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pianeta nutrizione In contemporanea a Cibus, Parma ospita Pianeta Nutrizione & Integrazione
PREVENZIONE DONNA Adolescenti e disordini alimentari: influenza di fattori psicologici e modelli giovanili
ENDOCRINOLOGIA Nuovi farmaci e integratori alimentari per una patologia da cogliere all’esordio
VETERINARIA La salute dei pet è un’occasione di contatto e vendita in farmacia
aprile 2014
ORTOPEDIA Le patologie del piede sono spesso provocate da calzature poco funzionali
Corso accreditato ECM Prevenzione al femminile: stili di vita, alimentazione e integrazione nelle età della donna
Abitudini alimentari degli adolescenti e disordini dell’alimentazione
Speciale focus
editoriale
editoriale
Sfidiamo il killer dell’infiammazione silente con dieta bilanciata, polifenoli, omega-3 e attività fisica Esistono due tipi di infiammazione, quella classica, che è una risposta proinfiammatoria intensa e acuta che causa dolore e l’infiammazione cronica di basso livello al di sotto della soglia di percezione del dolore. Questo secondo fenomeno, riconosciuto di recente dal mondo scientifico, è definito “infiammazione silente”. Dal momento che questo secondo tipo di infiammazione non viene percepito dall’individuo, può permanere per anni, se non addirittura decenni e causare danni ingenti che sfociano nelle malattie croniche. Questo meccanismo non vale solo per obesità e diabete di tipo 2 ma per molte altre patologie croniche, come ad esempio quelle cardiovascolari. I farmaci possono solo contenere ma non guarire perché non rimuovono la causa della patologia cronica: l’infiammazione silente. Negli ultimi 25 anni non abbiamo assistito a un’unica variazione dell’alimentazione, che da sola possa aver aumentato i livelli di infiammazione silente. Si è trattato piuttosto della convergenza nella dieta di tre cambiamenti, che qualcuno ha definito “la tempesta nutrizionale perfetta”: maggiore consumo di carboidrati raffinati ad alto carico glicemico, maggiore consumo di oli di semi vegetali raffinati ricchi di acidi grassi omega-6 e, infine, minore consumo di acidi grassi omega-3 a catena lunga. Dal momento che negli anni il costo della produzione di carboidrati raffinati è diminuito, la disponibilità di prodotti realizzati da questi ingredienti è aumentata sensibilmente. Un maggiore consumo di prodotti alimentari con un alto carico glicemico dà origine a una più elevata secrezione di insulina che è necessaria per abbassare il conseguente aumento postprandiale della glicemia. Ecco dunque che si parla di dieta antinfiammatoria, le cui principali caratteristiche dovrebbero essere un’alimentazione a basso carico glicemico, a basso tenore di acidi grassi omega-6 e ricca di acido eicosapentaenoico (EPA). La maggior parte dei carboidrati dovrebbero provenire da fonti a basso carico glicemico che ridurrebbero l’insulina in maniera sostanziale. Questo obiettivo potrebbe essere raggiunto con circa 10 porzioni al giorno di verdure non amidacee e quantità limitate di frutta (per via dell’alto contenuto di fruttosio) con un’esclusione non totale, ma relativamente rigorosa, di carboidrati ad alto carico glicemico quali pane, pasta, riso e patate. La dieta antinfiammatoria presenta numerosi vantaggi. Il primo è un aumento significativo del consumo di polifenoli (che si trovano in frutta e verdura) che sono noti per le loro proprie antinfiammatorie come pure l’attivazione di AMP kinasi, utile ad avviare processi metabolici importanti per il controllo di zuccheri e lipidi in circolo. Un altro beneficio della dieta antinfiammatoria proposta è una riduzione a livello cerebrale dei livelli di endocannabinoidi che svolgono un ruolo significativo nell’insorgenza del senso di fame.
“
Oggi molti studiosi
considerano il cibo potente come un farmaco se usato correttamente e concordano sulla necessità di controllare l’infiammazione silente, all’origine di alcune delle principali malattie croniche e neuro degenerative del secolo. Una prevenzione non
”
consigliata ma finalmente “prescritta”
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ECM a distanza 2014 abitudini alimentari degli adolescenti e disordini dell’alimentazione Mariano Casali, Maurizio Cavallaro, Rachele De Giuseppe Lucio Della Guardia, Federica Grandi, Silvia Maffoni, Luana Ochner
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speciale focus cosmofarma
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l’età del dolore Giuseppe Ricci
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vivere bene la terza età Paolo Pegoraro
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i nutraceutici nella terapia delle dislipidemie Hellas Cena, Silvia Maffoni
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il farmacista da venditore a counselor Renato Torlaschi
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più informazione e più sicurezza Intervista a Mauro Moroni
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la malattia parodontale colpisce il 60% degli italiani Intervista a Leonardo Trombelli
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Science in Nutrition 2014 la dieta antinfiammatoria per prevenire le malattie croniche
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Speciale Nutrizione pianeta nutrizione & integrazione IV forum multidisciplinare di nutrizione
sommario 70
Endocrinologia patologie della tiroide facciamo un po’ di chiarezza Rachele Villa
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Ortopedia l’influenza della scarpa nelle patologie del piede Andrea Peren
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Veterinaria la salute degli animali un’opportunità per i farmacisti Renato Torlaschi
rubriche 80 86
Direttore responsabile Paolo Pegoraro Board scientifico Hellas Cena (Direttore) Gabriele Bellomo Silvia Brazzo Mario Calzavara Mariano Casali Luca Marin Fulvio Marzatico Mara Oliveri Giuseppe Rovera Marco Rufolo
ne parliamo con... attività fisica adatta per i soggetti disabili Intervista a Luca Marin, Matteo Vandoni le aziende informano
Redazione Rachele Villa r.villa@griffineditore.it Grafica Grafic House, Milano Hanno collaborato Mariano Casali, Maurizio Cavallaro, Hellas Cena, Rachele De Giuseppe, Lucio Della Guardia, Federica Grandi, Silvia Maffoni, Luana Ochner, Paolo Pegoraro, Andrea Peren, Giuseppe Ricci, Renato Torlaschi Direttore Commerciale Giuseppe Roccucci Vendite Stefania Bianchi (agente), 340 1246792 Barbara Guglielmana (agente), 335 5803827 Sergio Hefti (agente), 345 0209206 Manuela Pavan (agente), 348 2441914 Ufficio Abbonamenti Tel. 031.789085 - customerservice@griffineditore.it SIDeMaST
Società Italiana di Dermatologia medica, chirurgica, estetica e delle Malattie Sessualmente Trasmesse
Stampa Reggiani spa - Divisione Arti Grafiche Via Alighieri, 50 Brezzo di Bedero (VA) Abbonamento annuale Italia: euro 0,95 Singolo fascicolo: euro 0,19 Tiratura del presente numero: 15.000 copie Professione Salute periodico bimestrale Anno V - n. 2 - aprile 2014 Registrazione del Tribunale di Como con il n. 4 del 14/04/2010 Editore Griffin srl, piazza Castello 5/E 22060 Carimate (CO) Tutti gli articoli pubblicati su Professione Salute sono redatti sotto la responsabilità degli Autori. La pubblicazione degli articoli della rivista deve essere autorizzata per iscritto dall’Editore. AI sensi della legge in vigore, i dati dei lettori saranno trattati sia manualmente sia ocn strumenti informatici e utilizzati per l’invio di questa e altre pubblicazioni o materiale informativo e promozionale. Le modalità di trattamento saranno conformi a quanto previsto dalla legge. I dati potranno essere comunicati a soggetti con i quali Griffin intrattiene rapporti contrattuali necessari per l’invio della rivista. Il titolare del trattamento dei dati è Griffin, al quale il lettore si potrà rivolgere per chiedere l’aggiornamento, l’integrazione, la cancellazione e ogni altra operazione prevista per legge. In base alle norme sulla pubblicità l’editore non è tenuto al controllo dei messaggi ospitati negli spazi a pagamento. Gli inserzionisti rispondono in proprio per quanto contenuto nei testi.
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Corso ECM 2014 Modalità di Formazione a Distanza (FAD) riservato agli abbonati paganti*
Prevenzione al femminile: stili di vita, alimentazione e integrazione nelle età della donna Responsabile scientifico Prof.ssa Hellas Cena Medico Chirurgo, Specialista in Scienza dell’Alimentazione, Università degli Studi di Pavia Programma del corso Il corso si prefigge di approfondire le tematiche sulla nutrizione e lo stile di vita nelle diverse età della donna, evidenziando quali siano i principali fattori di rischio biologici e ambientali a ogni età e suggerendo adeguate strategie di prevenzione. Il presente corso sulla Prevenzione al femminile: stili di vita, alimentazione e integrazione nelle età della donna è stato pensato e strutturato proprio per affrontare l’età dello sviluppo, l’età fertile e la menopausa, con le diverse sfide e raccomandazioni nutrizionali e di stile di vita mirate a raggiungere e a mantenere il benessere psicofisico. Struttura del corso z Nutrizione in età evolutiva: rischio obesità? Luana Ochner, Matteo Vandoni, Valeria Calcaterra z Abitudini alimentari degli adolescenti e disordini dell’alimentazione. Rachele De Giuseppe, Lucio Della Guardia, Federica Grandi, Silvia Maffoni, Luana Ochner, Mariano Casali z L’età fertile: gravidanza e allattamento. Mara Oliveri, Elsa Del Bo z La prevenzione della sindrome metabolica in età perimenopausale. Silvia Brazzo, Luca Marin z Nutrizione e salute della donna in età postmenopausale. Mario Calzavara, Fulvio Marzatico Obiettivi del corso Il presente corso si prefigge di raggiungere i seguenti obiettivi: z l’obiettivo specifico di alimentare in modo continuo le conoscenze delle figure professionali che lavorano in ambito sanitario; i contenuti forniti potranno essere “trasferiti” all’utente finale, con ripercussioni in termini di “aumento di competenze” della comunità in cui si è chiamati ad agire; z l’obiettivo più generale di contribuire al mantenimento e rafforzamento del network comunicativo con le varie figure professionali in un percorso verso l’implementazione e lo sviluppo delle loro competenze individuali in ambito preventivo, che potrà avere importanti ripercussioni “a cascata” in termini di “guadagno di salute” di tutta la popolazione. Modalità di somministrazione del corso e accreditamente ECM
In ogni numero di Professione Salute a partire dal n. 1/2014 e per tutto il 2014 (gennaio-dicembre) sarà pubblicato un modulo composto da un articolo e da un questionario di autovalutazione. A fine corso saranno disponibili online (www.fadmedica.it) tutti i moduli pubblicati sulla Rivista e sarà possibile, modulo per modulo, rispondere ai questionari di valutazione. L’erogazione dei crediti ECM, validi per l’anno 2014, avverrà al superamento di tutti i questionari. Tutti gli iscritti al corso riceveranno le informazioni necessarie per l’accesso online e la compilazione dei questionari.
*Per informazioni: tel. 031.789085 e-mail: customerservice@griffineditore.it
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Abitudini alimentari
adolescenti
degli e disordini dell’alimentazione Le scelte alimentari degli adolescenti
Mariano Casali
Medico Chirurgo, Specialista in Cardiologia, Pavia
Maurizio Cavallaro
Biologo, PhD, Specializzando in Scienza dell’Alimentazione, Milano
Rachele De Giuseppe
Biologa, PhD, Specializzanda in Scienza dell’Alimentazione, Milano
Lucio Della Guardia
Medico Chirurgo, Specializzando in Scienza dell’Alimentazione, Milano
Federica Grandi
Dietista, Università degli Studi di Pavia
Silvia Maffoni
Medico Chirurgo, Specializzanda in Scienza dell’Alimentazione, Milano
Luana Ochner
Dietista, Università degli Studi di Pavia
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Introduzione
L’
adolescenza è un periodo della vita caratterizzato da profonde modificazioni fisiche, ormonali, psicologiche e caratteriali che possono spesso causare cambiamenti nel comportamento alimentare. È una fase delicata in cui l’adolescente aspira all’indipendenza, desidera affermare la propria nascente personalità e autonomia, e nella quale si creano disagi e paure che possono riflettersi in un rapporto conflittuale con il cibo e con il proprio corpo. Numerosi studi dimostrano che le abitudini alimentari apprese durante questa fase della vita possono influenzare la salute presente e futura1,2 e la prevalenza di disturbi alimentari sviluppati in adolescenza tendono a permanere in età adulta3.
La rapida crescita staturo-ponderale a cui vanno incontro gli adolescenti richiede elevati apporti di energia e nutrienti, soprattutto proteine, ferro, calcio e vitamine A, C, D e del gruppo B, che sono soddisfatti con un’alimentazione variata ed equilibrata. Un’alimentazione scorretta sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo può scatenare o aggravare variazioni del peso (magrezza o obesità) e determinare stati carenziali importanti già in giovane età. Le scelte e i comportamenti alimentari degli adolescenti sono fortemente influenzati dal gruppo, dalla società4, dalla pressione esercitata dalla famiglia, da una certa immagine corporea e dalle tendenze alimentari. Tra queste possiamo distinguere mode e filosofie alimentari che si fanno spazio tra le abitudini e gli stili di vita che i ragazzi di questa età seguono (tab. 1). Abitudini alimentari e stili di vita
Saltare la colazione e non frazionare i pasti della giornata in maniera adeguata sono abitudini abbastanza comuni tra gli adolescenti. La fretta e lo scarso appetito mattutino dei ragazzi sono i motivi maggiormente implicati nell’omissione di questo pasto, che porta l’adolescente ad affamarsi durante le prime ore della mattina, spingendolo a consumare snack facilmente reperibili, eccessivamente calorici, ricchi di grassi, in particolare saturi, sale e/o zuccheri semplici. È stato dimostrato che consumare la prima colazione, oltre a placare la sensazione di fame5,6, previene lo sviluppo di molte patologie croni-
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Filosofie alimentari
co-degenerative in età adulta, indipendentemente dallo stile di vita e dall’indice di massa corporea7,8. Ad aumentare il rischio di sviluppare diabete precoce, ipertensione arteriosa, insulino-resistenza e molte altre condizioni morbigene vi è, inoltre, l’abitudine degli adolescenti di non consumare le quantità giornaliere di frutta e verdura raccomandate, diminuendo così l’apporto di fibra e antiossidanti introdotti con la dieta. Nel 2004 l’Oms ha stimato che il 2,4% delle malattie nella regione europea dell’Oms era attribuibile al basso apporto di frutta e verdura, che rientra, insieme all’inattività fisica, tra i dieci fattori di rischio modificabili per l’insorgenza di malattie cardiovascolari. Come le abi-
tudini alimentari, anche lo stile di vita mantenuto in età giovanile influisce sulla salute e sull’aspettativa di vita futura9,10. L’esercizio fisico regolare è infatti un fattore protettivo nei confronti di sovrappeso, obesità e patologie cardiovascolari11. La prevalenza dei giovani europei che passano meno del 10% del loro tempo libero svolgendo attività che comportano un dispendio energetico superiore a 4 Met (Metabolic Equivalent) è pari al 43,3%12. Questo significa che oltre il 40% della popolazione europea in esame è fisicamente attiva per meno di due ore alla settimana. In Europa è stato stimato che tra i giovani solo il 35% soddisfa i criteri di attività fisica raccomandata.
tabella 1 - esempi di tendenze alimentari in età adolescenziale
MODE ALIMENTARI
FILOSOFIE ALIMENTARI
Fast food Abuso di alcol (binge drinking)
Alimentazione “salutista” (ortoressia)
Regimi dietetici eccessivamente Vegetarismo ristretti Diete a eliminazione per presunte intolleranze alimentari
Eliminazione di alcuni alimenti per scelte religiose o etiche
ERRORI ALIMENTARI Colazione assente o scarsa Scarso consumo di frutta e verdura Scorretto frazionamento dei pasti Eccessivo consumo di bevande zuccherate/gassate Eliminazione di interi gruppi alimentari (selector eaters)
Sempre più diffusa tra gli adolescenti, soprattutto di sesso femminile, è la tendenza ad adottare abitudini alimentari estremamente rigide, i cui motivi sono legati principalmente al peso e all’immagine corporea13, piuttosto che a ragioni etiche o salutari. Tra queste, una delle più conosciute è il vegetarismo, ovvero la filosofia alimentare improntata sull’esclusione dalla dieta dei cibi di origine animale, che se non ben pianificata ed eccessivamente selettiva può determinare stati nutrizionali carenziali, soprattutto per l’apporto di proteine, vitamina B12, vitamina D, calcio, ferro e zinco. Secondo lo studio condotto da RobinsonO’Brien14, gli adolescenti che seguono una dieta rigorosamente vegetariana sono inoltre più a rischio di abbuffate compulsive e saranno in futuro più predisposti a controllare ossessivamente il proprio peso attraverso l’utilizzo di integratori dietetici, farmaci e metodiche di compenso quali il vomito autoindotto. Quando l’esclusione di cibi diventa estrema, tale da portare l’adolescente al consumo di pochi alimenti per lui rassicuranti, è possibile parlare di mangiatori selettivi (“selector eaters”). Questi soggetti si concentrano sul consumo di pochi cibi, spesso ricchi di grassi o carboidrati, rifiutando di provare nuovi alimenti per almeno due anni, senza alcuna distorsione cognitiva riguardo al peso e/o alla forma del corpo. Questa condizione può determinare severe e irreversibili carenze nutrizionali, che in casi estremi possono portare anche alla morte. Mode alimentari
Tra le mode alimentari di recente sviluppo si sta diffondendo soprattutto fra i più giovani, il binge drinking (ovvero “abbuffata alcolica”), fenomeno che consiste nel consumo ravvicinato di cinque unità alcoliche (un’unità alcolica corrisponde a circa 12 grammi di etanolo) a stomaco vuoto, che non equivale secondo aprile 2014
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i giovanissimi a ubriacarsi, ma solo a essere “piacevolmente e velocemente brilli e socialmente accettati”. In Italia le prevalenze più alte si riscontrano nella fascia di età 18-24 anni; ma anche tra i giovanissimi di 14-17 anni continua a crescere ed è passata nell’ultimo decennio dal 12,9% al 22,8% tra i maschi e dal 6% al 14,7% tra le femmine. Questa condizione, se prolungata nel tempo, può determinare gravi danni a carico del sistema nervoso centrale15, del fegato e della salute in generale. L’adolescente si trova quindi una società che da una parte promuove il consumo di snack, merende e caramelle e dall’altra propone modelli di immagine femminile e maschile estremi, che per tentazione o imitazione possono indurre i più giovani ad adottare schemi alimentari disordinati, i quali possono determinare stati nutrizionali deficitari, per incapacità di soddisfare gli elevati fabbisogni di cui gli adolescenti necessitano. Diete estremamente rigide e attività fisica vissuta in maniera ossessiva e compulsiva possono favorire lo sviluppo di disturbi alimentari, quali anoressia, bulimia, bigoressia o ortoressia, che comportano alterazioni psico-fisiche più o meno gravi. D’altro canto, un’alimentazione eccessivamente calorica seguita da eccessiva sedentarietà vengono considerati fattori di rischio per lo sviluppo di sovrappeso e obesità, che nel 2% dei casi sviluppa binge eating disorder (Bed) caratterizzato da abbuffate compulsive senza meccanismi di compenso. Anoressia nervosa
L’anoressia nervosa (An) è una patologia disabilitante, caratterizzata da comportamento alimentare alterato, ricerca di estrema magrezza e distorsione dell’immagine corporea, in soggetti che presentano un Bmi < 18.5 Kg/ m2. È tipicamente appannaggio dei soggetti di sesso femminile in una fascia di età compresa tra i 14 e i 25 anni, con un picco di prevalenza tra i 16 e i 1816. In Italia le stime di prevalenza 16
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dell’anoressia nervosa individuano valori compresi tra 0,2% e 0,4%. La prevalenza per i soggetti di sesso maschile è poco nota; si ipotizza un verosimile rapporto di 1:10 tra maschi e femmine. L’anoressia nervosa viene suddivisa in due classi principali a seconda della presenza o meno di condotte di eliminazione: z An restricting type, forma in cui l’unico espediente adottato è riferibile alla restrizione energetica; z An binge/purging type, forma in cui prevale l’impiego di metodiche di eliminazione quali vomito autoindotto, utilizzo di diuretici o lassativi a seguito dell’ingestione di quantità variabili di alimenti (spesso sovrastimate dal soggetto). Nei soggetti affetti da An è tipicamente riscontrabile un tratto ossessivo-compulsivo17,18 associato alla ricerca spasmodica di un perfetto autocontrollo, spesso raggiunto con comportamenti rituali. Altre alterazioni della sfera psichica, tipiche della patologia, sono il sentimento di inaffettività, rigidità mentale, deficit di autostima (frequentemente legato alla sensazione d’inadeguatezza nei rapporti sociali) e un’evidente difficoltà nell’espressione dei sentimenti.
Nel caso della tipologia “purging” sarebbe invece riscontrabile una maggiore tendenza all’impulsività oltre che all’abuso di alcol e droghe. I criteri diagnostici dell’An presenti nel DSM-5 (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali)19 sono i seguenti: a. eccessiva restrizione calorica rispetto alle necessità per stadio di sviluppo che determina un calo di peso al di sotto dei limiti minimi normali per sesso ed età; b. intensa paura di ingrassare, anche se gravemente sottopeso o manifestazione di comportamenti che possano interferire con lo status ponderale anche in presenza di basso peso; c. disturbi nel modo di percepire il proprio peso e le forme del corpo, con strenua negazione della gravità del calo ponderale. All’esame obiettivo, il soggetto affetto da An può presentare diversi segni come callosità delle falangi, acrocianosi, colorito pallido giallastro, xerosi cutanea, carie dentale, cheilite angolare, estremità fredde ed emaciate, ipertrofia parotidea/sottomandibolare, lanugo, ipotrofia muscolare e stipsti ostinata, a seconda del tipo di restrizione adottata, se solo alimentare o anche di liquidi, e a seconda dei meccanismi di compenso adottati20 (tab. 2).
