Professione Salute 5/2018

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nutrizione Con l’aumento dell’età media cresce anche il rischio di malnutrizione negli anziani

psicologia Allarme burnout tra i professionisti della salute, esposti a uno stress che mina tutte le relazioni

ortopedia L’osteoartrosi è una patologia che rappresenta il 60% delle affezioni croniche nell’età adulta

sport Nuove scoperte nello studio della morte cardiaca improvvisa, un evento che colpisce i giovani atleti

dicembre 2018

stili di vita Una ricerca sugli effetti dell’alcol rivela che il consumo oltre soglia accorcia la vita

Corso accreditato ECM Modulo 5 I probiotici nella prevenzione delle allergie

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editoriale Marcella Valverde

Il ruolo di counselor del farmacista Il 2018 si sta concludendo e, come da tradizione, è il momento di fare una riflessione sugli scenari futuri e le sfide da affrontare. Se all’interno di qualsiasi comunità, metropolitana o rurale, la farmacia ha storicamente rappresentato un punto di riferimento sia sotto il profilo della salute, sia sotto quello del benessere più in generale, oggi è sempre più urgente che la trasformazione in “farmacia dei servizi” abbia luogo. La loro distribuzione capillare sul territorio nazionale, infatti, è un potenziale che deve essere sfruttato perché garantirebbe un salto di qualità nell’assistenza sanitaria e, soprattutto, perché consentirebbe una migliore presa in carico dei pazienti con malattie croniche. Il paradosso, però, riguarda il fatto che viene “dimenticata” la possibilità di strutturare servizi in rete come, per esempio, l’assistenza domiciliare integrata o la medicina di gruppo. Pur con tutta la buona volontà, infatti, il progetto della farmacia dei servizi stenta a decollare. Il dato viene confermato anche da un’indagine condotta su 1275 farmacie, di cui circa un quarto distribuito in aree interne, disagiate e lontane dai centri urbani. Nel 63% delle farmacie del campione, è presente il servizio Cup pubblico con la possibilità di prenotazione di prestazioni ed esami, ma le percentuali si riducono per quanto riguarda il pagamento del ticket e la ricezione e relativa consegna dei referti. Anche se sempre più spesso le farmacie forniscono prestazioni di prima istanza come test ed esami diagnostici (78% dei casi), esami di secondo livello attraverso dispositivi strumentali (64% dei casi), sono ancora residuali i servizi di telemedicina, a eccezione della telecardiologia che, invece, è abbastanza diffusa. Pur tuttavia, se anche il servizio di assistenza e di counseling funzionassero a pieno regime, si presenterebbe comunque un altro nodo cruciale, ossia l’aggiornamento e la formazione professionale del farmacista. Infatti, il suo ruolo, nel tempo, si è evoluto: dall’essere un dispensatore e preparatore di farmaci, oggi il farmacista deve essere in grado di informare e consigliare correttamente il paziente sul complesso sistema di diagnosi e di cure da seguire, incluse omeopatia e omotossicologia. Il ruolo di counselor si inserisce nel sistema di promozione della salute e il farmacista deve poter indirizzare il paziente verso scelte consapevoli e sostenibili, compresa l’indicazione degli stili di vita più adeguati da seguire. Per favorire anche l’aderenza alle cure, altro problema cruciale per il successo del sistema delle farmacie dei servizi, il professionista deve conoscere non solo gli aspetti più specificamente correlati alle diverse patologie, ma anche comprendere se la sintomatologia che viene riferita dal paziente può essere un reale segnale di una malattia in atto. Invece, attualmente, il farmacista non riceve una preparazione adeguata per confrontarsi con i pazienti sulle cure prescritte dal medico e questa carenza può mettere a rischio anche l’aderenza alle terapie da parte del paziente. Per ottimizzare la collaborazione tra medico e farmacista, perciò, bisognerebbe pensare a corsi di aggiornamento di tipo clinico e terapeutico non solo per gli studenti di Farmacia, ma anche per chi già lavora.

Il farmacista, sempre più,

deve assumere anche il ruolo di counselor in grado di affiancare il medico nella conoscenza

delle diverse patologie.

l’appropriatezza dei consigli da fornire ai pazienti

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In tal modo può garantire

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sommario 3

Editoriale

6 Ne parliamo con il sistema salute e la valorizzazione della professione nel convegno dei farmacisti Intervista ad Andrea Mandelli di Renato Torlaschi

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Corso ECM a distanza Modulo 5 i probiotici nella prevenzione delle allergie A cura di Debora Porri

22 Nutrizione l’anziano: un soggetto fragile da monitorare di Ilaria Di Napoli Chiara E. Tomasinelli

Professione Salute Bimestrale di counseling e formazione alla prevenzione Direttore responsabile Giuseppe Roccucci Board Scientifico Hellas Cena (Direttore) Donatella Ballardini Silvia Brazzo Mario Calzavara Mariano Casali Rachele De Giuseppe Massimo Labate Luca Marin Mara Oliveri Marco Rufolo Coordinamento editoriale Rachele Villa r.villa@griffineditore.it Marcella Valverde marcella.valverde@tiscali.it Redazione Andrea Peren a.peren@griffineditore.it Lara Romanelli l.romanelli@griffineditore.it

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Salute e benessere gli effetti positivi di enzyformula nei disturbi funzionali dell’apparato digerente

di Renato Torlaschi

di Barbara Aghina

28 Psicologia e stress allarme burnout anche tra i professionisti della salute di Marcella Valverde

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Stili di vita l’alcol accorcia la vita

37 Sport morte cardiaca improvvisa: nuove scoperte e nuove speranze di Pierangelo Garzia

39 Neuroscienze inquinamento e alzheimer di Renato Torlaschi

Neuroscienze Camminare di nuovo dopo una lesione spinale di Marcella Valverde

33 Ortopedia osteoartrosi: la dimensione di un problema sempre più vasto di Carla Carnovale

Grafica Grafic House, Milano Hanno collaborato in questo numero Carla Carnovale, Maria Vittoria Conti, Daniele Giovanni Ghiglioni, Renato Torlaschi, Luca Vanni Vendite Stefania Bianchi s.bianchi@griffineditore.it Paola Cappelletti p.cappelletti@griffineditore.it Lucia Oggianu l.oggianu@griffineditore.it Ufficio Abbonamenti Maria Camillo customerservice@griffineditore.it Tel. 031.789085 - Fax 031.6853110 Stampa Alpha Print srl Via Bellini, 24 - 21052 Busto Arsizio (VA)

SIDeMaST

Società Italiana di Dermatologia medica, chirurgica, estetica e delle Malattie Sessualmente Trasmesse

40 Ambiente le città: opportunità ma anche molti rischi per la salute di Renato Torlaschi

43 Attualità

48 Le aziende informano

Editore Griffin srl unipersonale Piazza Castello 5/E - 22060 Carimate (CO) Tel. 031.789085 - Fax 031.6853110 www.griffineditore.it Professione Salute. Periodico bimestrale Anno IX - n. 5 - dicembre 2018 Registrazione del Tribunale di Como n. 4 del 14.04.2010 ISSN 2531-8748 Iscrizione Registro degli operatori di comunicazione n. 14370 del 31.07.2006 Tutti gli articoli pubblicati su Professione Salute sono redatti sotto la responsabilità degli Autori. La proprietà letteraria degli articoli appartiene a Griffin. Il contenuto del giornale non può essere riprodotto o traferito, neppure parzialmente, in alcuna forma e su qulalsiasi supporto, salvo espressa autorizzazione scritta dell’Editore. Ai sensi della legge in vigore, i dati dei lettori saranno trattati sia manualmente sia con strumenti informatici e utilizzati per l’invio di questa e altre pubblicazioni o materiale informativo e promozionale. Le modalità di trattamento saranno conformi a quanto previsto dalla legge. I dati potranno essere comunicati a soggetti con i quali Griffin intrattiene rapporti contrattuali necessari per l’invio della rivista. Il titolare del trattamento dei dati è Griffin, al quale il lettore si potrà rivolgere per chiedere l’aggiornamento, l’integrazione, la cancellazione e ogni altra operazione prevista per legge. In base alle norme sulla pubblicità l’editore non è tenuto al controllo dei messaggi ospitati negli spazi a pagamento. Gli inserzionisti rispondono in proprio per quanto contenuto nei testi.

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ne parliamo con

Il “sistema salute” e la valorizzazione della professione nel convegno dei farmacisti FarmacistaPiù, giunto alla sua quinta edizione, anche quest’anno ha posto al centro del dibattito la formazione e le competenze necessarie per reggere le prove che si dovranno affrontare nell’ambito del “sistema salute”. E che coinvolgeranno non solo la pratica professionale, ma anche un rinnovato rapporto di assistenza ai cittadini

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armacistaPiù è la casa dei farmacisti in cui si definiscono le sfide per il futuro, in particolare si delineano modelli virtuosi di integrazione tra sfera sociale e sanitaria dove poter cogliere importanti opportunità per il rilancio del ruolo professionale e di missione per la farmacia italiana». Lo afferma Luigi D’Ambrosio Lettieri, presidente del Comitato Scientifico di FarmacistaPiù, il convegno che è giunto, quest’anno, alla sua quinta edizione e che si è tenuto nei giorni 12 e 13 ottobre a Roma presso l’Auditorium Parco della Musica. Secondo D’ambrosio Lettieri, essere farmacista oggi significa poter contribuire con la propria professionalità all’innovazione del “sistema salute”: «Aggiornamento, formazione, confronto, specializzazione… sono tutti elementi che concorrono a valorizzare la professione del farmacista nel suo duplice ruolo di specialista del farmaco e counselor di benessere e salute». FarmacistaPiù, il congresso dei farmacisti italiani, ha raccolto anche quest’anno le esigenze formative e di approfondimento e ha offerto, in due giornate ricche di appuntamenti culturali di valore, elementi e strumenti per lo sviluppo di competen-

Intervista di Renato Torlaschi

Andrea Mandelli Presidente Fofi 6

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ze che sconcorrono sia alla valorizzazione della professione, sia a tracciare il futuro, appunto, del “sistema salute”. Grande soddisfazione è stata espressa anche da Federfarma, per la prima volta presente a FarmacistaPiù. Il presidente Marco Cossolo l’ha definita un’esperienza straordinaria sia in termini di contenuti che di risultati nel confronto con i decisori politici. «Il ruolo di prossimità – ha dichiarato – non è più sufficiente a garantirci l’indispensabilità. Il nostro ruolo deve diventare di assistenza ai cittadini nell’uso dei farmaci. Solo così potremo sopravvivere. Anche perché le liberalizzazioni sono l’antitesi delle garanzie e favoriscono i più forti». Abbiamo chiesto un approfondimento al “padrone di casa”, il presidente della Federazione degli ordini dei farmacisti italiani (Fofi), Andrea Mandelli. Dottor Mandelli, quali sono i temi principali di cui si è parlato a FarmacistaPiù? A giudicare dalla partecipazione ai diversi convegni, potrei concludere che sono stati tutti temi principali: dai quarant’anni del Servizio sanitario nazionale, alla standardizzazione dei servizi cognitivi in farmacia, al contributo che la nostra professione

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intervista ad Andrea mandelli

può dare alla riorganizzazione della Sanità italiana su una base differente, che veda la presa in carico del paziente sul territorio, anche e soprattutto per garantirne la sostenibilità. Tutto questo accanto, ovviamente, alle questioni più direttamente legate al futuro della rete delle farmacie che non da oggi, come abbiamo denunciato da tempo, si trova in una situazione di fragilità economica e in una fase delicata che, dopo l’approvazione della Legge sulla concorrenza, è caratterizzata dall’arrivo delle società di capitali. Quali sono oggi le principali criticità per la professione? La prima, come abbiamo più volte sottolineato, è il notevole divario tra il numero dei laureati in farmacia e la capacità di assorbirli, con posizioni lavorative adeguate, da parte non solo del Servizio sanitario nazionale, ma del “sistema salute” nel suo complesso, considerando quindi anche l’industria e la distribuzione. Negli ospedali, il blocco del turnover ha impedito lo sviluppo del ruolo del farmacista ospedaliero verso la figura del farmacista di reparto; nelle farmacie di comunità, che costituiscono da sempre il principale sbocco occupazionale, esistono le difficoltà economiche a cui accennavo: insomma, non è una situazione facile. Oltre all’aspetto economico, va anche considerato che la distribuzione diretta, la riserva all’ospedale dell’innovazione farmacologica, anche in assenza di una motivazione clinica, ha determinato un impoverimento culturale di larga parte dei professionisti. Infine potrei citare gli effetti negativi delle molte liberalizzazioni che si sono succedute finora: dalle “lenzuolate” del 2006 alla deregolamentazione degli orari e altro ancora. Tutti provvedimenti – sottolineo – che hanno danneggiato non solo i professionisti, ma anche il servizio reso ai cittadini.

Dopo il superamento della crisi economica iniziata nel 2008, i Paesi europei sono entrati in una fase di crescita debole e si parla, anche in Italia, di ridurre le spese per i servizi sanitari. Che limiti pone questo contesto al rilancio e alla ridefinizione delle farmacie e quali prospettive ci sono per il sistema farmaceutico? La crescita debole non è certamente una condizione favorevole, tuttavia non è pensabile procedere oltre sulla strada dei tagli lineari: ormai la spesa sanitaria italiana è tra le più basse d’Europa e, al contempo, anche la seconda più efficiente, vale a dire che spendiamo meno e otteniamo di più, come constatato dall’ultimo rapporto di Bloomberg. Questo significa che occorre recuperare i margini erosi dagli sprechi, ma occorre anche investire. Non si considera quasi mai che il peggiore spreco è non investire su prestazioni e servizi che possono, a loro volta, determinare una minore spesa: infatti, in questo modo si potrebbero prevenire aggravamenti ed eventi acuti che richiederebbero ulteriori interventi, accessi al pronto soccorso e ricoveri ospedalieri. In tal senso, le prestazioni professionali e i servizi cognitivi che rientrano nel modello della farmacia dei dicembre 2018

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ne parliamo con

[ «La rete di farmacie dei servizi può contribuire in modo decisivo al miglioramento dell’intero processo di cura attraverso il supporto all’aderenza terapeutica, le campagne di educazione sanitaria, o fornendo ai cittadini risposte a problemi che non richiedono l’intervento del pronto soccorso»

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intervista ad Andrea mandelli

servizi hanno le carte in regola: gli interventi a supporto dell’aderenza terapeutica, per esempio, hanno dimostrato negli studi controllati, come il nostro Re I-MUR, di poter determinare un ritorno economico fino a quattro volte l’investimento iniziale. Sono certo che dopo la sperimentazione triennale del nuovo modello di farmacia, per il quale si è ottenuto un finanziamento di 36 milioni, sarà chiaro che rafforzare la rete delle farmacie di comunità non costituisce una spesa, ma un vero e proprio investimento. In che modo il rilancio della farmacia può essere lo snodo per una trasformazione del Servizio sanitario nazionale? Oggi è necessaria una profonda revisione del Servizio sanitario nazionale che, come ormai sosteniamo tutti da tempo, dovrà essere basata sullo sviluppo dell’assistenza sul territorio per meglio affrontare la cronicità, che è la vera epidemia del secolo, e garantire la sostenibilità del sistema. Come in parte ho spiegato prima, la rete delle farmacie dei servizi può contribuire in modo decisivo al miglioramento del processo di cura attraverso il supporto all’aderenza terapeutica, ma, in prospettiva, non c’è soltanto questo. La capillarità della rete delle farmacie di comunità è fondamentale per attuare campagne di educazione sanitaria e prevenzione, o, ancora, per rispondere ai problemi dei cittadini che non richiedono l’acceso al pronto soccorso o alla guardia medica. In Inghilterra è stato sperimentato con successo un programma, chiamato Community Pharmacy Referral Service, nel quale i pazienti che avevano chiamato il numero unico del servizio sanitario lamentando disturbi di minore entità, anziché essere indirizzati al pronto soccorso, alla guardia medica o al medico di medicina generale, sono stati invitati a recarsi nella più vicina

delle 338 farmacie arruolate nella sperimentazione. In due terzi dei seimila casi affrontati nelle farmacie, il farmacista ha potuto risolvere la situazione, evitando un ricorso improprio alle altre strutture. Non è un contributo trascurabile e questo è solo un esempio. Come e con quali figure devono essere potenziate le sinergie interprofessionali dei farmacisti con altri operatori sanitari e sociali? Il primo passo è poter finalmente creare quel flusso costante di informazioni tra il farmacista, il medico di famiglia, l’infermiere di comunità e i servizi territoriali, come l’Adi (Assistenza domiciliare integrata), laddove esiste. Mi riferisco, quindi, al Fascicolo sanitario elettronico e al Dossier farmaceutico aggiornato dal farmacista. I rapporti tra professionisti sono sempre esistiti: occorre rendere sistematica questa pratica e costruire un percorso di cure in cui i diversi attori, senza invasioni di campo, possano operare per il bene del paziente. Anche nel corso di FarmacistaPiù abbiamo riscontrato che esiste la possibilità di procedere in questa direzione. Per la prima volta Federfarma ha partecipato al Congresso: è il segno di una nuova sinergia? Abbiamo avviato il progetto di FarmacistaPiù, cinque anni fa, con lo scopo di creare la “casa di tutti i farmacisti”, in cui tutte le componenti della professione, tutte le associazioni scientifiche e sindacali dei farmacisti avessero la possibilità di incontrarsi, esprimersi e confrontarsi anche con la politica, le istituzioni sanitarie, l’industria. La partecipazione ufficiale di Federfarma, quest’anno, è segno che il cerchio si chiude e i tempi sono maturi per far compiere al nostro Congresso nazionale un ulteriore passo avanti.

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cosmetologia senza frontiere Una guida pratica e immediata che offre una panoramica sui cosmetici e cosmeceutici, riclassificati in base alle piĂš importanti terapie in uso, che permette al medico estetico, dermatologo e chirurgo plastico di fornire un protocollo mirato per ciascun paziente.

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Corso ECM 2018 Modalità di Formazione a Distanza (FAD) riservato agli abbonati paganti

Allergie e intolleranze alimentari Responsabile scientifico Prof.ssa Hellas Cena Medico Chirurgo, Specialista in Scienza dell’Alimentazione, Università degli Studi di Pavia

Descrizione del corso Negli ultimi decenni si è assistito a un incremento della prevalenza di malattie allergiche, in contrasto con la riduzione delle malattie infettive. Professione Salute, in collaborazione con il Laboratorio di Dietetica e Nutrizione Clinica dell’Università degli Studi di Pavia, tratta il tema “Allergie e intolleranze alimentari” proponendo aggiornamenti scientifici e indicazioni pratiche in merito a un fenomeno di grande attualità.

Struttura n MODULO 1. Intolleranza al lattosio: dalla definizione clinica all’intervento nutrizionale (Mara Oliveri, Valentina Leccioli) L’intolleranza al lattosio è una condizione causata dal deficit dell’enzima lattasi. Nei soggetti deficitari è essenziale un’alimentazione priva di lattosio per evitare la sintomatologia derivante dall’incompleta digestione. n

MODULO 2. Linee guida per la gestione della sensibilità al nichel (Marco Guarene, Francesca Sottotetti)

Il nichel rappresenta una delle cause della dermatite da contatto ed essendo presente in molti alimenti, nonché in diversi utensili da cucina, una modalità di esposizione è quella alimentare. Evidenze scientifiche dimostrano il beneficio derivato da un intervento dietoterapico, pianificando un adeguato livello di assunzione. n

MODULO 3. Celiachia e gluten sensitivity: diagnosi e gestione (Carmen Facchinetti)

La varietà dei disturbi legati all’ingestione di glutine è molto ampia e complessa: la gluten sensitivity è una condizione in cui l’ingestione di glutine provoca una sintomatologia sovrapponibile a quella relativa alla celiachia, differenziandosi da essa in quanto non vengono riscontrate alterazioni anatomiche intestinali e risposta autoimmune da parte dell’organismo. n

MODULO 4. Diagnosi di allergie alimentari: quali novità? (Daniele Giovanni Ghiglioni)

Ogni manifestazione indesiderata e imprevista conseguente all’assunzione di un alimento si traduce in quadri clinici estremamente diversi: l’iter diagnostico deve seguire percorsi scientificamente validati e definiti, riducendo al minimo il rischio per il paziente. n

MODULO 5. I probiotici nella prevenzione delle allergie (Debora Porri)

Negli ultimi anni sempre più studi hanno associato l’alterazione, meglio definita come “disbiosi”, del microbiota intestinale con la sensibilizzazione alle patologie allergiche, ipotizzando l’uso dei probiotici come azione preventiva ed efficace.

