Traumatologia forense 3/2016

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traumatologia aspetti clinici e medico legali in traumatologia

Direttore scientifico Prof. Fabio M. Donelli

CASI CLINICI

99 Valutazione del danno da traumatismi della strada: ausilio della biomeccanica 99 Biomeccanica forense nella ricostruzione di fatti e incidenti 99 Macrodanni e perdita di chance in seguito a sinistro MONOGRAFIE

99 Biomeccanica forense: panoramica delle competenze 99 Evoluzione della responsabilitĂ sanitaria in ambito civile 99 Il risarcimento del danno da morte CORSO FAD

novembre

2016

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99 Appropriatezza in ortopedia e traumatologia

Griffin Editore / www.griffineditore.it



traumatologia forense / novembre 2016

n.3

SOMMARIO

Editoriale

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Fabio M. Donelli Caso clinico 1

Traumatologia Forense Periodico semestrale Anno II - numero 3 - novembre 2016 Direttore responsabile Giuseppe Roccucci g.roccucci@griffineditore.it Redazione Lara Romanelli - redazione@griffineditore.it Rachele Villa - r.villa@griffineditore.it Segreteria di redazione e traffico Maria Camillo - Tel. 031.789085 customerservice@griffineditore.it Consulenza grafica Marco Redaelli - info@creativastudio.eu Stampa: Alpha Print srl Via Bellini, 24 - 21052 Busto Arsizio (VA) Abbonamento annuale (2 numeri): 15 euro Singolo fascicolo: 7,50 euro Copyright© Griffin srl unipersonale EDITORE Griffin srl unipersonale

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Valutazione del danno da traumatismi della strada: ausilio della biomeccanica B. Guidi, M. Di Paolo

Caso clinico 2 Biomeccanica forense nella ricostruzione di fatti e incidenti

pag. 15

C. Frigo

Caso clinico 3 Macrodanni e perdita di chance in seguito a sinistro

pag. 23

F. M. Donelli, M. Gabbrielli, M. Benvenuti, G. Nucci, L. P. Solimeno

Monografie Biomeccanica forense: panoramica delle competenze

pag. 33

C. Frigo

Evoluzione della responsabilità sanitaria in ambito civile

pag. 45

E. Macrì

Il risarcimento del danno da morte

pag. 53

F. Bilancetti

ECM/Modulo 1 • I doveri del medico

pag. 63

F.M.Donelli, G. Gualtieri, G. Landi

• Appropriatezza prescrittiva

pag. 66

D. Vasapollo, M. Monti

• Le sanzioni

pag. 69

M. Gabbrielli, M.Benvenuti, G. Nucci • La responsabilità penale

pag. 72

L. Isoppo

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BOARD SCIENTIFICO Direttore scientifico Prof. Fabio M. Donelli specialista in Ortopedia e Medicina Legale - professore a contratto Università degli Studi di Milano e Brescia

Prof. Giorgio Guidetti presidente Società Italiana di Vestibologia

Comitato scientifico

Avv. Lorenzo Isoppo avvocato del Foro di Parma

Dott. Renzo Angeloni già direttore SOD Spalla e Arto Superiore, AOU Careggi

Avv. Ernesto Macrì consulente avvocato Siot

Prof. Francesco M. Avato direttore Istituto di Medicina legale di Ferrara Avv. Roberto Baggio avvocato civilista

Dott. Roberto Marruzzo specialista in Ortopedia e Medicina legale Prof. Massimo Martelloni direttore UO di Medicina Legale Azienda USL2 di Lucca

Prof. Giuseppe Basile professore a contratto Istituto di medicina legale di Ferrara

Prof. Giuseppe Martini ordinario di Fisiatria, Università di Siena

Prof. Claudio Buccelli ordinario di Medicina legale, Università di Napoli; presidente Simla

Avv. Enrico Moscoloni vicepresidente dell’Ordine degli Avvocati di Milano

Prof. Fabio Buzzi, ordinario di Medicina Legale, Università di Pavia

Prof. Luigi Pastorelli docente a contratto di Teoria del Rischio, direttore scientifico del BigDataLab dell’Università di Tor Vergata

Prof. Giorgio Maria Calori direttore UOC Chirurgia Ortopedica Riparativa e Risk Management Ist. Ortopedico Gaetano Pini di Milano - presidente Estrot Prof. Rodolfo Capanna ordinario di Ortopedia, Università di Pisa; presidente Siot Prof.ssa Rossana De Cecchi associato di Medicina Legale, Università di Parma Prof. Alberto Corradi già direttore Scuola di Specializzazione in Ortopedia e Traumatologia di Milano

Prof. Roberto Pessina professore a contratto Bicocca Monza Prof. Antonino Michele Previtera direttore della Scuola di Specializzazione in Medicina Fisica e Riabilitativa dell’Università degli Studi di Milano Prof. Pietro Randelli ordinario in Ortopedia - Università degli Studi di Milano Prof. Pietrantonio Ricci ordinario di Medicina legale, Università di Catanzaro

Dott. Giovanni Cortese dirigente Medico II Livello - Sovrintendenza Sanitaria Centrale Inail

On. Dott. Michele Saccomanno presidente Nuova Ascoti

Dott. Paolo Costigliola dirigente medico UO Malattie Infettive A.O. Univ. S. Orsola-Malpighi di Bologna

Dott. Luigi Solimeno Direttore Unità Operativa Complessa Traumatologia d’Urgenza Fondazione Irccs Cà Granda Ospedale Maggiore Policlinico di Milano

Prof. Francesco De Ferrari ordinario di Medicina legale - Università degli Studi di Brescia

Prof. Mario Tavani ordinario di Medicina legale – Università degli Studi dell’Insubria

Prof. Carlo De Rosa docente a contratto Scuola di specializzazione in Medicina Legale e delle Assicurazioni - Università degli Studi di Catanzaro

Prof. Domenico Vasapollo Già direttore Scuola di Specializzazione di Medicina legale, Bologna

Prof. Francesco De Stefano ordinario di Medicina legale, Università di Genova Prof. Giuseppe Dell’Osso ordinario di Medicina legale Prof. Marco D’Imporzano Primario Emerito di Ortopedia e Traumatologia presso l’Istituto Ortopedico Gaetano Pini di Milano Prof. Carlo A. Frigo associato presso Dipartimento di Elettronica, Informazione e Bioingegneria - Politecnico di Milano Prof. Mario Gabbrielli ordinario di Medicina Legale, Università di Siena

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Dott.ssa Angela Goggiamani sovrintendente Sanitario Centrale Inail

Prof. Andrea Verzeletti direttore Istituto di Medicina legale di Brescia Prof. Pierluigi Viale ordinario di Malattie Infettive Università di Bologna Dott. Alberto Zerbi direttore UO di Radiologia - Irccs Istituto Ortopedico Galeazzi di Milano Prof. Gianfranco Zinghi già primario terza divisione Istituto ortopedico Rizzoli di Bologna Prof. Raffaele Zinno Segretario Sismla Prof Riccardo Zoia ordinario di Medicina Legale e direttore della Scuola di Specializzazione in Medicina Legale, Università degli Studi di Milano


traumatologia forense / novembre 2016

n.3

EDITORIALE

Prof. Fabio M. Donelli Direttore scientifico di Traumatologia forense

Approccio multidisciplinare per la valutazione delle lesività Accertare una lesione, cercarne le complicanze, valutarne la gravità, prevederne e quantificarne l’estensione dei postumi sono gli obiettivi comuni della clinica. D’altro canto, il traumatizzato e il politraumatizzato in particolare, rappresentano una tipologia di pazienti che creano conflitti di competenza che a volte vanno a discapito del paziente stesso. Infatti, un non mirato approccio multidisciplinare può portare a un allungamento della degenza e a un ritardo terapeutico. L’aumento della patologia traumatica da incidente stradale, oltre al numero considerevole di decessi, determina postumi di ordine funzionale, quali ad esempio esiti dovuti a lesioni neurovascolari con l’insorgenza di menomazioni a carattere permanente. Si pensi ad esempio all’osteoporosi post-traumatica, molto diffusa, piuttosto che all’algodistrofia loco-regionale ancora oggi spesso non riconosciuta, con criteri valutativi adeguati alla reale valutazione del danno post-traumatico. Nella metodologia valutativa vanno segnalate l’importanza del dato anamnestico e le caratteristiche delle modalità lesive. Altresì importante nella valutazione in oggetto è l’analisi delle vicende cliniche in relazione al corteo sintomatologico e ai rilievi obiettivi clinici, iconografici e strumentali. Anche in questo numero vengono proposte riflessioni cliniche, biomeccaniche, giuridiche e report con discussione del caso. Fabio M. Donelli

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traumatologia CASO CLINICO


traumatologia forense / novembre 2016

n.3

CASO CLINICO

Valutazione del danno da traumatismi della strada: ausilio della biomeccanica La biomeccanica offre un contributo sostanziale all’interprete medico-legale nell’analisi di un sinistro

B. Guidi*, M. Di Paolo** *Usl Nord-ovest Toscana, SC di Medicina Legale, sede di Lucca **Sezione di Medicina Legale, Ospedale S. Chiara, Università di Pisa

Una delle maggiori problematiche delle procedure di risarcimento del danno alla persona, per lesioni conseguenti a un sinistro della strada, è la ricostruzione a posteriori di eventi a suo tempo verificatisi, da cui talora discendono valutazioni medico-legali solo teoriche e approssimative. In effetti, la ricerca causale tra l’evento di danno con quanto rilevato in termini di lesione e di menomazione impegna il valutatore che è chiamato ad accertare la compatibilità tra la natura della causa e la natura dell’effetto. Considerata la possibilità che fattori diversi ed estranei rispetto a quelli in studio possono intervenire nella seriazione causale originando effetti sostanzialmente differenti, si rende per lo più necessaria un’analisi

specifica e distinta di ogni singola fase della dinamica del trauma, allo scopo di verificare la reale sussistenza della correlazione causale. Ciò al fine di individuare eventuali simulazioni, esagerazioni, aggravamenti, pretestazioni e di contrastare il fenomeno delle frodi assicurative, ancora assai diffuso in tale particolare ambito. Nello studio della causalità, la biomeccanica offre un contributo sostanziale. Mediante gli strumenti propri dell’ingegneria e in particolare della meccanica applicata, consente un’analisi tecnico-fisica della dinamica dell’urto e della meccanica lesiva, in modo da fornire all’interprete medico-legale quegli elementi necessari per la verifica di una relazione materiale tra il sinistro e la compromissione dell’integrità psico-fisica del

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CASO CLINICO / Biomeccanica nell’analisi di un sinistro

danneggiato, soprattutto quando la lesione da accertare non presenta segni caratteristici di semeiotica medica e/o radiologica, quale il colpo di frusta, ma non solo. Iter clinico Un giovane adulto di sesso maschile dell’età di 26 anni, mentre circolava in qualità di terzo trasportato su di un’autovettura (VW Golf), rimase coinvolto in un tamponamento a catena. Il mezzo venne urtato da tergo da altro veicolo (Suzuki Vitara), mentre si trovava in fase di arresto dietro a un’altra vettura (Rover 75) che si era fermata per consentire l’attraversamento di un pedone. A causa dell’urto (primario) la Golf andò a collidere l’auto che la precedeva (urto secondario). L’uomo era seduto accanto al conducente munito degli appositi dispositivi di sicurezza. A distanza di poche ore dall’evento, il sogget-

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to, extracomunitario con scarsa conoscenza della lingua italiana, fu accompagnato in Pronto soccorso per “cervicalgia”. All’esame obiettivo veniva riferito dolore al rachide cervicale in sede mediana e paravertebrale e dolore alla digitopressione della spalla sinistra. Fu effettuata una radiografia della colonna cervicale che escludeva la presenza di lesioni scheletriche. L’uomo fu dimesso con diagnosi di trauma da contraccolpo del rachide cervicale e trauma da cintura e con prognosi di sette giorni. A distanza di cinque giorni tornò al Pronto soccorso a motivo di una marcata dolorabilità a livello dello scafoide carpale sinistro. In questa occasione, dichiarò che al momento della collisione stava inserendo un cd nel lettore dell’auto e che la sua mano urtò contro le strutture interne dell’abitacolo. Un esame radiologico documentò la presenza di una frattura dello scafoide sini-


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stro. La frattura fu trattata mediante osteosintesi. La lesione scheletrica manifestò un ritardo di consolidazione ai controlli radiologici evolvendo infine in pseudoartrosi. Per migliorare la motilità del polso e della mano fu eseguita la rimozione chirurgica della prima filiera del carpo ottenendo solo uno scarso recupero funzionale. Permaneva una condizione di parziale anchilosi quale disabilità permanente oltre a una sindrome da colpo di frusta. Valutazione medico-legale La valutazione medico-legale, secondo la classica ermeneutica, prevedeva di verificare la sussistenza di un duplice nesso di causalità materiale tra i tre cosiddetti determinanti del danno. Anzitutto tra fatto esterno, il sinistro stradale e lesioni, il colpo di frusta e la frattura di scafoide e successivamente, tra lesioni e menomazioni. Riguardo al colpo di frusta, si può affermare che esso rappresenti uno tra i disordini del rachide tutt’oggi solo parzialmente compreso. Solitamente esso consegue a un urto a bassa velocità con la dinamica tipica del tamponamento. Nel trauma da colpo di frusta il rachide cervicale assume una forma a S con iperestensione dei metameri inferiori e iperflessione dei segmenti superiori. L’accelerazione e l’energia accumulata dal segmento cefalico nel suo movimento all’indietro creano le condizioni per un’estensione di tutto il sistema osseo e muscolo-legamentoso del collo. L’urto contro il poggiatesta o il raggiungimento dell’estensione massima produce il rimbalzo in

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avanti del capo (rebound). La Quebec Task Force Classification distingue gradi diversi di lesioni traumatiche cervicali da colpo di frusta con quadri morbosi polimorfi, indicati nella letteratura internazionale con la denominazione di Whiplash Associated Disorders (Wad). La cervicalgia associata a limitazione funzionale, prevalentemente antalgica, dei movimenti attivi e passivi del rachide, rappresenta la sindrome clinico-funzionale di più frequente riscontro. Non vi è alcun segno specifications della malattia, nessun segno clinico o strumentale specifico del disordine che consenta di riconoscere l’evenienza di un colpo di frusta. Attualmente, nella prassi giudiziale, la distorsione traumatica del rachide è “accettata” in presenza di una radiografia del rachide che evidenzi la perdita della fisiologica lordosi o la rettilineizzazione del tratto cervicale. Ma tali segni radiologici non indicano con certezza una diagnosi di trauma da colpo di frusta, in quanto essi sono stati riscontrati anche in soggetti che non avevano subito alcun evento traumatico e viceversa. Studi sperimentali hanno evidenziato che durante il contraccolpo cervicale i dischi intervertebrali e le faccette articolari subiscono una sollecitazione di tipo tensivo che potrebbe esitare in un danno. Non vi è però al momento attuale, alcuna indagine strumentale in grado di rilevare tali alterazioni in soggetti che hanno subito un traumatismo cervicale. Per tali difficoltà diagnostiche è evidente, che in caso di un lamentato colpo di frusta, la biomeccanica può rappresentare un

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CASO CLINICO / Biomeccanica nell’analisi di un sinistro

valido supporto utile a/per verificare l’evenienza di tale lesione e la sua compatibilità con il fatto traumatico. Nel caso descritto, l’analisi biomeccanica del tamponamento a catena ha permesso di riconoscere l’effettiva ricorrenza di un colpo di frusta, inizialmente attraverso una valutazione cinematica che ha consentito la ricostruzione del tipo di collisione e la quantificazione della relativa velocità di impatto. L’urto primario tra Suzuki Vitara e Golf era risultato un tamponamento di tipo pressoché centrato, con urto a bassa velocità di natura elasto/plastica delle deformazioni e velocità relativa di impatto dell’ordine di 12-15 km/h. L’urto secondario tra Golf e Rover era invece un tamponamento di tipo presumibilmente disassato, eccentrico a destra (nella direzione di avanzamento della Golf) di tipo prevalentemente elastico con lievi deformazioni plastiche residue e velocità relativa di impatto pari a 6-8 km/h, valore al di sotto del quale (dalle prove di crash) i veicoli generalmente non presenterebbero evidenti danni strutturali. Poiché l’attore coinvolto subiva in successione due urti, i due eventi venivano considerati disgiunti ai fini della rilevazione delle forze e/o tensioni lesive. Preliminarmente fu calcolato il valore dell’accelerazione subita dal mezzo VW Golf in seguito al tamponamento e applicata poi la procedura di calcolo ergonometrica per valutare le lesioni in sede di rachide cervicale e delle altre articolazioni interessate. Ciò perché, come facilmente intuibile, il modulo dell’accelerazione media subita

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dal veicolo nel senso del moto è in generale diverso dal valore dell’accelerazione di picco del corpo del soggetto con incremento massimo di velocità compreso nell’intervallo di tempo caratterizzante la collisione. I valori di accelerazione si attestavano mediamente fra i 3 e 5 g per il veicolo e fra 4 e 6 g per il picco rilevabile sul corpo del passeggero. Per stabilire la verosimiglianza della lesione del colpo di frusta furono poi calcolate le forze agenti sul capo e sul collo. I risultati dell’analisi indicavano che l’evenienza del colpo di frusta era “probabile”. Diverse sono state invece le conclusioni riguardo alla frattura dello scafoide. Invero, dubbi sulla compatibilità tra il tamponamento e la lesione scheletrica potevano derivare già dalla cronologia stessa dell’evento. La ritardata comparsa della sintomatologia correlata alla frattura contrasta con le caratteristiche cliniche della lesione. La frattura di scafoide generalmente si associa a (immediato) dolore intenso e tumefazione. D’altro canto, non è infrequente però che l’algia sia lieve e che il trauma sia sottovalutato dal paziente. Peraltro, in atti risultavano testimonianze secondo cui l’uomo si sarebbe lamentato del dolore al carpo sinistro immediatamente dopo il trauma. Pertanto, sulla base dei dati clinici e delle prove testimoniali non poteva essere escluso che la frattura fosse stata causata dal tamponamento. Per il giudizio causale si rese dunque necessaria la valutazione della vis lesiva da accertarsi in concreto. La biomeccanica


