione libri con l’acquisto del marchio Timeo, attivo soprattutto in area ortopedica, riabilitativa e radiologica, entra nel gruppo anche il marchio ActaMedica Edizioni, casa editrice nata nel 2009 con a catalogo moltissimi testi specialistici e libri di successo in particolare di anatomia, chirurgia plastica e medicina estetica. Griffin con ActaMedica sarà anche distributore unico del marchio SEE Firenze. La distribuzione libraria sarà sempre più multicanale: oltre alla capillare presenza agli eventi sul territorio, per toccare il libro con mano, è già attiva la distribuzione dei cataloghi Timeo e ActaMedica su Amazon Prime. «In Griffin stiamo costruendo un percorso virtuoso per l’aggiornamento dello specialista che collega i periodici e i libri ai tanti eventi sul territorio, a partire dai congressi delle società scientifiche, ai quali saremo sempre più presenti. Per questo stiamo investendo nell’ampliamento e rafforzamento della nostra divisione libri con l’acquisizione di marchi storici dell’editoria medico scientifica italiana» spiega Giuseppe Roccucci, presidente di Griffin. A sviluppare il catalogo di ActaMedica sarà ancora Patrizia Bonacini, proseguendo l’attività di questi anni in giro per i congressi di tutta Italia e a stretto contatto con medici e autori. «Il libro cartaceo è ancora oggi la più autorevole testimonianza del progresso in medicina e rappresenta la migliore sintesi tra l’evidenza scientifica della letteratura e l’esperienza clinica sul campo, che cerchiamo di raccontare in tutti i nostri periodici» ha detto Andrea Peren, giornalista e coordinatore editoriale della Casa editrice Griffin. «ActaMedica è per noi un ulteriore stimolo alla crescita. La nostra reputazione nelle aree della medicina in cui siamo presenti si è rafforzata moltissimo in questi anni – riflette l’Editore Giuseppe Roccucci –. Abbiamo dimostrato di essere un interlocutore qualificato e responsabile per tutti i nostri lettori e anche per le aziende, che con soddisfazione ci scelgono per le loro campagne di comunicazione e per la realizzazione di prodotti editoriali ad alto valore aggiunto».

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ne parliamo con

Al lavoro il tavolo per la revisione della FARMACOPEA UFFICIALE Il tavolo tecnico per l’aggiornamento della Farmacopea sta lavorando per rendere più pratico il lavoro del farmacista: negli ulimi anni molto è cambiato e il testo attuale è diventato ormai obsoleto per vari aspetti

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Intervista di Renato Torlaschi

l ministero della Salute ha nominato un tavolo tecnico che dovrà procedere alla revisione della Farmacopea ufficiale italiana, strumento fondamentale per l’attività del farmacista e che per troppo tempo non è stato oggetto del doveroso aggiornamento. Come ricorda Andrea Mandelli, presidente della Federazione ordine farmacisti italiani (Fofi), «siamo fermi alla XII edizione che è entrata in vigore nel marzo 2009; il tavolo di lavoro, al quale la Federazione degli Ordini è rappresentata dal Segretario Maurizio Pace e dal tesoriere Mario Giaccone, ha una durata di tre mesi dalla data della riunione di insediamento, con la possibilità di un’unica proroga, che potrà decidere il Tavolo stesso con durata massima di altri tre mesi».

Andrea Mandelli Presidente Fofi

Dottor Mandelli, cosa significa e cosa comporterà la revisione della Farmacopea? È bene ricordare che la Farmacopea, quella italiana come le altre, descrive i requisiti di qualità delle sostanze ad uso farmaceutico, le caratteristiche che i medicinali preparati debbono avere, suddivisi per categorie, ed elenca composizione qualitativa, e a volte quantitativa, nonché in qualche caso il metodo di preparazione di ogni farmaco galenico che le farmacie sono autorizzate a preparare. Ed è sempre la Farmacopea a indicare le sostanze, gli apparecchi e gli strumenti che devono essere obbligatoria-

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mente presenti in farmacia. Come dicevo è uno strumento fondamentale, tanto che ogni farmacia deve esserne provvista per legge. È evidente che dal 2009 a oggi molto è cambiato non soltanto in ambito farmacologico, ma anche normativo, tanto da rendere obsoleto il testo attuale per molti aspetti. Inoltre, va considerato che la XII edizione è da tempo esaurita e l’Istituto poligrafico dello Stato non aveva in programma una ristampa. Il risultato è che le farmacie di nuova istituzione si trovavano fuori legge non potendo ottenerne una copia: era quindi tempo che si provvedesse alla revisione e alla pubblicazione della nuova Farmacopea, come non abbiamo mai smesso di chiedere in tutte le sedi. E a questo proposito ricordo che la Fofi aveva fatto presente al Ministero della Salute che era venuto il momento di passare dal supporto cartaceo a quello digitale: più economico, più semplice e soprattutto rapidamente aggiornabile in qualsiasi momento. Del resto, tutta la pubblica amministrazione, in tutto il mondo, va nella direzione di dematerializzare i documenti ufficiali. Perché è importante l’aggiornamento delle sostanze obbligatorie in farmacia? Ci può fare qualche esempio? È in parte una conseguenza dell’innovazione farmacologica e delle conoscenze in campo medico. Vi sono sostanze che non


intervista ad Andrea mandelli

vengono più prodotte dall’industria farmaceutica, perché sostituite nell’uso comune da altre, oppure sostanze il cui impiego in prima istanza non viene più ritenuto adeguato. Il caso di scuola è quello dello sciroppo di ipecacuana. Non solo questo preparato emetico ormai è irreperibile in Italia, ma è ormai altresì evidente che, in caso di sospetto avvelenamento, la soluzione più razionale non è rivolgersi alla farmacia ma trasferire il paziente al pronto soccorso nel più breve tempo possibile. Eppure la farmacia, a norma di legge, se non aveva a disposizione lo sciroppo di ipecacuana era sanzionabile. Altri aspetti importanti che richiedevano un aggiornamento? Moltissimi, anche in considerazione della necessità di armonizzazione con il resto dell’Europa. Senz’altro il più evidente è però l’introduzione in Italia dell’uso terapeutico della cannabis - un tema sul quale la Federazione ha svolto da subito un’opera di informazione e formazione - che deve trovare nella Farmacopea Ufficiale una trattazione adeguata. Tra le ultime novità dell’anno c’è l’approvazione dell’emendamento alla Legge di Bilancio per finanziare la farmacia dei servizi: ci può spiegare di cosa si tratta, come avverrà la sperimentazione e che obiettivi avrà? L’emendamento alla Legge di Bilancio, che riprende quello presentato al Senato da me e dal senatore Luigi D’Ambrosio Lettieri, prevede in nove regioni lo sviluppo della sperimentazione delle attività di supporto all’aderenza alle terapie e l’erogazione del servizi cognitivi previsti dalla Legge 69 e dal DLgs 153 del 2009, con conseguente remunerazione economica delle farmacie. In queste regioni, quindi, i pazienti potranno usufruire a carico del Servizio sanitario, oltre agli interventi a supporto dell’aderen-

za alla terapia, della diagnostica di prima istanza, le prestazioni infermieristiche e le altre indicate nei decreti applicativi. La sperimentazione prevede che il ministero della Salute, d’intesa con quello delle Finanze e con la Conferenza Stato-Regioni individuino nel 2018 tre regioni in cui attuare la sperimentazione, e poi altre tre nel 2019 e nel 2020. La sperimentazione sarà finanziata con 6 milioni di euro il primo anno, 12 nel secondo e 18 nel terzo. Le regioni saranno individuate in modo da rappresentare adeguatamente Nord, Centro e Sud del paese e dovranno avere una popolazione superiore a due milioni di abitanti. Quanto alle finalità, lo stesso emendamento prevede che l’attività della farmacia dei servizi sia monitorata e valutata in funzione dell’estensione a tutto il territorio nazionale del modello. In altre parole, si tratta di verificare sul campo la qualità e l’efficacia dei servizi e delle prestazioni resi dal farmacista di comunità, sia in termini di maggiore salute e migliore qualità della vita dei pazienti, per mettere a disposizione di tutti i cittadini italiani la farmacia dei servizi. Va sottolineato che c’è un progresso importante rispetto alla stessa Legge 69/2009: si attua il modello della farmacia dei servizi senza dover dimostrare prima la sua “economicità”, ma la si valuta attraverso la sua attività. Siamo giunti al compimento di un percorso cominciato nel 2006, con il Documento federale sulla professione di Palazzo Marini, che è stato reso possibile anche dal nostro impegno per dimostrare, con il massimo rigore scientifico, quanto vale il contributo del farmacista di comunità al processo di cura e alle pratiche di prevenzione, sia in termini di miglioramento della salute sia in termini di ottimizzazione della spesa sanitaria. Questo è un risultato importante per proseguire l’evoluzione del ruolo del farmacista all’interno del processo di cura, a vantaggio della professione e della collettività.

[ La Farmacopea descrive i requisiti di qualità delle sostanze ad uso farmaceutico, le caratteristiche che i medicinali preparati debbono avere ed elenca composizione qualitativa, e a volte quantitativa, nonché in qualche caso il metodo di preparazione di ogni farmaco galenico che le farmacie sono autorizzate a preparare

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il brand in lancio

in arrivo in italia CeraVe, la marca usata da più di 40 milioni di consumatori negli USA*, sarà in farmacia da aprile. A base di ceramidi 1, 3 e 6-II e con tecnologia MVE *Mercato trattamenti corpo YTD febbraio 2017. Mercato US. IMS Health

percheratosi follicolare, che favorisce la formazione dei comedoni (5). È noto inoltre che molti farmaci topici per il trattamento dell’acne causino irritazioni cutanee, compromettendo ulteriormente la funzione barriera dello strato corneo durante il trattamento (6).

Idratanti con ceramidi in emulsione multivescicolare: valutazione del contributo in caso di acne Funzione dello strato corneo La struttura dello strato corneo tradizionalmente viene rappresentata secondo un modello a “mattoni e cemento”, nel quale i corneociti costituiscono i mattoni e i lipidi intercellulari il cemento. I precursori dei lipidi intracellulari vengono sequestrati nei corpi lamellari all’interno dei cheratinociti dello strato granulare dell’epidermide e trasformati in lipidi successivamente incorporati nel doppio strato lipidico (1). Questa membrana lipidica lamellare organizzata è composta da un rapporto fisiologico di ceramidi (40-50%), colesterolo (25%) e acidi grassi liberi (10-15%) (2). Le ceramidi sono lipidi cutanei naturali che comprendono un acido grasso 10

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e una base di sfingosina. Esistono più di 10 diverse frazioni di ceramidi; fra queste è stato dimostrato che la ceramide 1 (CER1) svolge un ruolo essenziale per il corretto assemblaggio e posizionamento dell’organizzazione lamellare dei lipidi dello strato corneo (3). Una barriera epidermica non efficiente è uno dei fattori chiave che contribuisce all’insorgenza di molte patologie cutanee, fra le quali disturbi eczematosi, psoriasi, acne e rosacea (4). È stato dimostrato che la pelle dei pazienti con acne vulgaris (AV) è associata a una carenza di ceramidi, il che è direttamente correlato a una maggiore intensità dell’AV. Si ipotizza che la permeabilità della barriera cutanea contribuisca all’i-

Funzione degli idratanti La scelta corretta di un prodotto idratante o detergente della pelle può contribuire a migliorare e a preservare la funzionalità della barriera cutanea e ad attenuare la vulnerabilità a irritanti, allergeni e microbi (6). Gli idratanti di nuova generazione, oltre ai tradizionali componenti idratanti, contengono ingredienti che riparano la barriera. Fra questi i più comuni sono le ceramidi, che contribuiscono a supplire alle carenze di lipidi che portano alla compromissione della barriera dello strato corneo. Non è chiaro se le ceramidi applicate per via esogena vengano effettivamente incorporate nella matrice lipidica extracellulare o se svolgano una qualche azione umettante e occlusiva. I progressi nella chimica cosmetica hanno portato allo sviluppo di ceramidi di sintesi bioidentiche, che sono comunemente incorporate nei prodotti per la cura della pelle (in particolare CER1, CER3 e CER6) e delle quali è stata dimostrata la funzione simile a quella delle ceramidi naturali (7). Nei prodotti per il trattamento della


pelle occorre valutare non solo che gli ingredienti siano appropriati, ma anche che le formulazioni siano ottimizzate. La tecnologia MVE (Multivescicular Emulsion) è stata concepita per potenziare l’efficacia sulla pelle dei singoli ingredienti, con rilascio lento o sequenziale dopo l’applicazione iniziale. La MVE è utilizzata nelle emulsioni idratanti di ultima generazione (8). La MVE comprende strati concentrici di emulsioni olio-in-acqua. Come nelle matrioshe, all’interno della MVE (9) una vescicola è contenuta in un’altra. Una volta che il prodotto viene applicato sulla pelle, avviene l’apertura in sequenza di ciascuna vescicola, con rilascio graduale di ceramidi e degli altri ingredienti contenuti, anziché il rilascio immediato. Prodotti per la cura della pelle a base di ceramidi in emulsione multivescicolare nel caso di acne Raccomandazioni appropriate per la cura della pelle sono un elemento necessario nel caso di AV. Laddove può verificarsi una riduzione delle ceramidi, l’irritazione cutanea che può essere generate dai medicamenti ad uso topico per l’acne può indurre una mancata aderenza e risultati clinici insoddisfacenti. Un recente consensus paper ha effettuato un’analisi sistematica delle pubblicazioni sull’AV, correlate alla carenza di ceramidi, e il contributo degli idratanti nel trattamento dell’acne. Il gruppo di 11 specialisti dermatologi canadesi concorda che gli idratanti migliorano la secchezza correlata ai medicamenti per l’AV. Inoltre, se gli idratanti contenenti ceramidi danno un contributo positivo ai risultati clinici e andrebbero tenuti in considerazione quando si formulano le prescrizioni

per i pazienti affetti da AV (11). In uno studio clinico, 20 pazienti con AV da lieve a moderata hanno usato due volte al giorno un detergente idratante con ceramidi e MVE e una crema idratante con ceramidi MVE in associazione alla terapia topica prescritta. Durante un periodo di trattamento di 12 settimane, tutti i pazienti hanno lavato il viso con il detergente indicato e hanno applicato l’idratante prima dell’applicazione del medicamento topico per l’AV dello studio al mattino e alla sera. Al mattino, i pazienti hanno applicato un gel con combinazione a dose fissa di clindamicina fosfato all’1,2% e benzoilperossido al 2,5%, mentre alla sera hanno applicato un gel con tretinoina micronizzata allo 0,05%. Alla settimana 12, il trattamento si è dimostrato valido e per il 60% dei pazienti è stato ritenuto un successo. L’associazione dei prodotti è stata estremamente ben tollerata e la stragrande maggioranza dei pazienti non ha sperimentato alcun evento cutaneo avverso nel corso dell’intero studio. Si è pervenuti alla conclusione che la crema idratante e il detergente con ceramidi e MVE hanno contribuito in modo sostanziale a una elevata tollerabilità, non hanno interferito con l’efficacia quando applicati prima del medicamento topico usato e hanno migliorato l’aderenza alla terapia. Conclusioni La disfunzione della barriera cutanea svolge un ruolo importante nella patofisiologia di molte patologie cutanee. Una scelta corretta dei prodotti per la cura della pelle aiuta a migliorarne l’esito, mentre una scelta non idonea può aumentare l’irritazione cutanea dovuta agli agenti applicati

per via topica. Nella scelta dei prodotti di uso topico per la cura della pelle occorre tenere in considerazione sia gli ingredienti sia la formulazione: due prodotti possono avere un elenco di ingredienti pressoché identico, ma la tecnologia formulativa può influire sull’accettabilità cosmetica, sull’efficacia e sulla tollerabilità degli stessi. Sono disponibili dei dati sull’utilizzo di prodotti per la cura della pelle contenenti ceramidi con MVE che possono essere presi in considerazione quando si creano regimi terapeutici associati alla compromissione della barriera di permeabilità dello strato corneo.

