Professione Salute 5/2015

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intervista Ddl concorrenza. Annarosa Racca (Federfarma): «Liberalizzare non è sempre un atto positivo»

sicurezza alimentare Le micotossine presenti nella catena agro-alimentare e i rischi per la salute umana

dermatologia I fattori dietetici giocano un ruolo primario nel prevenire o aggravare le malattie della pelle

osteoporosi Gli esperti sottolineano l’impatto di una patologia sottovalutata come l’osteoporosi maschile

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citologia nasale Una tecnica non invasiva consente di rilevare le modificazioni nelle cellule della muscosa nasale

Corso accreditato ECM L’apparato gastroenterico tra salute e patologia: ruolo di alimentazione e stile di vita

Le malattie infiammatorie croniche dell’intestino



editoriale

editoriale Giuseppe Roccucci g.roccucci@griffineditore.it

Chi si ferma è perduto A tutti coloro che considerano quella del farmacista una categoria professionale tradizionale, immobile e legata a un passato che non c’è più, posso dire semplicemente che si sbagliano. Molteplici sono i provvedimenti che negli ultimi anni dimostrano l’esatto contrario e attestano che il farmacista attento ha una capacità di guardare oltre il breve periodo e che la categoria e l’associazione sono proiettate al futuro con fatti concreti. Nell’attuale legge di stabilità, insieme ad autorevoli associazioni mediche, è stato raggiunto l’accordo per far rientrare nella copertura del servizio sanitario nazionale i farmaci innovativi, tra cui di grande rilevanza sociale anche i farmaci orfani, garanti della cura delle malattie rare, che affliggono ancora oggi 3 milioni di italiani, il 70% dei quali sono bambini. È notizia di questi giorni l’entrata in funzione di un nuovo servizio offerto al farmacista e al pubblico che consente di disporre delle informazioni aggiornate del foglietto illustrativo del farmaco in formato digitale. Grazie a una App scaricabile gratuitamente, il cittadino che si registra lasciando i propri dati ha la garanzia e la sicurezza di essere sempre aggiornato in tempo reale sulle caratteristiche tecniche di un farmaco. Inoltre, il paziente ha la possibilità di immagazzinare un database personale sul proprio consumo di farmaci. Allo stesso tempo il farmacista ha l’opportunità di aggirare l’incombenza di dover stampare improbabili fogli di aggiornamento da consegnare a mano al cittadino che acquista un farmaco “riveduto” nelle sue indicazioni. Questo è un piccolo esempio di come un farmacista possa sfruttare le opportunità offerte dalle nuove tecnologie sia per ottimizzare i propri flussi di lavoro sia per coltivare un rapporto sempre più stretto con il proprio paziente in termini di servizio e di possibili comunicazioni periodiche sull’attività socio-sanitaria della farmacia. Tale concetto è rimarcato anche dal senatore Andrea Mandelli, che ribadisce come “la Federazione da tempo sta operando per rendere sempre più centrale la partecipazione del farmacista al processo di cura, migliorando la sicurezza e l’efficacia di impiego dei farmaci e informando sempre più il paziente”. Una corretta informazione da parte non solo dei farmacisti, ma di tutta la categoria medica, specialistica e non, è alla base del miglioramento dell’aderenza terapeutica del paziente, concetto recentemente molto dibattuto negli ambienti sanitari. Da una recente indagine (fonte Doxa Marketing Advice) emerge come la capacità di un paziente di seguire correttamente la cura assegnatagli dipenda da vari fattori, tra cui la comunicazione, l’elevato costo di certe terapie, l’insorgenza di effetti collaterali e il livello di fiducia verso il proprio medico. Sono tutti questi fattori che insieme influenzano “un’efficace gestione della cura e soprattutto la sostenibilità del nostro sistema sanitario”.

Molteplici sono

i provvedimenti che negli ultimi anni dimostrano l’esatto contrario e attestano che il farmacista attento ha una capacità di guardare oltre il breve periodo e che la categoria e l’associazione sono proiettate al futuro con fatti concreti.

Giuseppe Roccucci dicembre 2015

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sommario 12

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ECM a distanza 2015 le malattie infiammatorie croniche dell’intestino di Edoardo V. Savarino e Giorgia Bodini

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Nutrizione I rischi della contaminazione da micotossine negli alimenti di Mario Perone

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Dermatologia La pelle a tavola: la relazione tra dieta e malattie dermatologiche di Luigi Naldi

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Stili di vita Osteoporosi maschile è ancora sottovalutata di Renato Torlaschi

Integrazione alimentare l’importanza di un sonno ristoratore di Carla Carnovale

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Salute&Benessere Diagnosticare le rinopatie con la citologia nasale di Vincenzo Marra


sommario 50

Pediatria e maternità Allattamento al seno un’assicurazione per la salute di madre e figlio di Renato Torlaschi

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rubriche 3 Editoriale

Direttore responsabile Giuseppe Roccucci Board scientifico Hellas Cena (Direttore) Donatella Ballardini Silvia Brazzo Mario Calzavara Mariano Casali Massimo Labate Luca Marin Mara Oliveri Marco Rufolo

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NE PARLIAMO CON ddl concorrenza: cosa cambia per le farmacie intervista ad Annarosa Racca

Redazione Andrea Peren a.peren@griffineditore.it Lara Romanelli redazione@griffineditore.it Rachele Villa r.villa@griffineditore.it Grafica Grafic House, Milano Hanno collaborato Giorgia Bodini, Carla Carnovale, Vincenzo Marra, Luigi Naldi, Mario Perone, Edoardo V. Savarino, Renato Torlaschi Vendite Stefania Bianchi, 340 1246792 Giovanni Cerrina Feroni, 346 2330694 Barbara Guglielmana, 335 5803827 Lucia Oggianu 338 9609937 Ufficio Abbonamenti Tel. 031.789085 - customerservice@griffineditore.it SIDeMaST

Società Italiana di Dermatologia medica, chirurgica, estetica e delle Malattie Sessualmente Trasmesse

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Igiene orale età perinatale, le raccomandazioni per la salute orale di Vincenzo Marra

Attualità Le aziende informano

Stampa Reggiani spa - Divisione Arti Grafiche Via Alighieri, 50 Brezzo di Bedero (VA) Abbonamento annuale Italia: euro 0,95 Singolo fascicolo: euro 0,19 Professione Salute periodico bimestrale Anno VI - n. 5 - dicembre 2015 Registrazione del Tribunale di Como con il n. 4 del 14/04/2010 Editore Griffin srl unipersonale, piazza Castello 5/E 22060 Carimate (CO) Tutti gli articoli pubblicati su Professione Salute sono redatti sotto la responsabilità degli Autori. La pubblicazione degli articoli della rivista deve essere autorizzata per iscritto dall’Editore. Ai sensi della legge in vigore, i dati dei lettori saranno trattati sia manualmente sia con strumenti informatici e utilizzati per l’invio di questa e altre pubblicazioni o materiale informativo e promozionale. Le modalità di trattamento saranno conformi a quanto previsto dalla legge. I dati potranno essere comunicati a soggetti con i quali Griffin intrattiene rapporti contrattuali necessari per l’invio della rivista. Il titolare del trattamento dei dati è Griffin, al quale il lettore si potrà rivolgere per chiedere l’aggiornamento, l’integrazione, la cancellazione e ogni altra operazione prevista per legge. In base alle norme sulla pubblicità l’editore non è tenuto al controllo dei messaggi ospitati negli spazi a pagamento. Gli inserzionisti rispondono in proprio per quanto contenuto nei testi.


ne parliamo con

Ddl concorrenza: cosa cambia per le farmacie Respinta la richiesta di consentire la vendita di farmaci di fascia C con

Intervista di Renato Torlaschi

ricetta al di fuori della farmacia, secondo Federfarma non porterebbe risparmi per i cittadini né un aumento dei posti di lavoro qualificati

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e decisioni assunte dalla Camera permettono di mantenere l’efficienza del servizio farmaceutico: come è stato più volte ribadito dal responsabile sanità del PD Federico Gelli, liberalizzare non è sempre un atto positivo e esistono settori, come quello della salute, nei quali misure di liberalizzazione indiscriminata avrebbero conseguenze molto negative per i cittadini». Annarosa Racca, presidente di Federfarma, si riferisce al “Ddl concorrenza”, che sarà presto legge, e di cui appare decisamente soddisfatta. Presidente Racca, quali novità e quali conferme per le farmacie? Il primo elemento di forte positività del Ddl consiste nel fatto che il Governo, al momento del varo, e la Camera dei Deputati, in prima lettura, abbiano respinto le richieste, provenienti dai grandi gruppi commerciali, di consentire la vendita di medicinali con ricetta medica fuori dalla farmacia. In questo modo i cittadini potranno continuare a trovare i medicinali di cui hanno bisogno nella farmacia sotto casa, in condizioni di assoluta sicurezza. Il mantenimento della ricetta medica in farmacia – cosa che peraltro avviene in tutti i Paesi europei – è il

Annarosa Racca Presidente di Federfarma

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presupposto indispensabile per l’efficienza del servizio farmaceutico. Confidiamo che anche il Senato voglia confermare questo indirizzo a tutela di una efficace distribuzione del farmaco sul territorio. Il Ddl prevede l’ingresso del capitale nella proprietà delle farmacie. Cosa ne pensa? Tale cambiamento epocale deve essere visto in un’ottica di rafforzamento del servizio farmaceutico e di conferma del ruolo sociale e sanitario della farmacia all’interno del Ssn. Da parte nostra abbiamo lavorato e continueremo a lavorare con grande impegno affinché l’introduzione del capitale non snaturi la professionalità della rete delle farmacie. La Camera ha introdotto alcuni primi elementi di garanzia e di trasparenza, estendendo innanzitutto le incompatibilità previste oggi per le società di farmacisti anche alle società di capitali. Non potranno entrarvi aziende che operano nel settore della produzione e informazione scientifica del farmaco né medici prescrittori. Per maggiore garanzia, la Camera ha anche introdotto l’obbligo per le società di comunicare lo statuto e le variazioni della compagine sociale alle autorità sanitarie e all’Ordine professionale.


Intervista ad Annarosa Racca

I medicinali di fascia C restano dispensabili solo nelle farmacie: questo ha dato origine a numerose polemiche in nome di una liberalizzazione che in questo modo non verrebbe attuata. Cosa risponde? Il settore delle farmacie è uno di quelli più liberalizzati in assoluto. Dal 2005 a oggi si sono susseguiti interventi che hanno modificato profondamente il quadro normativo in cui la farmacia opera. Nel 2005 è stata introdotta la possibilità di praticare sconti sui medicinali senza ricetta. Dal 2006 i medicinali senza ricetta sono vendibili anche fuori dalle farmacie, con l’invenzione solo italiana delle parafarmacie, nel 2012 sono stati modificati i parametri demografici per l’apertura delle farmacie ed è stato previsto un concorso straordinario solo per titoli per l’assegnazione di 2.500 farmacie, attribuendo un punteggio altissimo ai farmacisti delle parafarmacie ed escludendo i farmacisti già titolari. Dice quindi falsità chi afferma che il settore è chiuso alle novità ed è regolato da norme arcaiche che impediscono l’accesso alla professione. In realtà, tali accuse sono strumentali e servono solo a coprire la volontà della Gdo di fare profitti con il farmaco, ampliando la propria offerta di prodotti per attirare un maggior numero di clienti nei supermercati. Tutto questo senza portare nessun vantaggio né alcuna nuova opportunità ai laureati in farmacia che finirebbero, sottopagati e sottoinquadrati, in un reparto di un supermercato. Per raggiungere questo obiettivo sono stati diffusi informazioni e dati errati e fuorvianti. Si è parlato dell’apertura di 3.500 nuove imprese e di 8.000 nuovi posti di lavoro, senza dire che in realtà, in un settore caratterizzato da una anelasticità di consumo, trasferire i farmaci dalle farmacie ai supermercati non farebbe altro che spostare occupazione da un’attività che fornisce lavoro qualificato e retribuito con un contratto ad hoc a un’attività prettamente commerciale con inquadramenti di livello inferiore.

Anche sul fronte dei risparmi la grande distribuzione sventola cifre iperboliche quanto irreali. Inoltre, a chi afferma che la vendita di farmaci con ricetta aumenterebbe la capillarità dell’accesso al farmaco è fin troppo facile rispondere che le farmacie sono obbligatoriamente presenti anche nelle zone più disagiate del Paese, mentre la stessa Conad ha aperto corner solo in 97 supermercati dei suoi oltre 3.000 punti vendita; questo dimostra che pensa più ai propri profitti che agli interessi dei cittadini. Guardiamo, inoltre, che cosa è successo alla rete dei negozi di vicinato, che sono spariti schiacciati dalla Gdo, con gravi disagi per i consumatori. La nostra è stata quindi una battaglia per far conoscere all’opinione pubblica e ai politici la vera situazione del settore e impedire che, utilizzando dati fasulli, si demolisse un servizio essenziale per la collettività solo per favorire gli interessi di grandi gruppi commerciali. Cosa comporterà l’ingresso delle società di capitali nell’esercizio delle farmacie? Potremo dare un giudizio preciso solo dopo che il provvedimento sarà legge, quando sarà possibile analizzare l’impatto e le possibili conseguenze del testo definitivo. Da parte nostra, stiamo già lavorando per adeguare dicembre 2015

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ne parliamo con

la farmacia al cambiamento, attraverso lo sviluppo di progetti di crescita, con il coinvolgimento di tutti i soggetti interessati a salvaguardare il ruolo e le funzioni della farmacia e l’efficienza del servizio farmaceutico. Credifarma, la nostra società finanziaria – sorta per sostenere le farmacie in attesa dei rimborsi da parte delle Asl potrà aiutare le farmacie a intraprendere un percorso di adeguamento e sviluppo delle proprie strutture. Sono convinta che con il supporto di tutti la farmacia riuscirà ad affrontare con successo anche questa sfida. Con l’abolizione del numero massimo di quattro farmacie a capo di ogni società potranno crearsi catene di farmacie, come già avviene in alcune altre nazioni. Quali sono i timori e quali le opportunità? Il capitale è già presente in vari Paesi europei, soprattutto nel Nord ed Est Europa mentre nei Paesi mediterranei e in Germania la farmacia è di proprietà del farmacista professionista. Alcuni Paesi, dopo aver sperimentato gli esiti negativi di una eccessiva concentrazione della proprietà delle farmacie nelle mani di pochi soggetti, stanno pensando di tornare sui propri passi e reintrodurre una serie di vincoli, per esempio l’obbligo di una presenza maggioritaria di farmacisti all’interno delle società titolari di farmacia. L’obiettivo deve essere quello di mantenere un elevato livello di servizio al cittadino: le farmacie devono essere messe in condizione di affrontare il nuovo contesto in modo efficace e con tutti gli strumenti necessari. Per adeguarsi a questo nuovo contesto Federfarma sta lavorando a diversi progetti, come le piattaforme per l’erogazione di nuovi servizi, con l’obiettivo di fornire alle farmacie gli strumenti operativi per potenziare e ampliare la propria attività, in futuro anche in ambito Ssn. Il mondo politico si è fortemente schierato su questi temi: ritiene che il confronto sia riuscito a far passare il concetto che la farmacia non è una attività commerciale 8

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qualsiasi, oppure sono prevalse le affiliazioni partitiche e le opinioni precostituite? Grande è stato il nostro impegno per spiegare all’opinione pubblica, al mondo politico e alla pubblica amministrazione i principi fondanti del servizio farmaceutico: abbiamo raggiunto l’obiettivo e dimostrato che la farmacia non è un esercizio commerciale ma un presidio di salute. Lo dimostrano gli atti varati dal Governo in questi ultimi anni (i vari Documenti di programmazione economica e finanziaria, il Patto per la salute, la Relazione sullo stato sanitario del Paese), nei quali è stato riconosciuto ampiamente il ruolo centrale della farmacia nel processo di riorganizzazione delle cure primarie. Inoltre, il dibattito parlamentare sul Ddl Concorrenza ha fatto emergere con chiarezza posizioni estremamente nette sull’importanza di valorizzare il ruolo delle farmacie come presidi sanitari e sulla necessità di affrontare il tema dell’assetto territoriale del servizio farmaceutico da un punto di vista sanitario e non prettamente commerciale. Penso in particolare agli interventi di molti politici che nei passaggi parlamentari hanno sottolineato come le farmacie garantiscono al cittadino, ogni giorno, un servizio di qualità garantito e regolato da una convenzione, hanno messo in guardia dallo smantellare l’attuale efficiente sistema di organizzazione delle farmacie senza aver bene chiaro in mente quale modello di distribuzione del farmaco vogliamo avere in Italia, ricordando che un tema così delicato come l’assetto della distribuzione dei farmaci non può essere affrontato in modo estemporaneo, con un emendamento al Ddl Concorrenza. E a interventi come quello dell’on. Donata Lenzi che, nel difendere la necessità di mantenere la ricetta in farmacia, ha invitato il Parlamento a tenere conto delle superiori esigenze di tutela della salute pubblica. Ritengo che con questi presupposti si possa lavorare per rendere il servizio farmaceutico ancora più moderno, efficiente e vicino ai cittadini. n



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Il corso è costituito da 5 moduli didattici e darà diritto a maturare 21 crediti ECM Corso erogato nei fascicoli di Professione Salute e disponibile anche online

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L’apparato gastroenterico tra salute e patologia: ruolo di alimentazione e stile di vita Responsabile scientifico Prof.ssa Hellas Cena Medico Chirurgo, Specialista in Scienza dell’Alimentazione, Università degli Studi di Pavia Programma del corso Il corso L’apparato gastroenterico tra salute e patologia: ruolo di alimentazione e stile di vita si prefigge di approfondire le patologie dell’apparato digerente ovvero i disturbi che possono interessare i vari organi che lo compongono, i quali hanno il compito di digerire e metabolizzare le sostanze nutritive introdotte attraverso l’alimentazione e di espellere, infine, ciò che ne rimane. Il corso è stato inoltre pensato e strutturato per evidenziare la stretta connessione esistente fra alimentazione, stile di vita e salute dell’apparato gastroenterico. Struttura del corso z Il reflusso gastroesofageo (Silvia Salvatore) z Il microbiota intestinale, un meta-organo indispensabile (Fabio Pace) z La diverticolosi miti ed evidenze (Giovanni Brandimarte, Antonio Tursi) z Alimentazione e stile di vita nella celiachia (Mara Oliveri, Maria Luisa Fonte) z Le malattie infiammatorie croniche dell’intestino (Edoardo V. Savarino, Giorgia Bodini) Obiettivi del corso Il presente corso si prefigge di raggiungere i seguenti obiettivi: z l’obiettivo specifico di alimentare in modo continuo le conoscenze delle figure professionali che lavorano in ambito sanitario; i contenuti forniti potranno essere “trasferiti” all’utente finale, con ripercussioni in termini di “aumento di competenze” della comunità in cui si è chiamati ad agire; z l’obiettivo più generale di contribuire al mantenimento e rafforzamento del network comunicativo con le varie figure professionali in un percorso verso l’implementazione e lo sviluppo delle loro competenze individuali in ambito preventivo, che potrà avere importanti ripercussioni “a cascata” in termini di “guadagno di salute” di tutta la popolazione. Modalità di somministrazione del corso e accreditamente ECM

In ogni numero di Professione Salute a partire dal n. 1/2015 e per tutto il 2015 (gennaio-dicembre) sarà pubblicato un modulo composto da un articolo e da un questionario di autovalutazione. A fine corso saranno disponibili online (www.fadmedica.it) tutti i moduli pubblicati sulla Rivista e sarà possibile, modulo per modulo, rispondere ai questionari di valutazione. L’erogazione dei crediti ECM avverrà al superamento di tutti i questionari. Tutti gli iscritti al corso riceveranno le informazioni necessarie per l’accesso online e la compilazione dei questionari.