Obiettivi Il presente corso si prefigge di raggiungere i seguenti obiettivi: n alimentare in modo continuo le conoscenze delle figure professionali che lavorano in ambito sanitario; i contenuti forniti potranno essere trasferiti alla pratica clinica, con ripercussioni in termini di miglioramento della gestione clinica di singoli pazienti e di gruppi; n contribuire al mantenimento e rafforzamento del network comunicativo con le varie figure professionali in un percorso verso l’implementazione e lo sviluppo delle loro competenze individuali in ambito preventivo e terapeutico, che potrà avere importanti ripercussioni a cascata sulla popolazione affetta da allergie e intolleranze alimentari.

Modalità di somministrazione del corso e accreditamento ECM In ogni numero di Professione Salute a partire dal n. 1/2018 e per tutto il 2018 (gennaio-dicembre) sarà pubblicato un modulo composto da un articolo e da un questionario di valutazione. Tutti i moduli pubblicati sulla Rivista saranno disponibili online su sito www.fadmedica.it, dove sarà possibile, modulo per modulo, rispondere ai questionari di valutazione. L’erogazione dei crediti ECM avverrà al superamento di tutti i questionari. Tutti gli iscritti al corso riceveranno le informazioni necessarie per l’accesso online e la compilazione dei questionari.

Per informazioni: tel. 031.789085 e-mail: customerservice@griffineditore.it

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CORSO ecm A DISTANZA / MODULO 5

I probiotici nella prevenzione delle allergie A cura di Debora Porri Biologa specializzanda in Scienze dell’Alimentazione Laboratorio di Dietetica e Nutrizione Clinica Dipartimento di Sanità Pubblica, Medicina Sperimentale e Forense Università degli Studi di Pavia

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n’attivazione della risposta immunitaria ad antigeni ambientali determina la produzione di anticorpi IgE specifici per gli antigeni in questione, scatenando una cascata di eventi intra e intercellulari che portano all’attivazione di mastociti e basofili e a una serie di manifestazioni cliniche cutanee ed extracutanee; l’attivazione di queste cellule determina un rapido rilascio di mediatori chimici in12

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fiammatori che causano collettivamente gli eventi di seguito elencati: > aumento della permeabilità vascolare; > vasodilatazione; > broncocostrizione; > contrazione della muscolatura liscia viscerale. Tutti questi effetti identificano il fenomeno dell’ipersensibilità immediata (o ipersensibilità di tipo I) e in ambito clinico tali reazioni

sono comunemente definite come “reazioni allergiche” o più comunemente “allergie”. Nel corso degli ultimi decenni si è assistito a un preoccupante incremento della prevalenza di malattie allergiche come asma, rinite allergica, dermatite atopica e allergie alimentari, soprattutto nei Paesi industrializzati, in contrasto con la netta riduzione delle malattie infettive, grazie al miglioramento delle misure di sanità pubblica, dei programmi di vaccinazione e della produzione e utilizzo degli antibiotici. Una parziale spiegazione per questo (apparentemente) paradossale fenomeno è stata data con la formulazione della cosiddetta “ipotesi igienica” (Hygiene Hypothesis) formulata da Strachan all’inizio degli anni ‘90 (1): tale teoria ha tratto le proprie origini dall’osservazione del fatto che alcune condizioni sociali “svantaggiate” (come la sovrappopolazione, condizioni di scarsa igiene, un elevato numero di occupanti la stessa abitazione e la presenza di animali domestici) sembravano invece conferire una sorta di protezione nei confronti delle malattie allergiche; il cambiamento radicale nell’esposizione ai microrganismi ambientali ha sicuramente un impatto anche sullo

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allergie e intolleranze alimentari

sviluppo e sul funzionamento del sistema immunitario, e potrebbe essere responsabile – almeno in parte – dell’aumento delle malattie allergiche soprattutto nei Paesi dove le condizioni di vita sono nettamente migliorate e di conseguenza l’esposizione si è notevolmente ridotta; si evidenzierebbe dunque una perdita di biodiversità su larga scala, dove la limitata esposizione a patogeni batterici e virali si potrebbe tradurre in uno sbilanciamento nello sviluppo del sistema immunitario, bloccando il fenomeno della tolleranza e favorendo l’insorgenza di patologie di tipo autoimmune. Numerosi sono i fattori genetici predisponenti per lo sviluppo di fenomeni di tipo allergico, ma non bastano a spiegare i cambiamenti epidemiologici a cui stiamo assistendo ultimamente: questo non può quindi che suggerire il ruolo cruciale di quei fattori ascrivibili unicamente all’ambiente. A tale proposito, negli ultimi anni sempre più studi hanno associato l’alterazione, meglio definita come “disbiosi”, del microbiota intestinale con la sensibilizzazione alle patologie allergiche così ampiamente diffuse (2,3,4,5).

Il microbiota intestinale Per microbiota si intende il vastissimo insieme di microrganismi simbiontici che colonizza diverse superfici dell’organismo e in particolare il microbiota intestinale comprende l’insieme di cellule procariote situato nel tratto digerente. Ogni superficie corporea esposta è soggetta alla colonizzazione batterica, che ritroviamo sulla pelle, nelle vie respiratorie e nelle vie urogenitali; il tratto gastrointestinale è l’area maggiormente colonizzata, vantando circa il 70% delle specie facenti parte dell’intero microbiota umano: all’interno dello stomaco la concentrazione batterica è piuttosto bassa poiché l’ambiente acido inibisce la crescita di gran parte dei microrganismi, agendo come prima barriera difensiva verso la contaminazione esterna, mentre la concentrazione è più alta a livello enterico, specialmente nell’intestino crasso; il 90% delle categorie filogenetiche presenti nell’intestino è rappresentato dai due phylum dominanti, Bacteroidetes e Firmucutes, ma le specie che popolano l’organismo umano sono vastissime. Tale enorme biomassa riveste un ruolo

Tabella 1 fattori che influenzano la colonizzazione della flora batterica intestinale Prenatali

Perinatali

Postnatali

Status nutrizionale materno

Status nutrizionale materno

Dieta

Colonizzazione intrauterina

Tipologia di parto

Timing alimentazione complementare

Età gestazionale al momento del parto

Supplementazione con pre/probiotici

Esposizione ad antibiotici

Esposizione ad antibiotici

Esposizione ad antibiotici Fattori genetici predisponenti Supplementazione con pre/probiotici

Fonte: Li M, Wang M, Donovan SM. Early development of the gut microbiome and immune-mediated childhood disorders. Semin Reprod Med. 2014 Jan;32(1):74-86.

fondamentale nella salute dell’intero organismo, tanto da meritarsi la definizione di vero e proprio “organo”, con funzioni e caratteristiche ben precise, tra cui si annoverano principalmente le seguenti. > La produzione di enzimi che favoriscono i processi digestivi e la produzione di acidi grassi a catena corta (SCFA, short chain fatty acids) ovvero l’acido acetico, l’acido propionico e l’acido butirrico; questa caratteristica da un lato permette il recupero di energia e di substrati assorbibili per l’ospite, mentre dall’altro assicura rifornimento di energia e di prodotti nutritivi per la crescita e la proliferazione delle specie batteriche stesse. Inoltre gli acidi grassi a corta catena sono in grado promuovere il trofismo intestinale stimolando la proliferazione e la differenziazione delle cellule epiteliali. > La sintesi di vitamine (in particolare vitamine del gruppo B e vitamina K) e di cofattori enzimatici, contribuendo all’assorbimento di importanti micronutrienti quali calcio, magnesio e ferro. > Il potenziamento della funzione protettiva della barriera intestinale attraverso la produzione di sostanze ad azione antimicrobica. > La regolazione della funzionalità intestinale. > La modulazione del sistema immunitario; il microbiota nel tratto intestinale regola la risposta immune sistemica e locale non solo influenzando lo sviluppo e la reattività del tessuto linfoide associato intestinale (GALT), ma risultando coinvolto in una varietà di fenomeni di natura immunologica. Microbiota e allergie La colonizzazione della flora batterica intestinale si verifica principalmente nel corso della prima infanzia e sono diverse le variabili prenatali, perinatali e postnatali che ne influenzano notevolmente lo sviluppo (tab. 1).

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La colonizzazione dell’intestino umano avviene già in epoca fetale, come dimostrato dalla rilevazione di batteri o di DNA batterico a livello placentare, amniotico e cordonale, che sarebbero verosimilmente in grado di svolgere un’attività di tipo modulatorio relativa all’immunità innata nell’intestino fetale. Il momento in cui il neonato viene alla luce rappresenta un evento estremamente importante anche per quanto riguarda la costituzione del microbiota intestinale: nel parto eutocico, infatti, il passaggio attraverso il canale vaginale espone il nascituro a contatto con le popolazioni microbiche che vi risiedono, diversamente da quanto avviene con un taglio cesareo: tale differenza si ripercuote poi nelle caratteristiche della flora batterica intestinale, come ampiamente evidenziato in letteratura. Il microbiota intestinale del neonato è fortemente correlato alla suscettibilità, alle infezioni e alla sensibilizzazione ad antigeni ambientali, specialmente nei primi anni di vita quando, in seguito all’esposizione a una serie di fattori di origine diversa, subisce le prime significative modifiche e alterazioni. A partire dal secondo anno di vita, la flora microbica intestinale inizia a stabilizzarsi ed è sempre più paragonabile a quella di un giovane adulto, rispecchiando però le alterazioni subite in epoca pre e postnatale. Nel 2005 è stato condotto il noto studio PERSIFAL, il quale ha confermato che la riduzione o la mancanza di stimoli microbici durante la prima infanzia determina uno scompenso nella risposta immunitaria basata sull’equilibrio delle popolazioni linfocitarie Th1/Th2, promuovendo lo sviluppo di manifestazioni allergiche IgE mediate, come asma e dermatite atopica (7). L’associazione sempre più chiara tra l’alterazione della flora microbica intestinale, che si può tradurre in un ridotto assortimento di specie presenti nel tratto gastrointestinale o un disequilibrio tra i principali phylum, e 14

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i fenomeni di tipo allergico, è ampiamente rappresentata nel panorama della letteratura scientifica recente: Kalliomäki et al. (8), analizzando il microbiota di 76 bambini all’età di 3 settimane e 3 mesi, hanno osservato che la carica totale di bifidobatteri è inferiore nei soggetti che successivamente sviluppano manifestazioni allergiche, mentre la quantità di clostridi è maggiore. In uno studio prospettico del 2010, che ha confrontato campioni fecali dei bambini in seguito alla diagnosi di allergia alle proteine del latte vaccino (APLV), è stata riscontrata una quota maggiore di batteri anaerobi totali rispetto alla percentuale presente nei bambini sani (9). Azad et al. (10) hanno evidenziato, analizzando campioni fecali a 3 e a 12 mesi di una popolazione comprensiva di 166 bambini di cui 12 all’età di un anno avevano sviluppato un’allergia alimentare, che una ridotta varietà di specie costituenti la flora batterica intestinale e un elevato rapporto di Enterobacteriaceae/Bacteroidaceae nella prima infanzia sono due elementi

associati a una successiva sensibilizzazione agli alimenti: all’età di 3 mesi infatti, il microbiota intestinale dei bambini che all’età di un anno avevano sviluppato un’allergia alimentare, era già significativamente differente rispetto ai coetanei che al raggiungimento dell’anno di vita non avevano sviluppato nessun fenomeno di tipo allergico; tali risultati non possono che suggerire come eventuali differenze nella precoce colonizzazione intestinale possano contribuire in larga misura allo sviluppo di malattie atopiche, tra cui anche allergie alimentari (10), sebbene gran parte dei lavori presenti in letteratura siano rivolti ad altri fenomeni allergici, quali eczema, dermatite atopica e rinite allergica. Il secondo lavoro relativo al Canadian Healthy Infant Longitudinal Development Study (CHILD), come il precedente, ha mostrato invece, nei bambini classificati all’età di 1 anno come ‘’ad alto rischio per l’asma’’, una riduzione di 4 generi (Lachnospira, Veillonella, Faecalibacterium, Rothia) di batteri nei campioni fecali raccolti all’età di

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3 mesi (11); una ridotta diversità di specie batteriche presenti nel microbiota intestinale nel corso delle prime epoche postnatali è risultata spesso essere associata a manifestazioni allergiche in età scolare, in particolare l’asma (12), sottolineando nuovamente l’importanza dell’assortimento e della varietà delle specie batteriche presenti nel tratto gastrointestinale, che non solo si esplica nelle differenze riscontrate in soggetti sani e soggetti allergici a confronto, ma che talvolta può addirittura suggerire una sorta di predisposizione e precedere successivi fenomeni di atopia. Diversi studi epidemiologici hanno identificato i molteplici fenomeni che modificano considerevolmente la flora microbica intestinale e che quindi, alla luce delle evidenze riportate, possiamo identificare ora come fattori di rischio associati alla sensibilizzazione allergica o come eventi protettivi nei confronti di tali manifestazioni. Tra i principali fattori associati a un successivo sviluppo di patologie allergiche si annoverano principalmente: > la non esposizione materna agli animali domestici nel corso della gravidanza; > il consumo materno di antimicrobici nel

corso della gestazione; > il parto cesareo; > l’alimentazione del neonato con latte formulato (13,14,15). Tra i fattori nutrizionali postnatali che sembrano invece influenzare positivamente il rischio di sviluppare malattie di natura allergica, sempre modificando considerevolmente la flora intestinale, si evidenziano due elementi in particolare: l’assunzione di latte materno e la dieta della nutrice nel corso dell’allattamento (in particolare un’alimentazione ad alto contenuto di folati, vitamina D e PUFA n-3) (16); oltre ai molteplici benefici dell’assunzione di latte materno, ritroviamo dunque anche una sorta di protezione nei confronti di successivi fenomeni allergici: nel latte umano sono infatti contenuti prevalentemente Staphylococcus, Streptococcus, Bifidobacterium, and Lactobacillus, ceppi batterici estremamente importanti per lo sviluppo e le funzioni del microbiota intestinale (17). Le crescenti evidenze che sottolineano questo fondamentale ruolo del microbiota intestinale (18) hanno quindi permesso di ipotizzare un collegamento tra quest’ultimo e lo sviluppo di patologie allergiche: sulla base di

osservazioni di questa natura e considerando inoltre la complessità e la multifattorialità della patogenesi dei fenomeni allergici, che offrono quindi un’ampia serie di potenziali strategie e interventi preventivi, è stato recentemente proposto l’impiego di microrganismi probiotici per il trattamento e la prevenzione delle principali manifestazioni atopiche. Probiotici e prebiotici Il termine probiotico (dal greco pro-bios, per la vita), un termine coniato per la prima volta negli anni ‘60, specifica quei batteri che la definizione ufficiale di Fao (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura) e Oms (Organizzazione mondiale della sanità) specifica come “organismi vivi e vitali che, se somministrati in quantità adeguata, apportano un beneficio alla salute dell’ospite” (19). Per il loro potenziale benefico nella costruzione di una dieta complessivamente adeguata, gli alimenti tradizionalmente fonte di probiotici (yogurt e latti fermentati in primis) sono oggi giustamente da annoverare tra quelli “protettivi”, insieme a pesce, frutta e verdura. Attenzione però, il probiotico non va confuso con il prebiotico, ovvero una sostanza organica non digeribile dall’organismo umano in grado di arrecare effetti favorevoli alla salute, grazie alla capacità di stimolare selettivamente la crescita di uno o più microrganismi benefici; tra i probiotici ritroviamo per esempio i FOS, frutto-oligosaccaridi a catena corta e i GOS, galatto-oligosaccaridi a catena corta, l’inulina e il lattitolo. Già un secolo fa, il premio Nobel russo Elias Metchnikoff, osservando la longevità delle popolazioni balcaniche che sono soliti consumare grandi quantità di yogurt e latti fermentati, ipotizzava un effetto benefico protettivo da parte della flora microbica intestinale. Nell’ultimo decennio i progressi nel campo della biologia molecolare hanno dicembre 2018

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permesso una migliore caratterizzazione delle specie batteriche e della loro funzione. In Italia l’impiego di probiotici nel settore degli integratori alimentari risale a circa 30 anni fa, ma non tutti i microrganismi possono avvalersi di tale preziosa dicitura. Per essere definiti “probiotici” devono infatti rispondere ad alcuni requisiti ben precisi: in generale i probiotici devono essere assolutamente sicuri per l’utilizzo nell’uomo, con nessun rischio anche per i soggetti immunodepressi. Devono avere origine umana e non devono essere microrganismi invasivi, cancerogeni o patogeni ed è necessaria inoltre una precisa identificazione per quanto riguarda il ceppo e le caratteristiche tassonomiche. Devono aderire fermamente alla mucosa enterica, colonizzarla e restare vivi e vitali a livello intestinale in quantità tale da giustificarne gli eventuali effetti benefici, devono essere quindi resistenti all’ambiente acido/neutro e alle azioni proteolitiche degli enzimi del tratto gastrointestinale. Dal punto di vista funzionale devono essere in grado di conferire benefici fisiologici comprovati, attraverso la capacità, per esempio, di aderire all’epitelio intestinale potenziandone la funzione di barriera, oppure grazie all’effetto inibitorio sui batteri patogeni (con produzione di acidi organici, perossido d’idrogeno, batteriocine e via dicendo). I probiotici hanno inoltre un’importante funzione stimolatoria e modulatoria nei confronti del sistema immunitario, non solo a livello del GALT (GutAssociated Lymphoid Tissue), quindi locale, ma addirittura a livello sistemico e generale. Alcuni probiotici possono down-regolare la produzione di citochine pro-infiammatorie e promuovere diverse funzioni della barriera intestinale, aumentando una risposta antinfiammatoria favorevole alla salute generale dell’ospite. Uno tra i più interessanti meccanismi con cui i microrganismi probiotici possono influenzare positivamente la salute dell’ospite è appunto l’interazione con il microbiota intestinale. 16

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Attualmente, in rapporto all’enorme varietà di microrganismi esistenti, le specie batteriche con caratteristiche probiotiche riconosciute sono relativamente poche; l’evoluzione delle nuove tecnologie che consentono la tipizzazione e la manipolazione genetica delle specie microbiche potrebbero però consentire di ampliarne notevolmente la disponibilità. Sul mercato nazionale e internazionale spopola comunque un’ampia gamma di prodotti, integratori e supplementi nutrizionali che spesso possono rendere difficile la scelta del probiotico più adatto all’esigenze del paziente. Nella tabella 2, proposta in un recente lavoro frutto di autori italiani pubblicato sulla rivista Digestive and Liver Disease, vengono elencate le 10 regole d’oro da tenere bene a mente quando si pensa di utilizzare un prodotto probiotico.

Tabella 2 10 raccomandazioni per un uso corretto dei probiotici 1. Knowing the correct definition of probiotics 2. Microbial lysates, non-living bacteria and non-colonizing spores cannot be considered probiotics 3. Getting an exhaustive probiotic identikit 4. Monostrain or multistrains products: making the correct choice 5. Avoid antibiotic resistance genes in probiotic strains and products 6. Choose probiotic strains resistant to gastrointestinal environment 7. Probiotic strains must be able to colonize the gut 8. Preferring probiotics that are able to positively interact with gut microbiota 9. Be sure about the safety of probiotic strains and evaluate the subject health status before probiotic administration 10. Preferring probiotics with a demonstrated clinical efficacy Fonte: Toscano M et al. A consumer’s guide for probiotics: 10 golden rules for a correct use. Dig Liver Dis. 2017 Nov;49(11):1177-1184.