Bibliografia 1. Sajic D et al. A look at epidermal barrier function in atopic dermatitis: physiologic lipid replacement and the role of ceramides. Skin Therapy Lett. 2012;17(7):6–9. 2. Harding CR. The stratum corneum: structure and function in health and disease. Dermatol Ther. 2004;17:6–15. 3. Bouwstra JA et al. Role of ceramide 1 in the molecular organization of the stratum corneum lipids. J Lipid Res. 1998;39:186–196. 4. Sator PG et al. Comparison of epidermal hydration and skin surface lipids in healthy individuals and in patients with atopic dermatitis. J Am Acad Dermatol. 2003;48(3):352–358. 5. Wolf R et al. Barrier-repair prescription moisturizers: do we really need them? Facts and controversies. Clin Dermatol. 2013;31(6):787-791. 6. Thiboutot D et al. Acne vulgaris and the epidermal barrier: is acne vulgaris associated with inherent epidermal abnormalities that cause impairment of barrier functions? Do any topical acne therapies alter the structural and/or functional integrity of the epidermal barrier? J Clin Aesthet Dermatol. 2013;6(2):18–24. 7. Draelos ZD. The effect of ceramide-containing skin care products on eczema resolution duration. Cutis. 2008;81(1):87–91. 8. Espinoza R, Inventor; HealthPoint, LTD, assignee. Multivesicular emulsion drug delivery systems. US Patent 6,709,663. March 23, 2004. 9. Bikowski J, Shroot B. Multivesicular emulsion: a novel, controlled-release delivery system for topical dermatological agents. J Drugs Dermatol. 2006;5(10):942–946. 10. Lynde CW et al. Moisturizers and ceramide-containing moisturizers may offer concomitant therapy with benefits. J Clin Aesthet Dermatol. 2014;7(3):18–26. 11. Zeichner JA et al. Efficacy and safety of a ceramide containing moisturizer followed by fixed-dose clindamycin phosphate 1.2%/benzoyl peroxide 2.5% gel in the morning in combination with a ceramide containing moisturizer followed by tretinoin 0.05% gel in the evening for the treatment of facial acne vulgaris. J Drugs Dermatol. 2012;11(6):748–752. 12. Del Rosso JQ et al. Multivescicular Emulsion Ceramide-containing Moisturizers: An Evaluation of Their Role in the Management of Common Skin Disorders, J Clin Aesthet Dermatol, 2016; 9 (12):26-31.

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Corso ECM 2018 Modalità di Formazione a Distanza (FAD) riservato agli abbonati paganti

Allergie e intolleranze alimentari Responsabile scientifico Prof.ssa Hellas Cena Medico Chirurgo, Specialista in Scienza dell’Alimentazione, Università degli Studi di Pavia

Descrizione del corso Negli ultimi decenni si è assistito a un incremento della prevalenza di malattie allergiche, in contrasto con la riduzione delle malattie infettive. Professione Salute, in collaborazione con il Laboratorio di Dietetica e Nutrizione Clinica dell’Università degli Studi di Pavia, tratta il tema “Allergie e intolleranze alimentari” proponendo aggiornamenti scientifici e indicazioni pratiche in merito a un fenomeno di grande attualità.

Struttura n MODULO 1. Intolleranza al lattosio: dalla definizione clinica all’intervento nutrizionale (Mara Oliveri, Valentina Leccioli) L’intolleranza al lattosio è una condizione causata dal deficit dell’enzima lattasi. Nei soggetti deficitari è essenziale un’alimentazione priva di lattosio per evitare la sintomatologia derivante dall’incompleta digestione. n

MODULO 2. Linee guida per la gestione della sensibilità al nichel (Marco Guarene, Francesca Sottotetti)

Il nichel rappresenta una delle cause della dermatite da contatto ed essendo presente in molti alimenti, nonché in diversi utensili da cucina, una modalità di esposizione è quella alimentare. Evidenze scientifiche dimostrano il beneficio derivato da un intervento dietoterapico, pianificando un adeguato livello di assunzione. n

MODULO 3. Celiachia e gluten sensitivity: diagnosi e gestione (Carmen Facchinetti)

La varietà dei disturbi legati all’ingestione di glutine è molto ampia e complessa: la gluten sensitivity è una condizione in cui l’ingestione di glutine provoca una sintomatologia sovrapponibile a quella relativa alla celiachia, differenziandosi da essa in quanto non vengono riscontrate alterazioni anatomiche intestinali e risposta autoimmune da parte dell’organismo. n

MODULO 4. Diagnosi di allergie alimentari: quali novità? (Daniele Giovanni Ghiglioni)

Ogni manifestazione indesiderata e imprevista conseguente all’assunzione di un alimento si traduce in quadri clinici estremamente diversi: l’iter diagnostico deve seguire percorsi scientificamente validati e definiti, riducendo al minimo il rischio per il paziente. n

MODULO 5. I probiotici nella prevenzione delle allergie (Debora Porri)

Negli ultimi anni sempre più studi hanno associato l’alterazione, meglio definita come “disbiosi”, del microbiota intestinale con la sensibilizzazione alle patologie allergiche, ipotizzando l’uso dei probiotici come azione preventiva ed efficace.

Obiettivi Il presente corso si prefigge di raggiungere i seguenti obiettivi: n alimentare in modo continuo le conoscenze delle figure professionali che lavorano in ambito sanitario; i contenuti forniti potranno essere trasferiti alla pratica clinica, con ripercussioni in termini di miglioramento della gestione clinica di singoli pazienti e di gruppi; n contribuire al mantenimento e rafforzamento del network comunicativo con le varie figure professionali in un percorso verso l’implementazione e lo sviluppo delle loro competenze individuali in ambito preventivo e terapeutico, che potrà avere importanti ripercussioni a cascata sulla popolazione affetta da allergie e intolleranze alimentari.

Modalità di somministrazione del corso e accreditamento ECM In ogni numero di Professione Salute a partire dal n. 1/2018 e per tutto il 2018 (gennaio-dicembre) sarà pubblicato un modulo composto da un articolo e da un questionario di valutazione. Tutti i moduli pubblicati sulla Rivista saranno disponibili online su sito www.fadmedica.it, dove sarà possibile, modulo per modulo, rispondere ai questionari di valutazione. L’erogazione dei crediti ECM avverrà al superamento di tutti i questionari. Tutti gli iscritti al corso riceveranno le informazioni necessarie per l’accesso online e la compilazione dei questionari.

Per informazioni: tel. 031.789085 e-mail: customerservice@griffineditore.it


CORSO ecm A DISTANZA / MODULO 1

Intolleranza al lattosio: dalla definizione clinica all’intervento nutrizionale

A cura di Mara Oliveri Biologa, Nutrizionista Specialista in Scienza dell’Alimentazione Docente e Tutor di corsi Master e di formazione in Nutrizione Umana Esperta in promozione salute e sani stili di vita Educatore alimentare abilitato per lo sport Valentina Leccioli Biologa con Master II livello in Nutrizione Umana

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intolleranza al lattosio (Lactose Intolerance = LI) è spesso confusa con l’incapacità di degradare lo zucchero presente nel latte, un disaccaride, nelle sue componenti monomeriche glucosio e galattosio; tuttavia, pur essendo una condizione conseguente a tale incapacità, la sua definizione clinica è più complicata. In questo modulo esamineremo pertanto lo “stato delle conoscenze” rispetto a: attività enzimatica, metodi di indagine diagnostica, epidemiologia, trattamento adeguato al management della relativa sintomatologia intestinale, indicazioni per la corretta impostazione di un piano ali-

mentare che prevenga carenze nutrizionali conseguenti a eventuali diete sbilanciate/prive di prodotti lattiero-caseari. L’intolleranza al lattosio appartiene alle reazioni avverse al cibo, che comprendono “ogni manifestazione indesiderata e imprevista conseguente all’assunzione di un alimento”. Il criterio classificativo attualmente condiviso a livello internazionale suddivide tali reazioni sulla base dei differenti meccanismi patologici che le determinano; l’intolleranza al lattosio si colloca tra le reazioni non-immuno mediate, di tipo metabolico e, nel caso in oggetto, da difetto enzimatico (fig. 1).


allergie e intolleranze alimentari

> Figura 1 Classificazione delle reazioni avverse al cibo (1)

L’American Academy of Allergy Asthma & Immunology esplicita questo concetto definendo tecnicamente l’intolleranza al lattosio come “una condizione digestiva che si presenta in un soggetto che non produce sufficiente lattasi, nel piccolo intestino, per digerire il lattosio presente nei prodottilattiero-caseari” (2). Il lattosio, scoperto nel latte da Fabrizio Bartoletti (inizi del 1600), si trova naturalmente nei latti animali e prodotti derivati (tab. 1); venne prodotto per la prima volta industrialmente a fine 1800 (3) e oggi la produzione alimentare utilizza il lattosio come additivo, che può quindi essere presente in molte preparazioni. Nel latte umano il lattosio costituisce circa il 40% dell’apporto energetico giornaliero del lattante; è stimato che 1 litro di latte da animali quali pecora, capra, bovino, bufala contengano circa 50 g di lattosio. Per contro, i prodotti da loro derivati ne contengono quantità variabili inversamente proporzionali al grado di stagionatura: a causa del processo di fermentazione da parte di batteri lattici, i

> Si ricorda, per confronto, che il latte materno ha un contenuto medio di 6,5-7,0 g lattosio/100 g. Fonte dati: Banca Dati di Composizione degli Alimenti per Studi Epidemiologici in Italia (BDA)

Tabella 1 contenuto di lattosio nei vari tipi di latte e derivati Alimento Lattosio (g/100g) Latte vaccino, intero, in polvere 42,00 Latte di pecora 5,20 5,10 Latte di bufala Latte vaccino, parzial. scremato 5,00 Latte di capra 4,70 3,70 Grana e ricotta di bufala Emmenthal 3,60 3,50 Ricotta vaccina Caciottina vaccina 3,00 Yogurt di latte intero 2,60 Caciocavallo 2,30 Robiola 2,30 2,20 Pecorino siciliano Provolone 2,00 Crescenza 1,90 Groviera 1,50 Feta 1,40 Italico 1,20 Burro 1,10 1,00 Edam stagionato Scamorza 1,00 1,00 Edam, fresco Gorgonzola 1,00 Sottilette 0,90 Taleggio 0,90 Fontina 0,80 Asiago 0,80 0,80 Caciotta affumicata Provola affumicata 0,70 Mozzarella vaccina 0,70 Cheddar 0,50 0,20 Pecorino da grattugiare

formaggi a pasta semidura ne contengono quantità molto basse e quelli a lunga stagionatura contengono lattosio in tracce. In ambito farmacologico il lattosio è utilizzato come additivo o blando lassativo; si stima che rappresenti uno degli eccipienti maggiormente utilizzati per le sue proprietà leganti: è stato valutato che oltre il 20% dei farmaci prescrivibili e circa il 6% dei prodotti da banco contengono lattosio (4) seppur in quantità trascurabili. Vi sono poi una serie di prodotti del mercato in cui può essere presente come fonte evidente o “nascosta”; si riportano esempi in tabella 2. Considerata la sua presenza ubiquitaria, la necessità di una trattazione che faccia ordine sullo stato delle attuali conoscenze scientifiche risulta più che mai di attuale interesse. Attività enzimatica e condizioni cliniche Il lattosio svolge un ruolo fondamentale per la sopravvivenza dei mammiferi durante la loro prima fase di vita; l’assorbimento intestinale avviene dopo scissione nelle unità monomeriche glucosio e galattosio, ad opera dell’enzima lattasi-florizina idrolasi (LPH), una

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β-galattosidasi presente sull’orletto a spazzola dell’epitelio dell’intestino prossimale come glicoproteina, identificata a fine anni ’80 e codificata dal gene LCT (Lactose-Hydrolase Gene) localizzato sul cromosoma 2 (2q21). Tale enzima è rilevabile già dall’ottava settimana di gestazione e alla nascita raggiunge il picco massimo di espressione, che viene mantenuto durante il periodo di allattamento (5). In circa i due terzi della popolazione mondiale dopo lo svezzamento si assiste alla down-regulation dell’espressione genica: l’attività della lattasi inizia a diminuire per una minore espressione del gene LCT che la codifica; è questa una conseguenza geneticamente programmata di una normale maturazione e prende il nome di ipolattasia primaria o deficit primario di lattasi o non persistenza lattasica (Lactase Non-Persistence, LNP) (5). L’inadeguata attività lattasica consente al lattosio di raggiungere il grosso intestino dove la flora batterica utilizza il lattosio per dare origine ad acidi grassi a catena corta e gas quali H2, CH4, CO2. Il lattosio indigerito può di per sé causare diarrea osmotica, mentre

Tabella 2 possibili fonti di lattosio Contengono lattosio

Esempi di prodotti

Preparazioni che tra gli ingredienti contengono latte e derivati (ottenuti da latti/derivati “naturali” non privati di lattosio)

Purè di patate, biscotti e prodotti di pasticceria, besciamella, creme e budini, cioccolata e cioccolatini, farine lattee, gelati, pane al latte, alcuni liquori cremosi ecc.

Prodotti della trasformazione industriale

Carni trasformate (es. prosciutto cotto, bresaola, ecc.), cibi precotti, alimenti preconfezionati o in scatola, alcuni omogeneizzati, polveri per bevande ad uso istantaneo, dadi da brodo, salse e sughi pronti, ecc.

i prodotti della digestione batterica possono causare diarrea secretoria e distensione addominale, dando così origine ai sintomi clinici comunemente riferiti dai soggetti con intolleranza al lattosio (fig. 2) (6). È importante a questo punto chiarire che vi sono fondamentali differenze concettuali e cliniche tra persistenza lattasica e non persistenza lattasica, malassorbimento, malassimilazione e intolleranza al lattosio;

> Figura 2 Digestione del lattosio, meccanismi e conseguenze: (a) in presenza di attività lattasica (b) in deficit o assenza di attività lattasica. Tradotta e modificata da D. Voet, J. G. Voet, C. W. Pratt, Fundamentals of Biochemistry (7)

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le informazioni riportate in tabella 3 consentono il corretto inquadramento e una rapida comprensione, anche per confronto visivo, di ciascuna condizione. La carenza di attività lattasica può essere transitoria (nei neonati prematuri o in seguito a infezioni), primaria (congenita o acquisita in età adulta) o secondaria ad altre condizioni clinico-patologiche. Deficit congenito di lattasi. È una condizione autosomica recessiva estremamente rara dell’infanzia, che impone l’esclusione assoluta di lattosio; teleologicamente i bambini nati con tale deficit prima del XX secolo non avrebbero potuto sopravvivere per l’indisponibilità di prodotti privi di lattosio; chi ne è affetto presenta mutazioni della regione codificante il gene per la lattasi; tale condizione può risultare fatale se non riconosciuta appena dopo la nascita (5). Deficit primario di lattasi. È attribuibile all’assenza totale o parziale di lattasi, condizione che può svilupparsi in vari momenti dell’età evolutiva nelle varie etnie; è la condizione più diffusa al mondo (ritenuta pertanto “normale”) che non si instaura prima dei 2 anni di età; nel primo anno di vita infatti molti bambini possono avere un malassorbimento di lattosio che si risolve nei primi mesi (8). Dopo i 2-3 anni si osserva un continuo declino per raggiungere valori


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stabili tra 5-10 anni (6). L’attività enzimatica cambia quindi dalla nascita all’età adulta; tuttavia una porzione importante di soggetti la mantiene integra, come tratteremo. Deficit secondario. Tale deficit (8) si manifesta in seguito a danno/lesione del piccolo intestino, come le condizioni di gastroenterite acuta, diarrea persistente, overgrowth batterico, terapia farmacologica o chemioterapia, interventi chirurgici o altre cause inficianti la capacità assorbitiva della mucosa del piccolo intestino o la regolazione dell’espressione della lattasi. Più frequente nell’infanzia, può però presentarsi a qualsiasi età e la sua risoluzione è strettamente correlata alla risoluzione della causa primaria; individui con persistenza di lattasi (LP) possono quindi presentare decremento di attività lattasica, non attribuibile all’assetto genetico. Vi è poi una condizione particolare, osservata nei bambini pre-termine con meno di 34 settimane di gestazione, definita come “deficit dello sviluppo di lattasi” inteso come un deficit di lattasi transitorio e relativo alla condizione specifica.

