Professione Salute 4/2015

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sanità Fascicolo sanitario elettronico e dossier farmaceutico: vantaggi non solo per i pazienti

salute & benessere Studi indagano il rapporto tra attività fisica e patologie dell’apparato gastroenterico

patologie cardiache Le aritmie cardiache possono causare gravi danni al cuore e agli altri organi

stili di vita Un italiano su sedici ha il diabete e la malattia continua a diffondersi

ottobre 2015

attualità Rapporto sull’impiego dei farmaci in Italia: spesa farmaceutica è di 26,6 mld

Corso accreditato ECM L’apparato gastroenterico tra salute e patologia: ruolo di alimentazione e stile di vita

Alimentazione e stile di vita nella celiachia



editoriale

editoriale Giuseppe Roccucci g.roccucci@griffineditore.it

Best practice per un modello di decisioni “informate” Stanno emergendo in questi giorni nuovi tagli alla Sanità non proprio attesi. Con la precedente legge di stabilità per il 2016 erano stati stanziati 115,4 miliardi di euro; ora la nuova proposta li ha ridotti a 111. La necessità di far quadrare i conti sembra stia prevalendo sulla scuola di pensiero che vede la sanità come un servizio primario e necessario da mantenere a livelli di eccellenza. Il ricorso al taglio dei costi indiscriminato è il frutto della solita politica miope, di breve periodo, volta a nascondere sotto il tappeto gli errori passati e le inefficienze presenti. La mancanza di analisi prima e programmazione sanitaria poi potrebbe determinare un veloce impoverimento di quella cultura dell’eccellenza che ha contraddistinto fino a oggi alcune parti del nostro sistema sanitario. La capacità di programmazione deve nascere dal dialogo franco e aperto di tutte le parti in causa, sia quelle della politica (Ministero e Consigli Regionali) che quelle degli operatori diretti (medici, farmacisti e specialisti in genere) e per finire quelle degli investitori (le aziende che operano nella sanità), che può scaturire la chiave giusta per scardinare l’ignoranza sul futuro e garantire un approccio sempre consapevole nelle azioni da intraprendere. È di questi giorni un ottimo esempio di collaborazione tra pubblico e privato che vede protagonisti la Regione Lombardia e un’importante azienda medicale (Medtronic) nel progetto Orme (Outcome Research & Medtech Efficiency), che nasce dalla volontà di dimostrare il ruolo centrale dell’innovazione biomedicale come chiave di volta “per produrre efficienza e contribuire alla sostenibilità dei Sistemi Sanitari Regionali”. O meglio, come può un’azienda sostenere investimenti per migliorare i processi terapeutici di singole patologie a fronte del sistematico taglio dei costi o dei rimborsi dei Drg alle strutture ospedaliere? Quale diventa il ruolo di queste imprese? È giusto che si debbano convertire ad attività conservative e rinunciare al progresso? A parer mio esiste una sola risposta se pensiamo di vivere in un Paese progressista, ed è no, non è giusto. E a confermarlo sono i risultati del progetto Orme su alcuni ambiti clinici, elaborati da un ente terzo, come l’Università Milano Bicocca, che si è avvalso “di un unico a livello internazionale e inestimabile patrimonio di dati sanitari” a disposizione della Regione Lombardia sui ricoveri, prestazioni ambulatoriali, spese farmaceutiche e altri centri di spesa più specifici, nell’arco temporale di 10 anni (dal 2000 al 2009) per singolo paziente. Dalla ricerca sono emersi risultati significativi, tra i quali cito a titolo di esempio l’innalzamento costante dei tassi di ospedalizzazione del paziente nei tre anni precedenti il momento dell’intervento o del fatto acuto; ciò ha sicuramente messo in rilievo come un intervento preventivo, reso possibile grazie alla innovazione tecnologica, avrebbe consentito di alleviare le pene del paziente e ridurre sensibilmente la spesa sanitaria legata a quel caso. Con questa analisi si giunge così a spostare l’attenzione sugli esiti clinici ed economici correlati alle procedure e ai percorsi terapeutici dei pazienti. Il progetto Orme è un caso di best practice nella partnership pubblico-privato, “in cui tutti gli attori coinvolti contribuiscono alla messa a disposizione di informazioni, ciascuno nel suo ambito di competenza”. A beneficiarne sarà la programmazione sanitaria consapevole e, come logica conseguenza, il diritto alla salute di tutti i cittadini. Giuseppe Roccucci

La ricerca, condotta

nell’ambito del progetto Orme, è stata un’occasione di rilettura retrospettiva dei dati attualmente esistenti in materia di epidemiologia, percorsi clinici e trattamenti disponibili in tre aree: le arteriopatie periferiche nella popolazione con diabete

mellito; lo scompenso cardiaco e la morte improvvisa; la fibrillazione atriale

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sommario

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ECM a distanza 2015 alimentazione e stile di vita nella celiachia di Mara Oliveri e M. Luisa Fonte

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Professione Salute

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Salute&Benessere quando il cuore perde il ritmo di Renato Torlaschi

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Salute&Benessere quale nesso tra attivitĂ fisica e patologie gastrointestinali di Luca Marin e Matteo Vandoni

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Salute&Benessere intolleranza al lattosio come cambia l’alimentazione di Rachele Villa


sommario 42

Integrazione alimentare anemia, si combatte con una dieta ferrea e integratori di Carla Carnovale

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Stili di vita i diabetici italiani sempre più numerosi, un po’ più consapevoli di Renato Torlaschi

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Campagne informative al via la campagna l’influenza che verrà #previenila di Rachele Villa

rubriche 3 Editoriale

Direttore responsabile Giuseppe Roccucci Board scientifico Hellas Cena (Direttore) Donatella Ballardini Silvia Brazzo Mario Calzavara Mariano Casali Massimo Labate Luca Marin Fulvio Marzatico Mara Oliveri Marco Rufolo

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NE PARLIAMO CON farmacovigilanza e appropriatezza: temi sempre all’ordine del giorno intervista ad Andrea Mandelli

Redazione Andrea Peren a.peren@griffineditore.it Lara Romanelli redazione@griffineditore.it Rachele Villa r.villa@griffineditore.it Grafica Grafic House, Milano Hanno collaborato Carla Carnovale, M. Luisa Fonte, Luca Marin, Vincenzo Marra, Massimo Negro, Mara Oliveri, Renato Torlaschi, Matteo Vandoni Vendite Stefania Bianchi, 340 1246792 Giovanni Cerrina Feroni, 346 2330694 Barbara Guglielmana, 335 5803827 Lucia Oggianu 338 9609937 Ufficio Abbonamenti Tel. 031.789085 - customerservice@griffineditore.it SIDeMaST

Società Italiana di Dermatologia medica, chirurgica, estetica e delle Malattie Sessualmente Trasmesse

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Attualità Le aziende informano

Stampa Reggiani spa - Divisione Arti Grafiche Via Alighieri, 50 Brezzo di Bedero (VA) Abbonamento annuale Italia: euro 0,95 Singolo fascicolo: euro 0,19 Professione Salute periodico bimestrale Anno VI - n. 4 - ottobre 2015 Registrazione del Tribunale di Como con il n. 4 del 14/04/2010 Editore Griffin srl unipersonale, piazza Castello 5/E 22060 Carimate (CO) Tutti gli articoli pubblicati su Professione Salute sono redatti sotto la responsabilità degli Autori. La pubblicazione degli articoli della rivista deve essere autorizzata per iscritto dall’Editore. Ai sensi della legge in vigore, i dati dei lettori saranno trattati sia manualmente sia con strumenti informatici e utilizzati per l’invio di questa e altre pubblicazioni o materiale informativo e promozionale. Le modalità di trattamento saranno conformi a quanto previsto dalla legge. I dati potranno essere comunicati a soggetti con i quali Griffin intrattiene rapporti contrattuali necessari per l’invio della rivista. Il titolare del trattamento dei dati è Griffin, al quale il lettore si potrà rivolgere per chiedere l’aggiornamento, l’integrazione, la cancellazione e ogni altra operazione prevista per legge. In base alle norme sulla pubblicità l’editore non è tenuto al controllo dei messaggi ospitati negli spazi a pagamento. Gli inserzionisti rispondono in proprio per quanto contenuto nei testi.



ne parliamo con

Farmacovigilanza e appropriatezza: temi sempre all’ordine del giorno La realizzazione in tempi brevi di un dossier farmaceutico consentirebbe di tracciare tutti i farmaci dispensati a ogni singolo paziente e quindi di gestire al meglio, con maggiore sicurezza

Intervista di Renato Torlaschi

e meno sprechi, il percorso terapeutico

L’

estate appena trascorsa e l’inizio dell’autunno sono stati caratterizzati da diversi interventi, da parte del ministero della Salute e dell’Agenzia italiana del farmaco (Aifa), che in modi differenti possono essere ricondotti ai temi della farmacovigilanza e dell’appropriatezza. E la Federazione degli ordini dei farmacisti italiani (Fofi) non ha mancato di far sentire la propria voce, talvolta anche critica. Professione Salute ha chiesto un commento ad Andrea Mandelli, che ne è presidente. Dottor Mandelli, quali sono i principali temi dibattuti in Federazione negli ultimi mesi? Sono state all’ordine del giorno numerose questioni, diverse ma riconducibili al tema della sicurezza e appropriatezza dell’impiego del farmaco sul territorio. Il primo caso significativo è quello dei medicinali da banco a base di diclofenac: il punto è innanzitutto quello di avere un quadro il più possibile preciso non tanto del consumo complessivo, ma delle modalità del consumo e della tipologia dei pazienti

che impiegano questi medicinali. In parte è così anche per il caso delle preparazioni galeniche per il trattamento dell’obesità. È comprensibile che il ministero, per il doveroso principio di cautela, le abbia proibite, ma non si dispone di dati che permettano di individuare a quali tipologie di pazienti fossero prescritte e quindi di stabilire se fossero situazioni in cui il rapporto tra rischi e benefici poteva risultare positivo. Non va dimenticato che attualmente l’obesità è una condizione per la quale non sono disponibili farmaci con indicazioni specifiche. E quindi, per ovviare a questo deficit di informazione, che cosa si deve fare? Come abbiamo sempre sostenuto, la chiave sta nell’implementazione del fascicolo sanitario elettronico e, quindi, del dossier farmaceutico aggiornato dal farmacista. Solo potendo tracciare tutti i farmaci che vengono dispensati al paziente in modo preciso e puntuale è possibile promuovere realmente sicurezza e appropriatezza. Da sempre, in Italia ma non soltanto, si segnala

Andrea Mandelli Presidente Fofi

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Intervista ad Andrea Mandelli

che per il curante, il medico di famiglia, è arduo conoscere con precisione quali e quanti farmaci assume effettivamente il suo paziente, sia perché a volte non è al corrente delle prescrizioni specialistiche su ricetta bianca, sia perché il paziente ricorre a farmaci da banco, anche sistematicamente, ma non lo comunica al medico. In tutti questi casi si rischiano interazioni tra farmaci oppure altre reazioni avverse: sono un caso classico i sovradosaggi dovuti all’assunzione di medicinali differenti, da banco o soggetti a prescrizione, che però contengono lo stesso principio attivo. Peraltro, la stessa sperimentazione della revisione dell’uso

dossier farmaceutico e fascicolo sanitario elettronico: quali vantaggi Il dossier farmaceutico aggiornato dal farmacista era già stato previsto dal decreto sulle liberalizzazioni, anche conosciuto come “cresciItalia” del 2012, e poi convertito in legge, con modificazioni, nell’agosto 2013. Il dossier farmaceutico è previsto quale parte specifica del fascicolo sanitario elettronico (Fse), aggiornato a cura della farmacia che effettua la dispensazione, al fine di favorire la qualità, il monitoraggio, l’appropriatezza nella dispensazione dei medicinali e l’aderenza alla terapia, con l’obiettivo ultimo di garantire una migliore sicurezza del paziente. Il fascicolo sanitario elettronico ha come

obiettivo quello di fornire ai medici una visione globale e unificata dello stato di salute dei singoli cittadini, e rappresenta il punto di aggregazione e di condivisione delle informazioni e dei documenti clinici afferenti al cittadino, generati dai vari attori del Sistema sanitario. Esso contiene eventi sanitari e documenti di sintesi, organizzati secondo una struttura gerarchica paziente-centrica, che permette la navigazione fra i documenti clinici in modalità differenti. Il Fse traccia la storia clinica di ogni paziente rendendo disponibili informazioni prodotte sul territorio regionale da medici e operatori sanitari anche di strutture diverse.

dei medicinali promossa dalla Federazione ha rivelato che, con una discreta frequenza, i pazienti, in questo caso asmatici, assumevano farmaci controindicati per la loro condizione oppure che interferivano con quelli prescritti per l’asma, quasi sempre all’insaputa del medico. Poter controllare immediatamente quali farmaci assume il paziente serve a evitare errori e duplicazioni e, alla fine, a migliorare la salute del paziente. 8

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C’è anche una ricaduta sul piano economico? Senz’altro, perché i dati forniti dal dossier farmaceutico consentiranno anche di valutare l’aderenza alle terapie prescritte e, quindi, a evitare sprechi. Se un paziente cui vengono prescritti certi medicinali si reca in farmacia soltanto una volta su due, significa che non sta seguendo le indicazioni del medico. Si verifica quindi un doppio danno economico: da una parte i farmaci dispensati, se non c’è un’assunzione adeguata e costante, rappresentano uno spreco, perché non possono ottenere il risultato sperato e questo, a sua volta, apre la strada al presentarsi di complicazioni e aggravamenti che provocano un danno per l’individuo ma anche per il servizio sanitario. È un fatto positivo, dunque, che sia stato pubblicato il regolamento del Fascicolo sanitario e mi auguro che la sua implementazione non tardi ancora a lungo: dalla sua introduzione tutti riceveranno solo vantaggi, i pazienti, i professionisti sanitari e il Servizio sanitario nazionale. n




ECM

Corso ECM 2015 Modalità di Formazione a Distanza (FAD) riservato agli abbonati paganti*

L’apparato gastroenterico tra salute e patologia: ruolo di alimentazione e stile di vita Responsabile scientifico Prof.ssa Hellas Cena Medico Chirurgo, Specialista in Scienza dell’Alimentazione, Università degli Studi di Pavia Programma del corso Il corso L’apparato gastroenterico tra salute e patologia: ruolo di alimentazione e stile di vita si prefigge di approfondire le patologie dell’apparato digerente ovvero i disturbi che possono interessare i vari organi che lo compongono, i quali hanno il compito di digerire e metabolizzare le sostanze nutritive introdotte attraverso l’alimentazione e di espellere, infine, ciò che ne rimane. Il corso è stato inoltre pensato e strutturato per evidenziare la stretta connessione esistente fra alimentazione, stile di vita e salute dell’apparato gastroenterico. Struttura del corso z Il reflusso gastroesofageo (Silvia Salvatore) z Il microbiota intestinale, un meta-organo indispensabile (Fabio Pace) z La diverticolosi miti ed evidenze (Giovanni Brandimarte, Antonio Tursi) z Alimentazione e stile di vita nella celiachia (Mara Oliveri, Maria Luisa Fonte) z Le malattie infiammatorie croniche dell’intestino (Edoardo V. Savarino, Giorgia Bodini) Obiettivi del corso Il presente corso si prefigge di raggiungere i seguenti obiettivi: z l’obiettivo specifico di alimentare in modo continuo le conoscenze delle figure professionali che lavorano in ambito sanitario; i contenuti forniti potranno essere “trasferiti” all’utente finale, con ripercussioni in termini di “aumento di competenze” della comunità in cui si è chiamati ad agire; z l’obiettivo più generale di contribuire al mantenimento e rafforzamento del network comunicativo con le varie figure professionali in un percorso verso l’implementazione e lo sviluppo delle loro competenze individuali in ambito preventivo, che potrà avere importanti ripercussioni “a cascata” in termini di “guadagno di salute” di tutta la popolazione. Modalità di somministrazione del corso e accreditamente ECM

In ogni numero di Professione Salute a partire dal n. 1/2015 e per tutto il 2015 (gennaio-dicembre) sarà pubblicato un modulo composto da un articolo e da un questionario di autovalutazione. A fine corso saranno disponibili online (www.fadmedica.it) tutti i moduli pubblicati sulla Rivista e sarà possibile, modulo per modulo, rispondere ai questionari di valutazione. L’erogazione dei crediti ECM, validi per l’anno 2015, avverrà al superamento di tutti i questionari. Tutti gli iscritti al corso riceveranno le informazioni necessarie per l’accesso online e la compilazione dei questionari.

*Per informazioni: tel. 031.789085 e-mail: customerservice@griffineditore.it


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Alimentazione e stile di vita nella celiachia Introduzione

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Mara Oliveri

Biologa, Nutrizionista e Specialista in Scienza dell’Alimentazione

M. Luisa Fonte

Medico Chirurgo, Specialista in Scienza dell’Alimentazione

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onostante l’evoluzione delle conoscenze, la storia naturale delle patologie glutine-correlate non sembra ad oggi completamente tracciata; anche per questo, il percorso che dalla sintomatologia porta alla diagnosi di certezza e alla definizione della terapia può risultare decisamente complicato, sia per i clinici sia per tutte quelle figure professionali a vario titolo coinvolte nei processi di risk assesment e di disease management. Argomentando sulle patologie nutrizione-correlate del tratto gastroenterico, focalizzeremo la nostra attenzione sulla malattia celiaca (MC), un disordine glutine-correlato in grado di causare alterazioni della mucosa intestinale con atrofia dei villi e conseguente alterazione della funzione di assorbimento. Paradossalmente, nonostante la componente scatenante la malattia sia di tipo alimentare, nonostante il danno intestinale porti appunto a un’alterata capacità assorbitiva e nonostante la terapia efficace sia di tipo strettamente nutrizionale (dieta priva di glutine, gluten free), raramente vengono presi in esame – tentando di risolverli – proprio i problemi relativi all’esaustiva valutazione sia dello stato nutrizionale del soggetto celiaco sia dell’adeguatezza della dieta gluten free rispetto ai fabbisogni.


l’apparato gastroenterico tra salute e patologia: ruolo di alimentazione e stile di vita

In sintesi, la malattia celiaca è l’unica tra i disordini cronici intestinali in cui un programma alimentare che preveda la completa e permanente esclusione del glutine rappresenti ad oggi la sola terapia efficace; è però facilmente intuibile che ogni programma alimentare in cui si debbano pianificare delle limitazioni, rispetto all’introduzioni di alimenti di consumo raccomandato per la popolazione sana, può essere a rischio di inadeguatezza nutrizionale. Sebbene possa sembrare paradossale, siamo ancora nella fase in cui si sta tentando di chiarire gli aspetti relativi proprio alla qualità e all’adeguatezza nutrizionale della dieta gluten free, alle problematiche nutrizionali riscontrabili in fase di pre-diagnosi e/o alla diagnosi e/o come possibile conseguenza di una alimentazione gluten free che venga seguita sul lungo periodo. Tratteremo in modo sintetico i meccanismi etiopatogenetici, gli accertamenti diagnostici e le possibili conseguenze sintomatologiche; invece intendiamo approfondire contenuti utili a colmare, per quanto possibile allo stato attuale della letteratura, il gap di conoscenza rispet-

Figura 1 - Schema dei disordini glutine-correlati. Fonte: A. Sapone, J. C Bai, C. Ciacci, C. Catassi, A. Fasano et al. Spectrum of gluten related disorder: consensus on new nomenclature and classification. BMI Medicine 2012, 10:13

to all’impatto che la MC può avere sullo stato nutrizionale dei pazienti adulti alla diagnosi e/o sull’esito cui può portare, sempre da un punto di vista nutrizionale, un programma alimentare strettamente gluten free attuato con l’obiettivo di portare alla remissione di malattia e al mantenimento di tale condizione. Vedremo quanto è importante, nel counselling nutrizionale al paziente, sia informare/comunicare su come evitare il glutine sia aggiornare in merito ai rischi di possibili inadeguatezze e, di conseguenza, sulle possibili scelte alimentari per una dieta gluten free che possa garantire il completo soddisfacimento dei fabbisogni nutrizionali sul lungo periodo. Malattia celiaca: breve storia di un lungo viaggio