Probiotici e allergie Nel 2007 è stato pubblicato il primo studio che ipotizza il ruolo preventivo di un probiotico sulla ricorrenza dei sintomi respiratori allergici nei bambini, un lavoro multicentrico randomizzato e in doppio cieco che prese in esame 187 soggetti di età compresa tra 2 e 5 anni, proponendosi di valutare se il consumo giornaliero a lungo termine di un latte fermentato contenente il probiotico Lactobacillus casei DN-114001 potesse modificare o meno il profilo immunologico dei bambini in età prescolare con sintomatologia allergica a inalanti (21). Gli autori ottennero risultati positivi in quanto fu possibile evidenziare come la supplementazione con il probiotico ridusse del 33% la ricorrenza di episodi di rinite/anno, migliorando considerevolmente la sintomatologia associata e, contestualmente, la qualità della vita dei piccoli pazienti. Una recente meta-analisi che ha preso in esame 17 trial conclude che un intervento basato sulla precoce somministrazione di probiotici sia nel corso della gravidanza che nelle prime epoche postnatali – ma non singolarmente – si associa a una netta riduzione del rischio di sviluppare atopia, specialmente nei soggetti con familiarità; nel presente lavoro si evidenziano però alcuni aspetti da non sottovalutare, ovvero la necessità di chiarire il timing corretto e la durata della somministrazione, nonché su quale ceppo probiotico orientare la scelta, preferendo il – oppure “i” – microrganismo(i) in grado di fornire i maggiori benefici in un determinato contesto patologico (22). Il target del probiotico risulta infatti determinante per l’effetto immuno-modulatorio che può essere locale o può riflettersi sui meccanismi sistemici di attivazione della risposta immunitaria; l’azione dipende dall’interazione tra le attività metaboliche

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o funzionali del probiotico e quelle dell’ospite ed è quindi certamente ceppo-specifica. Tra l’enorme assortimento di ceppi batterici potenzialmente efficaci, il Lactobacillus Rhamnosus GG (LGG) è il probiotico maggiormente studiato negli ultimi tempi: questo ceppo già noto per la sua efficacia nel ridurre la durata e la sintomatologia delle gastroenteriti pediatriche acute da Rotavirus, le infezioni alle mucose e diversi disturbi che si accompagnano allo scarso equilibrio della microflora batterica (come sintomi legati alla sindrome del colon irritabile, astenia e diarrea da terapie antitumorali, infezioni urogenitali, infezioni ospedaliere, trattamento ricostituente pre- e post-intervento chirurgico) ha dimostrato avere effetti anche nel contesto delle allergie: in particolare, evidenze preliminari suggeriscono l’accelerazione dell’acquisizione della tolleranza orale nei neonati affetti da allergia alle proteine del latte vaccino (APLV), in seguito all’assunzione di un idrolisato estensivo di caseina con l’aggiunta del Lactobacillus Rhamnosus (23,24). Siamo quindi di fronte a un intervento dietroterapico, in questo caso la supplemen-

tazione con Lactobacillus GG, che ha permesso di ottenere un beneficio attraverso una modificazione del microbiota intestinale. Per verificare questa ipotesi gli autori hanno effettuato in prima battuta l’analisi dei campioni fecali dei bambini con allergia alle proteine del latte confrontandoli con quelli ottenuti dai bambini sani e sono emerse, come era ragionevole aspettarsi, differenze statisticamente significative in termini di composizione microbica intestinale; le analisi degli autori hanno inoltre identificato l’allergia alle proteine del latte come la variabile che ha influito in misura maggiore sulle differenze riscontrate in seguito a tale confronto. I soggetti allergici sono stati suddivisi in due gruppi, e solo una parte dei bambini aveva ricevuto la supplementazione con Lactobacillus GG in aggiunta all’assunzione di un idrolisato estensivo di caseina. Dopo 6 mesi di trattamento è stata effettuata un’altra raccolta di campioni fecali che ha permesso di evidenziare una maggiore concentrazione di butirrato, e contestualmente di colonie producenti butirrato, nei bambini supplementati con Lactobacillus GG. Al raggiungimento dell’anno di vita, 5 bambini avevano rag-

giunto la tolleranza orale, ed è interessante notare il fatto che tali soggetti facevano tutti parte del gruppo che aveva ricevuto la supplementazione; confrontando il microbiota intestinale dei suddetti bambini con i rimanenti, ancora sensibili alle proteine del latte, si evidenziarono anche in questo caso maggiori concentrazioni fecali di butirrato e colonie producenti questo acido grasso. L’ipotesi che ne deriva suppone che la tolleranza possa essere associata con l’acquisizione di ceppi specifici, ma sono ancora molti gli interrogativi in merito, in particolare per quanto riguarda il meccanismo d’azione del probiotico e le modalità attraverso le quali avviene una rilevante modulazione del sistema immunitario. Un’ulteriore ipotesi riguarda invece la possibilità dell’utilizzo dei probiotici non solo a scopo preventivo, ma come un vero e proprio intervento terapeutico in grado di ridurre in maniera considerevole la sintomatologia associata alle manifestazioni allergiche. L’efficacia di una supplementazione con micorganismi probiotici è stata valutata in diversi studi clinici randomizzati e controllati per diverse patologie, sia in ambito pediatrico che nell’adulto; nelle più recenti linee guida della World Allergy Organization (Wao) viene infatti raccomandata, alla luce delle evidenze presenti in letteratura, l’assunzione di probiotici in qualità di immuno-modulatori, come terapia preventiva per le allergie; tali raccomandazioni suggeriscono di considerare l’uso di terapeutico/preventivo dei probiotici in tre precise categorie di soggetti: > nelle donne in gravidanza con fattori di rischio allergico; > nelle donne che allattano bambini ad alto rischio di sviluppare allergie; > nei bambini ad alto rischio di sviluppare fenomeni allergici (25,26). Queste raccomandazioni sono valide per

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tutte le manifestazioni atopiche, anche se sono state formulate soprattutto sulla base dell’efficacia dei probiotici nella prevenzione e nel trattamento dell’eczema, manifestazione cutanea recidivante che insorge nei soggetti atopici. Dal punto di vista economico è bene sottolineare come i potenziali benefici derivanti dall’utilizzo di probiotici e la conseguente possibilità di prevenire o ridurre le allergie in età infantile, si rifletterebbero inoltre sulla sostenibilità del sistema sanitario, abbattendo i costi legati per esempio al trattamento, che spesso può protrarsi anche per diversi anni. Concludendo, i probiotici rappresentano un approccio terapeutico-nutrizionale economico, sicuro, privo di effetti collaterali negativi a lungo termine e di sperimentata efficacia per il trattamento di diverse situazioni patologiche, dalle malattie immunologiche a quelle intestinali e respiratorie.Tuttavia gli effetti benefici conseguenti a questo particolare trattamento dipendono da numerosissimi fattori indipendenti tra loro, tra cui il ceppo batterico, la durata e il timing della somministrazione, il tipo di prodotto, l’età e la dieta del paziente, nonché le caratteristiche della patologia in esame: manifestazioni allergiche differenti sono imputabili a diversi meccanismi d’azione che possono essere più o meno influenzati dagli effetti del microrganismo impiegato. Risulta dunque chiara ed evidente la necessità di nuovi studi clinici volti a chiarire al meglio i diversi aspetti ancora controversi in merito all’utilizzo preventivo e/o terapeutico dei probiotici: una più approfondita definizione dei meccanismi modulatori alla base della loro efficacia nei confronti del sistema immunitario potrebbe condurci in tempi brevi a nuove immunoterapie per i bambini affetti da allergie alimentari, al fine di ridurre e/o contrastare efficacemente la gravità della malattia e tutto ciò che ne consegue. 18

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Bibliografia 1. Strachan DP. Hay fever, hygiene, and household size. BMJ. 1989 Nov 18;299(6710):1259-60. 2. Munyaka PM, Khafipour E, Ghia JE. External influence of early childhood establishment of gut microbiota and subsequent health implications. Front Pediatr. 2014 Oct 9;2:109. 3. Penders J, Gerhold K, Stobberingh EE et al. Establishment of the intestinal microbiota and its role for atopic dermatitis in early childhood. J Allergy Clin Immunol. 2013 Sep;132(3):601-607.e8. 4. West CE, Rydén P et al. Gut microbiome and innate immune response patterns in IgE-associated eczema. Clin Exp Allergy. 2015 Sep;45(9):1419-29. 5. Simonyte Sjödin K, Vidman L, Rydén P, West CE. Emerging evidence of the role of gut microbiota in the development of allergic diseases. Curr Opin Allergy Clin Immunol. 2016 Aug;16(4):390-5. 6. Li M, Wang M, Donovan SM. Early development of the gut microbiome and immune-mediated childhood disorders. Semin Reprod Med. 2014 Jan;32(1):74-86. 7. Schram-Bijkerk D, Doekes G et al; PARSIFAL Study Group. Bacterial and fungal agents in house dust and wheeze in children: the PARSIFAL study. Clin Exp Allergy. 2005 Oct;35(10):1272-8. 8. Kalliomäki M, Kirjavainen P et al. Distinct patterns of neonatal gut microflora in infants in whom atopy was and was not developing. J Allergy Clin Immunol. 2001 Jan;107(1):129-34. 9. Thompson-Chagoyan OC, Vieites JM, Maldonado J, Edwards C, Gil A. Changes in faecal microbiota of infants with cow’s milk protein allergy a Spanish prospective case-control 6-month followup study. Pediatr Allergy Immunol. 2010 Mar;21(2 Pt 2):e394-400. 10. Azad MB, Konya T et al; CHILD Study Investigators. Infant gut microbiota and food sensitization: associations in the first year of life. Clin Exp Allergy. 2015 Mar;45(3):632-43. 11. Arrieta MC, Stiemsma LT; CHILD Study Investigators et al. Early infancy microbial and metabolic alterations affect risk of childhood asthma. Sci Transl Med. 2015 Sep 30;7(307):307ra152. 12. Abrahamsson TR et al. Low gut microbiota diversity in early infancy precedes asthma at school age. Clin Exp Allergy. 2014 Jun;44(6):842-50. 13. Fall T, Lundholm C et al. Early Exposure to Dogs and Farm Animals and the Risk of Childhood Asthma. JAMA Pediatr. 2015 Nov;169(11):e153219. 14. Stokholm J, Thorsen J et al. Cesarean section changes neonatal gut colonization. J Allergy Clin Immunol. 2016 Sep;138(3):881-889.e2. 15. Munblit D, Verhasselt V. Allergy prevention by breastfeeding: possible mechanisms and evidence from human cohorts. Curr Opin Allergy Clin Immunol. 2016 Oct;16(5):427-33. 16. Campbell DE, Boyle RJ et al. Mechanisms

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questionario di valutazione 1. Secondo la cosiddetta “Hygiene Hypothesis’’, il motivo per cui negli ultimi anni si è assistito a un incremento nella prevalenza delle manifestazione allergiche è dovuto: a) al peggioramento delle condizioni igieniche in alcune aree del mondo, che ha determinato un incremento locale b) al cambiamento dell’esposizione ai microrganismi ambientali, legato al miglioramento delle misure di sanità pubblica e dell’igiene ambientale c) non è noto d) unicamente all’utilizzo di antibiotici di ultima generazione 2. Che cosa si intende per “disbiosi”? a) L’quilibrio fisiologico della flora intestinale b) L’azione modulatoria di un probiotico c) L’alterazione del microbiota intestinale d) Una manifestazione cutanea dell’allergia alle proteine del latte vaccino 3. Tra le funzioni del microbiota intestinale non si riscontra: a) la sintesi di vitamine b) la modulazione del sistema immunitario c) la produzione di sostanze ad azione antimicrobica d) l’aumento della fertilità 4. Il microbiota significativamente più numeroso è presente: a) sulla cute b) a livello orale c) nel tratto gastrointestinale e) è numericamente uguale in ogni distretto corporeo 5. Qual è la definizione corretta di probiotico? a) Sono organismi vivi e vitali che, se somministrati in quantità adeguata, apportano un beneficio alla salute dell’ospite b) Sono organismi vivi che apportano un beneficio alla salute dell’ospite c) Sono organismi vivi e vitali contenuti negli alimenti d) Sono organismi che se somministrati in quantità adeguata apportano un beneficio alla salute dell’ospite 6. Quali sono i phylum dominanti nell’intestino? a) Bacteroidetes e Firmucutes b) Bacteroidetes e Actinobacteria c) Firmicutes e Proteobacteria d) Proteobacteria e Actinobacteria

7. La prima colonizzazione dell’intestino umano avviene: a) alla nascita, prima sussistono condizioni di sterilità b) in epoca prenatale c) solo in seguito all’alimentazione complementare d) nel corso della prima epoca postnatale 8. L’alterazione del microbiota intestinale riscontrata nei soggetti allergici: a) è evidenziabile solo dopo molto tempo dalla sensibilizzazione all’allergene b) può essere presente prima della sensibilizzazione, suggerendo un’eventuale predisposizione c) si riscontra solo nel sesso femminile d) non sono evidenti differenze statisticamente significative nel microbiota di soggetti sani e di soggetti allergici 9. Tra i fattori che sembrano ridurre il rischio di sviluppare un’allergia ritroviamo: a) la non esposizione materna agli animali domestici nel corso della gravidanza b) il parto cesareo c) un’alimentazione ad alto contenuto di folati, vitamina D e PUFA n-3 da parte della nutrice nel corso della gravidanza e dell’allattamento d) l’utilizzo di Lactobacillus Rhamnosus GG nel corso della gravidanza 10. Secondo le ultime raccomandazioni della World Allergy Organization (Wao), la supplementazione con probiotici è efficace: a) nelle donne in gravidanza con fattori di rischio allergico, nelle donne che allattano bambini ad alto rischio di sviluppare allergie e nei bambini ad alto rischio di sviluppare fenomeni allergici b) nelle donne e nei bambini ad alto rischio di sviluppare fenomeni allergici di tipo alimentare c) nei bambini ad alto rischio di sviluppare fenomeni allergici di tipo respiratorio d) sono valide solo nei confronti dell’asma 11. L’azione di un probiotico: a) è identica per tutti i microgranismi racchiusi nella definizione ufficiale di “probiotici” b) è ceppo-specifica e dipendente dall’interazione tra attività metaboliche o funzionali del probiotico in questione e quelle dell’ospite

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>> c) dipende unicamente dalle caratteristiche dell’ospite d) non determina effetti benefici comprovati

e) non viene più utilizzato in quanto inefficace

12. Il Lactobacillus Rhamnosus GG: a) non è un probiotico b) si è dimostrato efficace per la risoluzione dell’allergia alle nocciole c) evidenze preliminari suggeriscono la sua capacità di conferire un’accelerazione nell’acquisizione della tolleranza orale in bambini con allergia alle proteine del latte vaccino d) è stato il primo probiotico scoperto

14. I benefici del trattamento preventivo/terapeutico dei probiotici: a) dipendono da fattori tra cui il ceppo batterico, la durata e il timing della somministrazione, il tipo di prodotto, l’età e la dieta del paziente e le caratteristiche della patologia in esame b) dipendono unicamente dal ceppo batterico utilizzato c) aumentano nei soggetti che seguono un’alimentazione vegana d) sono dimostrati solo nei soggetti immunocompromessi

13. Il Lactobacillus Rhamnosus GG viene comunemente utilizzato: a) come supplemento in gravidanza b) per prevenire l’allergia alle nocciole d) per infezioni e disturbi che si accompagnano allo scarso equilibrio della microflora intestinale (come sintomi legati alla sindrome del colon irritabile, nelle gastroenteriti pediatriche acute da rotavirus ecc.)

15. I prebiotici: a) sono organismi vivi e vitali che se somministrati in quantità adeguate conferiscono un benefico all’ospite b) sono gli antagonisti dei probiotici c) sono una particolare classe di probiotici d) sono sostanze organiche non digeribili dall’organismo umano che stimolano selettivamente la crescita di uno o più microrganismi benefici

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ars galenica Con questo volume, Irene Ruffino, responsabile del Laboratorio di Galenica interno della Farmacia Ospedaliera di Santa Maria Nuova, ci accompagna nella storia della produzione farmaceutica dalle origini della spezieria fino alle più recenti produzioni.

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l’anziano: un soggetto fragile da monitorare Con l’aumento dell’età media si assiste, contestualmente, a un maggiore rischio di malnutrizione, specialmente in chi versa in una situazione di fragilità. I test di valutazione sono un metodo utile per identificare con precisione i soggetti che necessitano di un intervento più puntuale e, quindi, di migliorare o prevenire situazioni patologiche

di Ilaria Di Napoli Biologa Specializzanda in Scienza dell’Alimentazione Università degli Studi di Milano Chiara E. Tomasinelli Biologa PhD Dietista Laboratorio di Dietetica e Nutrizione Clinica, Università degli Studi di Pavia 22

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Dati ISTAT più recenti mostrano che in Italia, entro il 2065, la vita media crescerà di oltre cinque anni per entrambi i generi, giungendo a 86 e 90 anni rispettivamente per uomini e donne. A oggi, gli individui over 65 rappresentano il 22,3% della popolazione italiana, quelli con più di 80 anni il 6,8%, mentre gli ultranovantenni l’1,2%. Gli stessi dati riportano anche che circa un anziano su due soffre di almeno una malattia cronica e il 23,1% presenta gravi limitazioni motorie. (1)

Disabilità ed eventi avversi rappresentano importanti fattori che caratterizzano la vulnerabilità a cui sono soggetti gli anziani. Quando tale condizione evolve verso un declino funzionale e a una riduzione delle riserve fisiologiche, allora si parla di fragilità. Per definizione con fragilità si intende una sindrome clinica caratterizzata dalla perdita delle capacità dell’organismo di contrastare situazioni di stress generati da eventi clinici e ambientali. Inoltre, è ampiamente dimostrata una stretta correlazione tra fragilità e nutrizione: infatti i criteri di definizione sono più o meno associati ad abitudini alimentari non adeguate così come la fragilità stessa può influire negativamente sulle abitudini alimentari e sullo stato nutrizionale. (2) Appare quindi di fondamentale importanza identificare precocemente i soggetti a rischio onde prevenire e contrastare tale condizione di estrema vulnerabilità. Pertanto si definisce anziano fragile il soggetto che soddisfa almeno 3 delle seguenti caratteristiche: > Perdita di peso involontaria > 4 kg nell’ultimo anno. > Esauribilità/astenia/affaticabilità (autoriferito, almeno 3 giorni/settimana). > Riduzione della forza muscolare valutabile con hand-grip (<5,85 e <3,37 kg rispettivamente nel maschio e nella femmina). > Riduzione della velocità del cammino

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(più di 7 sec. per percorrere 4,57 metri). > Riduzione dell’attività/capacità fisica (valutabile con “PASE”, cioè Physical Activity Scale for the Elderly). Un altro test di screening semplice, rapido e validato per la diagnosi di fragilità è la “Frailty Scale” che si basa su 70 items comprendenti segni, sintomi e test, adatta agli over 70 e a tutti i soggetti che abbiano manifestato una significativa perdita di peso (≥ 5% del peso abituale). (2) L’invecchiamento, inteso come processo fisiologico, è caratterizzato da modifiche strutturali, morfologiche e funzionali di organi, sistemi ed apparati che, influendo sulla composizione corporea, conducono alla riduzione del metabolismo basale. In questo quadro, nell’anziano il controllo dello stato nutrizionale e la valutazione della composizione corporea assumono fondamentale importanza nella prevenzione e nel trattamento della malnutrizione. Esistono diversi metodi per accertare questa condizione. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), l’antropometria è il metodo più applicabile, economico e non invasivo per determinare le dimensioni, le proporzioni e la composizione del corpo umano e per definire il grado di malnutrizione, che può essere valutato con diverse misurazioni e calcoli: > BMI. > Percentuale di calo ponderale, se negli ultimi 6 mesi superiore al 10% del peso abituale. > Pliche cutanee, in particolare la tricipitale che, insieme alla circonferenza del braccio, consente di valutare la circonferenza muscolare del braccio. Gli indici di malnutrizione integrati possono costituire un altro metodo semplice e non invasivo per rilevare un potenziale stato di malnutrizione. Tra i protocolli di screening per il rischio nutrizionale abbiamo: il “Malnutrition Universal Screening Tool” (MUST), il “Mini Nutritional Assessment” (MNA) e il “Nutritional Risk Screening” (NRS). (3)

In presenza di malnutrizione, sarà necessario un intervento nutrizionale che assumerà valenze diverse in base al setting e alle condizioni cliniche. Da un punto di vista qualitativo, l’alimentazione nell’anziano non differisce da quella nell’adulto, se non per la diminuzione del fabbisogno energetico. Gli anziani senza particolari patologie o necessità non richiedono avvertenze specifiche se non quelle di assicurare un corretto apporto di nutrienti. Il fabbisogno glucidico e quello lipidico, con particolare attenzione verso un adeguato apporto di acidi grassi polinsaturi essenziali per rallentare il declino cognitivo, sono sovrapponibili a quelli nell’adulto. A meritare alcuni accorgimenti è il fabbisogno proteico al fine di contrastare la perdita di massa muscolare e il rischio di sarcopenia. I LARN indicano come obiettivo nutrizionale, utile a un’adeguata sintesi muscolare, un apporto di circa 1,1 g di proteine per kg di peso corporeo al giorno, per arrivare anche, in condizioni di particolare stress metabolico (infezioni, fratture ossee, sarcopenia), a 1,2-1,5 g/kg/die. Tenendo presente anche i micronutrienti, la vitamina A, C, l’acido folico, il ferro e il calcio che sono spesso deficitari a causa di errori alimentari, monotonia della dieta, limitazioni associate a difficoltà masticatorie e preparazione dei cibi inadeguate (lunghe cotture e temperature elevate). Inoltre, un inadeguato apporto di calcio e vitamina D si associano a demineralizzazione ossea, rischio di osteoporosi, fragilità delle ossa e maggior incidenza di fratture. Infine, poiché spesso negli anziani la percezione della sete è ridotta, si assiste a un alto rischio di disidratazione.