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ecm

Le malattie infiammatorie croniche dell’intestino Introduzione

L

a malattia di Crohn (MC) e la colite ulcerosa (CU) sono le più frequenti patologie tra le malattie infiammatorie croniche intestinali (MICI) che si completano con le meno comuni colite microscopica, colite collagenosica e colite linfocitica. MC e CU sono patologie ad andamento cronico o ricorrente, che si presentano con periodi di latenza alternati a fasi di riacutizzazione. I sintomi delle due patologie sono diversi, in quanto nella MC sono più comuni la diarrea e il dolore addominale, soprattutto localizzato nella parte inferiore destra dell’addome (corrispondente all’ultima ansa ileale, la sede più frequente di malattia), mentre la CU si presenta quasi sempre con diarrea ematica (contenente sangue rosso vivo e muco commisti a feci), associata a tenesmo (sensazione di incompleta evacuazione) e talvolta ad anemia. Quando l’infiammazione intestinale si riacutizza possono comparire anche sintomi sistemici quali febbre, calo ponderale, profonda stanchezza, inappetenza. Nel tempo la MC può complicarsi con la formazione di stenosi (restringimenti del lume del tratto di intestino colpito fino all’occlusione intestinale), fi-

Edoardo V. Savarino

Ricercatore universitario Dipartimento di Scienze Chirurgiche, Oncologiche e Gastroenterologiche Università di Padova

Giorgia Bodini

Dottoranda di ricerca Dipartimento di Medicina interna e Specialità mediche Università di Genova

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l’apparato gastroenterico tra salute e patologia: ruolo di alimentazione e stile di vita

Figura 1 - L’eziologia delle malattie infiammatorie croniche intestinali è multifattoriale.

presa l’Italia, dove si ha un’incidenza tra 1,5 e 20,3 per 100.000 abitanti e una prevalenza tra 21 e 243 casi per 100.000 abitanti. La CU risulta inoltre più frequente nei paesi industrializzati con una più alta incidenza tra gli stati socio-economici più elevati rispetto alle popolazioni rurali. Patogenesi

La causa della MC e della CU ad oggi è sconosciuta. L’ipotesi più accreditata è che vi sia un’eziologia multifattoriale legata all’azione di tre elementi: substrato genetico, immunità dell’ospite e fattori ambientali (fig. 1). stole (comunicazioni tra intestino e cute o fra organi addominali) oppure ascessi e, pertanto, può essere necessario ricorrere a un intervento chirurgico. Le complicanze tipiche della CU sono invece il megacolon tossico (quadro acuto di dilatazione del colon che necessita di intervento chirurgico) e lo sviluppo di cancro su mucosa infiammata del colon. Infine, in alcuni casi possono essere presenti manifestazioni extra-intestinali come patologie articolari, oculari, cutanee, epatiche. La MC può potenzialmente coinvolgere qualsiasi tratto gastrointestinale, dalla bocca all’ano, ma più frequentemente si localizza a livello dell’ileo terminale. L’infiammazione caratteristicamente è discontinua e coinvolge la parete intestinale dalla tonaca mucosa alla sierosa. La CU invece colpisce selettivamente il grosso intestino, l’infiammazione è di tipo continuo a partire dal retto e la tonaca interessata è la mucosa. La MC si presenta più frequentemente in persone tra i 15 e i 30 anni, ma può

comparire dall’infanzia fino alla tarda età. La CU può comparire a qualsiasi età, ma la diagnosi prima dei 5 anni e dopo i 75 è piuttosto rara. Il picco di incidenza si ha intorno alla seconda-terza decade di vita e un secondo picco di incidenza, seppur minore, si ha intorno ai 60-70 anni. L’incidenza della MC è maggiore in Europa e America rispetto ai paesi asiatici e si attesta allo 3,4 per 100.000 abitanti in Italia. Va sottolineato che in alcune regioni, come la Danimarca e la Corea del Sud, l’incidenza di questa patologia è in costante aumento. La prevalenza negli Stati Uniti è di 201 per 100.000 adulti e 43 per 100.000 bambini. Il rischio tra uomo e donna è più o meno sovrapponibile, rispettivamente 1:1.3. Per quanto riguarda la CU si è visto che esiste un gradiente di rischio di malattia tra nord e sud. L’incidenza e la prevalenza di malattia sono nettamente più alte nel Nord America, in Australia e nel Nord Europa rispetto ai paesi asiatici e all’Europa del sud, com-

Substrato genetico Una predisposizione genetica nelle malattie infiammatorie croniche intestinali emerge dall’osservazione che i parenti di una persona affetta sono a più alto rischio (15 volte circa rispetto alla popolazione generale) di sviluppare la malattia. I progressi tecnologici nel sequenziamento del Dna hanno portato all’associazione di 163 polimorfismi genetici a rischio per malattie infiammatorie croniche intestinali, e numerosi sono gli sforzi finalizzati all’individuazioni di ulteriori loci. Tuttavia, va sottolineato che questi loci rappresentano solo circa il 13% e il 7% della varianza presente nella MC e nella CU, rispettivamente. Il primo locus genico sensibile nella MC è stato identificato nel 2001 sul cromosoma 16, NOD2/CARD15 (nucleotide-binding oligomerization domain 2/caspase-recruitment domain 15). La variante allelica più frequentemente associata a malattia in Europa e in America è caratterizzata da una proteina tronca con due mutazioni non-sendicembre 2015

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so. L’essere portatore in omozigosi di tali varianti conferisce al soggetto un odd ratio per MC di 17,1 e in eterozigosi di 2,5. Inoltre diversi studi hanno evidenziato l’associazione con diversi polimorfismi di NOD2/CARD15 e una comparsa di malattia in più giovane età con localizzazione prevalentemente ileale e comportamento stenosante. La componente genetica ha peso maggiore nella MC che nella CU. È stato dimostrato che la concordanza tra gemelli omozigoti è del 67 % nella MC, mentre scende al 13-20% per la CU. La nota mutazione del gene NOD2/CARD15 tipica della MC non è associate alla comparsa di CU. Nonostante ciò pazienti con CU in una famiglia con storia di MC possono avere tali varianti genetiche. Inoltre altre tipiche mutazioni riscontrate nella MC, come quella dei geni ATG16L1 sul cromosoma 2q37 e Irgm sul cromosoma 5q33, coinvolti entrambi nella difesa delle cellule da vari batteri patogeni, non si riscontrano nei pazienti con CU. Un ruolo importante nella patogenesi di queste malattie è svolto anche dall’etnicità. Gli ebrei Ashkenazi hanno un rischio aumentato da due e quattro volte di sviluppare una malattia infiammatoria cronica intestinale rispetto agli abitanti dello stesso luogo non ebrei. Immunità dell’ospite e microbiota intestinale Ad oggi è comunemente riconosciuto che parte della patogenesi delle malattie infiammatorie croniche intestinali sia il risultato di una continua stimolazione antigenica legata a batteri commensali, funghi e virus (microbiota intestinale), che avvia un’infiammazione cronica in quelle persone geneticamente suscettibili. Numerosi studi hanno dimostrato che famiglie composte da numerosi componenti, l’esposizione nei primi anni di vita ad animali domestici e/o animali da fattoria e un maggior numero di fratelli e sorelle siano fattori inversamente associati al rischio di sviluppare una malattia infiammatoria cronica intestina14

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le. Infatti, tutti questi fattori sono noti per essere importanti determinanti della flora batterica intestinale in età adulta. I pazienti con malattie infiammatorie croniche intestinali presentano un’alterazione della loro microflora luminale, più costantemente caratterizzata da una riduzione della diversità delle comunità microbiche residenti rispetto a quelle presenti nei soggetti sani. Questo squilibrio nella eterogeneità microbica intestinale è maggiore nella MC che nella CU. Sebbene microrganismi patogeni non sono stati identificati in tutti gli scenari, fenotipi specifici potrebbero essere associati ad alcuni trigger (fattori scatenanti) microbici. Un agente patogeno molto promettente come potenziale agente causale nella malattia infiammatoria cronica intestinale è l’adherentinvasive Escherichia coli (Aiec). Studi francesi hanno identificato ceppi di Aiec nel 22% dei pazienti con MC rispetto al solo 6,2% dei controlli sani, con localizzazione prevalentemente ileale delle colonie. L’Aiec potrebbe avere un ruolo nella MC a causa della sua capacità di invadere l’epitelio e sopravvivere all’interno dei macrofagi. Al contrario, alcune sottopopolazioni microbiche possono conferire protezione nei confronti della malattia infiammatoria intestinale. I batteri appartenenti al phylum Firmicutes sono meno comunemente presenti nei soggetti affetti da MC. In particolare, il faecalibacterium prausnitzii, un batterio capace di produrre butirrato e appartenente al phylum Firmicutes, si presenta meno frequentemente nei pazienti con malattia infiammatoria intestinale rispetto ai controlli sani e la sua concentrazione è inversamente correlata con la gravità delle recidive dopo resezione endoscopica. Inoltre, questo batterio è in grado di migliorare i quadri di colite nei topi quando somministrato per via intragastrica attraverso un effetto antinfiammatorio mediato da un aumento di IL-10 e di soppressione dell’IL-17.

L’ambiente esterno gioca un ruolo molto importante nel modificare il microbiota intestinale. Sia nel lungo che nel breve periodo le diete possono influenzare la composizione del microbiota intestinale e questi cambiamenti possono spiegare l’importanza della dieta nel favorire lo sviluppo di una malattia infiammatoria intestinale. Infatti, è stato dimostrato come la dieta possa differenziare lo sviluppo del microbiota intestinale in due enterotipi: l’enterotipo 1, caratterizzato prevalentemente dalla presenza di Bacteroides spp. e correlato a una dieta di tipo occidentale con elevata assunzione di proteine animali e grassi saturi; l’enterotipo 2, caratterizzato prevalentemente dalla presenza di Prevotella spp. e tipico degli individui che seguono una dieta ricca di carboidrati e fibre. L’effetto della flora intestinale sulle malattie infiammatorie croniche intestinali non si limita solo alle disbiosi batteriche intestinali, ma un ruolo importante potrebbe essere svolto dai virus, dagli Archaea e dai funghi. Sia la MC che la CU sono state associate all’espansione dei batteriofagi appartenenti alla famiglia caudovirales. Altri patogeni proposti nel corso del tempo come co-responsabili dello sviluppo di malattie infiammatorie croniche intestinali attraverso i loro effetti sul micro-


l’apparato gastroenterico tra salute e patologia: ruolo di alimentazione e stile di vita

Punti CHIAVE z La malattia di Crohn e la colite ulcerosa sono malattie complesse immunologicamente mediate che

sorgono a causa di una risposta immunitaria anormale nei confronti della flora commensale in un ospite geneticamente suscettibile. z L’incidenza di IBD è sempre stata più alta del Nord America e in Europa occidentale, con molte coorti che suggeriscono un sostanziale aumento secolare nella seconda metà del XX secolo. z Tuttavia, l’incidenza di IBD è in aumento in popolazioni emergenti come l’Asia, il che suggerisce che i fattori ambientali che mutano svolgono un ruolo importante. z Il fumo e l’appendicectomia sono stati inizialmente descritti come fattori di rischio per lo sviluppo della malattia di Crohn e conferiscono invece una protezione nei confronti della colite ulcerosa; tuttavia, questo rapporto sembra più complesso e potrebbe essere mediato dalla genetica. z Dieta, stile di vita e di comportamento, nonché alterazioni della flora batterica intestinale attraverso l’uso di antibiotici, possono anche avere un ruolo importante nella patogenesi della malattia. z La modifica dei fattori di rischio delle MICI attraverso per esempio l’uso di probiotici offre vie di intervento per la prevenzione delle MICI e il miglioramento della loro storia naturale.

biota intestinale sono la Listeria monocytogene, lo Pseudomonas, il Reovirus, il Paramixovirus, il Mycobacterium avium, la Salmonella o il Campylobacter. Infine, l’utilizzo di antibiotici nelle fasi precoci della vita potrebbe influenzare la risposta immunitaria intestinale e quindi modificare la suscettibilità a sviluppare malattie infiammatorie croniche intestinali. Questa associazione è maggiore per la MC che per la CU, è stata osservata per diverse classi di antibiotici ed è più forte quando l’esposizione ai farmaci avviene nel primo anno di vita rispetto a un utilizzo più tardivo. Una relazione doserisposta esiste anche con più cicli di antibiotici che contribuiscono a un maggiore aumento del rischio di malattia rispetto a un singolo corso. Fattori ambientali Primo tra tutti ricordiamo l’allattamento al seno, infatti quest’ultimo sembra giocare un ruolo protettivo per lo sviluppo delle malattie infiammatorie croniche intestinali. Va infatti sottolineato, inoltre, che numerosi studi hanno dimostrato come il latte materno sia in grado di alterare la composizione del microbiota intestinale nei neonati e quindi modificare quelle interazioni tra ospite e batteri che sono

alla base dello sviluppo delle malattie infiammatorie croniche intestinali. Tuttavia, è giusto evidenziare che dopo lo svezzamento avvengono drammatici cambiamenti nella composizione della flora intestinale indipendentemente dal fatto che la dieta iniziale fosse basata su latte materno o in formula. Inoltre, l’esposizione precoce a cibi solidi potrebbe anche essa determinare importanti cambiamenti a favore dello sviluppo di malattie infiammatorie croniche intestinali, per quanto dati in tal senso sono ancora pochi. Il fumo risulta essere uno dei fattori maggiormente implicati in queste malattie, giocando un ruolo “protettivo” per quanto riguarda la CU, in quanto la maggior parte dei pazienti risulta essere non fumatore o ex-fumatore. Per la MC invece ha ruolo opposto essendo implicato nella riaccensione di malattia, anche dopo intervento chirurgico. Diverse ipotesi sono state formulate per spiegare l’associazione tra fumo e malattie infiammatorie croniche intestinali, anche se nessuno studio ha dimostrato in modo convincente il motivo dietro l’effetto divergente sulla MC e sulla CU. La nicotina è stata a lungo ritenuta la responsabile principale; tuttavia, studi effettuati mediante l’utilizzo di terapia sostitutiva della nicotina nella CU

Figura 2 Le malattie infiammatorie croniche intestinali in sintesi.

hanno prodotto risultati contrastanti e nessuna associazione è stata osservata tra l’uso del tabacco orale e la MC, suggerendo che altri componenti del fumo di tabacco potrebbero svolgere un ruolo importante. Va sottolineato inoltre che il fumo potrebbe alterare la funzione del tono muscolare e del tessuto endoteliale tramite il rilascio dell’ossido nitrico o potrebbe compromettere l’integrità della mucosa intestinale favorendo lo sviluppo delle malattie infiammatorie croniche intestinali. L’effetto del fumo potrebbe essere mediato anche dallo stress ossidativo. Infine, il fumo è noto per esercitare anche un’influenza sulla composizione del microbiota intestinale e quindi sulle interazioni tra ospite e batteri. Simile al fumo, l’appendicectomia ha dimostrato un effetto divergente sulla MC e CU. In un’ampia coorte di 212.963 pazienti sottoposti appendicectomia prima dell’età di 50 anni, l’incidenza di CU è stata nettamente inferiore tra coloro che avevano subito un’appendicectomia per appendicite perforata o non-perforata e linfadenite mesenterica rispetto a quelli con dolore addominale aspecifico, suggerendo che l’infiammazione dell’appendice piuttosto che la semplice rimozione dell’organo potrebbe essere responsabile di tale associazione protettiva. Questo effetto protettivo sembrerebbe però limitato ai primi anni d’età (al massimo fino ai 20 anni). Al contrario, nella stessa coorte si è riscontrato un aumento del rischio di MC fino a un massimo di 20 anni dopo l’appendicectomia. Numerosi studi hanno ipotizzato un importante ruolo dell’igiene nello sviluppo di malattie infiammatorie croniche intestinali. Come evidenziato in precedenza, il numero di fratelli e sorelle, la presenza di famiglie numerose, dicembre 2015

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Figura 3 - Influenza della dieta sulle malattie infiammatorie croniche intestinali.

bere latte non pastorizzato, vivere in una fattoria e l’esposizione ad animali (in particolare nella fase iniziale durante l’infanzia) sono stati inversamente associati al rischio di MC o CU. Tuttavia, nei paesi in via di sviluppo, il mancato uso di adeguate misure igieniche non ha dimostrato un’associazione inversa come riportato in Occidente e di fatto è stato associato a un aumentato rischio di CU. Alcuni studi hanno evidenziato come l’uso di contraccettivi orali, dei cosiddetti Fans (farmaci antinfiammatori non steroidei) e della terapia sostitutiva post-menopausale possano aumentare il rischio di malattia. Infine, come già accennato in precedenza, un ruolo chiave è anche rivestito dalla dieta. Ad esempio, i grandi consumatori di carni e grassi sembrano avere un rischio marcatamente più elevato di malattia rispetto a chi consuma grandi quantità di fibre, frutta e vegetali. La dieta nelle malattie infiammatorie croniche intestinali La multifattorialità tipica delle malattie infiammatorie croniche intestinali rende ragione del 16

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crescente interesse del ruolo della dieta in questo tipo di patologie. Partendo dall’epidemiologia si può chiaramente vedere come la divisione geografica tra aree industrializzate e rurali cambi nettamente l’incidenza di patologia e questo risulta ovviamente legato al tipo di alimentazione. Inoltre, il fatto che l’allattamento al seno sia un fattore protettivo accentua ulteriormente il ruolo delle modificazioni del microbiota intestinale durante lo svezzamento nella loro patogenesi. Fibre La maggior parte degli studi epidemiologici finalizzati alla valutazione del rapporto tra dieta e malattie infiammatorie croniche intestinali si sono concentrati sui macronutrienti e hanno fatto affidamento a un disegno caso-controllo suscettibile di numerose limitazioni. Nonostante queste

limitazioni, l’associazione dei macronutrienti più consistente è stata osservata con le fibre. Le fibre infatti sono fondamentali per il transito intestinale e la loro forma solubile viene fermentata in acidi grassi a catena corta che sono il perfetto nutrimento per i colociti. In pazienti pediatrici con nuova diagnosi di MC è stata registrata una netta riduzione dell’introito di frutta e verdura rispetto a un gruppo di controllo senza MC. Analogamente, in uno studio prospettico di coorte, le donne che presentavano la maggior assunzione di fibre nel lungo termine hanno riportato una riduzione del 40% del rischio di sviluppare una


l’apparato gastroenterico tra salute e patologia: ruolo di alimentazione e stile di vita

MC. Questa associazione inversa è stata riscontrata con maggiore evidenza con le fibre provenienti da frutta e verdura, mentre non è stata registrata con fibre provenienti da cereali. Diversi sono i meccanismi che potrebbero spiegare questa associazione inversa con le fibre. Le fibre solubili (da frutta e verdura) sono infatti metabolizzate dai batteri intestinali in acidi grassi a catena corta che inibiscono la trascrizione di mediatori proinfiammatori. Inoltre, la fibra aiuta a mantenere l’integrità della barriera epiteliale e riduce la traslocazione di E. coli attraverso le placche di Peyer in vitro. Infine, l’indolo-3-carbinolo, presente nella frutta e nelle verdure, è in grado di attivare il recettore arilico e attenuare la colite in modelli animali. I grassi alimentari I grassi alimentari (soprattutto quelli contenuti nelle carni rosse), in particolare i grassi saturi, potrebbero avere un ruolo importante nella patogenesi delle malattie infiammatorie croniche intestinali. Nei topi, una dieta ad alto contenuto di grassi saturi favorisce l’espansione di saprofiti intestinali solfito-riduttori, come la Bilophila wadsworthia, ed è stata associata a una risposta infiammatoria mediata da cellule T helper di tipo I. Negli esseri umani, anche se i grassi saturi sono stati associati a un maggior rischio di malattie infiammatorie croniche intestinali in piccoli studi caso-controllo, studi di coorte non sono riusciti a identificare una simile associazione, suggerendo una più complessa interazione tra i grassi alimentari e la flora batterica intestinale. L’elevato consumo di acidi grassi polinsaturi n-6 (omega-6 Pufa) e un basso consumo di n-3 Pufa sono stati associati a un aumentato rischio sia di CU che di MC. A supporto di questa ipotesi ci sono dati che sostengono che questa associazione potrebbe essere modificata da alcuni polimorfismi dei geni responsabili degli enzimi che regolano il metabolismo

degli acidi grassi, in particolare degli enzimi CYP4F3 e FADS2. Associazioni non-coerenti con un aumentato rischio di malattie infiammatorie croniche intestinali sono state dimostrate con l’assunzione di carboidrati, zuccheri raffinati e proteine animali. La vitamina D Pochi studi hanno esaminato l’associazione delle malattie infiammatorie croniche intestinali con micronutrienti, ma tale rapporto si basa su una notevole plausibilità biologica sostenuta da diversi studi in laboratorio. Dati emergenti suggeriscono che la vitamina D potrebbe avere un ruolo importante nella patogenesi e decorso delle malattie infiammatorie croniche intestinali. Infatti, nei topi la carenza di 1,25-diidrossi vitamina D3 o un deficit del recettore della vitamina D sono stati associati a un aumento del rischio di colite; inoltre, la somministrazione di 1,25-diidrossi vitamina D3 migliora questa infiammazione e sopprime l’espressione di geni proinfiammatori, compreso il fattore di necrosi tumorale (una delle principali citochine infiammatorie coinvolte nella patogenesi delle malattie infiammatorie croniche intestinali). La vitamina D potrebbe anche sopprimere la risposta delle cellule mononucleate nei confronti degli antigeni circolanti. A supporto di queste ipotesi vi sono alcuni studi che dimostrano come la carenza di vitamina D sia comune nei pazienti con nuo-

va diagnosi di malattie infiammatorie croniche intestinali rispetto ai controlli sani. Bassi livelli di vitamina D (<20 ng/ml) sono stati associati a un aumentato rischio di intervento chirurgico per complicanze associate alla MC e di ospedalizzazione, mentre la normalizzazione dei livelli di vitamina D è stata associata a una riduzione di questo rischio. Zinco e ferro Lo zinco ha numerosi effetti sulla funzione immunitaria ed è in grado di modulare la funzione delle cellule immunitarie innate tra cui i macrofagi, i neutrofili e le cellule T natural killer. Lo zinco inibisce anche la trascrizione di mediatori dell’infiammazione nella via di NFkB e riduce l’attività della mieloperossidasi. In particolare, nel contesto della MC, lo zinco intracellulare è importante per l’autofagia e la clearance batterica, riduce la permeabilità intestinale e, in un piccolo studio, ha dimostrato di ridurre la probabilità di relapse di malattia. Un unico studio epidemiologico ha suggerito un’associazione tra elevato contenuto di ferro nell’acqua potabile e aumento del rischio di malattie infiammatorie croniche intestinali. Il ferro alimentare sembra che possa indurre l’infiammazione del colon attraverso alcune citochine responsabili dell’aumento dello stress ossidativo, per quanto studi clinici con somministrazione di ferro per via orale in pazienti con malattie infiammatorie croniche dicembre 2015