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consentiva di dimostrare la mancanza di associazione causale tra il sinistro e la frattura di scafoide. L’analisi venne condotta sulla base dell’ipotesi più probabile che lo scafoide si fosse fratturato nella fase del primo urto. In quest’ottica, per la spinta postero-anteriore e l’accelerazione subita dalla Golf, l’arto sollevato nell’intento di inserire un cd conservando la propria inerzia, avrebbe colliso con un componente interno della vettura, (come ad esempio la leva del cambio o la leva del freno di emergenza). La seconda ipotesi di calcolo era stata quella di una rottura scheletrica in compressione. In sostanza, vista la geometria ossea in analisi, veniva esclusa l’ipotesi di rottura in flessione dello scafoide carpale. La quantificazione dell’accelerazione di picco veniva determinata applicandola all’intera inerzia dell’arto superiore. Ne era risultata una tensione agente sull’osso scafoide inferiore rispetto al valore di massima tensione tollerata dal tessuto osseo. Sulla base di tali risultanze, la frattura di scafoide non fu riconosciuta quale lesione secondaria al tamponamento. La congiunta analisi medica e biomeccanica ha permesso, nel caso descritto, di stabilire l’effettivo danno alla persona risarcibile conseguente alla collisione e rappresentato dal solo colpo di frusta da ristorare quale disabilità temporanea. Conclusioni L’incidenza della sinistrosità stradale è elevata in Italia con evidenti ripercussioni sia di ordine di tutela e sicurezza sociale sia di

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ordine economico. Secondo i dati forniti dall’Istituto Nazionale di Statistica, nell’anno 2015 si sono verificati 173.892 sinistri con lesioni a persone, per un costo totale quantificato intorno ai 17,5 miliardi di euro (valore pressoché analogo a quello del 2014). Anche da un confronto con gli altri Paesi europei, così come emerge dal rapporto “European Motor Insurance Markets” di Insurance Europe, il tasso di sinistri stradali con danni fisici è tra i più alti. Del costo totale dei risarcimenti (comprensivo sia dei danni a cose, sia dei danni alle persone) oltre i due terzi sono relativi a danni fisici; il 23% della spesa complessiva è costituito dal risarcimento di invalidità permanenti lievi, comprese tra 1 e 9 punti percentuali, mentre le lesioni gravi, con oltre 9 punti di invalidità permanente e i sinistri mortali hanno determinato nello scorso anno un esborso complessivo pari a circa 4,8 miliardi. Non va dimenticato poi che all’interno della spesa è ricompreso anche il costo delle frodi. Il fenomeno delle frodi assicurative ha proporzioni numericamente significative che spesso non trovano un reale riscontro nelle statistiche ufficiali. Esso incide pesantemente sull’onere complessivo delle compagnie assicuratrici. Sulla scia dei provvedimenti emanati dal legislatore con l’intento di ridurre i costi dei risarcimenti per lesioni minime (si veda il dettato normativo della legge 27/2010 che ha modificato le modalità di accertamento di lesioni e menomazioni di lieve entità) si ritiene, come ben esemplifica il caso

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CASO CLINICO / Biomeccanica nell’analisi di un sinistro

descritto, che la biomeccanica costituisca una metodica complementare di indagine di notevole valore nell’analisi di un sinistro, utile a oggettivare la reale vis lesiva di un evento traumatico e la sussistenza di lesioni a questa correlabili.

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traumatologia CASO CLINICO


traumatologia forense / novembre 2016

n.3

CASO CLINICO

Biomeccanica forense nella ricostruzione di fatti e incidenti Utilità di metodologie di modellizzazione e simulazione dinamica in ambito forense

C. Frigo Dipartimento di Elettronica, Informazione e Bioingegneria Politecnico di Milano

Il caso qui proposto intende essere un esempio di come la biomeccanica forense possa aiutare nella ricostruzione di fatti e incidenti che difficilmente, in altro modo, potrebbero trovare una spiegazione soddisfacente. Si intende anche sottolineare come le metodologie di modellizzazione e simulazione dinamica, che sempre più si stanno sviluppando e diffondendo nei vari settori della bioingegneria, trovino in ambito forense una collocazione di grande interesse e utilità. L’incidente è avvenuto in un maneggio per effetto dell’interazione dell’incidentato, la signora G., con il cavallo di cui era proprietaria. Stando alle varie testimonianze e descrizioni dei primi soccorritori, l’incidente sarebbe avvenuto nel seguente

modo: il cavallo era disposto longitudinalmente nel portico antistante il box di ricovero dei cavalli, legato ai due lati con la tecnica detta “ai due venti”. In generale, questa tecnica consiste nel disporre da ciascun lato del cavallo una corda (longhina) che collega l’anello laterale distale della capezza con un anello fissato al muro. Nel caso specifico il sistema di contenimento era composto, da ciascun lato, da un cordone di gomma, elastico, detto swoopy, in serie con un cordino di nylon; il cavallo avrebbe a un certo momento sollevato la testa e sarebbe arretrato per effetto dell’avvicinarsi della signora G. Con questo movimento avrebbe messo in tensione gli elementi elastici di conteni-

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CASO CLINICO / Biomeccanica forense nella ricostruzione di fatti e incidenti

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mento, fino al momento in cui la capezza si sarebbe sfilata dalla testa e sarebbe partita a gran velocità verso il volto della signora stessa, procurandole i danni descritti nelle relative cartelle cliniche. I quesiti tecnici che sono stati posti e che hanno una notevole rilevanza in ordine alla possibilità di individuare eventuali responsabilità e quindi agli effetti assicurativi, sono i seguenti: • sono compatibili i danni fisici riscontrati sulla signora G. con l’impatto della capezza dell’animale contro il suo volto? • il sistema di contenimento dell’animale, che comprendeva i due elementi elastici detti swoopy, poteva con opportuno tensionamento generare l’energia necessaria per scagliare la capezza contro il volto della signora G. e causare i danni descritti? • il cavallo aveva la possibilità di eseguire uno spostamento all’indietro della testa tale da consentire l’accumulo di tale quantità di energia elastica? Per rispondere a questi quesiti sono stati presi in considerazione: gli elementi causali già descritti in una precedente relazione tecnica a cura di altro perito, gli elementi clinici come emergono dalle cartelle anamnestiche pertinenti, le risultanze del sopraluogo effettuato dal sottoscritto presso il luogo dell’incidente (fotografie, misure topografiche e misurazione del cavallo), i dati sperimentali di caratterizzazione mec-

namica dell’incidente, sono stati presentati i risultati di una ricostruzione virtuale dell’ambiente e dei fatti, mediante modellizzazione biomeccanica e simulazione dinamica. Iter clinico: i danni fisici riscontrati Di seguito viene riportato un estratto della relazione di visita medico-legale redatta dal dottor G.M.: “Primo ricovero. Diagnosi e prognosi: grave trauma maxillo facciale con frattura orbita, zigomo e seno mascellare di sinistra, tumefazione orbitaria bilaterale, 30 gg. Obiettività: edema periorbitario bilaterale, ferita LC fronto-naso-palpebrale sanguinante, OS visus spento, OD capta la luce”. “Storia clinica successiva: dal... al... ricoverata presso ospedale XX: eseguita risonanza magnetica nucleare (RMN) alle orbite che mostra a destra emorragia del grasso orbitario, tumefazione dei ventri muscolari, nervo ottico modicamente tumefatto; a sinistra si conferma lesione del globo oculare. In anamnesi si legge: alle 18.30 colpita al volto dai finimenti di un cavallo presso maneggio. Durante la degenza assenza visus OS, graduale ripresa visus OD; praticato trattamento corticosteroideo ad alte dosi. Alla dimissione fu consigliato intervento di esplorazione rottura bulbare, terapia cortisonica; diagnosi: frattura composta ossa nasali, frattura pavimento e parete laterale orbita sinistra, neuropatia ottica traumatica

canica dei componenti elastici (swoopy) prelevati durante il sopraluogo, i dati di letteratura scientifica e di studi biomeccanici. Inoltre, a maggiore chiarimento della di-

OD, rottura bulbare OS”. Secondo le osservazioni del dottor G.M.: “trattasi quindi di trauma facciale con frattura ossa proprie del naso, seno mascellare sinistro, zigomo sinistro, orbita e tumefazio-


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ne globo oculare di sinistra con interessamento anche dell’occhio destro”. Ricostruzione dell’incidente L’analisi del caso è stata affrontata secondo quattro direttive: • ricerca di letteratura di dati relativi all’energia necessaria per la rottura dell’orbita; • sopraluogo e verifica delle condizioni ambientali dell’incidente; • analisi delle caratteristiche elastiche degli elementi di contenimento del cavallo; • ricostruzione della dinamica dell’incidente e ricerca dei parametri spaziali e cinematici in grado di giustificare l’avvenuto incidente. Energia necessaria per provocare le lesioni riscontrate Sulla biomeccanica della rottura del pavimento orbitale esistono alcuni studi in letteratura decisamente illuminanti (1, 2, 3). In particolare vengono descritti due meccanismi che possono portare alla rottura del pavimento orbitale: il primo, denominato “a pressione idrostatica” determinato dall’impatto di una superficie contro il globo oculare, che ne determina uno schiacciamento e la trasmissione di forze al pavimento e alle pareti orbitali; il secondo, denominato buckling mechanism determinato da forze applicate all’anello orbitale e trasmesse per via ossea al pavimento. Da studi effettuati su cadavere risulta che per provocare una rottura del pavimento orbitale con il meccanismo idrostatico è necessaria un’energia della massa battente di 1.22 +/- 0.296 J (Joule), mentre con il

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meccanismo buckling sono necessari valori di poco superiori 1.54 +/- 0.235 J. Inoltre è emerso che nella maggior parte dei casi analizzati, a una frattura prodotta con il meccanismo idrostatico corrispondeva anche un danno alla parete mediale e un’erniazione del contenuto orbitale con un prolasso del nervo infraorbitale nell’antro mascellare. Nessun danno alla parete mediale veniva invece provocato dal meccanismo buckling. Valori analoghi, leggermente superiori, vengono riportati nello studio di Gilliland et al. (2005) (2) effettuato però su animale, la capra, la cui struttura orbitaria è ritenuta di conformazione simile a quella dell’uomo. In questo caso l’impatto veniva diretto al globo oculare e l’energia necessaria per la rottura del pavimento orbitale era dell’ordine di 2.65 J. Da queste varie informazioni, tenendo conto del tipo di lesioni riportate dalla signora G., si può ritenere che l’impatto all’occhio sinistro sia stato di tipo misto: idrostatico e osseo (buckling). Il primo meccanismo dovrebbe essere intervenuto solo parzialmente, in quanto, a fronte di un danno al bulbo oculare, non sembra esserci stata la rottura della parete orbitale mediale, cosa che generalmente si associa al meccanismo idrostatico; il meccanismo invece della trasmissione ossea (buckling) sembra essere stato prevalente essendosi riscontrata la rottura della parete laterale, dello zigomo e del seno mascellare. Per provocare queste tipologie di danno sono necessarie, estrapolando dalla letteratura, energie di impatto dell’ordine di 1.5-2.9 J.

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CASO CLINICO / Biomeccanica forense nella ricostruzione di fatti e incidenti

Sopraluogo e verifica delle condizioni ambientali dell’incidente Il sopraluogo ha comportato la visita al maneggio e al luogo in cui era ricoverato il cavallo. Sono state in quell’occasione rilevate le misure principali dell’ambiente, del cavallo e della capezza utilizzata, prelevando altresì una copia dei cordoni elastici (swoopy) per potervi eseguire test di caratterizzazione meccanica. Nelle figure seguenti si mostrano le princi-

 Fig. 1: misure principali significative del cavallo

 Fig. 3: modello biomeccanico del cavallo

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pali misure rilevate e la descrizione topografica dell’ambiente.Per quanto riguarda la capezza si è potuto constatare che questa, allargata, poteva occupare una sezione frontale dell’ordine di 70-80 cm, quindi dimensioni ben superiori a quelle di una testa umana. Esiste quindi ampia possibilità che la capezza, sfilatasi dalla testa dell’animale insieme ai moschettoni e agli anelli di collegamento laterale, possa aver colpito il capo della signora G. in più punti e aver provocato delle lesioni.

 Fig. 2: tipica posizione del cavallo vincolato ai due lati con due longhine contenenti dei tratti elastici

 Fig. 4: ricostruzione geometrica del portico, teatro dell’incidente


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Elementi di contenimento del cavallo: analisi delle caratteristiche elastiche Per poter stimare l’energia elastica accumulata nei due elementi di collegamento detti swoopy si è proceduto alla determinazione sperimentale della loro relazione forza-allungamento presso il laboratorio di tecnologie biomediche, sezione Biomeccanica del movimento e controllo motorio (Mbmc Lab) del Politecnico di Milano. Uno swoopy veniva agganciato in alto a una struttura che scaricava il peso su una piattaforma dinamometrica. In basso veniva ripetutamente applicato un carico di 40-50 Kg che determinava l’allungamento elastico dello swoopy; due marcatori catarifrangenti venivano applicati alle estremità dello stesso e mediante un sistema stereofotogrammetrico, basato su telecamere a infrarossi, si rilevava

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la distanza tra questi due marcatori nel tempo. Nella fig. 5 (a,b,c) è riportato il setup sperimentale e la curva caratteristica forza/lunghezza. Mediante integrazione matematica delle curve di carico e scarico del materiale si sono ottenuti valori di energia elastica accumulata e restituita dell’ordine dei 100 J, decisamente superiore a quella necessaria per produrre i danni riscontrati. Ricostruzione della dinamica dell’incidente Il modello dinamico completo comprendente l’ambiente, il cavallo e la capezza, è stato implementato mediante il software SimWise-4D, della Design Simulation Technology (Dst). La capezza, posizionata sulla testa del cavallo veniva agganciata agli swoopy, i quali

 Fig. 5a: il setup sperimentale per analizzare le caratteristiche visco-elastiche del cordone elastico detto swoopy (visibile appeso a una mensola di sostegno) Fig. 5b: al centro sono visibili le telecamere con accesi gli illuminatori coassiali a raggi infrarossi Fig. 5c: relazione forza/lunghezza che rappresenta la rigidezza non lineare del sistema elastico considerato

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CASO CLINICO / Biomeccanica forense nella ricostruzione di fatti e incidenti

 Fig. 6: rappresentazione completa dell’ambiente e degli elementi della simulazione dinamica

erano vincolati mediante tratti di corda ai muri laterali. Si supponeva poi che la capezza potesse svincolarsi dalla testa dell’animale quando questa avesse raggiunto un predeterminato spostamento all’indietro. A questo punto la capezza, trascinata dagli swoopy, si scagliava in avanti secondo una traiettoria balistica e poteva colpire una sfera posta a distanza variabile dal cavallo, rappresentante la testa del soggetto incidentato (la signora G.). La fig. 6 mostra la ricostruzione ambientale completa, secondo quanto descritto.

Risultati delle simulazioni dinamiche Le simulazioni dinamiche sono state svolte imponendo agli swoopy le caratteristiche elastiche misurate sperimentalmente, imponendo alla testa del cavallo diversi valori di spostamento all’indietro (e conseguentemente anche in alto), diverse lunghezze delle longhine (collegamenti più o meno laschi) e supponendo diverse posizioni della testa della signora G. rispetto alla posizione iniziale del cavallo. Come si vede dagli esempi riportati in fig. 7, ci sono situazioni in cui la traiettoria

 Fig. 7: traiettorie della capezza e degli elementi metallici (anelli e moschettoni) ad essa collegati. Nella figura di sinistra la capezza colpisce decisamente il volto del soggetto (rappresentato dalla sfera arancione); nelle figure al centro e a destra la capezza passa rispettivamente sopra la testa e sotto la testa del soggetto incidentato

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della capezza potrebbe passare o troppo in alto, o troppo in basso rispetto alla testa della signora G. Inoltre esiste solo un particolare intervallo di distanze dai punti di fissaggio delle longhine al muro, entro il quale l’energia cinetica posseduta dalla capezza e dai moschettoni supera i valori necessari per provocare i danni orbitali riscontrati. Nel range di distanza del soggetto tra -60 e -80 cm l’impatto poteva essere marginale, con solo alcune parti della capezza, le quali comunque possedevano energia sufficiente a produrre i danni riscontrati. In un range di posizione da +20 a -60 cm, con longhine leggermente tese in posizione iniziale, l’impatto al volto avveniva decisamente con l’intera capezza.

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2005, Vol. 140, n. 5:868-876. 3. Schaller A, Huempfner-Hierl H, Hemprich A, Hierl T. Biomechanical mechanisms of orbital wall fractures – a transient finite element analysis, Journal of Cranio-Maxillo-Facial Surgery 41 (2013) 710-717. 4. Schaller A, Voigt C, H. Huempfner-Hierl H, Hemprich A, Hierl T. Transient finite element analysis of a traumatic fracture of the zygomatic bone caused by a head collision, Int. J. Oral Maxillofac. Surg. 2012; 41: 66–73.

Conclusioni Risulta altamente verosimile dal punto di vista biomeccanico che l’incidente si sia verificato nel modo sopra descritto e che lo sgancio della capezza dalla testa del cavallo abbia potuto causare i danni riportati dalla signora G. Bibliografia 1. Ahmad F, Kirkpatrick WN, Lyne J, Urdang M, Garey LJ, Waterhouse N. Strain gauge biomechanical evaluation of forces in orbital floor fractures, UK British Journal of Plastic Surgery (2003), 56, 3–9. 2. Gilliland GD, Gilliland G, Fincher T, Harrington J, Gilliland JM. Assessment of biomechanics of orbital fracture: a study in goats and implications for oculoplastic surgery in humans. American Journal of Ophthalmology, November

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traumatologia CASO CLINICO


traumatologia forense / novembre 2016

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CASO CLINICO

Macrodanni e perdita di chance in seguito a sinistro Valutazione dei postumi e dei danni durante l’analisi medico-legale

F. M. Donelli*, M. Gabbrielli**, M. Benvenuti**, G. Nucci**, L. P.Solimeno*** *Specialista ortopedico e medico-legale, professore a contratto Università di Milano **Medicina legale, Università di Siena ***Direttore Unità Operativa Complessa Traumatologia d’Urgenza, Fondazione Irccs Cà Granda Ospedale Maggiore Policlinico di Milano

Presentiamo il caso di un severo politraumatismo da incidente stradale che ha interessato un giovane ragazzo. L’analisi medico-legale ha richiesto un complesso lavoro di valutazioni sia dei postumi derivanti dal trauma stradale, sia dei danni conseguenti ai diversi interventi diagnostico-terapeutici resisi necessari nel corso del lungo iter clinico. Tenendo conto della giovane età del ragazzo e del fatto che aveva appena terminato il percorso di studi, il medico legale non può che limitarsi a fornire elementi di giudizio sul versante della perdita di chance e questo può comportare difficoltà nel componimento della vicenda risarcitoria in fase stragiudiziale. Illustriamo il caso di un ragazzo di 24 anni, laureato in Economia e Commercio e in

procinto di partecipare a un master, giunto in codice rosso al Pronto soccorso di un ospedale di Milano per politrauma da incidente stradale. Al momento del suo arrivo presso la struttura sanitaria il soggetto si trovava in una condizione di shock emorragico, con sanguinamento attivo arterioso in corrispondenza dell’ala sacrale destra. Inoltre presentava ipertensione addominale, trauma toracico con contusione polmonare, pneumotorace destro e versamento pleurico a sinistra, contusione epatica, irregolarità della milza a livello sottocapsulare dorsale, edema generalizzato, soprattutto a testicoli e scroto. Erano inoltre evidenti un’estesa ferita lacero contusa al cuoio capelluto e una al gomito destro.