Bibliografia 1. Dati ISTAT (2018) testo disponibile al sito:

http://dati.istat.it, 30 ottobre 2018. 2. Pilotto A. et al. (2011) Verso una definizione clinica della fragilità: utilità dell’approccio multidimensionale G Gerontol 59, 125-9. 3. Cena H. et al. (2018) Nutrizione nell’anziano oggi, in Alimentazione e qualità della vita nella ageing society a cura di Zajczyk F. Milano, FrancoAngeli Ed. da p. 35 a p. 50.

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salute e benessere

Gli effetti positivi di EnzyFormula sull’apparato digerente

I

l processo di digestione coinvolge numerosi organi e sistemi: infatti, sotto il controllo omeostatico del sistema Psico– Neuro-Endocrino-Immunitario (PNEI), stomaco e intestino svolgono la regolamentazione meccanica relativa al transito gastrointestinale, mentre fegato e pancreas fungono da controllers biochimici dei processi digestivi. Nel contempo, il Sintema Nervoso Centrale (SNC) agisce elaborando e regolando i segnali nervosi e biochimici, alla base dei meccanismi di controllo del processo digestivo. Inoltre, non si deve sottovalutare il ruolo svolto dal microbiota intestinale: non solo contribuisce al processamento di sostanze altrimenti indigeribili attraverso il proprio specifico patrimonio enzimatico, ma anche al mantenimento dell’omeostasi intestinale. Anche la corretta scansione temporale degli eventi connessi all’assunzione di cibo e alla sua conseguente digestione è gestita secondo il timing dettato dai ritmi circadiani e sincronizzato tramite cross-talk tra SNC e tessuti metabolici (intestino, fegato e pancreas). In questo quadro, la funzione enzimatica svolge un ruolo cruciale all’interno dell’intero processo digestivo grazie ai numerosi enzimi, tra cui amilasi salivari e pancreatiche, pepsina gastrica, lipasi epatiche e pancreatiche, tripsina e chimotripsina, lattasi e peptidasi intestinali. Il tratto gastro-intestinale risponde all’ingestione del cibo tramite un processo rigidamente controllato (timing digestivo) al

fine di rendere il più efficace possibile l’assorbimento dei nutrienti: la presenza di cibo a livello gastrico e, soprattutto, duodenale è il segnale che avvia la secrezione pancreatica di amilasi, tripsina, chimotripsina e lipasi e per la secrezione della bile a livello epatico. Anche la secrezione pancreatica e biliare è regolata e stimolata da numerosi ormoni gastrointestinali, come gastrina, secretina, grelina e colecistochinina (CCK), e si trova sotto il controllo del Sistema Nervoso Centrale (SNC) attraverso il nervo vago (stimolazione della secrezione) e le fibre efferenti del Sistema Nervoso Ortosimpatico (inibizione della secrezione). Il ruolo dell’asse Intestino-Cervello L’integrità delle vie simpatiche non è tuttavia essenziale per il funzionamento coordinato dell’intestino: esiste, infatti, un Sistema Nervoso Autonomo (Sistema Nervoso Enterico - SNE) che è sensibile agli stessi stimoli chimici recepiti dal SNC. La sua funzione non è puramente digestiva, ma ricopre anche un ruolo importante a livello immunitario e nervoso, poiché, a sua volta, è in grado di secernere sostanze psicoattive (acetilco-

lina, dopamina e serotonina) che vanno a influenzare l’attività del Sistema Nervoso Centrale. L’insieme di questi sistemi viene indicato con il nome di Gut-Brain Axis (Asse Intestino-Cervello) ed è fondamentale per il funzionamento del tratto gastrointestinale. I meccanismi che controllano il rapporto tra assunzione di cibo e secrezione di enzimi digestivi a livello del Gut-Brain Axis sono cruciali per il mantenimento dell’omeostasi della funzione digestiva: per esempio, un’insufficiente produzione di enzimi pancreatici provoca una riduzione dell’attività della CCK nel periodo postprandiale (Figura 1). L’aumento di CCK circolante, secondario al tentativo di sopperire alla sua mancata azione, provoca l’alterazione della risposta del SNC all’assunzione di cibo: alcune delle manifestazioni più comuni di questo squilibrio sono l’insorgere di sazietà precoce o l’aumento di sonnolenza e pesantezza postprandiale. Il ruolo della grelina e della leptina in questo caso è fondamentale: la prima stimola l’appetito mentre la seconda regola il senso di sazietà. L’equilibrio grelina/leptina viene alterato, per esempio, da disfunzioni epatiche

> Figura 1: rappresentazione schematica dei meccanismi di feedback della secrezione pancreatica: A) situazione omeostatica fisiologica; B) meccanismi di feedback alterati dalla riduzione della secrezione enzimatica pancreatica.

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SALUTE E BENESSERE

oppure in presenza di sindromi da malassorbimento, che fanno scattare un meccanismo compensatorio con un aumento dell’appetito, o nell’obesità, dove la leptino-resistenza fa aumentare il tessuto adiposo. Quindi, la regolazione dei meccanismi digestivi è essenziale per il loro corretto funzionamento, mentre l’insorgere di squilibri, nello specifico enzimatici, altera sia l’assorbimento dei nutrienti, sia i delicati meccanismi di comunicazione neuropeptidica tra SNE e SNC, con riflessi sul benessere psicofisico generale. Epidemiologia in Italia I dati relativi allo stato di salute degli italiani rivelano che il 20% dei connazionali soffre di disturbi digestivi e di vere e proprie patologie dell’apparato digerente provocate da un’alimentazione non equilibrata, ricca di grassi e carboidrati o caratterizzata da un consumo frequente di junk-food, che predispone alle difficoltà digestive. Anche l’età, stili di vita sregolati e assunzione cronica di farmaci possono alterare la digestione, con riflessi negativi sulla funzionalità epatica e pancreatica. Disegno dello studio Lo studio clinico EnzyOBSERV si configura come indagine multicentrica di tipo osservazionale e ha come obiettivo quello di valutare l’attività di EnzyFormula (Guna S.p.A. – Italia) in caso di disturbi funzionali dell’Apparato digerente. Nell’arco di 2 mesi (Febbraio-Aprile 2013) sono stati arruolati 100 soggetti di età superiore ai 18 anni e, dopo una prima visita di screening (T0), si è potuto procedere a una loro selezione in base ai criteri richiesti dal protocollo. Tutti i soggetti si sono sottoposti a una seconda visita dopo tre mesi di trattamento (T3 mesi) per la valutazione degli obiettivi e sono stati trattati con EnzyFormula, somministrato per via orale alla posologia di 2 compresse/die (una compressa prima dei due pasti principali) per un periodo continuativo di tre mesi. 26

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i risultati ottenuti con enzyformula Borborigmi Gli episodi di borborigmo si riducono significativamente a fine trattamento (-50,6%): ciò indica che l’azione di EnzyFormula si instaura precocemente e viene potenziata e mantenuta con il suo uso regolare

azione si instaura precocemente e viene potenziata e mantenuta con l’uso regolare del prodotto.

Pesantezza postprandiale Questo disturbo migliora (-52,88%) grazie all’utilizzo regolare.

Meteorismo Il meteorismo viene ridotto significativamente (-55,50%) grazie all’assunzione di Enzyformula: la sua azione è rapida e viene potenziata e mantenuta nel tempo con l’uso regolare del prodotto.

Sonnolenza postprandiale Il sintomo si riduce significativamente (-48,53%) durante il trattamento con Enzyformula: questo indica che la sua

Cefalea Gli episodi di cefalea con rapida insorgenza postprandiale si riducono significativamente (-26,85%) con EnzyFormula.

La durata complessiva dello studio è stata di 5 mesi e si è svolto tra i mesi di Febbraio e Luglio 2013. Ogni medico sperimentatore ha monitorato la safety del prodotto. Lo studio clinico si inserisce nel quadro delle disfunzioni enzimatiche legate a dispepsia e sindromi di malassorbimento e le informazioni raccolte evidenziano che l’utilizzo di EnzyFormula apporta un quantitativo di enzimi e sostanze vegetali attive sul controllo della funzione digestiva, contribuendo alla riduzione della dispepsia. Tale risultato si ottiene grazie a una bilanciata e particolare formulazione che prevede amilasi, lattasi, lipasi e cellulasi; bromelina e papaina; estratti secchi di Phyllantus niruri L. (utile per la funzione epatica), Fumaria officinalis L. (utile per le funzioni digestiva ed epatobiliare e le funzioni depurative dell’organismo) e Curcuma longa L. (funzione digestiva, antiossidante e per la funzionalità del sistema digerente); niacina (Vitamina PP, cofattore utile per il mantenimento dell’omeostasi della mucosa) e Superossido Dismutasi da succo di melone (SOD, antiossidante). Inoltre, EnzyFormula si caratterizza per l’alta disponibilità e sinergia delle sostanze attive, la rapidità di azione, la capacità di mantenimento della stessa nel tempo e il rispetto della crono-fisiologia

della digestione. Tra i vari dati emersi dallo studio, si registra un’ottimale compliance da parte dei pazienti e non si sono registrati eventi avversi durante il trattamento, con una safety del prodotto e del suo uso secondo protocollo. Conclusione I dati raccolti dallo studio dimostrano che EnzyFormula fornisce un apporto di enzimi e sostanze vegetali attive sulla funzionalità digestiva, con riduzione significativa della dispepsia per ridotta secrezione enzimatica e insufficiente digestione di specifici alimenti come latte e latticini, proteine complesse da carne e formaggi, vegetali ricchi di fibre e cibi particolarmente ricchi di grassi. La rapidità di azione, la capacità di mantenimento della stessa nel tempo e il rispetto della crono-fisiologia della digestione sono tutte caratteristiche che rappresentano anche un supporto alimentare utile nei casi di disbiosi, sindromi da malassorbimento o nei casi in cui sia necessario sostenere la funzione epato-pancreatica. Barbara Aghina Biologo molecolare Dipartimento scientifico Guna S.p.A.

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psicologia e stress / sindrome da burnout

Allarme burnout anche tra i professionisti della salute l’esistenza. Prima che sia troppo tardi, prima di essere “inceneriti” completamente, si deve imparare a gestire il problema.

di Marcella Valverde

Si tratta dell’esito negativo di uno stress prolungato, connesso principalmente al lavoro: all’inizio si manifesta in modo subdolo, ma nel tempo crea un disagio profondo che pian piano va a minare autostima, relazioni affettive e qualità del lavoro. Ecco come riconoscerla e quali sono le professioni più a rischio 28

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C

i si sente sempre di cattivo umore, stremati, incapaci di vedere una luce in fondo al tunnel o anche solo qualche lato positivo della propria vita? È calato l’interesse per tutto oppure si sta diventando sempre più cinici e aggressivi? Attenzione, potrebbero essere i segnali della “sindrome da burnout”, uno stato psicofisico di profondo disagio che prende origine dalla sfera lavorativa e che, via via, va a incidere su tutti gli aspetti della vita, provocando un senso di prostrazione tale da tingere di nero

Le professioni altruiste “bruciano” di più Il termine burnout è stato utilizzato, per la prima volta, nel 1930 in ambito sportivo per definire l’incapacità di un atleta di mantenere o di ottenere nuovi risultati positivi dopo una serie di successi. In seguito, tra il 1975 e il 1976, lo psichiatra Herbert Freudenberger e la sociologa Christina Maslach riportarono questa definizione nell’ambito di ricerche sulle alterazioni a carico della sfera comportamentale e relazionale: Freudenberger, in particolare, ebbe modo di osservare da vicino le conseguenze del coinvolgimento emotivo dei suoi collaboratori all’interno di un reparto di igiene mentale, che portarono a un progressivo calo del loro impegno emozionale, motivazionale e professionale. Questi segni caratteristici furono poi notati anche in altri soggetti impiegati sempre nel campo dell’assistenza. Fu così che vennero delineate le prime categorie professionali maggiormente coinvolte da questo disagio: infatti, la sindrome colpisce, in varia misura, non solo chi svolge le “professioni di aiuto” (helping professions o caregivers), ma anche chi ricopre ruoli in ambiti diversi dall’assistenza, ma in continuo contatto con persone che si trovano in uno stato di difficoltà o di sofferenza. Di conseguenza, sono prevalentemente colpiti medici, psicologi, farmacisti, infermieri, counselors, assistenti sociali, fisioterapisti, ma anche missionari, volontari, guide spirituali. Nel tempo, gli studi hanno ampliato l’elenco delle professioni che oggi includono tutti quei mestieri legati

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psicologia e stress / sindrome da burnout

alla gestione quotidiana dei problemi delle persone: così si è appurato che soffrono di burnout poliziotti, vigili del fuoco, esperti di orientamento al lavoro, consulenti fiscali, avvocati, ma anche insegnanti, perché hanno un coinvolgimento emotivo molto profondo con le persone che si trovano ad aiutare o a far crescere. Ma l’elenco, nel tempo, ha “abbracciato” anche altre casistiche. Lo stress da aspettative deluse Anche se la sindrome da burnout è oggi ancora poco conosciuta e, soprattutto, riconosciuta all’interno del contesto lavorativo, secondo gli studiosi la sua genesi si deve ricondurre al contatto quotidiano con le emozioni negative e dolorose degli altri, una condizione che provoca un forte stress dovuto alle capacità empatiche che contraddistinguono la natura umana. L’eccesso di vicinanza emotiva assieme a carichi elevati di lavoro può far superare la soglia massima di tolleranza e creare una sorta di confusione emotiva tra se stessi e gli altri che porta a vivere come proprie anche le problematiche altrui. Non solo: se il sovraffaticamento porta a detestare il proprio lavoro, spesso si sommano anche altri fattori di scatenamento della sindrome. Tra questi, per esempio, una discrepanza tra ciò che ci si aspetta dal proprio impiego e le reali opportunità che vengono offerte. In base a vari studi, alcuni condotti presso l’università di Zurigo, inoltre, esistono due tipi di bisogni inconsapevoli: da un lato, c’è la motivazione al potere, ossia la propensione ad assumersi delle responsabilità per gli altri, di discutere, di mantenere la disciplina per sentirsi forti. Dall’altro, invece, è presente la motivazione alla vicinanza con gli altri che spinge a ricercare delle relazioni personali positive per avere, di ritorno, un senso di calore e di appartenenza. Il divario fra queste due aspirazioni e la realtà può agire come uno stress sotterraneo che poi emerge con uno stato di esaurimento fisico e mentale che prende forma nel burnout.

un rischio non solo per chi cura, ma anche per i pazienti Il tema della sicurezza dei pazienti è di certo uno dei nodi nevralgici di ogni sistema sanitario. Considerando le stime fatte, si calcola che ogni anno muoiano negli ospedali di tutto il mondo circa 98mila persone a causa di errori medici prevenibili. Tra le cause, vi sono gli eccessivi carichi di lavoro degli operatori. Il numero dei posti letto occupati ha avuto un drastico incremento specialmente negli ultimi anni, a fronte di risorse destinate alla Sanità rimaste pressoché inalterate. Ciò ha comportato carichi di lavoro sempre maggiori, una deregulation dell’orario di lavoro e un conseguente peggioramento dell’integrità psicofisica degli operatori, con ovvie implicazioni sul rischio clinico. Infatti, se gli ospedali raggiungono la soglia di criticità, a subirne gli effetti dal punto di vista della discontinuità clinica e della sicurezza delle cure sono proprio i pazienti. Si creano le condizioni favorevoli al verificarsi degli errori non provocati dalla negligenza dei singoli, bensì da carenze del sistema. D’altro canto, lo stato d’animo influisce direttamente sui pensieri e sul comportamento e uno stato d’ansia continuo con un’insufficiente alternanza lavoro-riposo inficiano lo sforzo cognitivo indispensabile per offrire ai pazienti la massima attenzione. L’esaurimento emotivo legato alle condizioni lavorative comporta anche una diminuzione del senso di realizzazione personale e la convinzione di non

poter portare a termine i propri incarichi dando un contributo significativo. Mancano spesso persino le energie necessarie per riuscire a garantire un’assistenza sicura al paziente: si può arrivare, per esempio, a trascurare l’igiene delle mani o a “dimenticare” il doppio controllo nella preparazione di un farmaco, oppure a essere meno pronti ad affrontare situazioni impreviste come il peggioramento repentino di un paziente. La sicurezza delle cure, però, dovrebbe essere un processo che ha, come obiettivo, la prevenzione di danni derivanti dall’attività sanitaria, mentre l’eccessivo carico degli operatori, invece, va a mettere a repentaglio proprio il nucleo costitutivo del diritto alla salute dell’individuo e della collettività. Tra medici, infermieri, farmacisti e caregivers in genere, i sintomi classici della sindrome da burnout sono: > Psicosomatici: cefalea, disturbi gastrici, insonnia, palpitazioni, affaticamento cronico, allergie. > Comportamentali: apatia, irritabilità, pessimismo, reazioni ciniche, ostili, sarcastiche, sospettose, ma anche ansia generalizzata oppure un comportamento eccessivamente focalizzato solo sulle mansioni professionali. > Emotivi: frustrazione, noia, freddezza affettiva, impazienza, ansia, disorientamento, sensazione costante di impotenza.