Tabella 3 definizione per un corretto inquadramento delle condizioni cliniche Condizione

Sigla

Descrizione

Non-persistenza di lattasi

LNP = Lactase Non Persistence

Condizione di ridotta attività lattasica che può causare i sintomi dopo ingestione di lattosio

Persistenza di lattasi

LP = Lactase Persistence

Mantenimento di un’elevata attività lattasica in età adulta; questo facilita la digestione di grandi quantità di lattosio

Malassorbimento di lattosio

LM = Lactose Malabsorption

Inefficiente digestione di lattosio dovuta a LNP o secondario ad altre patologie intestinali

Malassimilazione di lattosio

--

Inefficiente assorbimento di lattosio dovuto a malassorbimento di lattosio

Intolleranza al lattosio

LI = Lactose Intolerance

Sintomi gastrointestinali in individui con malassorbimento di lattosio

> Fonte: tradotta e modificata da Misselwitz B, Pohl D et al. Lactose malabsorption and intolerance: pathogenesis, diagnosis and treatment. United European Gastroenterology Journal. 2013;1(3):151-159

Persistenza e non persistenza lattasica: alleli e polimorfismi Lo studio del genotipo LP o LNP (Lactase Persistence e Lactase Non Persistence) e delle relative correlazioni fenotipiche è antropologicamente e geneticamente intrigante e gli studi sono tuttora in corso. La convergenza di studi antropologici e genetici porta a ipotizzare la teoria della co-evoluzione gene-cultura: la pratica della pastorizia degli ultimi 10.000 anni è considerata l’elemento trigger di un probabile adattamento alle abitudini alimentari (consumo di latte e prodotti caseari), che ha determinato una pressione selettiva per le modificazioni alleliche e la diffusione dei polimorfismi. Così, il mantenimento della capacità di digerire latte e derivati (LP) anche in età adulta è da considerare come un’eccezione che viene marzo 2018

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ereditata come tratto mendeliano dominante (5,9); per contro la LNP viene oggigiorno considerata come la naturale evoluzione geneticamente determinata e trasmessa con tratto autosomico recessivo. Ad oggi possiamo riassumere la complessità delle conoscenze evidenziandone i punti salienti: > esistono, in sintesi, due fenotipi umani corrispondenti alla presenza o all’assenza/riduzione di attività enzimatica: la LP e la LNP; > questi fenotipi sono geneticamente determinati, con il carattere LP dominante su LNP; > nell’adulto l’espressione del gene LCT che codifica per la lattasi è regolata da elementi cis-agenti: studi di Enattah (9) di linkage disequilibium e di analisi dell’aplotipo in famiglie finlandesi hanno consentito di individuare due polimorfismi SNP localizzati a monte di LCT, in particolare negli introni 9 e 13 del gene adiacente MCM6 (MiniChromosome Maintenance 6), un enhancer del gene promoter LCT (5,6,10,11); LCT-13910C>T, che nei soggetti Europei correla strettamente con l’attività della lattasi. Nello specifico, l’allele T-13910 è associato a LP con un grado di associazione dell’86-98%, mentre l’allele C-13910 è associato a LNP (wild type) (5,6) cioè alla diminuzione dell’espressione del mRNA per la lattasi. L’allele T presenta una frequenza allelica variabile tra i paesi europei, l’Oceania, l’Asia e le Americhe; è il polimorfismo più studiato e anche quello a diffusione prevalente; LCT-22018G>A, fortemente ma non completamente associato all’attività; > tuttavia, studi in varie popolazioni dedite alla pastorizia con alta incidenza di LP, hanno consentito di individuare altre varianti genetiche popolazione-specifiche, che conferiscono l’abilità lattasica in particolare in Africa e Arabia; > le varianti sono comparse indipendentemente e si sono diffuse sotto una forte 18

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pressione selettiva. La LP risulta pertanto essersi sviluppata indipendentemente molte volte nell’evoluzione dell’uomo nelle diverse aree geografiche (5,6); > oggigiorno non è ancora definito se e come queste mutazioni in loci differenti del gene LCT (es. A-22018, C-14010, G-13907, G-13915) inficino l’attività enzimatica e quale sia la loro correlazione con l’espressione fenotipica (12). Dal genotipo al fenotipo (5,6) Negli adulti caucasici, gli individui omozigoti TT-13910 presentano livelli enzimatici

dieci volte più alti rispetto agli omozigoti CC-13910; potrebbero però presentare un deficit secondario di lattasi. Il genotipo eterozigote CT-13910 determina un’attività enzimatica intermedia; pertanto questo risultato viene interpretato come una non suscettibilità al malassorbimento di lattosio (LM, Lactose Malabsorption), essendo quest’ultima una condizione recessiva. Gli omozigoti con genotipo CC (LNP) hanno livelli impercettibili di lattasi come risultato di down-regulation dell’enzima dopo lo svezzamento (10). Indipendentemente dalla causa, la presenza di lattosio non as-


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sorbito nel tratto intestinale è condizione necessaria ma non sufficiente per l’instaurarsi dei sintomi tipici dell’intolleranza al lattosio. Recenti studi indicano che il rischio di sintomatologia dopo ingestione di lattosio dipende da molteplici fattori, tra i quali: dose di lattosio, osmolalità e contenuto in grassi negli alimenti contenenti lattosio, ingestione di altri componenti della dieta, espressione residua della lattasi, tempo di svuotamento gastrico e di transito intestinale e, con evidenze più recenti, dalla composizione del microbiota intestinale (13) oltreché dalla sensibilità/ tolleranza soggettiva al dolore e al discomfort intestinale causati dai prodotti derivanti dalle fermentazioni e dal richiamo di acqua (14). È riportata un’ampia variabilità interindividuale e intraindividuale nella severità dei sintomi associati a LM; la loro comparsa può avvenire tra 30 minuti/2 ore dopo la sua ingestione, ma possono protrarsi anche oltre. Statisticamente i 2/3 dei soggetti che presentano LM non presentano sintomatologia clinica, 1/3 invece presenta un quadro clinico di non facile riconoscimento in cui si possono sovrapporre sintomi sistemici e/o intestinali. In tabella 4 sono riportati i sintomi maggiormente descritti.

La sintomatologia è spesso aspecifica e sovrapponibile ad altre condizioni cliniche, il che rende necessaria la diagnosi differenziale con, ad esempio, forme allergiche indotte da alimenti e sintomatologia gastrointestinale da reazione immediata o ritardata quali coliche addominali o diarrea (16) (es. allergia a proteine del latte, presente fino al 20% dei soggetti con sintomi di intolleranza al lattosio, compresenza di condizioni cliniche, ecc.) (13), sindrome dell’intestino irritabile, celiachia, morbo di Crohn, colite ulcerosa, patologie infiammatorie intestinali/enteriti conseguenti a infezioni quali da rotavirus, batteri/parassiti, ecc). In alcuni casi è stato considerato anche un possibile effetto “nocebo” dopo somministrazione di sostanza inerte, che può influenzare la presenza dei sintomi in questo caso correlati più a un’aspettativa negativa di quanto ingerito che non a una condizione con riscontro clinico. Sebbene debba esserne indagato il “peso” rispetto al disagio percepito, questo effetto può contribuire all’esagerata percezione di disagio/dolore riferito (13). L’importanza di un corretto inquadramento diagnostico risulta evidente se si considera che la terapia consiste, sostanzialmente, nel cambiamento delle abitudini alimentari del paziente,

Tabella 4 sintomatologia in sogetti con lnp Sintomi sistemici

Sintomi gastro-intestinali

Mal di testa Vertigini Letargia Mal di gola Disturbi della concentrazione Stanchezza cronica Dolori muscolari/articolari Disturbi del ritmo cardiaco

Nausea Vomito Meteorismo Diarrea secretoria Feci molli Crampi addominali Distensione addominale Flatulenza Costipazione/sensazione di non completa evacuazione

> Sintomi sistemici (13) o gastrointestinali (5) in soggetti con LNP associata o non associata ad altre patologie

con evitamento degli alimenti contenenti lattosio; per contro, una diagnosi fuorviante/errata con restrizione alimentare di prodotti lattiero-caseari può avere importanti implicazioni nell’omeostasi metabolica. Diagnosi Le condizioni di LNP e di LM possono essere facilmente diagnosticate mediante test diagnostici (genetici, endoscopici, H2breath test, ecc); per contro è definita con meno chiarezza la condizione di intolleranza al lattosio, recentemente descritta come “i sintomi che si sviluppano dopo ingestione di lattosio, che non si manifestano dopo stimolo con placebo in una persona con malassorbimento al lattosio” (6). Pertanto si definiscono “intolleranti” quei soggetti che riportano principalmente dolore, gonfiore, borborigmi addominali/flatulenza/ distensione addominale e diarrea, correlabili e conseguenti all’ingestione di lattosio. Attualmente non c’è un consensus su quale sia il miglior iter diagnostico per porre diagnosi di certezza di intolleranza al lattosio, ma è certo che la diagnosi di intolleranza al lattosio non può basarsi solo su quanto riferito dal paziente perché: > l’entità dell’attività lattasica residua presenta ampia variabilità interindividuale; una riduzione fino al 50% è comunque sufficiente a garantire un’efficace digestione di lattosio (17); > vi è estrema aspecificità di sintomatologia associata a LM, che può essere ascrivibile ad altre condizioni patologiche; > studi in doppio cieco hanno dimostrato una scarsa associazione tra intolleranza al lattosio autoriferita e la comparsa dei sintomi dopo ingestione di lattosio, anche in pazienti con deficit di lattasi (5). D’altra parte, sebbene necessaria, la sola identificazione di LM non implica necessariamente anche una diagnosi di intolleranza al lattosio, in quanto altri fattori (già descritti) determinano lo sviluppo e la percezione

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Tabella 5 sintesi dei test diagnostici Attività lattasica su biopsie intestinali

H2-breath test con lattosio (HBTL)

Test di tolleranza lattosio (LTT)

Aumento livello ematico zucchero dopo challenge con quantità standard di lattosio

Polimorfismo nel gene LCT

Razionale

Attività lattasica su campioni intestinali

Aumento di H2 nell’espirato dopo challenge con quantità standard di lattosio

Cut-off

<17-2 IU/g

>20 ppm dopo 3 ore

<20 mg/dL entro 3 ore

13910-CC= LNP

Cause secondarie

Possono essere escluse

Non possono essere escluse

Non possono essere escluse

Non possono essere escluse

Falso positivo

Raro

Rapido transito intestinale Sovracrescita batterica nel piccolo intestino

Rapido transito intestinale Ridotta tolleranza glucidica

Raro nei caucasici (<5%)

Falso negativo

Disomogeneità di espressione enzimatica lungo il piccolo intestino

Soggetti con flora non H2producer Adattamento del colon

Fluttuazioni glicemia in diabetici e con IGT

Ogni causa di deficit secondario

Valutazione sintomi associati

Non possibile

Possibile

Possibile

Non possibile

Disponibilità

Bassa

Buona

Eccellente

Variabile

Costo

Metodo più costoso

Basso

Metodo a minor Alto costo

Commento

Testi di riferimento per la rilevazione dell’attività lattasica primaria o secondaria

Metodo di scelta per la valutazione di LM e LI

Metodo migliore per LNP in caucasici Eseguito Meno idoneo raramente per per altre minor sensibilità popolazioni e specificità Non idoneo in sospetto deficit secondario

> Sintesi dei test per LM e LT (Lactose Tolerance); IGT = Impaired Glucose Tolerance. Fonte: tradotta da Misselwitz B, Pohl D et al. Lactose malabsorption and intolerance: pathogenesis, diagnosis and treatment. United European Gastroenterology Journal. 2013;1(3):151-159

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Test polimorfismi genetici 13910 C/T

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dei sintomi intestinali; di fatto è riportato che la maggior parte delle persone con LNP tollerano piccole quantità di lattosio e assenza di sintomatologia (5,6,10). Così, la migliore strategia sembra quella di combinare e/o eseguire in sequenza alcune delle procedure diagnostiche disponibili, preferendo quelle che, oltre a indagare la capacità di digestione e di assorbimento dello zucchero, consentono la simultanea valutazione della sintomatologia clinica riferita (11) durante l’esecuzione del carico di lattosio, supportando così la diagnosi di LI. In tabella 5 si riporta il quadro riassuntivo delle metodiche disponibili, le rispettive modalità di interpretazione dell’esito, i vantaggi e i limiti. H2-breath test con lattosio (HBTL). È il test più diffuso per la diagnosi del LM per la sua affidabilità (sensibilità 80-100%, specificità 70-100%), la semplicità/rapidità di esecuzione, i bassi costi e la non-invasività. Dopo carico orale di lattosio si rileva l’H2 espirato dal paziente come prodotto della fermentazione batterica intestinale dello zucchero non assorbito; il test è considerato positivo per valori di H2 nel respiro incrementati di almeno 20 ppm rispetto il valore basale. Tuttavia: > richiede una “preparazione” con elevata compliance da parte del paziente ai requisiti ivi indicati; > può richiedere fino a 240 minuti durante i quali il paziente non può bere, mangiare né fumare; > non può escludere cause secondarie di deficit di lattasi; > può risultare in falsi positivi, nel caso di sovracrescita batterica nel piccolo intestino; in falsi negativi, in caso di ravvicinato consumo di antibiotici (carenza di flora batterica) o di presenza nel colon di batteri fermentanti il lattosio ma non in grado di produrre sufficienti quantità di H2 (H2-non producers) o in condizioni di pH acido tale da inibire l’attività batterica. Ad esempio,


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un ripetuto consumo di lattosio potrebbe indurre un completo adattamento del colon, tramite la selezione di specie batteriche che lo fermentano velocemente senza produzione di H2. Data l’esistenza di batteri fermentanti il lattosio, metanogeni e non produttori di H2, la simultanea misurazione di metano può in questi casi migliorare la sensibilità del test. Test genetico. È ancora una procedura costosa, poco diffusa e non fornisce informazioni riguardanti le condizioni cliniche del paziente conseguenti all’esposizione al lattosio (11); una sua positività non implica necessariamente l’instaurarsi di LI. È proposto il suo utilizzo solo successivamente al HBTL o come completamento delle altre procedure diagnostiche, in particolare qualora queste diano risultati discordanti, e in pazienti con sospetto deficit secondario (10). I suoi limiti attualmente noti sono: > il genotipo omozigote CC-13910, associato a LNP, indica che avverrà una diminuzione dell’attività della lattasi nel tempo, senza tuttavia fornire le tempistiche con cui questo si verificherà (10); > negli adulti caucasici, gli individui omozigoti TT-13910 per la LP presentano livelli enzimatici dieci volte più alti rispetto agli omozigoti CC-13910. Tuttavia, i soggetti TT-13910, potrebbero presentare un deficit secondario che il test genetico non riesce a identificare, fornendo un risultato falsamente negativo per LM, ritardando la diagnosi della reale causa di quest’ultimo (5,10); > l’analisi di questi polimorfisimi risulta di scarsa utilità in alcune sottopopolazioni africane, asiatiche e arabe in quanto studi popolazione-specifici hanno evidenziato SNPs differenti associati a questa condizione sviluppatasi indipendentemente molte volte nell’evoluzione dell’uomo nelle diverse aree geografiche (5,6); la non conoscenza di correlazione con il fenotipo lo rende inadatto all’utilizzo in po-

polazioni diverse dai caucasici. Altri test. Il test di acidità delle feci rileva acido lattico e altri acidi grassi in campioni fecali, derivanti dal lattosio non digerito; eseguito occasionalmente in particolare su bambini (neonati o molto piccoli) che non possono effettuare altri tipi di test. Il test Gaxilosa misura i livelli ematici e urinari di D-xilosio dopo carico orale di un analogo sintetico del lattosio; alcuni recenti lavori riportano che non è un test utile alla diagnosi di LI (11).

dere LI in assenza di sintomi; d’altra parte, in loro presenza, è suscettibile di effetti placebo e manca una specificità sintomatologica che consenta di predire la presenza di LNP (11); peraltro è riportata l’esistenza di sottogruppi di pazienti in cui il giudizio può essere falsato, manifestando sintomi anche quando non assumono lattosio; questi soggetti sembrano essere caratterizzati da una maggior prevalenza di sindromi ansioso-depressive e di somatizzazione (18).