tabella 2 - complicanze di anoressia, bulimia e binge eating disorder an
bn
bed
Anemia, leucopenia
Disordini dell’equilibrio idroelettrolitico
Obesità
Alterazioni a carico delle proteine plasmatiche Ipercolesterolemia, ipertransaminasemia Alterazioni idroelettrolitiche Acidosi metabolica Osteopenia, osteoporosi Problemi gastrointestinali Bradiaritmie Amenorrea
Sindrome di Mallory-Weiss, rotture esofagee e/o gastriche Iperaldosteronismo, alcalosi, ipokaliema
Diabete tipo II Ipertensione arteriosa Patologie osteo-articolari Dislipidemie
Irregolarità dei cicli mestruali
Difficoltà respiratorie, OSAS
Turbe della conduzione cardiaca
Depressione, ansietà
Carie dentali
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L’uso di lassativi e/o il vomito autoindotto sono comportamenti presenti nel quadro diagnostico dell’adolescente affetto da bulimia
Tutti questi segni e sintomi possono determinare severe complicanze. Dal punto di vista prognostico i pazienti con An vanno nel 25-30 % dei casi incontro a cronicizzazione del disturbo; nel 20% a un miglioramento pur mantenendosi nel range del sottopeso; nel 40-50% si assiste al pieno recupero ponderale, tuttavia con permanenza dei disturbi della sfera psichica. L’An risulta tuttavia essere la patologia psichiatrica con il più alto tasso di mortalità; nella maggior parte dei casi l’exitus è legato a fenomeni suicidari. Bulimia nervosa
Insieme all’anoressia, la bulimia nervosa (Bn) è una patologia facente parte, secondo il DSM5, dei cosiddetti “Disturbi dell’Alimentazione e
della Nutrizione”. Secondo gli studi eseguiti in USA e in Europa, la prevalenza varia tra 0,9% e 1,5% tra le donne e tra 0,1% e 0,5% tra gli uomini. In particolare, risultano soggetti a rischio di sviluppare il disturbo le età comprese fra i 10 e i 20 anni, periodo in cui si nota un importante e progressivo incremento della prevalenza stessa21,22. Per fare diagnosi di bulimia nervosa è necessario che siano soddisfatti i seguenti criteri (DSM-5). a. Ricorrenti episodi di alimentazione incontrollata (binge eating), ovvero: z mangiare in un periodo definito di tempo (per esempio 2 ore) una quantità di cibo di gran lunga superiore a quello che la maggior parte delle persone assumerebbe in un sovrap-
ponibile arco di tempo e in simili circostanze; z senso di perdita di controllo relativo a ciò che si sta mangiando (per esempio la sensazione di non potersi fermare o controllare cosa o quanto si sta assumendo). b. Ricorrenti e inappropriati comportamenti compensatori atti a prevenire l’aumento di peso, come per esempio il vomito autoindotto, un inappropriato uso di lassativi, diuretici o altri farmaci, il digiuno o l’eccessivo esercizio fisico. c. Gli episodi di binge eating e i comportamenti compensatori si devono manifestano entrambi con una frequenza media di almeno una volta alla settimana. d. Il giudizio di sé è eccessivamente influenzato dalla forma e dal peso corporeo. e. Il disturbo non si manifesta necessariamente durante episodi di anoressia nervosa. La Bn può essere accompagnata, soprattutto se protratta nel tempo, da numerose complicanze anche gravi (tab. 2). Mentre fino a qualche anno fa si tendeva a considerare che i soggetti affetti da questa malattia fossero meno severi e a minor rischio rispetto ai soggetti affetti da anoressia, alcuni studi hanno evidenziato tassi di mortalità fino a 6 volte la popolazione sana, con un incremento del rischio di suicidio23,24, in parte probabilmente legato alla coesistenza di altri disturbi psichiatrici. I segni clinici che possono far sospettare il disturbo possono essere: presenza di escoriazione del dorso della mano utilizzata per procurarsi il vomito (Russel’s sign), aumento della frequenza delle carie, erosione dello smalto dentale, aumento del volume della ghiandola parotide, mal di gola, dolore addominale/epigastrico, emorragie subcongiuntivali. Binge eating disorder
Il binge eating disorder (Bed) è un disturbo alimentare caratterizzato da episodi di alimentazione incontrollata (“abbuffate”). È stato descritto per la prima volta nel 1959 da Stunkard, che documentò gli episodi di alimentazione incontrollata in un gruppo di aprile 2014
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emotiva “del momento”, allo scopo di allontanare l’emozione non tollerabile. Numerosi studi evidenziano quanto sia spesso complesso il quadro psicologico del soggetto affetto da Bed29,30; è stato dimostrato quanto possa essere labile lo stato emozionale del binge eater: si passa dalla forte autostima alla profonda frustrazione con disprezzo di se stessi. Il cibo visto come conforto procura emozioni negative come rimorso, frustrazione e spesso depressione31. Appare sempre più evidente che la fragilità della sfera emotiva possa contribuire a radicare la patologia. Il cibo come blocco delle emozioni contribuisce a consolidare un circuito vizioso che comporta l’abbassamento dell’autostima. Disturbi minori Dismorfia muscolare
obesi, coniando il termine “binge eater” per identificare una sottopopolazione di obesi che, diversamente dai “night eater” (Nes), non attua episodi di alimentazione incontrollata durante la notte25, ma ricorre al cibo per svariati motivi con la stessa urgenza e voracità con cui i giocatori d’azzardo si rivolgono al gioco. Nonostante studi recenti indichino che la maggior parte dei pazienti Bed siano obesi (2 su 3)26, solo una percentuale limitata (9-19%) della popolazione obesa è affetta da Bed27, presentando un quadro clinico molto articolato (tab. 2). Si stima che oggigiorno ne sia affetto circa il 2,8% della popolazione statunitense; in particolare, dati recenti indicano che nella popolazione adulta ne siano afflitti il 3,5% delle donne e il 2% degli uomini21. Particolare preoccupante è il crescente numero di adolescenti affetti da tale disturbo (1,6%)28. I criteri diagnostici del Bed, presenti nel DSM5 sono i seguenti. a. Ricorrenti episodi di alimentazione incontrollata (binge eating), con almeno tre fra le seguenti caratteristiche. 18
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b. Mangiare molto più rapidamente del normale: z mangiare fino ad avere sensazione dolorosa di pienezza; z mangiare grandi quantità di cibo pur non sentendo male; z mangiare da soli per l’imbarazzo; z provare disgusto verso di sé, depressione o intensa colpa dopo aver mangiato. c. Insorgenza di sofferenza e disagio in seguito alle abbuffate compulsive. d. Le abbuffate compulsive avvengono, in media, almeno due giorni alla settimana per almeno sei mesi. e. Le abbuffate compulsive non sono associate con l’uso regolare di comportamenti di compenso inappropriati (per es. digiuno, vomito, esercizio fisico eccessivo) e non si verificano esclusivamente nel corso di An e di Bn. Degno di nota è il fatto che, analogamente ai soggetti affetti da bulimia o anoressia nervosa, è ricorrente nei Bed la preoccupazione per il peso e l’immagine corporea29. Il binge eater solitamente non pianifica l’abbuffata, ma la attua in base alla necessità
Con il termine dismorfia muscolare, bigoressia o vigoressia (in inglese, muscle dysmorphia o bigorexia) si intende un disturbo la cui caratteristica peculiare è la continua e ossessiva preoccupazione per quanto riguarda la propria massa muscolare. Tale disturbo è stato descritto per la prima volta nel 199332 in una popolazione di sesso maschile di culturisti. La prevalenza nel mondo di tale disordine è tra il 10% e il 53% in soggetti che praticano sollevamento pesi ed è più diffuso nella popolazione maschile, nonostante siano stati evidenziati casi di severa dismorfia muscolare nella popolazione femminile. La fascia di popolazione più interessata è quella di adolescenti e giovani adulti, con un’età di esordio stimata attorno ai 19 anni; tuttavia sono necessari ulteriori studi a riguardo33,34. La dismorfia muscolare viene definita anche “anoressia inversa”, con la differenza che il soggetto affetto da quest’ultima si vede grasso nonostante la sua fisicità sia minima, mentre il soggetto affetto da vigoressia si vede “piccolo”, ed è proprio in questa piccolezza fisica che egli vede la sua debolezza. Ad oggi, il DSM-5 classifica la dismorfia muscolare come
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un sottotipo di disturbo da dismorfia corporea; tuttavia un numero sempre più crescente di studi tende a classificarla come un disturbo dell’alimentazione a sé stante35. La dismorfia muscolare sembra infatti avere caratteristiche cliniche ossessivocompulsive centrate sull’esercizio fisico intenso ed eccessivo e sul seguire di una dieta rigida (simile all’anoressia nervosa)33. Alcuni studi hanno evidenziato come gli uomini che ricercano un corpo eccessivamente muscoloso sembrano mostrare un profilo psicologico simile alle persone con un disturbo dell’alimentazione, che include punteggi elevati nelle scale del perfezionismo e delle preoccupazioni relative all’immagine corporea, alla dieta e all’esercizio fisico. Murray SB et al.33 hanno infatti dimostrato che il 29% degli uomini colpiti da dismorfia musco-
lare ha sofferto, prima di questa diagnosi, di un disturbo dell’alimentazione di gravità clinica. Negli anni è stata proposta una classificazione diagnostica36 i cui criteri sono i seguenti. a. Preoccupazione legata all’idea che il proprio corpo non sia sufficientemente muscoloso. Le caratteristiche comportamentali associate includono trascorrere molte ore a sollevare pesi e un’attenzione eccessiva alla dieta. b. La preoccupazione si manifesta con almeno due dei seguenti quattro criteri: z l’individuo trascura importanti attività sociali e occupazionali a causa del bisogno compulsivo di mantenere il suo piano di allenamento e di dieta; z l’individuo evita situazioni dove il suo corpo viene esposto agli altri o tollera queste situazioni solo con forte angoscia o ansia intensa; z la preoccupazione legata all’inadeguatezza
del corpo o della muscolatura causa angoscia clinicamente significativa o una compromissione delle aree sociali, occupazionali o di altre aree di funzionamento dell’individuo; z l’individuo continua ad allenarsi, a fare la dieta o a usare sostanze anabolizzanti nonostante sia a conoscenza delle conseguenze fisiche o psicologiche avverse. c. L’obiettivo primario della preoccupazione e dei comportamenti è quello di essere troppo minuti o muscolarmente inadeguati. Da un punto di vista nutrizionale, il soggetto affetto da dismorfia muscolare si alimenta frequentemente e in modo inadeguato prediligendo una dieta iperproteica (con un consumo di proteine pari fino a 5 g per kg di peso corporeo) e ipolipidica, affiancata da un consumo eccessivo di integratori dietetici e steroidi anabolizzanti al fine di accrescere la massa muscolare e ridurre la massa grassa37. Ne deriva una stimolazione del sistema nervoso centrale con conseguente aumento della pressione e della frequenza cardiaca, aumento del rischio di aritmie, spasmo coronarico e ischemia del miocardio. Altre complicanze includono disturbi del sonno, tremori, agitazione, mancanza di coordinazione e dipendenza psicologica34. Ortoressia nervosa
Tra gli adolescenti, l’abitudine di per sé sana di frequentare la palestra spesso confina con l’ortoressia
Il concetto di ortoressia nervosa (dal greco orthos, corretto e orexis, appetito) è stato introdotto per la prima volta nel 1997 da Steven Bratman per indicare la necessità maniacale di consumare solamente alimenti sani di origine completamente naturale. Gli individui affetti da questo disturbo sono ossessionati dalla scelta, dalla quantità, dalla qualità e dal modo in cui procurarsi il cibo da consumare. Dal punto di vista organico, il regime alimentare talvolta estremo porta all’eliminazione talvolta totale di interi gruppi di alimenti, con conseguenti deficit di macro e micro nutrienti e insorgenza di possibili stati di malnutrizione. Il soggetto ortoressico trascorre gran parte del proprio tempo a pianificare, organizzare e prepararsi i pasti. Dal punto di vista psicosociale aprile 2014
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l’individuo affetto da ortoressia nervosa (On) tende all’isolamento, evita occasioni sociali come cene, vacanze e altri aspetti piacevoli della vita quotidiana, decidendo di consumare i pasti in solitudine, considerandosi superiore al resto degli individui per quanto riguarda la capacità di scegliere gli alimenti corretti38. Nel 2004 Donini39 ha valutato la prevalenza dell’On in Italia: su 404 soggetti inclusi nel campione, il 17,1% (69 soggetti) è stato definito “fanatico della salute”, mentre il 6,9% (28 soggetti) è risultato corrispondere ai criteri definiti dagli autori per diagnosticare ortoressia nervosa (presenza di comportamenti di selezione del cibo, sintomi fobici e ossessivo-compulsivi riguardo al cibo). La prevalenza del disturbo è risultata maggiore tra gli uomini rispetto alle donne (11,3% contro il 3,9%), con un picco di prevalenza tra i 16 e i 18 anni. Night eating syndrome
Accanto all’On spicca la night eating syndrome (Nes), un disturbo che negli ultimi anni si sta sempre più diffondendo, probabilmente a causa delle modificazione dello stile di vita e delle abitudini lavorative della società odierna. La Nes viene descritta per la prima volta da Stunkard nel 1955: il ritmo sonno/veglia degli individui che ne sono affetti viene alterato40, si verificano molteplici disfunzioni ormonali dovute a un aumento della produzione di grelina, una diminuita produzione di leptina e inibizione della liberazione di serotonina, con conseguente diminuzione del senso di sazietà, aumento del senso di fame e alterazioni dell’umore e dell’appetito. Dal punto di vista organico si va incontro a ripercussioni a livello tissutale e cellulare con possibile insorgenza di disordini metabolici tipici del Bed (tab. 2). La caratteristica principale della Nes è, nella maggior parte dei casi, l’anoressia diurna o comunque l’impossibilità di consumare adeguate quantità di cibo durante i pasti principali. I soggetti affetti da night eating syndrome presentano iperfagia serale e/o notturna, periodi durante i quali riescono a consumare fino 20
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al 50-70% delle calorie giornaliere: è stato dimostrato che durante i risvegli notturni i soggetti consumano preferibilmente snack dolci o alimenti ricchi in carboidrati semplici41,42. Nella maggior parte dei casi, gli individui affetti da Nes presentano un Bmi indice di sovrappeso o di obesità43. Conclusioni
Obesità e condotte alimentari scorrette sono frequenti tra gli adolescenti. L’identificazione precoce dei fattori di rischio che possono portare a sviluppare disordine dell’alimentazione e della nutrizione costituisce un importante punto di partenza per la loro prevenzione. Laddove siano presenti condizioni di eccesso ponderale è consigliabile migliorare gradualmente le abitudini alimentari e di stile di vita, aumentando l’attività fisica che deve essere scelta per “passione” e deve necessariamente “appassionare” (diversamente non può avere un effetto profondo sullo stile di vita, sullo sviluppo della persona e nemmeno può esse-
re mantenuto a lungo nel tempo), privilegiando all’inizio un’attività motoria quotidiana legata agli spostamenti casa-scuola (cammino o bicicletta). Di fronte a sospette alterazioni nelle abitudini alimentari, dismorfofobia o oscillazioni del peso corporeo, è fondamentale rivolgersi a un équipe terapeutica che non può prescindere dall’interazione fra medico specialista in Scienza dell’Alimentazione, dietista, psicologo e psichiatra44, data la tendenza di questi disturbi a cronicizzare. La modalità di intervento verrà scelto dall’équipe terapeutica sulla base della criticità e gravità dello stato di salute, della storia clinica, della presenza di collaborazione da parte del paziente e può risultare estremamente lungo. La diagnostica nutrizionale ha il compito di monitorare lo stato di salute dei soggetti attraverso l’accertamento di carenze vitaminico-minerali o proteico-energetiche, la misurazione della composizione corporea e il monitoraggio del peso oltre che delle abitudini alimentari.
prevenzione al femminile: stili di vita, alimentazione e integrazione nelle età della donna
La terapia, invece, ha il compito di svincolare il giovane paziente dal nesso emotivo instaurato con il cibo, recuperare un apporto dietetico adeguato e ristabilire gradualmente delle corrette abitudini alimentari, per quanto possibile bilanciate e che soddisfino i fabbisogni in questa delicata fase di crescita della vita. La terapia psicologica ha invece un ruolo preponderante e quella di tipo cognitivo-comportamentale (cognitive behavioral therapy, Cbt) è riconosciuta essere il trattamento di scelta per i disturbi alimentari45, in particolare la versione più recente e più efficace (enhanced-Cbt), che include moduli diretti a trattare aspetti apparentemente esterni al disturbo alimentare (perfezionismo clinico, bassa stima di se stessi, difficoltà interpersonali), è più efficace nella Bn46. n
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DOMANDE ECM 1_I “selector eaters” sono soggetti che: 1 hanno ricorrenti episodi di alimentazione incontrollata q 2 presentano spesso carenze nutrizionali, per il consumo di pochi alimenti q 3 hanno un’intensa paura di ingrassare q 4 sono ossessionati dalla propria massa muscolare q 2_La prevalenza di binge drinking è: maggiore nelle femmine minore nei maschi uguale nei due sessi maggiore nei maschi
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3_I giovani europei che praticano l’attività fisica raccomandata sono: il 35% il 40% il 50% il 25%
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4_Tra le filosofie alimentari dei giovani troviamo: le intolleranze alimentari lo scarso consumo di frutta e verdura il binge drinking il vegetarismo
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5_Il binge drinking consiste: nel consumo di cinque bicchieri di vino ai pasti nel consumo ravvicinato di cinque unità alcoliche a stomaco vuoto nella perdita dei sensi dopo un episodio di alimentazione incontrollata nella restrizione alimentare
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6_In termini di prevalenza, l’anoressia nervosa (An) è: una delle patologie pschiatriche più frequenti tra il 2% e 4% una patologia diffusa unicamente nei paesi industrializzati tra lo 0,2% e 0,4%
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7_La terapia dell’An: 1 non prevede generalmente l’utilizzo di farmaci q 2 richiede un percorso piuttosto lungo nella maggior q parte dei casi 3 viene praticata unicamente dallo psichiatra quando possibile q 4 si gestisce solo in regime ambulatoriale q 8_Un segno indicativo di An è: xerosi cutanea ipocortisolemia aumento delle gonadotropine positività al segno di Lhermitte
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9_Nell’An si ritrova frequentemente: fuga delle idee exitus legato a suicidio allungamento del tratto S-T xeroftalmia
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10_La prognosi dell’An è: stabilizzazione ponderale nel 40-50% dei casi cronicizzazione nel 10% dei casi exitus nel 30% dei casi miglioramento nel 20% dei casi, con permanenza del soggetto nel range del sottopeso
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11_Quale fra questi criteri non è necessariamente presente in un paziente affetto da bulimia nervosa (Bn): 1 episodi ricorrenti di abbuffate q 2 mancanza di volontà di raggiungere/mantenere una situazione q di normopeso per sesso ed età 3 episodi compensatori ricorrenti quali eccessivo esercizio q fisico/vomito/abuso di lassativi 4 episodi di binge eating ricorrenti almeno q una volta alla settimana
prevenzione al femminile: stili di vita, alimentazione e integrazione nelle età della donna
12_Quale fra questi segni/sintomi può far sospettare la presenza di Bn? 1 irsutismo q 2 cefalee ricorrenti q 3 amenorrea q 4 carie ricorrenti q 13_Quale fra le seguenti è una frequente complicanza che si può manifestare in un paziente affetto da Bn? 1 Mallory-Weiss Syndrome q 2 Russel’s sign q 3 Sottopeso grave q 4 Pericardite q 14_Qual è il trattamento psicoterapico di scelta apparentemente più efficace nella Bn? 1 terapia cognitivo-comportamentale q 2 psicoterapia intrapersonale q 3 enhanced-Cbt q 4 terapia sistemico-familiare q 15_Qual è la prevalenza stimata di Bn nel sesso femminile in Europa e negli Stati Uniti? 1 Tra 0,9% e 1,5% q 2 Tra 0,1% e 0,5% q 3 Tra 1% e 3% q 4 Tra 0,09% e 0,15% q 16_Il binge eating disorder è stato descritto per la prima volta: da Stunkard nel 1996 da Barry nel 2003 da Stunkard nel 1959 nel DSM-5 nel 2013
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17_Il paziente affetto da binge eating disorder (Bed): mangia solo quando ha fame mangia solo di notte mangia poco ma di continuo mangia grandi quantità di cibo in poco tempo
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18_Il “binge eater”: pratica molto sport non attua metodiche compensatorie utilizza diuretici utilizza lassativi
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19_Il soggetto Bed è: sottopeso spesso sovrappeso/obeso anoressico bulimico
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descritti casi di severa dismorfia muscolare anche nel sesso femminile 4 non è legato al genere q 22_L’età di insorgenza della dismorfia muscolare è: non vi è un’età di insorgenza ben definita nell’anziano nel bambino negli adolescenti/giovani adulti
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23_Da un punto di vista nutrizionale, il soggetto affetto da dismorfia muscolare: 1 si attiene a una dieta ipoproteica q 2 si attiene a una dieta ipolipidica e iperproteica q 3 non fa mai uso di sostanze anabolizzanti q 4 si attiene a una dieta bilanciata q 24_Il soggetto affetto da dismorfia muscolare: si percepisce eccessivamente grasso si percepisce eccessivamente muscoloso si percepisce minuto e cerca di accrescere la propria massa muscolare non ha distorsioni della percezione della propria immagine corporea
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25_Il soggetto affetto da dismorfia muscolare: 1 trascura importanti attività sociali e occupazionali a causa q
del bisogno di allenarsi 2 accetta di non svolgere la propria attività di allenamento a fronte q
di un impegno sociale 3 non evita situazioni dove il suo corpo viene esposto agli altri q 4 non ha preoccupazione legata all’inadeguatezza del corpo o della muscolatura q
26_Gli individui affetti da ortoressia nervosa (On) sono principalmente: ossessionati dalla possibilità di rimanere senza cibo ossessionati dall’incremento ponderale ossessionati dalla ricerca e dal consumo di cibo “sano” ossessionati dal giudizio altri rispetto al loro comportamento alimentare
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27_L’alterazione del ritmo sonno-veglia determina: diminuzione della produzione di leptina incremento della produzione di leptina incremento della produzione di leptina e grelina incremento della produzione di serotonina
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28_L’ortoressia nervosa:
1 ha prevalenza maggiore tra le donne q 2 ha prevalenza maggiore tra gli uomini q 3 si può diagnosticare mediante un questionario autosomministrato q
composto da 25 item 4 ha prevalenza sovrapponibile in ambo i sessi q
29_La night eating syndrome (Nes) è un disturbo caratterizzato da: ricorrenti episodi di binge drinking iperfagia serale e/o notturna sottopeso grave consumo selettivo di frutta e verdura
20_Il binge eating disorder si riscontra maggiormente: 1 nelle donne q 2 negli uomini q 3 nei bambini q 4 nei sedentari q
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21_La dismorfia muscolare è un disturbo che: 1 interessa esclusivamente il sesso maschile q 2 interessa esclusivamente il sesso femminile q 3 interessa prevalentemente il sesso maschile, ma sono stati q
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30_I soggetti affetti da On: possono sviluppare carenze nutrizionali consumano i pasti sempre in compagnia mangiano quello che trovano in casa sono sempre gravemente sottopeso
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milano 2015 1 maggio - 31 ottobre nutrire il pianeta energia per la vita
È possibile assicurare a tutta l’umanità un’alimentazione buo-
le sue risorse vitali ma esauribili. Alimentazione, sostenibilità,
na, sana, sufficiente e sostenibile? Con questa domanda si apre
ricerca e sviluppo sono i focus su cui si concentra l’Evento per
la sfida dell’Esposizione Universale di Milano 2015. Il Tema di
trovare il modo di garantire cibo e acqua a tutta la popolazione
Expo Milano 2015 si propone di affrontare il problema della
mondiale: modelli di sviluppo per assicurare a tutta l’umanità
nutrizione per l’Uomo, tema caro anche a Professione Salute,
un’alimentazione buona, sana e sostenibile, capace di tutelare
nel rispetto della Terra sulla quale vive e dalla quale attinge
la biodiversità indispensabile per la salute del Pianeta.
18ª EDIZIONE BOLOGNA, 9-11 MAGGIO 2014
I focus di Cosmofarma nel cuore di Professione Salute Questa diciottesima edizione di Cosmofarma è incentrata su quattro focus di grande attualità: la terza età, la salute della coppia, gli integratori nell’ambito di una
dieta equilibrata, l’igiene orale. Dedichiamo buona parte della Rivista a queste tematiche, declinate in articoli e interviste che mettono in luce aspetti particolari delle
differenti età della vita o dei nuovi stili di vita, più attenti alla prevenzione e al benessere: aspetti che trovano in Farmacia il loro punto di incontro e di dialogo.
Gli over sessanta rappresentano la quota più significativa di fruitori dei servizi sanitari e la farmacia rimane al centro della quotidianità degli anziani rivestendo il ruolo di “presidio pubblico”, vicino e accessibile, del Servizio sanitario sul territorio. Per gli anziani la farmacia è un luogo familiare, con cui instaurare spesso un rapporto continuativo, un luogo che si frequenta assiduamente, anche più volte in una settimana, e in cui si va volentieri anche per il rapporto confidenziale che si tende a instaurare con il farmacista. Dalla consegna dei farmaci a domicilio alla somministrazioni di cure farmacologiche ad anziani spesso soli, si alza il “range” dei servizi richiesti a una farmacia al passo coi tempi.
Gli integratori alimentari fanno parte delle abitudini degli italiani. In Farmacia il mercato degli integratori si è attestato come uno tra i segmenti più in crescita, con un incremento registrato a settembre 2013 pari al +5% a valore e al +4% a volume. Esistono in commercio preparati classificabili, in base al loro utilizzo, in molteplici categorie: controllo del peso corporeo, integrazione vitaminica, aumento delle prestazioni intellettuali, riduzione della stanchezza fisica e molte altre ancora. Anche qui, il ruolo del farmacista è di primo piano come supporto nella scelta dell’integratore alimentare più adatto alle esigenze di benessere del proprio cliente.
La salute della coppia è legata a un discorso di prevenzione. Disfunzione erettile, eiaculazione precoce ma anche anorgasmia e calo del desiderio: sono questi i problemi della sfera sessuale con cui hanno a che fare milioni di italiani. Inoltre le malattie sessualmente trasmissibili (MST) costituiscono uno dei più seri problemi di salute pubblica, con un’incidenza maggiore nelle donne. In questo contesto, il ruolo del farmacista diventa duplice: counselor per il benessere della coppia, per le problematiche che impediscono una sessualità felice; facilitatore sul processo di sensibilizzazione per la prevenzione di MST.
L’oral care è un mercato in ripresa: di recente è emerso che circa il 30% della popolazione italiana rinuncia alle cure dentistiche a causa della crisi, ma nonostante ciò, il mercato dell’igiene orale ha registrato a settembre 2013 un incremento del +1% a valore. Il consumatore che si rivolge al canale specializzato - la Farmacia - cerca competenza per la soluzione di problemi specifici. Ed è su questo tipo di referenze che la farmacia dovrebbe concentrarsi, evitando assolutamente prodotti entry level per i quali si troverebbe a competere con la distribuzione moderna esclusivamente sul terreno del prezzo.
focus terza età
L’età del
dolore
Giuseppe Ricci
Il dolore arriva nel tempo a sconvolgere la vita di chi lo prova. Spesso il farmacista è la sentinella di un problema di salute pubblica che ha enormi costi sanitari e sociali
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l tema del dolore nel mondo degli anziani rappresenta una sfida specifica, con cui abbiamo a che fare quotidianamente in farmacia o in ambulatorio di medicina generale. Il dolore nella terza età diventa spesso uno scomodo compagno di vita e porta con sé tutta una serie di conseguenze sul piano della qualità di vita, psicologico, emotivo e relazionale. Spesso l’anziano, soprattutto quando fragile, può convivere con il dolore manifestandolo solo indirettamente. Quando è acuto, il dolore è accompagnato da aspetti fisici ed emoziona-
li disturbanti cronicamente perché fortemente intrisi di ansia, depressione, alterazioni del sonno che si influenzano scambievolmente e costituiscono il corteo sintomatologico del dolore neuropatico cronico. In altri casi esiste un dolore negato, quello scontato, talora accompagnato da un’esagerata riluttanza a somministrare antidolorifici maggiori (oppiofobia), sulla quale è importante intervenire in un’ottica di alleanza professionale tra medici specialisti e medico di famiglia.
terza età
Un’azione di primo intervento
Se il paziente presenta un dolore nuovo e il medico ha dubbi su una sua corretta diagnosi, l’invio allo specialista per gli approfondimenti del caso già in questa prima fase potrebbe essere l’unica scelta. Se invece il dolore presentato dal paziente è inquadrabile nella manifestazione di una malattia già nota, è necessario che il Mmg imposti autonomamente la terapia analgesica. Qualora si decida di intraprendere approfondimenti diagnostici, è comunque buona pratica clinica prescrivere una terapia analgesica iniziale se il dolore riferito dal malato interferisce in modo significativo con la qualità di vita. La prescrizione di una terapia analgesica in un malato con dolore richiede sempre alcune tappe di approccio essenziali e irrinunciabili: la definizione della sede e delle caratteristiche del dolore (al fine di evidenziarne le componenti nocicettiva e neuropatica o il caso di sindrome mista), la sua durata nel tempo, le possibili irradiazioni, i fattori che lo scatenano o lo riducono; infine – ovviamente - la definizione dell’intensità e della durata del sintomo. La scelta del farmaco analgesico deve tenere conto del tipo di dolore e delle sue caratteristiche, nonché dell’intensità del sintomo, con la prescrizione di farmaci di intensità progressivamente maggiore con il crescere dell’intensità del dolore. Scale diagnostiche del dolore Esistono semplici scale analgesiche validate da somministrare ai pazienti per definire l’intensità del loro dolore. Le principali sono: z VAS (Visual Analogue Scale, scala visuoanalogica), che propone un’asta di 10 cm con due estremità che corrispondono l’una a “nessun dolore” e l’altra a “il massimo dolore possibile”. z NRS (Numerical Rating Scale, scala numerica), che propone l’asta di 10 cm in cui però la scelta viene esplicitata da un numero, da zero a dieci (0 = nessun dolore, 10 = massimo dolore immaginabile).
farmacisti e dolore Niente Male Roma 2014 è un progetto che la Fondazione Gigi Ghirotti ha fatto partire, in stretta collaborazione con i farmacisti romani, nel mese di marzo. Lo scopo è quello di attivare una raccolta di dati sulla gestione del dolore e di valorizzare, al contempo, il ruolo di supporto che farmacie e farmacisti possono assicurare ai cittadini nell’ambito del contrasto al dolore, che in Italia, nonostante i progressi degli ultimi tempi, continua a essere inadeguato. L’idea è quella che il binomio farmacia-farmacista possa recitare un ruolo di primo piano nella gestione in appropriatezza terapeutica del dolore minore attraverso i farmaci SOP e OTC, nell’indicazione dello specialista di riferimento al paziente con dolore, nonché nella sensibilizzazione del paziente verso la possibilità/necessità di trattare sempre il dolore con un percorso validato. Per un’intera settimana in tutte le farmacie di Roma e provincia si è raccolta una serie di dati, attraverso la compilazione di appositi questionari ai cittadini che si recano in farmacia per acquistare farmaci analgesici, con obbligo di prescrizione o meno. Alla stessa farmacia è stato inoltre richiesto di compilare un questionario per “fotografare” la situazione in termini di trend e comportamenti attuali nella gestione del paziente con dolore. I dati relativi ai pazienti (totalmente anonimi) si riferiscono alla tipologia di dolore sofferto, alla sua durata (cronico, saltuario), al suo livello secondo la scala VAS, al farmaco analgesico prescritto/acquistato nell’occasione specifica (se farmaco SOPOTC), nonché ad altre informazioni preziose come se il dolore è curato da uno specialista, dal medi-
co di base, su consiglio del farmacista o sulla base di scelte autonome automedicazione, il grado di soddisfazione, espresso in una scala da 1 a 5, verso la terapia analgesica attualmente seguita ed eventuali altri farmaci assunti. Altre informazioni, richieste direttamente alle farmacie, riguardano gli atteggiamenti di cura dei pazienti, i trend di vendita dei principali farmaci analgesici nel proprio esercizio, la vendita di morfina fiale ponendo il 2010 come base 100, la frequenza e il numero di indicazioni del centro di riferimento più vicino per la terapia del dolore. “Siamo convinti che l’analisi dei dati raccolti in farmacia, contestualmente alla richiesta di analgesici e dunque nel vivo di una situazione e condizione di massima sensibilità e attenzione da parte del paziente al problema del contrasto al dolore - ha spiegato Leopoldo Mannucci, consigliere dell’Ordine di Roma e tesoriere della Fondazione Gigi Ghirotti - fornirà elementi significativi e sullo stato attuale della gestione del dolore, e consentirà anche di mettere meglio a fuoco il ruolo del farmacista nel percorso di cura”. Da parte sua, il presidente di Federfarma Annarosa Racca ha in precedenti occasioni ricordato come la semplificazione della prescrizione dei farmaci antalgici abbia consentito ai malati e ai loro familiari di accedere con più facilità alla terapia del dolore, senza però rinunciare alla sicurezza garantita dalla dispensazione in farmacia. Professionalità riconosciuta da diverse indagini che rilevano l’elevato gradimento dei cittadini per il servizio offerto dalle farmacie.