Il termine celiachia fu introdotto nel I secolo d. C. da Aretaeus di Cappadocia, che ne riportò la prima descrizione scientifica, ma la definizione della malattia come sindrome da malassorbimento è da attribuirsi all’inglese Samuel Gee che nel 1887 descrisse la malattia «come un tipo di indigestione cronica possibile a tut-

te le età e che affligge prevalentemente bambini da 0 a 5 anni […] una possibile causa potrebbero essere errori alimentari». È però nel periodo successivo alla Seconda guerra mondiale che il pediatra tedesco Dicke Willem Karel stabilì una correlazione tra esposizione alle proteine del glutine e la MC, notando che una carenza di pane dovuta al periodo storico noto come “inverno del digiuno 1944-45” aveva portato a una riduzione significativa di morti tra bambini affetti da malattia mentre, al termine della guerra, le morti erano tornate ai livelli inizialmente registrati. I bimbi erano allora stati alimentati con patate, banane e altri alimenti privi di glutine; al termine della guerra, per contro, il ritorno alla normalità alimentare provocò il ripresentarsi dei sintomi. Questa osservazione portò all’identificazione del glutine come agente causale di patologia. Per una definizione scientificamente condivisa della malattia arriviamo quasi ai giorni nostri: «La celiachia è una patologia infiammatoria intestinale cronica caratterizzata da appiattimento dei villi della mucosa del piccolo intestino, ed è indotta in soggetti geneticamente predisposti dall’ingestione di proteine ricche in prolina e glutammina contenute in frumento, segale, orzo e collettivamente definite: glutine». La malattia causa quindi atrofia dei villi intestinali che, infiammati e danneggiati, non sono più in grado di assolvere la loro funzione di riduzione, assorbimento e trasporto dei nutrienti attraverso la mucosa intestinale. Nell’ambito dell’ampio spettro dei disordini glutine-correlati la MC si colloca come un’enteropatia cronica autoimmune scatenata dall’ingestione di glutine in soggetti geneticamente predisposti. Lo schema in figura 1 è per tutti i professionisti un supporto estremamente chiarificatore. Elemento caratterizzante la patologia è che l’allontanamento del glutine consente di ottenere la normalizzazione della morfologia e della funzionalità della mucosa, mentre la sua reintroduzione è causa di recidiva. Oggigiorottobre 2015

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no si conoscono varie forme di celiachia, tra cui la MC potenziale, latente e silente. La loro trattazione esula dagli obiettivi di questo modulo. Etiopatogenesi

La malattia celiachia ha etiopatogenesi multifattoriale: essa origina come conseguenza dell’incontro tra uno stimolo alimentare (il glutine), la predisposizione genetica e l’eventuale presenza di possibili cofattori ambientali quali la quantità di glutine ingerito, la nutrizione durante il primo anno di vita ed eventuali infezioni intestinali (per es. rotavirus). Inoltre recenti evidenze riconoscono come cofattore un’aumentata permeabilità intestinale, in grado di incrementare l’ingresso del glutine a livello intestinale. Il glutine Il glutine è la frazione proteica presente nell’endosperma dei chicchi di alcuni cereali, alla quale i celiaci sono intolleranti; nella patogenesi della malattia rappresenta l’innesto, ovvero il fattore scatenante in assenza del quale la malattia non diventa manifesta. Più propriamente, per glutine si intende il complesso proteico estratto dal grano, ma il termine viene esteso alle corrispondenti proteine della segale (secaline) e dell’orzo (ordeine), in considerazione della loro omologia di sequenza aminoacidica e dell’effetto causato nei celiaci. Della componente alimentare si tratterà più in dettaglio nella parte relativa alla componente alimentare. In questa sede ci basta ricordare che la degradazione enzimatica di tali proteine determina il formarsi di peptidi “tossici” in soggetti predisposti. La componente genetica Il sistema maggiore di istocompatibilità di classe II (HLA) gioca un ruolo cruciale nella predisposizione genetica alla malattia celiaca; questo è presente sulle cellule in grado di effettuare la presentazione dell’antigene (An14

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tigen Presenting Cells, APC) alle altre cellule della risposta immune. La suscettibilità alla MC è conferita da aplotipi ben identificati dell’HLA di classe II, prevalentemente il DQ2 e il DQ8 (più del 95% dei pazienti), fattori di rischio presenti in tutti i pazienti celiaci. Le molecole HLA hanno la funzione di “presentare l’antigene” alle cellule T effettrici del sistema immunitario; solo le molecole HLA codificate dagli alleli DQ2 e DQ8 sono in grado di riconoscere e “alloggiare” nella propria tasca i frammenti peptidici derivanti dalla scissione della gliadina, avviando la risposta causale del danno intestinale. La presenza sulla superficie delle APC di almeno una delle molecole codificate da questi alleli è condizione necessaria per lo sviluppo di MC. Tuttavia altri fattori genetici sembrano influenzare questa predisposizione: è noto infatti che alleli portati in trans aumentano il rischio rispetto a configurazioni in cis, che la suscettibilità è legata anche a decine di altri geni prevalentemente coinvolti nella risposta immunitaria e infiammatoria; per contro, il contributo dato da ogni singolo gene nonHLA è tuttavia modesto. L’avere aplotipo DQ2 e/o DQ8 è condizione necessaria ma non sufficiente per slatentizzare la MC, infatti il 3040 % della popolazione generale è DQ2/DQ8 positiva, ma non celiaca. Permeabilità intestinale In condizioni fisiologiche le tight junctions (TJ) pre-

senti tra gli enterociti garantiscono l’impermeabilità della barriera intestinale; nello stato di malattia tuttavia si instaura un’alterazione della permeabilità epiteliale con modificazioni delle TJ che consente ai peptidi derivanti dalla gliadina di raggiungere la lamina propria, dando il via alla risposta immunitaria. Qui la transglutaminasi tissutale (t-TG) converte i residui di glutammina in acido glutammico per deamidazione, con formazione di epitopi peptidici aventi aumentata affinità per le Antigen Presenting Cells (APC) e potenziato potere immunostimolante; queste cellule presentano l’antigene ai macrofagi, ai linfociti B e T. Anche il cross-link dei frammenti di gliadina con la t-TG può rinforzare il meccanismo di presentazione dell’antigene in soggetti HLA DQ2 o DQ8 positivi. Inoltre la presenza di frammenti di glutine indigerito causa la sovraespressione di zonulina da parte degli enterociti, una molecola in grado di “allentare” le TJ, con-


l’apparato gastroenterico tra salute e patologia: ruolo di alimentazione e stile di vita

sentendo ai peptidi tossici di raggiungere la sottomucosa. Oltre a ciò, variazioni del citoscheletro degli enterociti favoriscono la migrazione dei linfociti verso le APC, che possono così attivarsi. Il danno a livello intestinale

Non si conoscono ancora tutti i dettagli dell’azione immunitaria che si scatena nel celiaco; ad oggi sono stati descritti alcuni meccanismi di danno a livello della mucosa intestinale nella malattia in fase attiva. I peptidi derivanti dalla scissione enzimatica del glutine possono essere trasportati attraverso l’epitelio intestinale con le seguenti modalità: via paracellulare (conseguente alla ridotta integrità mucosale attribuibile al rilascio di zonulina), via transcitosi e via retrotranscitosi di IgA secretorie (sIgA). L’accumulo di frammenti di glutine sotto le cellule epitaliali induce la produzione di IL-15, in grado di attivare i linfociti intraepitaliali a reagire contro gli enterociti stessi; i linfociti T helper attivati producono alti livelli di citochine proinfiammatorie; il processo infiammatorio induce la secrezione di metalloproteinasi da parte di fibroblasti e cellule mononucleate della lamina propria (LPMC) responsabili della degradazione della membrana basale e della matrice extracellulare, ma anche dell’aumento dell’azione dei linfociti intraepiteliali e delle cellule Natural Killer. Per mezzo della concomitante produzione di citochine viene indotto il meccanismo di attivazione ed espansione clonale delle cellule B che, differenziandosi in

plasmacellule producono anticorpi anti-gliadina e anti-tranglutaminasi (tTG) che interagiscono con la transglutaminasi tissutale sulla membrana extracellulare (mtTG); il complesso si può depositare causando variazioni del citoscheletro degli enterociti con ridistribuzione dell’actina. L’esito è il danno epiteliale con degradazione della matrice e il rimodellamento della mucosa, iperplasia delle cripte e la ben nota atrofia dei villi. In sintesi, dall’insieme dei dati di tipo fisiopatologico, genetico ed epidemiologico, emerge che il danno alla mucosa intestinale e le sue conseguenti manifestazioni cliniche rappresentano il risultato finale di complesse interazioni fra geni e ambiente. Tra i fattori causali non ancora menzionati, le infezioni intestinali, il momento di introduzione del glutine durante lo svezzamento e lo sviluppo di particolari ceppi nella flora batterica intestinale potrebbero aumentare la permeabilità intestinale e attivare uno stato infiammatorio poi potenziato nei soggetti DQ2/DQ8 positivi.

noscenze acquisite in decenni di studi sono ben sintetizzate nel modello dell’iceberg proposto da Richard Logan nel 1992. Gli esperti concordano nel ritenere che la maggior parte della malattia (70-80% dei casi) sia ad oggi non diagnosticata (parte sommersa dell’iceberg), mentre solo una piccola percentuale, rappresentabile come la punta dell’iceberg, sia la quota delle diagnosi di malattia. È condiviso che la “dimensione” dell’iceberg sia equivalente nelle varie parti del mondo, mentre ciò che varia da zona a zona è il rapporto tra la parte emersa/sommersa ossia il rapporto tra diagnosticati e non diagnosticati (da 1:2 in Finlandia a 1:20 in Argentina). Soggetti con CD non trattata a lungo termine hanno un elevato rischio di complicazioni benigne o maligne quali: aumento del rischio di cancro, linfoma maligno, tumore del piccolo intestino o orofaringeo, infertilità, osteoporosi, fratture ossee, con alcuni studi che riportano una mortalità doppia rispetto alla popolazione generale. La diagnosi tempestiva può migliorare la salute psico-fisica del paziente a breve termine e, a lungo termine, ridurre il rischio di mortalità per patologie associate. Per contro, una diagnosi non corretta di MC può costringere il soggetto a un trattamento inutile di dieta priva di glutine, con le relative implicazioni per sé e per l’intorno familiare. Epidemiologia

Importanza della diagnosi

Il corretto inquadramento diagnostico della varie forme di celiachia rappresenta ancora oggi una sfida per il professionista e deriva dalla valutazione clinica-sintomatologica, dal dosaggio dei marcatori sierologici e dell’eventuale esito della biopsia intestinale. Negli adulti il gold standard per la diagnosi rimane la biopsia dell’intestino tenue con sierologia positiva. Ricordiamo che ogni indagine relativa all’accertamento di patologia celiaca deve avvenire in dieta contenente glutine, fondamentale per evitare falsi negativi alla diagnosi. Seppur la frequenza delle diagnosi sia in continuo aumento, le co-

La prevalenza di MC a livello mondiale è intorno allo 0,6-1%, con ampie differenze tra paesi per cause ancora non identificate: in Germania la prevalenza è dello 0,3%, in Finlandia del 2% come confermato da un recente studio multicentrico condotto in Europa. Sebbene i primi studi epidemiologici considerassero la MC come caratteristica delle popolazioni di origine caucasica prevalentemente distribuite in Europa e Nord America, studi condotti in altre aree confermano che la malattia è un disordine comune presente anche nei paesi in via di sviluppo, quali alcuni paesi del nord Africa, in India e in Pakistan così come in alcune zone della Cina. ottobre 2015

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In Italia, la prevalenza della celiachia calcolata sulla base del censimento dei soggetti affetti nel 2013 risulta intorno allo 0,27%. A fine 2013 si registrano 164.492 diagnosi (3.000 diagnosi circa in più rispetto al 2012), a fronte di un più alto numero teorico di celiaci stimato sulla base della prevalenza, pari a circa 600.000 soggetti, in tutto il paese; si stima quindi che vi siano 430.000 celiaci senza diagnosi. Vi è una differenza di genere nella prevalenza registrata: la patologia è più frequente nel genere femminile rispetto al maschile (0,37% vs. 0,16%); a fine 2013 tra i pazienti, 47.837 sono maschi e 115.933 sono femmine. In pratica, per ogni maschio celiaco vi sono due femmine affette, ma il classico rapporto medio maschi:femmine pari a 1:2 può arrivare in alcune regioni fino a 1:3. La popolazione celiaca sul territorio italiano nel 2013 risulta così distribuita: 46% al nord, 22% al centro, 19% al sud e 13% nelle isole. Le regioni con più diagnosi in età adulta sono: Lombardia, Lazio, Campania e Sicilia; la regione con meno celiaci è la Valle d’Aosta. Esordio della malattia

“Malati di celiachia” non si nasce, ma si nasce con la predisposizione genetica ad ammalarsi, che in presenza dei fattori causali sopra discussi può slatentizzare nelle varie forme della MC. La patologia può pertanto esordire a varie età, dall’in-

Figura 2 - Celiachia in Italia per fasce di età e regione. Fonte: Relazione annuale al Parlamento, anno 2013, Ministero della Salute, Direzione Generale per l’Igiene e la Sicurezza degli Alimenti e la Nutrizione.

fanzia alla vecchiaia, e compromette la capacità dell’organismo di assorbire sostanze nutritive, come conseguenza dell’atrofia dei villi a livello intestinale, di grado correlato con l’estensione e il danno fisico della mucosa interessata. Sebbene il pensiero comune tra i non addetti ai lavori tenda ad affermare che la celiachia è una patologia dell’infanzia o dell’età evolutiva, i dati dimostrano che la maggior parte dei celiaci sono in età adulta; questo a supportare l’evidenza che la malattia può avere esordio tardivo e/o che questa fascia di popolazione è quella che si sottopone maggiormente all’indagine diagnostica (fig. 2).

La componente alimentare

Il glutine è, in sintesi, la frazione proteica alcolsolubile del frumento, alla quale i celiaci sono intolleranti. Grazie alle sue caratteristiche ha un’ampia versatilità d’impiego nelle produzioni alimentari. Fisicamente è una massa elastica di proteine di deposito con differente solubilità in acqua e alcol; può pertanto essere suddivisa in due frazioni principali rappresentate rispettivamente da proteine solubili in acqua (non glutine) e proteine insolubili in acqua (glutine), che costituiscono la quota prevalente, a loro volta suddivise, per la loro differente solubilità in alcol, in gliadine e glutenine (fig. 3). Il glutine è responsabile delle proprietà di elasticità, coesività e viscosità degli impasti di farine di frumento; ha una struttura quaternaria complessa con caratteristiche fisiche ideali per la produzione di prodotti da forno, difficilmente ritrovabili in altre componenti proteiche alimentari. La sua “plasticità” ha rilevanti implicazioni pratiche, tra cui: l’au-

Figura 3 - Le componenti proteiche del frumento. Fonte: Chinuki Y, Morita E. Wheat-dependent exercise-induced anaphylaxis sensitized with hydrolyzed wheat protein in soap. Allergol Int. 2012 Dec;61(4):529-37.

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l’apparato gastroenterico tra salute e patologia: ruolo di alimentazione e stile di vita

mento di volume dei prodotti da forno lievitati, la capacità di trattenere l’amido durante la cottura della pasta, ecc. L’energia meccanica durante l’impastamento e la presenza di acqua consentono la formazione di un reticolo glutinico in cui le proteine passano da una forma folded (ripiegata) a una forma unfolded (distesa) che tende ad assumere una disposizione allineata, caratteristica della composizione fibrosa dell’impasto. La presenza di legami idrogeno con le molecole di acqua consente di tenere le proteine separate e, durante l’impastamento, la formazione di crosslink permette di aumentarne la resistenza e di stabilizzarne la struttura ma allo stesso tempo di rendere l’impasto “estensibile” e in grado di catturare, proprio come fosse una rete, i prodotti gassosi della lievitazione che ne permettono l’espansione fino all’ottenimento della forma desiderata e, punto fondamentale, consentono di mantenerla immodificata fino a fine cottura/preparazione. Tossicità del glutine per il celiaco

L’impossibilità degli enzimi dell’apparato gastroenterico di digerire completamente il glutine, imputabile alla presenza di un elevato contenuto di residui di prolina, aminoacido particolarmente resistente all’azione di tripsina e pepsina, determina la tossicità del glutine

in soggetti celiaci. A contatto con la superficie assorbente della loro mucosa intestinale si otterranno quindi peptidi di circa 10 aminoacidi, anziché singoli aminoacidi o dipeptidi che normalmente derivano dai fisiologici processi di digestione proteica in soggetti sani. La prolamina, una delle frazioni proteiche che costituiscono il glutine, è la responsabile dell’effetto tossico per il celiaco; il suo contenuto nel glutine è considerato mediamente pari a circa il 50%. Presenza del glutine in natura

Tecnicamente il glutine si ritrova esclusivamente nel frumento. Anche segale e orzo contengono proteine di deposito che possono scatenare l’enteropatia, ma non si possono definire propriamente glutine, piuttosto queste proteine, rispettivamente secalina e ordeina, sono prolammino-simili. La loro capacità tossica è derivata principalmente dalle seguenti evidenze scientifiche: z tassonomicamente sono cereali appartenenti alle triticacee della famiglia delle graminacee, dando evidenza indiretta dell’omologia nella sequenza aminoacidica di composizione dei peptidi, associata a vario grado di effetto tossico (tab.1); z studi clinici indicano che i celiaci reagiscono anche all’ingestione di orzo e segale e, fondamentale, la loro condizione migliora in seguito alla privazione di questi cereali.

tabella 1 - cereali e relative prolammine: tossicità in soggetti celiaci composizione 35% Q; 17-25% P 35% Q; 17-25% P 35% Q; 17-25% P Q, iP i Q, A, L i Q, A, L i

i

prolammine gliadine ordeine secaline avenine orizine zeine

i

cereale frumento orzo segale avena riso mais

tossicità +++ + + ? -

A = alanina; L = leucina; P = prolina; Q = glutammina Modificata da: Effetti immunologici di orzo, segale, avena sulla mucosa intestinale di soggetti celiaci. Tesi in Dottorato di Ricerca, dott. M. di Tola.