L’HBTL rappresenta la metodologia con miglior rapporto tra capacità di digerire il lattosio e malassorbimento, rilevando con accuratezza la condizione di LM. Per contro non vi è un test accurato per quanto riguarda la diagnosi clinica di LI. La Consensus Conference sull’HBTL (19) raccomanda la registrazione dei sintomi mediante scala visu-analogica durante il test, ponendo attenzione al loro tempo di insorgenza e alla loro durata (questionario sintomatologico validato in cui 5 voci ovvero diarrea, dolore addominale, vomito, rumori intestinali, meteorismo, vengono valutate dai pazienti; su un punteggio totale di 50, viene considerato indicativo di LI per score >7). Questo test ha un alto valore predittivo negativo che consente di esclu-

Epidemiologia Seppur la LI sia una condizione clinica importante, la sua reale prevalenza non è ad oggi nota; la maggior parte dei soggetti con LM non hanno sintomi clinici di LI e molti individui che pensano di essere LI non sono LM. I dati di letteratura mostrano una variabilità attribuibile in parte anche alle varie modalità diagnostiche considerate piuttosto che alle stime ottenute da studi statistici. Risulta meno complicata la definizione della diffusione della condizione genetica di ipolattasia primaria: al 2010 circa il 70% della popolazione mondiale ne è affetto, con dati variabili in funzione di: popolazione, età ed etnia. In Europa la frequenza di LNP varia tra 4-56%, con minor prevalenza nelle popolamarzo 2018

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zioni del nord Europa dove il gene “ha viaggiato” insieme alla diffusione della pastorizia (22). In Italia la prevalenza di LP è nettamente più elevata nelle popolazioni del Nord rispetto a quelle del Sud. Un recentissimo studio (20) riporta dati da metanalisi relativi al LM: la prevalenza, valutata con varie metodologie, è stimata pari al 68%; studi genetici riportano valori leggermente superiori mentre studi con HBTL e LTT valori inferiori. In Italia è pari al 72%, nei paesi nordici quali Danimarca, Svezia, Regno Unito si ritrovano i valori più bassi (4-8 %). Deficit di lattasi e intake di latte e derivati: possibili effetti sulla salute L’ipolattasia può avere un impatto importante su diversi aspetti della salute: studi riportano che adulti con ipolattasia consumano meno latte fresco tanto da inficiare l’intake calorico e di calcio. I prodotti lattiero-caseari sono fonte primaria, in età evolutiva (>12 mesi) e nell’adulto, di calcio (Ca), riboflavina, fonte importante di vitamina D, P, K, zinco (Zn), proteine di elevato valore biologico e di composti bioattivi dal dimostrato effetto protettivo antimicrobico, antiossidante, immuno-modulatorio. Di fatto l’impatto sulla salute dell’esclusione del latte e prodotti caseari dipende da quanto altri alimenti/prodotti riescono a rimpiazzare i latticini quali fonti principali di nutrienti e dai riflessi sulla salute provocati dall’assenza di composti bioattivi. Rispetto alla relazione tra adeguato consumo di latte e salute, è dimostrata la correlazione tra altezza e peso di giovani in relazione al loro consumo di latte: l’evitamento a lungo termine del consumo di latte è associato a bassa statura oltreché a precaria salute ossea. Vari studi suggeriscono una relazione tra basso consumo di latte e osteoporosi e, per contro, altri studi riportano associazione tra elevato consumo latte e rischio di patologie cardiache. Il recente documento della Nutrition Foundation of Italy (21) riporta alcuni altri 22

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effetti in relazione ad alcuni fattori. > Effetto saziante: studi di intervento controllati indicano che il consumo adeguato di latte vaccino, in particolare alla colazione, riduce l’intake calorico al pasto successivo. > Peso corporeo: il consumo di latte si associa a una riduzione del peso corporeo negli studi trasversali, ma non in quelli prospettici. > Diabete tipo 2: anche se i dati disponibili non sono omogenei, vi sono dimostrati effetti protettivi. > Pressione arteriosa: alcuni studi e metanalisi riportano un effetto protettivo rispetto all’ictus, spiegabile attraverso una modulazione dei valori pressori. > Rischio cardiovascolare globale: il consumo di latte non correla con tale rischio; non sono dimostrati effetti sfavorevoli sulla colesterolemia. > Neoplasie: non vi è associazione tra consumo ed effetti (protettivi o sfavorevoli) sul rischio totale di tumore; studi in itinere stanno valutando le associazioni con tumori sede-specifici. > Massa ossea: l’adeguato intake di Ca esercita effetti protettivi sullo sviluppo e crescita ossea, il cui picco di massa è probabilmente correlato a minor rischio di osteoporosi e fratture (da fragilità) nella vita adulta. Studi dimostrano che durante l’arco della vita il fattore determinante il raggiungimento del picco di massa ossea in adolescenza e la perdita di massa ossea da adulti è il ridotto intake di Ca, da evitamento di prodotti lattiero-caseari, piuttosto che da un difetto del suo assorbimento. > Effetti sfavorevoli: si possono escludere, in relazione a rischio di sviluppare sovrappeso, obesità e diabete di tipo 2. Intake di latte e derivati in Italia In Italia le Linee Guida INRAN 2003 per sana alimentazione raccomandano il consumo di

2-3 porzioni/die di latte o yogurt a cui vanno aggiunte, a seconda del fabbisogno calorico, 2-3 porzioni/ settimana di formaggio (porzioni italiane: 125 ml per latte e yogurt; 100 g se formaggio fresco, 50 g se stagionato). I consumi di latte nella popolazione adulta italiana sono tra i più bassi in Europa e di molto inferiori a tali raccomandazioni; evidenze dimostrano che gli adolescenti non consumano quantità sufficienti di Ca a soddisfare le raccomandazioni. Sebbene non vi siano studi finalizzati a valutare l’efficacia di alimenti sostitutivi al latte come fonti di Ca, sembra ragionevole raccomandare di aumentare l’intake di Ca da altre fonti o di utilizzare integratori in pazienti che restringono il consumo di latticini, in particolare se in presenza del rischio osteoporotico (5), ma ricordando che è riportato un Upper Level = 2,5 g/die di Ca, sopra i 18 anni e in ambo i sessi. Interventi in soggetti con LM o LI L’intervento è in funzione del tipo di condizione rilevata, ricordando in sintesi quanto segue. > I (rari) casi di deficit congenito sono potenzialmente fatali in quanto, se non riconosciuti e trattati rapidamente, causano disidratazione e perdita di elettroliti. Il trattamento consiste nella rimozione del lattosio dalla dieta e sua sostituzione con latte formula lactose-free. > I casi di deficit secondario di lattasi: sarà il trattamento delle cause primarie a migliorare il quadro sintomatologico. > I casi di deficit evolutivo di lattasi tendono a risolversi spontaneamente nell’arco di un breve periodo dalla nascita. > I soggetti con deficit primario e congenito di lattasi, non potendo modificare la capacità del loro corpo di produrre lattasi, hanno due opzioni terapeutiche non mutualmente esclusive: cambiamento delle abitudini alimentari con dieta a ridotto contenuto lattosio e/o integrazione enzimatica specifica. La rilevazione della


allergie e intolleranze alimentari

risposta a dosi crescenti di lattosio può aiutare in una più razionale gestione, attraverso l’individuazione delle dosi (min. e max) tollerate (5,6); il trattamento è rivolto al miglioramento dei sintomi all’evitamento di deficit nutrizionali. Nei soggetti con deficit primario e congenito di lattasi la modifica delle abitudini alimentari in seguito a diagnosi di LI dovrebbe consistere, più che nella sua completa esclusione, in una riduzione dell’intake di lattosio: studi in cieco mostrano che individui autodefinitisi intolleranti al lattosio possono ingerire almeno 12 g di lattosio come singola “dose” senza manifestare sintomi, e fino a 18 g in caso di associazione con altri cibi (6). L’Efsa (22) riporta che la maggior parte dei soggetti con LM tollera tali quantità e che se si fraziona in più momenti/die l’assunzione della dose minima tollerata si può raggiungere l’intake di 24 g/die di lattosio. Il trattamento più razionale consiste in una prima fase, transitoria, di evitamento di alimenti/prodotti contenenti le più alte quantità di lattosio, limitandosi al consumo di alimenti che ne sono naturalmente privi o a prodotti lactose-free. In una seconda fase si reintrodurranno gradualmente quantità variabili di alimenti contenenti quantità note di lattosio, distribuendoli nell’arco della giornata e accompagnandoli con altri alimenti; di supporto può essere l’utilizzo di latti fermentati, che rispetto ad altri prodotti a contenuto simile di lattosio, risultano generalmente meglio tollerati per via della fermentazione lattica operata dai batteri. La stessa tolleranza può essere indotta e favorita dall’adattamento della flora intestinale attraverso un’ingestione ripetuta e dosata dello zucchero (6) che, se presente come frazione residua non idrolizzata, può assumere la funzione di prebiotico quale nutrimento per il microbiota intestinale. In ultimo, istituzioni quali il National Institutes of Health, American Academy of Pediatrics Committee on Nutrition e National Medical Association raccomandano che lat-

Tabella 6 CONTENUTO DI NUTRIENTI E KCAL DI ALCUNI ALIMENTI Ca (mg/100g)

vit. D (µg/100g)

vit. B2 (mg/100g)

Kcal/100g

* Latte vaccino intero pastorizzato

119

0,03

0,18

64

* Latte vaccino p. scremato pastorizzato

120

0,01

0,17

46

x Latte vaccino senza lattosio

120

nd

nd

49

y Latte vaccino intero senza lattosio

125

1,05

nd

62

* Yogurt magro

120

0,01

0,18

36

x Yogurt magro senza lattosio

nd

0,75

nd

76

* Formaggio grana

1169

0,5

0,35

406

* Pecorino

607

0,5

0,47

392

* Cavolo cappuccio verde

60

0,0

0,04

19

* Soia, bistecca

241

0,0

0,25

277

Nutriente

> n.d = non determinato Fonti dati: “*” da Banca Dati di Composizione degli Alimenti per Studi Epidemiologici in Italia (BDA); “x” da etichette prodotti commercio, “y” da USDA

te e derivati rimangano parte della dieta dei soggetti con LI al fine di prevenire inadeguati/ridotti intake di alimenti con rapida disponibilità di Ca, vitamina D e altri nutrienti per prevenire il rischio di riduzione della formazione del picco di massa ossea, osteoporosi e altri outcome negativi, alcuni tuttora in corso di valutazione. È quindi importante individuare il livello soglia-tollerato per ogni soggetto, valutare correttamente gli intake di nutrienti e, di conseguenza, soppesare la necessità o meno di integrare micronutrienti quali Ca e vitamina B2 o vitamina D attraverso specifiche formulazioni. Il trattamento “a step” consente inoltre di ponderare sia la necessità di ricorrere a prodotti lactose-free sia l’effettiva esigenza di integratori enzimatici (lattasi) prima del pasto misto. La lattasi esogena costituisce una strategia efficace

e senza effetti collaterali per il trattamento della LI (5). Da qualche decennio è disponibile sul mercato un’ampia gamma di prodotti idrolizzati enzimaticamente senza lattosio o a ridotto contenuto di lattosio, che possono essere inseriti in un programma nutrizionale bilanciato per prevenire il ridotto consumo di latticini e le relative carenze nutrizionali in pazienti con LI. Dal punto di vista nutrizionale, diversi studi hanno dimostrato come non vi sia differenza tra latticini convenzionali e prodotti lattiero-caseari ottenuti dal latte idrolizzato, se non per il contenuto di lattosio. L’Efsa (22) afferma che l’evidenza disponibile è insufficiente a trarre conclusioni rispetto all’assorbimento di calcio da prodotti caseari in cui il lattosio sia stato idrolizzato; in ogni caso “nessuna conseguenza nutrizionale negativa può essere marzo 2018

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CORSO ecm A DISTANZA / MODULO 1

attesa laddove i prodotti differiscano solo per il contenuto di lattosio”. Un soggetto che sceglie di eliminare i prodotti lattiero-caseari dalla propria alimentazione può peraltro integrare Ca preferendo acque calciche e consumando alimenti vegetali quali legumi, cavoli, broccoli, spinaci, carciofi e alcuni tipi di pesce come polpo e calamari, tenendo presente però che il Ca presente negli alimenti vegetali non è totalmente biodisponibile a causa degli acidi ossalico, fitico e uronico; nello scegliere tra i vari alimenti è inoltre necessario valutare l’apporto calorico per evitare eccessi o carenze di intake e monitorare il contenuto di vitamina D che potrebbe richiedere una supplementazione anche in funzione dei livelli sierici del paziente. In tabella 6 si riporta il contenuto di calcio, vitamina D, vitamina B2 e Kcal di alcuni alimenti presi come esempio. Normativa prodotti idrolizzati La normativa in merito a questi prodotti è in continua revisione e aggiornamento, nel tentativo di armonizzare a livello europeo le condizioni che supportano ogni specifica indicazione. Dal 20 luglio 2016 sono diventati applicativi i Reg. UE n. 828/14 e n. 609/13 riguardanti le informazioni ai consumatori; da tale data (e fino a eventuale emanazione normativa europea) le indicazioni per i prodotti senza lattosio ricadono nell’ambito delle indicazioni volontarie previste dall’art. 36 del Reg. UE 1169/11; attualmente, a livello nazionale, in attesa dell’auspicata armonizzazione europea, si sintetizzano i contesti e le modalità di impiego di tali indicazioni (tab. 7): > per utilizzare la predetta indicazione i prodotti in questione devono riportare l’informazione in etichetta sulla specifica soglia residua di lattosio con modalità del tipo “meno di...”; la soglia residua indicata deve risultare comunque inferiore a 0,1 g per 100 g o 100 ml; 24

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Tabella 7 condizioni per le indicazioni sul tenore di lattosio Prodotto/Alimento

Residuo di lattosio

Indicazione

Latti e prodotti lattiero-caseari

<0,1 g per 100 g o 100 ml

“senza lattosio”

Latti e latti fermentati

<0,5 g per 100 g o 100 ml

“a ridotto contenuto di lattosio” L

Alimenti non contenenti ingredienti lattei

Se conforme alle indicazioni previste Art. 7 del regolamento (UE) 1169/2011

“naturalmente privo di lattosio”

> Condizioni per le indicazioni sul tenore di lattosio: “senza lattosio” o “a ridotto contenuto di lattosio”

> sulle etichette di tali prodotti si deve

riportare che il tenore di lattosio è “meno di 0,5 g per 100 g o ml”; > per fornire un’informazione precisa ai consumatori sui contenuti dei prodotti delattosati “senza lattosio” o “a ridotto tenore di lattosio”, integrare etichetta anche un’indicazione del tipo “Il prodotto contiene glucosio e galattosio in conseguenza della scissione del lattosio”. Si segnala che la Direttiva 2006/141/CE riferita agli alimenti per lattanti (<12 mesi di vita), autorizza l’uso della dichiarazione “assenza di lattosio” solo per i prodotti con un contenuto di lattosio non superiore ai 10 mg/100 kcal; risulta attualmente l’unica armonizzata UE. Si ricorda che dall’entrata in vigore il Reg. UE 609/2013 i prodotti senza lattosio non rientrano più nelle categorie di alimenti dietetici; la dicitura “delattosato” è stata eliminata, in quanto precedentemente associata alla dicitura “dietetico”. Le case farmaceutiche hanno l’obbligo di indicare chiaramente la formulazione del farmaco, indicando sia quale principio attivo contiene sia quali eccipienti sono stati utilizzati. Il lattosio può essere riportato come lattosio monoidrato, lattosio anidro, lattosio idrato, ecc. In ogni caso, fatti salvi i prodotti “naturalmente privi”, la lettura

delle etichette diventa fondamentale per accertare la sua assenza. Ricerca futura Risulta evidente come sia necessario condurre ulteriori studi volti a una migliore e più approfondita comprensione dei meccanismi biomolecolari alla base del metabolismo del lattosio. Un’area di recente interesse è rappresentata dalle interazioni lattosio-microbiota intestinale, in quanto la produzione di acidi grassi quali butirrato può promuovere la crescita della mucosa e ridurre eventuali condizioni infiammatorie. Interessanti potranno essere anche le evidenze in merito a come le varianti di LP/ LNP interagiscono con la selezione dei pattern dietetici e, di conseguenza, con la salute. Se attualmente la nutrigenetica relativa a LP/LNP, intake di latte/derivati e salute è alle prime armi, una miglior comprensione dei meccanismi di interrelazione genilatticini potrà avere valenza significativa nel suggerire, un domani, consigli dietetici più personalizzati.

