ALDO GERVASONE
DEMONI E DIVINITA’
Aldo
Gervasone
Foto e testi dell’ Autore
Il Ladakh è una regione dell’India settentrionale situata tra le due catene di montagne più alte al mondo: l’Himalaya a Sud e il Karakorum a Nord. Questi altopiani desertici si trovano ad altitudini comprese tra i 2500 e i 5000 mt. Il fiume Indo, scorrendo al centro di questa Regione di grande importanza storica, qui ha ancora una portata modesta. Confinante a Nord con il Sinkiang, a Est con il Tibet, a sud con Lahoul e Spiti e a Ovest con l Kashmir, il Ladakh a noi evoca regioni isolate con villaggi sperduti nelle valli, ma non era così al tempo dell’espansione del Buddismo lungo le vie carovaniere. Per tutto il primo millennio, queste regioni furono attraversate dalla Grande Via della Seta e da altre vie commerciali. E’ stato, per tutte le contrade dell’Asia, un periodo molto ricco di scambi sia commerciali che artistici e spirituali. Queste regioni poterono condividere così una sola fede, anche se non era la sola conosciuta. Perché un’arte Buddista potesse svilupparsi fu necessario che le comunità monastiche stabilissero dei luoghi di residenza permanente. Queste nacquero attorno agli Stupa, certamente i più vecchi monumenti eretti dal Buddismo. Tali costruzioni erano destinate alla protezione delle reliquie e delle ceneri dei grandi santi e per ricordare momenti importanti della vita del Buddha.
Dhritarashtra
guardiano dell’ Est
I primi monasteri ( gompa ) furono costruiti secondo uno stile indiano, ma in seguito assunsero una conformazione propria. Si possono trovare abbarbicati su un aspro pendio, lungo il fianco di una montagna, nei meandri nascosti di una valle o solitari su un cocuzzolo roccioso. Difesi da una cerchia di mura perimetrali, imbiancati a calce e con una decorazione di insegne e bandiere dai colori vistosi, possono essere costituiti da un singolo edificio, ma più spesso le costruzioni sono molte e sormontate una all’altra, in modo che il tetto di una serva come cortile per quella che la sovrasta. Un portale difeso da quattro guardiani, dipinti ai lati dell’ingresso, permette di accedere ad un grande cortile interno , sul quale si affacciano tutta una serie di sale destinate alle riunioni, alle preghiere o come cappelle o librerie. Ai piani superiori si trovano gli alloggi per i monaci e altre piccole cappelle per la meditazione. Nei monasteri più grandi si aggiungono altri locali adibiti a cucine, refettori, uffici, scuole e foresterie per monaci di passaggio e visitatori. Nel labirinto di cortili, corridoi, scale e camere si alternano la Sala delle Preghiere, il Tempio degli Dei, il Tempio delle Divinità, la Cappella della Legge, tutte abbondantemente e finemente decorate.
«…Poiché tante opere sono sparite in India, l’iconografia del Tibet con il suo pantheon tantrico ed esuberante di Buddha pacifici ed irati, di coppie in unione, tende ad essere considerato come un’aberrazione tibetana. In verità a tutta quest’arte ricevuta dall’India, i tibetani aggiunsero ben poco…» D.L. Snellgrove Il Buddismo Tantrico è la sorgente di quasi tutte le immagini del Ladakh. Nelle prime pitture si riconoscono influenze indiane e in seguito cinesi. Successivamente arriveranno influenze dal Nepal, dal Kashmir e dalla Mongolia. Le pitture su cotone ( Thang-ka ) sono assimilabili alle pitture murali. Entrambe sono dipinte dagli stessi artisti anche se su supporti diversi. La tecnica di pittura è la tempera, realizzata con pigmenti minerali sospesi in acqua ed aggregati da un collante. Grande importanza nella tecnica pittorica viene data all’iconometria, vera grammatica del disegno e scienza delle proporzioni. Album di disegni iconometrici facevano e fanno parte dell’armamentario di ogni pittore itinerante di Thang-ka. I lavori di iconometria incorporati nel Canone Buddista Tibetano sono soprattutto traduzioni di trattati indiani; uno dei contributi originali tibetani è stato l’introduzione delle rette oblique nello schema unicamente ortogonale di derivazione indiana. Nelle pratiche di visualizzazione esistono evidenti punti di contatto tra le Thang-ka e i Mandala, ed entrambi diventano un ausilio alla meditazione e un oggetto di venerazione. Negli schemi di entrambi è dato grande valore simbolico al colore, poiché la sua classificazione secondo il Buddismo Tibetano riflette il processo di emanazione dell’universo. I colori bianco, blu, giallo, rosso, verde sono associati alle « famiglie » dei cinque Buddha cosmici, alle loro consorti mistiche, ai Bodhisattva, alle altre forme di manifestazione della divinità. Gli stessi colori riflettono anche la ripartizione del mondo secondo un criterio spaziale: centro, est, sud, ovest, nord e la sua scomposizione in elementi ( etere, acqua, terra, fuoco, aria ).