A causa della presenza di prolammine o molecole prolammino-simili, il celiaco deve evitare cereali quali farro, frumento, orzo, segale, kamut, spelta, triticale, frik-grano egiziano, monococco, germe di grano e tutti i loro ceppi ibridati o da essi derivati; è invece consentito il consumo di riso, mais, miglio, sorgo, grano saraceno, amaranto e quinoa, naturalmente privi in glutine. Un lungo dibattito vede tutt’oggi impegnati i professionisti del settore riguardo al possibile consumo di avena, un cereale di cui si vorrebbe evitare l’esclusione perché potrebbe essere molto importante nella dieta grazie al suo contenuto in fibra. Seppur recenti evidenze sperimentali e trial clinici hanno concluso che l’avena è ben tollerata dalla maggior parte dei soggetti celiaci, allo stato attuale delle conoscenze l’Associazione italiana celiachia adotta il principio di precauzione secondo cui servono più accurate definizioni delle specifiche caratteristiche delle tipologie di avena maggiormente adatte alla dieta senza glutine, prima di consigliarne il consumo ai celiaci. Alimenti privi di glutine

Il regime alimentare privo di glutine prevede il consumo di alimenti naturalmente privi e di prodotti dell’industria alimentare, definiti gluten free (GF) e normati dal Regolamento CE 41/2009 del 20 gennaio 2009 (in applicazione del Codex Alimentarius europeo) relativo alla composizione e all’etichettatura dei prodotti alimentari adatti alle persone intolleranti al glutine. La normativa definisce “senza glutine” i prodotti con contenuto di glutine <20 ppm (20 mg/kg di prodotto finito), applicabile sia ai prodotti distribuiti attraverso il canale delle farmacie sia a quelli destinati al consumatore generale, che rispettino comunque il limite di 20 ppm. Possono essere definiti senza glutine anche i prodotti ottenuti con l’impiego di materie prime derivanti da cereali vietati all’origine (per es. amido di frumento), purché lavorati al fine di garantire un contenuto in glutine <20ppm nel prodotto finito. Le diciture riguardanti le informazioni fornite ai consumatori devono rispettare i seguenti requisiti: ottobre 2015

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z “senza

glutine”, consentita solo ove il contenuto in glutine dell’alimento venduto al consumatore finale non sia superiore a 20 mg/kg; z “con contenuto di glutine molto basso”, consentita solo dove il contenuto in glutine dell’alimento venduto al consumatore finale, consistente in uno a più alimenti ricavati da frumento, segale, orzo, avena o da loro varietà incrociate, specialmente lavorati per ridurre il contenuto in glutine o contenente uno o più di tali ingredienti, non sia superiore a 100 mg/kg; z per alimenti contenenti avena, l’avena contenuta in un alimento presentato come “senza glutine” o “con contenuto di glutine molto basso” deve essere stata specialmente prodotta, preparata e/o lavorata in modo da evitare contaminazione da parte di frumento, segale, orzo, o da loro varietà incrociate, e il suo contenuto non deve superare i 20 mg/kg. Gli alimenti gluten free consentiti al celiaco e reperibili in commercio in Italia sono quindi: z alimenti naturalmente privi di glutine, non pre-lavorati/lavorati z alimenti senza glutine presenti nel Registro nazionale dei prodotti destinati a una alimentazione particolare del ministero della Salute (Decreto Legislativo 111/92), contraddistinti da logo verde z alimenti di uso corrente con dicitura “senza glutine” (Regolamento 41/2009) z prodotti con il marchio Spiga Barrata (marchio registrato di proprietà delle Associazioni dei pazienti celiaci) z prodotti presenti nel Prontuario degli Alimenti Aic (Associazione italiana celiachia) Stato nutrizionale nel paziente celiaco prima e dopo dieta senza glutine

La malattia celiaca (MC) influisce sullo stato nutrizionale del paziente affetto sia prima della diagnosi, a causa del malassorbimento, sia in seguito ossia all’inizio della terapia dietetica, a causa dell’esclusione del glutine. In particolare, nel passato i pazienti si presentavano con uno stato nutrizionale alla diagnosi particolarmente compromesso poiché que18

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sta era più tardiva e spesso effettuata solo nei casi sintomatici con grave danneggiamento dell’intestino. Oggigiorno lo stato nutrizionale del paziente non trattato dipende dal tempo intercorso tra l’esordio della malattia e il suo trattamento, dall’estensione del danno intestinale e dal grado di malassorbimento. È noto che lo spettro di presentazione clinica della MC è molto ampio e variabile, classicamente include steatorrea, deficit di vitamine liposolubili, malassorbimento di ferro, acido folico e calcio. Carenze di tali micronutrienti sono molto frequenti poiché la sede del loro assorbimento è il primo tratto dell’intestino ossia il tratto più interessato dalla MC. Grazie al miglioramento degli strumenti diagnostici a nostra disposizione, non tutti i pazienti adulti diagnosticati presentano un quadro classico di sottopeso e malnutrizione. Tuttavia, indipendentemente dall’indice di massa corporea, si consiglia uno screening dei deficit nutrizionali più comuni prima e dopo l’inizio della dieta glutine priva, al fine di personalizzare e integrare la terapia medico nutrizionale per il raggiungimento di una stabilizzazione clinica efficiente e completa. Le principali carenze nutrizionali conseguenti al malassorbimento vengono colmate dopo l’inizio della dieta senza glutine che porta a ricostituzione dell’integrità anatomo-funzionale della mucosa intestinale e alla ripresa del normale assor-

bimento di nutrienti. Infatti, obiettivi della dieta gluten free sono il miglioramento delle condizioni della mucosa intestinale e la reversione del malassorbimento, l’eliminazione dei sintomi, il recupero e il mantenimento dello stato di benessere, la prevenzione delle complicanze. Una volta instaurata la dieta senza glutine bisognerà quindi porre attenzione ai rischi nutrizionali legati all’esclusione dall’alimentazione dei cereali contenenti glutine; seppur il glutine in sé non sia nutriente indispensabile e il termine “dieta priva di glutine” sia associato all’idea di una alimentazione salutare, intesa come adeguata alle richieste nutrizionali, al soddisfacimento dei fabbisogni energetici e frequentemente percepita come sostenibile da un punto di vista ambientale, vi sono diversi studi che indicano che in pazienti a dieta priva di glutine per lunghi periodi (8-12 anni) si possono riscontrare inadeguati introiti di alcuni nutrienti quali fibre, minerali e vitamine, predisponendo all’aumentato rischio di insorgenza di condizioni patologiche quali stipsi, eccesso ponderale e deficit nutrizionali importanti. In particolare, le principali carenze cui vanno incontro i pazienti celiaci riguardano l’introito di fibra alimentare, folati, niacina e vitamina B12. Inoltre, i pazienti celiaci a dieta senza glutine da diversi anni presentano un maggior rischio di malnutrizione per eccesso e sindro-


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me metabolica; tale rischio è stato messo in relazione al possibile maggior consumo di cibi ricchi in grassi di scadente qualità (saturi e trans), nonché di zuccheri e sale. Rispetto allo stato ponderale, aumenti di Imc, desiderati o indesiderati, dopo il trattamento dietetico sono probabilmente di origine multifattoriale. Vari autori suggeriscono che il miglioramento dell’assorbimento di nutrienti così come lo stile di vita e le scelte alimentari giocano probabilmente un ruolo importante nelle variazioni ponderali osservate. Studi che hanno indagato la composizione degli alimenti gluten free mostrano che i celiaci possono incorrere in aumento di consumo di prodotti a elevato contenuto di grassi, zuccheri, proteine animali – e quindi di calorie – con eccessivo introito di grassi saturi; da qui è stato ipotizzato che una dieta a stretto regime gluten free possa rappresentare un fattore di rischio di patologie cardiovascolari in quanto orienterebbe i pazienti a scelte nutrizionalmente non sempre del tutto corrette; inoltre l’osservazione alla diagnosi di bassi livelli di colesterolo HDL rappresenterebbe un ulteriore fattore di rischio, anche se in questo momento diagnostico non è infrequente trovare bassi livelli di colesterolo totale forse attribuibile al malassorbimento. In assenza di dati incontrovertibili, si suggerisce una corretta valutazione del profilo lipidico alla diagnosi e follow-up dopo dieta gluten free che, risolvendo il malassorbimento, può causare aumento dei livelli ematici di colesterolo totale ma può anche modulare/normalizzare i livelli di HDL e di conseguenza “riassestare” il rapporto t-Col/HDL. Carenza di ferro

L’anemia sideropenica è la più comune manifestazione extraintestinale della MC, essendo presente nel 49% circa dei pazienti adulti ed essendo più frequentemente riscontrata nel sesso femminile. La celiachia, pertanto, dovrebbe essere presa in considerazione nella diagnosi differenziale delle anemie sideropeniche dato che il deficit di ferro può essere la

sua unica manifestazione clinica. L’8% dei casi di anemia sideropenica resistenti alla terapia marziale può essere infatti attribuito a MC. I livelli di ferro tornano generalmente alla normalità seguendo una dieta gluten free, sebbene possa persistere un deficit fino al completo ripristino dell’integrità della mucosa intestinale e delle riserve marziali. Nei pazienti con grave deplezione delle riserve di ferro e anemia, è raccomandabile consigliare una dieta ricca in ferro o valutare una terapia integrativa, considerato che alcuni degli alimenti permessi ai celiaci hanno scarse quantità di ferro mentre altri che ne sono più ricchi (per es. il teff) non hanno grande diffusione in tutti i paesi. La terapia integrativa dovrebbe essere prescritta per una durata totale di 6 mesi dall’inizio della dieta gluten free, ossia il periodo minimo ritenuto necessario a normalizzare l’anatomia della mucosa intestinale. In ogni caso, bisogna sempre ricordare di associare all’integratore di ferro la vitamina C, al fine di ottimizzarne il dosaggio. In questi pazienti è utile il monitoraggio di ferritina anche in seguito all’inizio della terapia dietetica. Carenza di acido folico

Nei pazienti non trattati la gravità dell’atrofia dei villi intestinali correla con bassi livelli di folati e iperomocisteinemia. La carenza di acido folico è stata documentata in letteratura con una prevalenza che varia dall’8 all’85% degli adulti affetti, a seconda della casistica presa in considerazione. Molti studi, tuttavia, evidenziano tale carenza anche nei pazienti che seguono dieta senza glutine da anni, con sierologia negativa e nessun segno di danno istologico. Tale osservazione sarebbe supportata da altri studi da cui è emerso che i pazienti in terapia dietetica per MC hanno un basso introito di acido folico a causa del contenuto inferiore di tali nutrienti nei prodotti privi di glutine rispetto ai normali prodotti contenenti glutine. È stato quindi suggerito lo screening di tale carenza per tutti i pazienti affetti da MC, indipendentemente dalla terapia dietetica e con particolare attenzione ai sogget-

ti di sesso femminile in età fertile per il potenziale aumentato rischio di gravidanze patologiche. L’integrazione di acido folico è consigliata per tutti quei pazienti che arrivano alla diagnosi con un deficit di tale nutriente. Alcuni studi, inoltre, suggeriscono che l’integrazione di acido folico e vitamina B12 per 6 mesi migliori significativamente lo stato di depressione e ansia dei pazienti affetti da MC da lungo tempo. Questi studi, nonostante necessitino di ulteriori conferme, supportano l’ipotesi che l’attenuazione dei sintomi psichiatrici dei pazienti con MC può essere ottenuta con l’integrazione di acido folico e vitamine del gruppo B. Carenza di vitamina B12

Il deficit di vitamina B12 è sempre stato considerato poco frequente poiché l’assorbimento di tale nutriente avviene nell’ileo, parte solitamente risparmiata dalla MC. Tuttavia, alcuni studi hanno dimostrato un dosaggio di vitamina B12 insufficiente nel 5-41% dei pazienti celiaci non trattati. I suoi livelli ematici sembrano essere indipendenti dalla presentazione clinica della MC, dal grado di atrofia dei villi intestinali e dal sesso del paziente. La carenza di tale vitamina è solitamente lieve e viene colmata con la dieta senza glutine a meno che sia concomitante lo stato di anemia perniciosa o di insufficienza pancreatica. Carenza di vitamina D e calcio

La carenza di vitamina D e calcio è molto frequente in caso di MC. Sia l’osteopenia che l’osteoporosi sono state descritte in circa il 50% dei pazienti affetti da MC, che risultano quindi avere un rischio di frattura aumentato rispetto alla popolazione generale. I meccanismi attraverso cui si instaurano tali deficit sono ascrivibili al malassorbimento e al ridotto introito conseguente alla frequente presenza di intolleranza al lattosio e quindi all’esclusione dei prodotti derivati dal latte; il 62% dei pazienti celiaci non introduce la dose giornaliera raccomandata di vitamina D. Attualmente, a tutti i soggetti affetti da MC è consigliato un esame Dexa in sede ottobre 2015

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di diagnosi o follow-up. Sia nei casi di osteopenia sia per i pazienti che hanno un basso intake o una ridotta densità minerale ossea si rende necessaria la terapia integrativa. I livelli di vitamina D e calcio, nonché la densità minerale ossea, migliorano significativamente in seguito a 1-2 anni di dieta gluten free. Particolare attenzione va tuttavia rivolta alle donne in età menopausale, in cui possono persistere ridotti valori di densità minerale ossea, nonostante la dieta gluten free. In questi casi l’integrazione di calcio e vitamina D a lungo termine previene un’ulteriore perdita ossea. Bisogna inoltre ricordare che l’osteomalacia può rappresentare una forma clinica di presentazione della MC nell’adulto, laddove si sia instaurato un grave deficit di vitamina D. In questi casi, la combinazione della dieta gluten free con la terapia integrativa di vitamina D porta a un miglioramento dei sintomi e alla normalizzazione dei livelli di calcio.

trienti non è richiesto alla diagnosi poiché tali deficit sono velocemente reversibili una volta che il paziente inizia la dieta gluten free. È stato riportato che più del 50% dei pazienti affetti da MC non trattati hanno un deficit di zinco. Tale carenza si instaura a causa del malassorbimento, della chelazione da parte degli acidi grassi, della perdita eccessiva dovuta alla enteropatia protido-disperdente e alle aumentate richieste dovute al maggiore turnover degli enterociti. Il deficit di zinco favorisce un ritardo di crescita e maturazione sessuale, ipogeusia e mancata cicatrizzazione. Probabilmente alcuni segni e sintomi associati alla celiachia sono correlati a questo deficit. La carenza di zinco viene generalmente colmata dopo un anno di dieta senza glutine stretta, non rendendo necessaria alcuna integrazione. Il deficit di magnesio è riportato in circa il 20% dei casi non trattati e può persistere a causa del contenuto relativamente scarso in magnesio di alcuni alimenti senza glutine.

Altre carenze di micronutrienti

I pazienti affetti da MC possono presentare anche carenze di vitamina B6, zinco, magnesio, rame e selenio. Tuttavia uno screening di tali nu-

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Counselling per una corretta alimentazione gluten free

La terapia nutrizionale del paziente celiaco non

deve solo escludere in maniera stretta il glutine, ma deve essere bilanciata, apportando un giusto quantitativo di micro e macronutrienti di qualità elevata. Il corretto counselling nutrizionale al paziente celiaco deve essere orientato ai seguenti comportamenti. z Incoraggiare il consumo di alimenti naturalmente privi di glutine, prima dei prodotti trasformati. Attualmente il mercato sembra aver riscoperto alcuni cereali che risultano adatti all’alimentazione del celiaco, ampliando la possibilità nella scelta dei chicchi; proporre al paziente alimenti per lui nuovi può contribuire ad aumentare l’aderenza alla dieta, distogliendolo da un’alimentazione monotona. z Tra gli alimenti naturalmente privi e quelli trasformati, preferire quelli di tipo integrale (per es. riso integrale invece di riso brillato). La maggior parte dei prodotti senza glutine è preparata con amidi e farine raffinate private della parte esterna del chicco ricca di fibra, minerali e vitamine del gruppo B, può portare a un effettivo rischio di carenza di assunzione. Si consideri che nella popolazione italiana il gruppo dei cereali e derivati fornisce il 42% degli apporti di fibra, ma gli alimenti che ne apportano maggiormente non sono consentiti ai celiaci (per es. crusca di frumento 42g/100g, farina di segale 14g/100g; la farina più povera in fibra è proprio quella di riso adatta ai celiaci, che ne contiene 1g/100g). z Promuovere abitudini che consentano un aumento dell’intake di fibra ovvero consumare frutta ben lavata con la buccia ogni qualvolta possibile, preferire pane o sostituti di tipo integrale, muesli gluten free a colazione, preferire zuppe con cereali gluten free e legumi, inserire frutta secca nell’alimentazione quotidiana in quantità caloricamente adeguata a mantenere il peso corporeo nel range di normalità. z Incrementare la scelta anche di prodotti gluten free arricchiti in fibre, ad esempio con crusca di riso e/o semi di lino e/o altri ingredienti. È infatti da sottolineare che il consumo di alimenti arricchiti è minimo nella popolazione italiana


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tabella 2 - composizione bromatologica dei più comuni cereali Unità Amaranto Riso Mais Grano Quinoa Teff Miglio Avena Frumento Orzo Farro di misura integrale giallo saraceno Energia

Kcal/100g 371 362 365 343 368 367 378 389 339 352 338

Proteine g 13.56 7.5 9.42 13.25

14.2 13.3 11.02 16.89 13.68 9.91 14.57

Lipidi

g

7.02 2.68 4.74

6.07 2.38 4.22 6.9 2.47 1.16 2.43

Glucidi

g

67.3 76.17 74.26 71.5 64.16 73.13 72.85 66.27 71.13 77.72 70.19

Fibre

g 6.7 3.4 7.3

3.4

10.0 7.0 8.0

8.5

10.6 d.n.p 15.6 10.7

159 33 7 18 47 180 8 54 34 29 27 Calcio mg Ferro mg 7.61 1.8 2.71 2.2 4.57 7.63 3.01 4.72 3.52 2.5 4.44 Zinco

mg

2.87 2.02 2.21 2.4 3.1 3.63 1.68 3.97 4.16 2.13 3.28

Magnesio mg 248 143 127 231 197 184 114 177 144 79 136 Folati ug 82

20 19 30 184 d.n.p 85 56 43 23 45

Naturalmente privi di glutine (sfondo verde, permessi al celiaco), contenenti glutine (sfondo arancione, non permessi al celiaco); avena: vale il principio di precauzione enunciato nel testo (sfondo giallo). In grassetto le quantità significative dello specifico nutriente; dnp = dato non presente. Fonte: USDA National Nutrient Database for Standard Reference 27.

generale e non vi sono dati sulla popolazione di celiaci che ne fanno uso o che ricorrono all’integrazione con specifici prodotti di sole fibre. z Promuovere il consumo di almeno 5 porzioni di frutta e verdura al giorno, ricche in vitamine, minerali, fitonutrienti e antiossidanti; i dati di popolazione generale indicano che in tutte le fasce di età i loro consumi sono lontani dai livelli raccomandati. z Promuovere il consumo di alimenti naturalmente ricchi in ferro e folati, ricordando di abbinare agli alimenti ricchi in ferro alimenti ricchi in vitamina C. z Favorire il consumo di alimenti fortificati/arricchiti in ferro e folati. z Incoraggiare il consumo di cereali e pseudocereali come importante fonte di proteine vegetali e di buon valore biologico quali ad esempio amaranto e grano saraceno; le proteine vegetali naturali hanno valore nutrizionale ma anche di biosostenibilità, sono sicure per la salute e a basso costo. z Tra i prodotti trasformati, preferire quelli a minor densità calorica, con ridotto apporto di acidi grassi saturi e trans. Ricordare che i celiaci

tendono a compensare ciò che reputano un’alimentazione “restrittiva”, rischiando un eccesso di intake calorico e di grassi di scarsa qualità. Dalla bromatologia dei più comuni cereali (tab. 2) si rileva che amaranto, grano saraceno e quinoa apportano quantità significative di proteine vegetali; grano saraceno, teff e miglio sono da preferire per il loro contenuto in fibra; amaranto e teff possono contribuire a soddisfare il fabbisogno di calcio e di ferro; amaranto e grano saraceno hanno un contenuto in magnesio superiore ad altri cereali gluten free; rispetto ai folati un contributo rilevante può essere dato da quinoa, amaranto e miglio. Riflessioni su dieta gluten free e compliance

Se da un lato la stretta aderenza alla dieta ha un impatto fondamentale per garantire la salute dei celiaci, dall’altro il loro livello di compliance alla dietoterapia può ripercuotersi sulla qualità di vita, tanto da essere oggetto di studio in tutta Europa. Indagini volte a rilevare l’atteggiamento e volontà di evitare l’ingestione di alimenti con glutine indicano che non tutti i pazienti ri-

escono ad attenervisi fedelmente e con massima continuità. Secondo alcune casistiche addirittura il 30-40% di essi non la segue in modo rigoroso a causa di molteplici fattori, tanto che sulla base di varie osservazioni Collin e coll. ritengono che un’alimentazione gluten free assoluta e completa sia in pratica impossibile da ottenere sul lungo periodo. Questionari sono stati somministrati a un campione costituito da 2.853 pazienti evidenziando che, seppur l’89% non ha mai assunto alimenti con glutine, vi è una quota di circa il 33% di soggetti tentati dall’idea di non seguire le indicazioni nutrizionali. Il trattamento dietoterapico a lungo termine GF è quindi ancora difficoltoso; il paziente tenta di sfuggirlo. Secondo le indagini il “trasgressore tipo” ha un’età compresa tra i 37-56 anni, un buon grado di inclusione sociale, un lavoro congruo con il proprio livello di scolarizzazione ed è diagnosticato da almeno 6 anni. Conclusioni

Nella dieta GF vi è una complessa relazione tra abitudini alimentari individuali, caratteristiche della dieta e adeguatezza nutrizionale degli intake. Alcune inadeguatezze possono dipendeottobre 2015

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re dalle specifiche scelte dei pazienti, mentre altre sembrano specificamente correlate alla dieta GF, altre ancora possono derivare da una combinazione tra scarsa varietà alimentare e deficienze tipiche degli alimenti GF: per esempio il ridotto intake di fibre può essere attribuibile a scelte alimentari non del tutto corrette unitamente alle proprietà dei cereali e dei prodotti dell’industria gluten free. Molte sono le azioni in atto per ridurre gli ostacoli a una precisa aderenza e a una corretta variabilità nelle scelte alimentari sul lungo termine: dal miglioramento delle informazioni al consumatore alla reperibilità di prodotti di sempre maggiore qualità nutrizionale, ai prezzi al consumo, al coinvolgimento delle parti interessate nella ristorazione collettiva o fuori casa. Capire le motivazioni che oggigiorno, nonostante l’enorme disponibilità di prodotti GF sul mercato, portano a desiderare una “via di fuga” può essere utile a migliorare le condizioni di aderenza al trattamento. Unitamente a tutto ciò è desiderabile iniziare a proporre al paziente una nuova modalità di approccio ovvero interpretare la necessità di cibi senza glutine come l’occasione per conoscere e per avvicinarsi a sapori e alimenti mai provati prima, ma già ampiamente diffusi tra le popolazioni dove il glutine non è così presente in cucina. Si tratta quindi di cambiare la prospettiva, scegliendo insieme al paziente, sulla base delle necessità dietoterapiche individuali, che cosa aggiungere per migliorare gli apporti nutrizionali piuttosto che focalizzarsi su che cosa eliminare, vivendo la dieta gluten free come una restrizione socialmente discriminatoria e psicologicamente inficiante. Un piccolo passo per i professionisti di riferimento che, se opportunamente condiviso e adeguatamente supportato, può rivelarsi un passo importante per ogni paziente celiaco di tutte le fasce di età. n Bibliografia

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DOMANDE ECM A. Se un soggetto è predisposto alla malattia ma non mangia glutine per tutto l’arco della vita, presenterà la malattia celiaca? 1 Sì, a un certo punto della sua vita q 2 No, non diventerà mai celiaco q 3 Presenterà i sintomi (tutti o alcuni), ma avrà una sierologia negativa q 4 Presenterà comunque tutti i segni e sintomi diagnostici suggestivi q della patologia

2 Il glutine può essere presente come ingrediente in tutti i prodotti q

B. Elemento caratterizzante la patologia è che: 1 l’eliminazione del glutine consente di ottenere la normalizzazione q della morfologia della mucosa intestinale ma non necessariamente della sua funzionalità 2 l’eliminazione del glutine causa un ripristino sia della morfologia q sia della funzionalità della mucosa intestinale; una volta ottenuto lo stato fisiologico, la reintroduzione di glutine non può causare recidiva 3 l’eliminazione del glutine esita nella normalizzazione morfologica q e funzionale della mucosa intestinale; la reintroduzione di glutine è causa di recidiva 4 una ridotta introduzione di glutine, al di sotto di 100 ppm/die, q risolve la patologia in tutti i soggetti

F. Nei celiaci è frequente il riscontro di carenza di vitamina D e calcio: 1 perché il malassorbimento intestinale e ridotto introito di prodotti q caseari, conseguente alla possibile presenza di intolleranza al lattosio, possono causare deficit di tali nutrienti 2 perché il malassorbimento intestinale ne riduce significativamente q l’assorbimento 3 perché, seppur i cereali per celiaci siano ricchi in questi nutrienti, le q carenze non vengono colmate dalla sola dieta GF 4 in realtà il riscontro di carenza di tali nutrienti non è frequente se q non nelle donne in età peri-menopausale

C. Quale affermazione è corretta? 1 La prevalenza della MC non presenta differenze di genere q 2 La MC è più frequente nel genere maschile rispetto al genere femq minile 3 La MC è più frequente nel genere femminile rispetto al genere maschile q 4 Allo stato attuale delle conoscenze è possibile affermare che la MC q presenta alcune differenze di genere, ma non nei dati di prevalenza, che sono equivalenti tra uomini e donne

che derivano dalla lavorazione dei cereali contenenti glutine 3 Il glutine può essere presente per contaminazione durante le fasi di q lavorazione industriale o quelle relative alle varie preparazioni culinarie 4 Il glutine non può essere mai aggiunto, per legge, sotto forma di q additivo nella preparazione di salumi, sughi, salse, gelati, confetture, surimi ecc.