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CASO CLINICO / Macrodanni e perdita di chance

Iter clinico Da un punto di vista ortopedico il quadro clinico era caratterizzato da fratture vertebrali amieliche di C2 e C3, frattura diafisaria scomposta pluriframmentaria del femore sinistro e delle branche ileo-pubiche bilateralmente, fratture dell’emisacro destro e dell’ala iliaca destra, con diastasi della sinfisi pubica e frattura della XII costa sinistra. I primi interventi che furono messi in atto, prima dai sanitari del Pronto soccorso, e successivamente da quelli del reparto di Rianimazione dove rimase degente per 13 giorni in uno stato di coma farmacologico, furono tesi alla stabilizzazione emodinamica del quadro clinico. Il soggetto fu quindi sottoposto a embolizzazione dell’arteria sacrale destra e a politrasfusioni, a sedazione con esecuzione di finestre neurologiche, a ventilazione mecca-

 Fig. 1: interventi di chirurgia in urgenza

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nica con FIO2 40% peep 4, e a paracentesi evacuative bilaterali in fossa iliaca. Furono poi posizionati drenaggio toracico a destra e catetere vescicale. Inoltre, in urgenza, furono praticati interventi traumatologici quali posizionamento di collare cervicale da indossare per 85 giorni, riduzione cruenta della frattura di femore con successiva osteosintesi con chiodo endomidollare e posizionamento di fissatore esterno per le fratture multiple di bacino, rimosso poi dopo 150 giorni (figg. 1-2). Il decorso clinico fu poi complicato dalla comparsa di processi infettivi, tipici di soggetti ospedalizzati in reparti di rianimazione, immunocompromessi e sottoposti a numerosi interventi e manovre invasive in urgenza. Il soggetto fu quindi sottoposto a terapia antibiotica a base di vancomicina per un’infe-

 Fig. 2: controllo Rx a 47 giorni dal sinistro stradale


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 Fig. 3: anatomia apparato genito-urinario

zione del liquido peritoneale da enterococco e, per una polmonite da Klebsiella pneumoniae e Acinetobacter baumanni, fu somministrato imipenem e amikacina. Durante la degenza nel corso dei vari approfondimenti diagnostici, fu evidenziata in seguito la presenza di un ematoma retro peritoneale e versamento sopra vescicale di liquido urinoso, conseguenza dei gravi danni all’apparato genito-urinario (fig. 3) verificatisi in occasione del sinistro stradale e consistenti in lacerazione renale sinistra e lesione sia calico pielica destra, sia della vescica, dell’uretra prostatica e della prostata, con formazione di una fistola vescicale a livello antero-inferiore sinistro, con spandimento delle urine nell’addome. Fu pertanto posizionato prima un catetere vescicale, poi fu confezionata una epicistostomia con abbocco della mucosa vescicale alla cute che, in tempi successivi, fu revisionata per due volte per malfunzionamento

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 Fig. 4: quadro radiologico basse vie urinarie 100 giorni circa dopo il trauma

del catetere e, infine, fu eseguita una raffia della breccia vescicale (fig. 4). Una volta messe in atto tutte le misure d’urgenza e stabilizzato il quadro clinico, il soggetto fu sottoposto a numerosi accertamenti radiologici e visite specialistiche, al fine di inquadrare dettagliatamente le conseguenze psico-patologiche del sinistro stradale e apportare le idonee misure terapeutiche. Circa un mese dopo il trauma, il giovane fu sottoposto a consulenza neurologica, da cui emerse deficit adduzione coscia e ginocchio destro, deficit completo della flesso-estensione della gamba destra, deficit della dorsi-flessione del piede destro, ipoestesia tattile su tutta la coscia destra, anestesia della gamba destra e disestesia dolorosa della pianta e del dorso del piede destro. I reperti clinici furono confermati all’esame elettromiografico che rilevò sia dener-

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CASO CLINICO / Macrodanni e perdita di chance

0 = normale + + + + = nettamente patologico. N = parametri normali. A = attività volontaria assente. Attivazione: normale, ridotta o assente

 Fig. 5: esame elettromiografico

vazione attiva di tutti i muscoli dell’arto inferiore destro in assenza di attivazione muscolare volontaria, ad eccezione del muscolo tibiale anteriore, sia una sofferenza plessica lombosacrale diffusa assonotmesica (fig. 5). Una consulenza ortopedica effettuata 30 giorni circa dopo il trauma, alla luce sia dell’alto rischio infettivo determinato dalla rottura della vescica e conseguente impianto di stomia sovra pubica con sospensione della vescica, sia per la lesione del plesso sacrale evidenziato all’EMG, ribadiva la non indicazione chirurgica alla stabilizzazione della branca ileo pubica destra.

Circa 60 giorni dopo il trauma fu iniziata la riabilitazione neuromotoria presso un centro specialistico dove il soggetto, che presentava masse muscolari nettamente ipotrofiche e un calo ponderale di 40 Kg, fu sottoposto anche a continuo monitoraggio del quadro neurologico, ortopedico, urologico e a consulenze ultraspecialistiche. Fu sottoposto quindi a visita psichiatrica, in cui veniva certificato “umore deflesso”, a nuovo esame elettromiografico che confermava “grave lesione assonotmesica del plesso lombo-sacrale, diffusi segni di denervazione attiva, reinnervazione collaterale del muscolo tibiale anteriore”; a visita micro

 Fig. 6: gomito destro pre intervento di rimozione dei corpi estranei

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traumatologia forense / novembre 2016

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 Fig. 7: controllo radiologico  Fig. 8: controllo radiografico femore sinistro dopo rimozione chiodo e viti del femore sinistro a un anno dal trauma

chirurgica, che certificava “esiti di politraumatismo complesso con frattura del bacino, lesione plesso lombo-sacrale, assenza vasto mediale e funzione dorsi-flessione L4-L5 per assenza dei muscoli peronei, dell’estensore proprio dell’alluce e del muscolo estensore comune delle dita”. Inoltre fu effettuata una consulenza urologica che evidenziava la presenza sia di una sovrainfezione da Escherichia coli trattata con antibiotici, sia di disfunzione erettile per cui veniva introdotto in terapia Cialis; si effettuò una consulenza ortopedica in occasione della quale fu iniziata sia la dinamizzazione del fissatore esterno del bacino, poi rimosso nei tempi adeguati alla riparazione delle fratture e furono rimossi corpi estranei e granulomi dal gomito destro con intervento in anestesia locale (fig. 6). Furono inoltre eseguiti controlli radiologici a livello del femore sinistro (fig. 7). Nel corso della fase riabilitativa va segna-

lato poi un accesso al Pronto soccorso e un successivo ricovero presso il reparto di Urologia per colica renale destra, per calcolo uretrale lombare e conseguente idronefrosi destra, che fu trattata prima con analgesici e antibiotici per sovrainfezione da Klebsiella pneumoniae, poi con posizionamento di stent e litotripsia extracorporea. Venti mesi dopo il trauma furono rimossi, infine, il chiodo endomidollare e le viti del femore sinistro, con controllo radiologico indicante un buon consolidamento della frattura diafisaria (fig. 8). Il soggetto, dopo circa una settimana dall’intervento di rimozione dei mezzi di sintesi, camminava con appoggio a stampella e dopo un mese la deambulazione avveniva in maniera autonoma senza ausilio. Il quadro clinico ortopedico-neurologico fu considerato stabilizzato quasi due anni dopo il trauma. Residuavano i seguenti postumi: zoppia

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CASO CLINICO / Macrodanni e perdita di chance

 Fig. 9: movimenti arto inferiore destro

 Fig. 10: esiti cicatriziali e limitazione movimenti gomito destro

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con dismetria arti inferiori (destra > sinistra di 2 cm), ipotrofia muscolare arto inferiore destro, con movimenti del piede destro ridotti di 1/3 la dorso-flessione, risultava ipostenica la supinazione e abolita sia l’estensione della tibiotarsica e delle dita, sia la pronazione con conseguente deficit di equilibrio statico in monopodalica e deam-

avveniva con asimmetria di carico maggiore a destra, la posizione seduta era dolente per sacralgia, ed era evidente un’ipotrofia per denervazione da grave lesione assonotmesica del plesso lombo-sacrale, sia del grande gluteo, sia della muscolatura della coscia destra (fig. 9). Venivano evidenziati poi, discopatia degenerativa postraumatica

bulazione con zoppia. Inoltre la marcia era limitata e da tutelare con ortesi, le reazioni posturali erano assenti a destra ed efficaci a sinistra, la manovra di accosciamento era impedita, il sit up

L5-S1 con aspetto alterato della radice S1; sofferenza del nervo sciatico per enhancement intraforaminale con conseguenti dolori al bacino e alla schiena; una polineuropatia all’arto inferiore destro con parestesie


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e metatarsalgia bilaterale con impossibilità di guidare l’automobile; limitazione funzionale del braccio destro per lesione del tricipite con ipotrofia muscolare; importanti esiti cicatriziali (fig. 10); infine ipostenia della flesso-estensione del gomito e extrarotazione della spalla ridotta della metà e rettilinizzazione della lordosi cervico-dorsale con ipertono dei fasci muscolari e limitazione dei riflessi osteomuscolari con conseguente cervico-dorsalgia, cefalea e vertigini. Considerazioni medico-legali L’analisi medico-legale, ancorché limitata all’ambito RC auto, ha richiesto comunque un complesso lavoro di valutazioni sia dei postumi derivanti direttamente dal trauma stradale sia dei danni conseguenti ai diversi interventi diagnostico-terapeutici resisi necessari nel corso del lungo e complesso iter clinico. Nel corso della valutazione sono state attentamente esaminate tutte le cartelle cliniche per escludere eventuali profili di responsabilità professionale, con eventuale maggior danno da scorporare dai postumi permanenti rilevati in occasione della visita medico-legale. Su tale aspetto non sono stati rilevati estremi di colpa professionale, considerando le diverse complicanze, in particolare quelle infettive, quali evento prevedibile ma imprevenibile, conseguenti alla natura delle lesioni, alla prolungata ospedalizzazione nel reparto di rianimazione, all’esecuzione di numerose manovre diagnostico-terapeutiche invasive e all’immunodepressione.

n.3

La valutazione dei macrodanni, quale è quello in esame, è un’attività molto complessa dovendosi arrivare a una percentuale finale che non può essere il risultato di una sommatoria aritmetica che porterebbe tra l’altro a superare, talora di molto, la soglia del 100, e non potendosi utilizzare formule a scalare quale quella di Baltahzard, che porta inevitabilmente a una sottovalutazione. La valutazione dovrà tenere conto non solo delle plurime singole voci, ma anche della validità residua del soggetto. Al fine di un equo componimento della vicenda risarcitoria, il danno dovrà essere personalizzato sia tenendo conto dello stato anteriore del soggetto del periodo di ospedalizzazione, della sofferenza, della necessità di vari interventi chirurgici, di esami radiologici con conseguente danno da radiazioni (estremamente difficile da valutare ma comunque da tenere in considerazione). Di fondamentale importanza per la quantificazione monetaria hanno le tabelle di Milano che prevedono, a seconda delle fasce di danno e di età, percentuali maggiorative di personalizzazione per il danno permanente, ma anche la possibilità di personalizzare in maniera congrua l’invalidità temporanea. A tal proposito dovrà essere individuato un periodo di invalidità temporanea totale per l’intero periodo di ospedalizzazione anche presso il centro di riabilitazione, che dovrà essere personalizzato adeguatamente anche per le sofferenze patite. Nel periodo successivo dovrà essere espressa una valutazione percentuale che però non potrà mai scendere sotto la percentuale della perma-

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CASO CLINICO / Macrodanni e perdita di chance

nente. In altri termini il medico legale, nel delineare il periodo di invalidità temporanea, non dovrà limitarsi a indicare il numero dei giorni bensì dovrà fornire al legale tutti gli strumenti per permettere una congrua monetizzazione del danno temporaneo (nel caso in oggetto 240 giorni al 100% e 390 giorni al 75%). Per quanto riguarda la valutazione del danno biologico permanente, non essendo in vigore tabelle di legge per le macropermanenti, si deve fare riferimento ai più autorevoli testi (1, 2, 3, 4, 5). Pur con lievi oscillazioni, vi è un sostanziale accordo nella valutazione delle singole voci di danno che possono essere così valutate: esiti di fratture di C2 e C3: 12-15%; lesione plesso lombo-sacrale: 35%; esiti fratture multiple di bacino e diafisi femorale: 15%; impotenza con ripercussioni psichiche: 30%; esiti cicatriziali gomito destro con limitazione dei movimenti: 6-7%. Dovendo fornire una valutazione complessiva non si può non tener conto, cercando di operare con un criterio analogico, di un quadro clinico come la paraplegia che è valutata nella misura dell’80%; tale condizione determina la perdita di autonomia e non è certamente assimilabile alla condizione clinica del nostro soggetto. Ci appare quindi congrua una valutazione del danno biologico permanente nella misura del 70%.

di un’adeguata personalizzazione. L’incidenza dei postumi sulla capacità lavorativa del soggetto è in generale di assai difficile percentualizzazione e lo è ancor di più in questo caso: tenendo conto della giovane età e del fatto che aveva appena terminato il percorso di studi, il medico legale non può che limitarsi a fornire elementi di giudizio sul versante della perdita di chance e questo può comportare difficoltà nel componimento della vicenda risarcitoria in fase stragiudiziale, al pari della quantificazione di un eventuale danno da radiazioni del tutto difficile da delineare se non realizzatosi (6). Bibliografia 1. Luvoni R, Mangili F, Bernardi L. Guida alla valutazione medico-legale del danno biologico e dell’invalidità permanente. Milano: Giuffrè, 2002. 2. Bargagna M, Canale M, Consigliere F, Palmieri L, Umani Ronchi G. Guida orientativa per la valutazione del danno biologico. Milano: Giuffrè, 2001. 3. Bolino G, Fedeli P, Palmieri L, Umani Ronchi G. La valutazione medico-legale del danno biologico in responsabilità civile. Milano: Giuffrè, 2006. 4. Buzzi F, Vanini M. Guida alla valutazione psichiatrica e medico legale del danno biologico di natura psichica. Milano: Giuffrè, 2006. 5. Buzzi F, Domenici R. Linee guida per la valutazione medico-legale del danno alla persona in ambito civilistico. Milano: Giuffrè, 2016.

Conclusioni Tali postumi si ripercuotono in maniera significativa nella vita quotidiana (basti pensare alla difficoltà alla guida) e necessitano

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6. Burroni L et all. Danno da radiazioni in ortopedia e traumatologia tratto da “Il danno in ortopedia e traumatologia” Segrate (MI): Griffin, 2013. pp 190-199.



traumatologia MONOGRAFIA


traumatologia forense / novembre 2016

n.3

MONOGRAFIA

Biomeccanica forense: panoramica delle competenze Uno strumento fondamentale per la risoluzione di complessi quesiti giudiziari

C. Frigo Dipartimento di Elettronica, Informazione e Bioingegneria Politecnico di Milano

Avendo avuto occasione nel corso degli anni, di mettere in pratica competenze di bioingegneria nell’ambito di alcune indagini giudiziarie, mi sono trovato ad aver accumulato una serie di esperienze che potrebbero essere di interesse per chi lavora in questo settore, sia dal punto di vista della valutazione medico-legale del danno, sia per chi debba accertare il nesso causale tra evento traumatico e gravità delle lesioni e perciò ricostruire la dinamica dell’incidente. Non intendo con questo sostituirmi o dare consigli a chi svolge con competenza e professionalità il compito di perito o consulente giudiziario, né entrare nella complessa questione dell’accertamento delle responsabilità e della quantificazione del risarcimento, ma semplicemente illustrare le potenzialità di una disciplina, la biomeccanica forense, che si pone in molti casi come uno strumento, anzi “lo” strumento fondamentale per la risoluzione di complessi quesiti giudiziari.