Il prodotto dell’evoluzione del Buddismo, iniziato in India e proseguito in Tibet, è stata la creazione di uno sterminato numero di divinità, gerarchicamente disposte, capaci di dar corpo alla rappresentazione di ogni possibile sfumatura del pensiero religioso, dalle più elementari concezioni animistiche alle più sottili astrazioni filosofiche. Il già affollato Pantheon Buddista viene poi accresciuto a dismisura attraverso la varietà di rappresentazioni della stessa divinità, che intendono evidenziarne la molteplicità di poteri e funzioni. Di ciascuna divinità esistono versioni « tantriche » con un numero variabile di teste, braccia e gambe, e di ognuna di esse si danno rappresentazioni di vari colori, più o meno collegate allo schema quinario dell’emanazione dell’universo. Aspetto tipico dell’iconografia tibetana è la presenza di divinità terrifiche, con aspetti di mostruosa violenza e ferocia. Ciò corrisponde all’accettazione, da parte del Buddismo della teoria della « doppia verità » ( assoluta e relativa ) e al riconoscimento della molteplicità dei cammini per giungere alla liberazione. Il Tantrismo attinge inoltre ad antiche mitologie, lasciando larga parte al principio femminile, introducendo nel pantheon buddista divinità femminili come Tara ( La salvatrice ), Prajnaparamita ( La perfezione della saggezza ) o di semidivinità come le Dakini, assimilabili alle danzatrici cosmiche. Pur tenendo presente che la realizzazione di immagini veniva considerata produttiva di meriti per il donatore che li commissionava, per l’artista che le eseguiva e per il devoto che le contemplava, la loro funzione fondamentale era soprattutto quella di favorire la visualizzazione della divinità e di consentire all’iniziato di evocarne la presenza per immedesimarsi in essa. OGNI IMMAGINE E’ UN SIMBOLO ED OGNI PARTICOLARE HA UN SUO SPECIFICO SIGNIFICATO
Possiamo classificare le pitture dei monasteri in quattro categorie principali: -- Le pitture didattiche presentano scene che illustrano un insegnamento del Buddha : la ruota della vita, le regole per la vita monastica, la sviluppo della quiete mentale. -- Le pitture storiche sono quelle che rappresentano un personaggio che si ritiene storicamente esistito. Così le immagini illustrano le tappe della vita del Buddha , le sue vite passate, la vita di un grande maestro o di un grande abate, la vita dei 16 Arhats, la vita degli 85 Mahasiddha. -- Come pittura simbolica si indicano le figure che sono utilizzate per lo Yoga della Divinità ( intesa come visualizzazione della Divinità ). Esse rappresentano sia la divinità stessa che il suo Mandala. Queste pitture sono le più elaborate e difficili da interpretare. Esse devono conformarsi alle descrizioni che sono date nei testi recitati durante la pratica. Le immagini, per quanto paurose o grottesche, rappresentano necessariamente il Corpo-forma di un Buddha. L’adepto deve identificarsi in questa forma: è dunque come supporto visuale che sono trattate le diverse immagini. -- La pittura decorativa è deputata a creare il contorno di una immagine o uno sfondo immaginario. La sua massima espressione fu raggiunta ad Alci nell’ XI secolo con l’ inserimento di miniature ed arabeschi di stile persiano come sfondo alle immagini. Creata da pittori kashmiri e probabilmente anche mongoli rimane ineguagliata. Nelle pitture più recenti emerge la tendenza ad inserire nello sfondo paesaggistico, di influenza cinese, figure umane ed animali di un realismo discreto. Nonostante queste componenti « moderne », non si ebbe comunque alcun processo di laicizzazione. I popoli dell’area culturale tibetana restano interessati alla pittura essenzialmente in quanto espressione del loro sentimento religioso e supporto delle loro pratiche meditative. Ne consegue che, non essendo interessati al restauro storico, troppo spesso opere antiche sono restaurate con pitture a smalto sintetiche, le statue sono rifatte, gli sfondi ridipinti. Solo i templi meno importanti e più distanti dalle vie di comunicazione si salvano da queste pratiche grazie al loro isolamento.
Gompa di Alci
XI sec.
Mandala del Vajradhatu
Mandala di Vairocana
Guhyasamaja linea di Akshobhya
Kalacakra linea di Akshohya verde
Ushnishavijaya linea Vairocana bianco
Buddha Maitreya
Bohisattva Manjusri
Buddha Amitabha
Bodhisattva Manjusri
Tara Verde
Mahakala il protettore
la Dea Madre Remati
Likir Gompa
XII sec.
Avalokitesvara
Kalacakra
Yamantaka il nemico di Yama
i piedi di
Yamantaka
( una manifestazione di Manjusri )
Yamantaka
Basgo Gompa
XV-XVI sec.
Vajradhara
il Buddha primordiale
Buddha Sakyamuni
Buddha Maitreya
Tagthog Gompa
XV sec.
Citipati
maestro del cimitero
Phurba
pugnale rituale
Chemre Gompa
XVII sec.
Padmasambhava
Padmasambhava
irato
Vajrasattva essenza adamantina
Thiksay Gompa
XV sec.
Padmasambhava
Vajrabhairava
linea di Manjusri
Vajrabhairava
una forma di Yamantaka
Buddha Sakyamuni
Sala del Buddha Maitreya
Foto
ALDO GERVASONE
LADAKH - - INDIA - Luglio
2014
Progetto – Elaborazione – Composizione dell’ Autore
Si ringrazia Renata Emanuel per la correzione dei testi