VAS Visual Analogue Scale
Nessun dolore
Massimo dolore possibile
NRS Numerical Rating Scale
Nessun dolore
Mite
Moderato
Massimo dolore immaginabile
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approfondimenti Come valutare l’integrità delle fibre del sistema somato-sensoriale? I semplici strumenti necessari sono un batuffolo di cotone, uno spillo oppure la punta di una graffetta e una provetta riempita di acqua calda. Si potranno così valutare le tre vie di conduzione del sistema somato-sensoriale: z le fibre A-beta responsabili del tatto e della vibrazione (batuffolo di cotone); z le fibre A-delta responsabili del dolore puntifiorme (puntura di spillo); z le fibre C responsabili della percezione termica (caldo e freddo). Se il risultato dei tre test è negativo (ossia il paziente non presenta alterazioni della sensibilità nelle prove eseguite), si ha la certezza che le vie di conduzione sono integre e quindi ci si trova di fronte a un dolore nocicettivo. Se invece il risultato è incerto, il medico si trova di fronte a un’“incongruenza diagnostica”, che richiede esami più approfonditi presso un ambulatorio specialistico. Se infine il risultato di questo triplice test è positivo, allora si è certamente di fronte a un dolore neuropatico e può essere necessario inviare il paziente allo specialista per un primo inquadramento diagnostico approfondito.
Percorso diagnostico e terapeutico del dolore
Come distinguere tra dolore neuropatico e nocicettivo
Di fronte a un paziente con un dolore che persiste nel tempo, quali sono le cose da fare e in quale ordine? Il primo passo di fronte a un dolore cronico è discriminare se il dolore che presenta il malato sia un dolore neuropatico o meno. Questa prima distinzione è una distinzione chiave che differenzia tra due tipi di dolore differenti: neuropatico e nocicettivo. Essi hanno eziopatogenesi differenti e devono essere curati in modo differente e con farmaci e terapie diverse. Escludere o confermare se il dolore presentato dal paziente ha una genesi neuropatica o meno è la pietra miliare di tutta la valutazione del dolore, in quanto il riscontro di un dolore sicuramente neuropatico implica la lesione di una via nervosa e impone l’invio del paziente a un centro specialistico per gli approfondimenti diagnostici del caso, prima, e per la prescrizione della terapia più adeguata. Come fare quindi per capire se un dolore è di tipo neuropatico?
Il primo passo è sempre una corretta anamnesi, e il primo quesito da porsi è se il dolore sia causato da una malattia nota che riporta a una lesione del sistema nervoso. Se la risposta è affermativa, esiste una probabilità del 40% che il dolore riferito dal paziente sia un dolore di tipo neuropatico. Un secondo elemento che può aiutare a confermare o meno la diagnosi di dolore neuropatico è se la distribuzione del dolore riferita dal paziente coincida con l’innervazione di un territorio nervoso. Se vi è questa corrispondenza, esiste anche in questo caso una probabilità del 40% che il dolore sia neuropatico: a questo punto, se entrambe le ipotesi precedenti risultano vere, la probabilità passa all’80%. L’anamnesi consente dunque di raggiungere una prima base probabilistica che la diagnosi di dolore neuropatico sia verosimile, anche se questa prima ipotesi diagnostica andrà sempre ulteriormente indagata e sostanziata. Il secondo passaggio, dopo l’anamnesi, è quello dell’esame obiettivo, la cui prima finalità è quella di valutare l’integrità del sistema somato-sensoriale, ossia l’integrità delle fibre coinvolte nella trasmissione dell’impulso doloroso dalla sede del dolore al midollo spinale. Dall’esame obiettivo alla scelta terapeutica
Il medico, dopo avere valutato l’integrità del sistema somato-sensoriale, deve procedere a un ulteriore approfondimento diagnostico, indagando la soglia del dolore evocato superficiale e profondo. z Studio del dolore evocato superficiale: si possono somministrare sia stimoli sottosoglia (sfioramento) sia stimoli sovra soglia (pizzicotto, puntura). z Studio del dolore evocato profondo: si possono somministrare stimoli sottosoglia (lieve pressione, movimento) o sovra soglia (pressione elevata o movimento forzato). Il test è positivo (soglia algica ridotta) se que30
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Accanto, le due tabelle prendono in analisi le indicazioni degli analgesici in funzione dell’intensità del dolore.
sti stimoli risultano dolorosi nella zona riferita come dolente dal paziente e non lo sono invece nell’area controlaterale simmetrica (nella quale il paziente non riferisce dolore). Il test è invece negativo se lo stimolo risulta non doloroso o doloroso in eguale misura in zone topograficamente simmetriche. Questo ulteriore approfondimento diagnostico ha un preciso significato perché orienta nella scelta della terapia più adeguata per controllare il dolore. Infatti, se in un paziente con dolore nocicettivo la soglia algica al dolore evocato è normale o invece ridotta, questo dato serve a capire se esiste una componente infiammatoria nel determinismo del processo doloroso. Una soglia algica ridotta è sempre indice di un processo infiammatorio e in questo caso, ma solo in questo, è raccomandata la somministrazione dei Fans (in quanto agiscono sui mediatori dell’infiammazione che sono alla base del dolore). In caso contrario, cioè quando la soglia algica è normale, si è certi che il dolore non è generato da un importante processo infiammatorio: ne deriva che l’impiego dei Fans è inefficace. In questa situazione, essendo il dolore provocato da un’importante stimolazione dei nocicettori dovuta a un processo degenerativo, più
che infiammatorio, si devono prescrivere analgesici quali il paracetamolo e/o gli oppiacei, e non i Fans. Se il dolore è persistente e la soglia algica è normale, si può procedere a valutare l’importanza del movimento nel generare o acuire il dolore. aprile 2014
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Fans e/o analgesici? Confronto nella gestione del dolore acuto e cronico
In Italia, per la terapia del dolore è stata evidenziata un’elevata prescrizione di Fans che va ben oltre lo stretto necessario, mentre al contrario sono ancora troppo poco utilizzati nella terapia del dolore cronico il paracetamolo e gli oppiacei (in particolare quelli deboli), da soli o in associazione. I Fans sono estremamente efficaci come farmaci antinfiammatori e sono dotati di un discreto potere analgesico, ma sono anche gravati da numerosi effetti collaterali tossici significativi, il cui rischio aumenta con il prolungarsi della terapia. Prescrivere un Fans per un dolore dovuto a un processo infiammatorio per un periodo limitato di tempo fino alla remissione dell’infiammazione che produce dolore è una scelta logica e razionale, ma questa prescrizione generalmente deve essere limitata nel tempo fino alla scomparsa del processo infiammatorio, quindi l’assunzione del Fans deve essere interrotta, così da ridurre il rischio di effetti collaterali indesiderati. In definitiva, la scelta dell’impiego del Fans deve avvenire su solide basi razionali, dopo aver individuato con l’esame obiettivo, come precedentemente descritto, se il dolore abbia come causa un processo nocicettivo piuttosto che neuropatico; se nocicettivo, anche la distinzione tra l’origine meccanica e quella puramente infiammatoria indirizzerà in modo differente la prescrizione. Ecco perché spesso è più sicuro prescrivere
farmaci come il paracetamolo e gli oppiacei (deboli in prima istanza), perché queste molecole, se utilizzate alle dosi raccomandate e con gli opportuni accorgimenti prescrittivi, risultano essere di efficacia pari o superiore ai Fans e sono gravate da effetti collaterali meno pesanti. n
“my pain feels like”: un’iniziativa web-based per aiutare medici e pazienti nella fase della diagnosi del dolore Per aiutare i pazienti a descrivere i sintomi che provano, e facilitare così anche il compito del medico nel comprendere con precisione di quale tipo di dolore soffra il suo paziente ed identificarne la natura neuropatica localizzata, è nato “My pain feels like” (mypainfeelslike.com). Il portale è stato sviluppato dalla Montescano Pain School, iniziativa formativa focalizzata proprio sulla diagnosi del dolore, promossa dal dottor Roberto Casale, neurologo della Fondazione Maugeri di Montescano. Per facilitare lo scambio di esperienze personali sul dolore tra paziente e medico, sul nuovo sito web www.mypainfeelslike.com i pazienti troveranno un questionario che li aiuterà a riconoscere e quindi a esporre dettagliatamente le caratteristiche del proprio dolore, il suo impatto sulla loro vita e la localizzazione esatta di questa sofferenza. Collegandosi al nuovo sito web, infatti, i pazienti che soffrono di dolore neuropatico localizzato avranno modo di confrontare la propria sofferenza con quella provata e descritta da altre persone di tutto il mondo. A seguito di questo primo orientamento, potranno compilare il questionario “il mio dolore è come se…” ( “my pain feels like”). Si tratta di un formulario a risposta chiusa, messo a punto dagli specialisti della Montescano Pain School, che aiuta il paziente a riconoscere e selezionare uno dei tipi di sensazione fra i più ricorrenti nei pazienti affetti da dolore neuropatico localizzato. Al termine di questo processo, il paziente può stampare la scheda descrittiva del proprio dolore e avvalersi di questo documento per riuscire a comunicare al meglio, al proprio medico, l’intensità, la tipologia, la componente psicologica e la localizzazione della propria sofferenza. Si tratta quindi di uno strumento che promette di “riuscire ad aiutare pazienti e medici al contempo”, assicura il dottor Casale. “Basti pensare – prosegue il neurologo della Fondazione Maugeri, esperto di dolore neuropatico e direttore della Montescano Pain School – che più di 26 milioni di persone nel mondo soffrono di dolore neuropatico, ma solo il 40-60% dei pazienti riceve un adeguato trattamento per questo tipo di sofferenza. Una necessità di cure non soddisfatta, soprattutto perché riferibile a una condizione sottodiagnosticata: per i medici, infatti, non sempre è facile riconoscere il dolore neuropatico localizzato, e tantomeno valutare adeguatamente l’impatto del dolore sulla vita dei loro pazienti. My pain feels like promette di rivelarsi un valido strumento per superare queste difficoltà”.
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Paolo Pegoraro
Attività fisica ed esercizi mirati, uniti a una corretta alimentazione, aumentano energia e resistenza migliorando anche il tono dell’umore
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onservare e difendere la salute utilizzando il movimento è la migliore e più efficace medicina preventiva; è stato stimato, infatti, che fino al 12,5% della mortalità globale negli Stati Uniti (250.000 decessi l’anno) possa essere attribuita direttamente o indirettamente alla sedentarietà. In particolare, uno stile di vita che comprenda un adeguato livello di attività fisica consente di ridurre sia la mortalità globale che la comparsa di diverse patologie quali la cardiopatia ischemica, l’ipertensione arteriosa, il diabete, l’osteoporosi, l’artrosi, l’obesità, le dislipidemie e i disturbi psico-affettivi.
Che cosa cambia nel corpo dell’anziano?
Il metabolismo si abbassa, fisiologicamente si riduce quindi anche il fabbisogno energetico, non è più necessario alimentarsi quanto in giovane età. La funzionalità cardiaca inizia a diminuire intorno ai 40 anni e a 70 è inferiore di circa il 30%. La funzionalità respiratoria (ventilatoria) si riduce del 35% circa fra i 25 ed i 65 anni. A 65 anni la massa muscolare si riduce circa del 25% rispetto a quella dei 25 anni, a 80 la forza dei muscoli della coscia è spesso appena sufficiente ad alzarsi da una sedia senza l’aiuto delle mani. Dopo i 40 anni si perde calcio più velocemente di quanto se ne assorbe, pertanto la massa scheletrica si riduce mediamente di circa il
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10% ogni decade. A 80 anni la massa ossea può essersi ridotta anche del 50% rispetto a quella dei 30 anni. Nei primi 30 mesi dall’insorgere della menopausa, la massa ossea può essersi ridotta anche del 20-30%. Il sistema vascolare cambia, in particolare le arterie subiscono un progressivo indurimento, che può condurre all’arteriosclerosi. Nelle donne è più frequente l’alterazione del sistema venoso, che può portare a insufficienza venosa cronica (Ivc). aprile 2014
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Attività fisica e salute
approfondimenti Secondo un recente rapporto Istat, continua ad aumentare l’aspettativa di vita della popolazione italiana, che nel 2011 si attesta a 79,4 anni per gli uomini e a 84,5 per le donne (stessi valori registrati per il 2010), con un guadagno rispettivamente di circa nove e sette anni in confronto a trent’anni prima. Il trend è crescente anche per le persone in età avanzata: un uomo di 65 anni può aspettarsi di vivere altri 18,4 anni e una donna altri 21,9 anni, un ottantenne altri 8,3 e una ottantenne 10,1 anni. A livello territoriale, l’area del Paese più longeva è quella del Centro nord.
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Anche il sistema nervoso cambia, è meno reattivo e quindi meno veloce a trasmettere i comandi del cervello ai muscoli. Un anziano che non si muove è una persona che presto si ammalerà, se malata non è ancora; è una persona che presto vedrà la sua autosufficienza decadere; è una persona che presto diventerà depressa e le cui capacità cognitive crolleranno. Il riposo a letto è associato a una perdita di forza stimata dall’1% al 5% al giorno. Sono ormai numerosi gli studi che evidenziano come un’attività fisica eseguita a intensità moderata è in grado di esercitare numerosi effetti favorevoli a livello generale e, in particolare, sull’apparato muscolare e cardiovascolare. A livello generale è in grado di migliorare il tono muscolare e la capacità di movimento, nonché di ridurre l’osteoporosi. L’attività fisica inoltre determina un aumentato rilascio di endorfine e di serotonina nel nostro corpo, che generano una sensazione di benessere.
I principali vantaggi dell’attività fisica sono in primo luogo in termini di prevenzione: z riduzione del rischio di morte prematura; z considerevole riduzione del rischio di sviluppare tumori del colon; z prevenzione e controllo dell’ipertensione; z possibile regolarizzazione del livello di zuccheri nel sangue (glicemia) con riduzione del rischio di sviluppare il diabete di tipo 2; z riduzione del colesterolo Ldl a vantaggio di Hdl, con limitazione del rischio di infarto e malattie cardiache; z prevenzione e controllo dell’osteoporosi; z diminuzione del rischio di obesità. L’attività fisica esercita un’influenza diretta e quantificabile su tutta una serie di variabili organiche che possono essere considerate un indice di benessere corporeo: z azione di rafforzamento dell’apparato muscolare e scheletrico e conseguente rallentamento della fisiologica perdita di massa muscolare e ossea, oltre a miglioramento della mobilità articolare; z aumento della capacità respiratoria e conseguente ossigenazione del sangue; z prevenzione dell’insorgenza di dolori alla colonna vertebrale, in particolare nella zona lombare; z aumento del dispendio calorico, che favorisce così il calo ponderale e conseguentemente riduce l’affaticamento e aumenta l’agilità; z miglioramento dell’aspetto fisico, grazie all’azione di modellamento dovuta alla tonificazione dei muscoli e alla perdita di tessuto adiposo. Infine – ma non ultimo – l’attività fisica agi-
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sce positivamente sull’umore, con riduzione dei sintomi di ansia, stress, fame nervosa e depressione grazie alla produzione delle endorfine, i cosiddetti “ormoni della felicità” che inducono sensazione di tranquillità, rilassamento e benessere diffuso, e migliora le capacità cognitive: ragionamento, memoria e perspicacia. Invecchiamento ed efficienza fisica
La perdita di massa muscolare è l’elemento principale che determina il declino fisico, ma è stata evidenziata anche una riduzione delle capacità ossidative del muscolo. È stato valutato che nei 70enni la capacità ossidativa per volume di muscolo diminuisce di circa il 50% rispetto ai 40enni, a causa della riduzione del contenuto in mitocondri e della perdita delle capacità ossidative della forza muscolare che è stata quantificata in circa il 40% tra la terza e la quarta decade in mitocondri rimasti. La perdita di massa muscolare, oltre agli effetti sul metabolismo, determina anche una perdita di forza nei soggetti normali, ma decisamente più marcata in anziani debilitati. Questa perdita di forza contribuisce alla perdita di massa ossea. Negli anziani le fratture conseguenti a osteoporosi sono particolarmente frequenti con una morbilità e mortalità importante e con costi sanitari in continuo aumento. Gli elementi che contribuiscono a queste cadute (un terzo delle persone con più di 65 anni cade ogni anno) sono, oltre alla riduzione della forza muscolare, il minor equilibrio, la minor acuità visiva, l’aumento della rigidità articolare e dei tempi di reazione, la ridotta efficienza fisica globale e l’uso di psicofarmaci. Attività fisica ed esercizio fisico
Nel corso di vari studi è stato evidenziato che gli anziani fisicamente attivi hanno una più bassa morbilità e mortalità rispetto ad anziani inattivi, ma nonostante questo gli anziani che svolgono una regolare attività fisica sono una minoranza. È importante distinguere il significato delle
due definizioni che sono erroneamente considerate sinonimi. Per attività fisica si intenderà qualsiasi movimento del corpo determinato dalla contrazione dei muscoli e che comporta un aumento del dispendio energetico. Quando parliamo di esercizio fisico, ci riferiamo più specificamente a movimenti corporei pianificati, strutturati e ripetuti, attuati per migliorare o mantenere una o più componenti dell’efficienza fisica. Una persona può camminare, fare lavori domestici, essere attiva ma non per questo fa esercizio fisico. Gli anziani che fanno esercizio fisico di moderata intensità per 20-30 minuti la maggior parte dei giorni della settimana hanno un’efficienza funzionale migliore di persone anziane attive lungo la giornata o inattive. Qualsiasi attività fisica è meglio dell’inattività per difendersi dalle limitazioni funzionali, ma l’esercizio fisico conferisce una migliore capacità fisica. L’intensità dell’esercizio fisico non deve essere modesta, né troppo intensa, ma media e continuativa, con un ritmo costante che consenta di non fare soste. Durante la settimana è consigliabile un allenamento complessivo minimo di 150 minuti, 300 per i soggetti in sovrappeso o obesi, con Bmi da 25 a oltre 40. Il numero degli allenamenti settimanali è importante, in quanto i benefici si ottengono se non passa troppo tempo tra un allenamento e l’altro (max 48 ore) e anche senza interruzio-
approfondimenti In Italia il 30% degli adulti tra 18 e 69 anni svolge, nella vita quotidiana, meno attività fisica di quanto è raccomandato e può essere definito sedentario. In particolare, il rischio di sedentarietà aumenta con il progredire dell’età, ed è maggiore tra le persone con basso livello d’istruzione e difficoltà economiche.
adattamenti metabolici all’esercizio fisico z Metabolismo lipidico: < CH totale, < LDL, < TG (> captazione muscolare), > HDL (> liberazione da endotelio) z Metabolismo glucidico: < glicemia (> captazione muscolare) z Sistema ormonale: < insulina, > glucagone, > catecolamine, > cortisolo, > STH, > endorfine z Nel diabete 1 (< produzione di insulina) l’allenamento aumenta la tolleranza al glucosio: < fabbisogno di insulina z Rischi: ipoglicemia durante l’esercizio; necessità di consumo regolare di carboidrati e scorta di glucosio z Nel diabete 2 (insulino-resistenza) l’allenamento aumenta la sensibilità tissutale all’insulina: < fabbisogno farmaci ipoglicemizzanti
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approfondimenti In Europa, la sedentarietà è causa di circa 600 mila decessi annui, con una percentuale che oscilla tra il 5 e il 10% del totale della mortalità a seconda del Paese, e la perdita di 5,3 milioni di anni di vita in buona salute. Sono alcuni dei dati presenti nello European Health Report 2009, secondo cui all’interno della Regione europea dell’Oms una persona su cinque fa poca o nessuna attività fisica (meno del minimo raccomandato), con dati ancora più allarmanti nell’Europa meridionale e orientale.
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ni stagionali: a questa età un’interruzione di 2 settimane fa diminuire l’efficienza che però si può riprendere in una settimana. Lunghi periodi di inattività portano a cadute della forma fisica recuperabili solo in parecchio tempo perché il recupero è molto più lungo di quello di un ventenne. È consigliabile fare sedute più corte, ma più frequenti, per esempio 6 allenamenti settimanali di 30 minuti o più, piuttosto che 2 da 120 minuti cadauna. Ogni seduta deve essere impostata sull’intensità consona allo stato fisico e al grado di allenamento secondo il tipo di attività e, come detto, per i sedentari occorre iniziare con gradualità. Prescrizione medica clinica dell’esercizio fisico
Pur essendo stati dimostrati i benefici sullo stato di salute fisico e mentale per le persone di mezza età e anziane, la prescrizione di esercizio fisico non è ancora diventata routine. Alcuni studi suggeriscono di procedere in tre fasi: z sottoporre il paziente a screening valutativo
per escludere la presenza di fattori di rischio cardiocircolatorio; z eseguire prescrizione dell’esercizio fisico; z fare azione di incoraggiamento e motivazione alle persone per proseguire il programma prescritto. Per quanto riguarda la tipologia di esercizio, le raccomandazioni non sono univoche. Alcuni studi suggeriscono attività a bassa intensità, altri raccomandano un’attività di moderata intensità per 20-30 minuti almeno 5 giorni a settimana per raggiungere un dispendio di almeno 1.000 kcal a settimana. L’American College of Sport Medicine raccomanda attività a più elevata intensità e alcuni ritengono che esercizi a carichi progressivi ad alta densità siano sicuri anche per anziani debilitati come quelli a bassa intensità ma possano dare migliori risultati in termini di forza muscolare. Effetti positivi del lavoro aerobico
L’attività aerobica è l’attività di base a cui si deve dedicare la maggioranza del tempo: camminare, pedalare, corsetta e nuotare (quest’ultima non consigliabile per chi soffre di osteoporosi). I vantaggi per la salute derivano da un’attività prolungata e a media intensità. Il lavoro aerobico ha dimostrato di poter determinare molti effetti positivi negli anziani. Nell’apparato cardiocircolatorio si hanno principalmente aumento della contrattilità del miocardio, riduzione della pressione sistolica, aumento del flusso ematico capillare, riduzione della claudicatio da insufficienza arteriosa agli arti inferiori. A livello metabolico si ha un miglioramento della composizione corporea con riduzione del grasso addominale e aumento della massa magra; effetti positivi sul metabolismo con aumento della spesa energetica, aumento della sintesi proteica muscolare, riduzione delle lipoproteine a bassa densità, riduzione dei trigliceridi, aumento delle lipoproteine ad alta densità e aumento della tolleranza al glucosio. Tra gli effetti psicologici, una maggior sensazione di benessere e vitalità, miglioramento dell’attenzione e dei processi cognitivi,
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esercizio fisico... e alimentazione È certamente la miglior forma di prevenzione. Un’attività fisica regolare svolge un’azione benefica per tutto l’organismo, dalle ossa ai muscoli, dal sistema respiratorio a quello cardiovascolare; l’esercizio potenzia anche il sistema immunitario, migliora la digestione, aumenta energia e resistenza e migliora l’umore. Certo, le resistenze a mobilizzare un’articolazione dolorante sono comprensibili, ma decine di studi scientifici mostrano l’efficacia di un corretto esercizio nell’estendere la flessibilità delle articolazioni e nel migliorarne le funzionalità. Essere arrivati alla mezza età non è una buona ragione per rinunciare all’attività fisica, è anzi vero il contrario: l’importante è riprendere con una gradualità proporzionale all’età e alla durata del precedente periodo di inattività. Una visita specifica da un medico o un terapista permetterà a ciascuno di ritagliarsi un programma su misura, in base alle proprie condizioni di salute. Un’alimentazione corretta svolge un’azione terapeutica generale e la salute articolare non fa eccezione. Le indicazioni sono sempre le stesse: niente alcool, pochi grassi, un ridotto apporto calorico, una certa moderazione anche nelle proteine e abbondanza di verdura, frutta, legumi e cereali. Ma la considerazione dietetica fondamentale per qualunque stato infiammatorio, articolazio-
miglioramento della qualità del sonno, riduzione dell’ansia. Effetti positivi del lavoro anaerobico
L’attività anaerobica è utile per mantenere ulteriormente tonificati i muscoli e avere più forza e resistenza, con un’intensità che non richieda troppo sforzo: per esempio camminare, pedalare, fare jogging lento o nuoto. L’attività anaerobica può anche essere fatta a corpo libero ma anche con le macchine e i pesi. In quest’attività è sconsigliato il “fai da te” perché può produrre danni ai muscoli e allo scheletro: è consigliabile fare attività aerobica 1-2 volte a settimana in palestra e sotto il controllo di un personal fitness trainer abilitato. Quali sono gli effetti positivi dell’attività anaerobica?
ni comprese, riguarda l’assunzione dei grassi. Non basta e non è neppure corretto limitarsi a dire di ridurre i grassi: tutto dipende dal tipo. Le prostaglandine svolgono un ruolo biologico essenziale come mediatori flogistici. Sono esse stesse costituite da acidi grassi e hanno come precursori acidi grassi insaturi: comunemente vengono divise in tre famiglie: le PGE1 e le PGE2, che derivano dagli omega-6 e le PGE3, che derivano dagli omega-3. Ecco perché un regolare consumo di certi pesci dei mari del nord (aringa, salmone, sgombro), di olio di lino o di frutta secca (in particolare di noci) viene raccomandato per mantenere in salute le articolazioni.
in più, acido ialuronico Una combinazione di integratori su cui oggi si punta molto è quella costituita da glucosamina, condroitina, acido ialuronico e metilsulfonilmetano. L’acido ialuronico è un componente essenziale dei tessuti connettivi. Quando un soggetto è colpito da artrosi la cartilagine non è più in grado di produrne. Somministrato da qualche tempo tramite iniezioni intra-articolari, viene oggi proposto anche come integratore in associazione con glucosamina e condroitina e spesso anche con il metilsulfonilmetano (MSM). Quest’ultimo è una forma naturale di zolfo organico, presente in molti alimenti e del tutto innocuo; tra le sue proprietà c’è quella di aumentare la permeabilità delle cellule, il che può spiegare le capacità di questo composto di attenuare il dolore che spesso è causato da un accumulo di sostanze tossiche nelle articolazioni.