Definizione di biomeccanica forense Nell’ambito di un processo giudiziario è molto frequente che ingegneri, di diversa estrazione, meccanica, elettrica/elettronica, civile, chimica, aeronautica, addirittura nucleare, siano interpellati dal giudice su quesiti specifici per avere un quadro tecnico delle condizioni nelle quali un evento di rilevanza civile o penale si sia verificato. Tipicamente in occasione di incidente stradale è fondamentale sapere in quali condizioni fossero il manto stradale, i freni dell’autovettura, i sistemi di sicurezza passivi e attivi e se le norme di sicurezza fossero state rispettate. Analogamente per quanto riguarda incidenti di altra natura come aerei, ferroviari, incidenti sul lavoro, crollo di edifici, esplosioni, e così via. Questo tipo di contributo alla conoscenza dei fatti e delle responsabilità prende il nome di “ingegneria forense”. La biomeccanica

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MONOGRAFIA / La biomeccanica forense

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forense, invece, non si occupa tanto delle condizioni dei manufatti o delle apparecchiature tecniche, quanto degli effetti della loro interazione con l’uomo, e pertanto risponde a quesiti del tipo: quanto sia verosimile una certa descrizione dell’incidente alla luce delle leggi fisiche e delle caratteristiche biologiche dei tessuti o degli organi danneggiati, quali condizioni meccaniche si siano verificate per poter giustificare un certo tipo di danno (11, 12). Inoltre rientrano nell’ambito della biomeccanica forense l’analisi tecnica della funzionalità di protesi, ortesi e ausili di diversa natura (10, 14) il cui malfunzionamento abbia potuto causare danni, la valutazione funzionale delle capacità residue dell’incidentato (13, 15), la ricostruzione dell’ambiente e della dinamica di un crimine (6, 16, 17). La panoramica delle competenze che possono essere messe in atto per risolvere questo tipo di problemi è molto vasta e copre tutti gli aspetti della bioingegneria, quindi il termine più appropriato per definire questa disciplina sarebbe “bioingegneria forense”. Ciononostante, per tradizione ormai consolidata e per il fatto che nella maggior parte dei casi i problemi posti riguardano gli effetti di collisioni o applicazione di forze a sistemi biologici, il termine comunemente utilizzato per definire questa disciplina è quello, apparentemente più riduttivo, di biomeccanica forense.

dell’esperto di biomeccanica forense. Engin (2001) ha riassunto i compiti ai quali un perito biomeccanico forense deve assolvere quando viene nominato da un tribunale (7): il primo consiste nello svolgere un’approfondita indagine sul caso che può comprendere la ricostruzione dell’incidente, l’ispezione di parti danneggiate, dispositivi o attrezzature guaste, la lettura delle deposizioni, l’esame dei referti medici, sopraluoghi presso il luogo dove si è svolto il sinistro e la raccolta di dati rilevanti; il secondo è costituito dall’analisi del caso, che dovrebbe includere la determinazione dei meccanismi che hanno prodotto le lesioni e dei fattori responsabili dell’incidente, analisi che dovrebbe essere il più possibile scientifica e priva di ogni teoria che includa speculazioni e congetture; il terzo consiste nella compilazione di un rapporto scritto ufficiale che dovrebbe includere una sezione che illustra il materiale esaminato, una che si occupa della descrizione dell’incidente, un riepilogo delle opinioni dell’esperto e un breve sunto alla fine del rapporto. È da notare che l’esperienza maturata da singoli esperti nell’adempiere a questi compiti viene condivisa molto raramente nell’ambiente, poiché tali studi restano perlopiù relegati nei rapporti, nelle deposizioni e negli atti processuali. Per tale motivo le informazioni sulle potenzialità di questa disciplina e sulle attività e responsabilità di un biomeccanico forense

A livello internazionale la biomeccanica forense si è sviluppata soprattutto negli Stati Uniti d’America e Canada, con la costituzione di studi professionali, associazioni di categoria e la definizione di ruoli e responsabilità

tendono a rimanere poco conosciute, addirittura tra gli stessi addetti ai lavori. Spesso chi si avvicina alle applicazioni forensi della biomeccanica è costretto a imparare “per tentativi” e con grosso impegno personale.


traumatologia forense / novembre 2016

Fortunatamente, da alcuni anni, vengono organizzati congressi e corsi di formazione, soprattutto negli Usa (American Society of Forensic Sciences), si sono svolte sessioni specifiche all’interno di congressi di biomeccanica (International Society of Biomechanics, European Society for Movement Analysis in Adults and Children) e sono state create riviste specializzate (ad esempio, il Journal of Forensic Biomechanics). Modalità operative Il lavoro di ricostruzione che l’esperto deve svolgere per giungere a una soluzione verosimile del problema posto è assimilabile a un tipico “processo inverso” di bioingegneria (8), ossia un problema in cui, a partire

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dai risultati (gli effetti), bisogna risalire alle condizioni, al contorno e alle condizioni iniziali dell’evento stesso (le cause). Per risolvere questo problema può essere impiegato un processo iterativo del tipo descritto nel diagramma di flusso di fig. 1. Le informazioni concernenti il caso vengono acquisite grazie alle deposizioni fornite dalle parti in causa o da eventuali altri testimoni. Tali testimonianze vengono utilizzate per descrivere le condizioni iniziali e al contorno del problema e per determinare degli scenari possibili dell’incidente. Le “prove fisiche” (intendendo con questo temine prove fotografiche, rapporti di polizia, o altri rapporti basati sulla concretezza dei fatti) sono ulteriori elementi da acquisi-

 Fig. 1: diagramma di flusso del processo bioingegneristico inverso (riadattato da Sadegh, 2001) (8)

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MONOGRAFIA / La biomeccanica forense

re e utilizzare come base per la definizione del problema. I referti medici sono invece usati per stabilire la natura delle lesioni; essi sono di primaria importanza nel processo inverso e nell’accertamento dei fatti, poiché permettono di dedurre il tipo di impatto o l’entità della forza che ha condotto alla lesione. L’ispezione personale da parte dell’esperto del luogo dell’incidente o delle attrezzature (che include misurazioni, fotografie, test di laboratorio e analisi delle prove) è estremamente importante nello stabilire un contesto nell’ambito del quale si dovrà collocare la ricostruzione degli eventi svolta dall’esperto stesso. Partendo da questi quattro elementi, l’esperto di biomeccanica definisce il problema e determina la prima iterazione del processo. Utilizzando i principi dell’ingegneria, egli passa poi alla fase di analisi del problema così definito, la cui soluzione può portare a uno o più scenari possibili, nel qual caso, in ciascuno di essi, è poi necessario riesaminare gli elementi presentati nelle deposizioni, nei rapporti, nei referti medici e nell’ispezione. La prima soluzione al problema deve quindi essere reiterata e verificata rispetto agli elementi dai quali si è partiti. La conclusione alla quale l’esperto perviene dovrebbe essere quindi lo scenario “più verosimile” dell’incidente o dell’infortunio. Fondamentale, ormai da alcuni anni a questa parte, è l’impiego sistematico di strumenti software di simulazione dell’incidente e lo sviluppo di modelli biomeccanici in grado di riprodurre virtualmente il comportamento di tessuti e organi in situazioni di impatto (1, 4, 18). Con questi dispositivi

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è possibile comprendere in modo dettagliato molti aspetti legati alla collisione e alla sicurezza dei veicoli (2, 3). Studi di biomeccanica hanno permesso anche di approfondire le tipologie e i meccanismi di generazione del danno ai diversi distretti corporei (5, 9). Al termine di questo testo sono riportate le indicazioni di alcuni degli strumenti software attualmente più diffusi. Incidente stradale: un esempio rappresentativo Viene affrontato di seguito un tipico problema, spesso presentato in letteratura, consistente nella determinazione di chi fosse realmente alla guida della vettura al momento dell’incidente. Se non esistono testimonianze affidabili, spesso i sopravvissuti dichiarano di non ricordare questo particolare, oppure fanno dichiarazioni contraddittorie o attribuiscono il ruolo di guidatore a un eventuale occupante della vettura deceduto. È chiaro che il dichiarare di essere un passeggero anziché il guidatore evita di assumersi eventuali responsabilità giuridiche. Il caso che viene qui brevemente presentato rientra in questa categoria, ed è un caso che è stato realmente affrontato dal sottoscritto. Descrizione dell’incidente Verranno ovviamente omessi particolari che potrebbero identificare i luoghi e le persone. Un’autovettura del tipo AA, con a bordo i sigg. V.R. e R.G. percorreva l’autostrada presumibilmente sulla seconda corsia, quando, per motivi sconosciuti sbandava sulla destra e fuoriusciva dalla sede autostradale andando ad arrestarsi in posizione quasi capovolta


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in un canale, con la parte posteriore immersa nello stesso, il tetto appoggiato sugli alberelli della sponda opposta e il muso rivolto verso la direzione di provenienza. Gli occupanti della vettura furono trovati fuori dall’abitacolo sulla sponda opposta del canale, a poca distanza dalla vettura. In particolare il corpo del sig. V.R., esanime, in posizione prona a circa due metri dallo spigolo anteriore sinistro dell’auto; il sig. R.G., gravemente ferito, a circa un metro dalla fiancata sinistra della vettura, supino. Il ferito si trovava quindi a lato della fiancata, lato guida del veicolo. Quesiti giudiziari: Si pongono i seguenti quesiti giudiziari: > per quale via gli occupanti della vettura abbiano potuto fuoriuscire dalla stessa e finire nella posizione in cui furono trovati; > quale dei due soggetti, sig. V.R., deceduto, e sig. R.G., sopravvissuto, si trovava alla guida della vettura. Ricostruzione dell’incidente a cura della polizia stradale La vettura avrebbe seguito la seguente evoluzione: > sbandamento sulla destra e inizio di rotazione in senso orario; urto contro il guardrail, con maggiore forza di impatto sul lato sinistro; ulteriore urto e strisciamento contro il guardrail con la fiancata posteriore sinistra; > in seguito all’impatto, il guardrail veniva divelto e risultava danneggiato per circa 25 metri; > l’auto fuoriusciva dalla sede autostradale e proseguiva a ritroso lungo la scarpata la-

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terale fino al ciglio di un canale che passa sotto l’autostrada. L’auto cadeva all’interno del canale, picchiando violentemente all’interno di questo tramite la parte posteriore sinistra (la vettura presenta un grosso sfondamento dello spigolo posteriore sinistro e la ruota posteriore sinistra schiacciata). Danni riportati dagli occupanti Gli elementi di maggior rilevanza sono: grave trauma cranico, probabile causa di morte del sig. V.R. associato anche a fratture della gabbia toracica e contusioni varie al bacino e al volto. Il sig. R.G. riportava invece grave ferita al cuoio capelluto, definita di “scalpamento” associata a contusioni alla spalla destra e agli arti inferiori. Risultati dell’ispezione alla vettura incidentata L’ispezione del sottoscritto alla vettura permetteva di verificare la presenza di danni coerenti con la descrizione della polizia e in particolare: parete sinistra fortemente danneggiata, lunotto del portellone posteriore distrutto e supporto della ruota posteriore sinistra completamente deformato. Questa rilevava inoltre sedili posteriori mancanti (secondo testimonianza attendibile, essi erano stati asportati prima dell’incidente per far posto a cassette di pomodori); sedile anteriore sinistro (posto di guida) in ottimo stato con schienale in posizione raddrizzata; sedile anteriore destro in ottimo stato con schienale reclinato al massimo e assenza del poggiatesta; soffitto interno della vettura con qualche segno di strisciata; infine residui di fango e ruggine nella parte posteriore.

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MONOGRAFIA / La biomeccanica forense

Ricostruzione della dinamica dell’incidente La dinamica dell’incidente viene ricostruita mediante uno strumento software che permette la simulazione computerizzata del movimento (SimWise-4D). Mediante questo software è possibile riprodurre situazioni di collisione tra oggetti e determinare le traiettorie risultanti da forze applicate agli oggetti stessi. Nel caso in questione, l’autovettura è stata realizzata virtualmente mediante un insieme di lastre piane che ne riproducono la sagoma esterna e applicando a questa struttura gli elementi cilindrici rappresentanti le ruote; all’interno della struttura sono stati collocati i sedili e i due manichini che riproducono i soggetti occupanti la vettura (fig. 2). Dato che i sedili non riportavano segni di forzatura e quello di destra risultava con lo schienale reclinato, si è supposto che questa fosse la posizione dello schienale anche du-

rate la marcia. Ciò significa che il passeggero non poteva essere seduto correttamente ma doveva essere sdraiato all’indietro. Questa ipotesi era supportata da testimonianze raccolte che riferivano che i due si erano fermati a pranzare poco tempo prima e verosimilmente il passeggero poteva aver deciso di appisolarsi durante il viaggio. Una stima della velocità iniziale della vettura veniva fatta sulla base della lunghezza del tratto percorso prima dell’arresto finale (circa 30 metri) e del fatto che non tutta l’energia cinetica si esauriva nello strisciamento con l’asfalto (infatti i segni di frenata non erano molto evidenti), ma che una parte considerevole veniva dissipata nell’urto e nello strisciamento contro il guardrail e che infine la vettura terminava il suo moto contro le sponda di un canale. Valutando diversi valori possibili di coefficienti di attrito e coefficienti di assorbimento anelastico degli urti, si giungeva a stimare che la velocità della vettura po-

 Fig. 2: sagoma della vettura e disposizione degli occupanti al suo interno. Manichino a casacca blu al volante; manichino a casacca gialla sdraiato, con schienale reclinato appoggiato alle casse di pomodori

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tesse essere all’incirca di 30 m/s (108 Km/h). A questo punto, per motivi inspiegati, veniva iniziata una manovra di sterzo verso destra; l’autovettura urtava il guardail con il muso e subiva un consistente schiacciamento della parte anteriore sinistra. Mediante i dati iniziali ipotizzati si esegue una serie di simulazioni, modificandone sequenzialmente i vari parametri, fino a riuscire a riprodurre una traiettoria dell’autovettura simile a quella ipotizzata nel verbale della polizia. La fig. 3 mostra alcuni fotogrammi selezionati, all’interno del filmato risultante, che rappresentano lo sfondamento del guardrail, lo scivolamento della vettura lungo la scarpata laterale e il suo arresto finale. Una prima ricostruzione dell’incidente non ha permesso però di spiegare completamente i danni riportati alla vettura. In particolare, non si riusciva in alcun caso - pur variando in numerosi tentativi i valori dei parametri

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fisici e delle caratteristiche dei materiali - a ottenere un urto della ruota posteriore sinistra contro il bordo del canale, cosa necessaria per spiegare il notevole danno subito dalla ruota stessa. Decidendo di effettuare un sopraluogo sul posto dell’incidente, si scopriva che in fondo alla scarpata laterale esisteva un piccolo canale di scolo che scorreva parallelamente all’autostrada e che tale canale possedeva dimensioni e consistenza tali da poter arrestare il moto di un veicolo che scivolasse lateralmente lungo la scarpata. Inserendo nel programma di simulazione questo nuovo elemento si riusciva finalmente a riprodurre tutti gli eventi in grado di giustificare i danni alla vettura e, in particolare, il grosso schiacciamento della ruota posteriore e dello spigolo di sinistra. Per quanto riguarda la dinamica degli occupanti della vettura la simulazione permetteva di appurare i seguenti fatti: il sog-

 Fig. 3: ricostruzione virtuale della traiettoria dell’autovettura con gli occupanti all’interno

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MONOGRAFIA / La biomeccanica forense

 Fig. 4: a sinistra, fuoriuscita del passeggero dal lunotto posteriore; a destra, successiva fuoriuscita del guidatore

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getto posto sul sedile a lato del guidatore (passeggero), supponendo che inizialmente giacesse supino sul sedile con schienale reclinato, seguiva una traiettoria che lo portava a fuoriuscire dal vetro del portellone posteriore della vettura; il soggetto al posto di guida non poteva essere seduto in posizione corretta, in quanto le forze d’inerzia sviluppate durante il lungo percorso di arresto avrebbero forzato il soggetto verso la parete laterale di sinistra e contro lo schienale. Non riusciva perciò a spiegare la fuoriuscita del guidatore, avendo verificato che le portiere erano state forzate e lo schienale non era stato danneggiato. Si è dovuto di conseguenza immaginare che il soggetto fosse inclinato e spostato verso il lato del passeggero e questo poteva essere il risultato di un malore, o di una manovra eseguita per raccogliere un oggetto dal pavimento della vettura. Dopo alcuni tentativi di simulazione ese-

e ne comportava la fuoriuscita attraverso questa via (fig. 4). Secondo questa ricostruzione, quindi, entrambi gli occupanti della vettura sarebbero stati proiettati all’esterno attraverso il lunotto posteriore, ma il primo soggetto avrebbe subito un urto molto violento al capo, in grado di produrre la rottura del vetro e il trauma cranico mortale. Il secondo soggetto potrebbe aver subito le gravi escoriazioni al cuoio capelluto (scalpamento) strisciando contro i bordi del lunotto infranto, oltre alle altre lesioni documentate. Pur tenendo conto dei limiti della procedura e nell’ambito delle assunzioni fatte riguardo ai parametri del modello, il metodo utilizzato ha permesso di ottenere una traiettoria della vettura e dei suoi occupanti fisicamente realizzabile (in quanto rispettosa delle leggi della dinamica) e in grado di spiegare tutti i fenomeni di rilievo connessi alla dinamica dell’incidente: percorso della vettura, tipo e localizzazione dei

guiti con inclinazione del tronco crescenti e considerando la presenza delle casse di pomodori al posto dei sedili posteriori, si otteneva una traiettoria del corpo del guidatore che lo dirigeva verso il lunotto posteriore

danni e tipi di lesione delle persone. Quindi si può ritenere che tale ricostruzione sia verosimile e che alla guida della vettura vi fosse l’occupante che è fuoriuscito per secondo, il sig. R.G. che è sopravvissuto.


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Conclusioni L’esempio sopra illustrato è solo uno dei tanti possibili nei quali si dimostra fondamentale il contributo della biomeccanica e in particolare dei moderni sistemi di simulazione dinamica. È evidente che senza strumenti software abbastanza efficienti e affidabili non sarebbe possibile quantificare l’entità delle forze in gioco nell’interazione tra corpi e oggetti di geometria complessa e dotati di proprietà meccaniche difficili da caratterizzare. La tecnica della simulazione permette di testare gli effetti di diversi parametri e di diverse ipotesi e di restringere quindi il numero delle possibili soluzioni. Naturalmente, come sopra evidenziato, solo con un processo iterativo nel quale si rivedono in più riprese gli elementi descrittivi del fenomeno è possibile giungere a una soluzione che possa verosimilmente ritenersi unica. È comunque estremamente importante conoscere i limiti degli strumenti utilizzati e possibilmente i dettagli sulle assunzioni che implicitamente vengono fatte a riguardo delle proprietà dei materiali e particolarmente dei tessuti biologici. L’uso di questi sistemi richiede competenze specifiche che solo un bioingegnere che abbia acquisito esperienza nel settore potrà garantire.

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traumatologia MONOGRAFIA


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MONOGRAFIA

Evoluzione della responsabilità sanitaria in ambito civile Prospettive di riforma e novità giurisprudenziali

E. Macrì Consulente legale Società italiana di ortopedia e traumatologia (Siot)

Nel corso degli ultimi decenni, si è assistito a una progressiva crescita geometrica del contenzioso in materia di responsabilità professionale medica. Tra i fattori di crisi che principalmente hanno segnato il quadro in cui la professione sanitaria si svolge, spicca un profondo mutamento dell’elaborazione giurisprudenziale, che non senza iniziali contrasti, oggi si assesta su un allargamento del sistema delle tutele riconosciuto a favore del paziente. La preoccupazione derivante da un contenzioso sempre più diffuso, che genera forti timori nella classe medica, è tra le principali cause della cosiddetta medicina difensiva1. 1 Secondo la definizione elaborata nel 1994 dall’Ota, Office of Technology Assessment, U.S. Congress, “La medicina difensiva si verifica quando i medici prescrivono test, procedure diagnostiche o visite, oppure evitano pazienti o trattamenti ad alto rischio, principalmente (ma non esclusivamente) per ridurre la loro esposizione a un giudizio di responsabilità per malpractice. Quando i medici prescrivono extra test o procedure, praticano una medicina difensiva positiva; quando evitano certi pazienti

Ed è in un simile contesto che, dopo decenni di immobilismo da parte del legislatore italiano, questi è intervenuto con alcuni

o trattamenti, praticano una medicina difensiva negativa”. Cfr. C. Granelli, La medicina difensiva in Italia, in Responsabilità Civile e Previdenza, fasc.1, 2016, pag. 0022B, il quale peraltro richiama una recente ricerca empirica che “ha evidenziato come il ricorso a pratiche sanitarie non necessarie sia non solo molto diffuso, una vera e propria ‘prassi quotidiana’, ma anche consapevole: il 51% dei medici intervistati ha ammesso di aver prescritto, nel periodo sottoposto ad indagine, farmaci non necessari [...]”. I dati raccolti anche nel nostro Paese, parlano di uno scenario preoccupante: secondo quanto riportato nella relazione finale della Commissione parlamentare sugli errori e i disavanzi sanitari, l’incidenza percentuale dei costi della medicina difensiva sulla spesa totale si attesta intorno all’11,8%. Se si tiene conto dell’incidenza sulle risorse dello Stato, si può dire che la medicina difensiva pesa sulla spesa sanitaria pubblica per 0,75 punti di Pil, ossia per oltre 10 miliardi di euro. A tale riguardo, si veda la Relazione finale della Commissione parlamentare sugli errori e i disavanzi sanitari, dic. 2012, 167. Di segno opposto sui dati forniti intorno sulla medicina difensiva è Cittadinanzattiva, Nota di Cittadinanzattiva-Tribunale per i diritti del malato e proposte emendative al d.d.l n. 2224, “Disposizioni in materia di responsabilità professionale del personale sanitario”, Audizione in Commissione Igiene e Sanità del Senato della Repubblica, 10 marzo 2016, www.senato.it.

