Elementi 12 - Dicembre 2007 - Marzo 2008

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Corrado Clini

Nucleare, Rinnovabili e Bioenergie, contro le emissioni di CO2 Antonio CatricalĂ

Consumatori tranquilli, vigileremo contro abuso posizioni dominanti Edgardo Curcio

Poche chiacchiere. Serve piano energetico attuabile Leonardo Domenici

Gli Enti locali nel mercato delle emissioni Domenico Santececca

GSE e Banche per lo sviluppo del fotovoltaico

speciale GEOTERMIA

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Sped. in Ab. postale 70% - Roma

Periodico del GSE AU GME dicembre 2007/marzo 2008

Meccanismi flessibili? OpportunitĂ per il trasferimento di tecnologie pulite

Elementi

Gianni Silvestrini


IMMAGINIAMO UN FUTURO DOVE SIA L'UOMO A PRENDERSI CURA DELLA TERRA.

ENI 30PERCENTO. 24 CONSIGLI PER DIMINUIRE FINO AL 30% IL COSTO DELL’ENERGIA NELLA TUA FAMIGLIA E RISPARMIARE FINO A 1600 EURO ALL’ANNO. CERCALI SU ENI.IT


Con il prezzo del petrolio in continua ascesa, il senso etico oltre che la convenienza economica ci imporrebbe di intensificare le azioni di politica energetica, per ridurre le ricadute pesanti per la nostra economia. Fra i teoremi “degli addetti ai lavori” utili al dibattito energetico vi è il “Teorema dell’incoerenza dinamica” che afferma il principio di riduzione della discrezionalità degli interventi di politica economica nel corso del tempo. In sostanza, è meglio inchiodare il decisore pubblico a regole certe per un lungo periodo, piuttosto che lasciare flessibilità decisionale, per evitare comportamenti incoerenti e continui cambiamenti di rotta che scoraggiano gli investimenti, disorientano gli imprenditori, nuocciono ai consumatori. Ecco perché il nostro Paese, che acquista oltre confine più dell’80% dell’energia che consuma - 150 su 195 milioni di tonnellate equivalenti petrolio (Mtep) - deve darsi linee operative chiare per modificare una situazione altrimenti destinata a divenire allarmante. In questi ultimi tempi molto si è fatto, specie sul versante dell’energia rinnovabile, e molto ancora si può e si vuole fare. Ma quanto fatto con il petrolio a 50$/barile non basta più con il prezzo raddoppiato. Occorre allungare il passo. Dare un segnale forte della volontà di far fronte agli ostacoli che rendono il nostro cammino faticoso, mettendoci in una posizione che, se non è di avanguardia, almeno lasci presagire un futuro più roseo. Occorre puntare su maggiore diversificazione, maggiore sicurezza degli approvvigionamenti, maggiore quota di energie rinnovabili. Se vogliamo incrementare la quota di energia alternativa, sapendo che è in essa che sono riposte le speranze per migliorare le rendite energetiche, e permettere a territorio e clima di raggiungere livelli di miglior qualità, bisogna superare alcune situazioni di criticità dovute alla discrezionalità degli enti locali e centrali, oltre a snellire i costi e le burocrazie che

insistono su questo tipo d’energia. È stato calcolato che il “costo grigio” dovuto alla sequenza di adempimenti amministrativi per la realizzazione degli impianti sia superiore fino al 35% a quelli medi europei. E questo a fronte di incentivi e sussidi che sono più generosi di quelli medi europei. Dunque extra sussidi per compensare extracosti. Occorre tagliare la spirale “più veti – più incentivi” e “più incentivi – più veti”, alimentata da chi alza la voce per avere più compensazioni a cui si risponde alzando le compensazioni per vincere le resistenze di chi alza la voce. In altro campo della politica economica, la lezione è già stata data al Paese. Quando fu abolita l’indicizzazione degli aumenti salariali all’inflazione dal Presidente Ciampi con la concertazione del 1993 fu spezzata la spirale “salari – prezzi”. Riusciremo oggi a spezzare la spirale NIMBY – sussidi? Occorre, per lo sviluppo delle infrastrutture energetiche, porre regole chiare che impediscano la rincorsa fra incentivi compensativi delle storture burocratiche e comportamenti opportunistici locali che “alzano continuamente il prezzo”, impedendo alle imprese di sviluppare gli investimenti. Basterebbe usare la legge 241/90 fino in fondo, cioè fino alla norma che porta la decisione finale sul tavolo di chi ha il compito di comporre l’interesse generale del Paese. E infine: la ricerca scientifica che non può avere confini. Tutto il mondo sta accelerando gli sforzi di ricerca in nuove tecnologie, nucleare compreso. Ai nostri laboratori non va chiesto di fare niente di diverso dai loro colleghi del resto del mondo. Imporre linee di ricerca scientifica predefinite è delittuoso. L’Italia merita forte sviluppo dell’energia rinnovabile, ricerca tecnologica d’eccellenza, corretta e capillare informazione dell’opinione pubblica.