Tra i principali ricordiamo: z riduzione del rischio di disabilità motoria; z miglioramento della forza e della flessibilità; miglioramento dell’equilibrio dinamico e riduzione del rischio di cadute; z riduzione della perdita di densità ossea; z aumento del calcio corporeo; z riduzione del dolore connesso con i processi degenerativi e infiammatori articolari. Risultati interessanti si sono avuti anche combinando esercizi aerobici con esercizi con pesi. Certamente occorre scegliere, con il parere di un medico sportivo, lo sport più adatto alla persona e ottenerne l’idoneità. Per i sedentari l’attività deve essere affrontata con gradualità, iniziando con un’intensità moderata. Andranno evitati gli sport che richiedono scatti, movimenti bruschi, scontri fisici. n aprile 2014
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I Nutraceutici nella terapia delle dislipidemie
In condizioni di dislipidemia lieve o moderata, prima di intraprendere una terapia farmacologica, si può valutare un’integrazione con nutraceutici, abbinata a una dieta bilanciata e modifica degli stili di vita
Hellas Cena
Medico Chirurgo, Specialista in Scienza dell’Alimentazione, Università degli Studi di Pavia
Silvia Maffoni
Medico Chirurgo, Scuola di Specializzazione in Scienza dell’Alimentazione, Università degli Studi di Milano
approfondimenti Il riso rosso fermentato si ottiene dalla fermentazione del riso comune con un lievito, il Monascus purpureus o ruber, che conferisce la caratteristica colorazione rossastra al riso. Oltre a essere l’ingrediente peculiare di vini e liquori asiatici, in Cina, Giappone, Indonesia e Filippine, il riso rosso fermentato è utilizzato ampiamente a scopo alimentare sia come pietanza singola che come additivo conservante e colorante.
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e malattie cardiovascolari (Cvd) rappresentano al giorno d’oggi una delle principali cause di morte e di disabilità nei paesi industrializzati1. Solo in Italia, infatti, rappresentano la prima causa di tutti i decessi, precedendo la mortalità per patologia tumorale2. Molteplici sono i fattori di rischio coinvolti nelle Cvd, tra i quali sono compresi fattori cosid-
detti non modificabili come sesso, ereditarietà ed età, nonché fattori modificabili come dislipidemia, tabagismo, ipertensione arteriosa, sedentarietà, sovrappeso e obesità3. Tra i fattori modificabili più importanti legati allo sviluppo e alla progressione della patologia aterosclerotica vi è senza dubbio la dislipidemia4.
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È stato dimostrato, infatti, che una riduzione del 10% dei valori di colesterolo plasmatico abbassa del 13% la probabilità di mortalità per eventi cardiovascolari5. La dislipidemia, oltre a essere facilmente evidenziabile tramite il rilevamento dell’alterazione dei livelli ematici di colesterolo totale, colesterolo Ldl, Hdl e trigliceridi, è potenzialmente controllabile tramite diverse e consequenziali strategie terapeutiche. Il primo approccio deve essere senza dubbio di tipo medico-nutrizionale, ovvero la correzione delle abitudini alimentari, tramite l’impostazione di un adeguato schema dietetico bilanciato in macronutrienti, e la modifica degli stili di vita, come la dismissione al fumo, l’incremento dell’attività fisica e la riduzione della sedentarietà. Nelle condizioni di dislipidemia lieve o moderata o nel caso in cui, dopo un adeguato periodo di adesione alle prescrizioni elencate in precedenza, i risultati non siano ottimali, si può ricorrere a un’integrazione nutraceutica, prima di passare alla terapia farmacologica propriamente detta.
Ma che cos’è un nutraceutico? Secondo la definizione attribuita dal dottor. Stephen DeFelice nel 1979, un nutraceutico è «food, or parts of food, that provide medical or health benefits, including the prevention and treatment of disease»6 ovvero un alimento o parte di alimento che fornisce un beneficio medico o di salute, compresa la prevenzione e il trattamento della malattia. Un nutraceutico può essere somministrato come “dietary supplement”, l’integrazione alimentare con sostanze prodotte da isolamento o purificazione della coltura microbica, o come “functional food” ovvero l’assunzione di cibi fortificati6. Quello su cui ci soffermeremo è la dietary supplement con varie molecole come le fibre solubili, gli estratti di riso rosso fermentato, i fitosteroli, i policosanoli e polimetossiflavoni, che si sono dimostrate efficaci come terapia nutraceutica nel trattamento della dislipidemia. Fibra solubile
Le fibre solubili sono sostanze di origine vegetale resistenti all’azione di idrolisi degli enzimi del tratto superiore dell’intestino con pro-
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prietà viscose, naturalmente formanti gel. Sono rappresentate da pectine, gomme, mucillagini, polisaccaridi delle alghe, alcune emicellulose e polisaccaridi di deposito. I cibi più ricchi sono fagioli secchi, avena, orzo e alcuni frutti e ortaggi18. La principale caratteristica è quella di rallentare i tempi di svuotamento gastrico e modulare l’assorbimento di glucidi, lipidi e colesterolo. Meccanismo d’azione. Si suppone che l’effetto ipocolesterolemizzante della fibra solubile (Fs) sia dovuto alla capacità di ostacolare il riassorbimento di colesterolo nella circolazione enteroepatica, inducendone l’aumento dell’escrezione in forma di sali biliari. La viscosità delle fibre interferisce con la formazione di micelle molto piccole (circa 10 nm), rendendo meno disponibile il colesterolo alimentare14. La fibra solubile potrebbe inoltre abbassare il colesterolo totale e a bassa densità (Ldl) rallentando l’assorbimento intestinale di glucosio e quindi la produzione di insulina che attiva l’enzima 3idrossi3metilglutaril-coA reduttasi (HMGCoAR), coinvolto nella sintesi del colesterolo12,13, ma anche aumentando la concentrazione di alcuni acidi grassi a catena corta, prodotti dalla fermentazione batterica, che sembrerebbero anch’essi inibirne la sintesi epatica15,16. Efficacia e tollerabilità. Studi in vivo hanno dimostrato che l’ingestione di fibra solubile con la dieta può portare a un aumento dal 35% al 65% dell’escrezione di sali/acidi biliari con le feci, portando a una sostanziale riduzione del colesterolo totale plasmatico e delle Ldl, senza tuttavia avere alcun effetto sul colesterolo Hdl7,11. Principali fibre solubili
Betaglucano. È un polisaccaride che si trova nei cereali, in particolare in avena e orzo ma anche in lievito, funghi, batteri e alghe17.
La Fda ha determinato che 3 g/die di betaglucani permettono di raggiungere un effetto ipocolesterolemizzante clinicamente rilevante19. Psyllium. È una mucillagine gelificante derivante dalla pianta Plantago ovata17. La Fda ha affermato che assumere psyllium in quantità di 7 g/die, all’interno di una dieta a ridotto contenuto di grassi saturi e colesterolo, può ridurre il rischio di patologia cardiovascolare21. Pectina. È una gomma presente soprattutto in agrumi e mele. La fibra idrosolubile dalla pectina è in grado di ridurre effettivamente le concentrazioni di colesterolo totale e Ldl con un effetto variabile da -16% a -5%20. Gomma di Guar. Il Guar (Cyamopsis tetragonolobus) è una pianta leguminosa annuale. Un grammo di fibra idrosolubile derivata dalla Gomma di Guar abbassa il colesterolo totale di -0,026 mmol/L e il colesterolo Ldl di -0,033 mmol/L20. Glucomannano. Fibra solubile estratta dalla radice dell’Amorphophallus konjac. Per dosi di 2-4 g/die è ben tollerato, può comportare una significativa perdita di peso e ci sono evidenze che sia in grado di migliorare sia i parametri lipidici e lipoproteici sia lo status glicemico64.
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Riso rosso fermentato
Il riso rosso fermentato (red yeast rice, Ryr) è un prodotto ottenuto dalla fermentazione del riso comune da parte del lievito rosso (Monascus Purpureus). Meccanismo d’azione. Durante la fermentazione si formano delle sostanze denominate monacoline. Tra esse spicca la monacolina K, la cui struttura coincide con la lovastatina27, molecola ben conosciuta per la proprietà inibitoria dell’HMG-CoAR, riducente la sintesi di colesterolo. Efficacia e tollerabilità. In Cina è stato ampiamente studiato, trovando che ha la proprietà di ridurre la concentrazione di colesterolo dall’11 al 32% e di trigliceridi dal 12 al 19%22,26. Nel 1999 Heber et al. trovò che il riso rosso fermentato conteneva steroli, isoflavoni e altre sostanze e che la quantità di inibitori dell’HMG-CoAR era inadeguata a spiegare la grandissima riduzione di colesterolo, sottolineando che l’effetto potrebbe essere attribuito a una combinazione di azioni delle monacoline e delle altre sostanze28. Questo suggerisce l’esistenza di una grande variabilità a influenza-
re l’efficacia del riso rosso fermentato, sia nella formulazione dei diversi prodotti, sia nella concentrazione di principi attivi all’interno di uno stesso prodotto, che può modificarsi per mancanza di standardizzazione del processamento e delle condizioni di coltura29,32. Per quanto riguarda la monacolina in quanto tale, studi su popolazioni murine hanno permesso di stabilire la sicurezza della molecola30,31. L’Efsa (European Food Safety Authority) ha dichiarato che per ottenere l’effetto benefico sul colesterolo dovrebbero essere consumati 10 mg di monacolina K al giorno65. Fitosteroli
Gli steroli, insieme ai fosfolipidi, sono i principali costituenti delle membrane cellulari, a cui assicurano permeabilità, fluidità e rigidità adeguate33. Gli steroli vegetali (fitosteroli) sono simili nella struttura al colesterolo34 e sono presenti in alimenti derivati dalle piante, principalmente in oli vegetali, semi e noci. L’intake dietetico dipende dal tipo di alimentazione e varia da 150 a 450 mg/die, con un maggior consumo nei vegetariani34.
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Berberina
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Meccanismo d’azione. Colesterolo e fitosteroli una volta ingeriti sono solubilizzati dagli acidi biliari a formare micelle. Dato che i fitosteroli hanno maggior peso molecolare e idrofobicità, tendono a spiazzare il colesterolo dalla costituzione delle micelle intestinali riducendone la quantità assorbibile. Efficacia e tollerabilità. Una review sistematica dei dati relativi all’effetto riducente sul colesterolo da parte di steroli e stanoli (steroli saturi) vegetali ha mostrato un relazione dose-risposta per un consumo fino a 2 g/die di steroli/stanoli35, che pertanto è la dose raccomandata dall’Adult Treatment Panel (Atp) del National Cholesterol Education Program (Ncep) III36 come terapia aggiuntiva per ridurre il rischio cardiovascolare. Le fonti di queste sostanze sono principalmente alimenti addizionati come margarina, yogurt e certi oli (di soia e di sego)34. In contrasto con gli effetti favorevoli sul colesterolo serico, la sitosterolemia, rara malattia autosomica recessiva in cui i fitosteroli sono iperassorbiti e causano xantomi e aterosclerosi precoce37, ha indotto il dibattito sulla sicurezza dell’aumento degli steroli vegetali plasmatici in individui sani e sull’esistenza di un potenziale aumento del rischio di malattia coronarica38,41 o dell’effetto aterogeno42,45. Due grossi studi in merito hanno evidenziato però una relazione inversa tra intake di fitosteroli e concentrazione di colesterolo totale e Ldl46 o frequenza di fattori di rischio cardiometabolici47.
È un alcaloide naturale estratto dalla corteccia della Berberis Aristata, un cespuglio spinoso appartenente alla famiglia delle Berberidaceae. Tradizionalmente usata per gli effetti antimicrobici, sembra possedere proprietà immunostimolanti, antipiretiche e antiemorragiche66. Oggigiorno c’è grande evidenza che la berberina possieda proprietà rilevanti per il trattamento delle patologie metaboliche associate a un alto rischio cardiovascolare, incluse dislipidemie miste, insulino-resistenza, sindrome metabolica e diabete di tipo 248. Sembra peraltro avere proprietà antipertensive, inotrope e antiaritmiche51. Meccanismo d’azione. La berberina ha la capacità di up-regolare l’espressione dei recettori epatici per le Ldl, aumentandone i livelli di mRNA attraverso un meccanismo post trascrizionale che stabilizza le molecole. L’aumento dei recettori per le Ldl da parte del fegato porta a un aumento dell’uptake di colesterolo serico, che quindi si riduce. Efficacia e tollerabilità. Studi clinici riportano una riduzione di colesterolo totale, Ldl e trigliceridi a seguito dell’assunzione di berberina, e in alcuni casi anche un incremento di Hdl49,50. Nell’uomo è stata evidenziata una significativa riduzione del colesterolo plasmatico, in assenza di effetti collaterali dannosi, per dosi di berberina fino a 1500 mg/die52. L’assorbimento e l’efficacia della molecola aumenta se associata con la Silimarina67. Policosanoli
I policosanoli (Pc) sono una miscela di alcoli alifatici ad alto peso molecolare, derivati originariamente dalla cera purificata della canna da zucchero53, tuttavia isolati anche da cera d’api, graminacee, frutta secca e frutta fresca54. L’assunzione media dei policosanoli è stata stimata in circa 12-40 mg/die nella
delle differenze di concentrazioni presenti tra le diverse coltivazioni. L’assorbimento intestinale risulta però pressoché completo in virtù dell’elevata biodisponibilità60. Meccanismi d’azione. I meccanismi sottostanti la loro azione ipolipemizzante non sono ancora completamente stabiliti60; tuttavia vi sono evidenze che esplichino questo ruolo attraverso l’inibizione della sintesi di apo B, lipoproteina primaria delle Ldl60. L’evidenza è che siano i metaboliti, derivanti dall’estesa biotrasformazione, i responsabili delle azioni benefiche59. Ma gli effetti riportati dei polimetossiflavoni sono molteplici, tra cui l’attività antiinfiammatoria e antiaterogenica61,62. Efficacia e tollerabilità. Diete contenenti l’1% di polimetossiflavoni hanno dimostrato di ridurre le Vldl del 19-27% e il colesterolo Ldl del 32-40% rispetto ai controlli59. Dai test in vitro e in vivo su animali non si sono evidenziati effetti tossici o indesiderati fino a dosaggi di 14 g/die63. popolazione statunitense, ma la biodisponibilità è notevolmente ridotta54,55. Meccanismi d’azione. I meccanismi precisi della loro azione nel trattamento delle dislipidemie rimangono misconosciuti56, tuttavia è stato dimostrato che i policosanoli sono in grado di diminuire la sintesi di colesterolo attraverso l’inibizione della HMG-CoA reduttasi per azione indiretta mediata dall’attivazione della AMPkinasi57. Efficacia e tollerabilità. Studi clinici hanno dimostrato l’efficacia e la tollerabilità dei policosanoli anche in comparazione alle statine58. Alla dose di 10-20 mg al giorno, i policosanoli sono stati in grado di diminuire il colesterolo totale del 17-21%, il colesterolo Ldl del 21-29% e di incrementare il colesterolo Hdl dell’8-15% , con una bassissima incidenza di effetti collaterali56. Polimetossiflavoni
I polimetossiflavoni (Pmf) sono bioflavonoidi con più di due frazioni metossilate, derivanti dalla buccia degli agrumi59. L’assunzione media dei polimetossiflavoni non è nota a causa
Acido carnosico
Fa parte degli estratti del Rosmarinus Officinalis che, insieme all’acido rosmarinico, ha mostrato di possedere proprietà antiossidanti, antinfiammatorie e epatoprotettive68. Meccanismi d’azione. L’estratto di rosmarino, il carnosolo e l’acido carnosico (Ac) sono in grado di inibire l’attività della lipasi pancreatica in vitro, ma la riduzione di peso corporeo e dei lipidi serici dovrebbe essere mediata attraverso l’inibizione nel tratto gastroenterico69,71. Efficacia e tollerabilità. È stata individuata una significativa inibizione dell’attività enzimatica della lipasi gastrica di ratti obesi e non, associata a una moderata riduzione di assorbimento dei grassi con riduzione di peso corporeo e dei livelli di trigliceridi e colesterolo serici72. Inoltre l’acido carnosico sembra avere, a parità di dose, la stessa efficacia dell’orlistat71. L’Efsa ha stabilito che il range in cui non si riscontrano effetti avversi è tra 20 e 60 mg acido carnosico+carnosolo per kg di peso corporeo al giorno73. n
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Pruduct
Monograph,
67. L’associazione berberina e silimarina nel trattamento dell’ipercolesterolemia, del diabete e della sindrome metabolica. Di Pierro, Villanova. L’integratore Nutrizionale. 2009 68. Storage method, drying processes and extraction procedures strongly affect the phenolic fraction of rosemary leaves: an HPLC/ DAD/MS study. Mulinacci N, Innocenti M, Bellumori M, Giaccherini C, Martini V, Michelozzi M. Talanta.2011Jul 15;85(1):167-76. 69. Rosemary (Rosmarinus officinalis L.) leaf extract limits weight gain and liver steatosis in mice fed a high-fat diet. Harach T, Aprikian O, Monnard I, Moulin J, Membrez M, Béolor JC, Raab T, Macé K, Darimont C. Planta Med.2010Apr;76(6):566-71. 70. Carnosic acid-rich rosemary (Rosmarinus officinalisL.) leaf extract limits weight gain and improves cholesterol levels and glycaemia in mice on a high-fat diet. Ibarra A, Cases J, Roller M, Chiralt-Boix A, Coussaert A, Ripoll C. Br J Nutr.2011 Oct;106(8):1182-9. 71. Carnosic acid, a new class ofl ipid absorption inhibitor from sage. Ninomiya K, Matsuda H, Shimoda H, Nishida N, Kasajima N, Yoshino T, Morikawa T, Yoshikawa M. Bioorg Med Chem Lett. 2004Apr 19;14(8):1943-6. 72. Inhibition of gastric lipase as a mechanism for body weight and plasma lipids reduction in Zucker rats fed a rosemary extract rich in carnosic acid. Romo Vaquero M, Yáñez-Gascón MJ, García Villalba R, Larrosa M, Fromentin E, Ibarra A, Roller M, Tomás-Barberán F, Espín de Gea JC, GarcíaConesa MT. PLoS One.2012;7(6):e39773. 73. Use of rosemary extracts as a food additive -Scientific Opinion of the Panel on Food Additives, Flavourings, Processing Aids and Materials in Contact with Food. EFSA Panel on Food additives, flavourings, processing aids and materials in contact with food. The EFSA Journal (2008) 721, 1-29.
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un progetto innovativo per una farmacia d’eccellenza
Nella foto, Leonardo Ferrandino, Presidente e Amministratore Delegato del Gruppo ADMENTA Italia
LloydsFarmacia è l’innovativo progetto sviluppato a partire dal dicembre 2012 dal gruppo ADMENTA Italia che si pone l’obiettivo di rendere la Farmacia fruibile, accogliente e punto di riferimento costante per i Clienti mediante la creazione di un format basato sui seguenti pilastri: - eccellenza farmaceutica nel servizio e consiglio; - allargamento dei servizi legati al mondo della salute e benessere; - miglioramento dell’accessibilità e abbattimento delle barriere tra Cliente e Farmacista; - sviluppo di un innovativo layout della Farmacia che renda l’esperienza del Cliente sempre più soddisfacente; - ridefinizione dell’offerta della Farmacia, mediante politiche che assicurino al Cliente la massima disponibilità, qualità e convenienza; - progetto formativo ad hoc per il personale, al fine di rendere il Farmacista sempre più esperto sulle più importanti problematiche legate alla salute del Cliente.
In altre parole, un concept che valorizza a 360° il punto vendita. Ad oggi le farmacie ad insegna LloydsFarmacia sono 70 sul territorio dove opera ADMENTA e saranno circa 100 a fine 2014. «I risultati del progetto sono sorprendenti – afferma Leonardo Ferrandino, Presidente e Amministratore Delegato del Gruppo ADMENTA Italia – sia in termini di aumento del numero dei clienti che della loro soddisfazione e conseguentemente nelle vendite sviluppate». «Altro importante aspetto di questo progetto è rappresentato dalla partnership che viene offerta al farmacista indipendente, tramite un progetto di affiliazione – continua Ferrandino – progetto che permette al farmacista di veder crescere l’attività mantenendo la propria indipendenza e valorizzando le proprie capacità imprenditoriali». Viene infatti offerta al farmacista indipendente la solidità di un partner affidabile e professionale come ADMENTA in grado di minimizzare il rischio di insuccesso sul mercato, mettendo a disposizione persone dedicate, farmacisti esperti e sessioni formative al fine di dotare l’affiliato di tutti gli strumenti per affrontare le difficili sfide del mercato odierno, sempre più dinamico e complesso. Ad oggi 6 Farmacie hanno deciso di affiliarsi ad ADMENTA. Abbiamo intervistato il dottor Michele Chiossi della LloydsFarmacia Sant’Orsola di Campogalliano (Modena), affiliato da ottobre 2013. «Quello che mi ha convinto ad entrare nel mondo LloydsFarmacia sono state l’esperienza e la professionalità del Gruppo e delle persone che lo costituiscono. Ho
mantenuto la mia indipendenza e identità, ricevendo in più costante supporto e attenzione alle esigenze della mia Farmacia. Questa quotidiana presenza del Gruppo coinvolge positivamente me e il mio team, dandoci quel senso di sicurezza che difficilmente si respira in questo momento». Il dottor Chiossi cita qualche esempio per spiegare in cosa si concretizza il rapporto con LloydsFarmacia: «il piano marketing e comunicazione, ben studiato e accattivante, viene regolarmente condiviso con me e il mio team al fine di adattarlo anche alla realtà del territorio dove operiamo. Ogni mese siamo direttamente coinvolti nello sviluppo e nell’analisi post vendita, per poter capire al meglio i risultati che raggiungiamo e le nuove dinamiche del mercato farmaceutico sempre più in evoluzione. Infine, le continue attività alle quali partecipiamo, come i corsi di formazione e i meeting aziendali sugli aggiornamenti delle categorie merceologiche, rendono più sicuri me e il mio team e fanno si che possiamo essere sempre più pronti e presenti nel lavoro front office per soddisfare tutte le esigenze del nostro Cliente». Conclude affermando che «naturalmente il risultato economico positivo è l’elemento fondamentale per misurare il funzionamento del rapporto con LloydsFarmacia: il miglioramento dei margini di acquisto, ottenuti grazie alla forza contrattuale che LloydsFarmacia ha sul mercato, l’aumento delle vendite generato dalla varietà delle proposte al Cliente e l’attenzione alla gestione dello stock di magazzino, ci permette di raggiungere risultati soddisfacenti e di guardare con n ottimismo al futuro!».