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MONOGRAFIA / Evoluzione della responsabilità sanitaria in ambito civile

provvedimenti normativi che hanno profondamente segnato il panorama della responsabilità sanitaria: ci riferiamo, da un lato, all’art. 3 del d.l. 13 settembre 2012, n. 158, convertito con l. n. 189/2012 (c.d. Decreto Balduzzi); dall’altro lato, in una prospettiva de iure condendo, al disegno di legge “Disposizioni in materia di responsabilità professionale del personale sanitario”2. Decreto Balduzzi: le diverse interpretazioni giurisprudenziali Art. 3, comma 1, l. n. 189 La legge Balduzzi ha fissato pochi punti fermi e, al contrario, generato molti dubbi. Il 1° comma dell’art. 3 della l. n. 189 del 2012, rubricato come “Responsabilità professionale dell’esercente le professioni sanitarie”, sancisce che: “L’esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve. In tali casi resta comunque fermo l’obbligo di cui all’articolo 2043 del codice civile. Il giudice, anche nella determinazione del risarcimento del danno, tiene debitamente conto della condotta di cui al primo periodo”. Il riferimento alla disposizione dell’art. 2043 c.c. e quindi, al regime della responsabilità extracontrattuale, è apparso da su-

2 Il d.d.l. è stato approvato dalla Camera dei Deputati lo scorso 28 gennaio 2016 e, attualmente, mentre licenziamo queste note, è in discussione alla XIIa Commissione igiene e sanità del Senato, dove reca il n. 2224.

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bito “inaspettato”3 poiché costituisce oramai principio consolidato in giurisprudenza, quello secondo cui il rapporto tra struttura sanitaria (sia essa pubblica o privata) e paziente è ricostruibile nei termini di un contratto atipico di spedalità, laddove il rapporto medico dipendente e paziente viene spiegato, invece, attraverso il ricorso alla cosiddetta teoria della responsabilità contrattuale da “contatto sociale”4. La reazione dei giudici, davanti all’interpretazione e applicazione di una previsione normativa certamente ambigua nei contenuti, è stata composita. 3 Cfr. R. Breda, La responsabilità civile dell’esercente la professione sanitaria alla luce della c.d. legge Balduzzi: ipotesi ricostruttive a confronto, in Rivista Italiana di Medicina Legale, 2/2013, 752 ss. 4 La scelta del modello fondato sul richiamo all’art. 2043 c.c. non è evidentemente soltanto una questione teorica, ma ha importanti ripercussioni sostanziali e processuali che riguardano essenzialmente la distribuzione dell’onere della prova, cui si ricollega quello non meno importante dei criteri di imputabilità e il diverso termine di prescrizione. Difatti, in un regime di responsabilità contrattuale, il paziente che agisce in giudizio deve solo allegare l’inadempimento del sanitario restando a carico di quest’ultimo l’onere di provare l’esatto adempimento; laddove invece, lo schema di responsabilità di cui all’art. 2043 c.c. fa gravare sul paziente l’incombente probatorio anche quanto all’elemento soggettivo. In secondo luogo, l’opzione in favore della responsabilità extracontrattuale con il contestuale superamento di quella contrattuale, presenta il non trascurabile vantaggio, per l’operatore sanitario, del dimezzamento dei tempi di prescrizione (5 anni anziché 10). Tratto saliente della disciplina del termine di prescrizione in materia di responsabilità professionale medica è il suo carattere, per così dire, a geometria variabile. Per giurisprudenza costante “Il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno da responsabilità medico-chirurgica decorre”, a norma degli artt. 2935 e 2947, primo comma, cod. civ., “non dal giorno in cui il comportamento del terzo provoca il danno, né dal momento in cui la malattia si manifesta all’esterno, bensì da quello in cui tale malattia viene percepita o può esserlo, con l’uso dell’ordinaria diligenza, quale danno ingiusto conseguente al comportamento del terzo” (Cass. Civ., Sez. III, sent. 23 settembre 2013, n. 21715).


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Almeno due diverse impostazioni si sono confrontate nella giurisprudenza, soprattutto quella di merito, che ha affrontato la problematica. Da un lato, coloro che ritengono che vi sia stato un ritorno alla connotazione extracontrattuale della fonte della responsabilità sanitaria5; dall’altro lato, coloro che sostengono che nulla sia cambiato con la norma in commento, ribadendo la permanenza della responsabilità contrattuale sia per gli operatori sanitari che per le strutture sanitarie6. Il fervido dibattito iniziale, che sembrava essersi sopito con il prevalere della tesi della responsabilità del sanitario a titolo contrattuale, si è riaperto a seguito dell’elaborazione giurisprudenziale del Tribunale di Milano e dei diversi (dis)orientamenti espressi che hanno fatto emergere un singolare contrasto di opinioni tutto interno al Foro milanese7. 5 Cfr. Trib. Torino 26 febbraio 2013 e Trib. Varese 26 novembre 2012, entrambe in Danno e responsabilità, 4/2013, con commento di V. Carbone; Trib. Enna, 18 maggio 2013, in www.dejure.it. 6 Solo per citarne alcune, si rammentano Tribunale di Arezzo, sent. 14 febbraio 2013 (Est. Sestini), in Danno e responsabilità, 4/2013; Trib. Caltanissetta, sent. 1°Luglio 2013 (G.U. Sole), in “Responsabilità civile e previdenza”, 6/2013; Tribunale di Cremona, sent. 1 ottobre 2013 (Est. Borella) in “Danno e responsabilità”, 6/2014; Trib. Rovereto, 29 dicembre 2013; Trib. Firenze, sent. 12 febbraio 2014, in www.liderlab.it.; Trib. Pisa, sent. 10 marzo 2014; Trib. Brindisi, sent. 18 luglio 2014, in “Danno e responsabilità”, 1/2015. Sul punto si devono ricordare anche alcune recenti pronunce dei giudici di legittimità: Cass. Civ., sez. VI, sent. 24 dicembre 2014, n. 27391; Cass. civ., Sez. VI – 3, Ordinanza 17 aprile 2014, n. 8940, in Giurisprudenza Italiana, 2014, 5, 1109, con nota di commento di Carratta; Cass. Civ., sez. III, 19 febbraio 2013, n. 4030, in “Danno e responsabilità”, 4/2013, 367, con commento di V. Carbone. 7 La prima di queste decisioni è datata 17 luglio 2014 (dep. 23 luglio 2014) n. 9693, Ia sez. civ. del Tribunale

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Prospettive di riforma della responsabilità sanitaria in ambito civile: d.l. a.s. n. 2224 (c.d. Gelli-Bianco) Nonostante l’importanza delle novità introdotte dal cosiddetto decreto Balduzzi, rimane auspicabile l’avvio di una nuova stagione “dell’intreccio legislatore-giurisprudenza”8. Nella legislatura in corso - certamente foriero di importanti novità in quanto ispirato da logiche di sintesi e razionalizzazione dei contenuti delle precedenti proposte di legge, succedutesi nel corso di circa vent’anni - è il d.d.l (n. 2224) approvato alla Camera dei Deputati lo scorso 28 gennaio 2016, e attualmente in discussione alla 12° Commissione Igiene e Sanità del Senato9.

di Milano, giudice Gattari, che rinviene nell’art. 3 della c.d. Legge Balduzzi l’inequivoca volontà del legislatore di restringere e limitare la responsabilità (anche) risarcitoria derivante dall’esercizio delle professioni sanitarie, per contenere la spesa sanitaria e porre rimedio al fenomeno della medicina difensiva. Diversamente orientata rispetto agli esiti a cui è giunta la Ia sezione civile del Tribunale di Milano, è la Va sezione del medesimo Tribunale, che ritiene che il legislatore sia semplicemente intervenuto sul versante della responsabilità penale del medico, ma senza che tale esclusione da responsabilità precluda di per sé l’insorgenza di un’obbligazione risarcitoria a beneficio del paziente che per effetto dell’agire medico abbia sofferto un danno. Il panorama giurisprudenziale del Tribunale milanese si arricchisce di un’ultima pronuncia: facciamo riferimento alla sentenza, sempre prima sezione civile, del 2 dicembre 2014 n. 1430 (giudice estensore Bichi), in linea con l’orientamento espresso dalla stessa sezione. 8 Così G. Comandé, Focus: rischio, sistema e risarcimento in sanità – Introduzione al focus, in Rivista Italiana Medicina Legale, 4/2014, 1205. 9 Il d.d.l. è stato assegnato alla 12ª Commissione permanente (igiene e sanità) in sede referente l’11 febbraio 2016. Come relatore è stato indicato il Sen. Amedeo Bianco. Al momento in cui si chiudono queste note, il d.d.l. è stato sottoposto all’esame della Commissio-

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Per quanto di nostro interesse e limitatamente ai profili civili della riforma in questione, occorre muovere anzitutto dall’art. 7, rubricato come “Responsabilità della struttura e dell’esercente la professione sanitaria per inadempimento della prestazione sanitaria”. Il 1° comma è perentorio nell’affermare che: “La struttura sanitaria o sociosanitaria pubblica o privata che, nell’adempimento della propria obbligazione, si avvalga dell’opera di esercenti la professione sanitaria, anche se scelti dal paziente e ancorché non dipendenti della struttura stessa, risponde, ai sensi degli articoli 1218 e 1228 del codice civile, delle loro condotte dolose o colpose”. È chiaro che l’intento del legislatore è quello di porre al riparo, almeno in prima battuta, l’esercente la professione sanitaria spostando il baricentro della responsabilità civile per le condotte dolose o colpose dei professionisti, in capo alla struttura sanitaria10. La responsabilità della struttura è estesa con nettezza alle prestazioni sanitarie ne, prima della pausa estiva, nella seduta del 3 agosto 2016: cfr. Resoconto stenografico della seduta del 3 agosto 2016, 12ª Commissione igiene e sanità, Senato della Repubblica, su www.senato.it. 10 Di questo avviso anche G. Comandé, La riforma della responsabilità sanitaria al bivio tra conferma, sovversione, confusione e no-blame giurisprudenziale, in Riv. It. Med. Leg., 2016, fasc. 1, pag. 3 ss.: “In punto di responsabilità civile, per le condotte dolose o colpose dei professionisti, questa è chiaramente canalizzata in capo alla ‘struttura sanitaria o sociosanitaria pubblica o privata che, nell’adempimento della propria obbligazione, si avvalga dell’opera di esercenti la professione sanitaria, anche se scelti dal paziente e ancorché non dipendenti della struttura stessa’. La canalizzazione rispecchia lo stato dell’arte giurisprudenziale prima descritto mediante il rinvio diretto agli articoli 1218 e 1228 del codice civile”.

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svolte in regime di libera professione intramuraria, ovvero in regime convenzionato con il Servizio sanitario nazionale (Ssn) (comma 2). In maniera altrettanto chiara è previsto che i professionisti, operanti all’interno delle strutture sanitarie, pubbliche o private e quelli che svolgono la loro attività in regime di convenzione con il Ssn rispondano del loro operato ai sensi dell’art. 2043 c.c. (comma 3). Tuttavia, è importante precisare che tutti gli esercenti le professioni sanitarie sarebbero responsabili solo per fatto illecito, ex art. 2043 c.c., nei casi in cui il professionista abbia eseguito la prestazione risultata dannosa in base al rapporto che lo lega alla struttura sanitaria o al Servizio sanitario nazionale. Diversamente, quando invece il medico ha concluso con il paziente un contratto d’opera professionale, non pare dubbio che sarà tenuto a rispondere del suo operato verso il paziente a titolo di responsabilità contrattuale, a prescindere dal fatto che la prestazione sanitaria sia stata concretamente resa all’interno di una struttura o al di fuori di essa11.

11 In tale ottica, deve esser letto un emendamento presentato dal relatore del d.d.l. in Commissione Senato, il Sen. Bianco, che propone di sostituire il comma 3 dell’art. 7, con il seguente testo: “L’esercente la professione sanitaria di cui ai commi 1 e 2 risponde del proprio operato ai sensi dell’articolo 2043 del codice civile, salvo che abbia agito nell’adempimento di obbligazione contrattuale assunta con il paziente […]”. Sulla previsione di un doppio regime di responsabilità per gli esercenti le professioni sanitarie – responsabilità extracontrattuale per coloro che prestano la loro attività come dipendenti, responsabilità contrattuale gli esercenti delle professioni mediche in regime di libera attività professionale pura – si è espressa in senso decisamente contrario la Federazione nazionale degli Ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri


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Il serio e concreto rischio è che il nuovo testo conduca a imporre una necessaria azione di regresso nei confronti del professionista, sia nel settore privato sia nel settore pubblico, con l’ovvia conseguenza di una crescita del contenzioso e dei suoi costi12. Il disegno di legge in discussione, inoltre, introduce una condizione di procedibilità (art. 8), prevedendo che chi intenda esercitare in giudizio un’azione di risarcimento del danno derivante da responsabilità sanitaria è tenuto preliminarmente a proporre ricorso, ai sensi dell’articolo 696 bis del c.p.c.13, attraverso una consulenza tecnica (Fnomceo), Audizione del 17 marzo 2016, su www. senato.it, la quale ritiene, in modo poco condivisibile, che “la esclusione del libero professionista dalla responsabilità extracontrattuale in ambito civilistico può sembrare punitiva e crea un susseguirsi di eventi che termina danneggiando il rapporto medico-paziente. Si sottolinea quindi che la responsabilità del medico e l’atto medico non possono essere valutati in modo diverso a seconda che sia dipendente del Ssn o convenzionato o libero professionista così come il codice deontologico della professione medica non può essere diversificato”. 12 G. Comandé, La riforma della responsabilità sanitaria al bivio tra conferma, sovversione, confusione e no-blame giurisprudenziale, in Riv. It. Med. Leg., 2016, fasc. 1, pag. 3 ss., il quale quindi, conclude che “Il professionista sanitario, schermato in prima battuta dalla canalizzazione in capo alla struttura, diventa il soggetto che risponde alla fine (sebbene in seconda istanza e con i limiti fissati dalla proposta di legge) del danno, trovandosi nuovamente esposto a un contenzioso da cui la giurisprudenza lo aveva progressivamente posto quasi al riparo”. 13 Art. 696 bis (Consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite): “1.L’espletamento di una consulenza tecnica, in via preventiva, può essere richiesto anche al di fuori delle condizioni di cui al primo comma dell’articolo 696, ai fini dell’accertamento e della relativa determinazione dei crediti derivanti dalla mancata o inesatta esecuzione di obbligazioni contrattuali o da fatto illecito. Il giudice procede a norma del terzo comma del medesimo articolo 696. Il consulente, prima di provvedere al deposito della relazione, tenta,ove possibile, la conciliazione delle parti. 2.Se le parti si sono con-

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preventiva ai fini della composizione della lite. È prevista espressamente l’esclusione dell’attuale mediazione obbligatoria (di cui l’art. 5, comma 1-bis del d.l. n. 28 del 4 marzo 2010) in materia di responsabilità medica e sanitaria14. Il giudice, con il provvedimento che definisce il giudizio che vede la presenza qualificata di un consulente tecnico, condanna le parti che non hanno partecipato al pagamento delle spese di consulenza e di lite, “indipendentemente dall’esito del giudizio”, oltre che a una pena pecuniaria determinata “equitativamente” in favore della parte che è comparsa alla conciliazione15. L’art. 9 del d.d.l. in esame costituisce uno dei passaggi senza dubbio più controversi e dibattuti dell’impianto normativo in oggetto. In termini sintetici, il testo approvato alla

ciliate, si forma processo verbale della conciliazione. 3.Il giudice attribuisce con decreto efficacia di titolo esecutivo al processo verbale, ai fini dell’espropriazione e dell’esecuzione in forma specifica e per l’iscrizione di ipoteca giudiziale. 4.Il processo verbale è esente dall’imposta di registro. 5.Se la conciliazione non riesce, ciascuna parte può chiedere che la relazione depositata dal consulente sia acquisita agli atti del successivo giudizio di merito”. 14 Il d.d.l., con la previsione dell’esperimento della consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite di cui all’articolo 696 bis del c.p.c., sembrerebbe aver preso definitivamente conto del fatto che l’istituto della mediazione, in un settore particolarmente problematico come quello della responsabilità medica, ha nel tempo mostrato tutti i suoi limiti istruttori considerata la complessità intrinseca della materia. 15 In definitiva, il fine ultimo perseguito dal legislatore mediante tale istituto processuale è quello di prevenire l’insorgenza della lite giudiziale, mediante l’anticipazione di un atto istruttorio tipico, qual è l’elaborato del consulente tecnico del giudice che possa indurre le parti a non instaurare un giudizio di merito, alla luce di una prognosi sull’esito della causa medesima.