G. Farine e/o derivati da alimenti naturalmente privi di glutine come riso, cocco, ecc. sono sempre adatti per il celiaco? 1 Sì, perché la materia prima è di fatto priva di glutine q 2 No, rientrano nella categoria dei prodotti “a rischio” per cui è neq cessario verificare sempre la loro idoneità 3 Sono idonei solo quelli presenti nel prontuario AIC q 4 Sono sempre idonei in quanto il loro contenuto in glutine sarà q comunque al di sotto della soglia fissata per legge

H. La diagnosi di celiachia nell’adulto richiede che i soggetti seguano una dieta gluten free per il periodo prima dell’indagine? 1 No, l’attuale gold standard per la diagnosi prevede che i pazienti q non siano messi a dieta priva di glutine prima delle indagini diagnostiche per non incorrere nel rischio di falsi negativi 2 È indifferente, le indagini diagnostiche in soggetti a dieta priva q sono oggi in grado di individuare comunque i soggetti celiaci, sulla base degli accertamenti genetici 3 È fondamentale che il paziente non elimini il glutine dalla dieta q prima di sottoporsi alle indagini diagnostiche, solo nel caso in cui si sospetti una celiachia “latente”, che la presenza di glutine contribuirebbe così a evidenziare E. Quale delle seguenti affermazioni non è corretta? 4 La necessità della presenza di glutine nella dieta di un paziente che deve sot1 Il glutine può essere presente naturalmente nelle materie prime/ q q toporsi a diagnosi di certezza dipende dal tipo di esame che si intende effettuare alimenti D. In sintesi, il glutine è: 1 la frazione proteica del frumento, solubile in acqua, alla quale i q celiaci sono intolleranti 2 la frazione proteica di molti cereali tra cui frumento, segale, orzo; è q alcol solubile ed i celiaci ne sono intolleranti 3 L’insieme di tutte le proteine di deposito di frumento, segale, orzo; è q una frazione solubile in acqua ed i celiaci ne sono intolleranti 4 la frazione proteica del frumento alcol-solubile alla quale i celiaci q sono intolleranti

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SALUTE&BENESSERE_benefici dell’esercizio fisico

Quale nesso tra attività fisica e patologie gastrointestinali? Recenti studi hanno evidenziato il ruolo determinante che una moderata attività fisica è in grado di svolgere nella prevenzione di alcune delle principali patologie dell’apparato gastroenterico

A

d oggi gli effetti dell’attività fisica (Af) sulle patologie dell’apparato gastroenterico (Pag) sono oggetto di numerose discussioni e divergenze. Molte delle evidenze sono deboli e alcuni lavori ottengono risultanti contrastanti tra loro. È naturale che gli specialisti manifestino pareri discordanti sull’utilizzo dell’esercizio nel trattamento delle patologie di tale apparato. Tuttavia, analizzando con attenzione le fonti a disposizione, è comunque possibile ipotizzare una linea capace di supportare coloro che desiderano capire se sia utile o meno consigliare l’attività fisica. Alcuni studi recenti hanno rivelato una relazione inversa tra attività fisica e il rischio di sviluppare alcune delle principali patologie dell’apparato gastroenterico come cancro del colon, diverticoliti, colelitiasi e costipazione (1). Nuove evidenze stanno emergendo anche sui benefici dell’attività fisica su altre malattie come la steatosi epatica non alcolica,

la sindrome dell’intestino irritabile e le patologie correlate al suo stato infiammatorio. All’opposto studi recenti hanno evidenziato il rischio indotto sulle patologie dell’apparato gastroenterico dall’esercizio molto intenso. È fondamentale rammentare che il numero di persone attive è relativamente basso e decresce con l’età; di contro, la prevalenza della maggior parte di queste patologie è relativamente alta e aumenta con l’età.

di Luca Marin e Matteo Vandoni Laboratorio di attività motoria adattata (Lama) Università di Pavia

Neoplasie gastrointestinali

Evidenze suggeriscono che l’attività fisica riduce il rischio di sviluppare neoplasie gastriche e pancreatiche (2,3). In particolare uno studio prospettico, della durata di 9 anni, che ha coinvolto 420.449 partecipanti, ha trovato un’associazione inversa tra neoplasia gastrica e tempo di pratica del ciclismo e dello sport. Una revisione sistematica di 28 studi ha individuato una relazione diretta tra riduzione di ottobre 2015

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SALUTE&BENESSERE_benefici dell’esercizio fisico

Bibliografia

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rischio di cancro del pancreas e alti livelli di attività fisica, sia strutturata che relativa alle attività quotidiane (3). Nonostante notevoli differenze metodologiche sulla quantità e la tipologia di attività fisica, esistono consistenti evidenze che, indipendentemente dal genere, le persone attive riducono il rischio di cancro al colon (4,5). Uno studio effettuato da Friedenreich et al. ha concluso che 2 ore al giorno di attività fisica moderata o 1 ora di attività vigorosa sono associate a una riduzione del rischio di contrarre il cancro al colon che varia dal 20% al 25% (6). Il razionale potrebbe essere individuato nel ridotto tempo di transito intestinale, favorito dall’attività fisica, che diminuisce il contatto tra la mucosa intestinale e gli agenti cancerogeni. Inoltre, la pratica dell’attività fisica potrebbe influire positivamente sulla modifica dello stile di vita (7,8).

può aumentare il pericolo di sviluppare ulcera peptica (15,16). Tuttavia le limitazioni presenti in questi studi portano a valutare con attenzione il reale valore delle loro conclusioni. Steatosi epatica non alcolica (Nafld)

La stretta associazione con la sindrome metabolica porta a considerare il rapporto tra steatosi epatica non alcolica (Nafld) e attività fisica inserendolo nel contesto della modifica dello stile di vita e abbinandolo al controllo dell’intake alimentare. I 23 studi considerati in una revisione sistematica hanno analizzato gli effetti sugli indicatori di steatosi, sulle evidenze istologiche di infiammazione e fibrosi e sulla sensibilità all’insulina (17). Sono state rilevate significative diminuzioni di grasso epatico, della concentrazione di aminotransferasi o di entrambe; la correlazione maggiore si è avuta con la perdita di peso.

Reflusso gastroesofageo (Gerd)

Recenti studi hanno dimostrato che attività fisica molto intensa può indurre il reflusso gastroesofageo (Gerd) e che esso è comune tra gli atleti; questo porterebbe a supporre che l’attività fisica sia un fattore di rischio per il reflusso gastroesofageo (9,10). Di contro evidenze recenti evidenziano un’associazione positiva tra reflusso gastroesofageo e attività fisica vigorosa ma non per l’esercizio a intensità moderata (11,12). Inoltre, uno studio retrospettivo norvegese ha dimostrato una correlazione tra il numero di allenamenti di almeno 30 minuti e la diminuzione del rischio di andare incontro ai sintomi del reflusso gastroesofageo (13). Ulcera peptica

Il rapporto tra ulcera peptica e attività fisica è controverso. Uno studio prospettico di coorte, effettuato su 2.16 cittadini danesi, porterebbe a suggerire che una moderata attività fisica protegga dai disturbi dell’ulcera peptica (14). Studi epidemiologici hanno dimostrato che, indipendentemente da altri fattori di rischio, l’impegno fisico correlato all’attività lavorativa

Colelitiasi

Mentre i primi studi che indagarono la relazione tra attività fisica e colelitiasi hanno ottenuto risultati contrastanti, la maggioranza dei lavori più recenti supportano il ruolo protettivo dell’attività fisica ed evidenziano una relazione diretta dose-risposta (18-20). Un netto rapporto dose-risposta è stato evidenziato da tre studi che hanno rilevato che, indipendentemente dai potenziali fattori di rischio, ci sono forti indicazioni che la colelitiasi sintomatica, oltre che con il controllo del peso e la dieta, può essere prevenuta con l’attività fisica (18,19,21). Due studi prospettici, comparando gli individui più attivi con quelli meno attivi, hanno dimostrato una riduzione del RR tra quelli più attivi e abbinato un aumento del RR a uno stile di vita sedentario (1). Patologie infiammatorie croniche intestinali (Ibd)

Si ritiene che l’attività fisica abbia un effetto protettivo contro l’insorgenza delle patologie infiammatorie croniche intestinali (Ibd), ma la letteratura a supporto di questa ipote-


SALUTE&BENESSERE_benefici dell’esercizio fisico

si è debole e inconsistente. Tuttavia è stato chiarito che l’esercizio non influenza la patologia (22,23). Per questo gli specialisti dovrebbero consigliare attività fisica ai pazienti con Ibd che sono a rischio di sviluppare debolezza muscolare e osteoporosi, specialmente se assumono glucocorticoidi (24). Inoltre l’attività fisica potrebbe diminuire i sintomi e migliorare la salute generale, le manifestazioni extraintestinali, la risposta immunitaria, lo stress percepito e la qualità della vita (24).

17. Thoma C et al. Lifestyle interventions for the

Diverticolosi

La prevalenza di diverticolosi è maggiore tra le persone che svolgono lavori sedentari (25). Esistono numerosi studi che evidenziano l’influenza positiva dell’attività fisica sulla diverticolosi. Uno studio prospettico, effettuato per 4 anni su una coorte di uomini, ha mostrato una relazione inversa tra attività fisica e diverticolosi (26). La riduzione del rischio è stata più forte per attività fisica vigorosa rispetto a quella non vigorosa. Uno studio prospettico del 2009 ha trovato una bassa incidenza di sofferenza diverticolare negli individui fisicamente attivi. Una riduzione di diverticolosi e di sanguinamento è stata osservata nelle persone che praticavano maggiore quantità di attività fisica, la riduzione maggiore si è avuta nel gruppo che ha svolto attività fisica vigorosa (27). Sindrome dell’intestino irritabile (Ibs)

La sindrome dell’intestino irritabile (Ibs) colpisce circa il 15% della popolazione occidentale. Anche se appare naturale utilizzare l’attività fisica nel trattamento dell’Ibs i dati che supportano questo approccio sono limitati. Uno studio randomizzato, effettuato su pazienti con diagnosi di Ibs, ha analizzato due gruppi, uno su cui è stato compiuto un intervento di consulenza e promozione dell’esercizio fisico e uno che ha seguito le normali terapie. Al termine delle 12 settimane, tra i due gruppi, non sono apparse differenze sulla qualità della vita ma il gruppo dell’esercizio ha evidenziato un

significativo miglioramento dei sintomi riferiti alla costipazione (28). Uno studio basato sulla somministrazione di un questionario ha rilevato che, tra i pazienti affetti da Ibs, le persone fisicamente attive riferivano un numero minore di sintomi rispetto a quelle inattive (29). Costipazione

Numerosi lavori hanno dimostrato una relazione inversa indipendente tra costipazione e AF (30-32). Due studi caso-controllo hanno evidenziato che la defecazione degli individui che praticano la corsa è migliore di quella degli inattivi (33). È stato dimostrato da due studi, effettuati su popolazioni anziane, che la combinazione di attività fisica e di un programma nutrizionale migliora la defecazione e riduce l’uso di lassativi; l’effetto dell’attività fisica da sola non è stato indagato (13,34). Tutti gli studi hanno indagato gli effetti dell’attività fisica a bassa intensità. Quali sono i rischi

L’incidenza di sintomi di sofferenza gastrointestinale durante l’attività fisica dipende da numerosi fattori come durata, intensità, tipologia di esercizio, età, genere, grado di allena-

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SALUTE&BENESSERE_benefici dell’esercizio fisico

effetti delle varie tipologie di af sulle patologie dell’apparato gastroenterico Tipologia/intensità di Af sconsigliata

Livello di evidenza

Sufficiente

Molto intensa

Sufficiente

Moderata e del tempo libero

Scarso

Attività lavorativa intensa

Scarso

Nafld

Attività che favoriscono la perdita di peso

Sufficiente

Colelitiasi

Strettamente correlata al rapporto dose-risposta

Sufficiente

Ibd

Nessuna evidenza sulla protezione, Af non influenza la patologia

Sufficiente

Diverticolosi

Relazione inversa tra livelli di Af e patologia

Sufficiente

Ibs

Minori sintomi tra i pazienti attivi

Sufficiente

Costipazione

Relazione inversa indipendente, maggiori effetti se Af abbinata a programma nutrizionale

Scarso Maratona, attività molto intensa

Scarso

Patologia

Tipologia/intensità di Af consigliata

Livello di evidenza

Cancro del pancreas

Alti livelli, anche attività occupazionali

Scarso

Cancro del colon

2 ore/die moderata 1 ora/die vigorosa

Buono

Reflusso gastroesofageo (Gerd)

Vigorosa, frequenti allenamenti di almeno 30 minuti

Ulcera peptica

Sanguinamento

Gerontol Nurs 1994;20:32-40. 35. Peters HP et al. Gastrointestinal symptoms in long distance runners, cyclists, and triathletes: prevalence, medication, and etiology. Am J Gastroenterol 1999;94:1570-1581. 36. Brouns F, Beckers E. Is the gut an athletic organ? Digestion, absorption and exercise. Sports Med 1993;15:242-257. 37. Rehrer NJ et al. Fluid intake and gastrointestinal problems in runners competing in a 25-km race and a marathon. Int J Sports Med 1989;10(1 suppl):S22-S25. 38. Van Nieuwenhoven MA et al. Gastrointestinal profile of symptomatic athletes are rest and during physical exercise. Eur J Appl Physiol 2004;91:429-434. 39. Steege RW et al. Prevalence of gastrointestinal complaints in runners competing in a long-distance run: an Internet-based observational study in 1281 subjects. Scand J Gastroenterol 2008;43:1477-1482. 40. Peters HP et al. Gastrointestinal symptoms during long-distance walking. Med Sci Sports Exerc 1999;31:767-773. 41. Peters HP et al. Gastrointestinal symptoms during exercise. The effect of fluid supplementation. Sports Med 1995;20:65-76.

mento, dieta, numero di sintomi durante i periodi di riposo e non ultimi i metodi utilizzati nello studio (35,36). I sintomi più frequenti sono nausea, tachicardia, diarrea e sanguinamento gastrointestinale e compaiono maggiormente negli atleti che praticano sport di lunga durata come triathlon e marcia, in misura minore tra i ciclisti (37,38). Queste manifestazioni possono essere considerate protettive per gli organi interni perché costringono i praticanti a ridurre la durata e l’intensità dell’esercizio (36,39). Proprio l’intensità parrebbe essere un importante fattore di aggravamento dei sintomi durante l’attività fisica (36,40,41). Normalmente i sintomi non sono così importanti da ridurre la pratica dell’attività fisica o limitare la prestazione e non hanno effetti a lungo termine (40,41). Conclusioni

Ci sono forti evidenze che l’attività fisica ridu28

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ce il rischio di cancro del colon. Esistono prove meno convincenti sull’efficacia dell’attività fisica nel cancro pancreatico, in quello gastrico, nell’ulcera peptica, nella steatosi epatica non alcolica, nel reflusso gastroesofageo, nella colelitiasi, nella diverticolosi, nella sindrome dell’intestino irritabile e nella costipazione. L’attività fisica potrebbe ridurre il rischio di patologie infiammatorie croniche intestinali, tuttavia le evidenze sono poche e a volte in conflitto. L’attività fisica vigorosa e gli sport di lunga durata come la marcia e il triathlon potrebbero causare sintomi gastrointestinali e scoraggiare le persone a praticarla. La tabella in questa pagina declina gli effetti delle varie tipologie di attività sulle patologie e definisce il livello di evidenza scientifica che li supporta. È auspicabile che vengano effettuati degli studi randomizzati controllati, ben programmati, che valutino i benefici ed i rischi dell’attività fisica sulle patologie gastrointestinali. n




salute&benessere_PATOLOGIE CARDIACHE

Quando il cuore perde il ritmo Le aritmie cardiache si verificano quando il cuore batte troppo veloce, troppo lento oppure con un ritmo irregolare e, a seconda della gravità, possono essere curate con un trattamento farmacologico o chirurgico

P

alpitazioni, dolori lancinanti, pulsazioni anomale, tremolio, la sensazione che il cuore abbia smesso di battere: sono cinque sintomi tipici delle aritmie cardiache. Talvolta però di sintomi non ce ne sono proprio e a scoprire l’esistenza di questa condizione può essere il medico durante un esame di routine. Il termine stesso di aritmia cardiaca indica di cosa si tratta: un’irregolarità nel ritmo o nella frequenza cardiaca, ossia del numero di battiti al minuto, che possono essere troppi, troppo pochi o molto irregolari. Nella maggior parte dei casi sono innocue, ma le aritmie non devono essere sottovalutate: possono impedire un normale funzionamento cardiaco e causare danni al cuore stesso o ad altri organi, a partire dai reni fino al cervello. Le aritmie sono segno del fatto che i segnali elettrici che coordinano le pulsazioni cardiache non sono emessi in modo corretto. Com’è noto, il cuore è composto da due cavità superiori (atri) e due inferiori (ventricoli). Il ritmo

cardiaco è controllato dal nodo seno-atriale, un gruppo di cellule situate nell’atrio destro, che costituiscono una sorta di pacemaker naturale; da qui gli impulsi elettrici si propagano prima agli atri, i cui muscoli si contraggono; il segnale elettrico arriva poi a un altro gruppo di cellule, il nodo atrio-ventricolare, che lo rallenta prima di inviarlo ai ventricoli: è questo piccolo ritardo a permettere che i ventricoli si riempiano di sangue, poi si contrag-

di Renato Torlaschi

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salute&benessere_PATOLOGIE CARDIACHE

gono e riescano a pompare il sangue nei polmoni e nel resto del corpo. In un cuore sano, questo processo avviene regolarmente, tra le 60 e 90 volte ogni minuto; quando si inceppa, si possono avere aritmie che si differenziano a seconda della loro origine (atri o ventricoli) e in base al rallentamento o accelerazione del ritmo. Vari tipi di aritmia