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intestinali non sembrano confermare questo ipotizzato effetto negativo sul decorso clinico della malattia. Stile di vita: stress, sonno ed esercizio fisico

Le malattie infiammatorie croniche intestinali sono state a lungo associate a certi tipi di personalità, tra cui quelle caratterizzate da nevrosi, comportamenti ossessivo-compulsivi, dipendenza e perfezionismo da stress psicosociale che è spesso riferito dal paziente come fattore scatenante il quadro clinico. Lo stress, infatti, può influenzare l’infiammazione intestinale attraverso vari meccanismi mediante l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene e il sistema nervoso autonomo, con conseguente produzione di citochine proinfiammatorie, attivazione dei macrofagi e alterazione della permeabilità intestinale e del microbiota intestinale. Nei topi, l’esposizione a uno stimolo stressante comporta una riduzione della diversità batterica intestinale e un aumento dei livelli di IL-6. Studi osservazionali in grandi coorti supportano un’associazione tra i principali fattori di stress della vita, l’ansia e la depressione, e il rischio di sviluppare una malattia infiammatoria cronica intestinale. Nei pazienti con malattia in fase di remissione clinica, la depressione o l’ansia sono maggiormente associate a recidiva di malattia, ricovero in ospedale, intervento chirurgico, ridotta risposta alla terapia immunosoppressiva e, più in generale, a un grave deterioramento della qualità della vita. L’associazione tra attività fisica e malattie infiammatorie croniche intestinali è stata supportata da un interessante studio tedesco che ha evidenziato come occupazioni sedentarie (tra cui il lavoro in amministrazioni e in ufficio, meccanici e fabbri) siano ad alto rischio per lo sviluppo di malattie infiammatorie croniche intestinali, mentre lavori manuali pesanti (tra cui i lavori edili, di manutenzione e di pulizia) siano associati a un basso rischio di sviluppare tali malattie. A supporto di 18

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questa ipotesi, uno studio di coorte prospettico ha dimostrato come una rigorosa attività fisica può essere associata a una sensibile riduzione (fino al 44%) del rischio di sviluppare la MC. Per quanto riguarda gli effetti benefici dell’esercizio fisico sull’infiammazione intestinale o la prevenzione di recidive, i dati attualmente disponibili sono limitati e poco significativi. I disturbi della qualità del sonno sono comuni nella società, ma sono più frequenti nei pazienti con malattia infiammatoria intestinale e sono maggiormente associati alla presenza di una malattia attiva. Questa associazione potrebbe essere bidirezionale a tal punto che, mentre un aumento dell’attività della malattia potrebbe disturbare il sonno, la scarsa qualità del sonno a sua volta potrebbe esacerbare l’infiammazione. Sia un sonno prolungato sia un sonno ridotto sono stati associati a un aumentato rischio di CU, mentre un peggioramento della qualità del sonno è stato associato a un aumento dell’attività istologica e del rischio di recidiva clinica.

Modifica dei fattori ambientali come trattamento terapeutico

Sempre più numerosi studi descrivono l’effetto di fattori ambientali sullo sviluppo delle malattie infiammatorie croniche intestinali e sulla loro storia naturale. Tuttavia, pochi studi hanno esaminato se queste influenze possono essere modificate per migliorare l’outcome (ovvero il quadro clinico) dei pazienti affetti da tali malattie. In un elegante studio interventistico, un adeguato counselling per quanto riguarda la cessazione del fumo è stato eseguito su 474 pazienti con MC che erano fumatori. I pazienti che avevano smesso di fumare da oltre un anno hanno registrato meno probabilità di recidiva e hanno richiesto un utilizzo inferiore di terapie steroidee o terapie immunosoppressive rispetto a coloro che hanno continuato a fumare. Al contrario, la supplementazione di nicotina per via orale nella CU ha dato risultati equivoci in studi clinici, anche se alcuni care report suggeriscono l’efficacia di tale approccio nell’induzione e mantenimento della remissione clinica di ma-


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lattia. Data l’associazione inversa tra l’appendicectomia e l’incidenza della colite ulcerosa, un tentativo di appendicectomia terapeutica per la gestione della CU refrattaria è stata eseguita. Tuttavia tale tentativo è rimasto limitato a pochi casi clinici che suggeriscono un beneficio modesto. Pochi studi sono stati condotti con il fine di modificare l’apporto dietetico dei pazienti affetti da malattie infiammatorie croniche intestinali e la maggior parte di questi sono stati riportati in forma di casi non controllati. Una dieta elementare in grado di ripristinare la diversità biologica della flora batterica intestinale ha dimostrato di essere efficace nell’indurre la remissione nelle malattie infiammatorie croniche intestinali pediatriche. Una dieta specifica in termini di contenuto di carboidrati (restrizione di cereali, latticini e zuccheri raffinati) ha dimostrato limitato beneficio clinico nella MC pediatrica. Una dieta semi-vegetariana (latte e uova; pesce una volta a settimana; altre carni una volta ogni 2 settimane) è stata associata a un alto tasso di mantenimento della remissione della MC. Inoltre, sebbene un’aumentata produzione di massa fecale e un maggiore contenuto batterico nelle feci siano state associate a un aumento in assunzione di fibre, diete ad alto contenuto di fibre non sono state in grado di migliorare il quadro clinico in pazienti affetti da malattie infiammatorie croniche intestinali. Diete prive di glutine auto-somministrate sono state associate a un miglioramento clinico di malattia, anche se non sono state associate a un miglioramento dell’attività endoscopica di malattia, che sappiamo essere un requisito fondamentale per la remissione a lungo termine delle malattie infiammatorie croniche intestinali. Due grandi studi randomizzati e controllati, finalizzati a valutare gli effetti dei prebiotici (frutto-oligosaccaridi e inulina), non hanno mostrato alcun chiaro beneficio per i pazienti con malattia di Crohn attiva. In uno studio controllato con placebo, la somministrazione di vitamina D in 94 pazienti

con MC ha evidenziato un miglioramento clinico nel gruppo di pazienti che assumevano la vitamina D. In una piccole serie di soggetti con malattie infiammatorie croniche intestinali, la supplementazione di zinco ha ridotto la permeabilità intestinale e il tasso di recidiva di malattia. Infine, in contrasto con i dati epidemiologici che sostengono un’associazione tra l’assunzione n-3 e n-6 Pufa e le malattie infiammatorie croniche intestinali, studi randomizzati controllati con la somministrazione di olio di pesce o di n-3 Pufa in pazienti con MC hanno avuto successo nell’indurre o mantenere la remissione clinica di malattia, mentre un piccolo studio di modificazione della dieta per ridurre l’assunzione di n-6 e n-3 Pufa nella CU è stato efficace nel mantenere la remissione. Va comunque sottolineato che gli studi che dovrebbero valutare gli effetti del cibo sulle malattie infiammatorie croniche intestinali sono limitati dalla difficoltà nel catturare accuratamente la dieta alimentare dei pazienti, nonché dalle potenziali complesse interazioni tra gli alimenti. Inoltre, le proporzioni di cibo assunte, rispetto ad altri componenti della dieta, possono risultare particolarmente complesse da determinare. La nutrizione parenterale (NP) ha dimostrato di essere efficace in pazienti con MC, malnutriti, ma poco si sa su quali gli effetti secondari possano insorgere dopo avere eliminato l’assunzione orale di cibo, che comporta di fatto l’arresto dell’attività dell’intestino (dal termine inglese “bowel rest”). Studi osservazionali hanno dimostrato che la nutrizione parenterale e l’arresto dell’attività dell’intestino sono in grado di evitare a breve termine gli interventi chirurgici, ma poco si sa sugli effetti in termini di eventuale necessità di un intervento chirurgico. Più recentemente, il vantaggio del completo arresto dell’attività dell’intestino non è stato riscontrato in uno studio che ha confrontato gli effetti di una combinazione di nutrizione parenterale e arresto dell’intestino con quelli di una nutrizione parenterale e una dieta assunta per via

orale. La nutrizione enterale esclusiva (NEE) è invece l’unico intervento dietetico che è stato rigorosamente testato e ha dimostrato di indurre la remissione nella MC attiva. La nutrizione enterale esclusiva con diete elementali, semi-elementali o con formule polimeriche è stata ampiamente studiata e, vista la sua efficacia, rappresenta la terapia di prima linea in molte parti del mondo (soprattutto nella popolazione pediatrica). Il protocollo più comune prevede la somministrazione di una formula definita al 100% in base alle necessità caloriche per circa 4-12 settimane. Anche la nutrizione enterale esclusiva parziale potrebbe fornire benefici clinici e pertanto una più piccola percentuale di calorie e nutrienti, fornito da una formula definita, potrebbe essere necessaria per mantenere la remissione e quindi una maggiore flessibilità nella dieta. Oltre a ridurre i sintomi della MC, la nutrizione enterale esclusiva è stata associata a guarigione mucosale, fattore predisponente e predittore di ottimi risultati a lungo termine. Diversi probiotici hanno dimostrato avere effetti benefici nel trattamento delle malattie infiammatorie croniche intestinali, in particolare la miscela batterica VSL#3, il ceppo di E. coli Nissle 1917 e diverse specie di Lactobacillus, attraverso la loro attività di modulazione del microbiota intestinale e quindi dell’infiammazione. Questi preparati probiotici hanno dimostrato efficacia nel mantenimento della remissione clinica nelle malattie infiammatorie croniche intestinali, in particolare nella CU e, in misura minore, nei pazienti con MC. In generale, i probiotici sono principalmente promettenti nella prevenzione delle malattie con però limitato effetto nel trattamento e riduzione dell’infiammazione e dell’attività endoscopica di malattia. La miscela batterica VSL#3 è costituita dallo Streptococcus thermophilus, dalle quattro specie di lattobacilli, Lactobacillus acidophiles, L. bulgaricus, L. casei and L. plantarum, e dalle 3 specie di bifidobaceria, Bifidobactedicembre 2015

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rium breve, Bifidobacterium infantis, Bifidobacterium longum. Tra questi, il L. casei è stato identificato come il ceppo maggiormente efficace. Il ceppo E. coli Nissle 1917 ha dimostrato di essere in grado di migliorare l’omeostasi intestinale. Infatti, in diversi studi in vitro, il ceppo di E. coli Nissle 1917 ha dimostrato di poter prevenire l’invasione delle cellule epiteliali intestinali da parte della Salmonella dublin, Yersinia enterocolitica, Shigella flexneri, Legionella pneumophila, e Listeria monocytogenes, minimizzando pertanto il loro effetto negativo a livello della barriera intestinale. Inoltre, è noto che le cellule epiteliali intestinali svolgono la doppia funzione di fungere da barriera e modulare le risposte immunitarie innate e adattative. La disregolazione del sistema immunitario intestinale è stata anche collegata all’apoptosi delle cellule epiteliali intestinali. In questo senso, il ceppo di E. coli Nissle 1917 può contrastare le proprietà apoptotiche dei batteri patogeni tramite un fattore solubile secreto da una non chiara “heat-shock” proteina. Per tali ragioni e in base a studi clinici randomizzati con l’utilizzo nel gruppo controllo di mesalazina che hanno evidenziato l’efficacia clinica dell’E. coli Nissle 1917 nel mantenere la remissione della CU, le ultime linee guida dell’European Crohn and Colitis Organization pubblicate nel 2013 suggeriscono l’utilizzo dell’ E. coli Nissle 1917 come terapia alternativa alla mesalazina nel mantenimento della CU. Pochi studi interventistici relativi agli effetti sulle modifiche dello stress sono stati pubblicati ad oggi. Una consulenza psicologica è stata associata a una ridotta incidenza di ricadute in alcuni, ma non tutti, gli studi. In un piccolo studio, l’uso di antidepressivi è stato associato a tassi ridotti di recidiva nell’anno dopo l’inizio della terapia. Ad ogni modo, poiché tali studi interventistici sono stati sviluppati allo scopo di valutare l’effetto delle modificazioni ambientali, che si tratti di cam20

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biamenti comportamentali o dietetici, bisogna anche riconoscere che la genetica sottostante potrebbe fortemente influenzare la suscettibilità dei soggetti agli effetti di tali modificazioni ambientali. Per esempio, sesso ed etnia potrebbero anche alterare la probabilità di ottenere effetti benefici dopo avere smesso di fumare, così come i polimorfismi genetici coinvolti nel metabolismo della nicotina potrebbero influenzarne la clearance. Allo stesso modo, le mutazioni FADS2 e CYP4F3 potrebbero influenzare qualsiasi effetto benefico di una alterazione del rapporto n-3/n-6 Pufa, alterando i livelli plasmatici dei metaboliti degli acidi grassi polinsaturi nel sangue. Conclusioni

Le malattie infiammatorie croniche intestinali sono malattie complesse che si verificano nel punto di intersezione tra genetica, ambiente e flora batterica intestinale. Nessun fattore di per sé è sufficiente per lo sviluppo della malattia. L’aumento di incidenza e la comparsa in popolazioni a basso rischio forniscono una forte evidenza a sostegno dell’effetto dell’ambiente sia per la MC e la CU. I progressi nell’analisi genetica e del microbiota hanno dimostrato il ruolo chiave dell’interfaccia tra la risposta immunitaria e la flora batterica intestinale. Tuttavia, anche se sono state individuate una serie di associazioni ambientaliste, sono necessari ulteriori studi di intervento di alta qualità prima di suggerire particolari comportamenti a scopo terapeutico. Ad ogni modo, una gestione più completa e attenta dei pazienti affetti da malattie infiammatorie croniche intestinali non dovrà più occuparsi solo dell’infiammazione e di ottenere la guarigione endoscopica della mucosa, ma anche includere la modifica dell’ambiente esterno (fumo, dieta, microbiota, stress, sonno, ecc.) per aiutare, raggiungere e mantenere la remissione durevole e migliorare l’outcome e la qualità di vita dei pazienti. n

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DOMANDE ECM A. Che cosa differenzia la colite ulcerosa dalla malattia di Crohn? 1 Interessamento transmurale q 2 Interessamento della sola tonaca mucosa q 3 Interessamento dell’intestino tenue q 4 Interessamento discontinuo a carico del grosso e piccolo intestino q B. A che età si manifesta più frequentemente la malattia di Crohn? 1 A 10-15 anni q 2 A 45-60 anni q 3 A 15-30 anni q 4 Dopo i 70 anni q C. L’incidenza della malattia infiammatoria cronica intestinale è maggiore: 1 al nord (Europa e America del Nord) q 2 negli uomini q 3 nei paesi rurali q 4 negli stati socio-economicamente meno benestanti q D. Qual è la patogenesi delle malattie infiammatorie croniche intestinali? 1 Genetica, NOD2/CARD15 q 2 Alimentare q 3 Ambientale q 4 Multifattoriale q E. Tra i fattori legati all’immunità dell’ospite, quale dei seguenti è protettivo per lo sviluppo di malattie infiammatorie croniche intestinali?

1 L’adherent-invasive Escherichia coli (Aiec) q 2 I batteri che producono acido butirrico q 3 Il Mycobacterium avium e la Salmonella q 4 L’utilizzo precoce di antibiotici q

F. Quale delle seguenti affermazioni riguardo ai fattori ambientali è corretta? 1 L’allattamento al seno è fattore protettivo per lo sviluppo q di malattie infiammatorie croniche intestinali 2 Il fumo è con-causa di malattia nella CU e protettivo nella MC q 3 L’appendicectomia è protettiva per lo sviluppo della MC q 4 L’esposizione ad animali e il vivere in famiglie numerose favorisce q lo sviluppo di malattie infiammatorie croniche intestinali G. Quale delle seguenti affermazioni riguardo a dieta e malattie infiammatorie croniche intestinali è corretta? 1 L’abbondante consumo di carne rossa è un fattore protettivo q 2 L’abbondante utilizzo di fibre è un fattore protettivo q 3 La nutrizione enterale totale ha la stessa efficacia degli steroidi q nel mandare in remissione la malattia negli adulti 4 Una dieta ricca di carboidrati a catena corta allevia sintomi come q gonfiore, distensione addominale e flatulenza H. Quale delle seguenti affermazioni riguardo a stile di vita e malattie infiammatorie croniche intestinali è corretta? 1 Lo stress è fattore protettivo sulle riesacerbazioni di malattia q 2 Lavori sedentari sono protettivi sullo sviluppo di tali malattie q 3 I disturbi del sonno sono più frequenti nei soggetti affetti q da tali malattie 4 La depressione è un fattore protettivo sulle riesacerbazioni q di malattia

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I rischi della contaminazione da micotossine negli alimenti Debellare completamente a livello globale la presenza delle micotossine è praticamente impossibile, tuttavia si può cercare di contenere l’esposizione, e i conseguenti rischi per la salute umana, entro limiti tollerabili attraverso la pratica di rigorosi controlli sull’intera filiera agroalimentare di Mario Perone

Tecnico della prevenzione Asl della Provincia di Pavia

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l termine micotossine è stato coniato per la prima volta nel lontano 1962, dopo la morte di oltre 100.000 tacchini avvenuta in Inghilterra a seguito di somministrazione di mangime altamente contaminato da tossine prodotte da Aspergillus flavus. Le micotossine sono i metaboliti secondari di funghi filamentosi saprofiti. Sono vere e proprie sostanze chimiche con peso molecolare relativamente basso. Si possono classificare, generalmente, come molecole policicliche, ad eccezione delle fumonisine che sono diesteri. I funghi produttori di micotossine appartengono prevalentemente ai generi Aspergillus, Claviceps, Fusarium e Penidicembre 2015

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cotossine. Come la maggior parte delle muffe, anche le micotossine sono mesofile, cioè crescono fra i 10 e 40 °C, con moltiplicazione ottimale fra i 25 e i 30 °C. Esse vivono prevalentemente sulla superficie esterna dei frutti, per questo motivo, gli alimenti integrali contaminati all’origine da micotossine possono contenerne maggiori quantità rispetto ai relativi alimenti raffinati. Nel secondo caso la crescita delle micotossine è favorita da un’inadeguata disidratazione dei raccolti e/o da un’elevata umidità relativa dell’aria nei locali di stoccaggio e di trasporto. Tossicità delle micotossine

cillum. Si è ritenuto di approfondire il delicato argomento delle micotossine perché si tratta di un tema poco noto. Oltre a ciò, essendo solitamente invisibili a occhio nudo, sono più infide rispetto alla conosciuta, e pertanto già temuta, tossicità della stragrande maggioranza dei funghi macroscopici.