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Camera ha confermato per le fattispecie di responsabilità del dipendente della struttura sanitaria o sociosanitaria pubblica, l’ingresso della cosidetta “azione di rivalsa”, direttamente esperibile di fronte al giudice ordinario in caso di dolo o colpa grave, e nella sua misura che, in caso di colpa grave, non può superare una somma pari al triplo della retribuzione lorda annua, escludendo la giurisdizione della Corte dei conti, di norma l’organo giudiziario competente in tema di recupero dei danni verso la Pubblica Amministrazione. In linea prospettica, il percorso tracciato dal legislatore si potrebbe rivelare evidentemente dirompente, con il forte rischio di assistere nuovamente a un ulteriore inasprimento del contenzioso nei confronti del professionista sanitario che diventa il soggetto che, alla fine, risponde del danno. Molteplici e gravi ragioni militano in senso contrario all’espressa negazione della giurisdizione della Corte dei conti. Un giudizio che, tenuto conto delle caratteristiche proprie dello statuto della responsabilità erariale, offre specifiche garanzie. In primo luogo, la Procura contabile opera una sorta di azione, per così dire, di filtro attraverso un atto pre-processuale come l’invito a dedurre rivolto al presunto responsabile del danno16. In secondo luogo, 16 Di sicuro interesse, sulle numerose criticità che la tale previsione reca con sé, è l’audizione dell’Associazione Magistrati della Corte dei conti, tenutasi nel corso della seduta n. 321 del 1 marzo 2016 davanti alla XIIa Commissione igiene e sanità del Senato. L’associazione ha sottolineato come “[…] delle migliaia di procedimenti annualmente avviati dalle Procure regionali della Corte dei conti a seguito delle segnalazioni provenienti dalle aziende sanitarie e relative ai pagamenti effettuati direttamente

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il potere-dovere riconosciuto alla Corte dei conti di ridurre il quantum del danno accertato e ascrivibile al pubblico dipendente che ha tenuto la condotta illecita, potendo giungere persino alla completa esclusione di qualunque addebito17. In terzo luogo, la responsabilità stessa del presunto autore del fatto illecito non è trasmissibile agli eredi, a meno che il Pm contabile non dimostri l’indebito arricchimento degli eredi conseguente all’illecito arricchimento del dante causa. È ovvio immaginare che nei casi di c.d. medical malpractice non è concepibile un indebito arricchimento dell’agente, per cui l’intrasmissibilità dell’obbligo risarcitorio agli eredi gode di un’applicazione pressoché generalizzata. Inoltre, lo spostamento dell’esercizio dell’azione di rivalsa innanzi al giudice ordinario, prevede che il giudice nel giu-

ai terzi danneggiati o alle compagnie assicuratrici a titolo di franchigia, la quasi totalità si è conclusa nell’istruttoria innanzi alla Procura contabile con provvedimento di archiviazione, non sussistendo gli elementi per l’esercizio dell’azione di responsabilità […]”. 17 Dalla casistica giurisprudenziale,si può desumere che la Corte dei conti ricorre a una applicazione sistematica dell’istituto della riduzione dell’addebito, a fronte di circostanze oggettive e soggettive che ne possono giustificare l’uso. Per quel che qui interessa, la Corte dei conti, sez. giurisdiz. Emilia Romagna, sent. 29 marzo 2015 n. 29 così ha statuito: “Costituiscono circostanze obiettive del fatto, attribuibili all’amministrazione, quelle che possano determinare un maggior rischio da parte dei suoi agenti, quali ad esempio l’inadeguata organizzazione del servizio […]”. Il giudice, quindi, ai predetti fini “[…] non può non farsi carico degli aspetti organizzativi generali e/o specifici non ricollegabili a comportamenti illeciti concorrenti dei vari livelli che tuttavia pongano il soggetto agente in una situazione di maggiore probabilità di determinare il fatto dannoso”. Ovviamente, allo stesso modo possono essere valutabili ai predetti fini, “anche circostanze subiettive (ad esempio gli ottimi precedenti di carriera, la forte tensione emotiva del soggetto agente, un contesto operativo di contenuto stressogeno etc.) […]”.


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dizio di rivalsa “possa desumere argomenti di prova dalle prove assunte” nel corso dei giudizi instaurati dal danneggiato nei confronti della struttura sanitaria o sociosanitaria o dell’impresa di assicurazione, nonostante il professionista possa non aver partecipato a detti giudizi: va da sé, che ciò potrebbe comportare una forte limitazione del diritto di difesa degli esercenti le professioni sanitarie, poiché potrebbero veder compromessa la possibilità di rappresentare elementi e situazioni per escludere una loro responsabilità ovvero per evitare liquidazioni, per avventura non fondate quindi ingiustificate e, se del caso, esorbitanti. Rammentiamo come a fronte di questi gravi rilievi, nel corso dell’esame del testo davanti alla 12a Commissione Igiene e sanità del Senato, sono stati avanzati una serie di emendamenti alla disposizione in oggetto, fra i quali merita di essere richiamato quello proposto (emendamento 9.21 – presentato il 3 agosto 2016) dal relatore del disegno di Legge in questo ramo del Parlamento, il Sen. Amedeo Bianco, il quale prevede che: l’azione di responsabilità amministrativa nei confronti dell’esercente la professione sanitaria possa essere esercitata per dolo o colpa grave; tale azione possa essere esercitata dal Pubblico Ministero presso la Corte dei conti (quindi, viene riaffermata la giurisdizione del giudice contabile); ai fini della quantificazione del danno, assoluta novità, la previsione secondo la quale la Corte dei conti debba tenere presente le situazioni di fatto di particolare difficoltà, anche di

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natura organizzativa della struttura sanitaria o sociosanitaria pubblica, in cui l’esercente la professione sanitaria abbia operato; infine, che la misura della rivalsa, per singolo evento, in caso di colpa grave, non possa superare una somma pari al valore maggiore della retribuzione lorda o del corrispettivo convenzionale conseguiti nell’anno di inizio della condotta causa dell’evento o nell’anno immediatamente precedente o successivo moltiplicato per il triplo.

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traumatologia MONOGRAFIA


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MONOGRAFIA

Il risarcimento del danno da morte Gli orientamenti legislativi sulla risarcibilità del danno tanatologico

F. Bilancetti Specializzando in materia di responsabilità medica e sanitaria

Il danno tanatologico o danno da morte rappresenta un’ipotesi di danno di discussa ammissibilità e di altrettanto difficile perimetrazione nell’ipotesi in cui si aderisca alla tesi affermativa in ordine alla sua risarcibilità. In via generale, per danno tanatologico si intende il pregiudizio al diritto alla vita sofferto dalla persona deceduta, qualora il danno abbia provocato la morte immediata della vittima. Illustriamo gli orientamenti in giurisprudenza in tema di risarcibilità del danno da morte, nel panaroma italiano e internazionale. Il danno evento e il danno conseguenza È anzitutto evidente, come nell’ipotesi di danno da morte, la distinzione tra danno evento e danno conseguenza manifesti

una fisionomia del tutto peculiare. Se infatti l’evento morte in sé considerato appare inidoneo a produrre conseguenze risarcitorie nei confronti dell’individuo ormai deceduto, secondo il brocardo mors omnia solvit, altrettanto non può dirsi con sicurezza per quanto riguarda le sofferenze patite dal medesimo soggetto nel lasso di tempo intercorso tra il pregiudizio e la morte, eventualmente trasmissibili iure hereditatis ovvero per le sofferenze patite dai parenti del de cuius. La tesi che nega la risarcibilità del danno tanatologico è ad oggi maggioritaria e può farsi risalire alla fondamentale pronuncia della Corte Costituzionale del 27 ottobre 1994 n. 372: in tale decisione fu affermato per la prima volta che ai fini della risarcibilità del danno tanatologico si rende necessario l’accertamento della sussistenza di un apprezzabile lasso di tempo

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tra lesione e morte. Secondo questa impostazione, danno biologico e danno alla vita devono considerarsi come distinti e il relativo impianto teorico deve essere differenziato. Quest’ordine di rilievi non ha convinto l’altra parte della dottrina minoritaria che sottolinea come la morte costituisca il massimo pregiudizio al bene salute e che pertanto sarebbe ingiustificato considerare i due beni giuridici come ontologicamente distinti, in quanto naturalisticamente corrispondenti alla stessa realtà biologica, con la conseguenza che sarebbe preferibile pervenire alla conclusione della risarcibilità. In proposito, la Suprema Corte con pro-

patrimonio della vittima sin dal momento della lesione mortale: “Il risarcimento del danno non patrimoniale da perdita della vita, bene supremo della persona e per ciò oggetto di un diritto assoluto e inviolabile, è garantito, in via primaria, dall’ordinamento anche sul piano della tutela civile, presentando carattere diverso e autonomo, in ragione della diversità del bene tutelato, dal danno alla salute nella duplice considerazione di ‘danno biologico terminale’ e di ‘danno catastrofale’: esso, pertanto, rileva ‘ex se’, a prescindere dalla consapevolezza che il danneggiato ne abbia avuto, dovendo essere ristorato anche in caso di ‘morte immediata’ o ‘istantanea’, senza che assumano rilievo né la persistenza in vita del-

nuncia del 24 gennaio 2014 n.1361 (cosiddetta sentenza Scarano) ha sposato quest’ultimo orientamento, affermando la risarcibilità del danno biologico da perdita della vita, da ritenersi acquisito nel

la vittima per un comunque apprezzabile lasso di tempo, né l’intensità e la durata della sofferenza della vittima subita per la cosciente e lucida percezione dell’ineluttabilità della propria fine”.


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Il risarcimento del danno da perdita della vita La liquidazione del danno da perdita della vita deve compiersi in applicazione dell’art. 1226 c.c., essendo rimessa alla discrezionalità del giudice di merito l’individuazione di criteri che consentano di pervenire a un equo ristoro, evitando, però, sia la adozione di soluzioni di carattere meramente soggettivo, sia la determinazione di un ammontare monetario meramente soggettivo, sia la determinazione di un ammontare uguale per tutti, occorrendo, per contro, un’adeguata personalizzazione in considerazione, in particolare, dell’età, dello stato di salute e delle speranze di vita futura della vittima, nonché dell’attività da essa svolta e delle sue condizioni personali e familiari (Cass. 24 gennaio 2014 n.1361). Il risarcimento del danno da perdita della vita ha funzione “compensativa” e il relativo diritto o ragione di credito è trasmissibile iure hereditatis considerato che la non patrimonialità è attributo della vita, quale bene indivisibile, protetto e irripetibile, e non già del diritto al ristoro della lesione assoluta e irreversibile a tal bene arrecata (Cass. 24 gennaio 2014 n.1361). Si consideri che il danno da perdita della vita (diverso dal danno alla salute, come pure dal danno biologico terminale e dal danno morale terminale, c.d. catastrofale o catastrofico) rileva ex se, nella sua oggettività di perdita del bene principale dell’uomo a prescindere dalla consapevolezza che il danneggiato ne abbia; costituisce danno non patrimoniale risarcibile;

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viene acquisito dalla vittima immediatamente al momento della lesione mortale e, quindi, anteriormente al decesso; ha funzione compensativa, sì che il relativo credito è trasmissibile iure hereditatis, la sua determinazione compete alla valutazione equitativa del giudice di merito alla cui prudente discrezionalità va rimessa l’individuazione dei criteri che consentano di pervenire alla liquidazione di un ristoro equo, dovendosi escludere sia una soluzione di carattere meramente soggettivo, sia la determinazione di un ammontare uguale per tutti e occorrendo invece procedere alla personalizzazione, tenuto conto dell’età della vittima, delle sue condizioni di salute, delle speranze di vita futura, dell’attività da lui svolta e delle condizioni personali e familiari (Cass. 24 gennaio 2014 n.1361). Secondo questo orientamento, ad oggi assolutamente minoritario, il diritto al risarcimento del danno biologico da morte dovrebbe essere riconosciuto. In particolare, per quanto attiene all’elemento temporale, tale danno sorgerebbe al verificarsi dell’evento morte e immediatamente si trasferirebbe agli eredi. Il Supremo Collegio argomenta che, diversamente opinando, si incorrerebbe nel paradosso di non ritenere risarcibile un danno della massima intensità e importanza, il pregiudizio al bene della vita, costituzionalmente tutelato agli artt. 2, 22 e 32 della Carta costituzionale, riguardanti rispettivamente il riconoscimento dei diritti inviolabili dell’uomo, il diritto inalienabile alla capacità giuridica e il diritto

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alla salute, nonché variamente affermato in sede europea e internazionale. Così ragionando, si perverrebbe a un’innovativa ricostruzione del bene vita distinto da quello della salute e da intendersi come bene massimo ed eterogeneo riguardante l’integrità fisica intesa nella sua totalità.

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Orientamento prevalente della giurisprenza: il mancato riconoscimento della risarcibilità La ragione del mancato riconoscimento della risarcibilità, sulla scorta dell’orientamento attualmente prevalente inaugurato dalla pronuncia della Corte Costituzionale n. 372 del 1994, fa leva su di un’argomentazione logica ancor prima che giuridica: il danno biologico terminale, anche qualora se ne riconoscesse la risarcibilità, sorgerebbe contestualmente alla perdita della vita e conseguentemente non potrebbe entrare a far parte del patrimonio di un soggetto inidoneo a essere titolare di diritti in quanto deceduto. L’argomentazione maggioritaria ha trovato avallo anche nelle sentenze delle Sezioni Unite n. 26762 e ss. dell’11 novembre 2008 (c.d. sentenze di S. Martino): in tali pronunce è stato infatti ribadito con chiarezza come il danno biologico da morte non sia risarcibile. Rispetto alle predette decisioni delle Sezioni Unite la pronuncia in analisi sembra

unitaria quali voci del più generale danno non patrimoniale riconosciuto in via generale dal Codice civile all’art. 2059. In particolare, secondo l’argomentazione prevalente, il danno in analisi deve considerarsi punitivo dal momento che non manifesterebbe effettive finalità risarcitorie che sarebbero esaustivamente soddisfatte dal danno morale riflesso subito dai parenti (c.d. danno conseguenza), da distinguere dal danno biologico da morte irrisarcibile (c.d. danno evento). La pronuncia appare eterodossa anche in relazione all’elemento della sofferenza: sono state avanzate ipotesi di danno senza sofferenza nei confronti del nascituro o del neonato ma si tratta di ipotesi dottrinali prive di riconoscimenti giurisprudenziali. Si considerino le ipotesi in cui il risarcimento pervenga a successibili lontani o addirittura allo Stato: in tali circostanze il trasferimento patrimoniale apparirebbe come un’ipotesi quantomeno singolare di arricchimento. Occorre evidenziare come il danno in questione, pur ricompreso nell’ambito del danno non patrimoniale, si distingua dal danno morale terminale o cosiddetto “catastrofale” riguardante le sofferenze patite nel lasso di tempo antecedente alla morte e la cui risarcibilità è pacificamente ammessa, nei limiti in cui sia decorso un apprezzabile lasso temporale (sul punto

discostarsi anche con riferimento al danno morale soggettivo ed esistenziale, da ritenersi quali categorie indipendenti e distinte, mentre in tali precedenti pronunce delle Sezioni Unite se ne riconosceva la natura

vedasi ex multis: Cass. 28 agosto 2007 n. 18163). È chiara quindi la ragione per cui gli eredi possano richiedere il risarcimento del danno morale riflesso cagionato dalla per-


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dita parentale, nonché del risarcimento del danno corrispondente alla sofferenza del de cuius, entrato a far parte dell’asse ereditario in quanto sorto nel momento in cui quest’ultimo era ancora in vita. Resterebbe inoltre incerta la possibilità di risarcimento del danno catastrofale, a seguito di una morte effettivamente istantanea, dal momento che soltanto in casi davvero peculiari l’evento morte si manifesterebbe con modalità realmente istantanee e pertanto, difficilmente, potrebbero verificarsi ipotesi di danno da morte prive di conseguenze risarcitorie riflesse, compensative della sofferenza dei parenti. Invero, il rilievo secondo cui l’ipotesi di una morte istantanea priva di sofferenza appaia piuttosto improbabile nell’ordinaria fenomenologia degli eventi mortali è in parte condivisibile e, pertanto, l’opportunità di un risarcimento sotto forma di voce di danno biologico, a prescindere dal difficile accertamento della sofferenza soggettiva, non appare del tutto privo di fondamento. Il diritto al risarcimento del danno da morte andrebbe quindi a colmare proprio quel vuoto di tutela giuridica, sussistente al confine tra l’insussistenza dell’apprezzabile lasso di tempo e la morte, identificandosi nell’acquisizione di coscienza della morte seppure di breve durata. L’intollerabilità di un tale vuoto giuridico sarebbe confermata dalla lettura combinata dell’art. 2 della Costituzione, dalla Dichiarazione Universale dei diritti dell’Uomo del 1948 e dalla Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del 1950.