Cosa possono fare le aziende? Per ricucire una situazione che non corrisponde alle attese e che lacera chi ne è coinvolto, si potrebbero mettere in atto alcune strategie. Da parte delle aziende, già in fase di colloquio di lavoro, si possono individuare le due aspettative prevalenti, in modo da destinare il lavoratore a ricoprire ruoli che si avvicinino il più possibile alle sue aspirazioni e bisogni, oppure dando l’opportunità di “placare” i propri bisogni grazie a incarichi e competenze aggiuntivi che vadano in tal dicembre 2018

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psicologia e stress / sindrome da burnout

[ Il “burnout” è il termine inglese che in italiano si può tradurre con “bruciato”, “scoppiato”, “fuso”, “esaurito”. Definisce un senso di svuotamento tale da far odiare il lavoro che, nel bene o nel male, occupa la gran parte della vita.

]

senso: un esempio su tutti, favorire il lavoro di squadra se emerge una forte necessità di contatto con gli altri. Inoltre, sarebbe importante evitare ambiguità o conflittualità di ruoli, con informazioni deficitarie in relazione a una determinata posizione. Anche il sovraccarico è un problema perché impedisce al lavoratore di svolgere in modo soddisfacente la propria prestazione lavorativa, con una conseguente insoddisfazione da ambo le parti. Un altro aspetto importante è la struttura del potere: se si dà modo all’individuo di prendere parte al processo decisionale, gli si consentirà di aumentare la motivazione al lavoro e si favorirà un atteggiamento positivo e proattivo che fa bene a tutti. Nel caso di lavoro con turnazione, la frequenza della sindrome è più elevata: attenzione, quindi, a non “bruciare” i lavoratori! Le altre situazioni di rischio Non è solo la scarsa adesione alle proprie aspettative oppure la continua vicinanza alle sofferenze altrui a diventare la miccia della sindrome: il rischio di burnout è legato anche ad altre situazioni. Eccone alcune.

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> Superlavoro: un approccio eccessivo e

frenetico al lavoro logora nel tempo. Se abitualmente si è impegnati più di 40 ore settimanali, se si è troppo ambiziosi o si vive con molti impegni e doveri sulle spalle, il rischio di esaurire le proprie risorse fisiche e mentali aumenta di sei volte rispetto a chi ne lavora 35-40, ma con più equilibrio. > Precarietà: in tempi di crisi e di incertezze, questa situazione è sempre più frequente. Chi ha contratti a tempo determinato, oppure è alla ricerca di un impiego a tempo pieno o, comunque, di un lavoro che dia un po’ di stabilità, soffre di uno stato di ansia continuo che non abbandona nemmeno di notte. In tal caso, i sintomi dell’esaurimento sono pressoché sempre presenti. > Incarichi multipli: chi ha più di un lavoro per arrotondare oppure più committenti è esposto a uno stress maggiore perché deve letteralmente farsi in quattro per adattarsi alle esigenze di più aziende diverse. Trascurando, spesso, le proprie vere attitudini. > Routine senza fine: chi svolge da lungo tempo sempre le stesse mansioni senza intravvedere un miglioramento e con una deprivazione dalle responsabilità può ritenere che il proprio lavoro non sia riconosciuto o tenuto nella giusta considerazione. È uno stato d’animo che via via consuma e fa ammalare. > Sottoimpiegati: accanto alla routine, esiste il lavoro monotono, noioso e privo di prospettive di carriera. Una situazione che provoca un esaurimento psicofisico che metterebbe a dura prova chiunque. > Formazione e qualificazione: in questa casistica rientrano sia le persone che hanno studiato poco, sia quelle che hanno titoli elevati. Infatti, chi, per vari motivi, deve accettare incarichi che richiedono una bassa qualificazione vanno incontro a uno scarso riconoscimento del proprio impegno. Allo stesso modo, chi ha trascorso molti anni a perfezionare la propria formazione spesso si ritrova ad avere la sensazione di aver sprecato il proprio tempo in cambio di un

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riscontro professionale deludente. > Remunerazione inadeguata: a fronte di impegno e dedizione, il compenso è inadeguato. Come non essere delusi? I sintomi da non trascurare Inizialmente si può avvertire semplicemente stanchezza e la tipica sensazione di svuotamento dopo aver lottato contro un problema. Tra le espressioni di questo stato di prostrazione, vi è un peggioramento degli atteggiamenti comportamentali e un conseguente decadimento della qualità del proprio lavoro e della vita in generale. Questa sindrome comporta esaurimento emotivo, depersonalizzazione e derealizzazione personale che provoca atteggiamenti e sentimenti negativi, insensibilità e mancanza di compassione. Anche se il burnout si associa spesso ad ansia e a depressione, si differenzia da esse perché i sintomi sono riconducibili essenzialmente alla propria sfera lavorativa e non a quella generale della propria esistenza. Quando sono presenti le situazioni che espongono al rischio di burnout, perciò, è importante assumere un atteggiamento più consapevole del problema. Infatti, riconoscere i sintomi è il primo passo per poter uscire da questo tunnel che spegne la vita. Ecco allora quelli più frequenti. > Se si avverte mancanza di motivazione e

di efficienza, se ci si sente inadeguati, senza via d’uscita, incapaci e inutili, allora probabilmente si è arrivati al capolinea. > Si è sempre sopra le righe, si esplode facilmente e senza un vero motivo, si mostra rabbia, aggressività oppure le reazioni sono altalenanti e si passa dalla mancanza di assertività a comportamenti eccessivi: probabilmente la causa è un lavoro che ha logorato. > Si arriva a un atteggiamento cinico, specie in chi si occupa della salute degli altri. > Si avverte un senso di fallimento, di resistenza al cambiamento, di immobilismo. Ci si sente isolati se sono presenti difficoltà

con gli altri e con i colleghi. Oppure se si è colpevolizzanti e ipercritici un po’ con tutti. > Si diventa sospettosi, al limite della paranoia, sia sul lavoro, sia in famiglia. > Si hanno crisi di pianto o di affanno, apatia, stanchezza profonda. > Sono presenti anche sintomi fisici: ansia, insonnia, depressione alterazioni del ciclo circadiano sono tutti campanelli d’allarme della sindrome da burnout. In questo caso, anche il sistema immunitario ne risente e fa ammalare più spesso. Inoltre, si è più esposti, per esempio, a disturbi cardiovascolari, ulcera, difficoltà della sfera sessuale. > Ci si può sentire “costretti” a ricorrere a fumo, alcol psicofarmaci per “resistere”. Come intervenire? Chiedere aiuto è un passo complesso e faticoso. D’altra parte, rivolgersi a uno psicologo esperto di queste problematiche può essere la vera chiave di volta per stare meglio con sé e gli altri. Infatti, comprendere le relazioni esistenti tra il proprio comportamento e il contesto lavorativo significa anche acquisire gli strumenti utili per raggiungere una maggiore comprensione e consapevolezza, utili per modificare il proprio atteggiamento in modo positivo. Migliorando il proprio impegno nel lavoro, non solo si possono ridurre gli aspetti negativi, ma si possono anche implementare quelli positivi, per esempio sostenendo l’affermazione di sé e dei colleghi. Sono strategie che accrescono l’energia e l’efficacia del proprio operato, con un miglioramento dei rapporti e una maggiore coesione del gruppo. Non è facile, ma sono tutte strade che possono davvero far voltare pagina. Un altro passo utile può essere quello di cercare di riappropriarsi della propria vita privata, affidandosi agli affetti profondi e a rapporti sereni con gli amici che facciano da cuscinetto tra sé e lo stress da lavoro: focalizzandosi sulle relazioni importanti, si può tentare di lasciarsi alle spalle le preoccupazioni che ci affliggono sul lavoro.

pillole utili > Porsi degli obiettivi realistici > Cercare di variare la routine > Fare delle pause > Provare a non farsi coinvolgere eccessivamente dai problemi degli altri, senza però diventare cinici > Cercare di bilanciare frustrazione e gratificazione > Applicare tecniche di rilassamento fisico e mentale > Separare il lavoro dalla vita privata > Rafforzare la cerchia di relazioni: amici e familiari possono fare da scudo allo stress legato non solo alla vita lavorativa, ma anche alle eventuali attività di volontariato, se troppo coinvolgenti > Tentare di riorganizzare il proprio lavoro per renderlo più vario e interessante > Farsi promotori di un clima relazionale franco e collaborativo > Aprirsi all’innovazione > Far circolare le informazioni per ottenere una scorrevolezza operativa > Creare e alimentare il senso di squadra > Riconoscere la ricchezza nelle diversità, cogliendo le potenzialità positive di allievi, colleghi, operatori e così via > Crescere professionalmente: formazione e cultura dell’approfondimento costituiscono un’arma per una migliore presenza sul lavoro e per sentirsi comunque soddisfatti di sé.

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neuroscienze / paraplegia

camminare di nuovo dopo una lesione spinale

B di Marcella Valverde

I ricercatori statunitensi della Mayo Clinic e dell’Università della California a Los Angeles sono riusciti a far muovere i primi passi non assistiti a un paziente paraplegico. Ecco i risultati della sperimentazione

uone notizie sul fronte delle neuroscienze: per la prima volta, infatti, sono stati riattivati temporaneamente i neuroni a valle di un danno spinale irreversibile, consentendo a un giovane paraplegico di stare in piedi autonomamente per una decina di minuti e di muovere i primi passi dopo anni di immobilità. Stando a quanto riportato su Nature Medicine, i ricercatori della Mayo Clinic e dell’Università della California hanno raggiunto un traguardo che apre buone prospettive per il futuro. La sperimentazione è stata svolta su un ventinovenne, Jared Chinnock, che nel 2013 ha riportato un danno spinale all’altezza delle vertebre toraciche a seguito di un incidente stradale. Dopo il trauma, la diagnosi è stata implacabile: paraplegia totale e irreversibile con la perdita completa di movimento e di sensibilità al di sotto della metà del tronco. Scelto per lo studio della nuova metodica nel 2016 dal gruppo di ricerca guidato da Kendall Lee, che fa parte del laboratorio di Ingegneria neurale della Mayo Clinic, Jared è stato sottoposto a vari interventi. Prima gli è stato impiantato chirurgicamente un elettrodo spinale a valle del trauma, più precisamente nello spazio epidurale, ossia nella porzione esterna del canale vertebrale dove si trova il midollo spinale. L’elettrodo è stato poi collegato a un generatore di impulsi, impiantato a sua volta sotto cute nell’addome del ragazzo. Il generatore, infine, è stato collegato via wireless a un sistema di controllo gestito dai ricercatori. Infine, è stato impostato un lungo e rigoroso programma di riabilitazione fisica. I primi passi dopo l’immobilità Nel 2017 sono stati pubblicati i primi, promettenti risultati sulla rivista Mayo Clinic Pro-

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ceedings. Dopo sole due settimane, infatti, Jared era riuscito a contrarre volontariamente alcuni muscoli delle gambe e a stare in piedi, muovendo anche qualche passo sostenuto da un’imbragatura. Oggi, dopo 113 sedute di riabilitazione servite anche a regolare l’impianto e la trasmissione degli impulsi, Jared ha imparato a stare di nuovo in piedi da solo e a deambulare autonomamente su un tapis roulant, riuscendo a bilanciare la camminata grazie a movimenti volontari. L’équipe di ricercatori gli ha garantito una minima assistenza solo per ragioni di sicurezza. Anche se disattivando il generatore di impulsi, Jared ritorna a essere paralizzato e a non poter più comandare i movimenti da metà tronco in giù, di certo questo risultato positivo apre nuovi scenari: per la prima volta, infatti, si è riusciti a riattivare un tratto spinale interrotto dopo un trauma e a far camminare nuovamente in modo indipendente un soggetto altrimenti paralizzato. «Questo studio dimostra che i neuroni a valle del trauma possono continuare a funzionare anche dopo una paralisi», spiega Kendall Lee. Della stessa opinione è anche Kristin Zhao, coautrice dello studio. «Riteniamo che siamo all’inizio di una grande sfida: comprendere a fondo il perché abbiamo ottenuto un tale risultato e definire quali pazienti possono ricevere l’impianto». Ora, anche se saranno necessarie ulteriori verifiche e nuovi studi per determinare in che modo la riabilitazione fisica vada a interagire con la stimolazione elettrica per ripristinare la funzionalità motoria, si può affermare che si tratti di un approccio che costituisce una soluzione importante per i pazienti che hanno subito diversi tipi di danno spinale e che oggi sono paralizzati.

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ortopedia / osteoartrosi

osteoartrosi: la dimensione di un problema sempre più vasto L’aumento della sopravvivenza e il progressivo invecchiamento della popolazione si associano inevitabilmente a una maggiore incidenza delle patologie cronico-degenerative. In quest’ambito spiccano quelle articolari, che costituiscono il 60% delle affezioni croniche più frequentemente riscontrate nell’età adulta

I

n Italia circa 4 milioni di persone combattono con l’osteoartrosi (la prevalenza di malattia è stata stimata intorno al 50% nei soggetti di età compresa tra i 15 e 79 anni), un’affezione caratterizzata da un progressivo logoramento a carico della cartilagine articolare, con un successivo interessamento di ossa, sinovia (membrana che riveste l’interno delle articolazioni) e capsula articolare (1). La malattia tende a colpire più frequentemente le ginocchia, le mani, la colonna vertebrale e l’anca, mentre raramente influisce su polsi, gomiti e caviglie (1). I sintomi caratteristici dell’osteoartrosi (o, più semplicemente, artrosi) Tali alterazioni si manifestano con dolore, rigidità articolare e limitazione dei movimenti, ingrossamento e deformazioni articolari, con scrosci e crepitii udibili alla mobilizzazione. Il dolore rappresenta la componente principale della sintomatologia: inizialmente è di lieve entità e peggiora in seguito a sforzi intensi e prolungati. Tuttavia, con il tempo e nelle fasi avanzate, può diventare continuo e persistere anche durante le ore di riposo o di notte, con un considerevole impatto negativo sulla qualità della vita. Non di rado, infatti, i pazienti colpiti da artrosi soffrono anche di disturbi psichiatrici, quali ansia e depressione. Molteplici fattori incidono sull’entità delle manifestazioni cliniche come, per esempio, l’età, i fattori genetici (l’influenza genetica

varia tra il 39% e il 74%, in base alla localizzazione dell’artrosi), il sesso femminile, fattori ormonali, obesità, disturbi circolatori, fattori metabolici. Anche il sovraccarico funzionale e le alterazioni della struttura articolare incidono notevolmente sull’intensità della sintomatologia.

di Carla Carnovale Farmacista

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ortopedia / osteoartrosi

[ Chi soffre di dolori artrosici può ricorrere a farmaci specifici per migliorare

La diagnosi si basa essenzialmente su una valutazione clinica e sui dati di laboratorio. La rilevazione, mediante indagine radiologica, di una riduzione non uniforme dell’interlinea articolare, sclerosi dell’osso subcondrale (indurimento tissutale) con possibili aree di riassorbimento e osteofitosi (escrescenze che si formano a livello delle articolazioni), ne conferma la diagnosi.

il decorso della patologia, ma è anche importante che adotti uno stile di vita basato su un regime alimentare salutare e una regolare attività fisica

]

Il trattamento non farmacologico In quanto patologia cronico-degenerativa, l’obiettivo della terapia è quello di migliorare la qualità della vita controllando il dolore, mantenendo o migliorando la mobilità articolare e riducendo la limitazione funzionale. Un approccio non farmacologico costituisce un’opzione terapeutica di fondamentale importanza, in particolar modo per l’artrosi del ginocchio e dell’anca.

In questo contesto, appare estremamente importante per il paziente acquisire quante più informazioni possibili sulla malattia e sul suo trattamento; un’adeguata consapevolezza può difatti aiutare a contrastare il dolore, seppur non influisca sulla disabilità articolare (2, 3). Affidarsi a un supporto psicologico e condividere le problematiche associate alla malattia, con tutti gli operatori sanitari coinvolti a più livelli nella gestione della patologia, può essere di grande aiuto. Solide evidenze cliniche dimostrano, inoltre, che il potenziamento muscolare e l’allenamento aerobico, che costituiscono gli approcci più utilizzati, possono ridurre notevolmente dolore e disabilità nei soggetti affetti da osteoartrosi dell’anca e del ginocchio (4, 5). Il riposo dell’articolazione colpita può infatti tenere a bada il dolore in fase acuta, ma se prolungato, cioè superiore a 12-24 ore, determina atrofia muscolare e riduzione della motilità articolare. Il trattamento farmacologico Le cure farmacologiche attualmente disponibili migliorano il decorso della patologia e la disabilità funzionale, alleviano il dolore e l’infiammazione, consentendo di svolgere le normali attività quotidiane. Esiste un’ampia variabilità nell’approccio prescrittivo; in linea generale, così come raccomandato dall’OARSI (Osteoarthritis Research Society International), il paracetamolo, i FANS e la duloxetina (il primo farmaco che non rientra nella classe dei FANS o degli analgesici oppiacei a ottenere l’indicazione per la gestione del dolore cronico) rappresentano i trattamenti più appropriati (6). L’inibitore della ricaptazione della serotonina-norepinefrina, duloxetina, è risultato efficace e ben tollerato nella terapia del dolore cronico associato all’artrosi (7). Dal 42% al 67% dei pazienti trattati con duloxetina ha raggiunto una riduzione del dolore ≥30% o ≥50%, il miglioramento della funzione fisica o miglioramenti soggettivi,

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ortopedia / osteoartrosi

approccio preventivo nell’osteoartrosi L’adozione di uno stile di vita basato su un regime alimentare salutare e su una regolare attività fisica rappresenta l’approccio principale preventivo della patologia. Obesità e sovrappeso costituiscono, infatti, i principali fattori di rischio modificabili dell’osteoartrosi, in grado di acuirne la sintomatologia per via del carico articolare, accelerando la degenerazione della cartilagine. In questi casi, è fortemente raccomandata la riduzione del peso corporeo. È quindi fondamentale prediligere un’alimentazione basata sull’assunzione di cibi ricchi di antiossidanti e omega 3 che aiutano a combattere i radicali liberi e a contrastare l’infiammazione. Prodotti ricchi di grassi animali, di additivi e conservanti o di scarsa qualità sono deleteri. Da eliminare, o limitare, il consumo di sale che, trattenendo i liquidi nelle articolazioni, provoca gonfiori e difficoltà nei movimenti. Stessa indicazione per lo zucchero bianco, responsabile della produzione di radicali liberi coinvolti nell’aumento dello stress ossidativo e dell’infiammazione, con un progressivo conseguente invecchiamento cellulare.

rispetto al 26-50% dei controlli. I pazienti con dolore artrosico refrattario o con controindicazioni ai trattamenti raccomandati (o in attesa di intervento chirurgico o quando non è eseguibile), sono invece eleggibili al trattamento con analgesici oppioidi (tramadolo). Nei pazienti con dolore neuropatico, il trattamento può mirare o a ridurre la sensibilizzazione centrale e periferica oppure ad aumentare l’attività discendente inibitoria mediante l’utilizzo di anticonvulsivanti, antidepressivi o capsaicina. Recentemente l’antiepilettico-anticonvulsivante pregabalin ha dimostrato di migliorare i punteggi di dolore e funzione nei pazienti con osteoartrosi della mano (8). La terapia dell’osteoartrosi può avvalersi

Da prediligere, invece, cavoli, cavolfiori e broccoli che, essendo ricchi di sulforafano (composto che svolge un’azione benefica nel prevenire e rallentare la patologia poiché blocca gli enzimi responsabili della distruzione delle articolazioni), modificano l’attività infiammatoria. Anche l’assunzione di verdure a foglia verde (lattuga, spinaci, bietole), pesce (tonno, salmone), frutta secca e semi, grazie all’elevata presenza di omega 3, giocano un ruolo importante nella riduzione dell’infiammazione articolare. Frutti di bosco, ricchi di antiossidanti, e i cereali integrali, dalle spiccate proprietà antinfiammatorie (sono inoltre ricchi di sali minerali), sono particolarmente utili nel contrastare lo stress ossidativo associato alle malattie reumatiche. L’olio extravergine di oliva svolge un’importante azione antinfiammatoria grazie ai molti nutrienti che combattono l’azione dei radicali liberi. Il medesimo discorso vale anche per il tè verde, ricco di epigallocatechina gallato, dal potente effetto antinfiammatorio. La presenza di polifenoli, inoltre, riduce il danno alla cartilagine e l’erosione delle ossa.

anche di agenti in grado di modificare il decorso clinico e radiologico della malattia, la glucosamina e il condroitin solfato, entrambi elementi costitutivi della matrice cartilaginea. La loro combinazione riduce, infatti, il restringimento dello spazio articolare nei pazienti con osteoartrosi sintomatica del ginocchio (9). Tutti i professionisti della salute che sono interessati a più livelli nella gestione dei soggetti affetti da osteoartrosi sono coinvolti nel percorso educazionale del paziente che dovrebbe essere adeguatamente informato sulla natura di questa condizione, sulle varie opzioni terapeutiche disponibili e sull’importanza della prevenzione ed evoluzione della malattia.