l’Editoriale di Carlo Andrea Bollino / Presidente GSE

l’E Elementi 12

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Direttore Responsabile Romolo Paradiso Collaborazione redazionale Mauro De Vincentiis Comitato di redazione Romolo Paradiso Natascia Falcucci Claudia Momicchioli Editing Maria Pia Terrosi Hanno collaborato a questo numero: Edoardo Borriello Paolo Bustaffa Fausto Carioti Valter Cirillo Giuseppe Dell’Olio Mauro De Vincentiis Vittorio Esposito Jacopo Giliberto Piergiorgio Liberati Gabriele Masini Giusi Miccoli Michele Panella Marco Primavera Luca Speziale Maria Pia Terrosi

Progetto grafico e impaginazione Imaginali Realizzazione impianti e stampa D.G.P. Srl Via Tiburtina, km 18.300 Setteville di Guidonia Roma Foto Fototeca Elementi Foto Luca Speziale Redazione e Amministrazione Viale M.llo Pilsudski, 92 00197 Roma Editore GSE Direttore Editoriale Fabrizio Tomada

In copertina “Gente e sole”. Polimaterico, 1961 di Francesco Guerrieri

Un particolare ringraziamento a: Livia Catena Fiorella Fontana Gennaro Niglio Sandro Renzi Si ringraziano per la collaborazione alla realizzazione di Elementi: Acea, Aper, Banca Intesa San Paolo, Banca Popolare di Sondrio, bticino, Egl, Enel, Eni, Gamesa, Ivpc, Maggioli Editore, Monte di Paschi di Siena, Terni Energia, Terna.

Registrazione presso il Tribunale di Roma n.105/2001 del 15.03.2001

Chiuso in redazione nel mese di dicembre 2007

Elementi è visibile in internet al sito www.gsel.it

GSE Viale M.llo Pilsudski, 92 00197 Roma T +39 0680111 F +39 0680114392 info@gsel.it www.gsel.it

AU Guidubaldo Del Monte, 72 00197 Roma T +39 0680101 F +39 0680114391 info@acquirenteunico.it www.acquirenteunico.it

GME Viale M.llo Pilsudski, 92 00197 Roma T +39 0680121 F +39 0680114393 info@mercatoelettrico.org www.mercatoelettrico.org

Elementi

Anno 2007/2008 n.12 dicembre 2007 marzo 2008

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Virgolette

Il mondo dell’energia è da lungo tempo, in Italia, qualcosa in continuo divenire. Una sorta di foggia infinita della quale non si riesce a vedere la fine del manufatto. È questa una situazione tipica delle cose di casa nostra, soprattutto quando esse rivestono una certa importanza, sono complesse e abbracciano interessi eccessivamente diffusi.

Com’è altrettanto tipico della nostra genia cercare, in questi casi, di mettere toppe là dove invece occorrerebbero misure in grado di dare risposte, se non definitive e risolutorie, almeno di lungo respiro, che lascino intravedere un percorso capace di giungere al superamento del problema. Problema, quello energetico, di vitale importanza per la Comunità e l’economia della Nazione.

Se, come sostengono i più, la liberalizzazione del comparto energetico non è ultimata, sia a livello europeo, sia a quello interno, molto è probabilmente dipeso, per un verso, da fattori riguardanti interessi altri, di Nazioni forti capaci di svicolare o di non lasciarsi imporre, da strutture

Romolo Paradiso

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sopranazionali, misure ritenute, al momento, in qualche modo, penalizzanti. Per l’altro verso, a causa di nostre deficienze, in quanto non siamo stati in grado di trovare linee di comportamento decise e veramente praticabili. Troppe cose sono ancora sospese. Troppe non sono state approfondite nel giusto modo. Troppe sono ambigue. Troppe non si sa se veramente potranno fornire l’effetto sperato. Il decisionismo in Italia sembra impossibile. Sembra quasi una vergogna attuarlo. Invece è di questo che abbiamo bisogno per fronteggiare e superare ostacoli che ci impediscono di stare al passo con società ed economie che viaggiano veloci e bene. Decisionismo che non è “autoritarismo”, ma il frutto di responsabilità assunte e competenze applicate. Un atteggiamento di lealtà dovuto alle persone della Comunità alla luce delle effettive necessità che queste hanno. Pena la staticità e, più ancora, la creazione di lacune poi difficilmente sanabili.

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rubriche

primo piano

03 l’E l’Editoriale 05 “ Virgolette” 08 P° il Punto 55 Bi Biblioteca 57 Fn Filo di Nota 57 Pn in Punta di Penna 58 Co la Copertina

10 I meccanismi flessibili: Parla Gianni Silvestrini

un’opportunità per il trasferimento di tecnologie pulite?