Come spiega il ministero della Salute nel suo sito, di aritmie è corretto parlare al plurale, poiché raggruppano patologie diverse tra loro. Vediamo di cosa si tratta nel dettaglio. z Extrasistoli. Sono le aritmie più comuni, spesso asintomatiche e quasi sempre innocue. Possono nascere negli atri o nei ventricoli e sono frequenti in alcune cardiopatie ma si verificano anche in persone del tutto sane, talvolta a causa di stress o dell’assunzione di troppe bevande contenenti caffeina. z Aritmie sopraventricolari. Le più frequenti sono la fibrillazione atriale, il flutter atriale, la tachicardia parossistica sopraventricolare e la Wolff-Parkinson-White. La fibrillazione atriale è un battito accelerato causato da impulsi caotici negli atri che 32

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comportano contrazioni atriali deboli, rapide e scoordinate; per complicare le cose, i ventricoli possono rispondere con un ritmo a sua volta accelerato. In genere la fibrillazione atriale è temporanea, ma alcuni episodi sono prolungati e richiedono un intervento. Tra le possibili complicanze, quella più pericolosa è l’ictus tromboembolico, conseguenza di una contrazione incompleta del cuore, di un ristagno del sangue nell’atrio sinistro, con una coagulazione che può portare alla formazione di trombi. Entrati nel circolo sanguigno, possono fermarsi in una arteria cerebrale, ma anche a livello dell’intestino (infarto intestinale), dei reni (infarto renale) o degli arti. Simile alla fibrillazione è il flutter atriale, con modificazioni del battito meno marcate e con un diverso impatto diverso a livello del ventricolo. La tachicardia parossistica sopraventriclare (Tpsv) è caratterizzata da una frequenza elevata che inizia e finisce in modo improvviso; uno sforzo fisico la può produrre anche in soggetti giovani. Una sua forma particolare è la sindrome di Wolff-Parkinson-White, in cui i segnali elettrici atriali passano ai ventricoli attraverso una via accessoria, senza essere “filtrati” dal nodo atrio-ventricolare; per questo motivo la frequenza cardiaca può essere molto elevata e dunque pericolosa. z Aritmie ventricolari. Hanno origine nei ventricoli e possono rappresentare emergenze mediche, come nel caso della fibrillazione ventricolare. Possono essere causate da eventi ischemici cardiaci. La tachicardia ventricolare è un rapido battito del cuore prodotto da segnali elettrici anomali nei ventricoli. La frequenza troppo elevata non permette ai ventricoli di riempirsi e contrarsi in maniera efficace. In molti casi costituisce un’emergenza medica e senza un pronto intervento può degenerare in fibrillazione ventricolare. La fibrillazione ventricolare si verifica quando impulsi elettrici caotici impediscono ai ventricoli di contrarsi e di pompare sangue a


salute&benessere_PATOLOGIE CARDIACHE

sufficienza nel corpo; l’evento può essere rapidamente fatale, a meno che non si intervenga con un defibrillatore, ripristinando il normale ritmo nel giro di pochi minuti. Costituito da due piastre che devono essere poste sul torace del paziente, il defibrillatore produce uno shock elettrico che può mettere fine all’aritmia. La maggior parte di coloro che sperimentano una fibrillazione articolare hanno una patologia cardiaca o hanno subito un trauma serio come una forte scossa elettrica. La sindrome del QT lungo è una rara anomalia cardiaca caratterizzata da una ritardata ripolarizzazione delle cellule miocardiche, con aritmie gravi che possono degenerare in fibrillazione ventricolare, produrre svenimenti e persino la morte improvvisa. In questi pazienti, le aritmie sono spesso scatenate da un esercizio fisico intenso o da stimoli emotivi. z Bradicardia. La frequenza cardiaca particolarmente bassa (meno di 50 battiti al minuto) può impedire un afflusso sufficiente di sangue al cervello e può produrre sincopi. Infarto, processi legati all’invecchiamento e alterazione di potassio nel sangue e alcuni farmaci (come i beta-bloccanti) possono esserne la causa. La bradicardia tipica degli sportivi non è invece una condizione preoccupante, ma anzi segno di efficienza cardiaca.

PREVENZIONE DELLE ARITMIE: ATTENZIONE ALLO STILE DI VITA Probabilmente sarà lo stesso medico a consigliare a coloro che soffrono di aritmie di affiancare ai trattamenti più professionali alcuni cambiamenti al proprio stile di vita per mantenere il cuore il più sano possibile. Ecco alcune abitudini utili per una buona salute generale e anche per aiutare nella prevenzione di aritmie. Alimentazione sana. Una dieta sana, povera di sale e di grassi e ricca di frutta, verdura e cereali integrali. Esercizio fisico. Deve essere effettuato regolarmente, senza sforzi improvvisi ma se possibile ogni giorno. Smettere di fumare. Se non ci si riesce da soli, può essere utile farsi aiutare e seguire program-

mi appositi. Mantenere un peso ottimale. Le persone sovrappeso hanno un rischio più elevato di sviluppare patologie cardiache. Tenere sotto controllo pressione e livello di colesterolo. Alimentazione corretta e attività fisica aiutano a ridurre ipertensione e grassi presenti nel sangue, nel caso non fosse sufficiente si può ricorrere a farmaci. Bere alcol con moderazione. Per adulti in buona salute è opportuno non superare uno o due drink al giorno. Controllare la propria salute. È importante effettuare controlli medici regolari e assumere i farmaci eventualmente prescritti.

Quando è necessario intervenire

Non sempre le aritmie richiedono un trattamento; di solito questo diventa necessario quando i sintomi sono fastidiosi oppure c’è il rischio di aritmie più gravi o complicanze. In presenza di bradicardie che non hanno una causa evidente, i medici ricorrono spesso al pacemaker, poiché non esistono farmaci che possano in modo affidabile produrre un’accelerazione del ritmo del cuore. Si tratta di un apparecchio che invia una corrente elettrica di piccola entità per stimolare il battito cardiaco; viene collegato al cuore mediante uno o due conduttori elettrici particolari introdotti in una vena e, pur intervenendo quando il battito è troppo lento, non impedisce al cuore di funzionare autonomamente quando batte in modo regolare. Il trattamento delle tachicardie può avvenire attraverso la stimolazione vagale, che si può ottenere mediante la somministrazione di farmaci o manovre particolari. Le più note sono la manovra di Valsalva e quella di Muller, che si avvalgono ottobre 2015

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Possibili cause delle aritmie

giornata mondiale dedicata al cuore Il 29 settembre ricorre la Giornata mondiale dedicata al cuore e alla lotta delle patologie correlate. Il tema della manifestazione di quest’anno, che ha per slogan “Heart Choices NOT Hard Choices” è creare ambienti salutari per il cuore e poter raggiungere l’obiettivo “25by25” cioè ridurre entro il 2025 il 25% dei decessi prematuri causati delle malattie croniche non trasmissibili, tra cui soprattutto le malattie cardiovascolari, il cancro, le malattie respiratorie croniche e il diabete. La prevenzione e la cure delle malattie cardiovascolari sono al centro dell’obiettivo dei programmi sanitari a livello mondiale poiché purtroppo queste patologie sono ancora la prima causa di morte nei Paesi occidentali, Italia compresa. Più di 36 milioni di persone muoiono ogni anno

per queste malattie, con 9 milioni di persone che muoiono prima dei 60 anni. Le malattie cardiovascolari rappresentano più del 50% di tali decessi, infatti sono responsabili di ben 17,3 milioni di morti premature ogni anno e si prevede che nel 2030 queste aumenteranno a 23 milioni. L’obiettivo di diminuire di un quarto l’incidenza dei decessi legati soprattutto a problemi cardiovascolari non è impossibile se si pensa che la prevenzione è ‘relativamente semplice’ visto che è legata soprattutto allo stile di vita. Uno stile di vita salutare è fatto di tanto sport e una dieta equilibrata, ma è necessario anche affidarsi agli specialisti. L’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) raccomanda la necessità di raggiungere 9 obiettivi per vincere la lotta contro le malattie non trasmissibili.

di una respirazione forzata; altre manovre, che devono anch’esse essere eseguite da un medico, sono la compressione simultanea dei bulbi oculari e la stimolazione del seno carotideo. Ci sono anche farmaci che agiscono sul nervo vago, direttamente come quelli a base di acetilcolina o indirettamente, come la noradrenalina o il metaraminolo che vanno somministrati per via endovenosa: alzando la pressione, aumentano il tono vagale. In caso di fibrillazione atriale, il medico può prescrivere farmaci anticoagulanti per prevenire la formazione di coaguli oppure eseguire una procedura di cardioversione. Ce ne sono di due tipi: la cardioversione elettrica è effettuata con l’ausilio di un defibrillatore, mentre quella farmacologica consiste invece nella somministrazione di farmaci antiaritmici. Una pratica mininvasiva utilizzata nella cura delle aritmie è l’ablazione transcatetere, che si pratica introducendo un catetere per via percutanea attraverso una vena femorale e posizionandone la punta in specifiche localizzazioni all’interno delle cavità cardiache, per poi somministrare una stimolazione elettrica al miocardio. 34

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Sono molti i fattori che possono condurre a un’aritmia cardiaca; gli esperti della Mayo Clinic, una grande organizzazione no-profit statunitense per la pratica e ricerca medica, elencano alcune cause gravi e altre molto più blande ed estremamente comuni. Tra le cause più diffuse ci sono le malattie delle arterie coronarie, altri problemi cardiaci e un precedente intervento al cuore. Arterie cardiache ristrette o ostruite, un attacco cardiaco, anomalie alle valvole, cardiomiopatie e altri danni al cuore sono fattori di rischio per quasi ogni tipo di aritmia. Anche una pressione troppo alta aumenta il rischio di sviluppare una malattia delle coronarie e può produrre gradualmente un’ipertrofia del ventricolo sinistro, ossia un allargamento del tessuto muscolare che costituisce la parete della camera di pompaggio principale del cuore. Tra le cause più comuni sono riportate anche le malattie cardiache congenite, chi nasce con un’anomalia al cuore soffre spesso di ritmo cardiaco alterato, e i problemi alla tiroide. Il rischio di aritmie è aumentato sia in caso di ghiandola tiroidea troppo attiva (ipertiroidismo) che non abbastanza attiva (ipotiroidismo). Attenzione anche a farmaci e integratori, in quanto sia alcuni farmaci da banco che venduti su prescrizione possono contribuire allo sviluppo di aritmie. Inoltre, i rischi di malattia coronarica e di pressione del sangue elevata si associano non di rado al diabete e favoriscono a loro volta l’insorgere di aritmie. Anche lo stile di vita gioca un ruolo non indifferente: bere alcol, soprattutto se in quantità elevata, aumenta il rischio di fibrillazione atriale, così come sostanze stimolanti quali caffeina e nicotina possono indurre il cuore a pulsare più rapidamente e condurre ad aritmie più gravi. Infine, droghe illegali, come amfetamine e cocaina, possono influenzare profondamente l’attività cardiaca e portare a diversi tipi di aritmia e anche a morte improvvisa dovuta a fibrillazione ventricolare. n




SALUTE&BENESSERE_intolleranzA AL LATTOSIO

Vivere bene con un’intolleranza al lattosio, disturbo sempre più diffuso tra bambini e adulti, non è certo facile. Un ruolo cruciale, una volta diagnosticata la patologia, lo riveste una dieta povera di lattosio in grado di ridurre i sintomi più fastidiosi

Intolleranza al lattosio come cambia l’alimentazione

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ausea, crampi addominali e flatulenza sono solamente alcuni dei segnali che possono rappresentare un campanello di allarme e far sospettare la presenza di un’intolleranza al lattosio, un problema sempre più diffuso a livello globale, i cui sintomi vengono spesso erroneamente confusi con quelli di patologie associate al colon irritabile. Il lattosio è il principale carboidrato presente nel latte di quasi tutti i mammiferi, insieme a numerosi altri principi attivi che contribuiscono a rendere il latte un alimento completo. Basti pensare che il latte materno è ricco di proteine, grassi, vitamine, minerali e altri principi attivi, oltre a carboidrati, costituiti appunto da

lattosio e oligosaccaridi, in grado di favorire lo sviluppo dei batteri probiotici, proteggendo l’apparato digerente dalle infezioni. Proprio in virtù delle sostanze in esso contenute, indispensabili per la rapida crescita dell’organismo, il latte rappresenta il nutrimento esclusivo del neonato nei primi mesi di vita ed è costantemente presente nell’alimentazione umana anche dell’adulto. Nei soggetti intolleranti al lattosio si verifica una regressione nella produzione della lattasi, l’enzima digestivo responsabile della scissione del lattosio nelle sue due componenti zuccherine (glucosio e galattosio). A causa di questa carenza enzimatica (ipolattassia), il sogget-

di Rachele Villa

approfondimenti Esistono grandi differenze regionali nella frequenza dell’intolleranza al lattosio. Per esempio, nei paesi nordici solo il 3% della popolazione è intollerante, mentre in Africa la percentuale sale quasi fino al 100%.

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to non è più in grado di trasformate il lattosio, che si accumula non digerito nell’intestino, con conseguente richiamo di acqua che scatena fenomeni di diarrea. A livello del colon, il lattosio subisce l’attacco di batteri con produzione di metano, idrogeno e CO2, elementi gassosi che danno origine a flatulenza, distensione addominale, senso di gonfiore e produzione di feci acide. I sintomi più comuni

La sintomatologia associata all’intolleranza al lattosio può variare da persona a persona e si manifesta con modalità differenti a seconda di una serie di fattori come la quantità di

lattosio ingerito, l’attività residua delle lattasi, la composizione della flora intestinale e il tempo di permanenza del cibo nello stomaco e nell’intestino tenue. In particolare, la velocità del transito intestinale può variare in base dalla composizione del cibo: maggiore è il tempo di permanenza, maggiore sarà la quantità di lattosio scisso e digerito. Per questo motivo gli alimenti solidi, che hanno un tempo di permanenza nel tratto gastrointestinale nettamente superiore rispetto ai liquidi, saranno da preferire nella dieta del soggetto intollerante. I tipici sintomi intestinali si manifestano solitamente dai trenta minuti alle due ore successive all’assunzione degli alimenti contenenti lattosio e comprendono dolori addominali, meteorismo, flatulenza, diarrea, nausea e vomito. Anche la stipsi che si verifica in seguito all’accumulo di metano e rallentamento della motilità intestinale può essere associata a ipolattasia. Possono comparire inoltre alcuni sintomi sistemici come mal di testa, sonnolenza, disturbi della concentrazione, stanchezza cronica, dolori muscolari e articolari, disturbi del ritmo cardiaco e afte del cavo orale. Intolleranza al lattosio o allergia al latte?

L’intolleranza al lattosio viene frequentemente confusa con l’allergia al latte. Occorre precisare che si tratta di due disturbi completamente differenti tra loro: il primo è un problema che non riguarda il sistema immunitario e coinvolge unicamente l’apparato gastroenterico a causa dell’incapacità dell’apparato digerente di assorbire completamente il lattosio e trasformarlo in uno zucchero semplice; l’allergia alle proteine del latte dipende invece da una reazione del sistema immunitario nei confronti delle proteine del latte e si manifesta con sintomi che interessano l’intero organismo, dall’apparato respiratorio al sistema cutaneo fino a quello gastrointestinale (meteorismo, emicrania, artrite, reflusso, diarrea, dermatite ecc.). Inoltre, è bene chiarire che


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la diagnosi con breath test L’evidente presenza di un rapporto causa-effetto tra assunzione di lattosio e comparsa della sintomatologia tipica può già essere di per sé sufficiente per porre una prima diagnosi di intolleranza al lattosio. Tuttavia, la certezza si può avere solamente con un semplice breath test al lattosio, un esame diagnostico non invasivo che consiste nel far soffiare il paziente dentro uno speciale palloncino, prima (a digiuno) e dopo avergli somministrato una quantità definita di lattosio. Questa operazione viene ripetuta ogni mezz’ora per le tre ore successive e l’aria espirata raccolta viene esaminata

la sintomatologia associata all’allergia verso le proteine del latte si manifesta indipendente dalla dose di latte introdotta nell’organismo e sono sufficienti quantità ridotte per scatenare la reazione, mentre gli effetti dell’intolleranza al lattosio possono essere mininizzati riducendo le quantità assunte. L’ipolattasia può essere di tre tipi a seconda delle cause scatenanti e del periodo di insorgenza. z Intolleranza al lattosio di tipo congenito. È piuttosto rara ed è dovuta a un difetto genetico; si manifesta con diarree acquose subito alla nascita, non appena il neonato viene alimentato con latte materno o artificiale. Questa forma di intolleranza perdura per tutta la vita e può determinare ritardi nella crescita, disidratazione e insorgenza di alcalosi. z Intolleranza al lattosio di tipo primario. Si tratta della forma di intolleranza più diffusa, dovuta a un carenza di lattasi acquisita nel corso della vita. Se infatti l’attività enzimatica della lattasi è al massimo nel neonato, durante l’infanzia e l’età adulta tende a diminuire progressivamente in seguito a un naturale adeguamento ai cambiamenti nelle abitudini alimentari. La gravità dei sintomi di questa forma di intolleranza al lattosio è soggettiva e dipende dall’entità della carenza di lattasi.

z Intolleranza al lattosio di tipo seconda-

rio. Questo tipo di intolleranza può essere transitoria o permanere per tutta la vita. Si sviluppa generalmente in associazione a patologie che interessano il sistema digestivo, come ad esempio morbo di Crohn, gastroenteriti, celiachia, deficit immunologici, trattamenti farmacologici, infezioni intestinali acute o dopo importanti operazioni all’intestino, che causano alterazioni e danni alle mucose intestinali (fino all’atrofia dei villi intestinali), con conseguente diminuzione della produzione di lattasi.

al fine di valutare il malassorbimento del lattosio tramite la misurazione del contenuto di idrogeno proveniente dalla fermentazione del lattosio non digerito rimasto nell’intestino. Se il contenuto di idrogeno nell’aria esalata raccolta dopo l’assunzione di lattosio è superiore a quello presente nel respiro raccolto prima della somministrazione, significa che il paziente è intollerante al lattosio. Spesso può risultare difficile eseguire il breath test, soprattutto nei bambini e nei neonati, in questi casi si può ricorrere a test genetici eseguiti tramite un tampone buccale, attualmente disponibili in farmacia.

approfondimenti Il latte “delattosato” è un particolare tipo di latte che viene trattato con l’enzima lattasi, che ha la funzione di scindere il lattosio in glucosio e galattosio. Contiene meno dello 0,5% di lattosio e risulta digeribile anche da parte dei soggetti che non sono in grado di produrre naturalmente la lattasi, mantenendo invariate le preziose proprietà nutrizionali del latte. In commercio è disponibile anche lo yogurt totalmente o parzialmente privo di lattosio.