Bibliografia 1. R. Bernabei, E. Manes-Gravina, F.

Mammarella. Osteoarthritis in elderly population. Review. Sezione di Geriatria Clinica, G Gerontol 2011; 59:57-62. 2. Superio-Cabuslay E et al. Patient education interventions in osteoarthritis and rheumatoid arthritis: a meta-analytic comparison with non-steroidal anti-inflammatory drug therapy. Arthrilis Care Res 1996; 9: 202-231. 3. Perrot S and Menkes CJ. Nonpharmacological approaches to pain in osteoarthrosis. Drugs 1996; 52 (suppl. 3): 2126. 4. Deyle GD et al. Effectiveness of manual physical therapy and exercise in osteoarthritis of the knee: a randomized, controlled trial. Ann Intem Med 2000; 132: 173-181. 5. Ettinger WH et al. A randomized trial comparing aerobic exercise and resistance exercise with a health education program on older adults with knee osteoarthritis. The fitness arthritis and seniors trial (FAST). JAMA1997; 277: 25-31. 6. McAlindon TE, Bannuru RR, Sullivan MC, Arden NK, Berenbaum F, Bierma-Zeinstra SM et al. OARSI guidelines for the nonsurgical management of knee osteoarthritis. Osteoarthritis and cartilage 2014; 22: 363-388. 7. Citrome L, Weiss-Citrome A. A systematic review of duloxetine for osteoarthritic pain: what is the number needed to treat, number needed to harm, and likelihood to be helped or harmed? Postgrad Med. 2012 Jan;124(1):8393. 8. Sofat N, Harrison A, Russell MD, Ayis S, Kiely PD, Baker EH, Barrick TR, Howe FA. The effect of pregabalin or duloxetine on arthritis pain: a clinical and mechanistic study in people with hand osteoarthritis. J Pain Res. 2017 Oct 10;10:2437-2449. 9. Fransen M, Agaliotis M, Nairn L, Votrubec M, Bridgett L, Su S, Jan S, March L, Edmonds J, Norton R, Woodward M, Day R; LEGS study collaborative group. Glucosamine and chondroitin for knee osteoarthritis: a double-blind randomised placebocontrolled clinical trial evaluating single and combination regimens. Ann Rheum Dis. 2015 May;74(5):851-8.

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stili di vita / consumo alcolico

l’alcol accorcia la vita Da tempo sotto la lente di ingrandimento per i danni correlati al suo consumo eccessivo, ora un nuovo studio suggerisce di abbassare ulteriormente le soglie di sicurezza per evitare di mettere a repentaglio il proprio futuro

di Renato Torlaschi

Bibliografia 1. Wood AM et al. Risk thresholds for alcohol

consumption: combined analysis of individualparticipant data for 599 912 current drinkers in 83 prospective studies. Lancet. 2018 Apr 14;391(10129):1513-1523.

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he esagerare con l’alcol faccia male non è una grande novità, ma secondo i risultati di un nuovo importante studio (1) anche l’abitudine di bere un paio di bicchieri di vino ogni giorno potrebbe danneggiare seriamente la salute. Pubblicato su The Lancet, lo studio ha visto la collaborazione di oltre 120 ricercatori che hanno raccolto dati sulle abitudini di consumo e sulla salute cardiovascolare di quasi 600mila bevitori in tutto il mondo. Questo imponente lavoro ha portato alla determinazione di una soglia di sicurezza che, però, è molto più bassa di quello che si pensava: 12,5 unità di alcol a settimana, circa cinque birre grandi o cinque bicchieri di vino. Se si beve di più, ci si accolla un significativo aumento del rischio di incorrere in problemi cardiovascolari, inclusi ictus, aneurisma aortico, malattia ipertensiva fatale e insufficienza cardiaca. Se si va un po’ oltre e si arriva a dieci o più drink alla settimana, l’aspettativa di vita si riduce di uno o due anni, mentre 18 drink alla settimana producono effetti ancora più drammatici: in media, da quattro a cinque anni di vita in meno. La sorpresa degli esperti «Chi beve solo un poco sembra che non corra molti rischi – ha commentato David Spiegelhalter dell’Università di Cambridge – ma oltre le due unità al giorno il tasso di mortalità inizia a salire. Ogni unità alcolica oltre la soglia di sicurezza comporta in media 15 minuti di vita in meno, lo stesso di una sigaretta. Ovviamente - osserva lo studioso ciascuno può decidere se ne valga la pena». Ricordiamo che un’unità alcolica corrisponde a circa 12 grammi di etanolo, che sono contenuti in un bicchiere piccolo (125 ml) di vino a media gradazione, in una lattina o bottiglia

di birra (330 ml) di media gradazione o in una dose da bar (40 ml) di superalcolico. Anche Tim Chico dell’Università di Sheffield si è soffermato sul confronto con il fumo di sigaretta, notoriamente molto dannoso: «Non sarei sorpreso che i forti bevitori perdessero altrettanti anni di vita dei fumatori», ha affermato. Gli autori dello studio ritengono che molte raccomandazioni governative sul consumo di alcol debbano essere riformulate in modo più restrittivo. Negli Stati Uniti, per esempio, le linee guida adottate dal governo federale definiscono a basso rischio il consumo di due drink alcolici “standard” al giorno per gli uomini e uno per le donne in aggiunta a non più di 14 drink alla settimana: secondo i nuovi risultati si tratta di una soglia decisamente troppo elevata. In Gran Bretagna, le raccomandazioni sono state riviste al ribasso nel 2016 e ora la soglia è di 14 drink complessivi alla settimana, equivalenti a sei pinte di birra o sei bicchieri di media dimensione di vino: in questo caso si tratta di limiti abbastanza coerenti con le nuove evidenze scientifiche prodotte. In generale, nei Paesi dell’Unione europea fanno testo le “Linee guida europee”, che in Italia sono state presentate lo scorso anno dall’Istituto Superiore di Sanità: raccomandano di non superare i 10-20 grammi di alcol al giorno, sia per gli uomini che per le donne. Prima di allora, il consumo giornaliero ritenuto a basso rischio variava, tra gli Stati Membri, dai 20 ai 48 grammi di alcol puro per gli uomini e dai 10 ai 32 grammi per le donne. «Il messaggio chiave che si può dedurre dalla nostra ricerca – ha dichiarato l’autrice principale, Angela Wood dell’Università di Cambridge – è che i consumatori di bevande alcoliche dovrebbero ridurre le dosi se vogliono vivere più a lungo e ridurre il rischio di numerose condizioni cardiovascolari avverse».

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sport / cardiomiopatia aritmogena

Morte cardiaca improvvisa: nuove scoperte e nuove speranze

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l caso di Davide Astori, il capitano della Fiorentina deceduto improvvisamente il marzo scorso, è il più recente in ordine di tempo. Altri sportivi professionisti, come il nuotatore Mattia Dall’Aglio o il calciatore Piermario Morosini, rientrano in una serie di morti improvvise in soggetti asintomatici e apparentemente sani, tanto da praticare sport a livello professionale e agonistico. Recentemente, anche il Corriere della Sera ne ha palato come della “malattia silenziosa che minaccia gli atleti”. Questa “malattia silenziosa” è la cardiomiopatia aritmogena, la cui origine è genetica e risulta fatale se non individuata, diagnosticata, seguita e curata nel tempo. Va aggiunto che i casi di morte improvvisa tra chi pratica attività fisica regolare fanno notizia anche a distanza di tempo se, a esserne colpito, è uno sportivo professionista, un personaggio noto. Però è bene altresì precisare che ogni anno, nel nostro Paese, migliaia di persone comuni, spesso giovani, subiscono la medesima sorte. Dato che tali cardiopatie congenite possono sfuggire a una comune visita sportiva, va dunque pensata una anamnesi maggiormente dettagliata e approfondita tra i giovani che praticano sport, specie se esiste una familiarità di eventi cardiaci improvvisi. Gli studi e i progressi recenti Ogni anno in Italia muoiono in questo modo repentino circa 50 mila persone e, tra i giovani al di sotto dei 35 anni, sono proprio le forme ereditarie di cardiomiopatia ad avere un ruolo preminente. Ma di cosa si tratta, in definitiva? Nella ARVC (Cardiomiopatia Aritmogena del Ventricolo Destro), il tessuto

cardiaco viene sostituito da tessuto adiposo e fibroso. Questo processo favorisce lo sviluppo di aritmie cardiache, quali tachicardia e fibrillazione ventricolare, che provocano perdite di coscienza e arresto cardiaco. Nel caso di fibrillazione ventricolare, senza una pronta defibrillazione elettrica, si ha la morte improvvisa in pochissimi minuti. La buona notizia è che, su tale patologia, le conoscenze si sono perfezionate grazie agli studi genetici e farmacologici che vengono condotti da anni. Peter Schwartz è il cardiologo e ricercatore da sempre impegnato, sia sotto il profilo clinico che genetico, nello sforzo di comprendere e contrastare la morte cardiaca improvvisa (1), tanto da essere oggi riconosciuto, anche a livello internazionale, come uno dei massimi esper-

Questo drammatico evento, che colpisce soprattutto i giovani atleti, ha un’origine genetica che può essere individuata attraverso un’adeguata anamnesi sia tra coloro che praticano sport, sia tra i loro familiari

di Pierangelo Garzia dicembre 2018

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sport / cardiomiopatia aritmogena

il ruolo dei geni modificatori nella morte cardiaca improvvisa “Perché, tra i membri di una stessa famiglia portatrice della medesima mutazione genica che causa la malattia, alcuni soffrono di arresto cardiaco e muoiono improvvisamente mentre altri attraversano serenamente la vita senza sintomi?”. In effetti, il quesito è d’obbligo da parte di cardiologi che gestiscono pazienti affetti da disturbi genetici associati ad aritmie cardiache potenzialmente letali. Data un’identica mutazione patogenetica, infatti, ci si aspetterebbe anche un decorso clinico simile tra chi ne è affetto. Ma la realtà è spesso diversa perché le condizioni genetiche, anche quelle associate a mutazioni identiche, possono avere manifestazioni cliniche variabili.

l’autore degli studi Dopo aver diretto per venti anni la cattedra di cardiologia dell’Università di Pavia presso il Policlinico S. Matteo, Peter Schwartz è attualmente direttore del Centro per lo studio e la cura delle aritmie di origine genetica presso l’Istituto Auxologico Italiano di Milano. Oltre ad aver sempre lavorato a livello internazionale, soprattutto negli Stati Uniti e in Sud Africa, è l’unico ricercatore europeo i cui studi, proprio per la loro rilevanza, sono stati ininterrottamente finanziati per oltre quarant’anni dal Governo americano.

Bibliografia 1. European Heart Journal 2018 Sep 11 Modifier genes for sudden cardiac death. Schwartz PJ, Crotti L, George AL J. doi: 10.1093/eurheartj/ehy502.

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Una spiegazione ampiamente accettata è l’esistenza di fattori genetici (geni modificatori) in grado di modificare le conseguenze delle mutazioni che causano la malattia. In un articolo recente, pubblicato dall’European Heart Journal (1), originato dal Centro Aritmie Genetiche e dal Laboratorio di Genetica Cardiovascolare dell’Istituto Auxologico Italiano, sono stati presi in esame i concetti e i principi in base ai quali i fattori genetici possono essere coinvolti nella modifica del rischio di aritmia cardiaca alla luce delle attuali conoscenze e dell’interpretazione del loro contributo alla diversità clinica. Più precisamente, sono state indagate importanti condizioni

ti. «Mi sono sempre occupato della morte improvvisa nei bambini, negli adulti e negli atleti», spiega il ricercatore. «Recentemente abbiamo ricevuto dal Ministero della Salute un importante finanziamento per studiare, insieme a due grandi esperti di cardiologia dello sport quali il prof. Pelliccia di Roma e il dott. Sarto di Treviso, 1000 atleti con l’obiettivo di identificare malattie genetiche associate al rischio di gravi aritmie. Lo studio è nato anche da una nostra scoperta: infatti, abbiamo notato che alcuni giovani sportivi mostravano delle alterazioni dell’ECG tali da far pensare a una malattia pericolosa come la sindrome del QT lungo. Invece, in alcuni casi, erano dovute soltanto a una predisposizione genetica che provoca, con il training fisico, l’allungamento dell’intervallo QT. Queste alterazioni sono spesso reversibili con il “detraining” (un’importante riduzione nella frequenza e intensità degli allenamenti) e portano a escludere la malattia evitando anche i danni psicologici correlati. Allo stesso tempo, lo studio permette di identificare i giovani affetti dalla malattia e quindi realmente a rischio. I controlli periodici dell’ECG sono essenziali, ma il medico sportivo deve sapere bene cosa cercare: in tale ottica, an-

cliniche associate al rischio di morte cardiaca improvvisa, incluso un disturbo monogenico (sindrome del QT lungo congenito) in cui è stato stabilito l’impatto dei geni modificatori, e un tratto complesso (aritmie potenzialmente letali nell’infarto miocardico acuto) per cui la ricerca di modificatori genetici del rischio aritmico è più impegnativa. I progressi nella comprensione del contributo dei geni modificatori a una maggiore o minore propensione alla morte improvvisa dovrebbero migliorare sensibilmente la conoscenza della progressione del rischio specifico per il paziente e rappresentare un passo importante verso la medicina di precisione.

che se la prova da sforzo è indispensabile, è fondamentale anche la registrazione Holter per 24 ore con ECG a 12 derivazioni poiché costituisce un grande aiuto alla diagnosi, soprattutto proprio di alcune malattie di origine genetica. Inoltre, nei casi sospetti, l’analisi genetica aiuta moltissimo. Il nostro laboratorio di biologia molecolare scopre le mutazioni che causano malattia in circa l’85% dei casi, una delle percentuali di successo più alte al mondo», afferma lo studioso. L’importanza degli studi sull’ARVC hanno un impatto scientifico e clinico. Da un lato, infatti, aiutano a chiarire i meccanismi genetici alla base della ARVC, dall’altro rendono possibile l’identificazione precoce di molti soggetti ignari di esserne affetti. Infatti, spesso i segni clinici della malattia si manifestano solo dopo molti anni. Oggi, se in un soggetto viene diagnosticata clinicamente la mutazione su un determinato gene già identificato per la patologia, si potrà sapere, in poche settimane, se anche altri membri della sua famiglia ne sono geneticamente affetti: in questo modo, si potranno iniziare immediatamente strategie di prevenzione, ottenendo così una riduzione di casi di morte improvvisa nei pazienti con ARVC.

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neuroscienze / inquinamento

inquinamento e Alzheimer Demenze vascolari e altre patologie simili potrebbero essere favorite da condizioni ambientali compromesse dalle attività umane. Ecco cosa emerge da uno studio recente

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n nuovo studio di dimensioni imponenti ha rilevato un legame tra l’inquinamento atmosferico e le diverse forme di demenza. I ricercatori del King’s College e dell’Università di Londra, che lo hanno realizzato, sostengono che le cause della demenza, compresa la malattia di Alzheimer, sono ancora ambigue e «potrebbero essere multifattoriali». Certamente il loro lavoro incoraggerà ulteriori ricerche, soprattutto perché il carico globale della demenza peserà moltissimo sulle società future e sui sistemi sanitari. Pubblicato su BMJ Open (1), lo studio ha esaminato 130.978 persone di età compresa tra i 50 e i 79 anni che, prima del 2005, non avevano avuto una storia di demenza. Gli indirizzi delle loro abitazioni sono stati utilizzati per monitorare e acquisire i dati sulle concentrazioni di biossido di azoto e ozono, due tra le più comuni sostanze prodotte da fonti di inquinamento atmosferico, dal traffico alle centrali elettriche alimentate a combustibili fossili e collegate a una serie di esiti negativi sulla salute. I risultati ipotizzano una correlazione Dal 2005 al 2013, a 2.181 dei soggetti analizzati è stata diagnosticata una forma di demenza: di questi, il 39% ha sviluppato l’Alzheimer e il 29% demenza vascolare. Analizzando queste persone per età, sesso, etnia, fumo e indice di massa corporea, i ricercatori hanno scoperto che gli adulti che vivono in aree con i più alti livelli di biossido di azoto hanno un rischio di demenza maggiore del 40% rispetto a quelli che risiedono in aree a basso tasso di inquinamento.

Oltre a essere una tra le principali cause di morte in Inghilterra e Galles, la demenza è in crescita in tutti i Paesi sviluppati: l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), prendendo atto del fatto che ogni anno vengono diagnosticati dieci milioni di nuovi casi in tutto il mondo, ne ha fatto una priorità di salute pubblica. È noto che, allo stato attuale, non esiste una cura per queste patologie e quindi è già molto importante individuare dei fattori di rischio. Lo studio inglese, di tipo retrospettivo, descrive delle correlazioni, ma non è certo in grado di stabilire meccanismi di causa-effetto: dunque, l’interpretazione dei dati ottenuti deve essere presa con cautela, come gli stessi autori riconoscono. Tra l’altro, non è stato possibile determinare l’esposizione individuale all’inquinamento atmosferico e resta una notevole incertezza sulla percentuale di aumento del rischio. Tuttavia, non si tratta di risultati isolati: il legame dell’inquinamento atmosferico con la demenza, o più in generale con problemi cognitivi, è stato esaminato più volte e stanno emergendo tendenze preoccupanti. Martie Van Tongeren, professore di medicina occupazionale e ambientale presso l’Università di Manchester, ha elogiato lo studio e la solidità dei suoi dati. Nonostante le inevitabili lacune, Van Tongeren concorda sul fatto che le prove sono oramai sempre più sostanziali, al punto da suggerire una linea d’azione abbastanza ovvia: a intervenire devono essere le autorità politiche con l’adozione di misure forti per ridurre l’inquinamento atmosferico.

di Renato Torlaschi

Bibliografia 1. Carey IM, Anderson HR, Atkinson RW,

Beevers SD, Cook DG, Strachan DP, Dajnak D, Gulliver J, Kelly FJ. Are noise and air pollution related to the incidence of dementia? A cohort study in London, England. BMJ Open. 2018 Sep 11;8(9):e022404.

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ambiente / urbanizzazione

Le città: opportunità ma anche molti rischi per la salute Più della metà della popolazione mondiale vive oggi in aree urbane e si stima che fra trent’anni questa percentuale salirà al 70%: solo un paio di secoli fa era del 2%

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di Renato Torlaschi

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l mondo si sta rapidamente urbanizzando con cambiamenti significativi nei nostri stili di vita, nei comportamenti sociali e nella salute – ha affermato Jacob Kumaresan, direttore del Centro per lo sviluppo della salute dell’Organizzazione mondiale della sanità –. Se da un lato la vita urbana offre molte opportunità, tra cui il potenziale accesso a una migliore assistenza sanitaria, dall’altro gli ambienti urbani attuali possono introdurre nuovi rischi».