12 Nucleare,Rinnovabili, Intervista a Corrado Clini

e bioenergie contro le emissioni di CO2

16 I consumatori stiano

Incontro con Antonio Catricalà

tranquilli, vigileremo contro l’abuso di posizioni dominanti

20 Poche chiacchiere, serve A tu per tu con Edgardo Curcio

un Piano energetico definito e attuabile

l’energia dei comuni

24 Gli Enti locali nel mercato A colloquio con Leonardo Domenici

elementi

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delle emissioni


le banche e l’energia

energia alternativa

28 GSE e banche per la

44 Il cuore caldo della terra

Parla Domenico Santececca

crescita del fotovoltaico mondo energetico

32 Il nuovo sviluppo

Speciale Geotermia

lavoro

48 Stimolare la competitività Intervista a Antonio Marsano

della Cogenerazione

nelle aziende e dare certezze e fiducia ai lavoratori

36 Gli Italiani vogliono

energia del pensiero

GSE-Ires-Associazione Consumatori

energia pulita, ma costa ancora troppo

40 Dal GSE vantaggi

L’attività della Sala Trading

per la collettività

42 Mercato domestico: grazie

all’AU più facile prevedere Il prezzo di cessione dell’energia elettrica

51 Il comunicatore senza

Un caffè con… Domenico De Masi

cultura fa guai Sommario

So


La “litote” tipicamente italiana Quell’Italietta dei Don Abbondio dura a morire Tra le figure retoriche - insieme alle metafore, le allegorie e gli ossimori - c’è anche la litote. La litote consiste nell’affermare un concetto negandone il contrario. Ecco un esempio: per descrivere un pauroso, si nega che egli sia coraggioso: “Don Abbondio (il lettore se n'è già avveduto) non era nato con un cuor di leone” (Manzoni, I promessi sposi, capitolo 1). L’Italia abbonda di questa litote manzoniana. Quando si tratta di scegliere e di decidere, chi deve scegliere e decidere guarda tremebondo l’opinione pubblica, timoroso di scottarsi il consenso. Il greggio rincara e si avvicina a quei cento dollari al barile che un paio d’anni fa sembravano una soglia psicologica remota da catastrofismi. Con il petrolio, rincara anche il metano che è un combustibile il cui mercato è diverso da quello del greggio ma il cui prezzo – per motivi contrattuali – è in qualche modo parametrato sugli andamenti del greggio. Bisogna decidere di rafforzare, e in che modo, le strade diverse per greggio e gas e le fonti alternative. La risposta della politica è donabbondiana. Si istituiscono cabine di regìa che si riuniscono in modo episodico, solamente quando il dilemma del consenso politico sollecita una risposta. In altre parole, la cabina di regìa è diventata la personificazione, tra trasformazione fisica in facce e nomi, di quel modo di dire che è stato tanto preso in giro: abbiamo provveduto affinché eccetera eccetera. E dalle parole (o, nel caso della cabina di

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regìa, dalle persone) non si passa ai fatti. Succede con la Borsa elettrica, accade con l’unbundling della rete del gas, accade con il mercato dei derivati elettrici, si ripete sui terminali di rigassificazione, più flessibili del gasdotto. Un ritratto del donabbondio: può essere un politico locale o nazionale. Può anche essere un funzionario o un dirigente di un organismo pubblico dalla cui firma su un pezzo di carta dipende la riuscita o il fallimento di un progetto. Le carte sono in regola, ma il politico donabbondio non si assume la responsabilità politica di dire no (o sì) e lo fa dire a qualcun altro: cioè al suo altrettanto donabbondesco funzionario. Basta una telefonata, una parola detta nel modo giusto, e il dirigente pauroso non riesce a forzarsi. Sarebbe così semplice, fare la cosa giusta: firmare (o non firmare) l’atto tecnico, per lasciare al politico la decisione politica che il politico non vuole prendere. Così oggi i progetti di rigassificatori sono più di una dozzina, ma si ha paura di lasciare che sia il mercato a decidere quali hanno valore economico (e quindi strategico per il Paese) e quali invece sono destinati all’insuccesso. Quindi sui taccuini dei cronisti d’agenzia di stampa, negli “a margine” di ogni convegno, ciascun ministro afferma quale sarà il numero a priori di questi impianti: due, quattro, sei. Non bisogna toccare la sensibilità dei lettori.


Il nucleare? Ha mille vantaggi e milleuno problemi, ma è una soluzione da studiare. Berciano i più nuclearisti: “Riapriamo Corso”. Tuonano gli antinuclearisti: “Non si parli d’atomo”. La donabbondiana risposta? “Dobbiamo studiare il nucleare di quarta generazione”, che è la tecnologia che sarà disponibile fra una trentina o quarantina d’anni, cioè tra chissà quanti Governi. Giusto, sacrosanto studiare la quarta generazione atomica, ma perché non dare una risposta chiara oggi? Una risposta che sia sì o no, perché “sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno” (Matteo 5:37). Sull’energia da fonti rinnovabili, ancora una volta la paura di toccare sensibilità collettive. L’energia eolica è troppo visibile, e quindi suscettibile di borborigmi politici. Meglio parlare solamente di energia solare. Utile e importante, da incentivare in ogni caso, l’energia solare però è costosissima e non è risolutiva. Ma è così poco visibile il pannello, fermo e silenzioso sul tetto della casa, che annulla le paure da consenso. Che cosa diremo quando ci saranno centrali solari da molti megawatt, costose come l’oro, finanziate dalle bollette elettriche in aumento per i consumatori, estese diversi ettari? Durante gli incontri pubblici perfino il presidente del Consiglio, Romano Prodi, ripete come un mantra la frase “la soluzione è l’energia solare”. Così per esempio nella