Bibliografia 1. Boyce JA et al. Guidelines for the Diagnosis and Management of Food Allergy in the United Sta-


tes: Report of the NIAID-Sponsored Expert Panel. The Journal of allergy and clinical immunology. 2010;126(6 0):S1-58. 2. www.aaaai.org/conditions-and-treatments/conditions-dictionary/lactose-intolerance 3. Definizione di lattosio, Treccani h t t p : / / w w w. t re c c a n i . i t / e n c i c l o p e d i a / lattosio_%28Enciclopedia-Italiana%29 4. Intervista alla dott.ssa Elisa Marabotto, Reparto Universitario di Gastroenterologia dell’Azienda Ospedaliera Universitaria San Martino di Genova. Liberoquotidiano.it, Rubrica Salute 2013. 5. Deng Y, Misselwitz B et al. Lactose Intolerance in Adults: Biological Mechanism and Dietary Management. Nutrients. 2015 Sep 18;7(9):8020-35. 6. Misselwitz B et al. Lactose malabsorption and intolerance: pathogenesis, diagnosis and treatment. United European Gastroenterology Journal. 2013;1(3):151-159. 7. D. Voet, J. G. Voet, C. W. Pratt, Fundamentals of Biochemistry. Wiley: NY, 2005. 8. Vandenplas Y. Lactose intolerance. Asia Pac J Clin Nutr. 2015;24 Suppl 1:S9-13. 9. Enattah NS, Sahi T et al. Identification of a variant associated with adult-type hypolactasia. Nat Genet. 2002 Feb;30(2):233-7.

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questionario di valutazione 1. L’intolleranza al lattosio (LI) è: a) una rara malattia genetica b) una condizione esclusiva dell’infanzia c) una reazione avversa al cibo, non-immuno mediata, di tipo metabolico da difetto enzimatico d) una conseguenza permanente di patologie infiammatorie intestinali 2. La lattasi è: a) una glicoproteina (β-galattosidasi) presente sull’orletto a spazzola dell’epitelio del piccolo intestino b) una proteasi secreta nel lume intestinale dai colonociti c) una proteina del latte che scatena forti risposte immunitarie d) un enzima prodotto dalle ghiandole salivari e secreto con la saliva 3. La deficienza primaria o non persistenza di lattasi (LNP) è: a) una reazione allergica alle proteine del latte materno b) una condizione fisiologica conseguente a una normale maturazione c) una condizione patologica estremamente rara e potenzialmente fatale d) un difetto a livello della pro-lattasi

4. In presenza di LNP, la quota di lattosio non digerita: a) viene fermentata lungo tutto il tratto intestinale b) raggiunge il colon dove scatena la cascata di eventi da malassorbimento. c) provoca intolleranza al lattosio, con grado individuale di gravità d) viene tutta recuperata in forma di sottoprodotti delle fermentazioni batteriche 5. Quale delle seguenti affermazioni non è corretta? a) Malassorbimento e intolleranza al lattosio sono necessariamente correlati b) Non tutti i soggetti con malassorbimento presentano sintomi da intolleranza c) Fattori psicologici possono influenzare notevolmente la percezione dei sintomi d) In soggetti con malassorbimento, maggiore è il carico orale di lattosio, maggiore è il rischio di sviluppare sintomi 6. Il lattosio: a) è presente esclusivamente in latti animale e derivati b) è presente esclusivamente nel latte vaccino

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>> c) è usato anche come additivo alimentare ed eccipiente farmacologico. d) è assente nel latte materno 7. LCT-13910C>T: a) nei soggetti europei correla strettamente con l’attività della lattasi b) consente di diagnosticare con certezza l’intolleranza al lattosio c) è una variante aminoacidica dell’enzima lattasi d) è associato esclusivamente alla deficienza congenita di lattasi 8. Relativamente alla diagnosi certa di intolleranza al lattosio: a) è successiva all’esito positivo del test genetico per LNP b) non è stato ancora raggiunto un consensus su quale sia il miglior iter diagnostico c) può basarsi anche solo su quanto riferito dal paziente d) oggi può essere data in seguito alla positività a un test di ultima generazione (test Gaxilosa) 9. L’evitamento a lungo termine di latte e derivati: a) è indispensabile nei soggetti intolleranti al lattosio b) in individui giovani è associato a bassa statura e a precaria salute ossea c) è associato a ridotto rischio di osteoporosi d) riduce il rischio totale di neoplasie 10. Il trattamento in caso di deficit secondario di lattasi: a) consiste nell’evitamento a lungo termine di latte e derivati b) consiste nell’evitamento di latte e derivati fino a risoluzione della sintomatologia di intolleranza al lattosio c) consiste nel trattamento delle cause primarie d) è superfluo in quanto la risoluzione della condizione è spontanea 11. I soggetti con deficit primario e congenito di lattasi: a) necessitano di un trattamento farmacologico specifico b) sono sollecitati a consumare crescenti quantità di lattosio per stimolare la produzione di lattasi

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c) manifestano inevitabilmente importanti deficit di calcio, vitamina D e vitamina B2 d) possono condurre una dieta a ridotto contenuto di lattosio e/o usufruire di una integrazione enzimatica specifica 12. Nel trattamento con dieta a ridotto contenuto di lattosio: a) sono previste una prima fase, transitoria, di evitamento di alimenti contenenti lattosio e una seconda fase di reintroduzione graduale b) è consigliato che il consumo di latte e derivati avvenga in un unico momento della giornata c) i formaggi stagionati sono gli ultimi ad essere reintrodotti d) è sconsigliato accompagnare gli alimenti contenenti lattosio con altri alimenti 13. La lattasi esogena usata come integratore enzimatico: a) è un trattamento poco consigliato per via dei suoi numerosi effetti collaterali b) si assume dopo ogni pasto contenente prodotti lattiero-caseari c) viene estratta da un particolare tipo di alga giapponese (Gracilaria verrucosa) d) costituisce una strategia efficace e senza effetti collaterali per il trattamento della LI 14. La dicitura “senza lattosio”: a) identifica i prodotti appartenenti alla categoria degli alimenti dietetici b) indica alimenti con residuo di lattosio < 0,5g per 100 g o ml c) può essere usata quando il lattosio contenuto è < 0,1g per 100 g o 100 ml d) è riportata per gli alimenti naturalmente privi di lattosio 15. Quale delle seguenti affermazioni relative alla prevalenza di LI è corretta? a) Quella mondiale equivale a quella di LNP e cioè a circa il 70% b) Ad oggi non è nota c) Ha una distribuzione omogenea nelle varie popolazioni d) Equivale a quella stimata per il malassorbimento al lattosio e) In Italia è maggiore nelle popolazioni del Nord



nutrizione / menopausa

menopausa e aumento di peso: quale rapporto? L’aumento di peso con cui molte donne di mezza età si ritrovano a fare i conti sembrerebbe essere una conseguenza dell’invecchiamento e dei relativi cambiamenti nello stile di vita piuttosto che della menopausa stessa

di Matteo Manuelli Medico Chirurgo in formazione specialistica in Scienza dell’Alimentazione, Laboratorio di Dietetica e Nutrizione Clinica, Università degli Studi di Pavia Anna Gerbaldo Dietista

L’

invecchiamento è di per sé associato a un aumento ponderale. Tuttavia, le donne di mezza età sono esposte a diversi fattori di rischio che promuovono l’aumento di peso e del tessuto adiposo: la deprivazione di estrogeni, la riduzione dell’attività fisica, i disturbi dell’umore e i disturbi del sonno. Per la gestione ottimale del peso nelle donne di mezza età, questi fattori devono essere identificati e corretti dallo specialista (dietologo, nutrizionista, dietista). Aumento di peso Molte donne sperimentano un involontario aumento di peso durante la fase della vita che precede la menopausa e soprattutto nel periodo seguente ad essa. Uno studio americano indica che nella quinta e sesta decade di vita, le donne generalmente aumentano di 0,7 kg ogni anno (1): la realtà europea non è però molto dissimile e secondo i dati Istat circa 1 donna su 3 tra i 50 e i 60 anni è sovrappeso e più di una su 10 è obesa (2). L’obesità e l’aumento del grasso addomi-

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nutrizione / menopausa

nale si associano a conseguenze metaboliche sfavorevoli e a un rischio aumentato di sviluppare patologie cardiovascolari, prima causa di morte nelle donne in postmenopausa (nelle età precedenti sono gli incidenti e le neoplasie) (3). Le donne che affrontano la menopausa in una situazione di obesità sono anche quelle più inclini a segnalare sintomi più frequenti e gravi da deprivazione di estrogeni (vampate di calore, sudori notturni, disfunzione sessuale) (4,5). L’invecchiamento è stato associato con un aumento di peso in entrambi i sessi ma esiste una certa controversia su quale sia il ruolo della menopausa nel determinare questo aumento. Tuttavia, la maggior parte della letteratura scientifica esistente sostiene la teoria che l’aumento di peso nelle donne di mezza età sia in primo luogo il risultato dell’invecchiamento e dei cambiamenti nello stile di vita, quindi la menopausa di per sé non sembra contribuire a un significativo aumento di peso. Ciò non significa però che la menopausa non abbia delle conseguenze negative in termini di composizione corporea e metabolismo: le donne in post-menopausa subiscono importanti cambiamenti nella distribuzione del grasso corporeo, mostrando una maggiore tendenza ad accumulare grasso proprio nella regione addominale (tipicamente androide) rispetto a quanto non succeda nelle precedenti fasi della vita, in cui la presenza degli estrogeni è causa di un accumulo di tessuto adiposo preferen-

zialmente su cosce e glutei (distribuzione ginoide). Quindi, le donne nella quinta e sesta decade di vita hanno una tendenza a guadagnare peso con l’età, indipendentemente dalla menopausa. Questo aumento del peso è il risultato di cambiamenti “fisiologici” dell’invecchiamento e di alcuni cambiamenti nello stile di vita. Con l’età si assiste a una perdita di massa muscolare, con conseguente riduzione del consumo energetico a riposo (c’è meno tessuto muscolare metabolicamente attivo)(6). L’invecchiamento è anche associato a riduzione dell’attività fisica, che si accompagna a un’ulteriore perdita di massa magra. Nella maggior parte del casi, la diminuzione dell’esercizio fisico è lenta e constante e quindi non facilmente percepita da parte del soggetto che può non adeguare le sue abitudini alimentari (quindi il bilancio energetico diventa positivo).

[ L’invecchiamento è stato associato con un aumento di peso in entrambi i sessi ma esiste una certa controversia su quale sia il ruolo della menopausa nel determinare questo aumento

]

I disturbi del sonno e dell’umore Anche i disturbi del sonno hanno un’influenza sull’aumento del peso nelle donne marzo 2018

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nutrizione / menopausa

Bibliografia 1. Kapoor E, Collazo-Clavell ML, Faubion SS.

Weight Gain in Women at Midlife: A Concise Review of the Pathophysiology and Strategies for Management. Mayo Clin Proc. 2017 Oct;92(10):1552-1558. 2. Dati estratti il 23 ott 2017, 13h04 UTC (GMT), da I.Stat dal sito web http://dati.istat.it/ 3. https://www.cdc.gov/women/lcod/2014/allfemales/index.htm in data 23/10/2017. 4. Thurston RC, Sowers MR, Sternfeld B, et al. Gains in body fat and vasomotor symptom reporting over the menopausal transition: the Study of Women’s Health Across the Nation. Am J Epidemiol. 2009;170(6):766-774. 5. Faubion SS, Rullo JE. Sexual dysfunction in women: a practical approach. Am Fam Physician. 2015;92(4):281-288. 6. Kalyani RR, Corriere M, Ferrucci L. Agerelated and disease-related muscle loss: the effect of diabetes, obesity, and other diseases. Lancet Diabetes Endocrinol. 2014 Oct;2(10):819-29. 7. Patel SR, Malhotra A, White DP, Gottlieb DJ, Hu FB. Association between reduced sleep and weight gain in women. Am J Epidemiol. 2006;164(10):947-954. 8. Sternfeld B, Wang H, Quesenberry CP Jr, et al. Physical activity and changes in weight and waist circumference in midlife women: findings from the Study of Women’s Health Across the Nation. Am J Epidemiol. 2004;160(9):912-922.

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di mezza età. Diversi fattori che possono contribuire a disturbare il sonno in questa popolazione includono i già citati sintomi vasomotori notturni tipici della menopausa, disturbi dell’umore come la depressione, la sindrome delle apnee ostruttive nel sonno e un effetto diretto della deprivazione di estrogeni. Disturbi cronici del sonno possono portare a una maggiore sensazione di fatica durante le giornate e quindi a riduzione dell’attività fisica. In uno studio di oltre 68.000 donne, quelle che erano abituate a dormire meno di 5 ore a notte aumentavano maggiormente di peso rispetto a quelle che dormivano più di 7 ore (7). Inoltre, deflessioni del tono dell’umore, che interessano fino a un quarto delle donne nel periodo peri- e post-menopausa, possono interferire con l’adozione di uno stile di vita attivo, ridurre l’attività fisica e contribuire all’aumento di peso. L’intervento specialistico I medici che hanno in cura donne che si avvicinano alla menopausa dovrebbero

sempre considerare che l’obesità complica la menopausa e che la menopausa può accentuare le alterazioni metaboliche tipiche dell’obesità. Anche quando non primariamente ricercato dalla paziente, il medico dovrebbe sempre suggerire una gestione del peso e indirizzare la paziente presso uno specialista (medico dietologo, nutrizionista o dietista). Infatti, la gestione di queste pazienti è ottimale se di competenza specialistica, all’interno di un team multidisciplinare. Queste donne dovrebbero ricevere una valutazione nutrizionale approfondita, accompagnata idealmente da un percorso psicoterapeutico comportamentale per aiutarle a mettere in pratica delle modifiche nel loro stile di vita. Come detto in precedenza, l’attività fisica gioca un ruolo fondamentale nella perdita di peso e nel mantenimento del peso perso. Le donne che entrano nella quinta decade d’età con un livello più elevato di attività fisica e lo mantengono, o quelle che adottano in quel momento uno stile di vita attivo dopo la menopausa, hanno una minore tendenza a guadagnare peso rispetto a quelle meno attive (8). Quindi non è mai troppo tardi per cambiare lo stile di vita, e i medici dovrebbero promuovere uno stile di vita migliore, anche se si trovano di fronte una paziente di età avanzata. I curanti hanno un ruolo fondamentale nell’offrire un’appropriata educazione alimentare, nel sostenere e incoraggiare le pazienti nel percorso del cambiamento e nel fissare obiettivi realistici per evitare delusioni. Le competenze necessarie per affrontare queste situazioni non possono essere improvvisate.



pediatria / dolore

La gestione del dolore nel neonato e nel bambino

“D

di Piercarlo Salari Pediatra

Il dolore acuto nel bambino, che si può presentare nella quotidianità, è molto spesso sottovalutato. Le difficoltà principali riguardano la sua misurazione e l’individuazione della cura più appropriata, per ottenerne la massima efficacia con il dosaggio inferiore