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La Suprema Corte ribadisce altresì nella presente decisione che il danno anche se non cosciente è comunque esistente e che quindi debba essere risarcito, conformemente all’opinione maggioritaria in giurisprudenza. Sulla scorta di tali affermazioni sembra che il ristoro patrimoniale derivante dal riconoscimento del danno biologico terminale si aggiunga irragionevolmente al danno non patrimoniale da sofferenza patita, già sufficientemente satisfattivo e che pertanto, a differenza da quanto affermato dalla Suprema Corte, non risponda a “esigenze sociali” realmente avvertite. Il problema della determinazione dell’entità del risarcimento L’adesione alla tesi della risarcibilità del danno biologico terminale, così come affermata dalla pronuncia in esame, richiede inoltre di affrontare la difficile tematica relativa alla determinazione dell’ammontare del risarcimento del danno, anche in assenza di esplicita previsione della voce relativa al danno biologico da perdita della vita da parte delle tabelle riguardanti il danno biologico che pertanto, secondo quanto affermato dalla Suprema Corte nella pronuncia in analisi, dovrebbe essere risarcito secondo criteri equitativi ai sensi dell’art. 1226 del Codice civile. Tuttavia, non è chiaro se il criterio da adottare debba ritenersi il criterio equitativo cosiddetto puro, da intendersi come svincolato da riferimenti tabellari, oppure se il calcolo del danno debba essere preceduto da una personalizzazione che tenga conto

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del dato tabellare, ad esempio considerando l’evento morte come danno biologico del 100%, come talvolta affermato da parte della giurisprudenza di merito (tra le tante, App. Roma, 4 giugno 1992, in Resp. civ. e prev., 1992, p. 601; Trib. Massa, 20 gennaio 1990, in Resp. civ. e prev., 1990, p. 613; Trib. Firenze, 18 novembre 1991, in Rep. Foro it., 1992; Trib. Napoli, 8 luglio 1988, in Dir. Giust., 1990, p. 175. Sul tema: M. Pogliani, “Danno biologico, non oltre la vita”, in Resp. civ. prev., 1989, p. 394). Nell’ipotesi in cui si voglia aderire alla tesi sostenuta dalla pronuncia n.1361 del 2014, si renderebbe opportuno un intervento legislativo, o quantomeno un adeguamento delle tabelle esistenti, al fine di chiarire l’entità degli importi da risarcire anche in considerazione del fatto che la voce in questione potrebbe essere quantificata in modo molto disomogeneo nell’ambito del territorio nazionale da parte dei diversi giudici di merito, affidandosi al principio evanescente del criterio equitativo. Inoltre, anche in ragione dell’entità verosimilmente assai rilevante della voce risarcitoria di cui si discute, si renderebbe opportuno quantificare in modo più preciso per rispondere alle esigenze del settore assicurativo con riguardo all’adeguamento e al calcolo dei premi. Non sembra comunque da escludersi che possano porsi problemi di disparità di trat-

disparità in termini di quantificazione risarcitoria. Sebbene sotto il profilo comparatistico il danno biologico da morte sia stato riconosciuto in svariati ordinamenti, quantomeno parzialmente, non risultano chiare le esigenze sociali avvertite dalla collettività a cui la Suprema Corte fa riferimento, né la dottrina asseritamente maggioritaria che auspicherebbe un tale renvironment, sebbene la decisione abbia successivamente trovato alcune adesioni favorevoli (sul punto vedasi i commenti in: www.foroitaliano.it, alla voce sentenza n.1361 del 2014 e ordinanza 4 marzo 2014, n. 5056) . La giurisprudenza di merito ha invece continuato a optare per la tesi dell’irrisarcibilità del danno tanatologico: la Corte di Appello di Milano (sentenza n. 495 del 18 febbraio 2014), chiamata dall’appellante ad applicare il principio fatto proprio della decisione in commento ad esempio, ha respinto la richiesta di danno da perdita del bene vita uniformandosi così ai precedenti orientamenti di segno contrario. Anche il Tribunale di Roma, con due sentenze, ha rifiutato di applicare ai casi concreti il nuovo principio avendo ritenuto “che la pronuncia, ancora isolata, non riesca a superare in modo convincente il problema dell’assenza del centro di imputazione in capo a un soggetto non più esistente” e ha statuito che la decisione suggerisce “un

tamento, ad esempio in situazioni in cui si verifichino più eventi morte, contestualmente nell’ipotesi in cui per alcuni venga ritenuto sussistente il lucido intervallo mentre per altri venga negato, con forti

mutamento di prospettiva che, però, non fornisce risposte concrete alla frantumazione del sistema attualmente vigente su cui si fonda il meccanismo di trasmissione dei beni iure hereditatis”.


traumatologia forense / novembre 2016

Da segnalare una pronuncia di merito successiva in materia di danno tanatologico (Trib. Firenze, 27 giugno 2014, inedita) che, ignorando fondamentalmente la sentenza n. 1631 del 2014, rispetta l’indirizzo prevalente dal 2008 negando al neonato deceduto a poche ore dalla nascita (rectius, iure haereditario, agli eredi) il risarcimento sia del danno alla salute, in quanto la bambina non sarebbe sopravvissuta per un tempo sufficiente alla formazione di un simile pregiudizio risarcibile, sia del danno morale “catastrofale”, in quanto “ il tempo di sofferenza del neonato è, ad avviso del giudicante, tempo di incoscienza della condizione. Con ciò non si vuol dire che il neonato non senta, non viva emozioni, non soffra nelle prime ore, ma che egli non è in grado di apprezzare l’agonia in quanto tale, non ha la percezione della morte, non ha subito una sofferenza diversa da quella in ogni caso connessa al parto ”. Pertanto, in ragione della convinta adesione della pronuncia in questione a un orientamento minoritario, si è da subito avvertita la necessità di una pronuncia delle Sezioni Unite al fine di chiarire il panorama interpretativo, anche in considerazione del fatto che la decisione di cui si discute proviene dal più importante organo della giustizia italiana, nonché per il grande numero dei processi potenzialmente coinvolti e per l’incidenza potenzialmente rilevante di un riconoscimento del danno biologico da morte trasmissibile iure hereditario (vedasi ordinanza 4 marzo 2014, n. 5056). Quanto affermato dalla pronuncia n. 1361

n.3

del 2014 è stato successivamente messo in discussione dall’importante decisione delle Sezioni Unite n. 15350 del 22 luglio 2015 che ha optato per il diniego del danno tanatologico quale autonoma voce di danno biologico, ribadendo pertanto l’orientamento tradizionale. La Suprema Corte ha anzitutto affermato, in conformità alla propria giurisprudenza maggioritaria antecedente, l’eterogeneità del bene vita rispetto a quello del bene salute e in secondo luogo ha enfatizzato la distinzione tra danno iure proprio subito dal defunto e danno iure hereditario, da risarcire ai congiunti. Ad avviso delle Sezioni Unite, le divergenze quantitative risarcitorie sarebbero sostanzialmente rilevanti soltanto per questi ultimi e non per il soggetto deceduto: pertanto l’ipotesi interpretativa di ritenere meritevole di risarcimento il danno alla vita si tradurrebbe nel risarcimento di un danno punitivo privo di titolare, in contrasto con la logica risarcitoria della responsabilità civile propria del diritto italiano moderno. Non avrebbe altresì pregio, secondo la pronuncia in esame, l’argomentazione critica secondo cui, de iure condito, risulterebbe “più utile uccidere che ferire” come nell’ipotesi di un ferimento seguito da morte rispetto all’uccisione che abbia determinato una morte istantanea, dal momento che tale divergenza potrebbe essere colmata sul piano sanzionatorio dalla tutela penale e inoltre, anche sotto il profilo civilistico, l’entità complessiva del risarcimento non risulterebbe aprioristicamente inferiore

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MONOGRAFIA / Il risarcimento del danno da morte

nell’ipotesi di morte rispetto all’eventualità del ferimento. La diversa opzione interpretativa era stata auspicata anche in un noto obiter “sistematico” in Cass. 15760 del 12 luglio 2006, secondo cui da più parti la dottrina europea e italiana avrebbero ritenuto opportuno il superamento del criterio del lucido intervallo come rilevante ai fini della risarcibilità del danno tanatologico. La Suprema Corte, con gli argomenti espressi in precedenza, ha tuttavia respinto tale necessità così come non ha ritenuto meritevoli di pregio le argomentazioni riguardanti potenziali differenziazioni di trattamento, avvertite da un’evanescente coscienza sociale. La sentenza, pur nella sua stringatezza argomentativa con riferimento ai rilievi sopra menzionati, appare comunque meritevole di interesse oltre che condivisibile, tuttavia i diversi dubbi sollevati sembrano essere stati respinti in modo parzialmente apodittico e non vi sarebbe da meravigliarsi se l’orientamento espresso da Cass. 2014 n.1361 ritornasse in futuro al centro del dibattito giurisprudenziale e dottrinale. Conclusioni L’affermazione secondo cui nel panorama comparatistico soltanto la giurisprudenza portoghese avrebbe riconosciuto il danno tanatologico come voce autonoma di danno biologico non sembra condivisibile, dal momento che in ambito mondiale ed europeo si registrano invece pronunce e orientamenti discordanti in tema di danno tanatologico: la Corte Suprema

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del Portogallo ha previsto il risarcimento del danno da perdita della vita (sentenze 17 marzo 1971 e 11 gennaio 2007). In Inghilterra si notano invece orientamenti contrastanti: se infatti, il danno è stato escluso dal Law Reform Act del 1934 e successivamente dal Fatal Accident Act del 1976, il danno non patrimoniale da lutto è stato limitato nel quantum a una certa somma fissa, aumentata nel 2002 a 10.000 sterline. Negli Stati Uniti d’America è stato infine riconosciuto il danno per l’hedonic value of life, cioè per la vita in quanto tale (Corte Distrettuale dell’Illinois, sentenza del 15 novembre 1985).



CORSO ECM A DISTANZA 2017

Appropriatezza in ortopedia e traumatologia CORSO FAD RISERVATO AGLI ABBONATI PAGANTI DESCRIZIONE DEL CORSO Nell’esercizio della professione, al medico è ormai costantemente richiesto di uniformare la propria condotta a principi di adeguatezza, sia rispetto alle esigenze del paziente sia al contesto sanitario, al fine di ottimizzare l’efficacia e l’efficienza dell’intervento diagnostico-terapeutico. L’obiettivo è quello di trovare un equilibrio tra l’insopprimibile richiesta di salute della popolazione e le sempre più limitate risorse a disposizione del Sistema sanitario nazionale. Per queste ragioni, attraverso la valorizzazione delle linee guida e delle specifiche norme di legge, si cerca di favorire un comune razionale di condotta (a tal proposito si ricorda il recente D.M., 9 dicembre 2015 che individua le condizioni di erogabilità e le indicazioni di appropriatezza per numerose prestazioni erogate a carico del Ssn). In questo contesto, uno speciale focus è dedicato ai trattamenti off-label, “situazione in cui un farmaco è utilizzato volutamente per un fine medico non in linea con le informazioni autorizzate sul prodotto”, apparentemente in contrasto con i principi di appropriatezza. Il corso ripercorrerà,inoltre, i possibili profili di responsabilità e le relative sanzioni cui il medico può andare incontro nei diversi ambiti di giudizio. DIRETTORE SCIENTIFICO Fabio M. Donelli, specialista in Ortopedia e Medicina legale, professore a contratto Università degli Studi di Milano e Brescia STRUTTURA DEL CORSO Modulo 1 I doveri del medico. Autori: F. M. Donelli (specialista ortopedico e Medico legale, professore a contratto Università di Milano), G. Gualtieri e G. Landi (medico in Formazione in Medicina Legale, Uo Medicina legale, Università degli studi di Siena) Appropriatezza prescrittiva. Autore: D. Vasapollo (Già direttore Scuola di specializzazione di Medicina legale, Bologna), M. Monti (Medico chirurgo, Bologna) Le sanzioni. Autore: M. Benvenuti, M. Gabbrielli, G. Nucci (Medicina legale, Università di Siena) La responsabilità penale. Autore: L. Isoppo (avvocato del Foro di Parma) Modulo 2 Il planning pre-operatorio. Autori: Fabio M. Donelli (specialista ortopedico e Medico legale, professore a contratto Università di Milano), G. Gualtieri e G. Landi (medico in Formazione in Medicina Legale, Uo Medicina legale, Università degli studi di Siena) Indicazione al trattamento. Autore: D. Vasapollo (già direttore Scuole di specializzazione di Medicina legale, Bologna) Terapia off-label: limiti e prospettive. Autori: F. M. Donelli (specialista ortopedico e Medico legale, professore a contratto Università di Milano), G. Gualtieri e G. Landi (medico in formazione in Medicina legale, Uo Medicina Legale, Università degli studi di Siena) Le novità legislative. Autore: L. Nocco (dottore di Ricerca in diritto comparato della Scuola superiore Sant’Anna di Pisa, professore associato abilitato in diritto privato, avvocato del Foro di Pisa) MODALITÀ DI SOMMINISTRAZIONE DEL CORSO E ACCREDITAMENTO ECM In ogni numero di Traumatologia forense verrà pubblicato un modulo composto da alcuni articoli e da un questionario di autovalutazione. A fine corso saranno disponibili online (www.fadmedica.it) tutti i moduli pubblicati sulla Rivista e sarà possibile rispondere online a un questionario di valutazione finale, che si compone delle domande contenute nel “questionario di autovalutazione” che viene pubblicato al termine di ogni modulo. L’erogazione dei crediti ECM, avverrà al superamento della prova finale, per la quale è necessario rispondere correttamente al 75% delle domande. Tutti gli iscritti al corso riceveranno le informazioni necessarie per l’accesso online e la compilazione dei questionari. Per informazioni generali contatta l’Editore Griffin srl – Maria Camillo (ufficio abbonamenti); Tel. 031.789085 (ore 9-13); customerservice@griffineditore.it

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Per informazioni tecniche sullo svolgimento del corso contatta il provider ECM Fad Medica srl – Andrea Mecci (responsabile formazione) - Tel. 06.90407234 - info@fadmedica.it


CORSO ECM/MODULO 1

I doveri del medico F.M. Donelli*, G. Gualtieri**, G. Landi** *Specialista ortopedico e Medico legale, professore a contratto Università di Milano **Medico in Formazione in Medicina Legale, Uo Medicina legale, Università degli studi di Siena

I doveri del medico costituiscono un riferimento di norme morali, deontologiche e giuridiche essenziali alla realizzazione di una formazione e di una fisionomia professionale ideale, fondendo la competenza culturale e tecnica con la conoscenza delle regole di condotta. La deontologia medica è, difatti, quella dottrina che contempla le essenziali regole di comportamento cui il medico è tenuto ad attenersi, in ottemperanza all’ordinamento giuridico-sociale e professionale. I doveri del medico secondo il Codice di deontologia medica Il Codice di deontologia medica, al Titolo II, disciplina i doveri e le competenze del medico e nello specifico: > art. 3. “Doveri del medico sono la tutela della vita, della salute psico-fisica, il trattamento del dolore e il sollievo della soffe-

vi, terapeutici e riabilitativi è una diretta, esclusiva e non delegabile competenza del medico e impegna la sua autonomia e responsabilità […]”. L’articolo, ispirandosi a valori fondamentali e principi etici universali, consente al medico di affermare e difendere i comportamenti che possono trovarsi in contrasto con quanto prescritto dalle leggi dello Stato. Allo stesso tempo, si sottolinea l’esclusività del momento diagnostico in capo al medico ai fini preventivi, terapeutici e riabilitativi; una specifica regola l’interazione con le altre figure sanitarie, delimitando le proprie competenze esclusive; > art. 4. “L’esercizio professionale del medico è fondato sui principi di libertà, indipendenza, autonomia e responsabilità [...]”. L’articolo, valorizzando concetti quali la libertà, l’indipendenza, l’autonomia e la responsabilità del medico, rappresenta

renza, nel rispetto della libertà e della dignità della persona, senza discriminazione alcuna, quali che siano le condizioni istituzionali o sociali nelle quali opera […]”. E ancora “[…] La diagnosi a fini preventi-

un importante strumento di difesa della propria indipendenza e autonomia intellettuale, al di là del luogo e del rapporto di lavoro e del regime lavorativo cui lo stesso è sottoposto;

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ECM-MODULO 1 / I doveri del medico

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> art. 5. “Il medico, nel considerare l’ambiente di vita e di lavoro e i livelli di istruzione e di equità sociale quali determinanti fondamentali della salute individuale e collettiva, collabora all’attuazione di idonee politiche educative, di prevenzione e di contrasto alle disuguaglianze alla salute e promuove l’adozione di stili di vita salubri, informando sui principali fattori di rischio [...]”. L’articolo è una novità rispetto al codice precedente e coinvolge direttamente il medico in una più ampia promozione e tutela della salute, spingendolo oltre i tradizionali compiti di diagnosi e cura; > art. 6. “Il medico fonda l’esercizio delle proprie competenze tecnico-professionali sui principi di efficacia e di appropriatezza, aggiornandoli alle conoscenze scientifiche disponibili e mediante una costante verifica e revisione dei propri atti [...]”. L’articolo basa la sua comprensione sui termini efficacia e appropriatezza, principi sui quali il medico deve fondare l’esercizio della propria professione. L’efficacia è la misura della corrispondenza tra i risultati ottenuti e gli obiettivi prefissati e in sanità la probabilità di modificare in meglio lo stato di salute di un individuo; l’appropriatezza è, invece, l’indicazione o l’effettuazione di un intervento sanitario in condizioni tali che le probabilità di trarne beneficio superino i rischi; > art. 7. “In nessun caso il medico abusa

ma comporta anche il dovere di non utilizzare il proprio status sociale per ottenere vantaggi di qualsiasi genere; > artt. 8 e 9. “Dovere di intervento”, recita “il medico in caso di urgenza, indipendentemente dalla sua abituale attività, deve prestare soccorso e comunque attivarsi tempestivamente per assicurare idonea assistenza”; “calamità” recita: “il medico in ogni situazione di calamità deve porsi a disposizione dell’Autorità competente”. Gli articoli 8 e 9 stabiliscono che in caso di necessità, per il medico, prestare soccorso diventa un obbligo in quanto l’attività professionale da lui svolta è diretta attuazione del principio costituzionale della tutela della salute umana. Le stesse circostanze che obbligano il medico ad agire si presentano, nel caso di “omissione” o “inerzia”,

del proprio status professionale. Il medico che riveste cariche pubbliche non può avvalersene per vantaggio professionale [...]”. L’articolo non fa riferimento solo a eventuali ingiustificati guadagni economici,

trovando applicazione nell’ articolo 593 c.p. (omissione di soccorso) e negli articoli 256 e 257 del Testo unico delle leggi sanitarie (Tullss) che prevedono rispettivamente “l’obbligo dei medici di prestare


la propria opera per i servizi di assistenza e profilassi, secondo le disposizioni dell’autorità sanitaria, nei comuni di residenza, in caso di epidemia o di pericolo di epidemia nonché l’obbligo di prestare la propria opera per prevenire o combattere la diffusione di malattie infettive negli altri comuni ai quali siano stati destinati dall’autorità sanitaria”; > artt. 10, 11 e 12. Riguardano il segreto professionale e il trattamento dei dati personali e sensibili, concetti che, oltre a essere anche obblighi di legge, sono ormai un patrimonio culturale consolidato del medico. Tali obblighi, tuttavia, non devono essere di ostacolo alla ricerca e alla divulgazione scientifica, che sono garantiti, a patto che sia assicurata la non identificabilità dei soggetti coinvolti in eventuali pubblicazioni scientifiche. > art. 12. “Il medico può trattare i dati sensibili idonei a rivelare lo stato di salute della persona solo con il consenso informato della stessa o del suo rappresentante legale e nelle specifiche condizioni previste dall’ordinamento”. Gli articoli 10, 11 e 12 ricordano come il segreto professionale e la riservatezza siano tra i doveri fondamentali del medico, previsti anche dalle leggi dello Stato. Il segreto professionale è imposto dagli articoli 326 e 622 ma sussistono tuttavia delle differenze: l’art 622 del c.p. punisce la violazione solo quando dalla stessa può

zione nell’obbligo di referto (art. 365 c.p.) che sussiste sempre tranne nei casi in cui il referto stesso esporrebbe la persona assistita a procedimento penale. Il medico deve inoltre tutelare e garantire la riservatezza della documentazione in proprio possesso, secondo quanto previsto dalla disciplina della privacy introdotta con la legge n. 675 del 1996 e dei dati sensibili, quelli che, cioè, riguardano la sfera più intima dell’individuo. Quanto detto non deve limitare la possibilità di pubblicazione scientifica (tutelata dall’art. 9 della Costituzione), ma ponendo la massima attenzione affinché dai dati non sia possibile l’identificazione dei soggetti curati. A completamento di quanto sopra si rimanda alla lettura degli articoli 13, 14, 15, 16, 17, 18 e 19 del codice deontologico e si ricordano alcuni obblighi di legge correlati all’esercizio della professione: il medico, in qualità di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio, in deroga all’obbligo del segreto professionale, è tenuto (v. art. 331, 334, cpp e artt. 365, 384 c.p.) alla denuncia del reato di cui sia a conoscenza per motivo della sua funzione, o al referto nei casi di un delitto procedibile d’ufficio. Infine si rammenta l’art. 200 c.p.p., il quale stabilisce che i medici e gli altri esercenti le professioni sanitarie non hanno l’obbligo di deporre su quanto hanno conosciuto in ragione della loro professione.

derivare un nocumento per il paziente, mentre il codice di deontologia prevede la sanzionabilità della violazione solo per il fatto stesso della violazione. Il segreto professionale trova una limita-

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CORSO ECM/MODULO 1

Appropriatezza prescrittiva D. Vasapollo*, M. Monti** *Già Direttore Scuola di specializzazione di Medicina Legale, Bologna **Medico chirurgo, Bologna

Il lavoro incessante del legislatore propone ogni giorno novità in ambito sanitario. Ad esempio, il D.M. 9 dicembre 2015 che individua le condizioni di erogabilità e le indicazioni di appropriatezza prescrittiva per 203 prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale erogabili nell’ambito del Servizio sanitario nazionale, è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, Serie generale, n. 15 del 20 gennaio 20161. In

1 Vi è da dire, tuttavia, che si concretizza un accordo tra Ministero della Salute e Fnomceo per sostituire il decreto appropriatezza - che indica le prestazioni specialistiche e diagnostiche a carico del servizio sanitario nazionale - con norme meno cogenti per i medici. Nel testo del Dpcm sui Lea, destinato ad abrogare il nomenclatore per le prestazioni di specialistica ambulatoriale del ‘96 e il “Decreto Appropriatezza” del 9 dicembre 2015, le prestazioni per i quali i medici possono prescrivere restano, ma quelle assoggettate a “condizioni di erogabilità” scendono da circa 200 a poche unità. Le altre prestazioni diventano soggette a indicazioni meno stringenti. Ad esempio, le prescrizioni di Tc e Rmn saranno soggette a sole indicazioni di appropriatezza. Non è che torni tutto come prima, ma - nello spirito della circolare che il 25 marzo sospese le sanzioni ai medici - l’autonomia prescrittiva appare preservata, fermo restando che le regioni devono riaccordarsi tra loro e possono anche decidere insieme percorsi per ritrasformare le indicazioni in condizioni di derogabilità (Quotidiano Sanità, 13 luglio 2016, Appropriatezza meno paletti per i medici, Miserendino M. www.quotidianosanita.it).