spettacolare Noto (Siracusa), dove c’è un’intera città concepita in uno strepitoso stile barocco, il sindaco protesta contro il pozzo esplorativo alla ricerca del metano che la compagnia texana Panther vuole trivellare nelle campagne (dimensioni della perforatrice: un traliccio dell’alta tensione), ma poi si studia il via libera a una centrale solare grande alcune decine di ettari. Lo stesso comune ha un’autostrada mai finita e inutilizzata, le case abusive, gli orrori dei capannoni artigianali. Chi è il Griso che mette tanta paura al donabbondio che deve decidere per gli altri? Il consenso elettorale, ma non solamente. Il comitato di opposizione locale. Il giornale dai titoli urlati. Il partito (in genere di dimensioni più contenute, e quindi più facile ad alzare la voce). I reportage televisivi. L’imprenditore. L’associazione ecologista. Il gruppo di interessi economici. La cordata politica. La televisione locale. In alcuni casi, queste diverse minacce all’amore di sé di chi deve decidere si sommano in una miscela esplosiva. Il gruppo imprenditoriale, legato alla politica, che possiede mezzi d’informazione e che finanzia il comitato ecologista: e la miscela esplosiva è innescata. Bum. “Torno a dire, monsignore, - rispose dunque, - che avrò torto io... Il coraggio, uno non se lo può dare”. I promessi sposi, capitolo venticinquesimo.

il Punto di Jacopo Giliberto

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primo piano

I meccanismi flessibili: un’opportunità il trasferimento pulite? di Gianni Silvestrini

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Per facilitare il raggiungimento degli obiettivi di riduzione delle emissioni al minor costo, il protocollo di Kyoto prevede l’utilizzo di strumenti che consentono di effettuare investimenti in paesi in via di sviluppo (Clean Development Mechanism, CDM) o in paesi con economie in transizione (Joint Implementation, JI) e di contabilizzare i crediti di carbonio nei paesi industrializzati. Questa possibilità ha creato un mercato in forte crescita, con transazioni che si sono decuplicate nel giro di due anni raggiungendo un valore di 5,4 Miliardi $ nel 2006.

primo risiede in una accelerazione dei programmi nazionali. Una seconda strada consiste nell’acquisizione di crediti derivanti da progetti CDM o JI. C’è poi una terza ipotesi legata alla vendita di quote da parte dei paesi dell’Est che all’atto della firma del Protocollo avevano emissioni molto inferiori rispetto al target assegnato. La sola Russia ha un bonus da spendere equivalente al deficit dei paesi firmatari e considerando anche l’Ucraina e altri paesi dell’Est si arriva ad un totale di 6,6 miliardi di t CO2eq. Dunque la immissione sul mercato di queste quote potrebbe depotenziare il mercato dei CDM e dei JI. Quale è la situazione attuale. I progetti CDM registrati alla fine di novembre dovrebbero generare 1,1 miliardi di certificati entro il 2012, mentre progetti per altri 1,4 miliardi di certificati sono stati presentati alle autorità competenti e sono in attesa di approvazione. Le stime che si fanno sulla reale disponibilità di certificati nel

dovrebbero utilizzare le misure internazionali per più del 50% della riduzione complessiva, l’Italia potrebbe ricorrere ai meccanismi di flessibilità per una quantità totale massima annua di 48 Mt/a. Di queste, 29 Mt/a potrebbero essere utilizzate dagli operatori assoggettati alla Direttiva sull’Emissions Trading (15% del “tetto nazionale” nel periodo 2008-12) e le altre 19 Mt/a dovrebbero essere recuperate dallo Stato per raggiungere il target di Kyoto. Finora però i risultati sono stati limitati. Tra il 2003 e il 2006 il Ministero dell’Ambiente ha finanziato quattro fondi della Banca Mondiale (fra questi l’Italian Carbon Fund) con 108 milioni $ che hanno assicurato crediti corrispondenti a 14,3 MteqC02/anno, ovvero meno di 3 Mton/anno nel periodo di Kyoto. Altre iniziative provengono dal settore privato. Recentemente, ad esempio, Banca Intesa-San Paolo ha annunciato che sta per lanciare il primo Carbon Fund

per di tecnologie

Gianni Silvestrini

Parla il Consigliere per l’energia e l’ambiente del Ministro dello Sviluppo Economico Complessivamente gli investimenti che hanno dato luogo a questi “certificati” di riduzione (Certified Emission Reductions CERs) sono stati tre volte più elevati. Seguire l’evoluzione di questo mercato è dunque importante perché sul medio e lungo periodo si potrebbe avviare una dislocazione significativa di tecnologie pulite, favorendo la sostenibilità dello sviluppo in aree povere del pianeta. Che domanda di crediti potrà crearsi durante i prossimi cinque anni? Sulla base dei programmi nazionali di riduzione avviati nei paesi industrializzati e degli obiettivi assegnati dal protocollo di Kyoto ai singoli paesi, si valuta che vi sarà un deficit dell’ordine di 3,3 miliardi di t CO2eq. Ci sono tre modi di ridurre questo gap. Il