Le micotossicosi, come tutte le sindromi tossicologiche, si dividono in acute e croniche. La tossicità acuta è caratterizzata da una sintomatologia rapida causata, di solito, da un’unica dose di quantitativi di contaminanti relativamente alti (un esempio sono le intossicazioni da funghi macroscopici). La tossicità cronica è invece identificata da una bassa dose di xenobiotici (contaminanti) protratta per un lungo periodo (un esempio è il fumo di sigaretta). Nell’uomo e negli animali causano effetti tossici di qualità ed entità variabili in funzione del tipo di contaminante, della quantità e della durata dell’esposizione. Le principali micotossine sono le aflatossine, gli alcaloidi ergolinici, le citrinine, le fumonisine, le ocratossine, le patuline, i tricoteceni (deossinivalenolo e tossina T-2) e lo zearalenone.

Perchè si formano le micotossine

Le micotossine si formano principalmente in due modi: o in campo e/o, successivamente, durante l’essicazione, lo stoccaggio e il trasporto delle merci. Il primo caso si verifica a causa di un andamento climatico sfavorevole alle colture o a seguito di un raccolto tardivo. La siccità, un’elevata umidità relativa dell’aria unitamente all’umidità del substrato, e la temperatura media stagionale superiore alla norma protratti nel tempo provocano un indebolimento delle piante, che vengono così facilmente attaccate da funghi produttori di mi24

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Aflatossine

Le principali aflatossine sono quattro: la B1 (AFB1), la B2 (AFB2), la G1 (AFG1), la G2 (AFG2). Nell’uomo e negli animali per idrolisi di AFB1 si forma l’aflatossina M1 (AFM1), come principale prodotto finale del metabolismo. AFM1 si trova nel latte, compreso quello umano, e nei derivati del latte, nell’urina come metabolita. Le lettere B (Blue) e G (Green) corrispondono al tipo di fluorescenza emessa quando vengono irradiate da raggi UV di 360 nm, mentre la lettera M è l’iniziale di milk in quanto si trova


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nel latte. Le aflatossine sono dei derivati difuranocumarinici e sono prodotte da molti ceppi di Aspergillus. L’aflatossina B1 è il più potente cancerogeno naturale conosciuto. Infatti, l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (Iarc) l’ha classificata nel primo gruppo di cancerogenicità (Iarc 1993), cioè con evidenze di cancerogenicità. Nel medesimo gruppo c’è l’insieme, la somma, delle aflatossine AFB1+AFB2+AFG1+AFG2 (Iarc 2003). L’aflatossina M1 è accertata essere cancerogena per gli animali e probabilmente cancerogena per l’uomo, e inserita nel gruppo 2. L’aflatossicosi acuta causa la morte; quella cronica il cancro, la soppressione del sistema immunitario e altre “lente” malattie. L’organo bersaglio primario è il fegato. Tuttavia ci sono evidenze di neoplasie da aflatossine in tessuti diversi dal fegato, in particolare a livello polmonare. Si è stimato che sono sufficienti da 10 ai 20 mg di aflatossine per provocare un’aflatossicosi acuta, che inizialmente si manifesta con una severa astenia. Alcaloidi ergolinici

Il nome deriva dalla molecola dell’ergolina tetraciclica, in inglese ergot è la segale cornuta, cioè segale infestata da un fungo, la Claviceps purpurea, che si sviluppa in uno sclerozio a forma di bozzolo allungato (sperone). Sono classificati come alcaloidi dell’indolo e comprendono numerose molecole. La malattia umana provocata da questi composti, soprattutto da pane prodotto con farine contaminate, si chiama ergotismo o fuoco di Sant’Antonio. Le ergotamine pure sono state impiegate per il trattamento delle emicranie. Altri derivati ergolinici sono stati utilizzati come inibitori della prolattina, per il trattamento del Parkinson e in alcuni casi di encefalopatie vascolari. Le terapie con alcaloidi ergolinici possono provocare sporadici casi di ergotismo umano

late da Monascus ruber e Monascus purpureus, specie industriali usate per la produzione di pigmenti. Le citrinine sono nefrotossiche in tutte le specie animali testate, quindi anche per l’uomo. Tricoteceni (deossinivalenolo e tossina T-2)

Sono prodotti da vari generi di funghi, in particolare da Fusarium. Sono classificati come sesquiterpenoidi. Si tratta di molecole estremamente efficaci nell’inibire la sintesi proteica: interferiscono con la formazione, l’allungamento della catena e con la fase finale della sintesi peptidica. In aggiunta a questa attività citotossica, dal punto di vista clinico comportano emorragie, depressione del sistema immunitario, sintomatologia gastroenterica (vomito e diarrea), dermatiti ed effetti neurologici. È stato ipotizzato che la tossina T-2 sia associata alla malattia trasmessa dagli alimenti denominata aleukia, i cui sintomi comprendono infiammazione della pelle, vomito e danno al tessuto emopoietico. La fase acuta è invece accompagnata da necrosi del cavo orale, sanguinamento del naso, della bocca, della vagina e disordine del sistema nervoso centrale. Non è semplice effettuare una diagnosi corretta di tale malattia, talvolta la si può scambiare per difterite o scorbuto. Fumonisine

Sono prodotte da un diverso numero di specie di Fusarium. Sono potenzialmente presenti in tutti i campione di mais. Tuttavia non tutti i ceppi producono tossine. Le fumonisine sono collegate al probabile sviluppo di cancro all’esofago. Infatti, è stata documentata un’elevata incidenza di tale tumore nel nord-est italiano, dove il consumo di farina di mais è abbondante. Iarc le ha classificate nel gruppo B2, cioè probabilmente cancerogene per l’uomo e sicuramente cancerogene per gli animali.

Citrinine

Sono state isolate per la prima volta da Penicillum citrinum. Recentemente sono state iso-

Ocratossine

L’ocratossina A è uno dei metaboliti di Aspergildicembre 2015

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lus flavus, è un potente nefrotossico e un fattore di rischio per il cancro ai testicoli. L’intensità della sua azione è dovuta soprattutto a una vita media per la sua eliminazione molto lunga. Iarc l’ha classificata nella categoria 2B (possibile cancerogenicità per l’uomo e con evidenze certe di cancerogenicità per gli animali).

sificato come estrogeno non steroideo o micoestrogeno o fitoestrogeno. È fortemente indiziato di ridurre la fertilità umana e la vita media. Lo zearalenone e i tricoteceni non sono classificabili, da Iarc, per la cancerogenicità sull’uomo. Cottura degli alimenti

Patuline

Fino al 1950 le patuline erano conosciute per la loro attività antibiotica. Studi condotti fra il 1950 e il 1960 hanno dimostrato la loro tossicità verso le piante e verso gli animali. Pertanto, dal 1960 le patuline sono state riclassificate come micotossine. Esse, prodotte solitamente da funghi appartenenti alla genere Penicillum, provocano il marciume delle mele, delle pere, delle ciliegie e altri frutti. Zearalenone

È un metabolita secondario di Fusarium graminearum e di altre specie di Fusarium. È clas-

PRESENZA DELLE micotossine NEGLI ALIMENTI Aflatossine Si possono trovare in quasi tutti i tipi di cereali (compreso il miglio e il sorgo, con l’esclusione del riso non perché sia immune dalla contaminazione, ma perché la sbramatura elimina le glumelle e il riso bianco ha tenori di aflatossine inferiori ai limiti). Possono essere presenti nei semi oleosi (noci, mandorle, nocciole, arachidi, pistacchi ecc.), nella frutta secca (fichi, datteri, uva sultanina ecc.), nel polline d’api, nelle spezie (pepe, noce moscata, zenzero, curcuma, peperoncino), nella polpa di noce di cocco essiccata, nel tabacco e in prodotti di origine animale (uova, latte e derivati). Alcaloidi ergolinici Si possono trovare in molti cereali. Citrinine Si possono trovare nel frumento, nell’avena, nella segale, nel mais, nell’orzo, negli insaccati, nelle spezie colorate (peperoncino).

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Fumonisine Si possono trovare nella farina di mais e negli alimenti a base di mais. Ocratossina A Si può trovare nei cereali, nell’uva sultanina, nel caffè, nel cacao, nel cioccolato, nel vino, nei succhi d’uva, nella birra, nel sangue e nei tessuti di molti animali (soprattutto nella carne suina e avicola), nel latte, incluso quello materno. Patuline Si possono trovare nei succhi di frutta, nelle composte di frutta e nei prodotti a base di frutta solida. Tricoteceni Si trovano spesso nell’orzo, nell’avena, nel mais, nella segale, nei semi di cartamo. Zearalenone Lo si può trovare in tutti i raccolti cerealicoli.

La temperatura di cottura degli alimenti contaminati (100 °C) non è sufficiente per modificare la struttura chimica delle molecole delle micotossine. Servono almeno 150 °C per un tempo che varia da diversi minuti ad alcune ore. Pertanto la normale temperatura di cottura non diminuisce la tossicità delle micotossine. Esse sono quindi termoresistenti. Alimenti nei quali è possibile la contaminazione da micotossine

Si stima che nel mondo circa un quarto dei raccolti sono contaminati da micotossine (vedi approfondimento in questa pagina). I raccolti contaminati devono essere distrutti. È consentito solo il riutilizzo di cereali contaminati nei biodigestori impiegati per la produzione di energia elettrica. La legge vieta la miscelazione delle merci al fine di ottenere tenori di micotossine entro i limiti di legge. Valori massimi ammissibili negli alimenti

I limiti di legge delle micotossine sono estremamente bassi. Sono dell’ordine di microgrammi/Kg (1 microgrammo è uguale a un milionesimo di grammo, cioè 0,000001 grammi in 1 Kg di substrato). Le concentrazioni sono state adottate dalla Commissione Europea su parere dell’Efsa (European Food Security Autority) e sono basate sul principio Alara (As Low As Reasonably Achievable), cioè la concentrazione più bassa ragionevolmente ottenibile. I limiti europei sono i più bassi rispetto a quelli di tutti gli altri paesi. Gli intervalli di concentrazioni espressi comprendono diversi alimenti e dipendono dal tipo di substrato e dal tipo di contaminante. Per approfondimenti relativi a limiti specifici è pos-


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sibile consultare il Reg. UE 165/2010 per le aflatossine e il Reg. UE 1881/2006 per gli altri xenobiotici. Azioni preventive

Le azioni preventive sono di due tipi. La prima è la prevenzione in campo e sulle derrate immagazzinate. La seconda è la prevenzione sui consumi. Nel primo caso si estrinseca con una corretta prassi agronomica, con l’utilizzo di antifungini nei momenti di massima vulnerabilità delle piante (per il controllo di Aspergillus Flavus, produttore di aflatossine, si sono dimostrati efficaci fungicidi quali l’intraconazolo e amfotericina B), nell’essiccazione adeguata dei raccolti, nel mantenere una bassa umidità relativa dell’aria nei magazzini e, dove possibile, negli ambienti di trasporto (navi). Al fine di sfavorire lo sviluppo delle muffe e quindi delle micotossine è indispensabile contenere l’attività dell’acqua (Aw) nei substrati. L’acqua “libera” deve essere inferiore a determinati valori, che sono diversi in funzione al tipo di raccolto. Ottimi risultati ha dato anche la cernita dei cereali prima della macinazione. La seconda azione preventiva è quella sui consumi e viene realizzata da parte dell’Autorità competente attuando programmi di campionamenti in base alle malattie (potenzialmente) trasmesse dagli alimenti (Mta) e alle matrici che si ritengono più a rischio di contaminazione (farina di mais, frutta secca e semi oleosi). Va sottolineato che in Europa la detossificazione mediante trattamenti chimici, per prevenire la formazione dell’epossido, è vietata (art. 3, c. 4, Reg. UE 1881/2006). Tutte le azioni preventive hanno dei costi. Del resto la prevenzione primaria nel suo complesso comporta un impegno di spesa considerevole, come ad esempio le vaccinazioni infantili, ma nessuno penserebbe mai di non eseguirle. Anzi, la mancata realizzazione di adeguati programmi di prevenzione e formazione provoca un esborso di denaro ancora maggiore.

Conclusioni

Le micotossine sono termoresistenti. Gli alimenti, se contaminati all’origine da micotossine, hanno una quantità di tali xenobiotici circa 10 volte maggiore nella forma integrale rispetto alla forma raffinata. Gli alimenti biologici devono essere privi di pesticidi, ma, per definizione, non è detto siano privi di tossine prodotte da funghi saprofiti. Le micotossine sono il più importante fattore di rischio cronico della dieta, più alto dei contaminanti sintetici, degli additivi alimentari e dei residui di pesticidi. Pensare di riuscire a eliminare a livello mondiale le micotossine è in pratica impossibile, perché le stesse, a differenza di altri contaminanti (pesticidi, metalli pesanti ecc.), sono di origine naturale. Pertanto, pur sapendo che, per esempio, le aflatossine sono genotossiche e cancerogene, dobbiamo convivere con alimenti contenenti bassissime quantità di tali sostanze chimiche. Tuttavia, se questi sono i fatti, ritengo che l’unico modo per ridurre al minimo i danni alla salute umana derivanti da tali contaminanti possa essere la volontà di investire ora risorse finanziarie per potenziare e realizzare le azioni preventive sopra indicate, al fine di non sostenere domani costi sociali ancora maggiori, cioè costosi ricoveri ospedalieri e perdite di vite umane. n dicembre 2015

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La pelle a tavola: la relazione tra dieta e malattie dermatologiche La dieta può influenzare in maniera rilevante lo stato di salute. Se i dati più consistenti riguardano le malattie cardiovascolari, non bisogna trascurare il ruolo giocato da fattori dietetici in numerose patologie dermatologiche

“L

asciate che il cibo sia la vostra medicina” era solito affermare Ippocrate, filosofo e medico greco, vissuto 400 anni prima di Cristo. Sono sempre più numerose le ricerche che dimostrano l’importanza che gioca l’alimentazione nella prevenzione delle malattie umane. Il rapporto più chiaro tra alimentazione e salute riguarda le malattie cardiovascolari, ma cosa si sa del rapporto tra dieta e malattie della pelle? Ci sono cibi utili per prevenire o trattare alcune malattie della pelle? E la quantità di ciò che mangiamo ogni giorno è importante per la nostra pelle? Sono alcune delle domande che ci si può porre pensando all’associazione tra alimentazione e benessere cutaneo. L’effetto di carenze alimentari sullo stato di salute della pelle è noto da tempo. Nel 1536 l’esploratore francese Jacques Cartier così descriveva le manifestazioni dello scorbuto nei propri marinai: «avevano la pelle coperta di macchie di sangue color porpora che si estendevano dalle caviglie alle ginocchia. [...] La loro bocca man-

dava un cattivo odore e le loro gengive divennero guaste». Successivamente, fu il medico inglese James Lind, nel 1753, a mettere in relazione, con un elegante esperimento clinico, le manifestazioni dello scorbuto descritte sopra con una dieta povera di legumi freschi e frutta. Ai nostri giorni, almeno nelle società sviluppate, non sono tanto la malnutrizione e le carenze alimentari a determinare malattie della pelle, quanto gli eccessi e gli squilibri di diete troppe ricche.

di Luigi Naldi

Unità Complessa di Dermatologia, A. O. Papa Giovanni XXIII, Bergamo Centro Studi Gised, Bergamo

Il latte: un sistema di trasfezione genica associato con l’acne

Si può partire, per affrontare il problema, dagli indigeni Kitava dell’isola di Papua nella Nuova Guinea e da quelli Aché della foresta del Paraguay, studiati da Loren Cordain ricercatrice dell’Università del Colorado. La dieta dei Kitava e degli Aché è rappresentata in larga parte dicembre 2015

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da tuberi, frutta, pesce e carne di cacciagione, ed è pressoché priva di latticini, olio, margarina, cereali e zucchero raffinato. I carboidrati contribuiscono per il 70% all’apporto energetico totale, ma hanno un “carico glicemico” assai basso. In altre parole incidono assai poco sulla glicemia e comportano una bassa risposta in termini di innalzamento dei livelli di insulina. Nelle due popolazioni studiate da Loren Cordain, l’acne è assente, mentre è pressoché costante tra gli adolescenti del mondo occidentale. Quali i motivi? La dieta dei giovani adolescenti dei paesi sviluppati ha un elevato carico glucidico e provoca, di conseguenza, un’elevata secrezione di insulina, la quale, a sua volta, favorisce la comparsa di alterazioni funzionali nella ghiandola sebacea che facilitano la comparsa dell’acne. Accanto a dati epidemiologici, sono disponibili due piccoli studi randomizzati che documentano come l’adozione di una dieta a basso carico glucidico rispetto a una dieta convenzionale possa portare a un miglioramento dell’acne. Tra gli alimenti, è soprattutto il latte con i prodotti da esso derivati, a produrre i più alti livelli plasmatici post-prandiali di insulina e di insulin-like growth factor-I (IGF-I). Dati da vari studi epidemiologici, incluso uno studio caso-controllo del Gruppo Italiano Studi Epide-

Figura 1 - Schematica rappresentazione degli effetti di una dieta con alto carico glucidico e ricca di latte sui fattori patogenetici dell’acne (modificata da Melnik B, Nestle Nutr Workshop Ser Pediatr Program. 2011;67:131-45).

miologici in Dermatologia (Gised) che ha coinvolto oltre 500 adolescenti, mostrano come un elevato consumo di latte, specie se parzialmente scremato, influenza la gravità dell’acne. Secondo Bodo Melnik, il latte non è un semplice alimento bensì un sistema complesso di trasfezione genica, di introduzione di materiale biologico esogeno e di supporto anabolico per una rapida crescita dei mammiferi nei primi mesi di vita. L’introduzione di latte porta all’attivazione della via di segnale della chinasi, nutriente-sensibile, definita come “mechanistic target of rapamycin complex 1” (mTORC1). Il persistere di un elevato consumo di latte durante l’adolescenza e l’età adulta, anche favorito dai sistemi di refrigerazione sviluppati a partire dagli anni 1950, si associa a una persistente attivazione di mTORC1 che può avere importanti conseguenze metaboliche. In particolare, si riduce il contenuto nucleare del fattore di trascrizione denominato come “Forkhead box class O1A transcription factor” (FoxO1). Un deficit di FoxO1 è associato a tutti i principali fattori patogenetici identificati nell’acne, la trans-attivazione del recettore per gli androgeni, la comedogenesi, l’aumento di lipogenesi sebacea, l’infiammazione follicolare (fig. 1). Al di là del latte e derivati, anche altri fattori die-


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Figura 2 - Impatto delle adipochine sui processi infiammatori (modificata da Davidovici B, et al. J Invest Dermatol. 2010;130:1785-96).

tetici possono essere in causa nell’acne. Lo studio caso-controllo condotto nell’ambito della rete Gised, già menzionato, ha mostrato come una dieta ricca di frutta, verdura e pesce, possa avere un effetto protettivo sulla gravità della malattia. Il consiglio, in ultima analisi, è quello di non liquidare le preoccupazioni sulla dieta del paziente acneici con un’alzata di spalle. Psoriasi, obesità e adipochine