In tutto il mondo, le città svolgono un ruolo vitale nel tessuto sociale dei Paesi e nelle economie nazionali e regionali. In teoria le città offrono possibilità di istruzione, impiego, servizi, arricchimento culturale e l’aspettativa di migliore salute. In realtà, queste opportunità non sempre si confermano nella pratica. Il reddito nazionale e l’indice di sviluppo umano sono fortemente correlati con il livello di urbanizzazione. In quasi tutti i Paesi, le aree urbane contribuiscono in modo

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ambiente / urbanizzazione

preponderante al prodotto nazionale lordo: per esempio, Bangkok produce il 40% del Pil della Thailandia, con appena il 12% della popolazione. L’Unchs, il Programma delle Nazioni Unite per gli insediamenti umani, il cui compito è favorire un’urbanizzazione socialmente e ambientalmente sostenibile, rileva che la sopravvivenza infantile, specie nei Paesi in via di sviluppo, può essere migliore nelle città piuttosto che nelle zone rurali a causa di un migliore accesso all’assistenza sanitaria. D’altra parte, la rapida e spesso non pianificata crescita urbana è anche associata al degrado ambientale e a richieste della popolazione che superano le risorse disponibili, per esempio in termini di acqua potabile, servizi igienico-sanitari, smaltimento e trattamento dei rifiuti. Sovraffollamento La vita nelle città è caratterizzata dalla stretta vicinanza delle persone, che aumenta nei quartieri poveri dove più famiglie devono condividere spazi angusti. L’affollamento aumenta il contatto con l’aria respirata e con gli oggetti toccati da altri, esponendo i cittadini a malattie a trasmissione respiratoria oppure oro-fecale, come la tubercolosi, la cardiopatia reumatica o le infezioni da elminti. Inoltre, nelle città è stato riportato un maggiore tasso di lesioni intenzionali, sia suicidi che omicidi, e di casi di malattie mentali, che alcuni studiosi spiegano proprio con la convivenza in spazi ristretti. Inquinamento atmosferico E poi, ovviamente, bisogna considerare l’inquinamento atmosferico, che è una delle principali cause di morbilità e mortalità nel mondo e che in città è certamente più elevato. Asma e broncopneumopatia cronica ostruttiva, ma anche certi tumori, sono associati all’inquinamento atmosferico che deriva da fonti sia esterne che interne. Le prime sono più conosciute e do-

un istituto per promuovere la salute nella città Health City Institute è un health tank indipendente, apartitico e no profit, nato come risposta civica all’urgente necessità di studiare i determinanti della salute nelle città. L’Istituto ha raccolto in un “manifesto” i punti chiave per guidare le città a migliorare la salute dei loro abitanti, a partire dalla necessità di riconoscere che ogni cittadino ha diritto a una vita sana e integrata nel proprio contesto urbano e di rendere la salute dei cittadini il fulcro di tutte le politiche urbane. Tra le misure auspicate, c’è quella di promuovere la health literacy, o alfabetizzazione sanitaria, affinché tutti i cittadini possano acquisire la capacità di ottenere, elaborare e capire le informazioni sanitarie di base e di accedere ai servizi necessari per effettuare scelte consapevoli. A questo proposito, gli esperti di Health City Institute propongono di inserire l’educazione

sanitaria in tutti i programmi scolastici, con particolare riferimento ai rischi per la salute nel contesto urbano. Il manifesto chiede di incoraggiare stili di vita sani nei luoghi di lavoro; sviluppare politiche locali di trasporto urbano orientate alla sostenibilità ambientale e alla creazione di una vita salutare; promuovere una cultura alimentare appropriata attraverso programmi dietetici mirati per ridurre l’obesità; ampliare e migliorare l’accesso alle pratiche sportive e motorie per tutti, favorendo lo sviluppo psicofisico dei giovani e l’invecchiamento attivo, considerando soprattutto la salute delle fasce più deboli ed esposte della popolazione urbana. Si tratta insomma di agire sulla prevenzione delle malattie, specialmente quelle croniche, predisponendo dei programmi appositi e creando iniziative locali per promuovere l’adesione dei cittadini.

vute alla circolazione di veicoli, ai sistemi di riscaldamento e ai siti industriali: a Città del Messico, una delle metropoli più grandi del mondo, tre quarti dell’inquinamento atmosferico è causato dallo scarico dei veicoli a motore. L’avvelenamento da piombo è un problema significativo nei Paesi in cui la benzina lo contiene ancora, mentre nelle città europee sono in atto strategie di medio periodo per ridurre le emissioni di particolato dei motori diesel. Anche l’aria all’interno delle abitazioni è altrettanto inquinata a causa di alcuni combustibili, del fumo di tabacco, di materiali edili, arredi e altri impianti che rilasciano sostanze nocive, ma è anche vero che questo tipo di inquinamento colpisce sia le aree rurali che quelle urbane. Interno o esterno che sia, l’inquinamento atmosferico è uno dei principali fattori di rischio per lo sviluppo infezioni respiratorie acute, la più importante causa di morte per i bambini tra uno e cinque anni nei Paesi in via di sviluppo. dicembre 2018

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day zero scongiurato per città del capo Città del Capo, in Sudafrica, è diventata suo malgrado emblematica di cosa potrebbe produrre l’esaurimento delle scorte dell’acqua. La crisi idrica è iniziata nel 2015 e, agli inizi del 2018, l’’acqua conservata nelle dighe circostanti ha raggiunto livelli talmente bassi da spingere la municipalità a predisporre piani per il Day Zero, il gior-

no in cui si dovranno tagliare la forniture di acqua, rendendo Città del Capo la prima città al mondo a esaurire le scorte. L’adozione di misure di salvaguardia, però, ha prodotto i suoi frutti: il consumo d’acqua è stato più che dimezzato e il Day Zero appare scongiurato, ma solo per l’immediato futuro.

Acqua L’urbanizzazione, si traduce spesso in un consumo eccessivo di acqua e talvolta gli impianti di trattamento sono insufficienti. L’impossibilità di un accesso diretto, dalle proprie abitazioni, all’acqua è tuttora presente in alcune zone del mondo e rende molto complicate le più elementari misure di igiene. Questi casi si associano a numerosi problemi sanitari, dai pidocchi alla scabbia. Non si tratta solo delle conseguenze della povertà: infatti, le riserve

d’acqua si stanno riducendo in tutto il mondo e i cambiamenti climatici hanno la loro parte. Ma è proprio nei centri urbani che spesso si hanno le maggiori criticità. Rifiuti Un sistema efficiente di raccolta dei rifiuti solidi è una delle importanti sfide che le amministrazioni cittadine devono affrontare. Se non risolta in modo efficace, i rischi per la salute sono notevoli, specie nelle baraccopoli ancora così comuni fuori dal continente europeo. Le discariche offrono ai cittadini più poveri opportunità per il riciclaggio di certi tipi di rifiuti, in cambio di rischi di lesioni, avvelenamenti e morsi di animali. Alternative alle discariche, come gli inceneritori, comportano altri tipi di rischi, tra cui un possibile, ulteriore aumento dell’inquinamento atmosferico, anche con sostanze pericolose, come la diossina. I rifiuti solidi non raccolti, inoltre, possono anche trasformarsi in pericolosi siti di riproduzione per una varietà di vettori infettivi, come le zanzare, responsabili di gravi epidemie, dalla dengue alla chikungunya, che si sono diffuse negli anni scorsi in diverse aree del mondo. Stili di vita Infine, le città favoriscono stili di vita più sedentari rispetto alle aree rurali. La combinazione di una ridotta attività fisica e di un più facile accesso a prodotti lavorati industrialmente, ricchi di calorie e poveri di nutrienti, contribuiscono alla crescente diffusione di obesità e diabete in tutto il mondo. Alcuni studiosi ritengono che questi comportamenti siano fortemente correlati alle differenti abitudini che si associano alla vita urbana. Le cifre, del resto sono chiare: nel mondo sono 415 milioni le persone affette da diabete e due terzi di loro vivono nelle aree urbane; secondo alcune stime questa percentuale dovrebbe aumentare fino ai tre quarti entro il 2040.

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Nanowire Memristor: un dispositivo per riprodurre le sinapsi del cervello La ricerca ha permesso di individuare un “nanofilo” in grado di emulare le funzionalità delle terminazioni neuronali umane. Si apre così una nuova era nel campo dell’intelligenza artificiale e dei dispositivi ultra-miniaturizzati

Una delle maggiori sfide per la tecnologia moderna è capire a fondo il cervello umano e per emularne le funzioni: da un lato, infatti, c’è la necessità di riuscire a riprodurre artificialmente l’elaborazione dei suoi segnali, fondamentale per lo sviluppo dell’intelligenza artificiale. Dall’altra vi è lo studio dei processi cognitivi che stanno alla base della mente umana e che risultano ancora lontani dall’essere decifrati completamente. Ora la ricerca pubblicata sulla prestigiosa rivista Nature Communications da Gianluca Milano e Carlo Ricciardi, rispettivamente dottorando e docente del Dipartimento Scienza Applicata e Tecnologia del Politecnico di Torino, segna un passo in avanti in queste direzioni. Infatti, lo studio, intitolato “Self-limited single nanowire systems combining all-in-one memristive and neuromorphic functionalities”, mostra come sia possibile riprodurre artificialmente l’attività delle sinapsi, ovvero le connessioni tra neuroni che regolano i processi di apprendimento nel nostro cervello, in un singolo “nanowire” (nanofilo) migliaia di volte più piccolo di un capello. Si tratta di un “nanofilo” cristallino che porta a un livello più performante il “memristor”, il dispositivo elettronico in grado di riprodurre artificialmente le funzionalità delle sinapsi biologiche. Grazie alle nanotecnologie, che permettono la manipolazione della materia a livello atomico, è stato possibile combinare, per la prima volta in un unico dispositivo, le funzionalità sinaptiche che erano singolarmente riprodotte da specifici dispositivi. Il nanofilo,

IL memristor e il futuro dell’intelligenza artificiale La teoria dei circuiti è basata sulla conoscenza di tre bipoli fondamentali: resistore, capacitore e induttore. Essi sono definiti in termini di relazione tra due delle quattro grandezze fondamentali dei circuiti, ossia: corrente i, tensione v, carica q (o integrale di corrente θ), e flusso magnetico φ (o integrale di tensione λ). Nel 1971 Leon Chua, professore dell’università di Berkeley, ipotizzò l’esistenza di un quarto componente passivo elementare: il memristor, unione di memoria e resistore. Per 37 anni, del memristor, sono rimaste solo le brillanti equazioni proposte da Chua, ma nel 2008, i ricercatori degli HP Labs, guidati da Stanley Williams, hanno annunciato di aver individuato una tecnica per costruire dispositivi in grado di riprodurre il comportamento di un memristor. Nel tempo, sono stati numerosi i tentativi di riprodurre artificialmente il funzionamento del cervello, in particolare con l’introduzione delle reti neurali, ossia di un insieme connesso (in punti chiamati “nodi” della rete) costituito da unità di elaborazione fondamentali (neuroni artificiali) ispirate al neurone biologico. La capacità di una rete di elaborare informazioni

infatti, permette un’estrema miniaturizzazione del “memristor”, riducendo la complessità e il consumo di energia dei circuiti elettronici necessari all’implementazione di algoritmi di apprendimento. Partendo dalla teorizzazione del “memristor”, nel 1971, da parte del prof. Leon Chua - ora visiting professor al Politecnico di Torino – questa nuova tecnologia permetterà di realizzare non solo dispositivi ancora più piccoli ed efficienti per computer sempre più “intelligenti”, ma risulta essere anche un significativo passo in avanti per

è racchiusa nell’entità delle connessioni internodali (pesi sinaptici), che vengono generate da un processo adattativo (apprendimento) a partire da un insieme di campioni di addestramento. Tali reti sono realizzate nella forma di programmi, mentre il necessario hardware è costituito da calcolatori del tipo usuale, caratterizzati sempre dal loro funzionamento sequenziale. Ma la scoperta del memristor ha scatenato entusiasmo e ottimismo nella progettazione di circuiti rivoluzionari, segnando una nuova era per il progresso della neuromorfica e delle applicazioni analogiche, in quanto le sue dinamiche sono correlate con quelle della sinapsi chimica. In sintesi, la plasticità della sinapsi è un attributo che può essere efficacemente imitato da un memristor grazie alla sua memristenza che cambia dinamicamente a seconda dello stimolo applicato. Grazie alla disponibilità di un così prezioso dispositivo, hanno preso il via nuovi progetti di intelligenza artificiale che mirano alla costruzione di macchine in grado di imparare, ragionare, risolvere problemi e prendere decisioni, mirando così alla realizzazione di un obiettivo che fino a pochi anni fa appariva utopistico.

l’emulazione e comprensione del funzionamento del cervello. «Il nanowire memristor commenta Carlo Ricciardi - rappresenta un modello per lo studio dei fenomeni fisici ed elettrochimici che alla nanoscala governano le sinapsi biologiche. Il lavoro è il frutto della collaborazione tra il nostro gruppo di ricerca e l’Università RWTH di Aquisgrana, supportato da INRiM, l’Istituto Nazionale di Ricerca Metrologica, e IIT, l’Istituto Italiano di Tecnologia». Marcella Valverde

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Il diabete giovanile colpisce sempre di più: il dato emerge anche grazie a DiaDay Sta crescendo rapidamente il numero di bimbi, sempre più piccoli, cui viene diagnosticata la forma di diabete mellito di tipo 1. Oltre alla somministrazione di insulina, serve anche una corretta gestione della quotidianità

Il dato è preoccupante e si è evidenziato ancora di più grazie ai numeri emersi dalla campagna di prevenzione della scorsa edizione del DiaDay: +3% di nuovi casi ogni anno. E i numeri crescono anche in Italia, dove circa 20mila, fra bambini e adolescenti, già oggi devono (con)vivere con il diabete mellito di tipo 1, la forma “giovanile” caratterizzata dalla totale assenza dell’insulina, l’ormone prodotto dal pancreas. I dati di vengono confermati anche dalla Società Italiana di Diabetologia (SID): 6/7 bambini su 100mila tra 0 e 14 anni, con una frequenza maggiore al di sotto dei 3 anni. Nonostante i numeri siano importanti e si imponga una presa di controllo efficace e “terapeutica” sul diabete mellito di tipo 1 fin dai suoi esordi con la somministrazione di insulina, gli esperti cercano di tranquillizzare soprattutto i genitori. La vita dei piccoli, infatti, può svolgersi nella normalità con 3 azioni corrette: iniezioni quotidiane di insulina, più volte al giorno, secondo lo schema del diabetologo; una diabetodieto-terapia senza limitazioni né eccessive privazioni, salvo un maggior controllo di carboidrati, zuccheri e grassi; regolare attività fisica. Una vita sana e attiva aiuta nel controllo del diabete mellito di tipo 1. La forma più giovanile della malattia colpisce mediamente 7 bambini su 100.000 ogni anno, con una maggiore frequenza tra le femmine, secondo un rapporto di 1 a 5, e local44

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mente. Ovvero con un’incidenza 4-5 volte maggiore in Sardegna rispetto alla media nazionale. «Il diabete mellito di tipo 1 si genera a causa della carenza assoluta di insulina, l’ormone prodotto da alcune cellule pancreatiche, che ha il compito di salvaguardare e mantenere nella norma i livelli di glicemia nel sangue», spiega la dottoressa Carla Lertola, medico specialista in Scienza dell’Alimentazione e Dietetica, in occasione della Giornata Mondiale del Diabate, celebrata lo scorso 14 novembre. Quando manca l’insulina prodotta dal pancreas, per ottenere un corretto assorbimento e la conseguente metabo-

lizzazione degli zuccheri servono 3 azioni efficaci, accettabili e gestibili anche dai piccoli supportati da un’educazione e un monitoraggio da parte dei genitori. 1. La terapia. «È il fondamento della cura – aggiunge la dottoressa Lertola – e prevede la somministrazione di insulina più volte al giorno con un’iniezione sottocutanea. La quantità può variare in base alle attività e all’età del bambino, ma nuovi dispositivi come iniettori a penna, molto pratici e semplici da utilizzare, hanno facilitato il trattamento. Compito del genitore è non far pesare

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questa “necessità vitale” ai piccoli, facendo loro vivere la terapia come un evento che fa parte della quotidianità da condividere insieme, al pari del momento della convivialità a tavola». 2. La dieta. «Non sono necessarie eccessive limitazioni ma solo piccole attenzioni alla dieta, riguardo, per esempio, l’assunzione dei carboidrati. Sono da preferire – aggiunge l’esperta - quelli derivati da cereali integrali e legumi che contengono carboidrati complessi. Vegetali e frutta apportano invece zuccheri semplici, ma con il valore aggiunto di un apporto complessivo di fibre, sostanza di cui sono ricchi tutti questi alimenti e preziosa per il benessere generale dell’organismo, anche dei bimbi». Una

diabeto-dieto-terapia perfetta? «Potrebbe essere composta dal consumo di 5 porzioni al giorno tra ortaggi e frutta - raccomanda ancora la dottoressa Lertola - variando i colori: verde (verdura), rosso (pomodori), arancione (carote, arance) e poi legumi (fagioli, lenticchie, ceci, piselli, ecc.) almeno 3 volte a settimana, una tazza di latte parzialmente scremato al giorno oppure uno yogurt magro, formaggi e latticini 2-3 volte a settimana, tre porzioni di pesce a settimana, carni magre e bianche, pane e pasta integrale. Per condire la dieta dei bambini è bene usare preferibilmente olio extravergine di oliva evitando i grassi “saturi” come burro, strutto, panna, pancetta, ma anche i grassi “trans” di biscotti e merendine che possono essere smascherati nell’etichetta osservando i contenuti di oli/grassi idrogenati/ parzialmente idrogenati. Tra le bevande sono da preferire acqua, centrifugati o estratti di frutta e verdura, spremute di frutta fresca, riducendo (ancora meglio, evitando) succhi conservati. Il divieto assoluto esiste per le bibite zuccherate, ma anche per quelle light». Nella dieta non è importante solo cosa mangiare, ma anche come farlo: «La prima regola è non saltare mai la colazione - dichiara l’esperta – assumendo una tazza di latte parzialmente scremato o un vasetto di yogurt magro, accompagnato da fette biscottate o pane o cereali o biscotti secchi, integrali,. Per la merenda mattutina, mettete nello zaino dei vostri piccoli un frutto di medie dimensioni (circa 150 g) da consumare, se possibile, con

la buccia già ben lavata. Nei restanti due pasti principali, pranzo e cena, assicuratevi che nella dieta dei piccoli siano presenti, in uno di essi, il primo piatto e il secondo nell’altro, evitando di accoppiare nello stesso pasto due amidacei come pane e pasta, o pane e riso, o pizza e pasta». 3. Il movimento. «L’esercizio fisico, specie se aerobico, è parte integrante del piano di trattamento del diabete anche nei bambini. Oltre alle ore di ginnastica fatte a scuola – raccomanda la dottoressa Lertola – bisognerebbe arrivare a una quantità settimanale di tre ore sportive o di movimento. Una regolare attività fisica, infatti, non solo aiuta a combattere lo stress, ma apporta anche importanti benefici sul metabolismo: migliora la sensibilità all’insulina, riduce i livelli di trigliceridi e di colesterolo cattivo (LDL) a vantaggio di quello buono (HDL), aiuta il controllo della pressione arteriosa e previene le malattie cardiovascolari». Attenzione però anche agli sport: «Meglio non iscrivere i piccoli con diabete a corsi e attività sportive a elevato rischio di traumi, soprattutto a livello della testa, come, per esempio, il pugilato. Quelli “raccomandati”, sebbene da praticare con il consenso del pediatra o dello specialista, sono nuoto, sci di fondo o discesa, tennis, mentre fra gli “autorizzati” si può scegliere fra pallavolo, ginnastica artistica per le bambine e calcio, pallacanestro, ciclismo per i maschietti», conclude la dottoressa. Marcella Valverde dicembre 2018