L’alimentazione nei soggetti intolleranti

L’unica cura possibile in caso di intolleranza al lattosio è una dieta personalizzata che preveda un ridotto contenuto di lattosio e, nei casi più gravi, in farmacia si trovano integratori che trasformano il lattosio ingerito in zuccheri semplici, glucosio e galattosio, facilmente digeribili. Poiché il grado di carenza enzimatica è soggettiva e sempre diversa, occorre innanzitutto individuare la quantità di lattosio tollerata dal paziente, eliminando progressivamente alcuni alimenti, a partire da quelli a maggior contenuto di lattosio. Di fatto, la prima reazione del soggetto che sospetta di essere intollerante al lattosio conottobre 2015

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livelli di lattosio nei latticini Latticini Latte intero/scremato (di vacca, di pecora, di capra) Panna Yogurt, latte acidulato Ricotta, feta, mozzarella Formaggi a pasta molle (tipo Brie) e formaggi semiduri Formaggi a pasta dura (tipo Emmentaler) e formaggi a pasta extradura (tipo Parmigiano) Burro

Livelli di lattosio Contiene quantità elevate di lattosio ed è mal tollerato dalla maggior parte delle persone affette da intolleranza. Come alternativa consigliare latte privo di lattosio La panna contiene lattosio, viene però normalmente consumata in piccole quantità ed è quindi ben tollerata. Come alternativa consigliare panna priva di lattosio Il lattosio è già in parte scomposto e perciò questi alimenti sono tollerati meglio del latte. Come alternativa consigliare yogurt privo di lattosio Tenore di lattosio medio, provarne la tollerabilità. Come alternativa consigliare formaggi freschi poveri o privi di lattosio Contengono solo tracce di lattosio e sono ben tollerati Sono privi di lattosio e sono ben tollerati

Il burro è praticamente privo di lattosio

approfondimenti Il regolare consumo di latte e dei suoi derivati è importante e ampiamente consigliato da medici e nutrizionisti in tutte le fasi della vita. In particolare, in età evolutiva i latticini contribuiscono allo sviluppo dell’apparato scheletrico, mentre durante la gravidanza il latte garantisce al nascituro un adeguato apporto di proteine, calcio e vitamine B2 e D.

siste tipicamente nell’esclusione di latte e latticini dalla dieta quotidiana (fino alla totale eliminazione) con conseguente drastica riduzione nell’assunzione di quantità adeguate di calcio. Una fase di questo tipo, della durata di circa un paio di settimane, può essere utile per monitorare i sintomi e confermare la diagnosi di intolleranza al lattosio, a patto che sia seguita da una graduale reintroduzione del latte nella dieta di tutti i giorni, per evitare carenze alimentari. Andrà consigliato il reinserimento di latte delattosato e alimenti a ridotto contenuto di lattosio (vedi tabella in questa pagina) in associazione a cibi che ral40

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lentino il transito intestinale al fine di migliorarne l’assorbimento, quindi la tollerabilità. In commercio si trovano facilmente latticini privi di lattosio, in cui le due componenti (glucosio e galattosio) sono disponibili in forma già scissa e vengono assimilate senza problemi a livello intestinale, o prodotti vegetali sostituivi del latte, come il latte di soia o di riso, da preferire nella variante arricchita di calcio. A differenza di quanto comunemente si pensa, lo yogurt può essere consumato dai soggetti intolleranti, perché una parte del lattosio viene già scomposta durante il processo di produzione; l’abbinamento dello yogurt con i probiotici permette tra l’altro l’assunzione dei nutrienti del latte e, allo stesso tempo, contribuisce al riadattamento intestinale della lattasi. Via libera anche al formaggio stagionato, che proprio per il tipo di lavorazione che subisce contiene percentuali minime di lattosio. Al contrario, alcuni formaggi freschi, formaggio fuso e panna acida sono da evitare, in quanto in fase di lavorazione subiscono l’aggiunta di latte in polvere per migliorare la qualità del prodotto. Un’attenta lettura degli ingredienti riportati sull’etichetta può servire per fare chiarezza. Occorre inoltre fare attenzione alle etichette di numerosi prodotti contenenti latte in polvere o siero di latte, come ad esempio pasticcini, biscotti, cioccolato, piatti pronti, insaccati. Senza dimenticare che anche alcuni farmaci e preparati omeopatici possono prevedere l’impiego di tali sostanze. Infine, per sopperire alla carenza di calcio dovuta alla riduzione di latticini nella dieta, si consiglia l’assunzione di alimenti ricchi di questo minerale, come le verdure verdi (broccoli, coste, spinaci ecc.), cereali, legumi e acque minerali ricche di calcio. n



integrazione alimentare_carenza di ferro

Anemia, si combatte con una dieta ferrea e integratori Tra i vari tipi di anemia esistenti, quella da carenza di ferro o sideropenica rappresenta la forma più diffusa e interessa persone di tutte le età e in particolare le donne in età fertile e i soggetti con regime dietetico alimentare non adeguato

dere sia da una diminuzione del numero di eritrociti nel sangue sia da un’alterazione della loro dimensione oppure da una bassa concentrazione di emoglobina (Hb) deputata al trasporto dell’ossigeno a tutte le cellule dell’organismo.

di Carla Carnovale Farmacista

L’

anemia è una condizione clinica caratterizzata da una riduzione della capacità del sangue di trasportare l’ossigeno. È definita dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) come una concentrazione di Hb al di sotto di 13 g/dl nell’uomo e di 12 g/dl nella donna. Dati in merito indicano che tale condizione clinica è piuttosto frequente; colpisce dal 2 al 10% della popolazione occidentale e un numero ancora più vasto di individui nei Paesi in via di sviluppo. È generalmente associata a un basso ematocrito (percentuale del volume sanguigno occupata dai globuli rossi), che può dipen-

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Vari tipi di anemie

Le forme di anemia sono innumerevoli e possono essere sia congenite che acquisite. Le cause sono ascrivibili a una diminuzione della produzione dell’Hb che può verificarsi nelle cellule del midollo osseo progenitrici dei globuli rossi circolanti, a causa di un aumento del fabbisogno oppure di stati patologici. Può essere conseguenza anche di una maggiore “fragilità” dei globuli rossi, che accelera il processo di eliminazione da parte dell’organismo, per cause genetiche o attivazione anomala del sistema immunitario. Infine può esservi un aumento della perdita di globuli rossi causato da un’emorragia acuta o cronica.


integrazione alimentare_carenza di ferro

gli integratori di ferro

Il primo compito del medico è dunque quello di stabilire qual è il meccanismo principale alla base del quadro di anemia. Anemia da carenza di ferro

Quella da carenza di ferro (detta anche anemia sideropenica o da carenza marziale) rappresenta la forma di anemia più comunemente riscontrata nella pratica clinica. Si tratta di una condizione in cui vi è una diminuzione della disponibilità di ferro nell’organismo, con conseguente compromissione del trasporto di ossigeno attraverso il sangue. L’incidenza si attesta intorno al 3% tra gli uomini adulti, è del 20% tra le donne e supera il 50% tra le donne in gravidanza. Interessa tutte le fasce di età, in prevalenza i bambini, gli adolescenti, i soggetti con regime dietetico alimentare inadeguato e le donne in età fertile, in gravidanza e allattamento. In età compresa tra i 19 e i 50 anni, le donne hanno infatti bisogno di assumere 18 mg di ferro al giorno, mentre gli uomini solo 8 mg. Dopo la menopausa, a causa della scomparsa del ciclo mestruale, il fabbisogno giornaliero di ferro diminuisce e uomini e donne ritornano ad avere bisogno della stessa quantità di ferro al giorno (8 mg). Sintomi e cause

Le cause che possono indurre questo tipo di anemia sono molteplici. Di seguito ne riportiamo le principali. z Emorragie e sanguinamenti, di frequen-

Si rendono necessari quando l’apporto alimentare del minerale è ridotto, quando diminuisce la capacità dell’organismo di assorbirlo o quando aumentano le perdite. Quelli più diffusi contengono compresse a base di sali organici ferrosi da assumersi preferibilmente a stomaco vuoto per favorirne l’assorbimento; in caso di intolleranza gastrica possono essere assunti in concomitanza del pasto. z Solfato ferroso: antianemico per eccellenza, utilizzato nella terapia marziale. Reperibile sottoforma di compresse a rilascio controllato da 595 mg di attivo. Per migliorare l’assorbimento, si consiglia di assumere il farmaco con vitamina C (es. con un bicchiere di succo d’arancia). z Ferro destrano: indicativamente, assumere 25-100 mg di attivo per via intramuscolare o endovenosa. z Ferro fumarato: iniziare la terapia con 325 mg di farmaco per via orale, una volta al giorno. Proseguire con la terapia di mantenimento assumendo 325 mg di attivo, tre volte al giorno.

te nelle donne in età fertile. Il sanguinamento può essere anche occulto, lento e cronico (in corrispondenza di una ernia iatale, di polipo del colon-retto, di un’ulcera peptica). z Scarso apporto nell’alimentazione. z Scarso assorbimento del ferro, ad esempio in presenza di malattie intestinali croniche (colite ulcerosa e morbo di Crohn) o di celiachia, nelle quali il danneggiamento dei villi intestinali compromette la capacità di “estrarre” il ferro dai cibi, di diverticoli, tumori del colon e dello stomaco. z Gravidanza e allattamento, fasi in cui è richiesto un apporto maggiore di ferro per lo sviluppo del feto. z Interventi chirurgici, che hanno prodotto l’asportazione o il bypass di parti del tubo intestinale possono ridurre la capacità di assorbimento del ferro. Per quanto riguarda la sintomatologia, inizialmente

z Ferro gluconato: disponibile in compresse ef-

fervescenti e granulato effervescente. La posologia ricalca quella del ferro fumarato. z Ferro carbonile: la dose per adulti affetti da anemia sideropenica è 50 mg di attivo, da assumere per via orale, tre volte al giorno. Ferro saccarato: la dose è di 2-3 flaconcini (ognuno contenente 40 mg di ferro), dopo i pasti. La dose deve essere ridotta a 1-2 flaconcini al giorno nei bambini. È importante ricordare che alcuni farmaci, come le tetracicline, i chinolonici e gli antiacidi, limitano l’assorbimento del ferro e devono pertanto essere assunti a distanza di almeno due ore. Tra gli effetti collaterali degli integratori di ferro rientrano diversi disturbi di origine gastrointestinale, come diarrea, stitichezza, nausea, vomito, dolori addominali e colorazione nera delle feci. La terapia si deve protrarre per tre quattro mesi dopo il raggiungimento del livello normale di Hb, in modo da saturare le scorte dell’organismo e prevenire ricadute.

approfondimenti Eventi esclusivamente appartenenti all’universo femminile, come la gravidanza, il parto e l’allattamento causano un enorme dispendio di ferro e di conseguenza richiedono un apporto maggiore di cibi ricchi di questo minerale o un’integrazione farmacologica.

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tità di transferrina, proteina deputata al trasporto del ferro nel sangue. z Transferrinemia (range: 240-360 mg/dl): quantità totale di transferrina in circolo in grado di rilasciare questo elemento nei tessuti. z Ferritinemia (range: 20-120 microgrammi/L per le donne e 20-200 microgrammi/L per gli uomini): misura della quantità della ferritina, proteina deputata allo stoccaggio del ferro. Terapia e prevenzione

non si manifesta con alcun segnale in quanto l’organismo si approvvigiona dai depositi di ferro presenti sotto forma di ferritina; quando la carenza continua, con il progredire della malattia, i prodromi tendono a manifestarsi più intensamente, fino a creare conseguenze anche piuttosto gravi. Si osservano: astenia, pallore della cute e delle mucose, irritabilità, mal di testa, insonnia, fiato corto e mancanza di respiro, dolore toracico, vertigini e capogiri, mani e piedi freddi, unghie e capelli fragili, accelerazione del battito cardiaco, scarso appetito, formicolio alle gambe. Come avviene la diagnosi

Bibliografia

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ding iron prophylaxis. Guide to clinical preventive services. 2nd ed. Baltimore (MD): Williams & Wilkins; 1996. 231-46. 2. Routine iron supplementation during pregnancy. Canadian guide to clinical preventive health care. Ottawa: Health Canada; 1994 . 6472. 3. Fishman SM, Christian P, West KP The role of vitamins in the prevention and control of anaemia. Public Health Nutr. 2000 Jun;3(2):125-50.

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In presenza di questi sintomi, nel caso si sospetti un’anemia, i primi esami da eseguire sul sangue sono un esame emocromocitometrico, un dosaggio del ferro e della ferritina. La prima spia di anemia da carenza di ferro è la diminuzione dell’Hb e la riduzione del volume (MCV) dei globuli rossi, che sono di dimensioni ridotte rispetto alla norma (valore MCH sulle analisi). A volte è possibile rilevare globuli rossi di forma diversa tra loro (valore RDW sulle analisi). Oltre all’ematocrito e al volume, i parametri ematochimici da tenere in considerazione sono: z Sideremia (range: 50-150 mg/dl nell’uomo e 15-120 mg/dl nella donna): misura della quan-

La terapia rivolta alla cura dell’anemia sideropenica è chiamata “marziale” e si basa essenzialmente sulla somministrazione di sali ferrosi, in genere per via orale; nei pazienti che presentano malassorbimento, è consigliabile preferire la via parenterale. Nel caso in cui il paziente fosse malnutrito, o eccessivamente magro, la causa dell’anemia potrebbe essere imputata a un’alimentazione sregolata. In questo caso, è estremamente importante la cura della propria alimentazione. La prima misura terapeutica da adottare sarà assumere cibi ricchi in ferro eme perché più facilmente assorbibile e dunque, carne rossa magra, in particolare quella di cavallo, carni bianche, tonno, salmone, merluzzo, bresaola, uova. Sono comunque da preferire anche gli alimenti contenenti ferro non eme che, sebbene contengano una forma di ferro non facilmente assorbibile, posso comunque apportare un discreto aiuto. Il ferro non eme lo troviamo negli spinaci, nella frutta secca e oleosa, nei legumi. Risultano di fondamentale importanza anche gli alimenti ricchi di vitamina C (agrumi, frutta in genere, verdura), in quanto questa sostanza è necessaria all’assimilazione del minerale. Qualora né l’integrazione di ferro, né la correzione delle abitudini alimentari fossero sufficienti per curare l’anemia sideropenica, il paziente deve sottoporsi a controlli più approfonditi, al fine di individuare la vera causa scatenante. In base all’elemento eziologico, il medico può prescrivere antibiotici, contraccettivi orali o consigliare un intervento chirurgico. n




stili di vita_diabete

I diabetici italiani sempre più numerosi, un po’ più consapevoli

«N

el 2035 le diagnosi complessive di diabete potrebbero arrivare a 595 milioni di casi»: inizia così, con la forza di un numero imponente, Diabetes Monitor 2015, il rapporto ricavato da un’indagine della popolazione affetta da diabete, che viene condotta ogni anno da MediPragma in collaborazione con l’Università di Roma Tor Vergata e la Fondazione Ibdo (Italian Barometer Diabetes Observatory Foundation), con l’obiettivo di analizzare le modalità di gestione della malattia e del trattamento farmacologico specifico. L’analisi è riferita alla situazione italiana, a partire dai dati raccolti attraverso interviste effettuate su un campione rappresentativo della popolazione affetta da diabete.

Pur non avendo un intento statistico, il documento riporta alcuni dati epidemiologici molto significativi, alcuni dei quali mutuati da Italian Health Policy Brief, la testata che dal 2011 si prefigge l’obiettivo di fotografare il sistema sanitario italiano: un italiano su sedici ha il diabete e la malattia è destinata a diffondersi ulteriormente, fino a toccare i cinque milioni di diabetici nel 2030. Ma si stima che ogni tre persone con diabete noto, ce ne sia una con diabete non diagnosticato e che per ogni persona con diabete noto, vi sia almeno una persona ad alto rischio di svilupparlo perché affetto da ridotta tolleranza al glucosio o alterata glicemia a digiuno. Non sorprende dunque che l’impatto economico della malattia sia molto rilevante: il rischio di ricovero in ospedale per specifiche complicanze o comorbilità (dalle malattie cardiovascolari alla retinopatia diabetica), a parità di età e sesso, è da due a otto volte maggiore in presenza

di Renato Torlaschi

Oltre a fornire un’accurata fotografia della popolazione diabetica in Italia, l’indagine conferma il noto rapporto tra diabete e peso: 8 diabetici su 10 hanno un indice di massa corporea superiore alla norma, e ben il 30% risulta obeso

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stili di vita_diabete

di diabete. «Il costo medio per paziente con diabete è infatti di circa 2.600-3.100 euro l’anno – spiegano gli esperti dell’Ibdo – più del doppio rispetto a persone di pari età e sesso ma senza diabete. E i costi aumentano con l’aumentare dell’età degli assistiti. Tale dato va considerato di particolare rilievo, considerando le previsioni di crescita della popolazione degli ultrasessantacinquenni. Ai costi diretti dell’assistenza vanno aggiunti quelli derivanti da perdita di produttività, pensionamento precoce, disabilità permanente e altri costi indiretti, che possono riguardare i costi “out of pocket” sostenuti direttamente dalle persone con diabete e le perdite di produttività di chi le assiste». Una fotografia della popolazione diabetica italiana

Le cause della progressiva diffusione del diabete mellito di tipo 2, la forma di gran lunga più frequente, risiede in alcuni dei fenomeni sociali più caratteristici del nostro tempo. Il primo è appunto l’invecchiamento della popolazione: tra le persone che hanno compiuto i 65 anni, quelle colpite da patologia diabetica sono circa il 15% e, solo nell’ultimo decennio, questa fascia di età

quattro tipi di pazienti diabetici Secondo il Diabetes Monitor si possono suddividere gli italiani affetti da diabete in quattro tipologie. z Disattenti (8%). Maschi giovani (meno di 45 anni), residenti al Sud; frequentemente sovrappeso o obesi; svolgono attività lavorativa e hanno una elevata scolarità; vanno poco dal medico (spesso una sola volta all’anno) e sono meno inclini a effettuare l’autocontrollo della glicemia. z Non complianti (28%). Più spesso donne senior (più di 60 anni) residenti al Sud; spesso sovrappeso o obese; non svolgono attività lavorativa; hanno bassa scolarità; hanno scoperto il diabete casualmente (esami di routine o Pronto soccorso); spesso non conoscono il proprio valore di emoglobina glicata e praticano scarsamente l’autocontrollo della glicemia.

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z Consapevoli infelici (30%). Più spesso re-

sidenti al Sud, con diagnosi relativamente recente (meno di cinque anni); in condizione lavorativa e con un’elevata scolarità; assumono insulina dall’esordio della malattia (diagnosticata spesso in ospedale); usano il microinfusore e sono iscritti ad associazioni pazienti con un ruolo attivo. z Consapevoli felici (34%). Maschi senior (più di 60 anni), con una lunga storia di malattia diabetica alle spalle; prevalentemente in pensione e frequentemente con patologie concomitanti; più spesso la terapia di esordio è stata l’insulina; conoscono il proprio valore di emoglobina glicata; usano il microinfusore e sono iscritti ad associazioni pazienti con un ruolo attivo.

è cresciuta di quasi due milioni. C’è poi il problema dell’obesità, la cui gravità sta diventando sempre più evidente, grazie a studi che la associano a numerose condizioni patologiche: tra queste c’è anche il diabete. La percezione di questi rischi non ha però ancora prodotto modifiche significative dei comportamenti sociali e l’obesità sta aumentando in tutte le fasce d’età, compresa quella pediatrica. In Italia ci sono oggi 17,6 milioni di adulti in sovrappeso e 4,9 milioni di obesi: questi ultimi hanno un rischio dieci volte maggiore di sviluppare il diabete. Infine, a migliorare le cose non hanno certo aiutato la recente crisi economica e la distribuzione della ricchezza sempre più polarizzata tra persone benestanti e ampi strati di persone indigenti: è dimostrato infatti che la prevalenza di diabete è superiore nelle fasce sociali con livello culturale ed economico più basso. Uno degli elementi di interesse del Diabetes Monitor è l’analisi dei comportamenti dei soggetti diabetici, di cui viene fatta una vera e propria mappatura, considerando due fattori. Il primo è la compliance, ossia la tendenza dei pazienti a rispettare scrupolosamente le indicazioni del medico, a prestare molta attenzione all’alimentazione, a mantenere un peso corporeo nella norma e a tenere sotto controllo la glicemia, premessa essenziale per una migliore gestione della terapia. Il secondo fattore esaminato è stato l’autonomia, ritenuta tale quando la sintomatologia del diabete non rappresenta un limite al normale svolgimento della vita quotidiana, il paziente conduce una vita assolutamente normale e riesce a gestire la propria malattia in modo del tutto autonomo. In base a queste variabili, i diabetici sono stati definiti in quattro categorie: i disattenti, i non complianti, i consapevoli infelici e i consapevoli infelici. Ma come cambia nel tempo, la popolazione dei diabetici? Rispetto alla rilevazione dello scorso anno, il fenomeno più rilevante è la netta riduzione della quota di soggetti definiti disattenti. Ma gli autori del report mettono in guardia dai facili ottimismi: «Non tutti i disattenti sono trasformati in consapevoli, anzi una buona fetta


stili di vita_diabete

In italia

è migrata nell’area del1 italiano su 16 la non-compliance; soha stanzialmente stabile è il diabete invece la quota di soggetti che si sentono “malati”». L’appartenenza a una associazione di pazienti sembra giocare un ruolo essenziale nell’acquisizione di una reale consapevolezza della propria condizione e nel mantenere abitudini che aiutino a tenerla sotto controllo: «In sintesi, i rispondenti non partecipanti ad associazioni di pazienti mostrano una sostanziale crescita dell’area della noncompliance, che oggi tocca il 34% mentre si attestava al 20% nella rilevazione precedente. Viceversa tra i partecipanti ad associazioni di pazienti, se da un lato si allarga l’area della non-compliance (da 10% a 18%), cresce in maniera robusta l’area dei consapevoli, dal 29% al 39%. Insomma, l’associazionismo sembra poter svolgere un ruolo positivo nel creare le condizioni per una migliore aderenza alla terapia». Due tipi di diabete

Il diabete mellito comprende un gruppo di disturbi metabolici accomunati dal fatto di presentare una persistente instabilità del livello glicemico del sangue, dovuta a una carenza di insulina nell’organismo umano. Ne esistono due forme principali: il tipo 1 e il tipo 2. Il diabete mellito di tipo 1 si caratterizza per l’assenza quasi totale dell’insulina, l’ormone che viene prodotto dalle cellule beta del pancreas: il sistema immunitario di chi ne soffre distrugge queste cellule; la malattia si manifesta nei bambini o nei giovani e per questa ragione si parla di “diabete giovanile” o “diabe-

17,6 milioni di adulti in sovrappeso

5 milioni di diabetici nel 2030

4,9 milioni di obesi

te insulino-dipendente”. Ne soffre circa il 10% dei diabetici e la terapia fondamentale consiste fornire all’organismo l’insulina mancante. Esistono numerosi prodotti con diversa rapidità di azione, durata e modalità di somministrazione: la penna usa e getta è il sistema più utilizzato e il più gradito, ma si sta diffondendo anche l’uso del microinfusore, che viene scelto da circa il 17% dei pazienti. Il diabete mellito di tipo 2 è molto più frequente: in questi pazienti l’insulina è presente, almeno negli stadi iniziali, ma le cellule di alcuni tessuti non sono in grado di utilizzarla (tra cui quello adiposo, il tessuto muscolare e il fegato). Questa forma di diabete compare generalmente dopi i 40 anni e può essere prevenuta o controllata agendo sugli stili di vita, combattendo la sedentarietà, la cattiva alimentazione, il fumo e l’obesità. Le possibilità terapeutiche sono per questi pazienti sono svariate, a seconda della gravità della malattia e alle preferenze personali: è compito del diabetologo individuare il farmaco o la combinazione di farmaci più adeguata alla situazione clinica, considerando anche gli aspetti comportamentali fino ad arrivare a una terapia il più possibile personalizzata. n

approfondimenti Mettendo a confronto i dati raccolti nell’indagine Diabetes Monitor 2015 con quelli delle precedenti indagini, in merito alle fonti di informazione è rilevante la differenza 2015 vs 2013 delle persone che dichiarano di attingere le proprie informazioni da internet (68% vs 21.2%).