Dall’acne alla psoriasi il passo, in termini alimentari, non è poi così lungo. La psoriasi è una malattia immuno-mediata in cui si assiste a un accelerato turnover dei cheratinociti associato a un processo infiammatorio connesso con l’espansione e attivazione di linfociti T helper (Th) Th1, Th17 e Th22 con produzione di citochine come interferon gamma, tumor necrosis factor (TNF), interleuchina (IL)-17 e IL-22. Per anni, la ricerca eziologica sulla psoriasi si è prevalentemente concentrata sulla genetica con l’identificazione di numerosi “geni di suscettibilità”. In anni recenti, è emersa l’importanza di alcuni fattori ambientali nel modulare la comparsa e la gravità della malattia. Si deve, in buona parte, a studi italiani la comprensione dei rapporti tra dieta, apporto calorico e psoriasi. Oltre il 60% dei pazienti con psoriasi è in sovrappeso o francamente obeso ed è ormai largamente accettato che il sovrappeso e l’obesità siano fattori che influenzano la comparsa della psoriasi, la gravità della malattia e la risposta ai trattamenti. Recentemente, uno studio clinico che ha coinvolto oltre 300 pazienti,

sostenuto dalla Regione Emilia Romagna e coordinato dal Centro Studi Gised di Bergamo, ha mostrato come l’adozione di una dieta ipocalorica associata a un aumentato esercizio fisico che comporti una riduzione anche modesta (inferiore al 5%) del peso corporeo può avere un importante effetto benefico sulla psoriasi in pazienti con psoriasi sovrappeso od obesi in trattamento sistemico. Le ragioni dell’influenza del peso corporeo sulla psoriasi sono molteplici. Il tessuto adiposo non svolge solo funzioni di deposito energetico o di produzione di lipidi, esso è anche un organo con funzioni endocrine e secretorie ed è riconosciuto come componente del sistema dell’immunità innata. Il tessuto adiposo produce ormoni come le adipochine e una varietà di citochine pro-infiammatorie come IL-6 e TNF. Tra le adipochine, hanno particolare importanza la leptina e l’adiponectina (fig. 2). I livelli plasmatici di leptina sono correlati direttamente con la massa del tessuto adiposo. Accanto al controllo dell’appetito, svolto a livello ipotalamico, la leptina regola un’ampia gamma di funzioni biologiche come l’omeostasi energetica, l’ematopoiesi, e alcune risposte immuni. Recettori per la leptina sono presenti in vari tessuti. La leptina attiva monociti e macrofagi e potenzia la produzione di citochine pro-infiammatorie come TNF, IL-6 e IL-9. Essa orienta la differenziazione dei linfociti verso un fenotipo Th1 e stimola la proliferazione dei cheratinociti e l’angiogenesi. Al contrario della leptina, l’adiponectina ha effetti anti-infiammatori e inibisce la produzione di TNF. I livelli di adiponectina

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sintesi dei dati consolidati relativi alla relazione tra fattori dietetici e malattie dermatologiche Entità clinica

Fattori dietetici coinvolti in studi osservazionali

Acne

Aumentato rischio per una dieta con alto carico glucidico e per un elevato consumo di latte. Pure aumentato rischio per una dieta povera di frutta, verdura, pesce

Una dieta con restrizione del carico glucidico è efficace nel ridurre la gravità dell’acne

Psoriasi

Associazione documentata tra sovrappeso e obesità e incidenza della psoriasi tanto nell’adulto che nel bambino. Associazione della psoriasi con malattia celiaca

Una dieta ipocalorica associata a esercizio fisico in pazienti sovrappeso o obesi con psoriasi moderata-grave in trattamento sistemico produce un miglioramento della psoriasi superiore a quello ottenibile con il solo trattamento sistemico

Dermatite atopica

L’introduzione tardiva di alimenti durante lo svezzamento aumenta il rischio di dermatite atopica. L’allattamento materno limitato ai primi 4 mesi di vita ha effetti protettivi solo nei bambini con storia familiare di atopia

Una supplementazione di probiotici pre-natale e di probiotici e prebiotici post-natale precoce è efficace nel prevenire la comparsa di dermatite atopica

Orticaria cronica

Mancano dati

Una dieta povera in “pseudo-allergeni” come preservativi, coloranti e composti aromatici può migliorare i sintomi in sotto-gruppo di pazienti inclusi i pazienti che non abbiano risposto a un trattamento standard della malattia

Penfigo

Dati epidemiologici e singoli casi suggeriscono che alcuni nutrienti possano giocare un ruolo eziologico. Questi includono cibi contenenti gruppi tiolo come l’aglio, fenoli come il pepe nero, tannini come il vino rosso o il tè, gli isotiocianati come il cavolfiore e ficocianine come alcune alghe

Carcinoma spinocellulare e basocellulare

Melanoma

Dati non conclusivi sul ruolo di vari fattori dietetici

Nei maschi, il sovrappeso e l’obesità sono associati a un rischio aumentato di melanoma. Una dieta ricca di pesce, frutta e verdura con elevato contenuto di beta-carotene, vitamina A, C, D e E tende a ridurre il rischio. Similmente, esiste una relazione inversa tra il rischio di melanoma e indici generali di qualità della dieta come l’Healthy Eating Index

Interventi dietetici proposti nell’ambito di studi clinici randomizzati

Una dieta con basso contenuto di grassi, la supplementazione di selenio o di beta-carotene sono inefficaci nella prevenzione. La supplementazione di retinolo o retinoidi ha efficacia preventiva solo nei soggetti ad alto rischio e limitatamente al carcinoma spinocellulare. La supplementazione di nicotinamide (500 mg due volte al giorno) previene la comparsa di tumori in soggetti con segni cutanei di rilevante danno attinico

Mancano dati

sono ridotti nell’obesità, nella sindrome metabolica e nella psoriasi. Il rapporto tra obesità e psoriasi è evidente anche nel bambino: una ragione, in più, per favorire una sana alimentazione e controllare il peso fin dall’infanzia. Si potrebbe continuare

Molte altre malattie dermatologiche hanno do32

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cumentati rapporti con l’alimentazione, basti citare l’orticaria, la dermatite atopica, alcune malattie bollose, alcuni tumori cutanei (vedi tabella in questa pagina). In conclusione, anche considerando i problemi dermatologici, possiamo affermare con il filosofo tedesco Ludwig Andreas von Feuerbach che, almeno in parte, “siamo ciò che mangiamo”. n




sTILI DI VITA_osteoporosi

Osteoporosi maschile è ancora sottovalutata

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n tutto il mondo le fratture di femore si verificano per un terzo negli uomini e si associano a una mortalità superiore rispetto alle donne»: questa frase, pronunciata da Peter Ebeling, membro del consiglio dell’International Osteoporosis Foundation (Iof), apre la prefazione del report pubblicato pochi mesi fa dall’associazione e riassume in poche parole una tra le più rilevanti problematiche connesse all’osteoporosi. Rilevante ma finora ampiamente sottovalutata, tanto che il titolo assegnato all’opuscolo è: “L’osteoporosi maschile, perché le cose devono cambiare”. Com’è noto, il crescente impatto dell’osteoporosi è strettamente legato all’aumentata durata media della vita. Tra le persone con più di cinquant’anni, le fratture osteoporotiche colpiscono una donna su tre, ma anche un uomo su cinque. In termini di mortalità relativa alle fratture da fragilità, gli uomini sono particolarmente colpiti e rappresentano in questo caso il “sesso debole”. Uno studio danese (1) di cinque anni fa ha confermato i risultati mostrati da studi precedenti e ha quantificato nel 37,1% il tasso di mortalità tra gli uomini che hanno subito una frattura d’anca, rispetto al 26,4% calcolato nelle pazienti di sesso femminile. Inoltre negli uomini la mortalità risulta superiore dopo la maggior parte delle fratture da fragilità, non solo quelle d’anca. Fratture premonitrici

Come ha affermato Tamara Rozental, docente di chirurgia ortopedica presso la Harvard Medical School di Boston, «dato che la prevalenza di fratture da fragilità tra gli uomini è destinata a triplicare entro il 2050, è di fondamentale importanza valutarla e trattarla in modo adeguato e specifico».

L’allarme arriva dall’International Osteoporosis Foundation riunita a Milano per il congresso mondiale sull’osteoporosi. Preoccupanti le previsioni di incidenza della patologia tra gli uomini. Va fatto molto su prevenzione e diagnosi

La Rozental, specializzata in lesioni di mano, polso e gomito, ha esaminato in uno studio pubblicato dal Journal of Bone and Joint Surgery (2) uomini e donne che avevano subito una frattura distale del radio, evento che spesso fornisce la prima indicazione di perdita ossea. «Osserviamo tipicamente questo tipo di frattura – ha affermato la ricercatrice –

di Renato Torlaschi

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sTILI DI VITA_osteoporosi

dieci o quindici anni prima che si verifichi una frattura d’anca. Trattare le fratture del polso ci dà la possibilità di fare un esame della densità minerale ossea (Bmd) e, se necessario, avviare un trattamento di questi pazienti con lo scopo di prevenire fratture più gravi». I fattori di rischio

Ma non si tratta ovviamente di attendere una frattura per mettere in campo azioni preventive. Negli Stati Uniti, la Endocrine Society raccomanda una valutazione della Bmd anche per gli uomini a rischio di osteoporosi (3). Tra i fattori di rischio, alcuni so-

no legati allo stile di vita e dunque sono modificabili: fumo, consumo elevato di alcol, mancanza o eccesso di esercizio fisico; anche la nutrizione gioca un ruolo importante e può contribuire alla carenza di vitamina D e di calcio. Secondo l’associazione americana quest’ultimo dovrebbe essere assunto in quantità compresa tra 1.000 e 1.200 mg al giorno, eventualmente ricorrendo a integratori. Invece, riguardo alla vitamina D, il consiglio degli esperti è di esporsi quando possibile alla luce del sole, ovviamente in modo regolare e sicuro, facendo attenzione a evitare arrossamenti per non rischiare di sviluppare tumori della pelle. Tra i fattori di rischio, deve essere poi considerata la presenza di una lunga serie di patologie e l’eventuale assunzione di farmaci per il loro trattamento: malattia renale cronica, broncopneumopatia cronica ostruttiva, pubertà ritardata, eccesso endogeno o esogeno di glucocorticoidi, Hiv e terapia con inibitori delle proteasi, ipercalciuria, ipogonadismo (comprese le terapie di deprivazione androgenica), artrite infiammatoria, mastocitosi, mieloma multiplo, osteogenesi imperfetta, iperparatiroidismo primario, tireotossicosi.

sintesi dei benefici della terapia dell’osteoporosi negli uomini Modificato da Sim IeW, Ebeling PR (4) Osteoporosi primaria Bmd

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Frattura vertebrale

terapia di deprivazione androgenica Frattura non vertebrale

Bmd

Frattura vertebrale

Frattura non vertebrale

osteoporosi secondaria all’uso di glucocorticoidi Bmd

Frattura vertebrale

Frattura non vertebrale


sTILI DI VITA_osteoporosi

giornata mondiale dell’osteoporosi: a tavola la salute delle ossa Come ogni anno, il 20 ottobre si è celebrata la Giornata Mondiale dell’Osteoporosi, iniziativa organizzata dalla Fondazione Internazionale dell’Osteoporosi (IOF) con attività in più di 90 nazioni per sensibilizzare globalmente riguardo alla prevenzione, alla diagnosi e al trattamento dell’osteoporosi e delle altre malattie delle ossa. Quest’anno si è voluto sottolineare l’importanza della nutrizione per la salute dello scheletro, con lo slogan: “A tavola la salute delle ossa per tutta la vita!”, mettendo in primo piano la responsabilità che ogni singola persona ha nel prevenire la perdita di massa ossea attraverso una alimentazione che apporti giornalmente la giusta quantità di calcio. «L’osteoporosi, con le fratture da fragilità che ne

Le terapie

A osteoporosi diagnosticata, ci sono varie opzioni di trattamento farmacologico e un posto di rilievo è occupato dai bisfosfonati. Come hanno scritto Ie-Wen Sim e Peter Ebeling su Therapeutic Advances in Musculoskeletal Disease (4), «negli uomini con osteoporosi la terapia con bisfosfonati orali o via endovena aumenta la Bmd nella colonna vertebrale e a livello del femore (totale o collo) rispetto al placebo; sia i marker di riassorbimento osseo che di formazione ossea permettono di ottenere miglioramenti». In particolare, molti studi hanno valutato l’efficacia dell’alendronato, segnalando un aumento della Bmd e una riduzione nei marker di turnover osseo; le fratture vertebrali radiologicamente dimostrate si sono ridotte in modo netto rendendo consigliabile l’utilizzo di questo bisfosfonato negli uomini con osteoporosi primaria ad alto rischio di frattura. Anche il risedronato si è mostrato efficace nell’aumentare la densità ossea e nel ridurre la percentuale di fratture nell’osteoporosi primaria maschile. Alcuni studi hanno poi promosso la terapia endovenosa con ibandronato iniettato una volta al mese. La terapia di deprivazione androgeni-

ca, utilizzata per il trattamento del cancro della prostata metastatico è un importante fattore di rischio per l’osteoporosi negli uomini anziani; in questi pazienti, il pamidronato per via endovenosa contrasta la perdita ossea. Ma il bisfosfonato endovenoso maggiormente studiato negli uomini è l’acido zoledronico e anch’esso viene ritenuto efficace nella prevenzione delle fratture osteoporotiche. In alternativa o in aggiunta ai bisfosfonati, si è sperimentato con un buon successo il denosumab, un anticorpo monoclonale completamente umano con analogo profilo di sicurezza ed efficacia. Occorre però segnalare alcune lacune nell’accesso ai farmaci per gli uomini affetti da osteoporosi. Infatti, gli studi clinici rilevanti di fase III, condotti allo scopo di soddisfare i requisiti per la registrazione dei farmaci, sono stati condotti in misura preponderante nelle donne in post-menopausa. Come denunciano gli esperti dell’International Osteoporosis Foundation, «la medicina di evidenza per il trattamento dell’osteoporosi negli uomini è cresciuta notevolmente negli ultimi dieci anni, ma l’accesso ai farmaci per trattare l’osteoporosi negli uomini ha bisogno di stare al passo con questo progresso». n

conseguono, è un fenomeno globale, che si sviluppa in modo silenzioso, perché il nostro scheletro è paludato e i segni e sintomi di malattia sono per lungo tempo intangibili – ha dichiarato Maria Luisa Brandi, presidente della Fondazione Raffaella Becagli (Firmo) e membro del Comitato Scientifico di IOF –. I costi delle fratture da fragilità sono immensi e per il nostro Paese quantificati per le sole spese ospedaliere in 1,5 miliardi di euro ogni anno. Ma i costi indiretti sono ben superiori a queste cifre, con spese che si decuplicano. Non correre ai ripari oggi con giuste indicazioni sulle regole per prevenire le fratture, ci costringerà a lasciare alle future generazioni un compito troppo difficile, quello di dover pagare le fratture di un mondo che invecchia». R. V.

Bibliografia

Kannegaard PN et al. Excess mortality in men compared with women following a hip fracture. National analysis of comedications, comorbidity and survival. Age Ageing. 2010 Mar;39(2):203-9. 2. Harper CM et al. Distal radial fractures in older men. A missed opportunity? J Bone Joint Surg Am. 2014 Nov 5;96(21):1820-7. 3. Watts NB et al; Endocrine Society. Osteoporosis in men: an Endocrine Society clinical practice guideline. J Clin Endocrinol Metab. 2012 Jun;97(6):1802-22. 4. Sim IeW, Ebeling PR. Treatment of osteoporosis in men with bisphosphonates: rationale and latest evidence. Ther Adv Musculoskelet Dis. 2013 Oct;5(5):259-67. 1.

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INTEGRAZIONE ALIMENTARE_disturbi del sonno

L’importanza di un sonno ristoratore

La perdita di sonno, anche quando è minima, viene troppo spesso sottovalutata, così come i rischi

di Carla Carnovale

Farmacista

che ne conseguono in termini di complicanze mediche

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ormire costituisce un’esigenza primaria per tutti gli individui, alla quale l’essere umano dedica circa un terzo della propria esistenza. È dunque facilmente comprensibile come tale attività, se non adeguatamente soddisfatta, possa avere importanti ripercussioni sulla qualità della vita. La stanchezza fisica e mentale e l’irritabilità, causati da un riposo insufficiente e protratto per diversi giorni, influiscono negativamen-

te sulle prestazioni lavorative e sul rendimento scolastico, compromettendo considerevolmente la qualità delle relazioni sociali e familiari. Anche se si presenta occasionalmente, un disturbo del sonno non dovrebbe mai essere sottovalutato o trascurato, inoltre potrebbe essere connesso a diverse patologie, ognuna delle quali richiede una valutazione clinica specialistica. Parallelamente all’anamnesi medica e psichiatrica accuratamente condotta dal medicembre 2015

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INTEGRAZIONE ALIMENTARE_disturbi del sonno

causato anche da patologie specifiche, come emicrania e attacco epilettico, e pare ricorra a livello parentale e familiare. Il sonnambulo è in grado di svolgere attività semplici come vestirsi e camminare, ma non è affatto cosciente, tanto che al risveglio spesso non ricorda l’accaduto. Apnee notturne

dico, il principale strumento di diagnosi nel campo della medicina del sonno è rappresentato dalla polisonnografia, metodica in grado di fornire dati sul sonno, sulla sua struttura, sulla respirazione, sui livelli di ossigeno, sul ritmo cardiaco, sulla pressione arteriosa e sugli spostamenti durante la notte. Parainsonnie

Bruxismo e sonnambulismo sono le più comuni parainsonnie, disturbi che si verificano durante il sonno e ne alterano la qualità. Sono riscontrabili principalmente in individui affetti da ansia e stress. Il bruxismo è l’atto del muovere e digrignare i denti mentre si dorme; questo disturbo non è consciamente controllabile e determina possibili danni alla dentatura, dolori ai muscoli interessati e mal di testa. Il sonnambulismo, cioè la deambulazione durante il sonno, si manifesta principalmente in fase di sonno profondo. Colpisce prevalentemente i maschi, entro i primi dieci anni, ma è riscontrabile anche negli adulti. Può essere 42

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Le persone con apnee notturne soffrono di interruzioni ripetute del respiro durante il sonno. In questo modo i livelli di ossigeno nel sangue diminuiscono e possono verificarsi risvegli con tosse e sensazione di fame d’aria. Dopo l’accaduto, di solito tornano rapidamente a dormire e non ricordano nulla. Le apnee notturne provocano sonnolenza diurna, difficoltà di concentrazione e deficit intellettivo. Sono associate a obesità e russamento e sembrano essere collegate a ipertensione arteriosa e morte prematura. Questo disturbo affligge il 24% degli over 65. Narcolessia

La narcolessia colpisce circa 4 persone su 10.000 (l’1% dei casi sono familiari), prevalentemente maschi, con un picco riscontrabile tra i 15 e i 25 anni. Determina attacchi di sonno improvvisi (10-20 minuti) e ricorrenti (fino a 10 episodi al giorno). La causa è ascrivibile a un difetto biochimico del sistema nervoso centrale. Recenti ricerche hanno infatti identificato una netta riduzione di un neuromediatore, l’orexina, nel liquido cefalorachidiano dei soggetti narcolettici. Le caratteristiche fondamentali sono: eccessiva sonnolenza diurna, cataplessia (perdita del tono muscolare durante la veglia causata da forti emozioni), allucinazioni al momento dell’addormentamento (esperienze sensoriali intense, talora a contenuto terrifico, indistinguibili dalla realtà) e paralisi nel sonno (desiderio di muoversi malgrado la consapevolezza di non riuscire a farlo).


INTEGRAZIONE ALIMENTARE_disturbi del sonno

COLPI DI SONNO AL VOLANTE: SERVE NORMATIVA MODERNA PER PREVENIRLI

Insonnia

Secondo l’Associazione Italiana per la Medicina del Sonno, 12 milioni di italiani soffrono di insonnia, con conseguente depressione, stanchezza diurna e compromessa qualità della vita. Sono le donne tra i 45 e i 54 anni a essere maggiormente colpite (circa il 70%). Il bisogno di dormire differisce tra gli individui e si modifica nel corso della vita, tendendo a diminuire con l’avanzare dell’età. La durata del sonno non è quindi sufficiente a definire una condizione di insonnia. Per definizione, l’insonnia corrisponde a un’alterazione dell’equilibrio sonno-veglia, associata alla difficoltà di addormentarsi o dormire per periodi sufficientemente lunghi, comportando problemi fisici e mentali. Può essere classificata in base ad almeno tre criteri. In base alla durata, si distingue: z un’insonnia “di circostanza”, caratterizzata da episodi isolati e che compare in periodi di particolare stress; z un’insonnia “transitoria”, che dura meno di 3 settimane e tende a risolversi spontaneamente o con l’adozione di uno stile di vita adeguato; z un’insonnia “cronica”, che si protrae per più di 3 settimane e che richiede una cura specifica di tipo farmacologico.