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particolare, le condizioni di erogabilità e le indicazioni di appropriatezza prescrittiva previste nel decreto interessano: odontoiatria, genetica, radiologia diagnostica, esami di laboratorio, dermatologia allergologica, medicina nucleare. È indubbio, peraltro, che il problema si ponga anche per tutte le attività sanitarie, comprese quelle relative all’ortopedia e alla traumatologia. Il medico, che ha chiesto e ottenuto di operare nel sistema sanitario regionale, è tenuto a rispettare le regole prefissate potendo da esse discostarsi, per quanto attiene ai farmaci da prescrivere, solo se in scienza e coscienza è convinto che il farmaco più costoso sia il solo capace di fronteggiare la patologia al suo esame, e ne dà adeguata dimostrazione. Problemi legati alla prescrizione inappropriata di antibiotici L’ortopedico, ad esempio, prescrive frequentemente antibiotici. Tali utilissimi farmaci, tuttavia, possono favorire infezioni, causare allergie e, peggio ancora, selezionare i cosiddetti superbugs, batteri


ECM-MODULO 1 / Appropriatezza prescrittiva

multiresistenti fonte di infezioni potenzialmente mortali. I Centers for Disease Control and Prevention (Cdc) stimano che negli Stati Uniti circa metà delle prescrizioni ambulatoriali di antibiotici non siano necessari e che ogni anno, fino a due milioni di persone sviluppino infezioni resistenti agli antibiotici con 23.000 decessi. Molti, peraltro, sono gli articoli scientifici che segnalano con puntualità le questioni sollevate dalla resistenza batterica agli antibiotici e dalle infezioni multi resistenti, ma con scarso successo. Come ottenere le prescrizioni selettive da parte dei medici? Una soluzione potrebbe essere la proposta apparsa di recente su Jama, dai ricercatori dell’University of Southern California (Usc) di Los Angeles. Nelle cure primarie due interventi comportamentali socialmente motivati, ossia la giustificazione responsabile e il confronto tra pari, hanno portato a una

significativa riduzione nella prescrizione inappropriata di antibiotici per le infezioni delle vie respiratorie acute, mentre un terzo intervento privo della componente sociale, ossia le alternative suggerite, non ha avuto effetti. Nonostante le linee guida finora pubblicate e decenni di sforzi per cambiare i modelli prescrittivi, l’uso eccessivo di antibiotici persiste2,3, mentre le alternative suggerite non hanno effetto. Nel loro insieme, gli studi svolti

2 Sono stati proposti tre approcci comportamentali: un sistema telematico che suggerisce quali siano i trattamenti non antibiotici possibili; la giustificazione responsabile, che chiede ai medici di inserire a testo libero nelle cartelle dei pazienti i motivi per cui hanno prescritto gli antibiotici; il confronto tra pari, in cui vengono inviati messaggi di posta elettronica ad altri medici per confrontare i reciproci tassi di prescrizioni inappropriate. E l’analisi dei dati indica che la giustificazione responsabile e il confronto tra pari riducono in modo significativo l’inappropriatezza prescrittiva. 3 Cartabellotta N (presidente Fondazione Gimbe). Appropriatezza prescrittiva: l’inerzia dei medici e le imposizioni della politica, Sole24ore, Sanità 24 28 luglio 2015.

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ECM-MODULO 1 / Appropriatezza prescrittiva

suggeriscono che strategie fondate sulla conoscenza del comportamento umano possono essere estremamente efficaci per affrontare i problemi legati alla prescrizione inappropriata di antibiotici4. Il concetto di prescrizione appropriata Il “decreto appropriatezza prescrittiva”, emanato dal Ministero della salute (a cui si sta tentando, mentre scrivo, un’adeguata soluzione) ha destato molte polemiche. Tale norma cerca di limitare la prescrizione di esami ai casi in cui servano veramente, rendendo quindi le prescrizioni “appropriate” (corrette, giuste, adatte allo scopo), da qui il nome del decreto. Oltre al risparmio economico, riservare le corrette prescrizioni per giusti motivi potrebbe essere uno dei modi per diminuire le liste d’attesa (problema cronico in molte parti d’Italia) e per riservare gli esami e le prestazioni più urgenti a chi ne ha bisogno. A proposito del concetto di prescrizione appropriata, vi è da dire che non esiste una definizione precisa del termine “appropriatezza” in relazione alle prestazioni mediche. Se ci attenessimo al vocabolario della lingua italiana si potrebbe dire che si tratti di prestazioni “adatte, convenienti, giuste, calzanti, opportune” ma il concetto non è mai stato definito precisamente in ambito sanitario (i primi riferimenti a questo concetto risalgono al 1994 con un

4 Medscape. Jun 21, 2016, Stopping antibiotic overprescribing: what works? http://www.medscape.com/ viewarticle/864802.

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editoriale nel British Medical Journal). Probabilmente è necessario aggiungere altri fattori, come quello dell’attendibilità scientifica e dell’adattabilità alla situazione clinica specifica. In realtà la prescrizione è appropriata se risulta corretta nel percorso diagnostico-terapeutico di una malattia e, se quindi è utile nel favorire la salute del cittadino e della comunità, tenuto conto del “rischio-beneficio” su cui si basa gran parte della medicina. Non va poi sottovalutata la questione relativa al cosiddetto “overtreatment”5. La norma in esame è stata contestata da molti. Mentre scriviamo ci giunge notizia di un’intesa tra la Fnomceo e il Ministro della Salute per cui il medico potrà continuare a prescrivere tutto quanto necessario alla tutela della salute, secondo le evidenze scientifiche e le regole previste dall’organizzazione del Servizio sanitario nazionale. Dunque, il decreto è sostanzialmente “devitalizzato” e impiantato nel testo del Dpcm sui nuovi Livelli essenziali di assistenza (Lea). Alcuni prospettano però che successive intese Stato-Regioni potrebbero modificare le indicazioni di erogabilità.

5 Tanto scandalo per …nulla? 10 ottobre 2015, http:// medbunker.blogspot.it.


CORSO ECM/MODULO 1

Le sanzioni M. Gabbrielli*, M. Benvenuti*, G. Nucci* *Medicina Legale, Università di Siena

Alle prescrizioni inappropriate possono conseguire, per i medici, sanzioni in vari ambiti. In particolare si distingue tra: responsabilità penale, responsabilità civile, responsabilità ordonistica, responsabilità amministrativa e infine responsabilità erariale. Responsabilità penale La responsabilità penale riguarda tutti i cittadini quando realizzano un reato per comportamenti dolosi (nel caso di prescrizioni inappropriate si potrebbero configurare il comparaggio e la truffa), o colposi (cui possono conseguire lesioni personali o morte del paziente). Le sanzioni principali sono: pecuniarie (multa, ammenda) e detentive (arresto, reclusione). Mentre le sanzioni accessorie sono: la perdita della capacità di votare, l’interdizione dai pubblici uffici, la sospensione o la radiazione dagli ordini professionali. La responsabilità penale è personale e si estingue con la morte del reo. Responsabilità civile Questa riguarda tutti i cittadini e nel caso della professione medica è di tipo contrat-

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ECM-MODULO 1 / Le sanzioni

tuale. Nel caso in cui si realizzi un danno al paziente (invalidità temporanea, invalidità permanente o morte) ne deriva l’obbligo del risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale. Da tener presente il fatto che nel caso in cui il medico sia assicurato, la compagnia di assicurazione potrebbe comunque non rispondere del danno per comportamenti dolosi come nel caso delle prescrizioni non appropriate. L’obbligo di risarcire il danno si estende anche agli eredi.

Responsabilità amministrativa Questa riguarda i medici che hanno rapporti di dipendenza o convenzione con

di lavoro e comporta sanzioni di carattere amministrativo (fino alla risoluzione del rapporto di lavoro) erogate con un provvedimento interno, che possono essere comminate dai datori di lavoro pubblici o privati. Per i medici dipendenti del Servizio sanitario nazionale, dopo accertamento mediante procedimento disciplinare, potranno essere erogate le seguenti sanzioni: > censura scritta; > sanzione pecuniaria; > sospensione dal servizio con privazione della retribuzione; > licenziamento con preavviso; > licenziamento senza preavviso. Per i medici convenzionati con il Ssn, le norme contrattuali prevedono all’articolo 27 “Commissione di disciplina”: > il richiamo che comporta la sospensione per un turno dalla possibilità di avvalersi dell’assegnazione dei turni di cui all’art. 22; > la diffida che comporta la sospensione per quattro turni dalla possibilità di avvalersi dell’assegnazione dei turni di cui all’art. 22; > la sospensione del rapporto fino a un massimo di due anni; > la revoca per recidiva specifica di infrazioni che hanno già portato alla sospensione del rapporto; per instaurazione di procedimento penale per infrazioni, configuratesi come reati per le quali siano state

enti pubblici o con privati e si realizza per inosservanza dei doveri di ufficio e di servizio. La responsabilità amministrativa è regolata da disposizioni previste nei contratti

accertate gravissime responsabilità. Per i medici dipendenti di strutture private si deve fare riferimento al Contratto collettivo stipulato il 19 gennaio 2005, che all’articolo 11 “Codice disciplinare” pre-

Responsabilità ordinistica La responsabilità ordinistica riguarda chi è iscritto a un ordine, oppure a un albo o a un collegio. Il codice deontologico del medico e dell’odontoiatra del 2014 (art.6) difende la libera scelta della prescrizione terapeutica ma contemporaneamente responsabilizza il medico, prevedendo in caso di mancato rispetto delle cautele, le sanzioni erogate dagli ordini dei medici provinciali. Si tratta, a seconda della gravità del caso, di: avvertimento con diffida a non ricadere nella mancanza commessa, censura, sospensione dall’esercizio della professione da uno a sei mesi e radiazione dall’albo.

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vede: richiamo verbale, richiamo scritto, multa non superiore all’importo di quattro ore della retribuzione, sospensione dal lavoro e dalla retribuzione per un periodo non superiore a dieci giorni. Responsabilità erariale Si tratta di una particolare forma di responsabilità amministrativa dei dipendenti pubblici e interviene quando si realizza un danno all’amministrazione dello Stato in conseguenza dell’operato doloso o gravemente colposo del dipendente. La responsabilità erariale è personale, analogamente alla penale, e non si trasmette agli eredi. Ha natura sia risarcitoria, cioè tende al recupero delle pubbliche finanze in misura pari al danno, e sanzionatoria, mirando a colpire con una pena in denaro il comportamento dannoso al fine di prevenzione e di realizzazione di condotte pubbliche “virtuose”. Questa responsabilità, nella maggior parte dei casi, è connessa alla responsabilità civile verso terzi con i quali l’azienda o ente pubblico è entrata in rapporti per il tramite dei propri agenti, ma può in determinate circostanze scaturire da comportamenti illeciti anche di rilevanza penale posti in essere dal dipendente. In base al Dpr. 761/1979, lo stato giuridico del personale del Ssn è equiparato a quello dei dipendenti pubblici e lo Stato risponde

fronti del pubblico dipendente: per tutelare i medici da contestazioni di questo tipo è stata prevista dalle norme contrattuali la possibilità di stipulare, con oneri a carico del medico dipendente, un’assicurazione integrativa per la colpa grave. La colpa grave si fonda, come sancito dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite della Corte dei conti, sulla evidente e marcata trasgressione di obblighi di servizio o di regole di condotta che si concretizza nell’inosservanza del minimo di diligenza richiesta o in una grossolana imperizia, superficialità e noncuranza.

civilmente dei danni compiuti dai propri dipendenti salvo il caso in cui vi sia stato dolo o colpa grave. In questi casi l’amministrazione statale risarcirà il danno, ma dovrà muovere azione di rivalsa nei con-

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CORSO ECM/MODULO 1

La responsabilità penale L. Isoppo Avvocato del Foro di Parma

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La fonte della responsabilità del medico che operi in regime libero professionale, in ambito ortopedico o traumatologico, risiede nell’alveo della responsabilità contrattuale ai sensi dell’art. 1218 c.c., in virtù del contratto di prestazione di opera professionale che lega il paziente all’ortopedico ovvero al traumatologo. Contratto concluso per factia concludentia nel momento in cui i sanitari ricevono il paziente a consulto presso il proprio ambulatorio privato. Infatti, l’art. 1218 c.c. così recita: “Il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile”. Il creditore che abbia interesse al risarcimento del danno, vale a dire il paziente danneggiato, ha l’onere di provare in giudizio l’inadempimento del medico convenuto. Quest’ultimo, affinché sia esente da

Responsabilità contrattuale Nell’ambito della responsabilità contrattuale, il paziente deve pertanto provare l’inadempimento del medico e non necessariamente il dolo o la colpa. Deve inoltre dimostrare che l’intervento concordato era di facile esecuzione, allo scopo di far valere la responsabilità per colpa lieve. Fondamentale in proposito sono i principi contenuti proprio nell’art. 2236 c.c., rubricato “responsabilità del prestatore d’opera”, il quale prevede che: “Se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d’opera non risponde dei danni, se non in caso di dolo o di colpa grave”. Il medico deve provare di aver adottato con diligenza tutti i mezzi e gli strumenti acquisiti alla scienza medica del momento storico considerato. Di talché, in sede contrattuale, le parti assumono un impegno reciproco con conseguenti obbligazioni e prestazioni reciproche. Rapporto contrat-

responsabilità contrattuale, dovrà provare che l’inadempimento non è a lui imputabile e che egli ha tenuto il comportamento richiesto dalla legge e dalle pattuizioni contrattuali.

tuale tra medico e paziente, il cui contenuto obbligatorio si individua nel contratto di prestazione di opera professionale e configura in capo al primo una responsabilità da inadempimento nei confronti del secondo


ECM-MODULO 1 / La responsabilità penale

che, dunque, concorre con quella dell’ente. Risponderà invece a titolo di responsabilità extracontrattuale, ai sensi dell’art. 2043 c.c., l’ortopedico ovvero il traumatologo che, pur non avendo un rapporto contrattuale col paziente, assista quest’ultimo in prime cure presso l’astanteria di Pronto soccorso di una struttura ospedaliera pubblica o privata contro la quale il paziente potrà in alternativa invocare una responsabilità contrattuale autonoma dell’ente. In giurisprudenza si è infatti più volte chiarito come l’obbligazione della struttura per responsabilità professionale nei confronti del paziente si fondi sul “contratto sociale” caratterizzato dall’affidamento che il malato ripone in colui che esercita una professione protetta, che ha per oggetto beni costituzionalmente tutelati. Si evidenzia inoltre come per gli ortopedici, i quali abbiano posto in essere l’atto medico, in ambito libero professionale si osserveranno i normali termini prescrizionali decennali. Termine ridotto a cinque anni in sede extracontrattuale. Nelle obbligazioni contrattuali, il creditore sarà quindi tenuto a dimostrare l’esistenza del titolo e

l’inadempimento del debitore, spettando a quest’ultimo l’onere di provare che l’inadempimento o il ritardo sono stati determinati, ai sensi dell’art. 1218 c.c., da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile. Nelle obbligazioni da fatto illecito, invece, dovrà provarsi dolo o la colpa del debitore e nesso di causalità tra la condotta e l’evento. Regime di ripartizione dell’onere della prova Si ricorda, da ultimo ma non per importanza, come dalla natura contrattuale della responsabilità del medico dipendente derivino inoltre conseguenze in ordine al regime di ripartizione dell’onere della prova. Ove infatti l’atto di natura ortopedica o traumatologica assurga a routinario si applicherà il principio della res ipsa loquitur e il medico, per andare esente da responsabilità, dovrà provare che l’insuccesso dell’operazione non è dipeso da un difetto di diligenza proprio. Ove il paziente, invece, tenderà a sostenere la tesi secondo la quale l’ortopedico risulti inadempiente per avere posto in essere un comportamento non conforme alla diligenza richiesta dall’art.1176, comma 2. La diligenza cui è tenuto il medico ortopedico nell’adempimento delle obbligazioni inerenti alla propria attività professionale non sarà, infatti, meramente quella cosiddetta del buon padre di famiglia, di cui all’art. 1176 comma 1 c.c., bensì quella qualificata richiesta dalla natura dell’attività esercitata, ai sensi del comma 2 del medesimo articolo.

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