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campagne informative_prevenzione dell’influenza

Al via la campagna l’influenza che verrà #previenila Si prevede che nei prossimi mesi l’influenza costringerà a letto quasi 5 milioni di persone, con un picco tra Natale e Capodanno. Responsabili i virus H1N1, H3N2 e B Phuket e possibile l’arrivo di B Brisbane

U

na campagna di informazione sul tema dell’influenza, grazie alla quale i cittadini potranno trovare utili risposte per prepararsi all’influenza che verrà. L’iniziativa “L’influenza che verrà #previenila” è promossa dal Movimento Italiano Genitori Onlus (Moige), dall’Associazione Medica Italiana di Omotossicologia (Amiot) e dalla Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale (Sipps), con il contributo incondizionato di Guna S.p.a. Tra gli obiettivi della campagna rientra la creazione di una rete di informazione capillare, a disposizione dei cittadini, per promuovere una maggiore sensibilizzazione nei confronti della prevenzione influenzale, non solo attraverso la pratica vaccinale, ma anche diffondendo una migliore conoscenza delle possibilità terapeutiche della medicina naturale.

di Rachele Villa

Diffusione dell’influenza: le previsioni

Nel corso della stagione 2014-2015, l’influenza ha colpito l’11% degli italiani, per un totale di circa 6.300.000 casi. Durante l’epidemia influenzale, l’Istituto Superiore di Sanità ha contato 160 decessi. Dati non confortanti si sono 50

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registrati per quanto riguarda le vaccinazioni: solo il 49% degli over 64enni si è vaccinato, si tratta della percentuale più bassa degli ultimi dieci anni. Secondo Fabrizio Ernesto Pregliasco, virologo dell’Università degli Studi di Milano e direttore sanitario dell’Istituto Galeazzi di Milano, quest’anno l’influenza colpirà 4,5-5 milioni di persone: 40% nella fascia di età 0-18 anni, 40% nella fascia di età 18-65 anni, il 20% oltre i 65 anni. Il picco si verificherà tra Natale e Capodanno 2015 ad opera dei virus H1N1 - H3N2 e del virus B Phuket. Ad amplificare la possibile emergenza il probabile arrivo del virus B Brisbane. Saranno 262 i virus in circolazione anche quest’anno, variamente mescolati e con sintomatologie relativamente diverse, pronti a diffondersi in funzione delle temperature. I virus H1N1 - H3N2 e il virus B Phuket rappresentano delle nuove varianti, ma non molto distanti dai virus che hanno circolato gli scorsi anni. Ad oggi si può dire che la prossima stagione influenzale sarà di intensità media e l’effettiva diffusione dipenderà anche dall’andamento della temperatura. Il vaccino antinfluenzale resta un’opportunità e diventa un salvavita per le persone fragili, ovvero gli anziani sopra i 65 e i malati cronici per i quali


campagne informative_prevenzione dell’influenza

l’influenza potrebbe determinare complicanze. Anche se non protegge da tutte le forme non dovute a virus influenzali e a volte non evita completamente la malattia, ne attenua sintomi e rischio di complicanze. La campagna

Da ottobre sarà operativo l’Osservatorio dell’influenza guidato dal virologo Fabrizio Ernesto Pregliasco, che seguirà il monitoraggio dei picchi influenzali durante l’inverno e comunicherà i dati tramite il sito www.previenila.it. Attivo anche il numero verde 800.38.50.14 per chiedere informazioni, suggerimenti e indicazioni ai medici dell’Associazione medica italiana di omotossicologia (Amiot). Dal mese di ottobre sarà inoltre in distribuzione il materiale informativo dell’iniziativa nelle farmacie e presso gli studi medici aderenti. Unanime la voce delle varie associazioni che hanno preso parte all’iniziativa, che intendono promuovere una maggiore sensibilizzazione nei confronti della prevenzione dell’influenza. «Per noi genitori è importante intervenire nella tutela della salute dei nostri figli – ha dichiarato Maria Rita Munizzi, presidente nazionale del Movimento italiano genitori (Moige) –. Con il mondo medico abbiamo istituito un Osservatorio dell’Influenza al fine di informarci sui periodi di picco influenzale. Essere preparati e forti immunologicamente parlando è la chiave di volta per superare serenamente la stagione invernale e i suoi malanni». Giuseppe Di Mauro, presidente della Società italiana di pediatria preventiva e sociale (Sipps), ha ribadito la fondamentale importanza della vaccinazione: «Nella prevenzione dell’influenza la vaccinazione è la strategia raccomandata, insieme alle buone norme igieniche. Tra le nuove opportunità farmacologiche sono sempre più numerosi gli studi scientifici che evidenziano il ruolo preventivo e terapeutico della low dose medicine. Come Sipps siamo impegnati in una intensa attività di informazione e formazione dei pediatri ita-

liani per un uso consapevole e “giudizioso” di tutte le strategie antinfluenzali». Il presidente dell’Associazione medica italiana di omotossicologia (Amiot), Cesare Santi, ha commentato con queste parole l’adesione all’iniziativa: «L’impegno di Amiot sarà volto a raggiungere, attraverso la formazione della classe medica, una consensus culturale e scientifica su tutte le diverse possibilità di fare prevenzione – anche quelle offerte dalla Low Dose Medicine – senza pregiudizi, barriere ideologiche e, viceversa, all’insegna dell’integrazione e dell’overlapping delle terapie». «Abbiamo deciso di sostenere questo progetto di prevenzione e informazione,

i vaccini disponibili Attualmente in Italia sono disponibili vaccini antinfluenzali trivalenti (TIV) che contengono 2 virus di tipo A (H1N1 e H3N2) e un virus di tipo B e un vaccino quadrivalente che contiene 2 virus di tipo A (H1N1 e H3N2) e 2 virus di tipo B. L’efficacia del vaccino dipende soprattutto dal match esistente fra i virus in esso contenuti e quelli circolanti. Per tale motivo l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) indica ogni anno la composizione del vaccino basandosi sulle informazioni sui ceppi virali circolanti e sull’andamento delle sindromi simil influenzali (influenza-like-illness). L’Oms ha indicato che la composizione del vaccino per l’emisfero settentrionale nella stagio-

ne 2015/2016 sia la seguente: antigene analogo al ceppo A/California/7/2009 (H1N1) pdm09; antigene analogo al ceppo A/Switzerland/9715293/2013 (H3N2); antigene analogo al ceppo B/Phuket/3073/2013 (lineaggio B/Yamagata). Il vaccino per la stagione 2015/2016 conterrà, pertanto, una nuova variante antigenica di sottotipo H3N2 (A/Switzerland/9715293/2013), che sostituirà il ceppo A/Texas/50/2012 contenuto nel vaccino della stagione 2014/2015 e una nuova variante di tipo B (B/Phuket/3073/2013), appartenente sempre al lineaggio B/Yamagata/16/88, in sostituzione del precedente ceppo vaccinale, B/Massachusetts/2/2012.

promosso da importanti associazioni mediche e professionisti del settore, per senso civico, perché si tratta di epidemie che possono limitare salute, benessere e serenità di milioni di persone nel nostro Paese e perché è una grande operazione culturale, utile per creare consapevolezza, specie sui temi della prevenzione che sovente passa anche attraverso piccoli gesti quotidiani» ha dichiarato Alessandro Pizzoccaro, Presidente di Guna S.p.a. n ottobre 2015

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attualità

Rapporto OsMed: spesa farmaceutica non è cresciuta nel 2014 Farmaci per il trattamento dei disturbi cardiovascolari al primo posto, media di spesa pro capite pari a 438 euro, aumento delle segnalazioni di reazioni avverse del 25% rispetto al 2013 sono alcuni dei dati emersi dal rapporto stilato dall’Osservatorio nazionale sull’impiego dei medicinali

Il 2014 per l’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) è stato un anno turbolento, basti menzionare, tra le altre vicende, la complessa, quanto inverosimile, questione Stamina, senza dimenticare tutto ciò che ha riguardato la valutazione e l’autorizzazione dei medicinali per il trattamento dell’epatite C. Il rapporto relativo al 2014 sull’uso dei farmaci in Italia, stilato dall’Osservatorio nazionale sull’impiego dei medicinali (OsMed) e presentato di recente a Roma, dà il polso della situazione sull’impiego dei medicinali nel nostro Paese. Numeri e dati del settore

Ebbene, nei 12 mesi del 2014 complessivamente la spesa farmaceutica, pubblica e privata, ha raggiunto i 26,6 miliardi di euro (solo lo 0,1% in più del 2013), di cui il 75% è stato rimborsato dal Ssn, con una media calcolata per ciascun cittadino italiano di circa 438 euro. L’esborso a carico dei cittadini, comprendente la spesa per compartecipazione (ticket regionali e differenza tra il prezzo del medicinale a brevetto scaduto erogato al paziente e il prezzo di riferimento), i medicinali di classe A acquistati privatamente e quelli di classe C, ha fatto segnare una contrazione dello 0,1% rispetto al 2013. A determinare tale diminuzione ha contribuito la riduzione di spesa per l’acquisto privato di medicinali di fascia A (-1,9%) 54

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e di quella relativa ai medicinali di classe C con ricetta (-1,6%). Inoltre la spesa per compartecipazione è stata di 1,5 mld di euro, equivalente a 24,7 euro pro capite. In riferimento, poi, alle diverse componenti della spesa farmaceutica convenzionata, si può osservare, rispetto al 2013, un aumento dei consumi pari al 2,5%, con una diminuzione dei costi del 3,3%. Il costo sostenuto dalle strutture pubbliche per l’acquisto di farmaci è stato di 9 miliardi di euro (148 euro pro capite), segnando un +4,8% rispetto al 2013.

Ovviamente il consumo dei farmaci varia a seconda della fascia d’età presa in considerazione: ad esempio, quella che riguarda gli over 64 (la cui popolazione assorbe il 60% della spesa in assistenza convenzionata) evidenzia una spesa pro capite a carico del Ssn fino a tre volte maggiore rispetto alla media nazionale; mentre il 50% della popolazione pediatrica e quasi il 90% di quella anziana (con età superiore ai 74 anni) ha ricevuto almeno una prescrizione di farmaci durante l’anno. Da sottolineare quanto nella fascia d’età 15-64


attualità

patologie cardiovascolari e impiego di farmaci

anni le donne presentino una maggiore predisposizione all’uso dei medicinali rispetto agli uomini, con una differenza assoluta del 9%.

Nel 2014 la spesa per i farmaci dell’apparato cardiovascolare rimane al primo posto, sia in termini di spesa farmaceutica complessiva, con 4,087 mld di euro, che di consumi, con l’83,8% a carico del Ssn in regime convenzionale (3,423 mld di euro), l’11,1 % sostenuto dal cittadino (456 milioni di euro) e il restante 5,1% acquistato dalle strutture sanitarie pubbliche (208 milioni di euro). La spesa pro capite totale per i farmaci cardiovascolari è risultata pari a 67,2 euro.

L’analisi del profilo di farmacoutilizzazione per fascia d’età e sesso conferma il costante incremento dell’impiego dei farmaci cardiovascolari al crescere dell’età per entrambi i sessi (circa il 75% degli uomini con più di 74 anni d’età ne fa uso). Parallelamente, anche la spesa pro capite sostenuta dal Ssn aumenta con l’età dei pazienti, fino a raggiungere il livello massimo di circa 192 euro pro capite nella fascia di età con più di 74 anni, con un maggior valore negli uomini rispetto alle donne.

La spesa regionale

Concentrando l’attenzione sui livelli di spesa territoriale, la provincia autonoma di Bolzano, con 173,6 euro pro capite, registra quello più basso, mentre il dato più alto lo si rileva in Campania (290,2 euro pro capite a fronte di una media nazionale di 233,9). La Liguria, con 130,9 euro pro capite, e il Molise con 80 euro pro capite sono rispettivamente le regioni caratterizzate dalla più alta e dalla più bassa spesa privata di farmaci. Invece, per quanto concerne i farmaci acquistati dalle strutture pubbliche, avendo come dato di media nazionale la cifra pro capite di 148 euro, si passa dalla Puglia con il valore più alto (183,6 euro) fino alla più parsimoniosa Valle d’Aosta con 113,9 euro pro capite. 48,7 euro è, poi, la spesa pro capite riferibile ai farmaci di classe C, facendo registrare un -2,8% rispetto al 2013; mentre per i farmaci di automedicazione la cifra si attesta a 38,1 euro (-1,2% in confronto al 2013). I farmaci più venduti

I farmaci per la cura delle patologie cardiovascolari si attestano al primo posto sia per quanto riguarda la spesa totale (pari a 4,087 mld di euro) sia in termini di consumi; mentre per la prima volta al secondo posto della spesa complessiva – pubblica e privata – si trovano i farmaci antitumorali e immunomodulatori (3,934 mld di euro), al primo posto per quella pubblica. Altre categorie di medicinali ai vertici in termini di spesa totale sono quelli per la cura dei disturbi di apparato gastrointestinale e meta-

bolismo (3,771 mld di euro) e i farmaci per il sistema nervoso centrale (3,228 mld di euro). Tra i farmaci di classe C con ricetta fanno registrare la parte del leone i derivati benzodiazepinici, in particolare gli ansiolitici (377,2 milioni di euro), a cui seguono i farmaci per il trattamento della disfunzione erettile (264,6 milioni di euro). Tadalafil, lorazepam, drospirenone ed etinilestradiolo sono i tre principi attivi più venduti nel 2014. Nel campo dei farmaci di automedicazione, invece, diclofenac (140,8 milioni di euro), ibuprofene (127,0 milioni di euro) e paracetamolo (108,9 milioni di euro) sono i principi attivi che hanno fatto registrare la spesa più alta. Per quanto riguarda l’assistenza farmaceutica ospedaliera e ambulatoriale, che ammonta a 2,9 miliardi nel 2014, ben 12 principi attivi appartenenti alla categoria degli antineoplastici e immunomodulatori compaiono nella lista dei primi trenta principi attivi, con trastuzumab, rituximab e bevacizumab ai primi tre posti. Monitoraggio reazioni avverse

Al monitoraggio sul consumo dei farmaci si associa una precisa azione di farmacovigilanza al fine di valutare costantemente il profilo di sicurezza di ciascun farmaco. Nel 2014 le segnalazioni di sospette reazioni avverse registrate attraverso la Rete nazionale di farmacovigilanza sono state 842 per milione di abitanti (+25% rispetto al 2013).

La maggioranza delle segnalazioni avvenute nel corso del 2014 ha interessato la categoria degli antineoplastici e immunomodulatori (17%), con a seguire quella dei vaccini (14%) e degli antimicrobici (13%). Utilizzo improprio dei farmaci

Tema di estrema delicatezza è quello dell’impiego improprio dei farmaci, purtroppo molto diffuso nel nostro Paese, che vede gli antibiotici superare il 30% di utilizzo non corretto considerando tutte le condizioni cliniche studiate. Oltre ad esporre i soggetti a inutili rischi derivanti dagli effetti collaterali, l’uso improprio degli antibiotici amplifica la possibilità di sviluppo di resistenze, in forte aumento negli ultimi anni. Tra la popolazione adulta, sono le infezioni acute delle vie respiratorie e le infezioni acute non complicate delle basse vie urinarie le patologie per le quali si osserva un utilizzo maggiormente inappropriato degli antibiotici. Nello specifico, il 41% dei pazienti con diagnosi di affezioni virali delle prime vie respiratorie (influenza, raffreddore, laringotracheite acuta) ha ricevuto una prescrizione di antibiotico. Tutti gli usi inappropriati degli antibiotici per le infezioni delle vie respiratorie sono stati registrati in maggioranza al Sud, nella popolazione femminile e in quella di età avanzata. Vincenzo Marra ottobre 2015

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attualità

Vivere a lungo non è solo questione di geni I fattori genetici inciderebbero solo tra il 20 e il 25% sulla speranza di vita, il resto è alimentazione, stile di vita, attività fisica e socialità. A Expo 2015 si è parlato anche delle «blue zone» sparse per il pianeta, e presenti anche in Italia, dove l’uomo riesce a vivere più a lungo

Vivere a lungo, vivendo bene. La longevità è una conquista a cui si arriva giorno dopo giorno, prestando attenzione per tutto l’arco della vita ad alimentazione e stile di vita, con un occhio di riguardo nei confronti delle principali minacce per la salute cardiovascolare ovvero sovrappeso, ipertensione e colesterolo, ma curando anche gli affetti e i progetti personali. A svelare gli ingredienti di quello che potremmo definire l’elisir di lunga vita sono stati gli esperti di Italia Longeva, network internazionale fondato dalla Regione insieme al ministero della Salute per indagare e diffondere le evidenze scientifiche su un invecchiamento in buona salute fisica e mentale, che al Forum internazionale sulla longevità, nell’ambito di Expo 2015, hanno presentato i risultati del Longevity Check-up, un vero e proprio test sui principali parametri vitali proposto ai visitatori dello spazio Expo delle Marche, la Regione con l’aspettativa di vita più alta d’Italia. Il test, condotto dai medici di Italia Longeva su circa mille visitatori (94% italiani e 6% stranieri) con un’età media di 54 anni e con una prevalenza del genere femminile (56% di donne contro il 44% di uomini), ha rivelato che le tre minacce alla longevità più diffuse sono rappresentate da sovrappeso (stato in cui si trovava il 48% dei visitatori), pressione alta (46%) e colesterolo fuori controllo (38%). Un altro fattore di rischio è rappresen56

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tato, anche se con numeri decisamente più bassi, dal vizio del fumo, con il 17% di fumatori incalliti e il 25% di ex fumatori. Buone invece le percentuali che interessano la corretta alimentazione e un moderato esercizio fisico: l’80% del campione analizzato segue una dieta equilibrata e il 70% pratica regolarmente un’attività sportiva. «Il dato genetico – ha dichiarato il professor Roberto Bernabei, presidente di Italia Longeva e direttore del Dipartimento di geriatria all’Università Cattolica-Policlinico Gemelli di

Roma – incide fra il 20 e il 25% sulla speranza di vita di ciascuno di noi. Ciò significa che quel che fa la differenza sono le abitudini di vita, dall’alimentazione all’attività fisica: la longevità è quindi una conquista personale. Per questo abbiamo posto al centro del nostro Longevity Check-up i sette parametri di salute cardiovascolare che sono alla base di una vita lunga e in salute: astensione dal fumo, regolare esercizio fisico, dieta equilibrata con adeguato apporto di frutta e verdura, lotta al sovrappeso, valori di colesterolemia sot-


attualità

to controllo e attenzione anche alla pressione arteriosa e alla glicemia. Purtroppo, dal nostro test sui visitatori dello spazio Marche in Expo è risultato che solo il 9% delle persone esaminate rispetta tutti e sette questi parametri». «È chiaro, quindi, – continua Bernabei – che l’alimentazione gioca un ruolo cruciale per la conquista della longevità, eppure mangiare bene non basta: l’esercizio fisico, che nelle Marche è spesso imposto dall’acclività del terreno, fatto di sali-scendi collinari, una rete familiare e sociale solida, il mantenimento di forti rapporti inter-generazionali, fra genitori e figli e fra nonni e nipoti, e persino saldi riferimenti spirituali sono all’origine di una vecchiaia lunga e serena, che si fonda sulla salute fisica, ma anche sulla lucidità intellettiva e sull’equilibrio psicologico». Alla ricerca della longevità: gli abitanti delle «blue zone»