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olore” è un termine che ogni genitore vorrebbe poter cancellare dal vocabolario, soprattutto se lo vede riferito ai propri figli. Il diritto a non soffrire è stato oggetto di un lungo dibattito in ambito non soltanto clinico ma anche politico-sanitario – la legge 38 del 2010 su terapia del dolore e cure palliative ne è la concreta testimonianza – ed è giusto pertanto che i bambini, per primi, già a partire dall’età neonatale, siano posti al centro dell’attenzione. Proprio questo è l’aspetto cruciale: soltanto negli ultimi decenni, infatti, è maturata la consapevolezza che la percezione del dolore non è legata unicamente alla crescita e alla maturazione psichica di un individuo. In altre parole, il neonato (incluso quello pretermine, il cui sistema di modulazione è ancora immaturo),

che è in grado di esprimersi soltanto attraverso il pianto, è tutt’altro che insensibile al dolore: anzi, ne conserva nel tempo un ricordo tanto più duraturo, perfino in termini di modificazioni strutturali della corteccia cerebrale (documentate in età prescolare e probabilmente suggestive di un’impronta epigenetica del dolore neonatale) quanto più numerose e gravose sono state le procedure invasive che ha subìto, tra cui prelievi, esami diagnostici, cateterizzazioni o interventi chirurgici. Un problema ancora sottostimato Può sembrare sorprendente e paradossale eppure il dolore del bambino viene ancora oggi ampiamente sottovalutato, tanto dai genitori quanto in generale dai medici. Non stiamo parlando del dolore post-operato-


pediatria / dolore

rio o cronico ma di quello acuto, che può presentarsi nella quotidianità: alcune stime suggeriscono infatti che 3-4 bambini su 10 accusano questo sintomo almeno una volta la settimana, senza contare quelli che lo provano ogni giorno. Va poi ricordato che più dell’80% dei ricoveri in ospedale sono dovuti a malattie che, oltre a vari disturbi, comportano anche dolore. Le problematiche da affrontare, di fatto, sono due e strettamente legate tra loro: da un lato si impone la necessità di riconoscerlo e possibilmente “quantificarlo”, per quanto non si tratti non di una misurazione reale, come quella della temperatura corporea o della pressione arteriosa, bensì di una stima. Dall’altro lato occorre identificare, caso per caso, la cura più appropriata, in modo da ridurre il più possibile il disagio del piccolo sfruttando al meglio l’azione dei farmaci per ottenerne la massima efficacia con il dosaggio inferiore e con il minore rischio di effetti indesiderati. La difficoltà di oggettivare un sintomo del tutto personale Nell’approccio al dolore una prima difficoltà è rappresentata dalla soggettività del sintomo: il pediatra, durante la visita, può raccogliere alcune informazioni utili, sia dai genitori sia attraverso l’osservazione e il ricorso a eventuali manovre, ma la percezione del dolore è influenzata da numerosi fattori, tra i quali si potrebbero citare la personalità, lo stato emotivo del momento, l’ora della giornata, l’eventuale compresenza di altri disturbi e così via. Questo spiega perché la paura dell’ago o del dentista potrebbe rendere un’iniezione o un’otturazione molto più fastidiose di una distorsione articolare durante una gara in cui il bambino si impegna anima e corpo o perché una colica gassosa lascia un lattante molto più agitato e irritabile se la mamma la vive con ansia e preoccupazione. Un altro aspetto di particolare rilevanza è la capacità del bambino di esprimere il dolore (tipologia e intensità). A tale scopo sono

state elaborate e testate alcune scale di valutazione proprio sulla base del suo sviluppo nelle varie fasce d’età: al di sotto dei 3 anni il criterio migliore di valutazione è il comportamento; dai 3 ai 7 il bambino è in grado di indicare, tra varie faccine, quella che meglio esprime la propria condizione; ai più grandicelli, invece, si possono proporre gli stessi metodi impiegati negli adulti: una scala numerica da 0 (assenza di dolore) a 10 (dolore fortissimo) oppure una scala analogica costituita da un segmento su cui riportare, tra le due estremità, il punto corrispondente all’intensità. Uno strumento tuttora utile, sebbene pubblicato alcuni anni fa, è il volume del Ministero della Salute “Il dolore nel bambi-

[ L’integrazione dell’osservazione clinica con l’uso di una scala appropriata permette un inquadramento preciso delle caratteristiche del dolore e orienta la conseguente terapia

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no - Strumenti pratici di valutazione e terapia”. L’integrazione dell’osservazione clinica con l’uso di una scala appropriata permette così un inquadramento preciso delle caratteristiche del dolore e orienta la conseguente terapia: a tale riguardo va ribadito che il dolore nel bambino peggiora la qualità della vita, lascia traccia nella memoria ed è semmarzo 2018

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pediatria / dolore

i requisiti di una scala per valutare il dolore nel bambino Validità e affidabilità, che si traducono nella riproducibilità del risultato n Appropriatezza al grado di sviluppo: è fondamentale che il bambino abbia la capacità esprimersi secondo la modalità che gli viene proposta n Immediata comprensione sotto il profilo culturale: il bambino deve sapere come rispondere n Semplicità e rapidità di impiego: l’esito n

[ Un primo mito da sfatare è quello secondo cui la percezione del dolore aumenti in funzione dell’età

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pre possibile la sua cronicizzazione. A tale proposito va precisato che, a differenza della vecchia concezione, basata su limiti temporali, oggi non si considera più cronico il dolore che supera i tre mesi di durata bensì quello che perdura oltre il previsto periodo di guarigione, a dispetto di un livello di malattia basso e non tale da giustificarlo.

deve essere istantaneo, senza distrazioni e perdite di tempo n Facile reperibilità (per esempio da internet) e gratuità n Sicurezza microbiologica: la scala deve essere facilmente disinfettabile oppure monouso (per esempio scheda cartacea) n Disponibilità in varie lingue: consente di superare eventuali barriere nella comunicazione

Superare credenze e falsi miti Uno studio ormai aneddotico, pubblicato più di 15 anni fa sula rivista Lancet, aveva richiamato l’attenzione sull’importanza di un’opportuna sensibilità al dolore di neonati e lattanti: quelli, infatti, circoncisi senza un’adeguata analgesia avevano manifestato alle vaccinazioni successive reazioni di più spiccato dolore rispetto ai coetanei non circoncisi. Un primo mito da sfatare è dunque quello secondo cui la percezione del dolore aumenti in funzione dell’età (già alla 24° settimana di gravidanza il feto può avvertire dolore) e che nei primi mesi di vita le esperienze di dolore, incluse quelle più traumatiche, non lascino alcuna traccia o ricordo. Se dunque è opportuno conoscere le credenze più o meno veritiere dei genitori è altrettanto importante aiutarli a elaborare le eventuali esperienze di dolore a cui può andare incontro il loro bambino. Questo, in primis, a fronte della necessità di prevenire l’insorgenza di reazioni da stress traumatico tali da condizionare il loro approccio futuro, per esempio rifiutando la proposta di terapie che, per quanto indispensabili o inevitabili, possono incutere ansia e vera e propria fobia del dolore, con il conseguente rischio di persistenza, peggioramento o complicazioni della condizione patologica di base.


pediatria / dolore

Le scale di maggiore impiego n Scala FLACC per neonati e bambini al di sotto dei 3 anni o con deficit motori o cognitivi: si basa sull’osservazione del comportamento del bambino attraverso l’analisi di volto, gambe, attività, pianto e consolabilità. n Scala con le facce di Wong-Baker (oltre il terzo anno per bambini di età): si chiede al bambino di indicare qual è la faccina che corrisponde al male o al dolore che prova in quel momento. n Scala numerica (oltre gli 8 anni): si usa nei bambini che, acquisita la nozione di proporzione, sanno di indicare l’intensità del dolore attraverso un numero da 0 a 10. Criteri basilari di approccio Nel trattamento del dolore possono essere utilizzate opzioni terapeutiche farmacologiche e non farmacologiche. Le tecniche non farmacologiche differiscono tra loro in base alle fasce di età e vanno dal contatto fisico (toccare, accarezzare, cullare) per i bambini fino ai 2 anni, al gioco, al racconto di storie e alla lettura di libri fino ai 6 anni e comprendono anche il ricorso alla musica e a tecniche di respirazione per i bambini fino ai 13 anni. Il farmaco di prima scelta nel dolore lievemoderato senza infiammazione, come nel caso della dentizione, dolore di crescita ed emicrania, è il paracetamolo per bocca, che può essere somministrato sin dal primo giorno di vita grazie all’ottimo rapporto in termini di efficacia e sicurezza. Il paracetamolo agisce entro 30 minuti circa e il suo effetto analgesico permane per 4-6 ore. Il paracetamolo può essere inoltre impiegato anche a digiuno, a un dosaggio più alto rispetto a quello indicato per la febbre, come indicato dal pediatra, ma sempre in relazione al peso del bambino e senza superare nell’arco di un giorno la soglia di 60 mg/kg nei bambini d’età inferiore a 3 mesi e di 80 mg/kg in quelli più grandi. La somministrazione del farmaco per via ret-

tale è da lasciare sempre come alternativa, per esempio nel caso in cui il bambino non sia in grado di assumere nulla per bocca a causa del vomito. Per il dolore associato a infiammazione dopo il terzo mese di vita e oltre i 5-6 kg di peso è di scelta l’ibuprofene, da somministrare a stomaco pieno, in base al peso e con un intervallo di almeno 6-8 ore (contro le 4-6 ore del paracetamolo), senza superare il dosaggio massimo di 30 mg/kg in una giornata. Va in ogni caso ricordato che il trattamento del dolore, affinché sia efficace, deve avvenire secondo uno schema a orari fissi e non al bisogno. Infine se al dolore si associano manifestazioni locali, quali per esempio fuoriuscita di materiale dall’orecchio oppure arrossamento o tumefazione dopo una caduta, oppure se dovesse aumentare di intensità è sempre consigliabile il consulto del pediatra, che valuterà l’eventuale ricorso a farmaci più incisivi, quali gli oppioidi.

Bibliografia 1. Provenzi L, Fumagalli M, Giorda R, Morandi

F, Sirgiovanni I, Pozzoli U, Mosca F, Borgatti R, Montirosso R. Maternal Sensitivity Buffers the Association between SLC6A4 Methylation and Socio-Emotional Stress Response in 3-MonthOld Full Term, but not very Preterm Infants. Front Psychiatry. 2017; 8:171. 2. Ministero della Salute “Il dolore nel bambino - Strumenti pratici di valutazione e terapia, http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_ pubblicazioni_1256_allegato.pdf 3. Sieberg CB, Manganella J. Family Beliefs and Interventions in Pediatric Pain Management. Child Adolesc Psychiatr Clin N Am. 2015; 24:631-45. 4. Oliveira NCAC, Gaspardo CM, Linhares MBM. Pain and distress outcomes in infants and children: a systematic review. Braz J Med Biol Res. 2017; 50:e5984.

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elementi di farmacovigilanza Le basi della farmacovigilanza 4 Meccanismi delle reazioni avverse 4 Il risk management 4

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PATOLOGIE RESPIRATORIE / ASMA

La prevenzione delle riacutizzazioni asmatiche e una corretta gestione della patologia sono essenziali per ridurre al minimo il rischio di complicanze durante la gravidanza e il parto

l’asma in gravidanza

A

livello mondiale l’asma affligge dal 3 al 12% delle donne in gravidanza, rappresentando una delle patologie maggiormente diffuse durante la gestazione e ponendo delicati interrogativi sull’adeguato approccio terapeutico da prediligere al fine di salvaguardare il feto e la madre (1). Stime italiane rivelano un’incidenza pari al 3-4%; il 20% di queste donne manifesta una riacutizzazione dei sintomi verso la fine del secondo trimestre e l’inizio del terzo, con conseguente difficile controllo della malattia e necessario intervento medico (circa il 20%) e/o ricovero ospedaliero (circa il 6%) (2). Evidenze cliniche fornite dalla letteratura scientifica e direttamente dalla pratica clinica rilevano che durante la gravidanza tali riacutizzazioni asmatiche aumentano il rischio di

preeclampsia, diabete gestazionale e distacco della placenta (2). Dati forniti da studi clinici retrospettivi hanno inoltre messo in luce un rischio maggiore di presentazione podalica, emorragia, embolia polmonare, parto cesareo e una degenza post-parto più lunga. L’attacco asmatico può inoltre causare ipossia placentare compromettendo l’ossigenazione fetale. L’asma materno in corso di gravidanza è stato inoltre associato ad un lieve incremento del rischio di anomalie congenite quali gastroschisi, atresia anale e anomalie facciali; tuttavia non è stato ad oggi definito se tale aumento è correlabile ai farmaci assunti dalla madre durante il primo trimestre piuttosto che alla patologia materna (3). Alla luce di tali evidenze, la prevenzione delle riacutizzazioni asmatiche e una corretta gestione della patologia rappresentano

di Carla Carnovale farmacista

[ Le riacutizzazioni asmatiche durante la gravidanza aumentano il rischio di preeclampsia, diabete gestazionale e distacco della placenta

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PATOLOGIE RESPIRATORIE / ASMA

due aspetti essenziali per ridurre il rischio di complicanze e outcome sfavorevoli durante la gravidanza, il travaglio e il parto.

[ È molto più rischioso per la madre e per il nascituro interrompere la terapia piuttosto che continuare ad assumere la dose minima efficace dei farmaci, se fino a quel momento sono stati ben tollerati

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Maggiore instabilità funzionale e clinica: perché? L’instabilità funzionale e clinica osservata durante il periodo gestazionale non consente di stimare delle previsioni del tutto attendibili su come la gravidanza influenzerà l’intero decorso della patologia. In un terzo delle pazienti le riacutizzazioni possono rilevarsi di entità moderato-severa ed esitare verso stadi clinicamente più gravi; un terzo delle donne rileva invece un miglioramento della condizione clinica, mentre un altro terzo non osserva alcun cambiamento significativo della patologia. Solo il 10% delle donne va incontro a peggioramento del quadro asmatico durante il travaglio ed il parto, mentre solitamente dopo tre mesi dal parto si osserva una remissione della sintomatologia con un ripristino generale delle condizioni cliniche precedenti alla gravidanza. L’andamen-

to clinico dell’asma materno risulta difatti estremamente variabile a causa di fattori individuali legati alla gravità della condizione clinica pre-esistente (una corretta gestione dell’asma soprattutto se di grado lieve/ moderato difficilmente andrà incontro a riacutizzazioni importanti durante il periodo gestazionale, e viceversa) e per via degli importanti cambiamenti fisiologici che avvengono durante la gravidanza e il post-partum. Durante la gestazione, a livello respiratorio si osserva un aumento del consumo di ossigeno e un significativo incremento di tutti i processi metabolici generali con conseguente iperventilazione e dispnea, esacerbati dalla sensazione di ingombro dovuto all’aumento dell’utero. Molto spesso si verifica inoltre un peggioramento di un pre-esistente reflusso gastro-esofageo con conseguente esacerbazione asmatica. L’aumento fisiologico dei livelli di progesterone e cortisolo concorrono invece a determinare un miglioramento dell’andamento della patologia. Fattori di rischio I principali fattori di rischio, così come osservato per la popolazione generale, sono rappresentati dalle infezioni respiratorie (sia batteriche che virali, raffreddori, influenze, bronchiti e sinusiti), dal fumo di tabacco (sia attivo che passivo), dal reflusso gastroesofageo, dalle intense emozioni, dalle allergie alimentari o reazioni allergiche ad alcune sostanze chimiche, a cosmetici, saponi e shampoo, ad irritanti, acari della polvere, epiteli animali, dalle riniti allergiche (sia croniche che stagionali), dai cambiamenti di tempo, dallo sforzo durante l’esercizio fisico, dagli odori intensi, spray e profumi e da precedenti attacchi di asma grave. Trattamento dell’asma: l’importanza dell’aderenza al trattamento La gestione dell’asma in gravidanza è un aspetto molto delicato poichè ad elevato rischio di sospensione del trattamento, princi-