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Le residenze per gli anziani premiate da Onda con il bollino di qualità Sono distribuite su tutto il territorio nazionale e si distinguono per l’eccellenza delle cure non solo sotto il profilo medico, ma anche da quello umano. Le RSA d’eccellenza, infatti, sono un esempio da conoscere e da seguire

Sono state recentemente premiate 153 RSA presenti in Italia, in possesso di requisiti identificati da una Commissione multidisciplinare di esperti e considerati importanti per garantire la migliore accoglienza degli ospiti. Il criterio si basa non solo sulle caratteristiche socio-sanitarie, come l’appropriatezza dell’assistenza clinica, le caratteristiche strutturali e i servizi offerti, ma anche per l’attenzione al lato umano dell’assistenza e della cura, volta a garantire agli ospiti una buona qualità di vita e una permanenza dignitosa all’interno dell’RSA stessa. Sulla base di questi criteri è stato attribuito il massimo riconoscimento (tre bollini) a 60 RSA, mentre 92 hanno ricevuto 2 bollini e 1 struttura ha ottenuto 1 bollino. «I Bollini RosaArgento sono una “bussola socio sanitaria” che orienta i familiari e le persone anziane nella scelta delle RSA più

attente al benessere e alla tutela della dignità degli ospiti», sostiene Giorgio Fiorentini, Presidente della Commissione Bollini RosaArgento. «Tutto nella logica di curare, ma anche di “prendersi cura” delle persone anziane. Si è creato un network di RSA che, tramite un reciproco confronto informativo e formativo, sviluppa e offre servizi sempre più coerenti alle aspettative degli ospiti. I Bollini RosaArgento sono un “rating” della qualità dei servizi delle RSA», osserva. Cresce il numero di strutture di eccellenza «Rispetto al bando precedente, questa seconda edizione ha registrato un notevole aumento delle strutture aderenti», commenta Francesca Merzagora, Presidente Onda. «Per il biennio 2019-2020 sono infatti 153 le RSA candidate a livello nazionale

i risultati del concorso best practice Onda ha promosso anche il “Concorso Best Practice”, rivolto alle RSA appartenenti al circuito 2017-2018, con l’obiettivo di identificare e premiare le migliori prassi sul tema delle terapie non convenzionali. All’iniziativa hanno aderito 25 strutture che hanno presentato in totale 48 servizi valutati poi da un apposito Comitato di esperti sulla base di alcuni criteri come rilevanza, multidisciplinarietà, efficacia, efficienza e replicabilità del ser-

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vizio. Sono state selezionate le seguenti 8 Best Practice premiate durante la cerimonia di assegnazione dei Bollini RosaArgento 2019-2020: Italian Hospital Group – RSA 3 Geriatria (Guidonia, RM), Casa di Cura Villa Rosa (Viterbo), KORIAN Vittoria (Brescia), A.S.F.A.R.M. Azienda Speciale (Induno Olona, VA), Istituto Geriatrico P. Redaelli (Milano), RSA Pio Albergo Trivulzio (Milano), KORIAN Ippocrate (Milano), KORIAN Il Giglio (Firenze).

e premiate con almeno un bollino, il 54% in più rispetto al biennio passato. Inoltre, si sono aggiunte 68 nuove strutture. Questo risultato rappresenta un segnale importante che esprime una maggiore determinazione delle RSA di promuovere i propri servizi e attività, come esempio virtuoso di attenzione nei confronti degli ospiti e delle loro famiglie. Quasi il 40% delle strutture del nuovo network hanno raggiunto il massimo riconoscimento di 3 Bollini RosaArgento evidenziando così il loro impegno nell’assicurare una presa in carico di qualità. Inoltre, anche se molte delle RSA premiate sono concentrate nelle Regioni del Nord e del Centro Italia, rispetto al vecchio network sono entrate anche nuove strutture in Calabria e Sardegna. Riteniamo, perciò, che questo elemento geografico sia fortemente significativo poiché rappresenta un tentativo di rispondere positivamente alla problematica italiana della difformità regionale rispetto all’accesso ai servizi».

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i fautori dell’inizitiva Il programma di assegnazione dei Bollini RosaArgento ha il patrocinio di: AIP - Associazione Italiana Psicogeriatria, FNOPI - Federazione Nazionale degli Ordini delle Professioni Infermieristiche, Senior Italia Federanziani, SICGe – Società Italiana di Cardiologia Geriatrica, SID – Società Italiana di Diabetologia, SIGG – Società Italiana di Gerontologia e Geriatria, SIGITE – Società Italiana Ginecologia Terza Età, SIGOT – Società Italiana Geriatria Ospedale e Territorio, SIMG – Società Italiana di Medicina Generale e delle Cure Primarie, SINEG – Società Italiana di Neurogeriatria, SIP – Società Italiana di Psichiatria, SIR – Società Italiana di Reumatologia.

Per le famiglie è una scelta difficile «Per una famiglia il dover ricorrere a una RSA per l’anziano non autosufficiente rappresenta sempre un momento delicato», dichiara Roberto Messina, Presidente Senior Italia Federanziani. «Occorre assicurarsi che i propri cari risiedano in un luogo sicuro, professionale, che metta le esigenze della persona al centro del proprio operato. I Bollini RosaArgento rappresentano, a tal fine, uno strumento importante di riconoscimento verso quelle strutture che si sono distinte proprio per l’attenzione riservata al benessere psicofisico complessivo dei loro ospiti. Si tratta di una certificazione tanto più preziosa quanto più complicato è oggi orientarsi nell’offerta rispetto a criteri come la qualità dell’assistenza, il livello dei servizi e il rispetto della dignità del paziente fragile». «L’impegno nell’affermare la centralità della famiglia nel contesto sociale si traduce anche nella necessità di tutelare il benessere psicofisico di tutti i suoi componenti, con particolare riferimento agli anziani - afferma Silvia Piani, Assessore alle Politiche per la Fa-

miglia, Genitorialità e Pari Opportunità della Regione Lombardia. - Il progressivo aumento della vita media ci porta inevitabilmente verso nuovi bisogni che meritano le attenzioni di tutti quei soggetti, pubblici e privati, che erogano servizi di assistenza e di cura. È importante, anche nell’ottica di un progressivo e generale miglioramento della qualità dell’offerta, che vengano valorizzate tutte quelle esperienze che possono rappresentare un modello di eccellenza a cui ambire e a cui fare riferimento. Per questo non posso che ringraziare l’”Osservatorio nazionale sulla salute della donna e di genere” per il valore di questa iniziativa». L’impegno a supportare le funzioni cognitive «Recentissimi studi - afferma Claudio Mencacci, Presidente Dipartimento di salute mentale ASST FBF Sacco, Milano - confermano l’importanza, per i pazienti anziani ricoverati in una RSA, di contrastare in particolare due sintomi frequentemente associati a depressione per ridurre l’incremento del decadi-

mento cognitivo: uno psichico, l’apatia, e l’altro fisico, la sarcopenia, ossia la riduzione di massa muscolare. In particolare, l’apatia, caratterizzata da deficit di motivazione, ridotta iniziativa e indifferenza affettiva, aumenta di due volte il rischio relativo di decadimento cognitivo ed è una condizione abbastanza frequente nella popolazione anziana con deficit cognitivi, dal momento che interessa dal 20 al 50% dei soggetti. La sarcopenia, a sua volta, è frequentemente associata a un raddoppio della depressione, come viene confermato da metanalisi recenti condotte su oltre 30mila persone. La co-presenza di apatia, sarcopenia e depressione aumenta significativamente il rischio di decadimento o di peggioramento della funzionalità cognitiva». Un’attenzione particolare è stata dedicata proprio alle strutture che si sono impegnate nel migliorare la qualità di vita degli assistiti attraverso progetti volti a stimolare le funzioni cognitive, psico-motorie e relazionali e nel favorire l’autonomia e le capacità degli anziani mediante un approccio non convenzionale. Marcella Valverde

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Nasce Goovi, il benessere naturale per tutta la famiglia

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ato dall’incontro tra Michelle Hunziker e Artsana Group, Goovi è un nuovo brand che propone prodotti per il benessere della donna e di tutta la famiglia. La priorità agli ingredienti di origine naturale e una filosofia “Good Vibes” hanno dato vita a formulazioni efficaci e sicure. I prodotti sono pensati per le donne e le mamme di oggi, dinamiche e sempre tese a cercare un punto di equilibrio tra la vita lavorativa e quella familiare. Per trasmettere anche un po’ di leggerezza, già nel loro aspetto colorato i prodotti Goovi comunicano positività. «Ho sempre desiderato dei prodotti che rendessero il mio quotidiano più semplice e salutare e che, allo stesso tempo, fossero divertenti perché l’allegria è un aspetto importante della mia vita. Con

Artsana, ci siamo impegnati per diversi mesi nello sviluppo di un brand positivo e adatto anche ai vegani che combina i benefici degli ingredienti naturali con la filosofia “Good Vibes”. Volevo prodotti adatti anche alle mie bambine: di grande efficacia e naturali», afferma Michelle Hunziker, co-fondatrice del marchio. La linea Family Care si prende cura dell’igiene di tutta la famiglia con prodotti con fino al 99,5% di ingredienti di origine naturale dermatologicamente testati su pelli sensibili, nickel tested e 1,4 diossano tested. Sono privi, invece, di parabeni, fonossietanolo, siliconi, solfati, oli minerali, PEG, SLS, SLES, coloranti, alcol, e fragranze sintetiche. Gli Integratori Donna sono stati pensati

specificamente per il benessere femminile: infatti, ne sostengono i ritmi giornalieri, mensili o stagionali. Le materie prime sono state rigorosamente selezionate e offrono un’elevata biodisponibilità. Inoltre sono senza glutine e senza lattosio, testati su ogni lotto di produzione. Prodotte in Italia, le linee Goovi sono disponibili nelle farmacie, parafarmacie e sul sito aziendale. The Good Vibes Company s.r.l. Tel. 800 087573 info@goovi.com www.goovi.com

Depurativo Rheum, la miscela di erbe amica del fegato

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rodotto da Inalme con il marchio Alta Natura, il Depurativo Rheum è una miscela di 12 erbe officinali che favorisce il buon funzionamento di fegato, reni e intestino, specialmente dopo periodi di stress o di alimentazione scorretta. La sua speciale formulazione ha l’obiettivo non solo di favorire l’eliminazione di tossine, ma anche di contrastare l’ipercolesterolemia e l’ipertrigliceridemia. Infatti, agisce sulle vie deputate all’eliminazione dei cataboliti di fegato, intestino, reni e cute, stimolandone l’attività. Contestualmente, riduce l’assorbimento di sostanze potenzialmente dannose. I principi attivi presenti nel tarassaco, nel carciofo, nel cardo mariano e nella fumaria favoriscono le funzioni depurative svolte dal fegato e vengono poten-

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ziate dalla presenza di curcuma e boldo. La curcuma, in particolare, contribuisce a normalizzare i valori di bilirubina, transaminasi, fosfatasi alcalina e colesterolo. Le sue proprietà antiossidanti fanno sì che contrasti gli effetti negativi dei radicali liberi, specialmente quelli che interessano tutto il sistema digestivo. Anche il carciofo è celebre per la sua azione epatoprotettiva: infatti, contrasta l’azione dei radicali liberi, ha un effetto positivo sulla bile e protegge il fegato dalle sostanze tossiche. Il tarassaco è ricco di inulina, preziosa per mantenere in buona salute il microbiota intestinale e, quindi, per favorire il benessere generale dell’organismo. Questa pianta è importante anche perché favorisce la formazione della

bile, il transito intestinale e l’eliminazione dei liquidi in eccesso. Nella formulazione del Depurativo Rheum sono presenti anche il rabarbaro, che regola la funzione digestiva, mentre equiseto, betulla e sambuco svolgono un’azione drenante dei liquidi corporei. Il prodotto contiene anche magnesio, inositolo e manganese ed è privo di dolcificanti artificiali e di coloranti aggiunti. Inalme s.r.l. Tel. 095 291971 commerciale@inalme.it www.inalme.it - www.altanatura.com

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Guna respira con theBreath®, IL TESSUTO ANTI-INQUINAMENTO

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inquinamento è presente ovunque, non solo all’aperto. Infatti, anche negli ambienti al chiuso l’aria è inquinata come quella esterna, se non di più. Le cause sono varie: per esempio, abitudini errate, una scarsa aerazione delle stanze, arredi o apparecchiature che rilasciano sostanze nocive. Che fare? Oggi si può ricorrere a una nuova tecnologia che purifica l’atmosfera indoor: si tratta del tessuto theBreath®, che assorbe particelle inquinanti presenti nell’aria. Guna, l’azienda farmaceutica italiana leader nella medicina dei bassi dosaggi, è stata coerente con la propria filosofia: pensando al wellness dei propri dipendenti, ha installato negli ambienti della sua sede milanese 30 pannelli che sembrano quadri,

ma che, in realtà, costituiscono un sistema di filtraggio. Si tratta del primo caso di applicazione, in una realtà aziendale, del tessuto theBreath®, caratterizzato da una fibra in grado di assorbire l’aria inquinata per poi rimetterla immediatamente in circolo pulita e purificata. Prodotto da Anemotech, realtà tutta italiana che progetta soluzioni finalizzate a migliorare la qualità dell’ambiente in cui viviamo, theBreath® è un tessuto all’avanguardia che si può posizionare in ambienti outdoor e indoor. La sua trama è formata da due strati esterni di materiale stampabile e traspirante (consentono dunque il passaggio in entrata e in uscita dell’aria) e da un’anima intermedia, in fibra carbonica, capace di “catturare” e disgre-

gare le sostanze volatili nocive. Realizzati e personalizzati ad hoc con immagini scelte dai dipendenti Guna, i pannelli sono stati appesi alle pareti in alcuni punti nevralgici degli spazi lavorativi. L’effetto estetico, le dimensioni e gli ingombri sono quelli di un qualsiasi altro quadro, con in più i benefici in termini di qualità dell’aria respirata. Guna S.p.A. Tel. 02 280181 info@guna.it - www.guna.it Anemotech s.r.l. Tel. 0247951759 - www.thebreath.it

Dermexa, la linea per la pelle secca e soggetta a eczema

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a oltre 70 anni Aveeno® è all’avanguardia nella cura delle pelli più fragili e sensibili. Chi ne è soggetto, ora può trarre grande beneficio grazie al potere degli ingredienti di origine naturale racchiusi nelle formule avanzate e brevettate di Dermexa. Si tratta di una linea completa, studiata appositamente per lenire la pelle molto secca, irritata e tendenzialmente soggetta a dermatite atopica. Dermexa, con il Bagno Doccia Emolliente, la Crema Emolliente e il Balsamo Corpo Lenitivo Sollievo Immediato, impiega nutrienti fondamentali per proteggere la pelle molto irritata, coniugando il meglio della natura alla scienza d’avanguardia. Il risultato sono prodotti che nutrono intensamente la pelle, donano un sollievo

istantaneo ed eliminano la sensazione della pelle “che tira”. La formula brevettata alla Tripla Avena contiene essenza di Avena, Avena colloidale, Olio di Avena e Ceramidi. L’Avena, infatti, possiede la capacità di attirare l’umidità dell’atmosfera sulla pelle e di rafforzare in modo naturale la barriera cutanea, mentre le Ceramidi aiutano la barriera cutanea a trattenere e preservare l’idratazione per 24 ore, alleviando così il prurito e la sensazione di secchezza. Tra i prodotti della linea Dermexa, il Balsamo Corpo Lenitivo Sollievo Immediato è clinicamente testato e studiato con i dermatologi per idratare a fondo la pelle estremamente secca e tendenzialmente atopica. Già dalla prima applicazione, si avvertirà una sensazio-

ne di benessere e di minore irritazione. Il balsamo, inoltre, è in grado di preservare il naturale equilibrio dell’epidermide e di ripristinare la barriera cutanea. Il risultato è un aspetto sano e una pelle più forte che verrà consolidato dall’uso costante.Dermexa di Aveeno® è in vendita in Farmacia al prezzo consigliato di € 9,00. Johnson&Johnson S.p.A. Tel. 800 55522000 www.aveeno.it

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le aziende informano

Kiron, i prodotti per sostenere tutti gli sportivi

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iron nasce nel 2002 dalla trentennale esperienza della Clinica Mobile del Dott. Costa al servizio dei piloti del Motomondiale. Inizia così la ricerca scientifica per offrire prodotti di Integrazione e Fisioterapia che rispondano alle esigenze degli sportivi, in un mix di qualità ed efficacia, e privilegiando, ove possibile, gli ingredienti naturali, evitando nella maniera più assoluta l’uso di sostanze dal dubbio effetto. I prodotti Kiron sono stati sviluppati per supportare lo sportivo professionista, ma hanno ben presto dimostrato quanto le loro caratteristiche siano utili anche per agonisti, amatori o quanti credono che una vita dinamica sia la via giusta per stare bene. La gamma di integrazione Kiron è composta

da 9 prodotti pensati per supportare chi ha una vita attiva e dinamica, ognuno concepito per una specifica esigenza. Kiron stravolge l’odierna e prevalente accezione negativa di “integrazione”per restituirla al suo significato originario: aiutare il corpo sottoposto a sforzi a recuperare naturalmente il suo equilibrio. La selezione di materie prime di altissima qualità e l’attenzione ai dosaggi offrono un supporto completo in ogni stagione e in ogni stato fisico. La linea di fisioterapia Kiron presenta 6 referenze tra creme, oli e balsami, concepiti per un uso professionale o individuale. Questa linea è stata pensata per trattare al meglio i muscoli prima, durante e dopo lo sforzo e per permettere un recupero più veloce in

caso di problemi o di traumi alle articolazioni. Considerati un punto di riferimento per i piloti di Motomondiale e Superbike, grazie al passaparola tra gli sportivi professionisti e i medici, lo sono diventati anche per atleti olimpici di varie discipline e hanno trovato ampio uso anche fuori dall’ambito sportivo. Lo slogan aziendale, non a caso, è “nati per lo sport, perfetti per il tuo benessere!”. Wellness Lab s.r.l. Tel. 0516238861 info@k-iron.com - www.k-iron.com

Da FitoBucaneve, la linea Helyderma a base di bava di lumaca

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el 1948 nasce Bucaneve, una piccola azienda famigliare che si propone alle farmacie. Nel 1996, con l’ingresso in azienda dei nipoti del titolare, diventa FitoBucaneve. Così, già nel nome racchiude un progetto ambizioso: ottenere prodotti naturali, innovativi ed efficaci con le migliori tecniche produttive. Questa filosofia è confermata, tra l’altro, dalla linea Helyderma, dermatologicamente testata. Formulata per donare un’epidermide priva di imperfezioni, è tutta a base di bava di lumaca, un vero toccasana per la cura di molti inestetismi cutanei. Infatti, è in grado di riparare in profondità i tessuti grazie alla presenza di preziose sostanze, tra cui allontoina, acido glicolico, acido lattico, collagene, aminoa-

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cidi, elastina e vitamine A, C, E. Alla bava di lumaca vengono aggiunti altri ingredienti naturali a seconda della tipologia di cute da trattare: per esempio, la Crema dermatologica, delicata e lievemente profumata, è costruita su una crema-base di tipo farmaceutico che va a potenziare l’azione dei suoi componenti e a migliorarne la veicolazione. La sua formulazione unisce le proprietà anti-age della bava di lumaca a quelle rigeneratrici della Bio-placenta, che offre caratterizzata da una struttura molto simile a quella umana, ma che, invece, è di origine naturale. La Crema

contiene anche fattori di crescita che svolgono un’azione anti-age, rigenerativa e nutriente. Questa sinergia si potenzia con l’aggiunta di olio di Rosa Mosqueta, antiossidante, anti-age e idratante, che contribuisce ad attenuare le macchie cutanee. Completano la formulazione l’olio di Jojoba, anti-age, idratante ed emolliente, e il collagene, idratante, rigenerante ed elasticizzante. FitoBucaneve s.r.l. Tel. 0290297217 info@fitobucaneve.it www.fitobucaneve.it

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