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la farmacia per la coppia focus
il farmacista da venditore a counselor
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l tempo in cui i servizi sulla salute sessuale offerti dalle farmacie erano limitati alla vendita di preservativi a una clientela imbarazzata e furtiva sembra ormai passato. Ma rimane il fatto che il profilattico continua a rappresentare il prodotto di punta tra quelli destinati al benessere sessuale e alla prevenzione di malattie o gravidanze indesiderate. Difficilmente il cliente chiede a questo proposito un consiglio al farmacista e gli esperti di marketing suggeriscono dunque di porre una particolare attenzione alla modalità di esposizione dei profilattici, perché a volte qualche piccolo trucco può servire a incrementarne le vendite. L’ideale è posizionare questi prodotti nei reparti di cura della persona, favorendo il cliente ad avvicinarsi senza troppi imbarazzi e ponendolo nella condizione di scegliere autonomamente, utilizzando gli stessi espositori che vengono forniti dalle industrie produttrici. C’è però ancora molto spazio perché il ruolo delle farmacie nei servizi di salute sessuale si ampli ulteriormente. I farmacisti sono nella posizione ideale per raggiungere coloro che hanno minori possibilità di accedere in altro modo alla contraccezione e all’assistenza sanitaria in ambito sessuale e possono offrire un servizio discreto e conveniente anche per il servizio sanitario nel suo complesso. Un ruolo tutto da sviluppare che, come ricorda l’esperto in malattie a trasmissione sessuale Mauro Moroni, dovrebbe essere riconosciuto e favorito dalle istituzioni.
Il mercato dei profilattici
L’industria del profilattico è alimentata, oltre che dal suo utilizzo come strumento per evitare gravidanze indesiderate, anche dalla crescen-
te preoccupazione per la diffusione di malattie trasmissibili, che si sta sempre più estendendo anche nei popolosi Paesi in via di sviluppo. Dopo i tradizionali profilattici in lattice, il mercato ha progressivamente aperto all’introduzione di nuove tipologie come quelli realizzati in poliuretano per ridurre al minimo la possibilità di reazioni allergiche; altre tendenze degne di nota includono il lancio di preservativi più sottili, una maggiore attenzione ai giovani e alle donne, l’uso di polimero di nitrile per i preservativi femminili, una gamma di prodotti studiati per favorire il piacere della coppia, lubrificati o contenenti spermicidi. Anche l’etichettatura e il confezionamento hanno cercato di rinnovarsi in modo da cattu-
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Il benessere della coppia passa anche attraverso la comunicazione sessuale, ma è importante che il piacere non abbia “effetti collaterali”
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la farmacia per la coppia
approfondimenti Nel corso dell’ultimo decennio è stato osservato un importante incremento delle Mst nelle aree metropolitane dei paesi più sviluppati. In Italia, secondo quanto riportato dal Sistema di sorveglianza sentinella attivo dal 1991, il numero di nuovi casi di Mst è rimasto stabile fino al 2004, con una media di 3.920 casi all’anno, per poi subire un incremento del 25% nel periodo 2005-2011 e arrivare a una media di 4.919 nuovi casi all’anno.
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rare maggiormente l’attenzione dei clienti. In termini di valore, l’Europa detiene il più grande mercato di profilattici e detiene una quota pari a circa il 25% del mercato globale. Tuttavia, in termini di volume, l’Asia domina grazie alla sua enorme popolazione, alla crescita della consapevolezza pubblica e a un maggiore sostegno governativo. Una stima di un paio di anni fa ha previsto per il mercato globale del profilattico un tasso di crescita annuale composto (Cagr) dell’8,39 fino al 2018, quando dovrebbe raggiungere i 5,4 miliardi di dollari. Le malattie a trasmissione sessuale
Le Malattie sessualmente trasmissibili (Mst) sono infezioni che si possono contrarre facendo sesso con una persona infetta. Sono causate da batteri, parassiti o virus; secondo il database Medline ce ne sono più di venti e le principali sono: la clamidia, la gonorrea, l’her-
pes genitale, l’Hiv/Aids, l’Hpv, la sifilide, la tricomoniasi, le epatiti B e C. La maggior parte delle malattie a trasmissione sessuale colpiscono sia uomini che donne, ma in molti casi i problemi di salute che provocano possono essere più gravi per le donne. Una Mst in una donna incinta può causare gravi problemi di salute per il bambino. z Clamidia. È un’infezione batterica molto comune, causata dal batterio gram-negativo Chlamydia trachomatis. Solitamente è asintomatica, negli altri casi la sua manifestazione più tipica è l’infiammazione della mucosa urogenitale con secrezione e uretrite nel maschio e uretrite/vaginite/cervicite nella donna. Nelle donne, l’infezione del sistema riproduttivo può portare alla malattia infiammatoria pelvica, che a sua volta può causare infertilità o gravi problemi in gravidanza. Gli esperti raccomandano che le donne sessualmente attive facciano il test ogni anno per individuare la clamidia, che si cura con antibiotici. z Gonorrea. È più comune nei giovani adulti ed è dovuta a un diplococco Gram-negativo, la Neisseria gonorrhoeae, che può infettare anche la bocca o l’ano, ma interessa prevalentemente l’apparato genitourinario. Si manifesta con secrezioni purulente dal pene o dalla vagina, associate a un continuo stimolo continuo alla minzione, spesso accompagnato da un senso di bruciore uretrale. Se non trattata, negli uomini può causare problemi a prostata e testicoli; nelle donne malattia infiammatoria pelvica. La gonorrea si individua attraverso un test di laboratorio e si cura con antibiotici, anche se i ceppi farmaco-resistenti sono in aumento. z Epatite. La trasmissione sessuale riguarda principalmente l’epatite B, causata dal virus Hbv. Colpisce direttamente il fegato provocando seri danni e, in alcuni casi, la morte. Nella maggior parte dei casi è asintomatica, ma può anche pro-
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durre affaticamento, febbre, nausea o vomito, ittero o dolore al fianco destro. Per il 5-10%, le persone infettate non riescono a eliminare il virus e diventano portatori cronici. Col tempo in questi soggetti si può avere un’infiammazione cronica che può trasformarsi poi in cirrosi e favorire lo sviluppo del cancro del fegato. I farmaci non eliminano l’infezione ma alcuni riescono a bloccare la replicazione del virus, riducendo così al minimo i danni al fegato. z Herpes genitale. È causata principalmente dal virus Herpes simplex e può manifestarsi con lesioni localizzate principalmente sulla mucosa vulvare o peniena. Il virus si può trasmettere anche quando non sono presenti lesioni, rimane nel corpo per tutta la vita e tende a recidivare, con frequenza notevolmente variabile ma in genere con sintomi meno intensi ed estesi. I farmaci non curano l’herpes genitale ma possono aiutare il corpo a combattere il virus, a ridurre i sintomi e il rischio di trasmissione. z Hiv. La sigla indica il virus dell’immunodeficienza umana che danneggia o uccide le cellule del sistema immunitario; lo stato avanzato dell’infezione è la sindrome da immunodeficienza acquisita o Aids. Si trasmette per contatto diretto con liquidi biologici infetti: sangue, sperma, secrezioni vaginali o latte materno. I primi segni dell’infezione possono essere sintomi influenzali e ghiandole ingrossate, mentre le complicazioni più gravi possono comparire anche molti anni dopo. Il test è indispensabile, anche per accedere il prima possibile alle cure, che non eradicano il virus ma sono spesso in grado di azzerare la replicazione virale e, se somministrate tempestivamente, di ripristinare l’assetto immunitario. z Hpv. I papillomavirus umani sono virus comuni, ce ne sono più di 100 tipi e per la maggior parte sono innocui, ma circa 30 di loro sono cancerogeni e, in particolare, tutti i tumori del collo dell’utero sono causati da Hpv. Si contraggono tramite contatto diretto o in luoghi poco puliti, ma non sono presenti in liquidi biologici come sangue o sperma. Nella maggior parte dei casi, l’infezione è asintomatica ma
talvolta si può manifestare con condilomi acuminati in sede genitale (pene e vulva, perineo). Le lesioni da Hpv del collo uterino possono essere riconosciute mediante il Pap test, la colposcopia o tecniche di patologia molecolare, e le lesioni del pene mediante la penescopia. Come in molte infezioni virali, la terapia è spesso problematica; esiste però un vaccino in grado di proteggere contro diversi tipi di Hpv. z Sifilide. È causata da un batterio, il Treponema pallidum, che infetta zona genitale, labbra, bocca o ano di uomini e donne. La prima fase si manifesta con un’ulcerazione indolore nel punto di contatto; la seconda ha una sintomatoapprofondimenti Il Treponema pallidum è uno Spirocheta cioè un lungo bacillo spiraliforme che causa la sifilide, infezione trasmessa per via sessuale (forma acquisita) o attraverso la placenta di madre luetica (forma congenita). La forma congenita della sifilide può trasmettersi dalla gravida a partire dalla 16esima settimana di gravidanza quando i treponemi, superata la barriera placentare, raggiungono il feto.
logia molto diversificata e coinvolge la pelle, le mucose e i linfonodi. Senza trattamento, un terzo delle persone infette sviluppa la malattia terziaria, che si può verificare da 3 a 15 anni dopo l’infezione iniziale, si presenta in tre forme diverse ed è molto grave. La sifilide è difficile da diagnosticare clinicamente e la conferma viene dalle analisi del sangue. Se individuata precocemente è facile da curare, tipicamente con una singola dose di penicillina G. z Tricomoniasi. È una delle Mst più diffuse; causata da un parassita unicellulare, il Trichomonas vaginalis; può non presentare alcun sintomo oppure dolore e prurito intorno alla vagina e un cambiamento nelle secrezioni vaginali. Negli uomini colpisce l’uretra e talvolta la ghiandola prostatica; è generalmente asintomatica, ma può causare fastidio nella minzione o nell’eiaculazione. Il trattamento è a base di antibiotici. n aprile 2014
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focus la farmacia per la coppia
Più informazione
e più
sicurezza
Un’esclusiva intervista con il professor Mauro Moroni, direttore della Clinica di Malattie Infettive dell’Università degli Studi di Milano e da sempre in primo piano nella lotta contro Aids e malattie sessualmente trasmissibili
L Mauro Moroni Direttore della Clinica di Malattie Infettive Università degli Studi di Milano
Professor Moroni, qual è oggi la situazione riguardo alla diffusione delle malattie sessualmente trasmissibili? Purtroppo la situazione non è tra le più tranquillizzanti. Tutti i centri per le malattie a trasmissione sessuale segnalano una consistente ripresa delle più classiche tra queste infezioni, prima di tutto la sifilide. Del resto non si tratta di una sorpresa, perché avevamo assistito a un notevole calo delle malattie sessualmente trasmissibili in seguito al diffondersi dell’epidemia da Hiv: in quel periodo si era ottenuto una maggiore prevenzione grazie ai numerosi interventi
Intervista di Renato Torlaschi
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e malattie a trasmissione sessuale (Mts) comprendono una varietà di sindromi cliniche causate da batteri, virus, funghi e altri agenti patogeni, acquisite o trasmesse attraverso l’attività sessuale. Colpiscono ogni anno circa 350 milioni di persone nel mondo, con un notevolissimo impatto nei paesi industrializzati e non; sono tra l’altro responsabili di molte complicanze ginecologiche, ostetriche e andrologiche. Per fare il punto sullo stato attuale di queste patologie nel nostro Paese, abbiamo intervistato un immunologo di fama, Mauro Moroni, direttore del dipartimento di malattie infettive dell’Azienda Ospedaliera Luigi Sacco di Milano.
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attraverso i mass media. I messaggi di attenzione nei confronti dell’infezione da Hiv, che in Italia è prevalentemente a trasmissione sessuale, avevano funzionato anche nei confronti di altre patologie come sifilide, blenorragia, uretriti da clamidia e infezione da papilloma virus. Gli anni in cui si sono fatte ripetute campagne di informazione sulla sindrome da immunodeficienza acquisita è stato riportato come valore aggiunto anche un calo delle altre infezioni a trasmissione sessuale. Ma ormai, da una decina d’anni a questa parte, queste grandi iniziative di informazione e prevenzione sono cessate. Fortunatamente la patologia da Hiv non genera più quel timore che incuteva in precedenza, quando non esistevano cure, ma questo porta a un allentamento dei costumi e delle singole attenzioni. Chi corre i rischi maggiori? È difficile generalizzare perché la popolazione sessualmente attiva è molto diversificata per età, sesso, educazione e contesto sociale. Una tendenza che si è ormai consolidata da anni è la precocità sessuale. I rapporti sessuali cominciano molto presto, tanto che la vaccinazione contro il papilloma virus è stata portata all’età di dodici anni, perché si ritiene che a quell’età la grande maggioranza delle ragazze non abbia avuto ancora rapporti sessuali, ma subito dopo sì. Quindi
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una prima considerazione è la precocità sessuale rispetto a una o due generazioni precedenti. C’è dunque una mancanza di informazione tra i più giovani? In realtà i giovani risultano abbastanza informati. Le indagini che si fanno nelle scuole ci dicono che la principale fonte di informazione non è la famiglia, che anzi è all’ultimo posto, ma piuttosto Internet e i compagni più smaliziati. Ma la scuola sicuramente trasmette ai ragazzi le nozioni di biologia della riproduzione e della sessualità e fortunatamente gli insegnanti più illuminati parlano anche di igiene sessuale. Quindi la formazione dei giovani c’è, ma quello che manca è la consapevolezza del rischio, la capacità di trasferire le informazioni nella realtà e indurre atteggiamenti prudenti nel momento in cui si hanno rapporti sessuali. Oltre ai più giovani, ci sono ancora quelle “fasce di popolazione a rischio” di cui si parlava negli anni Novanta a proposito dell’Aids? Il concetto di categorie a rischio è sbagliato. A rischio sono i comportamenti e non le categorie. Questo può valere per una gran quantità di soggetti e situazioni estremamente diversificate e riguarda il quindicenne come il settantenne, il manager industriale in viaggio per lavoro come chi ha una relazione con l’amico o l’amica di famiglia. Certo, nella diffusione di malattie a trasmissione sessuale incide molto la promiscuità: le persone hanno mediamente aumentato il numero di partner e questa tendenza coinvolge tutti gli strati sociali e tutte le età. Nel momento in cui le iniziative di prevenzione segnano il passo, chi può farsene carico e quale può essere a questo proposito il ruolo del farmacista? Una rete capillare di farmacie è presente in tutto il territorio nazionale e questo dovrebbe portare a una valorizzazione dell’attività dei farmacisti, che potrebbero far parte della ristretta cerchia di educatori istituzionali, accanto alla famiglia, alla
scuola e al medico di medicina generale. Queste reti capillari oggi potrebbero sostituire le grandi campagne di informazione attraverso televisione e giornali, che non si fanno più perché costano molto e sono oltretutto ritenute poco penetranti e difficilmente in grado si modificare i comportamenti della popolazione, ma il vuoto che lasciano dovrebbe essere riempito. Questa e altre tipologie di formazione, informazione ed educazione alla salute sono più efficaci se svolte in modo differenziato a seconda della persona con cui si ha a che fare. Certamente il farmacista potrebbe svolgere un ruolo in questo senso, anche ospitando semplicemente nella farmacia del materiale informativo. Quanto alla possibilità di esercitare una funzione di counseling, si tratta di capire se la routine quotidiana del farmacista, sicuramente pesante e talvolta ossessiva, è compatibile con un’operazione di questo tipo, che richiede tempo, disponibilità e intimità. È difficile poter affrontare un problema delicato inerente alle pratiche sessuali con un cliente, quando dietro di lui c’è una coda di persone che vogliono comprare la tachipirina o l’integratore alimentare. Servirebbe comunque qualche forma di coinvolgimento istituzionale che riconoscesse e favorisse l’approccio del farmacista come counselor. E comunque la farmacia ha il ruolo prezioso di metaprile 2014
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tere in vendita il principale strumento con cui si attua la prevenzione, il profilattico. Che cosa influisce sul mancato utilizzo generalizzato del profilattico? Può darsi che vi siano ancora delle sacche di individui che possano identificare il profilattico come strumento del demonio oppure come una protezione da utilizzare esclusivamente con le prostitute, ma credo che si tratti ormai di una assoluta minoranza. Il problema fondamentale è la trascuratezza, il non pensarci, la convinzione che comunque l’infezione non ci sarà questa volta, non con questo ragazzo o ragazza, che comunque non toccherà a me… È la stessa superficialità che porta a passare col rosso o a superare i limiti di velocità in automobile, oppure a continuare a fumare ben sapendo che il fumo fa male. Si tende a rimuovere quello che si sa, perché a volte è scomodo: è scomodo comprare il profilattico, tirarlo fuori, calzarlo, mentre è più semplice farne a meno. Dietro questa semplicità si celano i rischi maggiori. Oltre ai prodotti, in farmacia si vendono spesso dei kit per effettuare dei test. Nelle farmacie di alcuni paesi sono diffusi, per esempio, i test per rilevare l’infezione clamidia. Cosa ne pensa? In Italia può darsi che ci siano farmacie che lo importano direttamente dalla Svizzera o da altri Paesi europei, ma questi kit non sono particolarmente diffusi e a mio avviso questo non è completamente negativo, perché si tratta di 56
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test che richiedono una certa capacità di lettura e interpretazione. La medicina fai-da-te in questi casi non è l’approccio migliore e penso che sia preferibile ricorrere a un medico qualora si abbia un sospetto per dei sintomi o perché si ha avuto un rapporto sessuale non protetto. Oggi, per esempio, c’è un test per vedere se c’è uno streptococco beta-emolitico nel cavo orale, però deve essere maneggiato dal medico che fa il tampone nel modo giusto e che lo sa leggere correttamente, altrimenti si possono generare false sicurezze oppure indurre condotte sbagliate nel paziente, che dopo l’autodiagnosi potrebbe essere tentato di passare a un’autoterapia quanto mai pericolosa. Per quanto riguarda l’Hpv, una delle strategie di prevenzione sta nella vaccinazione. Cosa ne pensa? La vaccinazione contro il papilloma virus è un’ottima realizzazione perché il tumore del collo dell’utero è ancora oggi un problema non da poco. La speranza è che non compaiano dei serotipi che non sono presenti nel vaccino perché oggi non sono oncogeni e che un domani potrebbero rivelarsi tali. Ma per il momento quel che si doveva fare è stato fatto. E riguardo alle terapie, ci sono novità? Per quanto riguarda l’Hiv i risultati sono stati spettacolari, ma come è noto i farmaci non sono in grado di eradicare completamente il virus. Il rischio di infezione resta purtroppo molto concreto e essere sieropositivi non è comunque uno scherzo, speriamo che i farmaci di cui disponiamo continuino a funzionare anche in futuro restando tollerabili come oggi anche per chi ha davanti un’aspettativa di vita di quarant’anni. Poi fortunatamente il treponema, l’agente eziologico della sifilide, mantiene la sensibilità alla penicillina. Qualche problema c’è per il gonococco che invece tende a sviluppare resistenze. Da un punto di vista terapeutico un bagaglio di terapie c’è, guai però se questo fosse considerato una sorta di autorizzazione a fare sesso senza precauzione. n
oral care focus
La malattia
parodontale
colpisce il 60% degli italiani È un problema di salute globale che colpisce la maggior parte della popolazione adulta dopo i 35-40 anni di età. Ne abbiamo parlato con il professor Leonardo Trombelli, direttore del Centro interdipartimentale di ricerca e servizi per lo studio delle malattie parodontali e perimplantari dell’Università di Ferrara
L
a malattia parodontale inizia con una gengivite in gioventù che, se non curata, degenera fino ad arrivare alla parodontite progressiva e distruttiva. La parodontite è sempre preceduta dalla gengivite e la prevenzione della gengivite, pertanto, consente un’efficace opera di prevenzione della parodontite. La promozione di azioni di prevenzione delle malattie orali è particolarmente necessaria e opportuna anche in considerazione del ruolo oggettivamente limitato che il nostro Servizio sanitario nazionale, ad oggi, svolge per l’odontoiatria. In quest’ottica, recentemente il ministero della Salute ha pubblicato delle linee guida nazionali per la promozione della salu-
te orale e la prevenzione delle patologie orali in età adulta. Gli esperti che hanno preso parte al gruppo di lavoro che ha elaborato il documento – nominati dal ministero – hanno espresso delle raccomandazioni basate sulla disponibilità di dati di alta qualità scientifica o, in mancanza di questi, sul forte consenso del gruppo degli estensori delle linee guida. Secondo i dati del gruppo di esperti, nei paesi occidentali in generale si registra una prevalenza della gengivite variabile tra il tra il 40 e il 50% negli adulti. In Italia, circa il 60% della popolazione sarebbe affetto dalla malattia parodontale, con una prevalenza del 10-14% per le forme gravi o avanzate, che aumenta drasticamente nelle fasce di età a partire da 35-44 anni.
Leonardo Trombelli Direttore del Centro interdipartimentale di ricerca e servizi per lo studio delle malattie parodontali e perimplantari dell’Università di Ferrara
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oral care
linee guida: la prevenzione delle patologie orali Secondo le “Linee guida nazionali per la promozione della salute orale e la prevenzione delle patologie orali in età adulta” ogni paziente visitato dal dentista e ogni cliente che si rivolge al farmacista per l’acquisto di supporti di igiene orale deve essere indirizzato verso una buona pratica di prevenzione delle patologie dentali ed è doveroso intercettare precocemente eventuali patologie sistemiche che possono determinare l’insorgenza e/o la progressione della malattia parodontale. Alla stessa stregua, è doveroso adottare ogni misura atta a disincentivare l’abitudine al fumo. Nei soggetti che non riescono a controllare con l’igiene orale personale, il processo infiammatorio a carico dei tessuti gengivali e nei soggetti con patologie sistemiche favorenti l’insorgenza di malattia parodontale, è indicata l’igiene orale professionale almeno due volte all’anno e il controllo chimico
della placca batterica tramite sciaqui con collutori. La diagnosi di eventuale malattia parodontale deve essere effettuata dal dentista. Per un corretto accertamento diagnostico sono necessari una dettagliata anamnesi, un esame obiettivo locale, l’esecuzione di esami radiografici, l’esecuzione eventuale di esami di laboratorio e un esame microbiologico. La terapia causale (iniziale), in aggiunta alla terapia meccanica non chirurgica, deve comprendere l’informazione, l’istruzione e la motivazione del paziente a una corretta igiene orale: il farmacista può e deve fornire un’azione di counseling e di supporto comportamentale riguardante l’igiene orale, avendo a disposizione in farmacia tutta una serie di prodotti adatti allo scopo, dallo scovolino al collutorio, dal filo interdentale al rivelatore di placca allo spazzolino elettrico e via dicendo.
Già negli anni ‘60 si era ampiamente documentato che in soggetti con gengiva sana, in assenza di qualunque forma di igiene orale, si sviluppavano segni clinici di gengivite nell’arco di due/tre settimane per accumulo di placca dentale e che il ripristino di corrette abitudini di igiene orale ristabiliva lo stato di salute
in una settimana. Il controllo della placca sia sopra che sotto-gengivale attraverso corrette procedure di igiene orale professionale e domiciliare permette infatti di limitare la presenza nella flora microbica delle specie patogene per i tessuti gengivali, favorendo il miglioramento dei parametri clinici e microbiologici. L’utilizzo di antimicrobici locali permette di ridurre l’infezione sopragengivale e l’infiammazione che ne deriva, ostacolando così la ricolonizzazione batterica sottogengivale da parte dei batteri parodontopatogeni. Per fare chiarezza su come affrontare tali patologie alla luce delle evidenze internazionali più recenti, incontriamo il professor Leonardo Trombelli. Professor Trombelli, la causa di gengiviti e parodontiti è in primo luogo l’accumulo di placca. Qual è il processo che ne innesca la formazione? La condizione necessaria perché gengivite e parodontite, le malattie parodontali più comuni, si instaurino è costituita dalla presenza sulla superficie radicolare di un biofilm, composto prevalentemente da cellule di natura batterica. La mancata rimozione del biofilm
igiene orale e livelli di glucosio nella saliva I livelli di glucosio nella saliva – correlati alla patologia cariosa – raggiungono il picco a due ore dai pasti: sono i risultati di uno studio multicentrico condotto alle università di Roma e Milano e finanziato da Colgate. Uno studio multicentrico sui livelli di glucosio nella saliva offre nuovi spunti di riflessione su tempi e modi di un’igiene orale che sia davvero accurata ed efficace nel prevenire la patologia cariosa. Questa volta, a differenza del solito, l’attenzione non è rivolta alle manovre di igiene orale ma a ciò che accade all’interno della nostra bocca in relazione al metabolismo.