quinquennio di Kyoto variano tra 1,9 e 4,4 miliardi t. Cerchiamo ora di capire come il nostro paese sta utilizzando questi strumenti che saranno molto importanti per raggiungere l’obiettivo di Kyoto, visto il grave ritardo in cui ci troviamo. Nel quinquennio 2008 – 2012, l’Italia dovrà ridurre le proprie emissioni climalteranti del 6,5% rispetto ai livelli registrati nel 1990, anno in cui le emissioni italiane ammontavano a 520 Mt CO2eq, le emissioni nel periodo 2008 – 2012 non potranno superare la quantità di 486 Mt CO2eq/anno. Poiché le emissioni al 2004 erano pari a 580 Mt CO2eq, la distanza dall’obiettivo di Kyoto risultava pari a 97 Mt CO2eq. Visto che secondo le indicazioni europee non si

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privato italiano da 60 milioni €. Sono però pochissime le aziende italiane che hanno avviato progetti CDM e JI. Fra queste, l’Enel, che ha acquisito CERs per oltre 15 Mt eq CO2/anno prevalentemente da operazioni di distruzione di HFC-23, e l’Eni che ha ottenuto la certificazione per un progetto di gas flaring in Nigeria. Altri paesi hanno visto uno sforzo congiunto molto efficace per far partecipare i loro settori industriali nei progetti di CDM. Considerata la fortissima crescita prevista per questo mercato occorrerà dunque sollecitare anche in Italia un forte impegno in questa direzione e definire un maggiore sostegno alle imprese interessate ad investire.

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primo piano

Nucleare, rin e bioenergie con le emissioni


novabili tro di CO2 Corrado Clini

INTERVISTA A CORRADO CLINI Direttore generale al Ministero dell’Ambiente

di Jacopo Giliberto

Un utilizzo più massiccio di queste fonti potrà favorire l’abbattimento dell’inquinamento atmosferico e mitigare le pesanti ricadute che i combustibili fossili hanno sull’economia. Ma serve più ricerca, innovazione e politiche energetiche coraggiose. E soprattutto dobbiamo cominciare ad agire adesso. Perché ci sia una stabilizzazione effettiva delle emissioni di anidride carbonica, servono anni. La “bioenergia” può cambiare la geografia del mercato internazionale dell’energia, può accrescere la diversificazione delle fonti energetiche. Può essere neutrale sulle emissioni di carbonio e quindi dare un contributo effettivo alla riduzione della CO2.

Corrado Clini, direttore generale al Ministero dell’Ambiente, intravede un cambiamento di scenario, uno “shock” tecnologico importante. Le emissioni di anidride carbonica minacciano il mondo e la crescita economica di tutti, Paesi ricchi e Paesi in crescita. La via d’uscita? L’energia nucleare è una soluzione (non l’unica), perché non emette anidride carbonica, ma ci sono anche le fonti rinnovabili di energia e le cosiddette bioenergie. Le parole d’ordine nel mondo sono ricerca e innovazione, insieme alle politiche energetiche per ridurre l’intensità di carbonio dell’economia, attraverso lo sviluppo e la “disseminazione” di nuove fonti rinnovabili e dell’efficienza energetica. C’è poi la strada dell’idrogeno e quella del sequestro dell’anidride carbonica o del carbonio, come una nuova generazione dell’energia nucleare, tecnologia che non emette anidride carbonica. “C’è un obiettivo condiviso – afferma Clini – e cioè rendere sicure le fonti energetiche nuove, rendere disponibili le tecnologie e fare in modo che questa nuova disponibilità energetica sia economicamente compatibile con la domanda dei Paesi emergenti. Un impegno difficile, vero?” Ancora per qualche mese, Clini sarà presidente di un organismo internazionale, la Global bioenergy parnership (in sigla, Gbep) costituita dai Paesi G8 e da altri Paesi (Brasile, Canada, Cina, Francia, Germania, Giappone, Gran Bretagna, India, Italia, Messico, Russia, Stati Uniti e Sud Africa) in accordo con altre grandi istituzioni sovrannazionali come la Ue e l’Onu – e con imprese private. In novembre il Gbep ha presentato il suo rapporto da cui emerge che una delle soluzioni più interessanti sono le bioenergie.

E: Che cosa sono? CC: Sono tutte le fonti energetiche prodotte da risorse “biologiche” cioè dagli esseri viventi. E: Qualche esempio? CC: Quelle tradizionali, come la legna. Ancora oggi si usano in moltissimi Paesi, e non si tratta solamente del ceppo di legna nel caminetto. C’è una larga parte del mondo che usa la legna per cuocere. È il mondo più povero. E: Ho visto l’uso della legna nei sobborghi di lamiera alla periferia di una metropoli moderna come Città del Capo. In Africa c’è una elevata mortalità infantile dovuta ai bambini feriti o uccisi da fuoco durante la cottura dei cibi, e l’arrivo dei fornelli elettrici riduce il numero di incidenti domestici. CC: Sì, ma non c’è solamente la legna. Ci sono investimenti importanti in centrali elettriche alimentate con questa fonte di energia. Oppure i carburanti e i combustibili di origine vegetale, ed è il caso del biodiesel e dell’alcol, ma anche dell’uso diretto dell’olio nei motori diesel. O ancora i biogas che si formano dalla fermentazione degli scarti. Sono solamente alcuni dei mille esempi. Ma l’interesse che si è svegliato quest’anno sulla produzione internazionale di alcol come integrativo (o anche sostitutivo) della benzina è indicativo di una tendenza. E: Perché sviluppare queste nuove fonti di energia? CC: La “bioenergia” può cambiare la geografia del mercato internazionale dell’energia. Può accrescere la diversificazione delle fonti energetiche ma anche la