L’introduzione nell’iter parlamentare dell’istituendo reato di omicidio stradale anche di disposizioni per prevenire i mortali colpi di sonno al volante costituirebbe un importante elemento di tutela sociale in grado di salvare molte vite umane: a lanciare un invito a mettere mano al provvedimento è il professor Francesco Peverini, direttore scientifico della Fondazione per la Ricerca e la Cura dei Disturbi del Sonno onlus. «Se alcool e sostanze psicotrope possono essere rilevate nel sangue dei conducenti responsabili di sinistri stradali con facili test – ha dichiarato il professore – ciò non si può attuare per i famigerati colpi di sonno al volante, determinati dalla privazione di sonno legata molto spesso a patologie non immediatamente riconoscibili in chi guida, ma che sono causa di un riposo non ristoratore in grado di provocare improvvisi cali di attenzione e imprevedibili momentanei addormentamenti». «Secondo dati ufficiali USA – continua lo specialista – almeno il 20% degli incidenti stradali è riconducibile ad eccessiva sonnolenza diurna (1), come peraltro osservato in Europa (2) per chi guida, e si può scongiurare solo con la prevenzione.

Una semplice polisonnografia permette rapidamente di individuare se una persona, un conducente professionale (piloti e conduttori di mezzi pubblici) ha un disturbo del sonno o una latente Sindrome delle apnee notturne, di cui soffrono senza saperlo milioni di italiani. L’eventuale intervento terapeutico è semplice e non invasivo e gli stessi soggetti nel traggono agilmente immediato beneficio, lieti di avere un riposo finalmente ristoratore e di non rischiare i colpi di sonno al volante». All’estero, in molti Paesi, da anni sono entrati in vigore controlli obbligatori per il rilascio delle licenze di guida, su questo esempio è auspicabile che anche in Italia i sindacati di categoria adottino una strategia comune e condivisa con le istituzioni per un’efficace prevenzione finalizzata all’incolumità pubblica. R.V. 1. Sleep disorders and sleep deprivation: An unmet public health problem. Colten HR 2006. 2. Road accidents caused by sleepy drivers: update of a Norwegian Survey. Phillips RO 2013.

In relazione alle cause che la determinano, viene definita “primaria” quando non si riescono a individuare ragioni organiche o ambientali capaci di giustificare il disturbo. La condizione deriva probabilmente da un di-

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La melatonina nella cura dell’insonnia La melatonina in virtù della sua capacità di regolare il ritmo circadiano sonno-veglia, è considerata l’orologio biologico dell’organismo. Prodotta dalla ghiandola pineale o epifisi, esercita la propria azione terapeutica a livello di alcune aree cerebrali, dove agendo da potente sedativo e ipnotico migliora la qualità del sonno. Il rilascio della melatonina non è costante durante il corso della giornata; la sua produzione viene inibita in presenza di luce e stimolata dal buio grazie ai fotocettori retinici che captano gli stimoli luminosi provenienti dall’esterno. Ecco perchè i livelli dell’ormone durante la giornata sono minimi al mattino e massimi alla sera. Assunta sotto forma di integratore è impiegata nel trattamento dell’insonnia. È inoltre indica-

Bibliografia

American Psychiatric Association. DSMIV-TR. Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali - Text Revision, IV edizione. Masson, Milano 2001. 2. Niiranen TJ, Kronholm E, Rissanen H, Partinen M, Jula AM. Self-reported obstructive sleep apnea, simple snoring, and various markers of sleep-disordered breathing as predictors of cardiovascular risk. Sleep Breath. 2015 Sep 12. 3. Garcia AN, Salloum IM. Polysomnographic sleep disturbances in nicotine, caffeine, alcohol, cocaine, opioid, and cannabis use: A focused review. Am J Addict. 2015 Sep 8. 4. Terzano MG, Parrino L, Cirignotta F, Ferini-Strambi L, Gigli G, Rudelli G, Sommacal S; Studio Morfeo Committee. Studio Morfeo: insomnia in primary care, a survey conducted on the Italian population. Sleep Med. 2004 Jan;5(1):67-75. 1.

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ta per i soggetti che faticano a prendere sonno per motivi professionali. Trova infatti largo impiego nella tipica sindrome da fuso orario (o jet-leg) caratterizzata anche da inappetenza, irritabilità e difficoltà digestive. Anche gli anziani assumono frequentemente integratori di melatonina; studi scientifici hanno dimostrato che l’efficacia di quest’ormone diminuisce man mano che l’età avanza a causa della progressiva calcificazione dell’epifisi. In ogni caso è importante rispettare la corretta modalità d’uso dell’integratore: se si assume appena prima di coricarsi, l’effetto potrebbe essere sfavorevole e il sonno potrebbe ritardare, in quanto l’organismo non ha adeguatamente assimilato la melatonina ingerita.

sordine biochimico o neuronale a livello centrale. Le persone affette hanno un sonno estremamente leggero, facilmente disturbato dal rumore, da sbalzi di temperatura e da ansia. Si parla di insonnia “secondaria”, quando è riconducibile a precisi fattori scatenanti. Su tutti, lo stress, legato a problemi psicologici o emotivi. In merito alle modalità di presentazione, infine, si riconoscono: un’insonnia “iniziale”, che rende difficoltoso addormentarsi; un’insonnia “centrale”, quando il riposo è frammentato da risvegli ripetuti nell’arco della notte e dalla difficoltà a riaddormentarsi; un’insonnia “terminale”, tipicamente associata alla depressione, quando il risveglio è molto precoce, seguito dall’impossibilità di riaddormentarsi. Trattamento dell’insonnia: rimedi fitoterapici e farmaci

Le proprietà rilassanti di alcune piante officinali sono ampiamente sfruttate per contrastare condizioni d’insonnia priva di causa specifica o legata a lievi stati d’ansia occasionali, seppur con effetti variabili in funzio-

ne delle caratteristiche della preparazione e della sensibilità individuale ai diversi componenti attivi. Tra le piante più efficaci, usate singolarmente o come miscele, in forma di infuso o tisana si annoverano: Eschscholzia californica, Passiflora incarnata, Valeriana officinalis, camomilla, biancospino, melissa e tiglio. Qualora la causa scatenante non sia eliminabile, i farmaci ipnotici si rivelano indispensabili per contrastare l’insonnia primaria e secondaria. Su tutti, le benzodiazepine riducono il tempo di addormentamento e la probabilità di risvegli ripetuti durante la notte, esercitando anche un’azione ansiolitica. Possono determinare fenomeni di assuefazione e dipendenza. Zopiclone e zolpidem sono caratterizzati da minori effetti collaterali e risultano particolarmente utili quando il disturbo del sonno interferisce più con la qualità che con la durata del riposo. Gli antidepressivi sono invece indicati soprattutto nelle persone con lievi sindromi depressive che sperimentano l’insonnia come sintomo principale. Sia l’aminoacido essenziale, triptofano che il magnesio, favoriscono il sonno. Il primo, trasformato in serotonina nell’organismo, svolge una debole azione ipnotica naturale. Il secondo, minerale importante per il funzionamento delle cellule nervose e dei muscoli, è presente in diversi alimenti (cacao, mandorle, noci, pesce, crostacei e latticini) o sottoforma di specifici integratori. In un’ultima analisi, si rivela utile l’assunzione di melatonina, ormone che regola efficacemente il ritmo circadiano sonno-veglia. n




salute&benessere_patologie dell’apparato respiratorio

Diagnosticare le rinopatie con la citologia nasale L’esame citologico della mucosa nasale, semplice e non invasivo, consente di individuare le tipologie cellulari responsabili delle riniti “aspecifiche”, così da poter predisporre le terapie farmacologiche più opportune per limitarne i sintomi

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olveri sottili, agenti chimici e inquinanti, pollini, virus e batteri: le prime vie aeree rappresentano, per il nostro organismo, il fronte di difesa iniziale rispetto a tali elementi, con la mucosa nasale che rimane costantemente a contatto con l’ambiente esterno ed è sottoposta quindi a continue aggressioni. Tutto ciò contribuisce a determinare l’ampia gamma di patologie che interessano le cavità nasali, causando una serie di fastidi (starnuti, pruriti, rinorrea, ostruzione nasale) capaci di condizionare pesantemente la qualità della vita di coloro i quali ne sono colpiti, limitandone in maniera sostanziale l’efficienza fisica. Per tali ragioni è opportuno approfondire le cause scatenanti dei sintomi in questione, che non dovrebbero mai essere sottovalutati o ri-

tenuti, come sovente avviene, di scarsa rilevanza. Bisogna ricordare sempre che avere un naso in salute, in grado di svolgere appieno le sue funzioni, equivale ad avere anche polmoni in salute e pienamente efficienti.

di Vincenzo Marra

L’esame citologico della mucosa nasale

La mucosa nasale è composta da cellule ciliate, mucipare, striate e basali, le quali costituiscono il cosiddetto epitelio pseudostratificato ciliato. Ebbene, il rinocitogramma di un soggetto sano mostra la presenza delle sole cellule che vanno a comporre normalmente la mucosa nasale. Di conseguenza, nel momento in cui si palesano altre forme cellulari, quali spore, eosinofili, mastcellule, batteri, questo significa che è insorta una patologia nasale. dicembre 2015

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salute&benessere_patologie dell’apparato respiratorio

Le malattie che riguardano il naso sono numerose e di varia natura, e proprio nella direzione di un corretto iter diagnostico si inserisce la citologia nasale. Tale indagine prevede tre diverse fasi: il prelievo, che consiste nella raccolta di cellule superficiali della mucosa nasale attraverso un tampone sterile, oppure, nei soggetti più collaborativi, per scraping (raschiamento) impiegando un materiale plastico monouso; la processazione mediante fissazione e colorazione del campione prelevato su di un vetrino e infine l’osservazione microscopica volta all’individuazione di eventuali anomalie nella composizione cellulare della secrezione presa in esame. L’osservazione del vetrino viene effettuata tramite un comune microscopio ottico; per l’analisi del rinocitogramma si procede con una lettura per campi, per reperire gli elementi cellulari importanti ai fini della diagnosi (eosinofili, mastcellule, neutrofili, batteri, spore, eccetera), calcolando al termine della lettura la presenza percentuale degli stessi.

“il mio naso ribelle”: l’importanza della prevenzione e della diagnosi precoce delle rinopatie L’evento “Il mio naso ribelle”, tenutosi il 12 novembre scorso, è giunto alla sua quarta edizione ed è nato con l’obiettivo di aumentare nell’opinione pubblica il livello di conoscenza delle opportunità di prevenzione, diagnosi e trattamento delle malattie nasali. Nel corso della giornata è stato possibile effettuare un esame gratuito di citologia nasale presso i centri che hanno aderito all’iniziativa (consultabili sul sito dell’Accademia italiana di citologia nasale www.aicna.it). «Le patologie nasali sono tantissime, dalle infiammatorie che affliggono il 30% della popolazione italiana a quelle infettive che colpiscono il 5% delle persone – ha affermato il professor Matteo Gelardi durante la presentazione della giornata nazionale dedicata all’iniziativa, tenutasi a Roma presso la Camera dei Deputati –. Avere il naso chiuso, associato o meno a starnuti, scolo nasale e prurito è molto fastidioso, tanto da compro-

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Matteo Gelardi, presidente Italian Academy of Rhinology

mettere la qualità di vita sia di giorno che di notte di chi ne è affetto, oltre a comportare ridotte prestazioni scolastico-lavorative. Il naso è al centro, oltre che del viso, di numerose discipline specialistiche quali allergologia, pediatria, pneumologia, infettivologia, chirurgia plastica e persino medicina legale; infatti, uno studio ha dimostrato che si può stabilire il momento del decesso nelle prime 12 ore dal funzionamento delle cellule ciliate del naso che sopravvivono per molte ore alla morte dell’individuo».

Semplice, non invasiva ed efficace

Con tale strumento diagnostico il clinico sarà in grado di differenziare le rinopatie infiammatorie da quelle infettive, quelle vasomotorie allergiche dalle forme non allergiche, ed ancora quelle batteriche rispetto alle virali o alle forme micotiche. Trattasi di una tecnica semplice e minimamente invasiva che permette di valutare il comportamento cellulare nelle più differenti condizioni, e altresì l’andamento della malattia oltre che di monitorare la reale validità della terapia farmacologica adottata. Concretamente, in ambito rino-allergologico, la citologia nasale consente di rilevare le modificazioni delle cellule dell’epitelio esposto a irritazioni acute o croniche, o a flogosi di diversa natura (virale, batterica, fungina o parassitaria) chiarendo alcuni dei meccanismi fisiopatologici alla base delle patologie manifestate dal paziente. L’Italia all’avanguardia

La rilevanza diagnostica della citologia nasale, il cui impiego clinico sta crescendo esponenzialmente, è sottolineata con forza da uno fra i maggiori conoscitori della materia nel nostro Paese, il professor Matteo Gelardi, past president dell’Accademia Italiana di Citologia Nasale (Aicna) e presidente in carica dell’Italian Academy of Rhinology (IAR), nel corso della presentazione dell’evento “Il mio naso ribelle”: «L’Italia è all’avanguardia in questo campo, infatti è l’unico Paese al mondo ad avere un’accademia dedicata a questa diagnostica e all’estero si stanno allineando grazie alle nostre indicazioni scientifiche. Importanti ricerche realizzate negli ultimi dieci anni hanno consentito di scoprire nuove malattie e strategie terapeutiche e la citologia nasale è quella diagnostica in grado di dare un nome ad alcune malattie nasali un tempo definite aspecifiche, idiopatiche o criptogenetiche. Si sentirà sempre più parlare – continua Gelardi – di malattie dal nome Nares, Narma, Naresma e riniti


salute&benessere_patologie dell’apparato respiratorio

sovrapposte, patologie sempre esistite ma mai riconosciute nel passato proprio per l’assenza della diagnostica citologica nasale, e che oggi rappresentano il 13% di tutte le rinopatie». Di cruciale importanza, per impostare un trattamento efficace, risulta la corretta diagnosi, come ha ribadito il professor Gelardi: «La diagnosi aiuta sempre la terapia, conoscere il nome della propria malattia è importante anche ai fini dell’aderenza al trattamento medicochirurgico, poiché alcune delle malattie nasali, se non diagnosticate precocemente e quindi trattate farmacologicamente ad esempio con i tradizionali antibiotici, corticosteroidi topici o antistaminici, possono portare a patologie più gravi come rino-sinusite cronica, poliposi nasale, asma o sindrome rino-bronchiale. Più recentemente – ha concluso Gelardi – si sono dimostrate efficaci per contrastare le malattie nasali anche le nebulizzazioni di acido ialuronico ad alto peso molecolare tramite un apposito dispositivo. Oltre ad essere efficace, l’acido ialuronico può essere somministrato anche in gravidanza e nei bambini poiché è presente naturalmente nel nostro organismo». Rinopatie allergiche e non allergiche: diagnosi e terapia

Ad una sintomatologia tipica che risponde a starnutazione a salve, idro-rinorrea, irritazioni, pruriti, congestione nasale, iposmia (diminui-

ta percezione degli odori), le rinopatie (o più semplicemente riniti) hanno una classificazione complessa, ma che in maniera sintetica può essere riassunta in: riniti allergiche, non allergiche, infettive (virali o batteriche o micotiche) e altre (iatrogene, ormonali o da cause meccaniche). A differenze delle più note riniti allergiche stagionali o perenni (individuate attraverso test allergologici specifici), scatenate da allergeni – tra cui pollini, acari, derivati epidermici animali – ed IgE-mediate – quelle non allergiche non sono ancora pienamente conosciute. Fino a poco tempo fa tali forme di rinopatie croniche venivano definite superficialmente aspecifiche, poiché non diagnosticate con precisione. Oggi, grazie alla citologia nasale e quindi allo studio della composizione della mucosa si riesce ad individuare la natura delle forme non allergiche: eosinofile (Nares), neutrofile (Narne), mastocitarie (Narma), eosinofilo-mastocitarie (Naresma). In pratica, la presenza di una tipologia cellulare (ad esempio cellule eosinofile) nella mucosa determina il rilascio di alcune sostanze che causano una reazione simil-allergica e quindi il soggetto manifesterà la sintomatologia comune alle riniti allergiche. Se non diagnosticate per tempo e trattate a dovere le rinopatie non allergiche possono condurre a complicanze serie come poliposi nasale, sinusite cronica, asma, eccetera. Per ciò che attiene alla terapia da seguire, essendo in presenza di riniti croniche anche l’impiego dei farmaci sarà continuativo e consisterà nell’impiego di antistaminici e corticosteroidi. Di recente la ricerca clinica ha confermato l’efficacia dell’acido ialuronico (in forma nebulizzata) in associazione alla terapia classica: infatti la molecola nota per la sua funzione di ricostruzione epiteliale (antiaging) è capace di apportare ottimi benefici anche al paziente che soffre di rinopatie croniche, perché agisce nella direzione di un ripristino dell’integrità e delle condizioni fisiologiche della mucosa nasale. n

approfondimenti La rinite farmacologica è addebitabile all’uso prolungato (oltre 8-10 giorni) di spray o gocce nasali decongestionanti per curare il raffreddore. Tali farmaci hanno un’azione vasocostrittiva che dura alcune ore, a cui fa seguito il fenomeno opposto di vasodilatazione. Con l’impiego reiterato degli stessi si verifica una sorta di fenomeno tossico per cui la vasodilatazione risulta maggiormente accentuata e si manifestano così sintomi quali scolo mucoso e congestione nasale.

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pediatria e maternitĂ _allattamento materno

Allattamento al seno, un’assicurazione per la salute di madre e figlio di Renato Torlaschi

Oltre a favorire una relazione unica tra mamma e bambino, che è insieme nutrizione e cura, l’allattamento al seno fornisce al neonato tutte le sostanze necessarie per una crescita ottimale nei primi mesi di vita e presenta numerosi vantaggi anche per la salute della mamma, sia nel periodo post parto che nel lungo termine

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pediatria e maternità_allattamento materno

PROGETTO “farmacie amiche dell’allattamento”

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oi non veniamo dalle stelle o dai fiori, ma dal latte materno». È una frase celebre del Dalai Lama, ma anche l’Organizzazione mondiale della sanità, il più autorevole ente mondiale in tema di salute, dà una conferma scientifica sull’importanza del latte materno: «L’allattamento al seno è il modo normale di fornire ai neonati le sostanze nutritive di cui hanno bisogno per crescere e svilupparsi in buona salute. Praticamente tutte le madri possono allattare, a condizione che abbiano informazioni accurate e sostegno da parte della famiglia, del sistema sanitario e della società in generale». Il colostro, il latte materno giallo e appiccicoso secreto dalle ghiandole mammarie alla fine della gravidanza e i primi giorni dopo il parto, è raccomandato come alimento ideale per il neonato e l’alimentazione deve essere iniziata entro le prime ore dopo la nascita. L’allattamento al seno esclusivo è raccomandato fino ai sei mesi di età e «questo significa – specificano gli esperti dell’Oms – che non si dà al bambino nient’altro: nessun alimento né bevanda, neppure l’acqua. Si possono tuttavia somministrare gocce o sciroppo (vitamine, sali minerali o farmaci). Il latte materno è l’alimento ideale per la crescita e lo sviluppo dei bambini; l’allattamento al seno è parte integrante della procreazione e ha importanti implicazioni per la salute della madre». Solo a partire dai sei mesi di vita l’Oms raccomanda l’introduzione progressiva di altri alimenti, oltre al latte materno, che devono forni-

“Farmacia amica dell’allattamento materno” è un progetto che è stato sperimentato per la prima volta in una farmacia a Verona a partire dal 2007, per poi estendersi progressivamente. Promossa dall’associazione Il Melograno, che da decenni è impegnata a diffondere una nuova cultura della maternità, l’iniziativa coinvolge, oltre ai farmacisti, pediatri, ostetriche, psicologi, gruppi di aiuto alle mamme e altre associazioni. Come spiegano gli esperti del Melograno, l’iniziativa prevede: z la formazione dei farmacisti secondo gli standard proposti per gli operatori sanitari dall’Organizzazione mondiale della sanità e dall’Unicef z l’allestimento nelle farmacie di un piccolo spazio nel quale la mamma che desidera allattare potrà trovare un luogo di accoglienza z l’adeguamento degli spazi espositivi al Codice internazionale per la commercializzazione dei sostituti del latte materno, elaborato dall’Oms e dall’Unicef e approvato nel 1981 dall’Assemblea mondiale della sanità e dalle più importanti compagnie produttrici di alimenti per l’infanzia; il codice è stato studiato per proteggere le madri e l’allattamento dal marketing aggressivo degli alimenti industriali per bambini z promozione della cultura dell’allattamento, veicolata anche attraverso le immagini che “vestono” l’ambiente farmacia

z attivazione sul territorio e nella comunità iniziative e progetti in rete con altri attori sociali che tutelano l’allattamento materno.