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Alimentazione sana e corretta, accurata igiene orale con utilizzo di presidi che assicurino una copertura antibatterica efficace e di lunga durata, anche nelle ore notturne: queste in sintesi le raccomandazioni che emergono dai risultati della ricerca multicentrica biennale dal titolo “Dosaggio del glucosio nella saliva”, condotta in collaborazione fra la professoressa Antonella Polimeni dell’università Sapienza di Roma e il professor Giampietro Farronato dell’università di Milano. Lo studio è stato condotto con l’intento di misurare, in diversi momenti della giornata, le variazioni dei livelli di glucosio nella saliva che, come dimostra-
to da precedenti studi (1-3), sono correlabili con la patologia cariosa. Che il glucosio sia presente nella saliva è un fatto noto da tempo, con valori particolarmente elevati nei soggetti diabetici. «Ci siamo chiesti se, oltre che nel diabetico, il rapporto fra salute orale e alimentazione è presente anche nell’individuo normale» spiega il professor Farronato, direttore della scuola di specializzazione in ortognatodonzia e presidente del corso di laurea in igiene dentale dell’università di Milano. I risultati dello studio Ciò che emerge dall’analisi, e che potreb-
be avere interessanti implicazioni sulle prescrizioni dei tempi delle manovre di igiene orale, è la curva delle variazioni dei livelli di glucosio nell’arco della giornata. «Abbiamo reclutato un campione statisticamente significativo di soggetti sani, professionisti del settore e studenti con altissima capacità di mantenere un’ottima igiene orale, e abbiamo effettuato un primo prelievo di saliva dopo un digiuno dalla mezzanotte precedente e senza che si fossero lavati i denti al mattino» spiega il ricercatore. I soggetti sono stati quindi invitati a consumare la colazione e a lavarsi i denti. I prelievi successivi di saliva sono stati eseguiti dopo 60,
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ne consente la maturazione in una struttura sempre più organizzata e resistente alla rimozione meccanica, che si arricchisce via via di specie più patogene e che si associa a un inasprimento dei segni clinici dell’infiammazione (sanguinamento, rossore, edema). La gengivite può cronicizzare o, in individui suscettibili, evolvere in parodontite. Quest’ultima mantiene il carattere di natura infiammatoria e comporta una distruzione dei tessuti parodontali profondi, determinando una perdita irreversibile di legamento parodontale, cemento radicolare e osso alveolare fino all’esfoliazione spontanea dell’elemento dentario. Quali sono gli strumenti e i parametri fondamentali oggi a disposizione per diagnosticare gengivite o parodontite? La diagnosi delle malattie parodontali è prevalentemente clinica: lo strumento tradizionalmente utilizzato per effettuare una corretta diagnosi parodontale è la sonda parodontale. Per la gengivite il segno clinico patognomonico è il sanguinamento gengivale spontaneo o indotto dal sondaggio (in assenza di perdita di attacco clinico), a indicare lo stato infiammatorio del tessuto connettivale in prossimità
90, 120 e 180 minuti. «Nel primo prelievo abbiamo ottenuto alti valori di glucosio – riporta Giampietro Farronato –. Considerato che si tratta di soggetti molto capaci di pulizia dentale, significa che si è avuto un accumulo di glucosio durante la notte, probabilmente arrivato attraverso la saliva». Al secondo prelievo, eseguito un’ora dopo aver lavato i denti, i livelli di glucosio raggiungono un valore minimo per poi risalire, con una curva a campana, in coincidenza con il terzo prelievo e diminuire progressivamente nei due prelievi successivi. Lo studio evidenzia dunque un incre-
approfondimenti Il dente è un organo complesso e vitale. Alloggia nell’alveolo dentario ed è completato da una struttura di sostegno denominata parodonto.
del fondo del solco; il parametro chiave per effettuare una diagnosi di parodontite è il livello di attacco clinico, rappresentato dalla distanza tra la giunzione amelo-cementizia e il fondo della tasca. Tale parametro obbiettiva in modo sensibile la perdita di supporto legata alla patologia infettivo-infiammatoria.
mento dei livelli di glucosio salivare anche a distanza dalla colazione, in coincidenza con l’innalzamento della curva di glucosio nel sangue conseguente al consumo del pasto. Inoltre, mostra chiaramente un aumento della quantità di glucosio nella saliva soprattutto di notte, quando il flusso salivare è ridotto rispetto al giorno e il glucosio è concentrato nella poca saliva presente. A ciò si aggiunge l’incremento di glucosio coincidente con la curva postprandiale successiva alla cena. «Ceniamo, ci laviamo i denti, ma la curva glicemica si innalza dopo – sottolinea l’autore dello studio –. C’è poi la brut-
ta abitudine di fare il carico alimentare soprattutto la sera e di conseguenza il fenomeno viene esaltato proprio nel momento in cui c’è meno dilavamento – aggiunge Farronato, che poi ricorda come sul mercato siano presenti alcuni prodotti di igiene orale contenenti antibatterici, come ad esempio Triclosan, «di dimostrata efficacia antibatterica e antinfiammatoria che hanno una durata maggiore di 8 ore grazie all’aggiunta al dentifricio di un co-polimero che aumenta la permanenza e assicura il lento rilascio dei principi attivi nel cavo orale». La prevenzione si fonda dunque su corrette abitudini alimentari e su corret-
te misure di igiene orale con l’utilizzo di presidi che garantiscano una prolungata copertura antibatterica. «Ci sono dentifrici che promettono una lunga durata di protezione, importante soprattutto durante la notte quando c’è maggior accumulo di glucosio, salivazione diminuita, abbassamento del pH e proliferazione batterica facilitata – sottolinea Farronato, che puntualizza l’importanza della ricerca : «si inserisce nel contesto di un discorso più ampio a forti basi scientifiche in cui l’obiettivo deve essere quello di mantenere lo stato di salute del cavo orale, affinché perduri per tutta vita, con importanti ricadute sistemiche».
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bibliografia 1. Pohjamo L, Knuuttila M, Tervonen T, Haukipuro K. Caries prevalence related to the control of diabetes. Proc Finn Dent Soc 1988;84:247-52. 2. Twetman S, Johansson I, Birkhed D, Nederfors T. Caries incidence in young type 1 diabetes mellitus patients in relation to metabolic control and caries-associated risk factors. Caries Res 2002;36:31-5. 3. Karjaleinen KM, Knuuttila ML, Käär ML. Salivary factors in children and adolescents with insulin-dependent diabetes mellitus. Pediatr Dent 1996;18:306-11.
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Quali sono gli approcci terapeutici di elezione nel trattamento delle malattie parodontali? La terapia di elezione delle malattie parodontali e perimplantari è basata sulla rimozione meccanica del biofilm orale dalla superficie radicolare o implantare. Caduta definitivamente la necessità di eseguire una levigatura radicolare, la moderna concezione di terapia parodontale non chirurgica è basata sull’esecuzione del periodontal debridement, ovvero dello scompaginamento del biofilm (mineralizzato e non) attraverso una strumentazione minimamente traumatica per i tessuti duri dentari. Purtroppo i risultati ottenuti dalla strumentazione meccanica della superficie implantare a cielo coperto non sono per ora incoraggianti. La terapia non chirurgica, infatti, mostra un effetto microbiologico e clinico abbastanza modesto e di durata limitata, in particolar modo nei casi di perimplantite.
Sono attualmente disponibili degli ausili chimici che possono aiutare a prevenire le malattie parodontali e perimplantari? Laddove ve ne sia indicazione, la terapia parodontale può essere efficacemente integrata con l’utilizzo di antimicrobici. A livello domiciliare, il triclosan, il fluoruro amminico/fluoruro stannoso e la clorexidina rappresentano tre tra i principi attivi più potenti. I dati di letteratura sembrano attestare un effetto positivo dei dentifrici a base di triclosan nella prevenzione primaria e terziaria della parodontite. La clorexidina è una molecola di comune utilizzo per il suo potente effetto battericida aspecifico, determinante nel prevenire o controllare la riformazione del biofilm sulla superficie radicolare dopo che quest’ultima è stata detersa. Gli antibiotici somministrati per via sistemica, infine, possono rappresentare un utile ausilio alla terapia professionale ma in casi selezionati. In particolare, le forme aggressive di parodontite sembrano beneficiare significativamente dell’assunzione di antibiotici sistemici a seguito della strumentazione meccanica. È importante rimarcare che antibiotici e antimicrobici non devono essere utilizzati come monoterapia, ma sempre in associazione a un’efficace rimozione meccanica, domiciliare e professionale, del biofilm. n
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la dieta antinfiammatoria per prevenire le malattie croniche La ricerca internazionale risponde alla sfida dell’infiammazione silente indicando la soluzione in quattro punti: dieta bilanciata, polifenoli, omega-3 e attività fisica
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U
n’alimentazione equilibrata è in grado di prevenire l’infiammazione silente e di proteggere salute e benessere nel tempo, prevenendo l’insorgenza di malattie croniche, oggi prima causa di morte nel mondo. È quanto emerso nel corso della III edizione del convegno Science in Nutrition che si è tenuto all’hotel Principe di Savoia di Milano a metà marzo, in due giornate dense di interventi di altissima qualità. Il convegno si è focalizzato sul tema dell’infiammazione silente che, non provocando dolore, non viene rilevata e curata ma progredisce fino a determinare malattie croniche, come diabete di tipo 2, malattie cardiovascolari e respiratorie, artrite e malattie neurodegenerative come l’Alzheimer. Olio di pesce, olio extravergine di oliva, frutta e verdura ricche di polifenoli sono i cibi che
aiutano a prevenire l’infiammazione silente. In particolare, proprio per assicurare il giusto apporto di polifenoli, è fondamentale l’assunzione di maqui, il frutto in assoluto più ricco di antocianine. È un piccolo mirtillo che cresce spontaneo nel sud del Cile, noto fin dall’antichità alla popolazione nativa, i Mapuche, che la utilizzavano come energizzante e come rimedio da applicare sulle ferite. Le principali caratteristiche di una dieta antinfiammatoria sono un basso carico glicemico, un basso tenore di acidi grassi omega-6 e ricchezza di acido eicosapentaenoico (Epa), oltre a circa 150 grammi di carboidrati al giorno. La maggior parte dei carboidrati dovrebbero provenire da fonti a basso indice glicemico per ridurre l’insulina in maniera sostanziale. Questo obiettivo
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potrebbe essere raggiunto con il consumo di minimo 5 porzioni al giorno di verdure non amidacee e quantità limitate di frutta (per l’alto contenuto di fruttosio), con una rigorosa limitazione di carboidrati ad alto indice glicemico quali pane, pasta, riso e patate. A differenza delle diete ricche di proteine, che inducono la chetosi, o di carboidrati, che aumentano il tasso di insulina, una dieta antinfiammatoria si basa sull’equilibrio e sulla moderazione delle varie componenti alimentari a ogni pasto. L’altro componente fondamentale di una dieta antinfiammatoria è l’integrazione con acidi grassi omega-3, presenti nell’olio di pesce. Gli omega-3 sono tra le più note sostanze antiossidanti di origine animale, che aiutano a prevenire le malattie neurodegenerative come l’Alzheimer, anche grazie alla capacità di favorire la produzione nel cervello di Bdnf (Brain Derived Neurotrophic Factor) che aiuta la produzione di neuroni e la loro connessione. Lotta all’infiammazione: una tavola rotonda fa il punto della questione
L’infiammazione è alla base delle malattie croniche e neurodegenerative, dal diabete di tipo 2 all’ipertensione all’Alzheimer: finalmente un tema che mette d’accordo tutto il mondo medico e della ricerca scientifica. La tavola rotonda organizzata all’interno del congresso mondiale SIN 2014 ha lanciato la sfida all’infiammazione silente e si è conclusa con una proposta concreta per arginare questa epidemia che è all’origine di sovrappeso/obesità e di malattie croniche. La soluzione proposta da questi grandi ricercatori ed esperti (Silvana Hrelia, Uni Bologna, Barry Sears, Inflammation Research Foundation, Camillo Ricordi, Università di Miami, Giovanni Scapagnini, Uni Molise) sta in una formula composta da quattro elementi fondamentali più uno: dieta Zona (la dieta antinfiammatoria per eccellenza), omega-3, polifenoli e attività fisica moderata, oltre a una vita con un regime di stress controllato e una vita sociale attiva anche in età avanzata. Al professor Giovanni Scapagnini, neu-
ro scienziato e professore di biochimica all’Università del Molise, nonché grande esperto di nutrizione umana, sono state affidate le conclusioni dei contributi internazionali portati alla tavola rotonda: «Bisogna cambiare il concetto di cibo, in grado di controllare l’espressione genica, in cui la quantità deve essere sostituita dalla qualità dei macronutrienti in cui gioca un ruolo fondamentale l’indice glicemico. Inoltre i polifenoli accendono la longevità cellulare e gli omega-3 spengono l’infiammazione». Il professor Enzo Nisoli, presidente della Società Italiana Obesità, mette in guardia da sovrappeso e obesità, che in alcune zone d’Italia arrivano a coinvolgere fino al 36-40% dei bambini e il 1015% degli adulti. «Curare i sintomi è un approccio ormai superato, si deve guardare alla prevenzione considerando il nostro organismo nel suo insieme per garantirgli salute e benessere, perché correre ai ripari quando i disturbi si manifestano può essere già troppo tardi. Lo stesso processo di invecchiamento altro non è che una malattia alla cui base c’è l’infiammazione silente». Per Barry Sears, presidente dell’Inflammation Research Foundation, bisogna «sostituire i carboidrati bianchi con quelli colorati» che significa sostituire pane, paste, riso e patate con le verdure colorate e ricche di polifenoli, che insieme agli omega-3 sono un sicuro salvavita. «La dieta Zona non provoca né stanchezza né fame, è un nuovo stile di vita che fa sentire più vitali e in salute. Se si seguono i principi base della dieta Zona - dice Sears - non si avrà più fame e se non si ha fame si assumono meno calorie, si perde peso, controllando i livelli di glicemia a vantaggio della funzionalità del cervello, dei lipidi ematici e della glicemia. Tutto questo senza deperimento dell’organismo che, anzi, avverte tutti i benefici dell’assenza di fame e di un miglior funzionamento, al contrario delle diete sbilanciate che provocano fame, stanchezza e a volte intaccano la salute». n
Al Principe di Savoia, 500 presenze, 19 ricercatori da tutto il mondo, un corso di aggiornamento per 250 Zone Consultant: il gotha della nutrizione scientifica si è radunato a Milano per tre giorni in occasione del 3th Science in Nutrition International Congress
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speciale nutrizione
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IV Forum multidisciplinare di nutrizione Giunto quest’anno alla sua V edizione, Pianeta Nutrizione & Integrazione si svolgerà presso le Fiere di Parma dal 5 all’8 maggio. Pianeta Nutrizione & Integrazione, forum multidisciplinare sulla Sana Nutrizione e Integrazione, nel 2013 è stato l’evento di maggior successo in Italia nel campo della nutrizione e integrazione registrando oltre 3.000 presenze,
tra medici, farmacisti, nutrizionisti, buyer nazionali e internazionali, 80 aziende espositrici e oltre 100 relatori. La manifestazione nel 2013 ha visto una crescita di partecipanti ed espositori di oltre il 50%. Obiettivo del forum è quello di approfondire, con seminari, corsi e workshop accreditati al Ministero della Salute per il conferimento dei crediti Ecm, le tematiche della “sana alimentazione e integrazione” e conoscere meglio le caratteristiche nutrizionali dei diversi alimenti. Questa edizione di Pianeta Nutrizione & Integrazione sarà strutturata in quattro giornate e, come nel 2012, sarà organizzato in contemporanea a Cibus, Salone Internazionale dell’alimentazione, che vanta la partecipazione di oltre 60.000 visitatori italiani e stranieri. Anche quest’anno saranno coinvolte le più importanti società scientifiche nel campo della
corretta Nutrizione e Integrazione, tra le altre Adi (Associazione Italiana di Dietetica e Nutrizione Clinica), Sip (Società Italiana di Pediatria), Coni-Fmsi (Federazione Medico Sportiva Italiana), come sempre coadiuvate dal professor Sergio Bernasconi, direttore della struttura complessa Clinica pediatrica, dipartimento Ma-
terno-infantile dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Parma e dal professor Michele Carruba, direttore del Centro di Studio e Ricerca sull’Obesità del Dipartimento di Biotecnologie Mediche e Medicina Traslazionale dell’Università degli Studi di Milano. La sessione della medicina funzionale e antiaging, come ogni anno, verrà affidata al dottor Massimo Spattini, presidente Affwa (Accademia Funzionale del Fitness, Wellness e Anti Aging). Le tematiche che verranno trattate nella V edizione di Pianeta Nutrizione & Integrazione saranno: z integrazione alimentare z corretto utilizzo di probiotici e prebiotici nei bambini e negli adulti z nutrizione e sport in età pediatrica e negli adulti z I Congresso Internazionale di Medicina Funzionale e Anti Aging
Per informazioni: Segreteria organizzativa Akesios Group - info@akesios.it http://pianetanutrizione.akesios.it aprile 2014
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endocrinologia
Si tratta di patologie che si presentano con sintomi aspecifici, difficili da individuare e spesso colpevoli di ritardi diagnostici, ma che possono essere trattate con successo se individuate nella fase iniziale
Patologie della tiroide facciamo un po’ di chiarezza
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ra i disturbi endocrini, le malattie della tiroide sono senza dubbio le più frequenti: si stima che il numero degli italiani colpiti da patologie che interessano la tiroide sia raddoppiato negli ultimi 20 anni, fino a toccare oggi quota 6 milioni, con una netta prevalenza del genere femminile. Eppure, nonostante questi numeri allarmanti, la tiroide è ancora poco conosciuta e quello che si sa è spesso errato. La tiroide è una ghiandola endocrina a forma di farfalla situata anteriormente nel collo, al di sotto della laringe, destinata alla produzione di due ormoni, la tiroxina (che è indicata
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con l’abbreviazione T4) e la triiodotironina (T3), che svolgono un ruolo fondamentale nel corretto funzionamento delle numerose funzioni del metabolismo. La secrezione degli ormoni tiroidei è controllata dal TSH (Thyroid Stimulating Hormone o tireotropina), un ormone rilasciato dalle cellule dell’ipofisi anteriore, la cui produzione è a sua volta stimolata dal TRH (Thyrotropin Releasing Hormone) proveniente dall’ipotalamo. Poiché la ghiandola tiroidea rappresenta una sorta di “centralina” che controlla il metabolismo del corpo e le sue principali funzioni, come il battito cardiaco, lo sviluppo del sistema
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nervoso centrale, l’accrescimento corporeo, la pressione arteriosa, il livello di colesterolo, il peso, la forza muscolare o l’acutezza mentale, il suo alterato funzionamento ha ripercussioni sull’intero organismo. Fondamentale per la salute della tiroide è la presenza di iodio: nel caso di insufficiente assunzione di iodio, la ghiandola tiroide non è in grado di produrre quantità sufficienti di ormoni tiroidei e si possono sviluppare una serie di disturbi, tra cui il gozzo (aumento di volume della tiroide) e i noduli tiroidei. Il modo migliore per aumentare la quantità di iodio che introduciamo ogni giorno è quello di utilizzare, nell’ambito di una dieta variata e bilanciata, il sale arricchito di iodio al posto di quello comune. Nonostante in Italia il consumo di sale iodato, dopo l’introduzione della Legge del 2005, sia superiore al 50%, è ancora ben lontano dal 90% raccomandato dall’Oms come limite minimo per l’efficacia della profilassi e, secondo gli esperti, gli effetti delle iodoprofilassi nel nostro Paese saranno apprezzabili solo tra 50 anni. I disturbi associati al malfunzionamento della tiroide in molti casi difficili sono da identificare, perché si manifestano con sintomi aspecifici, comuni a molte patologie. È compito del medico di medicina generale dare ascolto e approfondire eventuali campanelli di allarme con i primi esami di routine per valutare il corretto rilascio degli ormoni tiroidei. Spetterà successivamente all’endocrinologo la prescrizione di ulteriori esami per stabilire la causa e, di conseguenza, la terapia più adatta. Quando la tiroide funziona troppo: l’ipertiroidismo
Sintomi evidenti come tachicardia, tremori, palpitazioni, aumento della sudorazione o un marcato dimagrimento, pur in presenza di appetito, diarrea, alterazioni della cute e dei capelli, ansia, nervosismo e insonnia, oltre a un sensibile ingrossamento della ghiandola (gozzo), possono essere un segnale di ipertiroidismo, patologia molto diffusa dovuta all’ec-
cessiva presenza di ormoni tiroidei nel circolo sanguigno causata da un’iperfunzione della tiroide. Come la maggior parte delle malattie che interessano la tiroide, l’ipertiroidismo colpisce più frequentemente il sesso femminile rispetto a quello maschile e la sua prevalenza è fra i 20 e i 45 anni. Di seguito elenchiamo le principali cause di ipertiroidismo. Gozzo semplice. Definito come un aumento di volume della ghiandola tiroidea per un’esagerata stimolazione della stessa quando non è più in grado di produrre adeguate quantità di ormoni; è una patologia comune nelle zone a carenza iodica (gozzo endemico), ma può insorgere anche in seguito a una dieta povera di iodio. Gozzo diffuso tossico. Patologia autoimmune, nota anche come morbo di Basedow, in cui si ha la formazione di anticorpi che stimolano la tiroide a funzionare più del dovuto, producendo un’eccessiva quantità di ormoni; nei pazienti basedowiani i sintomi più comuni sono astenia, instabilità emotiva, ipersensibilità al caldo, insonnia, calo di peso e alterazioni della pelle, oltre all’aumento di dimensioni della tiroide, senza noduli, e il coinvolgimento oculare (orbitopatia basedowiana) con disturbi irritativi, quali lacrimazione, sensazione di sabbia, dolore, fotofobia accompagnati dalla caratteristica sporgenza degli occhi. Gozzo multinodulare tossico. Caso in cui uno o più noduli presenti da anni nella tiroide cominciano a crescere e a produrre ormoni tiroidei in eccesso. Si tratta della causa più frequente di ipertiroidismo nelle aree iodiocarenti. Gozzo uninodulare tossico. Noto anche come morbo di Plummer, spesso asintomatico, si ha nei casi in cui nella tiroide è presente un solo nodulo (tumore benigno) che, producendo grosse quantità di ormoni tiroidei, causa il quadro di ipertiroidismo. I noduli tiroidei sono molto frequenti e interessano il 30-50% delle donne in età fertile.
approfondimenti Le malattie endocrine sono spesso complesse da comprendere. Per questo nasce Endowiki, un’enciclopedia online, collaborativa e gratuita ideata e realizzata dall’Ame, l’Associazione che riunisce i Medici Endocrinologi che operano prevalentemente in ambito ospedaliero, ideata per raccogliere e condividere, con uno strumento agile e di facile consultazione, tutto il sapere endocrinologico con un taglio didattico.
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endocrinologia
la iodoprofilassi in italia Oltre 2 miliardi di persone nel mondo sono esposte alla carenza nutrizionale di iodio. In Italia, in seguito all’emanazione della Legge n. 55 del 21 marzo 2005, che prevede la presenza obbligatoria del sale iodato in tutti i punti vendita del territorio nazionale, ha preso il via il programma nazionale di iodoprofilassi. Nonostante questi segnali, persiste una condizione di carenza nutrizionale di iodio che, seppure non severa, continua a determinare un’alta frequenza di gozzo e di altri disordini correlati alla iodocarenza. Si stima che in Italia ci siano circa 6 milioni di persone affette da gozzo, cifra che si traduce in una spesa pubblica di quasi 150 milioni di euro/anno (www. epicentro.iss.it). Ad oggi dall’approvazione della legge, tuttavia, i
approfondimenti I noduli caldi captano il radiofarmaco e sono sempre benigni. I noduli freddi non captano e sono talvolta benigni; in questi va fatto l’agoaspirato se hanno caratteristiche sospette.
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dati dell’Osnami, l’Osservatorio Nazionale per il Monitoraggio della Iodoprofilassi in Italia dell’Istituto Superiore di Sanità, indicano che soltanto il 53% del sale per uso alimentare venduto è rappresentato da sale iodato. Si è dunque ancora lontani dal target del 90% indicato dall’Oms e, in base all’analisi di specifici indicatori biologici (ioduria, TSH neonatale), si conferma il persistere nel nostro Paese di una situazione di iodocarenza. Lo iodio contenuto nel sale arricchito consente quindi di soddisfare il fabbisogno giornaliero di iodio che, per un adulto, è di 150 µg, mentre in gravidanza e durante l’allattamento è maggiore (250 µg). A tale riguardo è importante sottolineare che il consumo di sale arricchito di iodio non è in contrapposizione con le raccomandazioni per la ridu-
È importante precisare che nella maggior parte dei casi, i noduli tiroidei sono benigni e non necessitano di alcun trattamento chirurgico, ma solo di un periodico controllo. Per la minoranza di noduli che continuano a crescere, presentando sintomi compressivi, prima di ricorrere alla chirurgia deve essere valutata la possibilità di un trattamento con radioiodio, se “caldi”, o con ablazione con ipertermia, se “freddi” alla scintigrafia. Le casistiche dimostrano infatti che in Italia si tende a fare ricorso all’asportazione chirurgica troppo spesso, anche in assenza di malignità. Per il trattamento dell’ipertiroidismo non esiste una cura efficace nella totalità dei casi: la scelta del trattamento dipende da molteplici fattori, come l’età, il tipo di ipertiroidismo, la gravità della patologia e altre condizioni cliniche che riguardano la salute del paziente. Riassumendo, i trattamenti più comuni sono: z la terapia farmacologica, con l’uso di farmaci tireostatici (propiltiouracile, metimazolo, carbimazolo ecc.), che riducono l’attività della tiroide normalizzando bloccando la sintesi di or-
zione del consumo di sale (non più di 4-5 gr. al giorno) finalizzata alla prevenzione dell’ipertensione e delle malattie cardiovascolari. Infatti, la quantità di iodio aggiunto al sale da cucina (30 ppm) consente un apporto iodico adeguato con un consumo di sale contenuto nei limiti suggeriti dai cardiologi e dai nutrizionisti. È quindi importante tenere alta l’attenzione della popolazione e degli operatori del Ssn su questa tematica, affinché la iodoprofilassi possa essere anche nel nostro Paese un programma di prevenzione efficace, possa cioè tradursi in una tangibile riduzione della frequenza delle patologie correlate alla carenza nutrizionale di questo microelemento.