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PATOLOGIE RESPIRATORIE / ASMA

trattamento dell’asma in gravidanza Generalmente la terapia farmacologica prevede la prescrizione di medicinali da assumere quotidianamente per migliorare la funzionalità polmonare e prevenire le esacerbazioni (terapia di fondo) e di medicinali in grado di tenere a bada i sintomi principali quali senso di costrizione toracica, tosse e respiro sibilante (terapia sintomatica) (3). Terapia di fondo n Corticosteroidi inalatori (beclametasone, budesonide, fluticasone): costituiscono la terapia elettiva a lungo termine dell’asma ad ogni livello di gravità; controllano l’infiammazione, riducono le esacerbazioni e la necessità di usare i broncodilatatori (l’utilizzo del distanziatore è sempre indicato perchè riduce gli effetti avversi e la possibilità di penetrazione nei tessuti del feto). Flunisolide, mometasone e triamcinolone non sono consigliati per mancanza di dati esaustivi sull’assunzione in corso di gravidanza.

palmente a causa del pregiudizio legato alla comune erronea convinzione che i medicinali non vadano assunti per salvaguardare la salute del bambino. È invece molto più rischioso per la madre e per il nascituro interrompere la terapia piuttosto che continuare ad assumere la dose minima efficace dei farmaci, se fino a quel momento sono stati ben tollerati (4). Un’asma materna scarsamente controllata con conseguente ipossiemia può determinare anomalie fetali, un aumento della mortalità perinatale, parto pretermine, e anche un rischio per la madre (preeclampsia, iperemesi, emorragie vaginali) (5). Nonostante ciò, dati recentemente pubblicati in letteratura rilevano una scarsa aderenza al trattamento farmacologico per il controllo della patologia da parte delle donne gravide (6); è inoltre stato rilevato un calo drastico delle percentuali di prescrizioni dispensate per le donne asmati-

I Cromoni inalatori (sodio cromoglicato): prevengono l’ostruzione delle vie respiratorie e sono utilizzati per prevenire gli attacchi scatenati da esercizio fisico, aria fredda o allergie. Il nedocromile non è invece consigliato per mancanza di dati esaustivi sull’assunzione in corso di gravidanza. n Corticosteroidi sistemici: prednisolone, prednisone, metilprednisolone n Beta2-agonisti a lunga durata di azione (salmeterolo, formoterolo): prescritti dopo un’adeguata valutazione del rapporto rischio/beneficio. n Metilxantine a lento rilascio (teofillina): azione rilassante sulla parete delle vie respiratorie. n Antileucotrieni (montelukast): farmaco di seconda scelta in gravidanza nelle pazienti con asma moderata non controllata dalla terapia inalatoria steroidea. Lo zafirlukast non è consigliato per mancanza di dati su assunzione in corso di gravidanza. n Immunomodulatori (omalizumab): solo in n

che prima della gravidanza e dopo l’inizio del periodo gestazionale. Tutti gli operatori sanitari coinvolti a più livelli nella gestione delle donne gravide asmatiche dovrebbero promuovere un’attenta campagna educazionale incentrata sulla necessità di assumere assiduamente il trattamento quando il medico lo ritiene necessario. La cura si basa sulla riduzione dell’esposizione a specifici fattori di rischio e sulla terapia farmacologica, volta a garantire un’adeguata ossigenazione fetale. Le donne asmatiche che manifestano sintomi lievi e di breve durata non richiedono generalmente un intervento farmacologico continuativo. La scelta del farmaco, in termini di tipo, dosaggio e via di somministrazione, viene effettuata in base alla gravità del quadro clinico, prediligendo farmaci per i quali si dispone di una maggiore esperienza clinica ed alla più bassa dose efficace.

casi di asma grave e resistente agli altri trattamenti. In genere il suo uso è sconsigliato in gravidanza per la mancanza di dati sugli eventuali effetti embrio-fetali. Terapia sintomatica Beta2-agonisti a breve durata di azione (salbutamolo): in commercio da moltissimo tempo e per la quale gli studi teratologici su animali sono molto rassicuranti. Il fenoterolo e la terbutalina non sono invece consigliati per mancanza di dati su assunzione in corso di gravidanza. n Metilxantina a breve durata di azione, con azione rilassante sulla parete delle vie respiratorie (aminofillina). n Anticolinergici inalatori: ipratropio bromuro. n Adrenalina: solo in situazione di emergenza per i suoi effetti sulla circolazione uteroplacentare. d È importante evitare, in linea di massima, gli antistaminici, in particolare nel primo trimestre. n

Bibliografia 1. Global Initiative for Asthma (GINA).

Global strategy for asthma management and prevention www.ginasthma.com (updated 2017). 2. Ali Z, Hansen AV, Ulrik CS. Exacerbations of asthma during pregnancy: Impact on pregnancy complications and outcome. J Obstet Gynaecol. 2016;36(4):455-61. 3. www.farmaciegravidanza.gov.it/content/ asma 4. Murphy VE, Clifton VL, Gibson PG, Asthma exacerbations during pregnancy: incidence and association with adverse pregnancy outcomes. Thorax. 2006;61(2):169-76. 5. Murphy VE, Namazy JA, Powell H, et al. A meta-analysis of adverse perinatal outcomes in women with asthma. BJOG. 2011;118:1314-23. 6. Vanessa E. Murphy. Managing asthma in pregnancy. Breathe (Sheff). 2015 Dec; 11(4): 258–267.

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ars galenica Con questo volume, Irene Ruffino, responsabile del Laboratorio di Galenica interno della Farmacia Ospedaliera di Santa Maria Nuova, ci accompagna nella storia della produzione farmaceutica dalle origini della spezieria fino alle piĂš recenti produzioni.

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salute e benessere / inquinamento Polveri sottili, biossido di azoto e ozono a livello del suolo sono le sostanze che preoccupano di più e le loro concentrazioni troppo alte hanno un impatto significativo sulla salute

inquinamento: è crisi globale e la salute è sempre più a rischio

I

fumi tossici di un numero crescente di auto diesel si combinano con le emissioni di ammoniaca provenienti da agricoltura, legna e carbone, combustione di pneumatici, discariche e polveri da cantieri e forni per mattoni. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, la conseguenza è una crisi globale che minaccia di sopraffare le economie dei paesi mentre moltissime persone soccombono alle malattie cardiocircolatorie e respiratorie, agli ictus, ai tumori polmonari e ad altre malattie a lungo termine. L’inquinamento dell’aria in inverno e in estate Durante i mesi invernali la qualità dell’aria

peggiora e per capirne la ragione dobbiamo pensare a quella parte di atmosfera che è posta a diretto contatto con il suolo, l’uomo e la biosfera: tecnicamente si chiama strato limite planetario (o planetary boundary layer), è influenzato dalla presenza della superficie terrestre e risponde alle variazioni atmosferiche con una scala di tempo di circa un’ora. D’estate, questo cuscino d’aria ha un ampio spessore, fino a duemila o tremila metri e le sostanze inquinanti si possono diluire in questo grande spazio, anche grazie al rimescolamento continuo prodotto dal riscaldamento solare. Ma durante l’inverno lo strato è molto più sottile e rimane

di Renato Torlaschi

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salute e benessere / inquinamento

attaccato al suolo a causa dell’inversione termica, quel particolare fenomeno meteorologico caratterizzato da temperature più basse negli strati più vicini al terreno, proprio dove c’è l’aria che respiriamo. Nello spessore di poche decine di metri, si accumula l’inquinamento prodotto dalle varie attività umane, la maggior parte delle quali avviene proprio a livello del suolo. La miscela di inquinanti e nebbia è ormai universalmente nota come smog ed è caratteristica di certe zone geografiche in cui l’aria tende a ristagnare: in Italia accade tipicamente nella pianura padana.

[ Per l’Associazione italiana per la ricerca sul cancro esiste una relazione ben nota tra inquinamento e infiammazione dei polmoni che può in parte spiegare come lo smog possa favorire la comparsa del cancro

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I dati in Europa e in Italia L’ultimo report prodotto dall’Agenzia europea per l’ambiente (Eea) sulla qualità dell’aria in Europa è stato emesso lo scorso ottobre e presenta un’analisi aggiornata della situazione, basata sui dati ufficiali di oltre 2.500 stazioni di rilevamento in tutto il continente. I dati dimostrano che la qualità dell’aria in Europa sta lentamente migliorando, grazie alle politiche antinquinamento e ai progressi tecnologici, tuttavia siamo ben lontani da una situazione accettabile. Polveri sottili, biossido di azoto e ozono a livello del suolo sono le sostanze che preoccupano maggiormente e le loro concentrazioni ancora troppo elevate hanno un impatto significativo sulla salute dei cittadini europei. Secondo il report, il particolato più fine (PM 2,5) è stato responsabile nel solo 2014 di 428.000 decessi prematuri nei 41 Paesi europei analizzati; di questi, ben 59.630 sono avvenuti in Italia, in cui si sono registrate le concentrazioni più elevate di tutta l’Europa occidentale. Per la verità, anche in Lombardia – una delle regioni più rappresentative a questo riguardo – i dati indicano una chiara tendenza al miglioramento, ma ancora insufficiente per rientrare nei limiti della legge italiana, che ha recepito la direttiva dell’Unione europea sulla qualità dell’aria.

I rischi per la salute Ma in che modo l’inquinamento influenza la salute? Prima di tutto è importante notare che lo smog colpisce tutti in modo diverso e alcune persone sono più suscettibili ai suoi effetti negativi. I bambini, gli anziani e le persone con asma devono essere particolarmente attenti nei giorni di nebbia. L’esposizione allo smog può portare a diversi tipi di problemi di salute a breve termine a causa del suo contenuto di ozono. Sintomi tipici sono la tosse e l’irritazione della gola o del torace: alti livelli di ozono possono irritare il sistema respiratorio, in genere per alcune ore dopo essere stati esposti allo smog. L’esposizione può scatenare attacchi di asma ma anche chi non soffre di questa malattia può trovare una maggiore difficoltà a respirare profondamente, specialmente durante l’esercizio fisico, a causa degli effetti dell’ozono sulla funzione polmonare. Per molti anni l’impatto dell’inquinamento atmosferico sulla formazione dei tumori, in particolare di quello al polmone, è stata oggetto di dibattito. Gli studi epidemiologici portati avanti nei diversi Paesi davano infatti risultati discordanti. Ma l’Associazione italiana per la ricerca sul cancro riporta gli ultimi dati scientifici, che lasciano ben poco spazio ai dubbi: «esiste una relazione ben nota tra inquinamento e infiammazione dei polmoni che può in parte spiegare come lo smog possa favorire la comparsa del cancro; uno studio condotto in nove Paesi, su 300.000 persone seguite per oltre 13 anni, è stato pubblicato nel luglio 2013 e ha dimostrato la relazione tra aumento delle polveri sottili e numero di tumori, indipendentemente da altri fattori come il fumo di sigaretta». Pelle e capelli Certamente meno gravi, ma ben noti e molto fastidiosi sono gli effetti delle sostanze inquinanti sulla pelle e sui capelli. Lo stress ossidativo è un’ossidazione delle cellule del corpo causata da un eccesso di molecole


salute e benessere / inquinamento

nocive che chiamiamo radicali liberi: quando l’aria è carica di particelle inquinanti, l’ossidazione delle cellule peggiora e causa l’invecchiamento cutaneo prematuro, con un’azione disidratante, la comparsa di acne e la perdita di tonicità perché denatura le proteine, i lipidi, gli zuccheri e persino il Dna. In particolare, il monossido di carbonio rallenta il metabolismo della pelle, facendola invecchiare precocemente e rendendo la carnagione opaca: le particelle sospese possono causare irritazioni cutanee e allergie; l’ozono causa infiammazione e irritazione; l’anidride solforosa innesca alterazioni del film idrolipidico producendo, anche in questo caso, irritazione cutanea. Altrettanto esposti ai danni dell’inquinamento sono i capelli: le polveri sottili, il fumo e gli inquinanti gassosi si depositano sul cuoio capelluto e sui capelli stessi, causando un’irritazione che si può manifestare in molti modi diversi che vanno dalla secchezza, alla sensazione di prurito, alla rottura. Le aziende hanno messo in commercio numerosi prodotti che aiutano pelle e capelli a proteggersi dagli agenti inquinanti. Una buona idratazione è sempre importante, così come un’attenzione alla pulizia: è meglio però non esagerare con lo shampoo e comunque evitare quelli aggressivi, che potrebbero peggiorare la secchezza dei capelli. Aria inquinata ed esercizio fisico È un dubbio di molti: ci viene ripetuto continuamente che un esercizio fisico aerobico regolare migliora la salute, ma questi benefici si mantengono anche quando l’aria è inquinata oppure, in questo caso, l’attività fisica fa più male che bene? La questione è dibattuta anche dagli esperti e alcune risposte convincenti giungono da Edward R. Laskowski, co-direttore del Centro di medicina sportiva della Mayo Clinic, che consiglia comunque molta prudenza. «Anche quando non ci si allena, l’esposizione all’inquinamento atmosferico può causare problemi

di salute – premette Laskowski – ma con la combinazione di inquinamento atmosferico ed esercizio fisico, i potenziali problemi di salute si aggravano. Una ragione per questo aumento del rischio può essere che durante l’attività aerobica di solito si inala più aria e si inspira più profondamente nei polmoni. E poiché è più probabile che durante l’esercizio si respiri profondamente attraverso la bocca, l’aria aggira i passaggi nasali, che normalmente filtrano le particelle inquinanti nell’aria». Tuttavia, siccome l’esercizio ha evidenti benefici per la salute, l’esperto consiglia di non rinunciare completamente all’esercizio fisico, a meno che non lo ordini il medico: «la ricerca ha dimostrato che i benefici a lungo termine dell’esercizio regolare superano i rischi associati all’esposizione all’inquinamento atmosferico; per rimanere il più sano possibile mentre ci si allena è però bene concentrarsi sui modi per ridurre al minimo l’esposizione all’inquinamento atmosferico». Il primo accorgimento suggerito è di controllare i livelli di inquinamento: giornali, radio e televisioni locali riportano spesso indicazioni sulla qualità dell’aria, così come alcuni siti web, che sono accessibili in qualsiasi momento. Sulla base di queste informazioni si può evitare l’attività fisica all’aperto o ridurne intensità e durata nei momenti più critici. È bene ricordare inoltre che i livelli di inquinamento atmosferico tendono a essere più elevati vicino a mezzogiorno o nel pomeriggio. Ovviamente è opportuno evitare di allenarsi vicino a strade dove c’è traffico intenso. Infine si può variare la propria routine con attività al coperto, specialmente nei giorni in cui la qualità dell’aria è peggiore. marzo 2018

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attualità

Cosmofarma 2018: la farmacia al centro Si svolgerà come sempre a Bologna, la 22° edizione di Cosmofarma Exhibition, in programma da venerdì 20 a domenica 22 aprile presso il quartiere fieristico bolognese. Cosmofarma si conferma luogo di formazione e aggiornamento anche per il 2018. Il calendario convegni è infatti ricco di spunti e temi di grande attualità. Partner di elevato profilo scientifico e opinion leader esporranno le loro tesi, secondo tre filoni tematici: manageriale, tecnico-scientifico e istituzionale. Riflettori puntati anche sugli effetti della recente approvazione della legge 124, ex “Ddl Concorrenza”, che sta generando nuovi modelli di business, con un impatto notevole sui segmenti della distribuzione e della logistica: nuovi player si affacciano al mercato delle farmacie tra cui

fondi, imprenditori locali e internazionali. A questi si aggiunge il ruolo sempre più cruciale svolto dalla Distribuzione Intermedia, che sviluppa servizi innovativi di business e nuovi format aggregativi. Sulla base di queste premesse, Cosmofarma dedica una nuova sezione a questo mondo retail. Inoltre, nell’ottica dell’ampliamento a monte della filiera produttiva in ambito dermocosmesi, nutraceutica e dispositivi medici, si darà spazio a un’area il cui core business è la produzione contoterzi. Il padiglione 32, dedicato alle aggregazioni e al contoterzismo, rappresenta un passo importante per la manifestazione che amplia ulteriormente la sua offerta ad aziende e visitatori. Tra i temi principali di Cosmofarma 2018: il digitale, la gestione manageriale della

farmacia, l’aggregazionismo in contrapposizione alle catene e la dermocosmesi. La trasformazione del settore salute sarà l’argomento principale della Cosmofarma Business Conference. Per informazioni: www.cosmofarma.com

Al via la VI edizione del Master internazionale in Clinical Pharmacy Si è aperta sabato 17 febbraio la VI edizione del Master internazionale in Clinical Pharmacy. La giornata inaugurale è stata introdotta a Milano dalla professoressa Paola Minghetti, direttrice del master. I lavori, condotti dal professor Corrado Giua, presidente della Società Italiana di Farmacia Clinica (Sifac) e coordinatore del master, hanno visto la partecipazione del presidente della Fofi, il senatore Andrea Mandelli, e del presidente di Federfarma, Marco Cossolo. Davanti a oltre 50 farmacisti è stata l’occasione per fare il punto sulla farmacia clinica in Italia oggi e sulle prospettive di crescita soprattutto in ambito professionale, ad oggi sempre più

esigente e competitivo. «In sei edizioni del Master abbiamo formato, attraverso un percorso universitario innovativo – ricorda la professoressa Paola Minghetti – oltre 300 farmacisti clinici in tutta Italia, capaci di supportare la classe medica nella presa in carico del paziente cronico e affiancarla nella gestione dei disturbi minori per mezzo di protocolli validati». Oggi, definita e rafforzata la gestione standardizzata delle problematiche minori, il Master accoglie la sfida della cronicità fornendo dei modelli di gestione pratici per la presa in carico del paziente cronico in collaborazione con la medicina generale.