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primo piano geografia dell’energia. Bisogna aumentare la sicurezza nelle forniture. Bisogna portare a compimento il ruolo dei Paesi emergenti e la loro crescita. E – aspetto ambientale – dobbiamo sviluppare i combustibili e le tecnologie con l’ottica di un’economia a basso contenuto di carbonio. È una sfida per l’economia dei combustibili fossili. E: Qualche dato. CC: Secondo l’Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc), una riduzione complessiva delle emissioni fra il 30 e il 50% dovrebbe raggiungersi nel periodo 2030-2050 per conseguire la stabilizzazione della concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera a un livello ritenuto sicuro di 450-550 parti per milione entro la fine del secolo, per evitare un cambiamento irreversibile del sistema climatico. Secondo lo scenario di riferimento contenuto nel World Energy Outlook 2006, la domanda mondiale di energia crescerà circa del 55% nei prossimi 25 anni e all’85% sarà fornita dai combustibili fossili. L’Aie stima, per i prossimi 20-30 anni, una dimensione mondiale di investimenti nel settore dell’energia nel suo complesso nell’ordine dei 20mila miliardi di dollari.

E: Il ruolo di queste fonti è sostanziale? CC: La vediamo come energia di transizione, sebbene molti aspetti possano rimanere validi anche in un futuro più remoto. La bioenergia può aiutare a soddisfare la domanda energetica in crescita nel breve periodo. Può essere neutrale sulle emissioni di carbonio e quindi può dare un contributo effettivo alla riduzione della CO2. Però questo processo deve essere governato. Altrimenti si rischia di avere uno sviluppo difficile per questo settore. E: Qualche esempio, Clini.

CC: Una delle parole d’ordine che si ripete più spesso è “bisogna cominciare ad agire adesso”. Ed è vero. Perché ci sia una stabilizzazione effettiva delle emissioni di anidride carbonica, servono anni. Servono anni prima che una politica adeguata si trasformi dal progetto alla sua attuazione e altri anni prima che questa faccia sortire il suo effetto in modo efficace.

CC: Parliamo di alcol, cioè etanolo. La produzione più interessante di alcol, dal punto di vista dei rendimenti, viene dalla canna da zucchero. Una pianta che si coltiva soprattutto nelle zone tropicali, che sono in genere quelle economicamente più svantaggiate. Ecco un’occasione di riscatto per i Paesi di questa fascia del mondo: oggi hanno spesso un’agricoltura marginale, e invece potrebbero diventare fornitori di energia non solamente a se stessi ma soprattutto per i Paesi che esprimono la maggiore domanda. Ci sono però regole nazionali e internazionali che frenano questa possibilità. È il caso dei contributi all’agricoltura europea e statunitense. Gli incentivi statunitensi agli agricoltori della “corn belt” oppure la Pac, cioè la politica agricola comunitaria, avvantaggiano la produzione di alcol ottenuto da granturco o da barbabietola coltivati nei Paesi ricchi. Sono produzioni meccanizzate e altamente industrializzate, con modesti rendimenti di trasformazione in alcol, e azzerano ogni possibilità di vendita all’alcol da canna

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E: Quali le linee di fondo delle politiche internazionali?

prodotto ai tropici. Il bilancio ambientale, il ciclo di vita del prodotto, non deve avere un costo maggiore del beneficio. Un altro esempio di necessità di governo, di coordinamento: le centrali europee a biomasse che sono alimentate con olio di palma di importazione. Per piantare le colture necessarie a produrre quell’olio di palma, in alcune zone del Sud-Est asiatico sono state abbattute estensioni enormi di foresta pluviale, il nostro miglior alleato nell’assorbire l’anidride carbonica dall’aria. È chiaro che l’olio di palma non va solamente nelle centrali a biomasse, anzi la maggior parte è destinata a diventare grassi per l’industria alimentare, ma siamo sicuri che le centrali a olio siano un’arma efficace per difendere il clima? E: Un altro esempio oltre all’olio di palma e alla canna da zucchero? CC: La domanda statunitense di bioetanolo ha spinto quella di frumento e granturco. E: Con i rincari della tortiglia messicana e della pasta italiana. CC: È una distorsione attribuire quei rincari alla sola domanda di alcol, perché ci sono altri fenomeni come l’andamento dei raccolti, più modesti nella stagione passata, e la scoperta della farina di frumento da parte di grandi popoli avvezzi al riso, come cinesi e indiani. Il principio è diverso: mentre nel mondo c’è fame, e c’è davvero, dobbiamo stare attenti a evitare che le coltivazioni energetiche tolgano risorse alimentari necessarie alla sopravvivenza.