(Fonte Iss)
moni tiroidei, e di beta-bloccanti, efficaci nel ridurre la sintomatologia associata all’ipertiroidismo; z la terapia radiometabolica con iodio radioattivo (isotopo 131), con l’intento di distruggere, nelle forme più gravi, le cellule tiroidee in maniera irreversibile; z la tiroidectomia ovvero l’asportazione chirurgica completa o parziale (tiroidectomia totale o subtotale) della ghiandola. Recentemente sono state sviluppate tecniche mini-invasive, eseguibili senza ricovero, che consentono di mantenere parzialmente le funzioni della tiroide, evitando i costi sociali e sanitari della chirurgia e la necessità di una terapia sostituiva per tutta la vita. L’uso combinato dell’ecografia e dell’esame citologico con ago sottile consente di individuare le lesioni a rischio di malignità e di ridurre il numero di interventi di tiroidectomia a scopo diagnostico-precauzionale. ...E quando invece funziona troppo poco: l’ipotiroidismo
Più difficili da identificare sono invece i sintomi dell’ipotiroidismo, la condizione patologica più diffusa tra le varie disfunzioni tiroidee, che in-
endocrinologia
teressa il 5% della popolazione italiana, una percentuale non molto distante da quella dei pazienti colpiti dal diabete. In questo caso, il ridotto funzionamento della ghiandola tiroidea non è più in grado assicurare un’adeguata produzione di ormoni tiroidei, necessaria per espletare tutti i processi metabolici essenziali per l’accrescimento dell’organismo. È per questo motivo che, se il difetto di produzione degli ormoni tiroidei si manifesta in utero o nella prima infanzia, fino all’età di due anni, tutto lo sviluppo neuro-psichico del soggetto può subire gravi danni. Diversamente, se l’epoca di insorgenza coincide con l’età adulta, a essere colpito non sarà più lo sviluppo dei vari organi, bensì il loro funzionamento. I segnali più diffusi sono da ricercarsi nel rallentamento del metabolismo corporeo che genera sintomi quali un aumento del senso di stanchezza, aumento di peso, sensazione di freddo, depressione, sonnolenza, difficoltà di concentrazione dovuta alla rallentata attività delle funzioni cerebrali, stipsi, senso di gonfiore, cute secca e ruvida, caduta dei capelli, voce rauca e disturbi mestruali nelle donne in età fertile, fino all’amenorrea. La maggior parte delle persone affette da ipotiroidismo non sa di esserlo, in quanto una condizione di ipotiroidismo lieve (ipotiroidismo subclinico) si presenta spesso in totale di sintomi eclatanti oppure possono essere scambiati per sintomi derivanti da altre affezioni. L’unico modo per porre diagnosi certa di ipotiroidismo è attraverso gli esami del sangue. La migliore strategia per una diagnosi precoce consiste nel monitorare alcuni fattori di rischio quali la familiarità positiva per malattie della tiroide, età avanzata, sesso femminile o presenza di altre malattie autoimmuni. Il rischio di sviluppare ipotiroidismo aumenta in particolar modo durante la gra-
vidanza, dopo il parto e in età menopausale. Tra le cause responsabili della ridotta produzione di ormone tiroideo, le più frequenti sono le seguenti: z ipotiroidismo congenito; z interventi chirurgici di asportazione totale o parziale della tiroide; z uso di farmaci antitiroidei (propiltiouracile, metimazolo) o farmaci che possano interferire con il fisiologico funzionamento della tiroide (amiodarone e litio); z ipotiroidismo autoimmune (tiroidite cronica autoimmune o di Hashimoto), patologia cronica su base autoimmune che può avere inizio a qualsiasi età, ma diviene sempre più frequente con l’avanzare degli anni e porta nel tempo alla distruzione della ghiandola. In Italia affligge il 10% delle donne e il 2% degli uomini in Italia. Il trattamento dell’ipotiroidismo consiste nella somministrazione di ormone tiroideo sintetico (levotiroxina), che sopperisce integrando l’attività della tiroide pigra o ne sostituisce completamente l’azione nel caso in cui la ghiandola sia stata rimossa. Si tratta quindi di una terapia sostitutiva abbastanza semplice, che si basa sulla somministrazione regolare della levotiroxina in singola dose giornaliera a digiuno (almeno 30 minuti prima della colazione), secondo il dosaggio personalizzato stabilito dal medico. Non esistono controindicazioni a questo genere di trattamento, gli unici effetti sfavorevoli del trattamento dipendono da un dosaggio errato di levotiroxina. Nonostante l’apparente semplicità della cura, molti pazienti lamentano difficoltà nel seguire scrupolosamente le regole per l’assunzione del farmaco. Nonostante l’apparente semplicità della cura, molti pazienti lamentano difficoltà nel seguire scrupolosamente le regole per l’assunzione del
approfondimenti
Bisogna considerare che sia feto che il neonato presentano un rischio molto più elevato di sviluppare ipotiroidismo rispetto a tutte le altre fasce di età, perché la funzione tiroidea fetale dipende totalmente dallo iodio provienente dalla madre attraverso la placenta: di conseguenza un adeguato apporto nutrizionale di iodio durante la gravidanza è fondamentale per la salute del bambino.
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settimana mondiale della tiroide 2014 passati era stata prestata attenzione ai rapporti tra cuore e tiroide, al ruolo della ghiandola nella donna, in particolare durante la gravidanza. Gli eventi si terranno in molte città d’Italia, praticamente in tutte le regioni; numerose le manifestazioni in programma tra convegni, tavole rotonde, distribuzione di materiale divulgativo, questionari e visite gratuite, che saranno a cura delle varie associazioni con il supporto degli specialisti e delle società scientifiche. Il programma dettagliato delle attività sarà disponibile sul sito web dell’Associazione medici endocrinologi (Ame) all’indirizzo: www.associazionemediciendocrinologi.it.
Si svolgerà dal 18 al 25 maggio la settimana mondiale della tiroide 2014, che quest’anno si focalizzerà sul tema “Tiroide problema sociale: dal corpo alla mente”. Il corretto funzionamento della tiroide è fondamentale e necessario per la crescita, lo sviluppo e il mantenimento di un buono stato di salute generale. Le malattie della tiroide coinvolgono l’organismo nella sua interezza con ricadute su tutti gli apparati. Il tema di quest’anno metterà a fuoco i rapporti tra tiroide e mente, così come negli anni
approfondimenti
La terapia con levotiroxina non è associata a particolari effetti collaterali, quando il dosaggio rispecchia le reali necessità del paziente. Gli effetti collaterali indotti dalla levotiroxina in genere regrediscono con la riduzione del dosaggio o la sospensione temporanea della terapia.
Prevenzione e visite gratuite Tra le attività in programma saranno organizzate anche delle visite gratuite: la prevenzione primaria di queste malattie è rivolta ai soggetti a rischio, essenzialmente a chi ha familiarità per malattie della tiroide e donne che programmano una gravidanza. L’esame clinico del paziente e il colloquio con lo specialista ha un significato rilevante, mentre meno utile (e a volte fuorviante) può risultare l’impiego “a tappeto” dell’ecografia del collo (tipo screening di massa). Le finalità pricipali di questi eventi sono la promozione della salute, la divulgazione delle conoscenze relative all’importanza della ghiandola tiroide e
farmaco: frequentemente infatti il medicinale non viene assunto con sufficientemente in anticipo rispetto alla colazione, che è spesso a base di caffè, sostanza che riduce l’assorbimento della levotiroxina. Questi aspetti critici possono essere ora risolti grazie alla disponibilità di una nuova formulazione della levotiroxina in soluzione liquida, che viene assimilata più rapidamente rispetto alle compresse. La formulazione liquida, inoltre, è particolarmente indicata nella cura dei pazienti che assumono farmaci che interferiscono con l’assorbimento dell’ormone, come gli inibitori della pompa protonica (antiacidi). Il percorso diagnostico
In genere, il dosaggio del solo TSH è ritenuto l’esame di base più affidabile ed economico per analizzare l’attività della ghiandola ti74
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delle principali patologie, il coinvolgimento attivo dei pazienti e la sollecitazione delle istituzioni. L’attività del Comitato delle associazioni dei pazienti endocrini (Cape) Nel campo delle tireopatie, le attività di volontariato promosse da associazioni onlus si sono svolte da decenni: il significato fondamentale della iodoprofilassi nella prevenzione delle malattie tiroidee è stato tema di campagne di promozione della salute svolte nelle scuole, con conferenze rivolte alla cittadinanza, con campagne promozionali sui mass media, in modo da tenere viva l’attenzione sul problema e favorire l’unico mezzo vero di prevenzione di queste malattie: iodoprofilassi e conoscenza del problema. Un fondamentale passo in avanti è stato reso possibile dalla nascita del Cape, Comitato delle associazioni dei pazienti endocrini, un’organizzazione relativamente giovane, fondata nel 2011, che oggi conta rappresentanti di ben dodici regioni italiane. Il volontariato in questo settore era presente da decenni sul territorio nazionale, ma fino ad allora si trattava di realtà locali interessate a problematiche settoriali e dei singoli territori. Le azioni di advocacy sostenute dal Cape intendono contribuire al miglioramento della salute degli Italiani, richiamandoli in primo luogo alla cultura del-
roidea e viene comunemente prescritto dal medico medicina generale, il quale svolge un ruolo attivo nell’avviare i primi accertamenti diagnostici e nel monitoraggio dell’evoluzione delle patologie tiroidee. Il test consiste in un prelievo di sangue rivolto a verificare i livelli di TSH: valori di TSH ridotti indicano che la ghiandola sta funzionando troppo (ipertiroidismo), in caso contrario, se i dosaggi ematici di TSH risultano al di sopra della norma, significa che la funzionalità tiroidea è diminuita (ipotiroidismo). Il dosaggio del TSH è indicato anche nel caso di individui asintomatici o come screening. Se i risultati dei test di laboratorio evidenziano valori alterati, spetta all’endocrinologo approfondire la valutazione, prescrivendo esami strumentali come l’ecografia, la scintigrafia e l’agoaspirato.
la prevenzione come prima azione di cura. Il Cape è costantemente impegnato a sollecitare le Istituzioni pubbliche nazionali e regionali nell’applicazione e implementazione della norma vigente relativa alla profilassi iodica (Legge n. 55/05), opera d’intesa con le Società Scientifiche, nazionali e internazionali, e con Osnami (Osservatorio nazionale per il monitoraggio della iodoprofilassi in Italia). Il Cape ha costruito una rete di relazioni tra gli stakeholder interessati, valida e continuativa nel tempo, che ha coinvolto i produttori di sale iodato e la grande distribuzione. Un grande risultato è stata la firma, nel marzo dello scorso anno, del Protocollo d’Intesa sottoscritto con la Direzione Generale per lo Studente, l’Integrazione, la Partecipazione e la Comunicazione del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca rivolto alla formazione dei docenti italiani sul tema della carenza iodica e dei disordini correlati. Da quest’anno il Cape ha intensificato il dialogo con le scuole nei propri territori proponendo, a livello provinciale e interprovinciale, una serie formule didattiche dall’incontro con l’esperto, alle attività di ruolo come il laboratorio del sale, con l’obiettivo di far conoscere l’importanza della tiroide per la crescita a docenti, studenti e famiglie. Il gioco, il disegno, la multimedialità, l’arte attraverso i materiali di recupero sono gli strumenti scelti nelle scuole per lavorare sul tema. L’au-
Negli ultimi anni l’ecografia tiroidea ha acquisito un peso notevole nella diagnostica precoce delle patologie nodulari tiroidee, in quanto permette di ottenere informazioni dettagliate sulla morfologia della ghiandola e sulla presenza di eventuali noduli. Tramite questo procedimento diagnostico di base, rapido e privo di rischi, è infatti possibile selezionare quali noduli richiedono semplicemente un monitoraggio ecografico e quali invece (noduli palpabili o di dimensioni superiori a 1 cm) necessitano di un controllo citologico mediante agoaspirato tiroideo. Quest’ultima è una metodica minimamente invasiva che consente il prelievo mediante un ago sottile di alcune cellule contenute nel nodulo. Il prelievo viene eseguito sotto guida ecografica per i noduli più piccoli e, vista la minima invasività, solitamente non richie-
spicio è quello di premiare l’impegno degli studenti, ma sopratutto orientare i tavoli tecnici (scuola-sanità) all’inclusione dei progetti educativi sulla iodoprofilassi nella programmazione annuale delle attività formative relative alla promozione della salute. Il comitato scientifico del Cape ha inoltre curato la preparazione e la stampa di un opuscolo divulgativo molto semplice, di facile lettura e consultazione sul ruolo della tiroide, sulle patologie, sulla prevenzione e le cure. È stato anche preparato, con l’aiuto delle società scientifiche endocrinologiche e condiviso con l’Osnami, un questionario sulla conoscenza degli Italiani circa le patologie tiroidee e il significato della prevenzione con poco sale ma iodato.
Attualmente è in fase di definizione un evento finale della settimana mondiale della tiroide, che vedrà assieme Cape e le principali società scientifiche di area endocrino-metabolica, oltre ad Ame (Associazione medici endocrinologi), Ait (Associazione italiana della tiroide), Sie (Società italiana di endocrinologia), Eta (European thyroid association), Club delle Uec (Club delle unità di endocrinochirurgia), Siec (Società italiana di endocrinochirurgia), Aimn (Associazione italiana di medicina nucleare e imaging molecolare) e Siedp (Società italiana di endocrinologia e diabetologia pediatrica), e che dovrebbe vedere la partecipazione di Ministero della Salute, Istituto Superiore di Sanità, Fnomceo e Miur.
ecografia della tiroide: un approccio specialistico Nel mese di marzo, la casa editrice Griffin ha pubblicato il volume “Ecografia della tiroide: un approccio specialistico”. Novità assoluta del manuale è la sua multimedialità: i contenuti del volume sono infatti fruibili anche in versione digitale con l’app iBooks. Oggi l’ecografia fornisce informazioni morfologiche ma anche funzionali, che nelle mani di un esperto possono guidare in maniera precisa il management clinico dei pazienti. Questo manuale rappresenta una vera novità nel settore: dà ampio spazio all’aspetto pratico ed è assolutamente aggiornato, grazie agli importanti contributi di alcuni fra i massimi esperti del settore in Italia. Il manuale è arricchito da un’iconografia amplissima e da filmati multimediali usufruibili su diversi supporti portatili, un’altra “chicca” di questa opera veramente unica, che ha per questo ricevuto il riconoscimento da parte delle maggiori Società Scientifiche del settore AIT, AME, SIE). Caratteristiche tecniche 234 pagine a colori - 250 immagini - 20 filmati Editor: Massimiliano Andrioli Disponibile su Academy Store a euro 45,00 www.academystore.it
de l’anestesia locale. Il ricorso alla scintigrafia, in passato molto frequente, è consigliato solo se si sospetta una autonomia funzionale in corso di patologia iperplastica (segnalata da TSH basso) o se sono presenti dubbi diagnostici. L’esecuzione routinaria di indagini non incluse in protocolli diagnostici mirati, sia nella valutazione di inquadramento che nel monitoraggio della malattia accertata, non apporta alcun beneficio in termini di assistenza ed espone al rischio di decisioni errate e a un inutile spreco di risorse. n aprile 2014
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ortopedia
La maggior parte delle patologie del piede sono di natura genetica e le più colpite sono le donne, anche per l’ormai dimostrata ormonodipendenza di molte deformità. L’utilizzo di calzature inadatte può scatenarne l’insorgenza
scarpa
L’influenza della nelle patologie del piede
L’
intimo rapporto tra piede e scarpa ha un duplice aspetto: la scarpa con il tacco alto può far evidenziare precocemente patologie latenti del piede, mentre l’utilizzo esasperato del tacco alto può a sua volta indurre patologie anche gravi. I tacchi alti e le punte strette infatti sono sicuramente nemiche del piede ma per realizzare danni importanti o irreversibili hanno bisogno di agire costantemente e per periodi di tempo prolungati. Pertanto un piede che non presenta malattie o deformità potrà calzare senza danni anche tacchi alti e punte strette, giusto per una serata a teatro o per una cena importante, non certo come abitudine prolungata di vita.
«L’altezza del tacco condiziona in modo matematico la quantità di peso che vogliamo venga trasferito sull’avampiede e sul retropiede – spiega il professor Paolo Maraton Mossa, direttore scientifico del Centro pilota di chirurgia del piede di Milano, un ambulatorio privato nel quale lo specialista imposta il percorso diagnostico e clinico dei suoi pazienti –. In condizioni normali è consigliabile una distribuzione del 50% anteriore e 50% posteriore. Ciò si ottiene con 3-4 cm di tacco. Interessante osservare che con 9 cm di tacco il 100% di peso è trasferito anteriormente sui metatarsi. Più alziamo il tacco e più il baricentro viene portato in avanti. Questo giustifica la comparsa di dolore ai polpacci e alla schiena in soggetti
Andrea Peren
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che portano invece tacchi troppo bassi o nulli che male si integrano con le curve fisiologiche della colonna vertebrale». La zeppa invece non presenta particolari controindicazioni o differenze rispetto al tacco alto; l’unico inconveniente consiste nel fatto che se non costruita con materiali adatti può essere eccessivamente pesante e quindi interferire negativamente sul fisiologico meccanismo della deambulazione. Quindi zeppe sì purché “leggere”. Le deformità del piede
Il 90% delle deformità o problematiche del piede trova risoluzione prevalentemente in ambito chirurgico, con risultati generalmente molto buoni. Il professor Paolo Maraton Mossa, che è anche docente di ortopedia all’Università di Lugano in Svizzera, ci ricorda come la donna sia decisamente più esposta alle patologie che colpiscono il piede, questo sia per motivazioni di tipo genetico legate al sesso sia per una dimostrata ormonodipendenza di molte deformità e patologie in questo importante apparato. Gli estrogeni e il progesterone favoriscono l’insorgenza di molte malattie del piede così come le malattie di origine artro-reumatico, autoimmunitario e le disendocrinie, tutte situazioni notoriamente più diffuse nel sesso femminile. Queste situazioni morbose possono essere esasperate o insorgere più precocemente con l’uso di una calzatura scorretta. «L’alluce valgo è sicuramente la patologia per la quale veniamo consultati più frequentemente – rivela il chirurgo –. Si tratta di una deviazione dell’alluce verso l’esterno che procede in modo ingravescente fino ad alterare gravemente l’appoggio del piede, l’armonia dei metatarsi e delle dita. È molto importante comprendere che la problematica non è solo legata all’osso ma è una deformità complessa che comporta uno squilibrio muscolo tendineo che condiziona la crescita e il posizionamento anomalo delle falangi e dei metatarsi. Non condivido quindi la sola correzione scheletrica – realizzabile con più di 50 tecniche – ma ritengo fondamentale correg-
gere anche lo squilibrio delle parti molli associate. Sono quindi avverso alla chirurgia mininvasiva indiscriminata, oggi molto di moda, a meno che tale tecnica non sia una opzione in più alle altre metodiche in soggetti opportunamente selezionati» sottolinea il professore. La risoluzione della deformità è solo chirurgica e la tecnica deve essere scelta con molta accuratezza in funzione dell’età, del tipo di vita del paziente e di eventuali altre deformità associate. Anche il morbo di Morton è frequente tra i pazienti: è un tumore benigno del nervo interdigitale tra terzo e quarto metatarso del piede che causa vivo dolore alle dita corrispondenti, non può regredire spontaneamente, deve essere asportato chirurgicamente con molta attenzione alla via di accesso chirurgica sulla quale esistono diverse scuole di pensiero. «Noi usiamo una forma di accesso plantare particolare che rende praticamente nulli i disagi da cicatrice e permette di camminare subito» puntualizza Maraton Mossa. Le dita a martello sono frequentissime e praticamente associate a quasi tutte le altre deformità perché inizialmente sono semplicemente un atteggiamento di difesa del nostro corpo. Sono molto fastidiose e spesso rendono più intollerabili le altre patologie. Le alterazioni della volta plantare come il piede piatto e il piede cavo possono rendere precario l’uso di calzature e necessitano di una accurata valutazione clinica e strumentale prima di affrontarne la correzione, che dovrà essere personalizzata. n
Il professor Paolo Maraton Mossa è direttore scientifico del Centro pilota di chirurgia del piede di Milano
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attività fisica
adatta per i soggetti disabili Questo approccio potrebbe avere un grande impatto
Intervista di Paolo Pegoraro
sul benessere e sulla qualità della vita dei soggetti disabili. Se ne parla in maggio in un convegno a Pavia
L Luca Marin
Matteo Vandoni Laboratorio sull’attività motoria adattata (Lama) afferente al Centro di ricerca interdipartimentale delle attività motorie e sportive (Criams) dell’Università di Pavia
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a terza edizione del convegno sull’utilizzo della forza in riabilitazione e nell’attività adattata, organizzato dal Dipartimento di sanità pubblica, medicina sperimentale e forense dall’Università di Pavia, quest’anno è dedicato alla disabilità. L’attività fisica adattata (Afa) identifica il tipo e la quantità di movimento adatto ai soggetti “fragili”, come persone anziane e persone con disabilità, che necessitano di un approccio più specifico rispetto all’attività motoria standard. È una materia interdisciplinare che comprende l’educazione fisica, le discipline sportive, la riabilitazione funzionale e le scienze motorie; non sostituisce in alcun modo la fisioterapia. Gli studi in questo campo hanno dimostrato che la pratica di attività fisiche porta a un miglioramento in tutte le aree funzionali: motoria, psicologica, sociale, affettiva. Attraverso lo sviluppo e l’ottimizzazione delle capacità residue del soggetto disabile si arriva a un incremento del grado di mobilità e autonomia personale, necessari per l’integrazione e la partecipazione alla vita sociale. Il convegno “La forza della disabilità: dal recupero funzionale all’attività sportiva” è in programma a Pavia venerdì 9 e sabato 10 maggio e abbiamo chiesto a Luca Marin e Matteo Vandoni del Laboratorio sull’attività moto-
ria adattata (Lama) afferente al Centro di ricerca interdipartimentale delle attività motorie e sportive (Criams) dell’Università di Pavia di presentarci l’evento. Dottor Vandoni, di cosa si occupa il Laboratorio sull’attività motoria adattata? Il Lama è un laboratorio di ricerca, nato all’interno del corso di laurea in scienze motorie dell’Università di Pavia, che si occupa dell’attività fisica adattata. Al suo interno sono confluite differenti linee di ricerca complementari tra loro per obiettivi e metodologia. I principali ambiti operativi sono la disabilità, le patologie cardiometaboliche, il lavoro funzionale, le risposte affettive all’esercizio, la postura e le patologie mioarticolari. Dottor Marin, come nasce la scelta di questo tema per il convegno? Nasce all’interno del Laboratorio sull’attività motoria adattata (Lama) durante un colloquio con la professoressa Marisa Arpesella, delegato dal rettore per lo sport e la disabilità, e il dottor Matteo Vandoni, in cui discutevamo sui primi risultati di uno studio, effettuato in collaborazione con una associazione di atleti paraplegici, sull’efficacia dell’attività fisica adattata nel miglioramento delle capacità
intervista a Luca Marin e Matteo Vandoni
di svolgimento delle attività quotidiane. Commentando i risultati incoraggianti notammo che, pur essendo l’attività fisica un argomento di grande interesse, in letteratura esistono pochi studi e l’interesse maggiore è rivolto all’attività agonistica, non al benessere e al recupero delle funzioni necessarie per migliorare l’autonomia e quindi la qualità della vita, che sono invece gli obiettivi della maggior parte dei soggetti disabili. A tal proposito la professoressa Arpesella sottolineò come il Servizio assistenza e integrazione studenti disabili (Saisd), dedicato all’integrazione degli studenti disabili dell’ateneo pavese, avesse da poco dato corso a nuove iniziative, tra cui l’integrazione degli studenti disabili in specifici programmi di training adattato. Da qui l’idea di organizzare un convegno che trattasse questi temi.
fisioterapisti, terapisti della neuro e psicomotricità dell’età evolutiva, tecnici ortopedici, terapisti occupazionali, infermieri, laureati in scienze motorie, educatori professionali, dietisti e studenti. Dottor Marin, come è strutturato il convegno? Abbiamo individuato quattro macro aree: riabilitazione, attività fisica adattata per il recupero delle attività quotidiane, sport come integrazione biopsicosociale, alimentazione e nutraceutica.
Dottor Vandoni, quali sono i professionisti a cui è rivolto il convegno? La multidisciplinarietà dell’argomento ci ha spinti a organizzare un evento che ci auguriamo sia capace di interessare tutte le professioni coinvolte nella riabilitazione e nel successivo percorso di cura della disabilità: medici,
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Dottor Marin, quali sono gli obiettivi principali del convegno? Per capire quali sono i principali obiettivi del convegno è necessario considerarne i contenuti e i destinatari. In un momento di grande interesse mediatico e scientifico per la disabilità, ritenevamo fondamentale evidenziare l’importanza dell’approccio interdisciplinare finalizzato al miglioramento del percorso di cura e della qualità della vita. Il movens è contribuire alla crescita di una cultura che favorisca l’integrazione del sapere delle professioni che si prendono cura dell’individuo, rispettandone l’unicità. Se tutto ciò contribuirà, anche in minima parte, allo sviluppo di lavori di ricerca finalizzati a migliorare la qualità della vita degli individui affetti da disabilità, gli obiettivi saranno stati pienamente raggiunti.
Su questi temi si dipaneranno sia la prima giornata, dedicata alle presentazioni orali e ai poster, che la seconda, rivolta alla pratica. Nella prima giornata, che si terrà presso la sede centrale dell’Università di Pavia, per ciascuna macro area sarà prevista una keynote ad invito, mentre le altre presentazioni saranno selezionate dalla segreteria scientifica tra i lavori inviati; quelli che non saranno destinati alle comunicazioni orali parteciperanno alla sessione poster. La seconda giornata sarà strutturata su quattro laboratori pratici; due di questi prevedono la partecipazione interattiva tra atleti disabili e partecipanti. Ci auguriamo di ricevere contributi redatti dai professionisti delle diverse aree e dai giovani; infatti, per premiare il loro impegno, è previsto un premio dedicato ai due migliori lavori presentati da under trenta. Oltre alla pubblicazione cartacea degli atti del convegno, dove i partecipanti troveranno gli abstract di tutti i lavori, è prevista anche una versione digitale, che conterrà anche foto, contributi video e interviste. 82
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Dottor Vandoni, come sarà promosso l’evento? Saranno contattate le segreterie dei corsi di laurea, i laboratori di ricerca e le strutture riabilitative che operano in questo ambito. Abbiamo puntato molto anche sulla visibilità offerta dai media e dalle pubblicazioni di settore. Come Lama abbiamo organizzato una presentazione, avvenuta in aprile, durante “Alfabeti Differenti”, una manifestazione promossa dall’assessorato alle Pari Opportunità e alla Cultura del comune di Pavia, dedicata al binomio arte e disabilità. Abbiamo detto che uno dei temi fondamentali del convegno di maggio è il recupero del movimento che è anche una forma di espressione; possiamo quindi affermare che creare nuove modalità di movimento, ripartendo da nuove abilità, rappresenta a tutti gli effetti un’espressione artistica. È questo l’anello che unisce queste due iniziative che, seppur con mezzi differenti, perseguono un fine comune: il benessere bio-psico-sociale dell’individuo. n
veterinaria
La salute degli animali
opportunità
un’ per i farmacisti La vendita in farmacia di prodotti legati al segmento pet care consente di diversificare l’offerta commerciale e valorizzare il ruolo di consulente del farmacista
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a diffusione dei farmaci e dei vaccini per gli animali domestici ha ricevuto un fondamentale impulso dal miglioramento delle condizioni economiche, dal diffondersi dei pet anche nelle case cittadine e dalla più lunga aspettativa di vita degli stessi animali. Si ritiene che condividere la propria casa con un animale produca un maggior benessere psicologico negli adulti e ancor più nei bambini e il concetto di pet therapy ha ormai preso piede, tanto che il segmento industriale relativo ha attraversato senza troppi danni anche il periodo di crisi economica. I prodotti più venduti in questo caso sono i mangimi; è infatti in assoluto declino l’abitudine di un tempo di destinare ai cani e ai gatti di casa gli avanzi dei pasti della famiglia e c’è il crescente desiderio di scegliere un’alimentazione più mirata all’esigenza degli animali e formulata appositamente, in funzione della specie e dell’età. Esiste poi il settore, in progressiva diffusione, occupato dagli integratori e dai veri e propri medicinali.