«La Farmacia Clinica passa dunque oggi – aggiunge Corrado Giua – da una realtà d’avanguardia a una rete consolidata e in crescita che può contribuire, attraverso nuove competenze specialistiche certificate, alla sostenibilità qualitativa ed economica della professione». La collaborazione scientifica di Sifac con il Master in Clinical Pharmacy apporterà nuovi modelli di gestione clinica per la presa in carico della cronicità delle patologie cardiovascolari e metaboliche, sperimentati con successo in Spagna ed ora adeguati al contesto italiano. Per informazioni: www.masterclinicalpharmacy.it marzo 2018

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Nutra Days: a Bologna l’evento dedicato alla nutraceutica Nutra Days, l’evento dedicato alla nutraceutica a 360 gradi ideato da Cum Grano Salis Ltd, società internazionale con sede a Londra specializzata nell’ideazione e produzione di eventi su temi di attualità, si svolgerà nel pomeriggio di venerdì 23 marzo a Bologna, nella splendida cornice del cinquecentesco Archiginnasio, sede originaria della facoltà di medicina dell’ate-

neo bolognese e attuale sede della Società Medico Chirurgica di Bologna. Nato nel 2015, NutraDays è uno spazio per chi lavora nel nutraceutico, per conoscerne le ultime novità, incontrare grandi esperti, fare networking e porre domande. Nell’edizione bolognese, che si svolgerà in partnership con SINUT, si parlerà di nutraceutici e rischio cardiovascolare, nutra-

ceutica e neuroscienze e delle differenze di consumo e prescrizione dei nutraceutici tra Nord, Centro e Sud Italia. Maggiori informazioni e programma completo sono disponibili sul sito web: http://www.cgs.eu.com/nutradays

Omeopatia a confronto con i trattamenti tradizionali: i risultati dello studio EPI3 Un paziente seguito da un medico che prescrive medicinali omeopatici ha un decorso clinico simile a quello di un paziente seguito da un medico che non lo fa, senza perdita di opportunità terapeutica e con un minor consumo di farmaci che possono provocare effetti indesiderati. È quanto sembra emergere dal più importante studio farmacoepidemiologico mai realizzato nel campo della medicina generale in Francia. Il programma di ricerca, denominato EPI3, è stato oggetto nell’arco di 6 anni di 11 pubblicazioni scientifiche peer review indicizzate. Le conclusioni sono le medesime per tutti i disturbi considerati: l’omeopatia funziona. Il programma di ricerca EPI3 è stato realizzato tra il 2006 e il 2012 su proposta dei Laboratoires Boiron, con il coordinamento della società LASER, diretta dal professor Lucien Abenhaïm, ex Direttore Generale del Dipartimento della Salute francese, e la supervisio46

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ne di un comitato scientifico presieduto dal professor Bernard Bégaud, farmacologo. Sono stati coinvolti inizialmente 825 ambulatori di medicina generale e 8.559 pazienti, allo scopo di commisurare i risultati dei trattamenti omeopatici o allopatici prescritti. Si è scelto quindi di focalizzarsi su tre tipologie di disturbi, che rappresentano il 50% dei motivi di consulto in medicina generale: infezioni del tratto respiratorio superiore, dolori muscoloscheletrici e disturbi del sonno, ansia e depressione. Per un anno, i pazienti sono stati seguiti per valutare l’evoluzione clinica, il rischio che non venissero curati con i trattamenti appropriati, la tipologia di medicinali assunti e gli effetti collaterali. Confrontando i risultati ottenuti, non ci sono differenze in termini di efficacia terapeutica, a seconda che si sia seguito un trattamento allopatico, omeopatico o ‘misto’. Lo studio EPI3 dimostra, infatti, che l’evo-

luzione clinica dei pazienti in cura presso medici esperti in omeopatia è generalmente uguale a quella degli altri pazienti, con un’assunzione ridotta di farmaci che possono provocare effetti indesiderati. In particolare, nel gruppo di pazienti affetti da infezioni delle vie respiratorie (518 pazienti), il miglioramento è del tutto simile; tuttavia, i pazienti trattati da medici omeopati e medici con pratica mista hanno assunto meno antibiotici (- 57%). In presenza di dolori muscoloscheletrici (1.153 pazienti), a parità di risultati terapeutici, i pazienti trattati da medici omeopati e medici con pratica mista hanno ridotto di quasi la metà il consumo di antinfiammatori (- 46%) e di due terzi quello di analgesici (- 67%). Per i pazienti affetti da disturbi del sonno, ansia e depressione (710 pazienti), a fronte di un miglioramento clinico corrispondente, nei gruppi omeopatia e misto crolla il consumo di benzodiazepine (- 71%).


cosmetologia senza frontiere Una guida pratica e immediata che offre una panoramica sui cosmetici e cosmeceutici, riclassificati in base alle piĂš importanti terapie in uso, che permette al medico estetico, dermatologo e chirurgo plastico di fornire un protocollo mirato per ciascun paziente.

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Isdin SunBrush Mineral: fotoprotezione del viso prêt-à-porter

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sdin presenta Fotoprotector SunBrush Mineral, il nuovo fotoprotettore 100% minerale da portare sempre con sé, per una pelle protetta, liscia e senza rughe, 365 giorni all’anno. Grazie al pratico formato tascabile e alla texture ultraleggera che si adatta a qualsiasi tipo di incarnato e trucco, l’ultimo nato in casa Isdin protegge dai raggi solari e matifica in un solo gesto, difendendo al contempo la pelle dagli agenti inquinanti. Comodo e facile da utilizzare grazie al pratico pennello applicatore, SunBrush Mineral offre una protezione ad ampio spettro Uva/Uvb Spf30 con filtri 100% minerali e sfrutta la tecnologia Full Spectrum (Uvb, Uva, HE Visible & IR-A), che combina fil-

tri ed antiossidanti in modo avanzato, per prevenire il danno solare, agendo in modo efficace contro i raggi Uva/Uvb, riflettendo la luce visibile azzurra e riducendo l’assorbimento degli infrarossi. La sua texture ultraleggera lascia respirare la pelle, senza aggiungere colore ed adattandosi a qualsiasi tipo di incarnato e soprattutto al trucco: SunBrush Mineral è infatti pensato per poter essere applicato anche sopra al make-up, ovunque e in qualsiasi momento della giornata, per proteggersi dal sole e dagli agenti contaminanti attraverso appositi attivi anti-inquinamento. Inoltre, grazie alla sua formula con riflettori di luce capaci di dissimulare il lucido e le imperfezioni, il nuovo fotoprotettore matifica e

minimizza le rughe, lasciando la pelle visibilmente più liscia. Ipoallergenica, non comedogenica e resistente all’acqua, la novità Isdin è dermatologicamente testata e adatta anche a pelli sensibili, atopiche e reattive. Isdin Tel. 02 20520276 info@isdin.com www.isdin.com

Salviette umettanti Blefarette per la detersione degli occhi

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n famoso detto recita che gli occhi sono lo specchio dell’anima, e per questo è importante prendersene cura in maniera adeguata. Capita spesso, infatti, che a causa di agenti esterni come vento, polvere, allergeni stagionali e uso di cosmetici le palpebre possono essere interessate da patologie infiammatorie accompagnate spesso da rilevanti ipersecrezioni mucose, tra cui blefariti, orzaioli, congiuntiviti, da-

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criocistiti e febbre da fieno. Le morbide salviette monouso in tessuto non tessuto Blefarette di Farmigea sono la soluzione ideale e a portata di mano contro i fastidiosi disturbi a carico della zona perioculare. Del tutto prive di siliconi, alcol e parabeni, le salviette Blefarette svolgono un’azione umettante e detergente di palpebre e ciglia, senza ungere e senza bisogno di risciacquo eliminando, quindi, anche il rischio di residui schiumosi potenzialmente irritanti. Le sostanze emollienti e detergenti naturali di cui sono imbevute, quali il gel di Carragenina (ottenuto dall’alga rossa Chondrus crispus), generano una sensazione di pia-

cevole sollievo e freschezza, aiutando a ripristinare la salute del’ occhio con un solo gesto e in maniera assolutamente non aggressiva. Le salviette Blefarette possono essere usate quotidianamente e all’esigenza: fuori casa per liberare la zona perioculare da sabbia, polvere e inquinamento; per alleviare blefariti e congiuntiviti, per l’igiene dell’occhio e nell’eventualità di palpebre affaticate. Farmigea Distribuito da Qualifarma S.r.l. Tel. 0523 803026 info@qualifarma.it www.farmigea.it


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Magnosol, integratore alimentare per carenzE di magnesio e potassio

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onciliare tante attività quotidiane è faticoso e può provocare una giustificata spossatezza fisica. Quando poi si attraversano periodi particolarmente intensi o debilitanti, i cali di energia e l’affaticamento muscolare diventano ancor più accentuati, a causa della carenza di determinati sali minerali. Anche un’alimentazione non corretta o situazioni di aumentato fabbisogno (eccessiva sudorazione dovuta al caldo o ad aumentata attività fisica o lavorativa, gravidanza, allattamento) possono causare carenze di questi elementi.

Magnosol è un integratore alimentare a base di magnesio e potassio, utile in tutti i casi di carenza o aumentato fabbisogno di tali elementi. Il magnesio è un minerale che contribuisce al normale metabolismo

energetico, al normale funzionamento del sistema nervoso e alla normale funzione muscolare. Il potassio è un minerale che contribuisce alla normale funzione muscolare. Il consumo varia in funzione delle individuali necessità. Si consiglia di assumere da 1 a 2 bustine al giorno, da sciogliere in circa mezzo bicchiere d’acqua.

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Gunabasic, L’INTEGRATORE CHE REGOLA IL PH

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unabasic è un integratore alimentare completo per regolare il pH. Perfettamente solubile, a base di sali minerali, beta carotene e zinco, con estratti vegetali e con stevia, è in grado di apportare in modo naturale il giusto fabbisogno di minerali ed oligoelementi. Un equilibrio acido-base bilanciato e con un pH fisiologico è infatti indispensabile per l’armonia dell’intero organismo. Per il mantenimento della condizione di benessere nel tempo, Gunabasic garantisce il riequilibrio del pH senza scompensare verso l’alcalinizzazione. Può essere d’aiuto a coloro che soffrono di acidità legata a una cattiva alimentazione e per controbilanciare gli effetti negativi di una dieta iperproteica, per chi ha ritmi di vita stressanti o abitudini poco salutari (fumo, al-

cool, mancanza di attività fisica) o sta affrontando una dieta dimagrante restrittiva, per gli atleti o per chi abusa di integratori proteici non bilanciati. È un ottimo coadiuvante dopo i 50 anni di età ed è utile anche nella prevenzione dell’osteoporosi. Gunabasic è una miscela sinergica e complementare di estratti minerali e vegetali. Tra i suoi componenti spiccano lo zinco, che contribuisce al fisiologico metabolismo acido-base, e il magnesio, utile per il mantenimento dell’equilibrio elettrolitico. Gli estratti vegetali di carota e finocchio sono efficaci per il drenaggio dei liquidi corporei, mentre l’estratto vegetale di tarassaco contribuisce alle funzioni depurative dell’organismo. Assunto alla sera prima di coricarsi, Gunabasic svolge un’azione antistress, conci-

liante il riposo e il sonno, condizione che unitamente al ristabilimento delle funzioni organiche di base è indispensabile per ritrovare la sensazione di benessere. Gunabasic è privo di glutine e da oggi è disponibile con edulcorante naturale da glicosidi steviolici (stevia). Guna Tel. 02.280181 info@guna.it - www.guna.it marzo 2018

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Cura e benessere dei piedi: linea Timodore per calli e duroni

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l primo callifugo Dottor Ciccarelli è stato creato e messo in vendita più di 100 anni fa: una storia fatta di professionalità, capacità di innovazione ed esperienza. Ancora oggi i Callifughi Dottor Ciccarelli della linea Timodore rappresentano un rimedio per rimuovere rapidamente e facilmente qualsiasi tipo di callosità, anche la più resistente e diffusa, con dolcezza e senza disagio. Timodore, la linea di Farmaceutici Dottor Ciccarelli dedicata al benessere e alla deodorazione dei piedi, propone nella Linea Trattamento e in quella Podologica anche alcuni prodotti specifici indicati per prevenire e trattare i più frequenti problemi di callosità del piede e delle mani. Il Callifugo Pomata Timodore in tubetto è un rimedio adatto a tutti

i problemi di callosità dei piedi e delle mani. Estirpa in pochi giorni i duroni e qualsiasi tipo di callo, anche il più difficile e resistente, senza procurare dolore. Il Callifugo Pomata è indicato per calli duri, molli, occhi di pernice e duroni ed è specifico per essere applicato nelle posizioni più difficili e scomode. Il Cerotto Paracalli Timodore è studiato appositamente per prevenire e proteggere il piede dalla formazione delle callosità a seguito dello sfregamento della scarpa. Il cerotto previene la formazione di calli, occhi di pernice, duroni o anche semplici arrossamenti e preserva la parte trattata dopo la rimozione di precedenti callosità. Formato: per duroni, per calli duri, per calli molli e in tela da ritagliare.

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LENIGOLA SPRAY FORTE, L’ALLEATO PER IL BENESSERE DELLA GOLA

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l mal di gola, o faringite, è un’infiammazione piuttosto comune delle prime vie respiratorie solitamente causata dall’attacco di virus o batteri, ma anche da agenti esterni irritanti come fumo, aria secca o inquinamento. Tra i sintomi più comuni ci sono la sensazione di bruciore, dolore nella deglutizione, difficoltà a parlare. Se il mal di gola è di tipo virale o batterico, può essere accompagnato anche da febbre, raffreddore e tosse. Quando compaiono i primi sintomi è opportuno intervenire subito. Lenigola Spray Forte è un integratore alimentare che associa le proprietà della propoli all’azione rinfrescante del timo e dell’eucalipto. Con propoli decerata e purificata. Altissima concentrazione di flavo-

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noidi per il sollievo della gola irritata. La propoli è composta principalmente da resine, balsami e cere, che variano a seconda delle diverse fonti di raccolta. Oltre a queste componenti sono presenti anche polline, oli essenziali, composti organici (come i flavonoidi) e minerali. I flavonoidi presenti nella propoli, come la galangina, esplicano un’attività antibatterica. Maggiore è il contenuto di galangina nei prodotti, maggiore è la loro efficacia.

Lenigola Spray Forte contiene 18 mg/ml di flavonoidi totali espressi in galangina, oltre a propoli e olii essenziali di eucalipto e timo bianco. Si consigliano 2/3 spruzzi, 3 volte al giorno, indirizzati direttamente nel cavo orale (pari a 1ml di prodotto e a 18mg di flavonoidi totali espressi come galangina al giorno). Agitare bene prima dell’uso. Euritalia Pharma Division of Coswell Spa Tel. 051 6649115 www.lenigola.it www.euritaliapharma.it




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