Il manifesto ideato per sponsorizzare il progetto prende a prestito le parole di John Dobbing, che in un articolo comparso su Lancet nel 19941 affermava: «Se si rendesse disponibile un nuovo vaccino che prevenisse un milione o più di morti infantili all’anno, e che fosse oltretutto poco costoso, sicuro, somministrabile per bocca, e non richiedesse la catena del freddo, diventerebbe immediatamente un imperativo di salute pubblica. L’allattamento al seno può fare questo ed altro, ma richiede una sua “catena calda” di sostegno e cioè assistenza competente alle madri perché possano aver fiducia in se stesse e per mostrare loro cosa fare, e protezioni da pratiche dannose. Se questa catena calda si è persa nella nostra cultura, o ha dei difetti, è giunto il momento di farla funzionare». I genitori, per i quali la farmacia rappresenta un punto di riferimento per la consulenza sulla salute del bambino, sono dunque sostenuti anche in questa pratica di salute. BIBLIOGRAFIA 1. Dobbing J. Warm chain for breastfeeding. Lancet. 1994 Dec 17;344(8938):1700.

re un apporto sufficiente in termini di calorie, proteine e altre sostanze nutritive ed essere preparati e somministrati in buone condizioni igieniche per ridurre al minimo il rischio di contaminazione. Il passaggio dall’allattamento al seno esclusivo fino al consumo del cibo di cui si nutre il resto della famiglia è infatti una fase molto delicata per il bambino: durante questo periodo molti bambini soffrono di problemi nutrizionali ed è quindi fondamentale dare loro cibi complementari sicuri, idonei e sufficienti perché la transizione avvenga in modo ottimale e senza traumi. L’allattamento al seno ha molti benefici per il bambino. Il latte materno è infatti ricchissimo di sostanze nutritive e contiene anticorpi dicembre 2015

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pediatria e maternità_Allattamento materno

che aiutano a proteggerlo dalle infezioni; inoltre aiuta a prevenire l’insorgenza di allergie e i bambini allattati al seno hanno meno probabilità, negli anni successivi, di diventare sovrappeso, di sviluppare il diabete o di essere colpiti da leucemia infantile. Ma l’allattamento al seno ha anche vantaggi per la madre: intanto è pulito, conveniente e semplice, non ci sono bottiglie da lavare o formule da rispettare per miscelare sostanze diverse; aiuta l’utero a contrarsi e tornare alle dimensioni normali dopo essersi espanso durante la gravidanza; ritarda la ripresa del ciclo mestruale e infine le donne che allattano presentano anche minori rischi di sviluppare diabete di tipo 2, cancro al

seno, cancro ovarico, ipertensione e malattie cardiache. Naturalmente le mamme sono piene di dubbi riguardo all’allattamento. Uno tra i più comuni è quanto spesso deve essere nutrito il bambino ma, come spiegano i medici della American Academy of Family Physicians (Aafp), più che da tabelle e indicazioni generali bisognerebbe lasciarsi guidare dal bambino stesso, che richiede di essere allattato dalle otto alle dodici volte o anche di più nei primi mesi di vita. La frequenza richiesta può cambiare col tempo e le necessità nutrizionali generalmente aumentano quando il piccolo passa attraverso i normali scatti di crescita, che di solito avvengono tra le quattro e le sei settimane di vita, tra i due e i tre mesi e di nuovo tra il quarto e il sesto mese. La durata della poppata è molto variabile e soggettiva e anche in questo è in genere opportuno lasciar fare al bambino e non porre limiti di tempo. «Lasciate che il vostro bambino si alimenti fino a quando è soddisfatto; questo può richiedere circa 15-20 minuti per ogni seno; cercate di fare in modo che il bambino si nutra da entrambi i seni ad ogni poppata» dicono i medici americani, che consigliano inoltre di prestare attenzione ad alcuni segni, specialmente se si sta allattando meno di otto volte al giorno. Il primo di questi segni

se si sceglie il latte artificiale L’allattamento al seno è il nutrimento migliore per il neonato, ma quando non è sufficiente o possibile, sentito il parere del pediatra, si può ricorrere a una formula sostitutiva. I latti per lattanti sono detti formule di tipo 1 e sono indicati per l’alimentazione esclusiva dei bambini fino ai quattro-sei mesi di età. I latti di proseguimento (formule di tipo 2) sono messi a punto allo scopo di costituire il principale alimento liquido per i bambini di età superiore,

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che progressivamente si avviano a una diversificazione della dieta. Il farmacista garantisce la qualità delle formule sostitutive del latte materno, che devono essere conformi a una normativa molto rigorosa, tale da rendere minime le differenze di composizione tra le diverse marche. In tutti i prodotti presenti sul mercato, la composizione del latte artificiale è conforme a una direttiva europea, che fornisce un elenco accurato dei nutrienti da usare nel

latte in polvere e ne stabilisce la quantità. Le industrie alimentari producono il latte in polvere a partire dal latte vaccino, che viene poi modificato, perché troppo ricco di proteine e sali minerali. Per adeguarlo alle esigenze del neonato, alcuni nutrienti vengono rimossi e altri aggiunti, attraverso un processo che conduce alla realizzazione di un latte artificiale contenente lipidi, proteine, carboidrati, vitamine e minerali in una formulazione simile al latte materno.


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è la soddisfazione espressa inequivocabilmente dal bambino quando riceve abbastanza latte; un altro è l’aumento di peso, che deve essere continuo dopo il calo fisiologico che può avvenire nella prima settimana di vita; inoltre il bambino bagna normalmente dai sei agli otto pannolini al giorno e infine vanno controllate anche le evacuazioni che devono essere inizialmente dalle due alle cinque o più al giorno e di consistenza liquida, per poi diminuire. Quest’ultimo aspetto è spesso fonte di confusione per le madri, perché il latte di transizione e il latte maturo sono responsabili anche dell’aumento di feci. Come è affermato in Lactation Consultant Series, (pubblicate dall’associazione internazionale La Leche League), «i neonati comunemente evacuano almeno cinque volte al giorno dopo il terzo giorno, poiché l’incremento del grasso nel latte di transizione e maturo determina la massa fecale». Se si ritiene che il bambino abbia bisogno di più latte, si possono aumentare il numero di poppate al giorno. È anche importante che la madre riposi molto e si alimenti correttamente, dando modo al proprio corpo di rispondere adeguatamente alle esigenze del bambino. La dieta migliore per una donna che allatta al seno è bilanciata e con molto calcio. Sempre secondo l’Aafp, questo significa che si dovrebbero mangiare latticini in abbondanza, oltre a frutta, verdura, cereali integrali, legumi e pane. Se non si assumono latticini o carne, si può ottenere il calcio necessario da broccoli, semi di sesamo, tofu e cavoli. Se poi si pensa di non ricevere abbastanza calcio dagli alimenti, è opportuno rivolgersi al medico per valutarne un’integrazione. Anche le calorie assunte devono essere superiori, circa 500 al giorno in più rispetto al solito, e si dovrà bere in abbondanza. Ma c’è anche qualcosa da evitare: intanto tutto quello che si avverte come disturbante per il proprio bambino; inoltre bisogna ricordare che caffeina e alcol possono entrare nel latte e so-

svezzamento: la dieta del bambino secondo le indicazioni dell’oms Età

Consistenza

Frequenza

Quantità per ogni pasto

6-8 mesi

Iniziare con pappe morbide e alimenti frullati o schiacciati; continuare con il cibo consumato in famiglia ridotto in purea

Due o tre pasti al giorno, in aggiunta a frequenti poppate; a seconda dell’appetito del bambino, possono essere offerti uno o due spuntini

Iniziare con due o tre cucchiai, aumentando gradualmente fino a mezza tazza da 250 ml

9-11 mesi

Alimenti tritati o ridotti in purea e alimenti che il bambino è in grado di afferrare

Tre o quattro pasti al giorno, in aggiunta a frequenti poppate; a seconda dell’appetito del bambino, possono essere offerti uno o due spuntini

Mezza tazza da 250 ml

12-23 mesi

Alimenti consumati in famiglia, schiacciati o triturati se necessario

Tre o quattro pasti al giorno, in aggiunta a frequenti poppate; a seconda dell’appetito del bambino, possono essere offerti uno o due spuntini

Tre quarti di tazza da 250 ml

no dunque da limitare. Lo stesso accade con i farmaci, che non devono mai essere assunti di propria iniziativa, senza parlarne con il medico o il farmacista. Infine, se si fuma, l’allattamento è un altro buon motivo per cercare di smettere: il fumo può diminuire la produzione di latte e le sostanze chimiche presenti possono entrare nel latte.

approfondimenti Il latte materno contiene tutto ciò di cui il bambino ha bisogno: proteine, grassi, lattosio, vitamine, ferro, minerali, acqua ed enzimi per una crescita e uno sviluppo ottimali. Inoltre Il latte materno veicola tutte le sostanze che prevengono la formazione di batteri nocivi nell’intestino. In questi bambini, inoltre, il rischio di sindrome della morte improvvisa del lattante (Sids) è estremamente ridotto.

Dai sei mesi ai due anni

Compiuti i sei mesi, il bambino è ormai pronto a un tipo di nutrimento diverso dal latte materno e potrà accettare il cucchiaino e gestire la deglutizione di cibi densi. Inizia dunque il periodo di svezzamento, con l’aggiunta di cibi solidi e semisolidi (biscotti, frutta, minestrine). In tabella riportiamo le principali indicazioni fornite dall’Oms riguardo le quantità di alimenti da introdurre progressivamente nella dieta del bambino. n dicembre 2015

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igiene orale_gravidanza

A un fisiologico aumento delle affezioni orali durante la gravidanza bisogna rispondere con le giuste precauzioni per evitare conseguenze più serie per mamma e nascituro. Le cure dentali non vanno rinviate a dopo la gravidanza

Età perinatale, le raccomandazioni per la salute orale

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ono ormai svariate le evidenze scientifiche che confermano quanto una donna durante lo stato di gravidanza sia più soggetta a carie, parodontiti, gengiviti e in generale ad affezioni del cavo orale, con tutte le conseguenze del caso per la sua salute sistemica e per quella del nascituro. Per questo assumono una rilevanza non trascurabile le «Raccomandazioni per la promozione della salute orale in età perinatale» emanate dal ministero della Salute, stilate da un team multidisciplinare di esperti. Si tratta di indicazioni volte a promuovere il miglioramento della salute orale delle donne durante il periodo della gravidanza, la prevenzione delle malattie orali nei nascituri, la diffusione di informazioni precise e chiare in materia e l’erogazione di cure odontoiatriche appropriate nelle donne in attesa di partorire.

di Vincenzo Marra

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Patologie orali e parto prematuro: quale relazione?

È del 1996 il primo studio che ha dimostrato quanto la patologia parodontale costituisca un fattore di rischio per il parto prematuro, e negli anni a seguire la letteratura scientifica ha annoverato un numero sempre più consistente di indagini a conferma dell’esistenza di un legame tra parodontite e maggiore possibilità di aborto spontaneo, ritardo di crescita intrauterino, lesioni e rotture di membrane, basso peso del bambino alla nascita. Circostanze avverse che sono da addebitare ai batteri responsabili della malattia parodontale, i quali producono una varietà di mediatori infiammatori chimici – tra cui prostaglandine, interleuchine, endotossine – che condizionano in negativo il normale percorso della gravidanza. Nel 2010, poi, si è dimostrato scientificamente quanto il Fusobacterium nucleatum, specie batterica originata dal biofilm parodontopatogeno sottogengivale della madre e traslocato alla placenta e al feto, fosse addirittura in grado di determinare un processo infiammatorio acuto responsabile della morte endouterina del feto. Carie, erosione e parodontite nella donna in gravidanza

La gravidanza porta con sé una serie di modificazioni fisiologiche capaci di condizionare


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in maniera sensibile la salute orale della donna. Cambiamenti nelle abitudini alimentari, iperemesi gravidica mattutina, reflusso esofageo possono favorire la demineralizzazione dei denti, provocando il processo destruente proprio dell’erosione dentale, con aumentato rischio di insorgenza carie. A causa delle alterazioni ormonali, vascolari e immunologiche associate alla gravidanza, i tessuti gengivali delle donne in stato di gravidanza spesso manifestano una risposta infiammatoria particolarmente accentuata nei confronti dei microbi patogeni gengivali, rendendo frequente l’insorgenza o l’aggravamento delle patologie che interessano i tessuti parodontali, anche per via di una salivazione che presenta ridotta azione detersiva. A proposito, poi, di patologia cariosa, le evidenze scientifiche hanno sottolineato quanto la presenza di carie dentali e di flora batterica orale cariogena nella madre aumenti il rischio di insorgenza di carie nel bambino. Lo Streptococcus mutans si trasmette da madre in figlio: indagini cliniche hanno documentato che in un numero consistente di casi i genotipi del batterio responsabile delle carie nei bambini sono uguali a quelli presenti nelle madri. Per tale ragione è necessario ridurre il numero di batteri cariogeni nella bocca della gestante in modo che la colonizzazione da parte degli stessi possa essere ritardata il più possibile nel neonato. Le raccomandazioni del ministero della Salute

Alla luce di ciò risulta chiaro quanto durante la gravidanza sia imprescindibile una maggiore attenzione a tutti gli aspetti della salute odontoiatrica, con visite di controllo frequenti, dedicando la giusta importanza a una corretta alimentazione, indispensabile per proteggere la salute della madre e del bambino. Senza dimenticare, inoltre, una scrupolosa igiene orale quotidiana. È consigliabile per la donna incinta consumare cibi ricchi di vitamine, sali minerali e nutrienti nobili, a cominciare da frutta e verdura fresche, bere mol-

I primi anni di vita Anche per il nascituro vi sono alcuni semplici ma importanti consigli da seguire per salvaguardare la sua salute orale: prima dell’eruzione dei denti è raccomandabile pulire le gengive del bambino, dopo la poppata, con una garza morbida o uno spazzolino a setole molto morbide; evitare di met-

tere a letto il bambino con il succhiotto o con biberon contenente bevande differenti dall’acqua; limitare l’assunzione di cibi contenenti zuccheri solo durante i pasti; evitare al massimo condivisioni del cucchiaio della pappa o del succhiotto e scambi accidentali di saliva con i genitori.

to latte, evitare il consumo eccessivo di dolci, zuccheri complessi, caramelle, bevande molto zuccherate, cibi con molti conservanti. Per diminuire il rischio di insorgenza di erosioni e carie nelle pazienti in stato di gravidanza che soffrono frequentemente di nausea e vomito da iperemesi gravidica, può essere utile adottare una serie di suggerimenti indicati proprio nelle raccomandazioni ministeriali: alimentarsi frequentemente con piccole quantità di cibo nutriente; risciacquare la bocca dopo gli episodi di vomito con acqua in cui disciogliere un cucchiaino di bicarbonato di sodio per neutralizzare l’acidità dell’ambiente orale; masticare chewing-gum senza zucchero o contenente xilitolo dopo aver mangiato; utilizzare spazzolini da denti delicati e dentifrici al fluoro non abrasivi per prevenire danni alle superfici dei denti; spazzolare i denti due volte al giorno e utilizzare il filo o altro ausilio interdentale tutti i giorni; effettuare una visita odontoiatrica e una seduta di igiene orale professionale, se non è stata effettuata negli ultimi sei mesi. Le raccomandazioni emanate dal ministero ribadiscono quanto la gravidanza non costituisca un motivo per rinviare cure dentali di routine o trattamenti di affezioni acute. Risulta opportuno, però, da parte dell’odontoiatria, in caso di trattamenti terapici sulla partoriente, un consulto con il medico ginecologo curante, per assicurarsi dell’assenza di controindicazioni legate all’utilizzo di farmaci. Anche le indagini diagnostiche, incluse le radiografie necessarie, possono essere eseguite in modo sicuro, adottando scrupolosamente tutte le precauzioni indicate. n dicembre 2015

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attualità

Vaccinazioni, il continuo calo mette a rischio l’immunità di gregge Gli esperti si confrontano sulla tendenza che da qualche anno in Italia, come in altre nazioni, registra un costante calo delle percentuali di copertura vaccinale tra i bambini e mettono in guardia dai rischi che ne potrebbero derivare sia sul piano individuale che su quello collettivo

I dati aggiornati sulle vaccinazioni recentemente diffusi dall’Istituto Superiore di Sanità rivelano che la copertura vaccinale in Italia è al limite della soglia di sicurezza. La cultura anti-vaccinale che si è diffusa negli ultimi anni sta lentamente portando a una riduzione della copertura nei bambini e, di conseguenza, alla potenziale ricomparsa di malattie infettive un tempo debellate in Occidente e alla perdita della cosiddetta “immunità di gregge”, ossia del beneficio di cui godono tutti i cittadini, in quanto circondati da persone vaccinate e quindi immunizzate. Nel 2014 il tasso di copertura vaccinale è sceso al di sotto del 95% per quanto riguarda patologie come la poliomielite, il tetano, la difterite, l’epatite B e la pertosse. Per morbillo, rosolia e parotite il livello è ancora più basso, all’86,6%, mentre per il meningococco C è sceso al 74,9%. Specialisti e pubblici decisori si sono confrontati su questi temi e sui reali pericoli derivanti dal dilagare della tendenza anti-vaccinale in occasione del convegno “Vaccinazione in età pediatrica. Guadagno di salute” che si è svolto presso l’Università di Milano-Bicocca su iniziativa dell’Asl di Monza e Brianza. I pericoli concreti della cattiva informazione

«Sul tema dei vaccini – ha dichiarato il rettore dell’Università di Milano-Bicocca Cristina Messa aprendo i lavori del convegno 60

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– è necessario fare innanzitutto corretta informazione lasciando da parte i pregiudizi. È importante far capire a genitori e gruppi di interesse che le vaccinazioni sono prima di tutto una sicurezza per la collettività». Punta il dito contro la cattiva informazione che corre anche sul web e alimenta la disinformazione anche il direttore generale della Asl di Monza e Brianza, Matteo Stocco: «La cosiddetta ‘immunità di gregge’ o ‘immunità di branco’ – spiega Stocco – si verifica

quando la vaccinazione di una parte significativa della popolazione finisce per tutelare anche gli individui che non hanno sviluppato l’immunità. In sostanza, poiché le malattie infettive si trasmettono da individuo a individuo, la vaccinazione di una quota rilevante di popolazione fa sì che la ‘catena di trasmissione’ delle infezioni si interrompa con elevata probabilità, proprio perché un gran numero di appartenenti a quella popolazione sono immuni o meno esposti alla malat-


attualità

« i sogni dei bambini»: il video ricorda gli effetti della poliomelite In occasione dell’evento è stato presentato anche un video, realizzato da Lorenzo Tozzi e Maria Elena Rosati, dal titolo “I sogni dei bambini”, che racconta in modo chiaro attraverso immagini d’epoca le conseguenze causate in passato dalla poliomelite, malattia infettiva che colpisce il sistema nervoso centrale e per la quale non esistono cure, ma solo misure di prevenzione attraverso la vaccinazione. L’idea di questo video è nata in seguito alle lettere che molti genitori scrivono di continuo alle Asl, chiedendo di non ricevere più i richiami per vaccinare i propri figli. Il video, diffuso tramite

tia. Attualmente – aggiunge Stocco – anche a causa delle campagne di vera disinformazione diffuse attraverso il web, registriamo un decremento dei tassi di copertura vaccinale che inizia a essere allarmante, e che rischia di compromettere l’efficacia di prevenzione generale garantita dall’‘immunità di gregge’». La figura del pediatra può aiutare nella scelta