Per i farmacisti, la vendita di prodotti per la salute degli animali può rappresentare un’ottima opportunità, finora sfruttata solo in piccola parte. Secondo un approfondimento realizzato dall’Unione tecnica italiana farmacisti (Utifar), non si tratta tanto del guadagno ottenuto direttamente, quanto dalla possibilità di fidelizzazione del cliente. «Il farmacista – scrive Anna Beatrice Ciorba, medico veterinario e dirigente presso il ministero della Salute per la sicurezza degli alimenti e della nutrizione - acquista general-
Renato Torlaschi
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veterinaria
farmacovigilanza e farmacosorveglianza dei farmaci veterinari Come per i medicinali utilizzati per la cura degli esseri umani, anche nel caso dei farmaci veterinari il Servizio sanitario nazionale ha il compito di controllarne la filiera, allo scopo di tutelare la salute degli animali e di coloro che si nutrono dei prodotti alimentari che ne derivano. Prima di tutto, qualunque farmaco veterinario, per poter essere somministrato ad animali che producono alimenti consumati dall’uomo, deve essere regolarmente autorizzato e registrato. In secondo luogo, per essere distribuito e utilizzato, si richiede che il medicamento debba essere prescritto: serve dunque una visita, una diagnosi clinica e una ricetta rilasciata da un medico veterinario. Nonostante questo, è ben nota l’esistenza di abusi nell’impiego di farmaci veterinari, sia attraverso utilizzi impropri e con dosaggi eccessivi sia, talvolta, impiegando prodotti non autorizzati e dunque illegali, con l’obiettivo di aumentare i guadagni, anche alterando la naturale fisiologia degli animali, con gravi rischi di sicurezza. Proprio per queste
ragioni, in base a direttive emesse sia dal ministero italiano della Salute che dall’Unione europea, i Servizi veterinari pubblici operano in rete controllano i punti critici della filiera produttiva e svolgono azioni di farmacovigilanza e farmacosorveglianza. Com’è noto, la prima è un’attività di raccolta e di analisi delle reazioni avverse ai farmaci e, nel caso di farmaci veterinari, include i casi in cui la somministrazione non comporta gli effetti terapeutici desiderati, quelli in cui nell’animale trattato si producono effetti tali da compromettere la funzione produttiva cui è destinato o la sua stessa sopravvivenza, ma anche le situazioni in cui siano presenti residui del farmaco anche dopo l’interruzione del trattamento. I farmacisti hanno un ruolo di rilievo nel sistema di farmacovigilanza: come i veterinari sono infatti chiamati a riferire al ministero della Salute e ai Centri regionali di farmacovigilanza ogni sospetta reazione avversa sull’animale e sull’uomo o l’eventuale mancanza di efficacia collegata all’utilizzo di un medicinale veterinario.
mente il farmaco veterinario da un grossista o da una cooperativa di farmacisti. I più importanti grossisti del farmaco umano sono in grado di fornire qualsiasi tipologia di prodotto veterinario e, molti di questi, si avvalgono a loro volta per questo settore dell’opera di depositi del farmaco veterinario quali piattaforme operative per un sicuro e capillare approvvigionamento. In Italia, quindi, il proprietario di un animale, specialmente da compagnia, si deve rivolgere a una farmacia per acquistare il farmaco prescritto dal medico veterinario che, a differenza di quanto avviene in numerosi Paesi europei, non può venderlo se non nel caso di inizio terapia. Oltre al farmaco nel campo veterinario esiste un’ampia gamma di prodotti di libera vendita destinati alla salute e al benessere animale, che necessitano di un consiglio specializzato da parte del farmacista. Questi sono rappresentati, per esempio, da prodotti per la cura del pelo e della cute quali shampoo all’aloe o alla clorexidina, da 84
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Il ministero ha prodotto in proposito anche delle linee guida specifiche riguardo alla modalità con cui devono essere effettuati il rilevamento e la segnalazione delle reazioni avverse sospette. La farmacosorveglianza è invece finalizzata alla tutela della salute dei consumatori di alimenti di origine animale e si realizza vegliando sulla corretta commercializzazione e utilizzazione del farmaco. Si svolge presso i distributori di medicinali (grossisti e farmacie) e presso gli allevamenti, dove i titolari devono tenere una registrazione aggiornata del carico e scarico dei medicinali utilizzati, da cui si possa dedurre che ogni transazione è sempre preceduta dalla prescrizione veterinaria e che gli animali sottoposti al trattamento sono sempre correttamente identificati. Questo anche per verificare il rispetto del “tempo di sospensione” specifico per ogni farmaco, tempo necessario all’organismo animale per metabolizzare il prodotto somministrato e così evitare di trovarne residui nelle carni, nel latte, nelle uova e negli alimenti da essi derivati.
fermenti lattici e omega-3 studiati per la flora intestinale di cani e gatti; da colliri, disinfettanti e cicatrizzanti; da collari ai ferormoni indicati per un’azione tranquillizzante; da repellenti ambientali per impedire che il cane sporchi in luoghi indesiderati; e via dicendo». Il mercato
I prodotti farmaceutici per animali sono prevalentemente indirizzati alla prevenzione di malattie e infezioni. La gamma di farmaci è ampia; la fetta di mercato più consistente è costituito dagli antiparassitari, gli antibatterici, gli antinfiammatori e i vaccini, ma esistono numerosi prodotti per il trattamento di condizioni specifiche di tipo riproduttivo, cardiovascolare o metabolico; si aggiungono poi nutraceutici, anestetici, disinfettanti, detergenti e altro ancora. Negli Stati Uniti, il valore di questa produzione sfiorava i sette miliardi di dollari nel 2010 e le aziende del settore, rappresentate dall’Animal Health Institute (Ahi), spendono
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ogni anno dal 10% al 12% del fatturato per investirli in innovazioni per la salute animale. «I ricercatori – si legge nel sito dell’Ahi – hanno sviluppato numerosi farmaci che hanno prodotto enormi miglioramenti nella prevenzione e nel trattamento di patologie animali, come la malattia di Lyme, l’idrofobia, il diabete, la leucemia felina e altri tipi di tumore, oltre alla protezione da pulci e zecche. I farmaci veterinari si collegano inoltre in modo rilevante alla catena alimentare e devono essere approvati dalla specifica agenzia federale». Approssimativamente, il mondo spende in farmaci veterinari circa un quarantesimo dell’importo destinato alla salute umana: i destinatari sono 24 miliardi di polli, oltre un miliardo di bovini e altrettante pecore, 750 milioni di maiali e di capre, 500 milioni di cani e 400 di gatti. In Italia, la stima complessiva del settore veterinario ammonta a circa 440 milioni di euro. La metà circa del mercato è costituita dagli animali di interesse zootecnico e l’altra metà dagli animali di affezione. Nel 2011, l’Eurispes ha fotografato la situazione dei pet ospitati nelle case degli italiani; il rapporto indica che il 41,7% ha un animale domestico. Nel 48,4% dei casi, chi possiede un animale ospita nella propria casa un cane e nel 33,4% un gatto; a seguire compaiono pesci (4,9%), tartarughe (4,7%), volatili (4,1%), conigli (2,1%), criceti (1,6%) e rettili (0,8%). Solitamente le spese per il veterinario sono molto ridotte: il 91,5% dei proprietari spende meno di 200 euro, il 65,2% meno di 100. Tuttavia, nonostante il periodo di crisi, il mercato dei farmaci per gli animali domestici tiene, segno della crescita di un atteggiamento sempre più attento verso i pet di famiglia e le loro esigenze. Differenze tra uomo e animali: attenzione al fai-da-te
Molti proprietari hanno la tendenza a utilizzare farmaci indicati per l’uomo anche per trattare i propri animali domestici: è un’abitudine che in certi casi può mettere a grave rischio la loro salute. Alcuni studi indicano che i far-
maci a uso umano più somministrati agli animali di casa sono gli antidolorifici, gli antibiotici e le benzodiazepine. Sono anche i più pericolosi dal punto di vista della tossicità per gli animali. Ecco solo alcuni degli esempi più eclatanti. Paracetamolo. Nei cani può non produrre danni, ma per i gatti è mortale. Questa molecola provoca un’epatite e un’ossidazione dell’emoglobina, con la conseguenza che i globuli rossi non possono più trasportare l’ossigeno ai tessuti e agli organi vitali. Acido acetilsalicilico. Gli effetti dell’acido acetilsalicilico sugli animali sono identici a quelli prodotti sull’organismo umano. A causa delle proprietà anticoagulanti, questa sostanza è spesso utilizzata per il trattamento di certe malattie cardiovascolari per impedire la formazione di trombi e coaguli del sangue, ma deve essere impiegata in dosaggi molto più ridotti. Una dose eccessiva può dare origine a gravi emorragie interne in cani e gatti. È dunque assolutamente necessario ricorrere al veterinario prima di somministrare questo farmaco al proprio animale domestico. Corticoidi. Spesso i corticoidi vengono prescritti dai veterinari per il trattamento di malattie infiammatorie e immunitarie, ma l’utilizzo di farmaci formulati per gli esseri umani può risultare molto pericolosa a causa delle dosi inadatte. Un trattamento di lunga durata e con dosaggi eccessivi può essere causa di diabete, insufficienza renale, ulcere gastriche e disfunzioni delle ghiandole surrenali. Solo il veterinario può determinare dosi e durata di un trattamento ottimale a base di corticoidi. n
approfondimenti Accanto alla GDO e ai pet shop, canali di riferimento per l’acquisto degli alimenti, la farmacia detiene il primato per quanto riguarda invece prodotti legati alla cura dei piccoli animali (quali ad esempio dermatologici, antiparassitari, integratori specifici) presenti ma non particolarmente sviluppati nei canali menzionati.
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le aziende informano
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a nutrimi le ultime evidenze sul ruolo del microbiota
empre più spesso oggi si parla di microbiota intestinale, intendendo come tale l’insieme della popolazione batterica che occupa la parte centrale del canale digerente umano. La tematica rischia di rivoluzionare per sempre i concetti di salute e malattia. Si tratta, in realtà, di un organo nell’organo. Al momento, infatti, si ha contezza di circa ottocento specie presenti, settecento ceppi e cinquantacinque famiglie: la maggior parte delle quali in stretto legame con l’attività intestinale. Un insieme di microrganismi e virus che pesa all’incirca 1,5 chilogrammi e che oggi la comunità scientifica ritiene coinvolto nei meccanismi di insorgenza di diverse malattie. Le nuove conoscenze riguardanti il microbiota sono state al centro di una sessione di NutriMI - VIII Forum di Nutrizione Pratica, congresso che si è svolto in aprile a Milano.
Numerose malattie possono dipendere dall’alterazione - per eccesso o per difetto - dei batteri che compongono la flora intestinale: «Potenzialmente tutte, ma oggi siamo sicuri che ciò accada nei pazienti diabetici, negli obesi, nei soggetti che soffrono di sindrome metabolica, intolleranze alimentari e malattie infiammatorie croniche intestinali» ha affermato Giovanni Gasbarrini, Presidente della Fondazione Ricerca in Medicina Onlus e moderatore di una sessione dedicata al tema nel corso di NutriMI. Una recente ricerca, pubblicata su The Journal of Experimental Medicine, ha evidenziato un legame tra l’alterazione della flora intestinale e un maggiore rischio di sviluppare il cancro del colon retto. Inoltre, il microbiota sembrerebbe avere un ruolo anche nell’insorgenza dell’obesità. Resta da capire se le variazioni della microflora intestinale siano una della cause ambientali di sovrappeso e obesità oppure se siano la conseguenza dell’alimentazione sbilanciata che accompagna lo sviluppo dell’eccesso ponderale.
omega formula, l’integratore che protegge il sistema cardiovascolare
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mega Formula è un integratore alimentare innovativo specifico per sostenere il sistema cardiovascolare. La sua assunzione regolare, unita a un’alimentazione bilanciata e a un corretto stile di vita, aiuta infatti a mantenere i giusti rapporti nei livelli di colesterolo LDL-HDL, a normalizzare i livelli fisiologici dei trigliceridi nel sangue e a equilibrare i livelli di omocisteina. La formulazione di Omega Formula è a base di seme micronizzato del frutto del baobab, riso rosso fermentato, vitamina B6 e acido folico. Il seme micronizzato del frutto 86
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del baobab è noto per la ricchezza in elementi nutritivi e fitocomplessi che contengono acidi grassi polinsaturi omega-3, omega-6 e omega-9. Recenti studi hanno avvalorato l’azione benefica di questi elementi, evidenziando come la loro assunzione svolga un’azione protettiva sul sistema cardiovascolare. Il seme contiene inoltre fitosteroli, che aiutano a mantenere l’equilibrio fisiologico del colesterolo circolante. La presenza di fibre vegetali protegge questi elementi durante il transito nello stomaco, migliorandone la tollerabilità gastrica e la biodisponibilità.
Il riso rosso fermentato contribuisce, con alcune sostanze attive (in particolare la monacolina K), al mantenimento dei normali livelli di colesterolo nel sangue. Un ruolo importante è svolto anche dalla vitamina B6, che agisce come coenzima nella trasfor-
mazione e utilizzo di carboidrati, grassi e proteine. Omega Formula contiene anche acido folico, vitamina la cui carenza può portare all’anemia e a un aumento dei livelli nel sangue di un amminoacido, l’omocisteina, che numerosi studi hanno evidenziato essere correlata con l’aumento di rischio di eventi cardiovascolari quali trombosi, arterosclerosi e danni vascolari. Guna Tel. 02 280181 info@guna.it www.guna.it
le aziende informano
tempo di primavera con phyto garda
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a primavera è alle porte e l’arrivo delle belle giornate ci invoglia ad uscire per trascorrere un po’ di tempo all’aria aperta. Il risveglio della natura ci permette di dedicarci a un risveglio sia interiore sia esteriore. In primavera infatti, ma anche in altre fasi importanti della vita (postgravidanza, sovrappeso, eccessi ali-
mentari, pelle impura) è indispensabile ripulire il nostro organismo dalle tossine endogene (prodotti del catabolismo e radicali liberi) ed esogene (inquinamento, batteri e virus) che si accumulano nei nostri organi con importanti conseguenze negative per la salute (pancia e gambe gonfie, pelle opaca, stanchezza).
In particolare, è importante agire a livello dei principali organi emuntori (fegato, intestino, reni e pelle) che trasformano le tossine nella forma più adatta alla loro espulsione. L’organismo si autodepura fisiologicamente, ma spesso occorre stimolare o accelerare questo processo. Le piante più utili sono quindi quelle che agiscono a livello dei vari organi emuntori. Phyto Garda ha selezionato piante come il carciofo e il tarassaco che agiscono a livello del fegato, la betulla e l’equiseto che agiscono a livello renale, la bardana e il sambuco depurativi per la pelle, il finocchio utile per la funzione intestinale e il the verde un effica-
ce antiossidante che protegge l’intero organismo dall’invecchiamento cellulare. Per un’azione più strettamente drenante si sono scelte piante come l’ortica e i peduncoli di ciliegio. Accanto alla linea di depurativi e drenati 3D, Phyto Garda propone la linea 3S utile per il controllo del senso di fame. In particolare l’uso di piante come la garcinia rende efficace il controllo del senso di fame e attiva la metabolizzazione di grassi e zuccheri. Phytogarda Tel. 045 6770222 info@phytogarda.com www.phytogarda.com
enerzona omega 3, l’integratore alimentare adatto anche ai vegani
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nerZona OMEGA 3 per vegetariani è ideale nel contesto di una scelta nutrizionale vegetariana e quando si desidera ricorrere all’integrazione di acidi grassi omega-3 nei casi di ridotto apporto o aumentato fabbisogno. Enerzona Omega 3 è prodotto con un olio di origine vegetale che ha la rara peculiarità di essere una fonte sia di EPA sia di DHA, ed è confezionato in una capsula anch’essa priva di ingredienti o di additivi di origine animale. L’omega-3 per vegetariani della linea EnerZona, l’unica approvata da Barry Sears in Europa, è estratto dall’alga Schizochytrium sp. una tra le poche a contenere sia EPA sia 88
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DHA. La caratteristica di produrre EPA non è comune nel mondo vegetale, solo alcuni organismi e solo in determinate condizioni possono farlo. Tra questi occorre poi selezionare quelli caratterizzati da una totale sicurezza per il consumo umano. La microalga Schizochytrium, originaria delle foreste di mangrovie indonesiane, ha superato i test di qualità e sicurezza più elevati. L’olio ottenuto è inoltre stabilizzato con uno speciale mix di antiossidanti per mantenere nel tempo le sue caratteristiche. Questo omega-3 per vegetariani rispetta gli elevati standard di purezza che caratterizzano la linea “RX” di EnerZona.
La dose raccomandata è di una capsula al girno, in grado di apportare 83 mg di EPA e 167 mg di DHA, per un totale di 250 mg di omega 3 a lunga catena. Tale assunzione giornaliera di EPA e DHA, seppur differente da quella da quella ideale per la strategia alimentare zona, rappresenta comunque un significativo beneficio per chi, avendo fatto una scelta vegetariana e volendo evitare per motivi etici il pesce come fonte, non ha la possibilità di assumere omega-3 a catena lunga (EPA+DHA). L’EPA e il DHA contribu-
iscono infatti alla normale funzione cardiaca (per 250 mg al giorno) nel contesto di una dieta variata ed equilibrata e di uno stile di vita sano. Enervit Numero Verde 800 40 30 30 equipe@enervit.it www.enerzona.com
linea cleanance di eau thermale avéne
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e pelli sensibili, con problemi giovanili, presentano esigenze diverse tra loro. Per questo Eau Thermale Avène, specialista delle pelli sensibili, ha ideato la linea Cleanance con tre programmi di trattamento specifici attenti ai bisogni di ogni tipo di pelle: grassa, con punti neri e con tendenza acneica. L’Acqua termale Avène è l’elemento essenziale alla base delle linee di trattamento Eau Thermale Avène che, coniugando esperienza e tradizione, offre una risposta scientifica e naturale ai bisogni delle pelli sensibili. Tutti i programmi di trattamento speci-
fici sono accomunati da tre step fondamentali. La prima fase di detersione prepara la pelle al trattamento specifico con Cleanance gel detergente senza sapone, utilizzabile su viso e corpo, mattino e sera, per la pulizia di tutte le pelli con imperfezioni. Il secondo step prevede un prodotto di trattamento studiato ad hoc per ogni tipo di pelle come Cleanance emulsione seboregolatrice, ideale per pelli grasse o a tendenza acneica, che idrata e opacizza la pelle, contrastando l’eccessiva secrezione di sebo grazie alla sua formulazione a base
di gliceril laurato. Per le pelli con punti neri è disponibile il trattamento esfoliante e idratante Cleanance K gel-crema, che grazie all’estratto di curcubita pepo opacizza e idrata la pelle favorendo la rapida eliminazione di punti neri, punti bianchi e imperfezioni cutanee. Infine, tutti i programmi di trattamento prevedono un prodotto complementare per rinforzare l’efficacia degli altri step, come Cleanance trattamento localizzato che contrasta in modo efficace le imperfezioni cutanee con un colpo di matita e può essere utilizzato 2-3 volte al giorno.
Eau Thermale Avène Pierre Fabre Italia Tel. 02 477941 www.avene.it info@pierre-fabre.com
nutratopic pro-amp di isdin, protezione attiva per pelli atopiche
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on un’incidenza di circa il 20%, la dermatite atopica rappresenta la patologia della pelle più frequente tra i bambini che si manifesta nel periodo invernale. A causa del vento e degli shock termici tipici della stagione fredda, infatti, le pelli atopiche, che presentano un’alterazione della funzionalità della barriera cutanea e sono facilmente attaccabili dalle aggressioni esterne, risultando maggiormente esposte alle dermatiti atopiche con localizzazione facciale. Per alleviare i sintomi associati e rinforzare il sistema immunitario cutaneo innato (AMPs), Isdin ha sviluppato Nutratopic Pro-AMP,
la nuova crema viso dalla formulazione specifica che ripara e consente una doppia protezione attiva del sistema di difesa cutaneo, assicurando al contempo una profonda idratazione della pelle. Come conseguenza della riduzione dei componenti essenziali respon-
sabili dell’attività antimicrobica e antivirale, le pelli atopiche sono soggette a una costante infiammazione che peggiora con il danno meccanico causato dal grattamento, per un circolo vizioso di difficile guarigione. Grazie alla sua esclusiva formulazione, Nutratopic ProAMP riduce sensibilmente tutti i sintomi associati, quali prurito, arrossamento, desquamazione e reattività, ripristinando e rafforzando la barriera cutanea. Inoltre migliora la prima linea di difesa della pelle grazie alla L-Isoleucina, che aumenta il numero di AMPs (peptidi antimicrobici), e ripristina la barriera cutanea attraverso una com-
binazione di lipidi attivi, capace di mimetizzarsi con la pelle. Allo stesso tempo, il burro di karité e altri attivi contenuti conferiscono un comfort immediato e un’idratazione profonda. Privo di emulsionanti, coloranti, conservanti e profumo, Nutratopic Pro-AMP di Isdin è testato dermatologicamente. Test clinici dimostrano che l’applicazione Nutratopic Pro-AMP per 28 giorni riduce i sintomi della dermatite atopica nell’83% dei casi. Isdin Tel. 02 20520276 info@isdin.com www.isdin.com Professione Salute_aprile 2014
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novità in farmacia dal marchio corpootto
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opo l’acquisizione dello storico marchio CorpOOtto, ceduto dal Gruppo Angelini all’azienda torinese Industrie Ottiche Italiane, leader nella produzione di occhiali per lettura, le novità non si sono fatte attendere. Accanto ai precedenti modelli CorpOOtto che hanno creato il successo di questo prestigioso brand, al primo posto nelle vendite in farmacia, la dinamica politica aziendale dell’azienda torinese ha già portato alla presentazione di nuovi modelli che saranno presenti a Cormofarma. Sono state realizzate quattro nuove linee. Si tratta del modello Work, con inserti in acciaio e verniciatura opaca
declinati in quattro colori, grigio, azzurro, rosso e verde. Del modello Bicolor, con montature dalle forme classiche e ampio campo visivo con la caratteristica particolare della astine in colore a contrasto con quello della montatura. C’è poi la collezione Led, caratterizzata da un forte impatto cromatico con frontale in quattro luminosi colori e a “effetto gomma” e astine nere opache. Infine il modello
Neon, realizzato in colori luminosi, per esempio con l’accostamento del viola con il rosa o dell’azzurro con l’arancio. Nuove anche le confezioni, in materiale Ept trasparente che contengono gli astucci in pelle ecologica, cordicella e panno per la pulizia delle lenti. Naturalmente gli occhiali delle precedenti produzioni, per esempio l’Eton o il Wall Street, partico-
larmente amati dal pubblico, restano in catalogo. Ma non basta. Con CorpOOtto entrano in farmacia anche gli occhiali da sole: altissima qualità e cura di realizzazione, lenti polarizzate e antiriflesso con massima protezione dai raggi UV per eliminare ogni riverbero o riflesso della luce solare. Montature e astine in materiali ipoallergenici, anche in metallo. Ben 32 modelli fra cui scegliere a prezzi convenienti. I.O.I. Industrie Ottiche Italiane Tel. 011 6645510 ioi@industrieottiche.it www.industrieottiche.it
terapia ipocolesterolemizzante con cadired 5
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ilioni di pazienti assumono statine per la prevenzione primaria e/o secondaria della malattia cardiovascolare. Una solida alternativa per coloro che rifiutano, o che non tollerano, la terapia con statine per gli effetti secondari, è costituita dall’assunzione di riso rosso fermentato. Il suo utilizzo negli ultimi anni, infatti, è cresciuto esponenzialmente per l’efficacia terapeutica dimostrata e la sicurezza d’uso, entrambe confermate da moltissimi lavori clinici randomizzati e controllati. Per avere la massima azione e il miglior beneficio occorre, tuttavia, che sia accertata e standar90
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dizzata la quantità di Monacolina K e di Citrinina. Allo scopo di migliorare la sua azione, non solo nella dislipidemia ma nella malattia cardiovascolare in generale e, al contempo, diminuire gli effetti indesiderati, in alcuni integratori sono stati aggiunti altri componenti. Tra questi si fa notare il Cadired 5, nutraceutico a base di Monacolina K titolata e standardizzata, nel quale la Citrinina è ampiamente al di sotto dei limiti miotossici, che contiene anche altri im-
portanti componenti aggiunti, tutti standardizzati e titolati. Oltre al riso rosso infatti, in Cadired 5 è presente la L-Carnitina che va a potenziarne l’azione ipocolesterolemizzante, ma soprattutto riduce sia la (eventuale) miotossicità che la progressione delle lesioni aterosclerotiche. Insieme alla Niacina, la L-Carnitina agisce anche con-
tro le Lp(a), su cui le statine non hanno azione, favorendo anche l’aumento delle HDL. È presente anche il biancospino per poter aumentare i recettori epatici LDL ed evitare l’accumulo di colesterolo nel fegato, degradandolo ad acidi biliari. Inoltre, in caso di concomitante ipertensione, può svolgere anche un’azione ipotensiva. Infine l’astaxantina è utile per ridurre i vari processi ossidativi tipici della malattia cardiovascolare. Ca.Di.GROUP Tel. 06 50930353 info@cadigroup.it www.cadigroup.eu