Nel corso del Forum internazionale sulla longevità i massimi esperti a livello mondiale hanno proposto un’analisi scientifica delle abitudini messe in atto dagli abitanti delle cosiddette «blue zone», aree sparse nel mo-

do caratterizzate dalla presenza di un elevato numero di ultracentenari: Okinawa in Giappone, Loma Linda in California, Ikariia in Grecia, Nicoya in Costa Rica e quattordici comuni dell’Ogliastra in Sardegna tutti accomunati da una longevità senza paragoni che i ricercatori riconducono a una serie di fattori protettivi tra cui un’alimentazione sana, una moderata attività fisica, matrimoni consolidati e forti legami transgenerazionali. «Gli studi mostrano chiaramente che il fumo, l’obesità, la felicità e persino la solitudine sono contagiosi – ha dichiarato Dan Buettner, esploratore del National Geographic che ha studiato le «blue zone» sparse per il pianeta –. Il segreto, in fondo, è circondarsi di amici che seguano e ci incoraggino a seguire uno stile di vita salutare. Anche dal punto di vista dell’esercizio fisico, infatti, i popoli più longevi del mondo non passano la giornata a sollevare pesi in palestra, non sono maratoneti né assidui frequentatori di circoli sportivi: piuttosto, vivono in un ecosistema familiare, lavorativo, sociale e ambientale che li induce a muoversi in continuazione, senza neanche pensarci. La strategia ottimale per la longe-

vità sembra quindi soprattutto combattere la pigrizia e la tristezza, andare a piedi a lavoro, fare le scale invece di prendere l’ascensore». Dello stesso parere è Gianni Pes, del Dipartimento di medicina clinica e sperimentale dell’Università di Sassari, scopritore della prima «blue zone», in Sardegna. «Negli ultimi decenni – ha spiegato Pes – le ricerche sulla longevità si sono concentrate su una strategia multidisciplinare, che ha visto l’integrazione di genetica, demografia, antropologia e scienza dell’alimentazione, tutte alleate nello sforzo comune di comprendere non solo come si viva più a lungo, ma soprattutto come si possa invecchiare in buona salute, fisica e mentale. Non tutti sanno che è italiana la prima zona del pianeta ormai ampiamente accreditata dalla scienza come vero osservatorio internazionale sulla longevità: la prima «blue zone». Si tratta dell’Ogliastra, la zona montuosa centro-orientale della Sardegna nella quale si registrano gli indici di sopravvivenza media più elevati al mondo, soprattutto nella popolazione di sesso maschile, in controtendenza rispetto a quanto avviene nel resto del pianeta. «A mio parere – ha precisato l’esperto – la principale lezione che possiamo apprendere dallo studio delle “zone blu” è che i fattori modificabili hanno un peso maggiore di quelli ereditari, e pertanto uno stile di vita equilibrato è la migliore strategia per una vita lunga e in buona salute. Cibi elaborati, sedentarietà, isolamento sociale, vizi persino ricercati e ogni altra abitudine che più si discosti dallo stile di vita di popoli pastorali, con un’alimentazione essenziale e la necessità di spostarsi al seguito delle greggi, sono senza dubbio le strategie meno efficaci per candidarsi alla longevità». Rachele Villa ottobre 2015

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attualità

Cordoglio per la scomparsa di Fulvio Marzatico Stimato docente universitario, esperto nell’ambito dell’integrazione nutrizionale in campo sportivo, e membro del board editoriale della rivista Professione Salute, il professor Marzatico si è spento prematuramente. Il ricordo commosso nelle parole di chi lo conosceva.

Il 5 giugno scorso è venuto a mancare il professor Fulvio Marzatico, una notizia che lascia increduli tutti: famigliari, amici, la comunità scientifica. Io e i suoi colleghi lo ricordiamo così. Fulvio Marzatico consegue la Laurea in Scienze Biologiche nel 1978 all’Università di Pavia, dove dal 1981 è ricercatore presso l’ex Istituto di Farmacologia (oggi facente parte del Dipartimento di Biologia e Biotecnologie “L. Spallanzani”). Il professor Marzatico si forma in ambito farmacologico nei settori della bioenergetica cerebrale e muscolare, della neurobiologia e neuropatologia dell’invecchiamento cerebrale, che da sempre caratterizzano la scuola farmacologica pavese della Facoltà di Scienze. Nel 1989 vince una borsa di studio del Cnr per un soggiorno di studio e di ricerca presso il Dipartimento di Neurologia e Neurochirurgia dell’Università della California di San Francisco (Ucsf). Grande appassionato di sport, Fulvio Marzatico diviene ben presto un riferimento nazionale nell’ambito della farmacologia dello sport, che con gli anni evolverà nell’approfondimento della nutrizione sportiva. Lo studio appassionato dell’integrazione e della supplementazione nutrizionale in campo sportivo ha caratterizzato gran parte della sua attività di ricerca, in particolare su tematiche quali lo stress ossidativo legato all’esercizio, l’utilizzo di antiossidanti nello 58

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sport e l’invecchiamento muscolare. Campi nei quali il professor Fulvio Marzatico ha dato contributi pionieristici e di eccellenza e che ne hanno consolidato la figura di leader a livello nazionale e internazionale. Di particolare rilevanza sono stati i suoi poliedrici ruoli scientifici: membro dell’editorial board per riviste quali il Journal of Sports Medicine and Physical Fitness; membro attivo dell’Advisory Board dell’International Society of Sport Nutrition (Issn) e della Società Italiana di Nutrizione Sport e Benessere (Sinseb), in cui ha ricoperto la carica di vice presidente sin dalla sua fondazione; autore di oltre 120 lavori su riviste scientifiche indicizzate; docente universitario e formatore per oltre 30 anni; ideatore e promotore di progetti scientifici a vari livelli; grande esperto di allenamento e di biologia dell’esercizio. Ebbi la fortuna di conoscere il professor Marzatico nel 1998 e l’anno successivo ini-

ziai a lavorare insieme a lui ai primi progetti. Insostituibile “maestro di scienza”, Fulvio mi ha introdotto all’affascinate studio dei fenomeni biologici correlati allo sport e alla nutrizione, trasmettendomi un sapere scientifico che mi ha permesso di condividere con lui oltre 15 anni di esperienze. Esperienze fatte non solo di convegni, di lezioni agli studenti, di lavori scientifici, di consulenze, ma anche di contatto quotidiano, di apprendimento continuo, di scambi di idee, di riflessioni, di coraggio nell’affrontare nuove sfide. Fulvio è stato una figura determinante nella mia vita, e nella vita di tutti coloro che in lui hanno visto il riferimento scientifico, la non comune disponibilità, l’autorevolezza, la professionalità, il genio creativo. Lo ricorderò per sempre con grande stima, affetto e riconoscenza. Massimo Negro Università di Pavia


attualità

Lutto nel mondo della farmacia: si è spento Giacomo Leopardi È scomparso a Roma all’età di 87 anni Giacomo Leopardi, grande protagonista della farmacia italiana. Dal 1985 al 2009 aveva rivestito la carica di presidente della Federazione degli Ordini dei Farmacisti. Con Giacomo Leopardi scompare una figura fondamentale non soltanto della professione, ma della sanità italiana, testimone delle grandi trasformazioni della sanità italiana, nelle quali ha saputo operare da protagonista non soltanto a tutela dei farmacisti e della farmacia, ma della salute della collettività. «Leopardi, apparentemente schivo, di poche parole, sapeva come conquistare il cuore e le energie degli uomini – ha dichiarato Andrea

Mandelli, presidente della Federazione degli Ordini dei Farmacisti (Fofi). – Chi lo ha conosciuto, e grazie alla sua lunghissima vita nella professione in moltissimi hanno avuto questa fortuna, sa che quella che poteva apparire come cautela o prudenza era in realtà quella capacità, che nei nostri tempi stiamo sempre più perdendo, di vedere oltre. Di andare sempre un passo più in là del presente, della polemica spiccia e contingente». «Giacomo Leopardi ci lascia una preziosa eredità: la profondità del suo pensiero, il pragmatismo operativo, la saggezza dei suoi consigli, lo stile sobrio della sua vita – ha commentato il vicepresidente della Fofi, Luigi D’Ambro-

sio Lettieri. – Tutto ciò continuerà a costituire la base dell’azione e dell’impegno della Federazione degli Ordini dei Farmacisti Italiani e di quanti ne proseguiranno il lavoro». Commozione anche nelle parole di Maurizio Pace, segretario Fofi: «Giacomo Leopardi è stato l’uomo che ha lanciato l’idea di una Federazione di giovani farmacisti, che subito raccolsi appena iscritto al mio Ordine e questo suo costante guardare con attenzione e costanza alle future generazioni ha rappresentato, rappresenta e rappresenterà il punto nodale del suo impegno politico all’interno della categoria e nella società. È un’indicazione preziosa, alla quale restiamo fedeli».

Il fiocco rosa, simbolo della lotta contro il tumore al seno, veste Piazza Affari Un gesto forte e irriverente per dire no al tumore al seno. È con questo spirito che la Lega per la Lotta contro i Tumori di Milano il 7 ottobre ha rivestito L.O.V.E., opera dell’artista Maurizio Cattelan comunemente nota come il “Dito”, con l’ormai famoso fiocco rosa, simbolo internazionale della lotta contro il carcinoma mammario. L’arte si mette, quindi, a servizio della prevenzione per lanciare un messaggio provocatorio, per ribadire insieme a Lilt Milano che non bisogna mai abbassare la guardia. «Con questa iniziativa vogliamo lanciare un messaggio di sfida contro il tumore al seno. Abbiamo pensato a un’immagine inequi-

vocabile per colpire e attirare l’attenzione di tutti su questo tema – ha affermato il professor Marco Alloisio, presidente della Lilt di Milano –. Ogni anno solo in Italia si stima che siano circa 48mila i nuovi casi di cancro alla mammella. Ma il tumore al seno si può e si deve sconfiggere. Lilt Milano è da sempre in prima linea nella lotta contro questa neoplasia sensibilizzando la popolazione femminile a prendersi cura di sé attraverso diverse iniziative e in tanti modi. Questo particolare connubio dell’arte con la prevenzione rientra, infatti, nelle attività che la Sezione Milanese di Lilt ha organizzato per il mese di ottobre in occasione della Campagna Nastro Rosa». ottobre 2015

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difendersi dall’inverno con probinul 5

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on l’avvicinarsi dell’inverno e durante i cambi di stagione diventiamo più esposti all’attacco di virus e batteri e siamo più soggetti a influenza, raffreddore e affezioni respiratorie. Anziani e bambini sono i soggetti più vulnerabili a tali malesseri di stagione ed è raccomandabile per loro affidarsi alla prevenzione per rafforzare le difese. Probinul 5 buste, integratore di fermenti lattici vivi, consente una completa stimolazione delle difese naturali, poiché contiene elevate quantità di specie batteriche salutari diverse (8 ceppi di Latto-

bacilli e Bifidobatteri) che, grazie alla tecnologia brevettata della microincapsulazione, riescono ad arrivare vive e nelle adeguate proporzioni nell’intestino, colonizzandone tratti diversi. Ideale quindi per ridurre incidenza, severità e durata di tali malesseri di stagione, Probinul 5 intervene per rafforzare il nostro sistema immunitario che nell’uomo risiede per il 70% nell’intestino. L’azione immunostimolante viene potenziata anche dalla presenza di fibre prebiotiche, che agiscono da nutrimento per i batteri benefici “autoctoni” del colon, e della

Vitamina C. Da oggi è disponibile anche il nuovo Probinul 5 gocce. La formulazione in gocce, molto pratica per i bambini più piccoli e per gli anziani, contiene una combinazione di tre ceppi probiotici microincapsulati, Vitamina B6 e vitamina D che rafforza il sistema immunitario e favorisce l’equilibrio della flora intestinale, prevenendo e contrastando le infezioni sia in-

testinali sia delle vie respiratorie. L’integrazione di vitamina D, particolarmente necessaria durante i mesi invernali, svolge inoltre un ruolo molto importante nella prevenzione di asma, allergie e dermatiti atopiche, e contribuisce a formare e mantenere le ossa forti. Cadigroup Tel. 06 50930490 info@cadigroup.it www.cadigreoup.eu

melatonina med, migliorare la qualità del sonno con la fitoterapia

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l sonno rappresenta per il nostro organismo una fase tutt’altro che passiva durante la quale il nostro cervello elabora tutti gli stimoli raccolti durante la giornata e avvengono importanti processi fisiologici come la secrezione dell’ormone della crescita in grado di stimolare i meccanismi di rigenerazione tissutale e la neutralizzazione dei radicali liberi. Un sonno inadeguato contribuisce ad aumentare il rischio di obesità, diabete, disturbi cardio-circolatori, eventi cerebrovascolari e a diminuire le difese immunitarie. Nella terapia farmacologica l’uso 64

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di farmaci sedativo-ipnotici causa dipendenza, assuefazione, difficoltà cognitive durante il giorno. I rimedi naturali hanno invece dimostrato di essere efficaci e privi di effetti indesiderati. In primis la melatonina, una molecola che il nostro organismo sintetizza nella ghiandola pineale, la cui produzione è regolata dal ciclo luce/buio e che interviene attivamente nella regolazione del ritmo circadiano. Melatonina Med è il rimedio natura-

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le proposto da Phyto Garda. Contiene 1 mg di melatonina per ogni compressa che contribuisce alla riduzione del tempo richiesto per prendere sonno e inoltre contribuisce ad alleviare gli effetti del jet lag; l’escolzia o papavero giallo della California favorisce il sonno e il rilassamento in caso di stress

mentre la vitamina B6 contribuisce alla normale funzione psicologica. Tra le piante efficaci contro l’insonnia l’escolzia è in grado di diminuire notevolmente il tempo di addormentamento, di migliorare la qualità e la durata del sonno, la valeriana e il tiglio sono invece utili per favorire il rilassamento in caso di stress e un sereno sonno, infine la melissa e la passiflora favoriscono il benessere mentale. Phyto Garda Tel. 045 6770222 info@phytogarda.it www.phytogarda.it


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inuvital plus per una corretta funzione intestinale

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alla ricerca nutraceutica Guna nasce Inuvital Plus. La formula di Inuvital Plus, senza glutine, grazie all’ottimale bilanciamento delle fibre vegetali prebiotiche (Frutto-oligosaccaridi e Polidestrosio) e delle vitamine essenziali, è stata studiata per sostenere il benessere e la fisiologica funzionalità dell’intestino. L’assunzione di Inuvital Plus è utile per: aiutare l’attività intestinale in caso di transito intestinale rallentato o non regolare e contribuire al riequilibrio di eventuali quadri vitaminici carenziali dovuti a malassorbimento e ad alterato equilibrio della funzionalità della flora batterica benefica.

Lo specifico pool vitaminico che completa la formulazione è costituito da: vitamina A che sostiene l’integrità della mucosa intestinale, vitamina E che contribuisce alla protezione delle cellule dallo stress ossidativo, aiutando a mantenere l’integrità delle membrane e dei tessuti, vitamina C essenziale per lo stato di salute dell’organismo e per il mantenimento di una buona funzione della barriera immunitaria intestinale, vitamina B12 che sostiene l’attività delle cellule del sistema immunitario. L’azione sinergica delle vitamine B12 e C di Inuvital Plus contribuisce al sostegno della funzio-

nalità del sistema immunitario dell’organismo. Si consiglia l’assunzione di una bustina di Inuvital Plus al giorno, preferibilmente durante il pasto principale, da sciogliere in un bicchiere di acqua mesco-

lando subito fino a completa dispersione. Guna Tel. 02 280181 info@guna.it www.guna.it

skin-absolute day per il ringiovanimento fotodinamico

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ilorga presenta un trattamento dall’approccio innovativo per il ringiovanimento fotodinamico: Skin-Absolute Day, antietà che agisce efficacemente sui segni dell’invecchiamento. Diverse sono le azioni di SkinAbsolute Day, per un trattamento ad ampio spettro. Riparazione fotodinamica: nel cuore del trattamento, un principio attivo dal potere assolutamente rigenerante, la fotoliasi, un enzima sviluppato da un’alga blu (l’anacystis nidulans) che vive sulla superfi-

cie degli oceani. Questa potenzia i meccanismi di ristrutturazione del Dna cellulare per un’efficacia moltiplicata su tutti i segni dell’invecchiamento: rughe, macchie, rilassamento, incarnato irregolare.

Energia positiva anti Uv+Ir: degli enzimi termostabili, estratti da un batterio marino (thermus thermophilus), catturano l’energia potenzialmente nociva dei raggi Uv e degli infrarossi della luce del giorno e la trasformano in energia positiva per stimolare la pelle in profondità. Detox illuminante: fruttani di tarassaco dalle virtù detossinanti liberano le cellule dall’inquinamento urbano, purificano la pelle e migliorano la luminosità dell’incarnato e la finezza del-

la grana della pelle. Splendore istantaneo: zaffiro bianco e agenti soft focus formano sulla superficie dell’epidermide un velo riflettente che aumenta la luminosità del viso. Inoltre, Skin-Absolute Day ha un alto potere idratante e rivitalizzante, grazie alla combinazione di Nctf e di acido ialuronico.

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Laboratoires Svr Tel. 02.6713271 info@laboratoires-svr.it www.filorga.it Professione Salute

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linea ozonia, ozoniaterapia ad azione protettiva

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nnovares propone una linea di prodotti che prende il nome da Ozonia3000, il nome attribuito all’olio di girasole ad elevato carico di Ozono sviluppato e prodotto in proprio dall’azienda stessa. Ozonia 10 è una crema utile nella cute danneggiata. Esplica un’azione protettiva nelle condizioni di

abrasione, escoriazione, erosione, disepitelizzazione, ferita chirurgica, ulcera cutanea, in quanto crea un ambiente locale sfavorevole alla contaminazione e alla colonizzazione microbica. Utile in condizioni dermatologiche che necessitino di una detersione profonda e di uno stimolo rigenerativo come acne, dermatite seborroica e intertrigine. Favorisce la riparazione delle microlesioni e la riduzione

della flogosi e dell’edema ed è efficacemente impiegata come trattamento sintomatico anche nella malattia emorroidaria. Ozonia 15 è invece utile nella secchezza e come normalizzante della cute e delle mucose sensibili. Ozonia3000, proposto in forma di Lipogel, trae forza dalla struttura anidra della formulazione, che induce maggiore permanenza e interazione con la superficie trattata, una profonda idratazione, un’azione emolliente, lenitiva e protettiva, a maggior vantaggio delle condizioni che si esplichino in secchezza cutanea, xerosi, de-

squamazione, flogosi, ragadizzazione in genere, esiti di disidrosi, eritema e debolezza nei fattori di resistenza epiteliale. Ozoral è infine protettivo nelle condizioni di mucosite, disepitelizzazione, erosione, alterazione, ulcerazione, contaminazione e colonizzazione del cavo orale, indipendentemente dalla loro eziologia, comprese le cause iatrogene (chirurgia, farmaci). Innovares Tel. 0522 473814 info@innovares.it www.innovares.com

Linea govegan, qualità alimentare in stile vegano

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robios, azienda fiorentina ai vertici in Italia nella distribuzione degli alimenti biologici vegetariani, promuove la coltivazione di materie prime nel rispetto dell’uomo e della natura e da molti anni si dedica anche alla commercializzazione di linee di prodotti adatti a chi deve seguire specifici regimi alimentari. Dal 1978, anno della sua fondazione, Probios propone una vasta scelta di alimenti biologici, nel rispetto della salute e dell’ambiente. L’azienda ha lanciato di recente la sua nuova e inedita gamma di prodotti GOve-

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gan, pensata su misura per chi sceglie lo stile di vita vegano, evitando il consumo di ogni tipo di elemento di origine animale. La nuova linea di prodotti è certificata dalla Vegan Society che per prima, nel 1944, coniò il termine vegan con l’obiettivo

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di assicurare ai propri soci la qualità dei prodotti e la loro effettiva rispondenza ai requisiti “vegani”. La linea si compone di croissant di farro, vegan ciok (crema spalmabile di cacao e nocciole italiane), piadine e wrop (per merende o in sosti-

tuzione del pane) e di una gamma di specialità studiata in collaborazione con Roberto Politi, autore di libri e ricettari vegan. «Con questa nuova gamma», spiega Fernando Favilli presidente di Probios, «abbiamo voluto proporre qualcosa di inedito, mai fatto prima, a tutti coloro che per scelta personale preferiscono non mangiare prodotti di origine animale. Con la ricca varietà di sapori di GOvegan, vogliamo dimostrare che mangiare vegano non significa rinunciare al gusto». Probios Tel. 055 8985932 www.probios.it




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