I genitori giocano un ruolo cruciale nelle vaccinazioni dei figli, per questo motivo occor-

la Rete, mira a sensibilizzare le madri sull’importanza dei vaccini, affinché non si lascino condizionare da infondati preconcetti sulla loro pericolosità e non mettano a rischio la salute dei propri figli. «Anche attraverso il video presentato oggi, che mira a emozionare e a colpire la sensibilità di tutti i cittadini – ha commentato Matteo Stocco –, vogliamo ribadire che i vaccini sono la miglior forma di prevenzione attualmente disponibile e che attiene in primo luogo al senso di responsabilità dei genitori far sì che patologie da tempo debellate in tutto l’Occidente non tornino a minacciare la salute dei nostri figli».

re far capire loro l’importanza della copertura vaccinale e indirizzarli verso fonti di informazione affidabili. «Il proprio medico di medicina generale, e nel caso specifico il pediatra, rimane la più affidabile fonte di informazione sui vaccini – ha dichiarato Carlo Maria Teruzzi, presidente Omceo Monza e Brianza –. Grazie al rapporto di fiducia, i genitori possono essere aiutati nella comprensione, per una scelta consapevole delle vaccinazioni. Nulla è più importante che investire del tempo per fornire le informazioni necessarie relative al-

la salute dei loro figli. Il successo lo si ottiene quando tutti i vaccini raccomandati dal medico vengono accettati o quando alcuni vaccini vengono programmati per un successivo appuntamento». Il ruolo degli operatori sanitari

Anche l’Istituto Superiore di Sanità (Iss) mette in guardia dalle gravi conseguenze derivanti dal calo della copertura vaccinale e chiama in causa gli operatori sanitari: «È necessario che, a fronte dei dubbi dei cittadini, gli operatori siano in grado di far comprendere che la mancata vaccinazione crea un rischio enormemente – ha dichiarato Walter Ricciardi, presidente dell’Iss – più alto rispetto a quello temuto di eventuali effetti collaterali. È inammissibile che un operatore sanitario pubblico, in scienza e coscienza, possa avanzare dubbi sull’efficacia e sull’opportunità dei vaccini, di un atto che ha anche un valore etico per la tutela della salute pubblica. In questo senso è necessaria una nuova alleanza tra medici, operatori sanitari, ricercatori e industria per evitare che il patrimonio di salute pubblica conquistato in anni di campagne vaccinali vada disperso». Rachele Villa dicembre 2015

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attualità

Impatto del diritto religioso ebraico sul settore farmaceutico A Milano, in un seminario sulle opportunità del diritto religioso ebraico applicato al settore farmaceutico, il Rav Umberto Piperno spiega come possa essere di particolare utilità l’adozione di principi ebraici e della legge rabbinica nell’ambito della salute

Si è tenuto lo scorso 8 novembre presso la sede del Collegio periti esperti & consulenti di Milano, il seminario “Farmaceutica ed ebraismo: impatto dell’Etica e del Diritto ebraico religioso sul settore farmaceutico”. Hanno partecipato all’evento il Rav Umberto Piperno, rabbino capo di Napoli e del sud Italia, il professor Giorgio L. Colombo, del Dipartimento di Scienze del Farmaco dell’Università di Pavia e il professor Luigi Pastorelli, direttore scientifico del Centro studi Yakar che studia l’impatto del diritto religioso ebraico sul diritto commerciale. L’adozione dei principi ebraici e della legge rabbinica nell’ambito della salute Obiettivo della conferenza è stata la presentazione agli operatori del settore farmaceutico delle opportunità del diritto religioso ebraico applicato al settore farmaceutico e l’esame della correlazione di tali principi con la problematica di rischio connessa alla loro applicazione in tale ambito. Qual è l’elemento fondante della medicina secondo il diritto religioso ebraico? Come può essere applicato all’ambito farmaceutico quando si tratta della valutazione del rischio? Queste le domande principali a cui il Rav Umberto Piperno ha cercato di rispondere in occasione della conferenza. «Il compito del rabbino è scrivere un responso, elaborare 62

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co gratuito”. Diverse sono le considerazioni e le spiegazioni a riguardo: retribuire il medico serve per ripagare la sua fatica nel dare le giuste indicazioni terapeutiche al malato, serve per compensare le ingenti spese universitarie che ha dovuto sostenere e per il rischio che corre quando si espone a malattie contagiose.

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Rav Umberto Piperno

possibili risposte ai problemi di oggi» spiega il Rav. «Al momento si hanno ancora poche risposte. Il dovere di ogni uomo è di correggere una natura che anche se proviene dalla perfezione del Signore, non è volutamente perfetta». Secondo Piperno può essere di particolare utilità l’adozione di principi ebraici e della legge rabbinica nell’ambito della salute. A partire dall’obbligo di pagare il medico, fino ad arrivare alla responsabilità giuridica quando si parla di sostenere le spese sanitarie all’interno della coppia, dovere che spetta al marito. Molta attenzione è stata posta su una specifica contraddizione: perché il medico deve essere pagato se è un suo dovere curare. Secondo la religione ebraica, spiega il Rav, è proibito per il dottore dare consigli non retribuiti, poiché “solo Dio è medi-

L’antica etica ebraica legata a concetti attuali La normativa ebraica sul rischio sancisce che il pericolo deve essere tenuto sempre in considerazione e che non bisogna mai agire appoggiandoci ai miracoli: è una questione di fattori matematici. L’etica ebraica, nonostante sia molto antica, è così legata a concetti attuali come il consenso informato, le infezioni nosocomiali, nonché al problema della tutela del prodotto, temi rilevanti per gli addetti ai lavori, come ha sostenuto il professor Luigi Pastorelli. Secondo il professor Giorgio Colombo, che ha concluso l’incontro, appare fin troppo evidente che nel nostro sistema sanitario non si possa intervenire con semplici modifiche e tagli; è indispensabile riscrivere interamente tutto, alla luce della sostenibilità e di una reale omogeneità di costi e risorse erogate, con la possibilità di servirsi anche degli utili principi della religione ebraica. Lara Romanelli


attualità

Donne di scienza: quote rosa nella ricerca in Italia sono solo il 24% La presenza di ricercatrici donne nel nostro Paese è ancora limitata e i numeri diminuiscono sensibilmente man mano che si sale di livello fino ad arrivare alle posizioni apicali, che vengono ricoperte principalmente da dirigenti del sesso opposto

Si è svolto il 30 ottobre a Milano, presso il Conference Centre di Expo il convegno “L’eccellenza nella ricerca sulla salute della donna”, organizzato dall’Osservatorio nazionale sulla salute della donna (Onda), in collaborazione con Farmindustria, un appuntamento a cui hanno preso parte alcune tra le migliori ricercartici italiane impegnate nell’ambito della salute e della biomedicina. «La nostra presenza in Expo, in qualità di Civil Society Participant – ha dichiarato Francesca Merzagora, Presidente di Onda – si è declinata in molteplici attività tra cui l’evento di oggi, in cui sono intervenute le più importanti ricercatrici italiane con elevato impact factor in termini di attività di ricerca e produzione scientifica. Abbiamo dunque voluto dedicare uno spazio speciale in Expo a queste donne di scienza che, con grande dedizione e determinazione, hanno sfidato il difficile mondo della ricerca, dando un contributo rilevante all’avanzamento delle conoscenze in tanti e diversi ambiti». Numerosi sono stati i temi affrontati nel corso del convegno, a partire dalla ricerca in ambito oncologico e cardiologico al rapporto tra dieta mediterranea e salute, dalla microbiologia alle differenze di genere nel tabagismo e le malattie ad esso associate. Gli atti del convegno sono stati raccolti in un volume disponibile sul sito www.ondaosservatorio.it. «Per il convegno ho proposto di coinvolgere delle ricercatrici e scienziate contraddistin-

Settore farmaceutico e pari opportunità

te da un’alta produttività scientifica, definita da un parametro di grande interesse internazionale, ovvero l’impact factor e, in particolare, una sua interpolazione statistica chiamata indice di Hirsch o H-index – ha commentato Adriana Albini, presidente del Comitato Scientifico Onda –. Sono donne di ‘impatto’, dunque, non solo nel senso che il loro lavoro impatta sulla società e sui progressi della conoscenza, ma, anche perché, attraverso la loro produzione scientifica letta e citata, si sono conquistate una posizione alta in questa specie di ‘hit parade’ della scienza».

In Italia la presenza femminile nella ricerca è ancora limitata. A dirlo sono i dati raccolti dall’Istituto di Ricerca sulla Popolazione e le Politiche Sociali (Irpps) del Cnr. In particolare, se all’inizio della professione si registra una sostanziale parità tra i due sessi, avanzando di grado le percentuali sono nettamente a favore dei ricercatori di sesso maschile, che salgono al 76% del totale, mentre le ricercatrici restano solo al 24%. Ai vertici, le donne che ricoprono ruoli di dirigenti di Istituti di ricerca e di Dipartimento sono meno del 17%. L’unica eccezione è rappresentata dal comparto farmaceutico, come ha spiegato Massimo Scaccabarozzi, presidente di Farmindustria: «Nell’industria farmaceutica la ricerca è rosa. In Italia, le donne sono infatti il 53% del totale dei ricercatori. Una presenza femminile che – nel complesso – all’interno delle imprese del farmaco è del 44%, dato più elevato rispetto alla media manifatturiera (25%). Le pari opportunità nelle nostre aziende non sono quindi uno slogan ma una realtà consolidata. Che si rafforza anche grazie a misure che favoriscono il bilanciamento tra carriera, famiglia e vita privata come ad esempio asili nido, mense con take away per la cena o servizi di lavanderia e calzoleria, un uso maggiore della media di congedi parentali e, non ultime, iniziative di smart working». Rachele Villa dicembre 2015

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le aziende informano

epatoguna, un aiuto per il benessere del fegato

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l fegato è uno degli organi più complessi e sofisticati dell’intero organismo; è un vero e proprio “laboratorio” biologico, produce la bile, essenziale per la digestione dei grassi, è una fondamentale sede di deposito per il ferro, la vitamina B12 e il rame, e possiede una straordinaria capacità di filtro e di eliminazione per le scorie alimentari e per diverse sostanze tossiche. Alimentazione sbilanciata con eccesso di grassi e zuccheri, stili di vita sregolati, sovrappeso e obesità, sindrome metabolica, abuso di alcol o uso incongruo di farmaci posso-

no alterare lo stato di buona salute del fegato, causando disturbi della digestione, debilitazione, alterazione di parametri della funzionalità epatica (transaminasi), fino al rallentamento delle sue fisiologiche funzioni e capacità di rigenerazione. Grazie alla più moderna ricerca nutraceutica, Guna ha messo a punto Epatoguna, integratore alimentare in compresse a rilascio controllato, gastroprotette, che all’interno di uno stile di vita sano, aiuta a sostenere e a ripristinare la normale funzionalità del fegato. Epatoguna è a base di fegato lio-

filizzato, colina e tè verde. Il fegato liofilizzato, prodotto attraverso un esclusivo processo di liofilizzazione controllata di fegato fresco di giovani suini, mantiene i suoi nutrienti specifici naturali, come il pool vitaminico completo, minerali come il ferro, e aminoacidi essenziali utili per sostenere e regolare i processi metabolici e di riparazione del fegato. La colina è un nutriente essenziale, utile per contrastare l’accumulo di grassi nel fegato e sostenere il suo buon funzionamento. Infine, il tè verde (Camellia sinensis L. Kuntze) è antiossi-

dante e contribuisce alla normale funzione intestinale. Epatoguna è privo di glutine, lattosio e Ogm. Guna Tel. 02 280181 info@guna.it www.guna.it

nasce dermatrophine pro, la prima linea ad altezza di dermatologo

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ifarma, azienda con un knowhow di 25 anni nel settore dermatologico ed estetico, con formulazioni a base di α e β idrossiacidi tra cui acido glicolico, acido salicilico e principi attivi funzionali fino ad oggi riservati a dermatologi, medici estetici e chirurghi plastici, mette a disposizione dell’estetica professionale una nuova linea di trattamenti super specifici e risolutivi degli inestetismi della pelle. Dal brand storico Dermatrophine nasce Dermatrophine PRO, una gamma di trattamenti al-

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Professione Salute

tamente performanti e tecnici: i principi attivi funzionali e gli acidi vengono utilizzati nella maggiore concentrazione consentita e testati nella percentuale funzionale per il trattamento dell’inestetismo specifico. Tutti i trattamenti, predosati e disponibili in 3 kit tematici, sono inoltre integrati da prodotti ad uso domiciliare complementari.

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Il Kit Derma Pure (e prodotto complementare Derma Pure) è pensato per il trattamento delle pelli miste, grasse a tendenza acneica anche in età tardiva. Svolge un’azione antinfiammatoria e antibatterica e un’azione esfoliante e illuminante, riducendo la produzione di sebo. Il Kit Chrono White (e prodotto complementare Chrono White) è dedicato al trattamento delle pelli iperpigmentate e risulta estremamente utile

nei casi di macchie senili, melasma, ipercromie da chrono e photo aging. Infine, il Kit Chrono Age (e prodotto complementare Chrono Age) è ideale per il trattamento delle pelli mature, in quanto svolge un’azione antiossidante, levigante e botox like e agisce sulla riduzione e distensione di rughe e rughette. Sifarma Tel. 02.4220151 www.sifarma.it www.dermatrophine.it


le aziende informano

da tantum rosa, l’igiene intima pensata per piccole donne

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ell’età 3-12 anni (pre-ciclo) possono essere ricorrenti, irritazioni, bruciori e arrossamenti intimi. L’origine dei piccoli fastidi intimi può scaturire dalla contaminazione da parte delle feci, da un’igiene non ottimale o da errate manovre di pulizia. Pertanto è necessario insegnare alle bambine l’importanza di un’accurata

igiene intima come abitudine da non trascurare e scegliere il detergente intimo giusto. È infatti buona norma usare un detergente con pH simile a quello vaginale: un detergente delicato che rispetti il pH intimo delle bambine (5) diverso da quello delle mamme (pH ≤ 4,5). Tantum Rosa Intimo Quotidia-

no 3-12 anni, grazie alla sua formula di ultima generazione, dona fresco sollievo e, usato tutti giorni, aiuta a prevenire arrossamenti e piccoli fastidi intimi tipici dell’età. Tantum Rosa Intimo Quotidiano 3-12 anni è formulato per ridurre il rischio di insorgenza delle reazioni allergiche e testato su target di riferimento sotto controllo dermatologico e pediatrico. La sua formulazione, inoltre, è ricca di sostanze naturali accuratamente selezionate: estratto di Calendula ad azione lenitiva, olio di Enotera, noto per la sua azione lenitiva e antipruriginosa e Lichene Islandico, conosciuto per le proprietà antibatteriche.

Tantum Rosa Intimo Quotidiano 3-12 Anni è venduto anche in pratiche salviettine monodose. Nella Linea Tantum Rosa Intimo Quotidiano sono disponibili anche Tantum Rosa Intimo Quotidiano Lenitiva, per l’igiene di tutti i giorni, e Tantum Rosa Intimo Quotidiano Difesa, ideale in quelle situazioni, quali ciclo mestruale, piscina, palestra, viaggio, gravidanza, post partum e leggera incontinenza, dove è consigliabile una maggiore protezione. Angelini Numero Verde 800 802 802 www.tantumrosaintimo quotidiano.it

frutta&fibre, la soluzione naturale per il benessere intestinale

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n Italia i disturbi legati al transito intestinale sono in continuo aumento e interessano una cospicua parte della popolazione. Sono oltre 20 milioni gli italiani che lamentano disturbi intestinali, di cui buona parte è costituita da donne di età non inferiore ai 25 anni. Ortis Laboratories, con la propria esperienza di più di 50 anni di ricerca e sperimentazione scientifica e la professionalità di esperti nel settore, offre con la linea Frutta&Fibre, una gamma

ricca e variegata di prodotti appositamente pensati per coloro che soffrono di problemi intestinali. La linea Frutta&Fibre è costituita dai seguenti prodotti. Frutta&Fibre Classico, integratore alimentare (in compresse o cubetti da masticare) al rabarbaro e

fico che agisce efficacemente e in modo delicato; il rabarbaro in particolare aiuta a facilitare il transito intestinale mentre il fico contribuisce a una buona salute intestinale. Frutta&Fibre Concentrato, integratore alimentare a base di polvere di rabarbaro standardizzata in sennosidi, tamarindo e fico che hanno un’azione fisiologica significativa sul transito intestinale. Frutta&Fibre Doppia Azione, integratore a base di senna, fico e finocchio che combina le proprietà regolarizzanti dei tre elementi. La

senna accelera il transito intestinale, il fico regolarizza il ritmo intestinale e il finocchio, grazie alle sue tradizionali proprietà rilassanti, combatte il gonfiore addominale. Completa la gamma Frutta&Fibre Delicato Sciroppo, a base di fico e tamarindo, al gusto di mela, particolarmente consigliato per il delicato organismo dei bambini, dai 3 anni. Laboratoires ORTIS Tel. 0032 80 44 00 55 (Belgio) info@ortis.com www.ortis.com

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intest flora plus, il test per diagnosticare la disbiosi

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uotidianamente conviviamo con microrganismi in grado di creare nel nostro corpo un equilibrio utile al mantenimento di un buono stato di salute. Quando questo delicato equilibrio viene a mancare si entra in uno stato definito “disbiosi”. Lo stato disbiotico ha importanti conseguenze, non solo a livello intestinale, ma

sull’intero organismo. La disbiosi può infatti interessare tutti i distretti corporei e i sintomi possono andare da problemi digestivi, stitichezza, a stanchezza, dermatiti, emicranie e molto altro. Intest Flora Plus è un test analitico studiato appositamente per eseguire due controlli incrociati specifici. Per la prima parte del

test è sufficiente un autoprelievo capillare per analizzare la possibile reazione immuno-mediata a 12 microrganismi (per esempio, Aspergillus niger, Penicillum notatum, Candida albicans, Saccharomyces cerevisiae). Nella seconda parte del test invece, attraverso un piccolo campione di urina, è possibile andare a indagare i livelli di due metaboliti, l’indacano e lo scatolo, due molecole derivanti dal metabolismo del triptofano. La presenza di tali sostanze tossiche fornisce informazioni fondamentali sull’eventuale

tipo di disbiosi in corso. Intest Flora Plus è indicato per offrire ai propri pazienti un servizio di monitoraggio sullo stato di salute della persona, spesso messo a dura prova da alterazioni dell’equilibrio della flora microbica causate da abitudini di vita poco salutari come alimentazione scorretta, stile di vita irregolare, scarsa attività fisica e stress.

vitamina C. Da oggi è disponibile anche il nuovo Probinul 5 gocce. La formulazione in gocce, molto pratica per i bambini più piccoli e per gli anziani, contiene una combinazione di tre ceppi probiotici microincapsulati, vitamina B6 e vitamina D che rafforza il sistema immunitario e favorisce l’equilibrio della flora intestinale, prevenendo e contrastando le infezioni sia in-

testinali sia delle vie respiratorie. L’integrazione di vitamina D, particolarmente necessaria durante i mesi invernali, svolge inoltre un ruolo molto importante nella prevenzione di asma, allergie e dermatiti atopiche, e contribuisce a formare e mantenere le ossa forti.

Spire Tel. 0522.767130 info@spiresrl.com www.spiresrl.com

difendersi dall’inverno con probinul 5

C

on l’avvicinarsi dell’inverno e durante i cambi di stagione diventiamo più esposti all’attacco di virus e batteri e siamo più soggetti a influenza, raffreddore e affezioni respiratorie. Anziani e bambini sono i soggetti più vulnerabili a tali malesseri di stagione ed è raccomandabile per loro affidarsi alla prevenzione per rafforzare le difese. Probinul 5 buste, integratore di fermenti lattici vivi, consente una completa stimolazione delle difese naturali, poiché contiene elevate quantità di specie batteriche salutari diverse (8 ceppi di Latto-

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bacilli e Bifidobatteri) che, grazie alla tecnologia brevettata della microincapsulazione, riescono ad arrivare vive e nelle adeguate proporzioni nell’intestino, colonizzandone tratti diversi. Ideale quindi per ridurre incidenza, severità e durata di tali malesseri di stagione, Probinul 5 intervene per rafforzare il nostro sistema immunitario che nell’uomo risiede per il 70% nell’intestino. L’azione immunostimolante viene potenziata anche dalla presenza di fibre prebiotiche, che agiscono da nutrimento per i batteri benefici “autoctoni” del colon, e della

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Cadigroup Tel. 06 50930490 info@cadigroup.it www.cadigreoup.eu




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