EMISSIONI DI CO2 NEL MONDO nel 2006 Emissioni di CO2 riferite alla Produzione lorda termoelettrica (A) e alla Produzione lorda totale (B)

MONDO EUROPA UE 25 Austria Belgio Danimarca Finlandia Francia Germania Grecia Irlanda Italia Lussemburgo Paesi bassi Polonia Portogallo Regno Unito Spagna Svezia Russia AMERICA Stati Uniti AFRICA ASIA Cina Giappone India OCEANIA

A

B

746 711 712 612 571 754 732 675 817 807 611 581 406 571 904 676 670 636 713 551 748 770 732 819 912 691 852 827

505 254 410 237 241 655 434 68 525 699 551 485 312 531 882 443 527 400 66 369 457 558 597 633 751 432 698 705

espresse in grammi CO2 / kWh

fonte ENERDATA - TERNA Per la valutazione delle emissioni di CO2 si sono utilizzati i seguenti coefficienti specifici di emissione riferiti al consumo di combustibile per la produzione termoelettrica: 4,03 t/tep per il carbone, 3,27 t/tep per l’olio combustibile e 2,35 t/tep per il gas.

I futuri reattori nucleari nel mondo ottobre 2007

7

8 Russia

6

10 India

5

30 Cina

2

11 Giappone 7 USA

in costruzione

pianificati


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primo piano

I consumatori stiano tranquilli, vigileremo contro l’abuso di posizioni dominanti

di Piergiorgio Liberati

INCONTRO CON ANTONIO CATRICALĂ€ Presidente Antitrust 16

Elementi 12


Nel settore dell’energia occorre ragionare solo in chiave europea. Diversamente il nostro Paese rischia “pericolose fughe in avanti”. Un mercato integrato di dimensione europea può garantire livelli di capacità produttiva e di scorte tali da risolvere eventuali emergenze. Parlando a “Elementi” il presidente dell’Antitrust Antonio Catricalà fa il punto sulla situazione concorrenziale dei mercati energetici in Italia. E avverte: “Contro gli abusi dei campioni nazionali sui consumatori, anello debole della catena, non abbasseremo la guardia”. E sull’effetto “Nimby” (la protesta di chi non vuole che si costruisca vicino la propria abitazione) sostiene: “Non è più tollerabile, la logica dei veti incrociati va superata. Altrimenti lamentaremo la dominanza degli ex monopolisti, salvo continuare a ritardare la costruzione di nuovi rigassificatori”.

E: Presidente, per completare la liberalizzazione del settore energetico, a più riprese la Commissione europea ha chiesto di procedere alla separazione tra produzione e distribuzione di gas ed energia elettrica. Sul tema dell’unbundling, secondo lei, a che punto è l’Italia? AC: Occorre distinguere tra energia elettrica e gas. Per l’energia elettrica il nodo della terzietà della rete è stato risolto con la cessione, da parte di Enel, del 29,9% di Terna a CdP. È un’operazione sulla quale, come Antitrust, abbiamo vigilato ponendo condizioni stringenti. Abbiamo chiesto che venisse sciolto il nodo del conflitto di interessi in capo a Cassa Depositi e Prestiti, titolare di azioni sia di Enel che di Terna, sia pur entro un congruo periodo di tempo. Sul gas invece registriamo una comprensibile cautela da parte del legislatore. Il disegno di legge di liberalizzazione del mercato dell’energia, che deve essere ancora approvato dal Senato, prevede una separazione tra Eni e Snam Rete Gas rinviando ai modelli europei. Tuttavia anche in Europea il dibattito è acceso: lo stesso presidente della Commissione Manuel Barroso, ha previsto un negoziato difficile. Resto convinto che prima di costringere Eni a vendere Snam sia necessario avere un quadro omogeneo di regole europee. Soprattutto occorre evitare soluzioni come quella di Terna-Cdp che ci hanno costretto a dettare condizioni molto restrittive, imponendo la vendita di un asset. Dal punto di vista dell’Antitrust, la separazione proprietaria è la soluzione che più agevolmente garantisce la neutralità della rete. Del resto l’accesso alla rete è soggetto a una ferrea regolamentazione proprio per garantire parità di condizioni ai concorrenti di Eni e l’Antitrust ha dimostrato di sapere intervenire per contrastare eventuali abusi del monopolista. E: Quali ritiene debbano essere le tappe indispensabili per arrivare alla completa apertura del mercato? AC: C’è una discussione in corso a livello europeo. Pongo, dunque, un problema di metodo: l’Italia deve evitare fughe in avanti, con il rischio di muoversi indipendentemente dal resto d’Europa. Evitiamo complessi da Cenerentola: nel settore energetico abbiamo liberalizzato più e meglio di altri. Ora occorre muoversi in modo sincrono, aspettare l’evoluzione del dibattito comunitario e inserire ogni nuovo passo all’interno della cornice che l’Europa si sarà data.

Antonio Catricalà

E: Il ministro dello Sviluppo Economico, Pier Luigi Bersani, ha posto l’accento sull’importanza della reciprocità, e cioè sul fatto che, nel processo di unbundling, vengano curati “gli aspetti intraeuropei”. Lei ritiene che la completa apertura del mercato europeo possa, in qualche modo, danneggiare l’Italia? AC: L’Italia ha i suoi campioni nazionali che hanno dimostrato di sapere affrontare l’Europa e il mondo. Tuttavia occorre abbandonare la logica “interna” e ragionare in chiave europea. Fino a che non verranno accantonate le logiche protezionistiche che purtroppo continuano a prevalere in alcuni Paesi, non solo l’Italia ma l’Europa intera non sarà messa in sicurezza dal punto di vista energetico. Più volte ho proposto l’idea di una centrale d’acquisto comune a livello europeo per l’acquisizione delle materie energetiche proprio per rafforzare il potere contrattuali dei singoli Paesi. Serve una visione comune e uno sforzo corale sulle infrastrutture: se i singoli mercati resteranno segmentati rimarrà una situazione di rischio. Un mercato integrato di dimensione europea può invece garantire livelli di capacità produttiva e di scorte tali da risolvere eventuali emergenze. Un’ottica europea di sistema sarebbe, inoltre, funzionale a spuntare condizioni economiche migliori nella contrattazione con i fornitori extracomunitari. E si svilupperebbero fonti di approvvigionamento e nuovi mezzi di produzione di energia pulita.

la votazione

509

i voti favorevoli per l’uso del nucleare all’Europarlamento. Quelli contrari sono stati

153 Elementi 12

> 17


le energie fossili

80% è la quota dei consumi europei coperti da petrolio e gas con una forte dipendenza da paesi terzi

E: Le fusioni tra le ex municipalizzate, come Aem e Asm, possono costituire uno stimolo alla concorrenza? AC: Sulla fusione tra Aem e Asm la valutazione è ancora in corso e non posso esprimermi. In linea generale in una fase di passaggio dal monopolio alla concorrenza è evidente che il rafforzamento dei nuovi entranti può avere effetti positivi. A patto che non si passi ad una situazione di oligopolio dove il rischio di pratiche concordate è sempre in agguato. E: Enel, con il perfezionamento dell’Opa su Endesa, è ora uno degli operatori più importanti in Europa. Anche Eni sta espandendo la sua attività all’estero. Ma in Italia qual è il comportamento dei due gruppi dominanti? AC: Innanzitutto occorre distinguere tra i due mercati: quello elettrico e quello del gas. Nel mercato elettrico la liberalizzazione sembra aver portato un po’ di concorrenza. Certo, nel passaggio delle famiglie al mercato libero è stato necessario, e non poteva essere altrimenti, inserire una serie di misure volte a tutelare il consumatore più debole. Un’Autorità Antitrust non può che sperare che questi ammortizzatori durino il tempo strettamente necessario per consentire al mercato di trasferire sui consumatori la riduzione dei prezzi conseguente ad un assetto concorrenziale. L’analisi dei mercati ci dice però che, anche se Enel sembra mantenere quote di capacità installata superiori al 50% in talune zone, nel settore si inizia a intravedere competizione tra operatori alternativi. L’indice di concentrazione è calato in quasi tutte le macrozone che contraddistinguono il mercato elettrico, anche se alcuni operatori, ed Enel in particolare, continuano a fare il prezzo, in più macrozone e in una percentuale di ore elevatissima. Ancora la situazione non si è consolidata, ma certo il mercato si sta aprendo quanto a capacità produttiva. Sul gas invece la situazione è oggettivamente diversa: la liberalizzazione è più lenta, l’operatore dominante mantiene una posizione più forte. Ricordiamoci che il gas si produce fuori dalle frontiere europee e il suo trasporto richiede enormi investimenti sui gasdotti. Tutto ciò ha, inevitabilmente, ingessato la situazione. Un punto tuttavia sembra accomunare i due operatori dominanti: il rapporto con il consumatore finale. Quel po’ di concorrenza che

18

Elementi 12

è arrivata non ha scalfito l’abitudine culturale di sentirsi “padroni del mercato”, a scapito dell’anello più debole della catena. L’abuso è sempre in agguato, l’Antitrust non può mai abbassare la guardia. E: Uno degli aspetti più importanti per favorire l’ingresso nel mercato di altri gruppi societari, è quello delle infrastrutture. Che, però, in Italia scarseggiano. Come ovviare a questo aspetto? La carenza di infrastrutture, purtroppo, sembra un dato inconfutabile. Secondo alcune stime, nel 2015 nonostante lo sbottigliamento dei gasdotti esistenti dalla Russia e l’Algeria e l’entrata in servizio di nuovi collegamenti, l’offerta di gas sarà appena in grado di soddisfare la domanda. Nel campo elettrico va un po’ meglio: dal 2002 ad oggi sono stati autorizzati 45 nuovi impianti, con un aumento del 13% della potenza installata, a fronte di una crescita dei consumi prevista intorno al 10%. Tuttavia le strozzature si ripresentano a valle dove occorre investire, e cospicuamente, sulla capacità di trasmissione di Terna. Si tratta di sfide che interessano il sistema Paese: l’effetto “Nimby” – cioè la protesta di chi non vuole che si costruisca vicino la propria abitazione - non è più tollerabile, la logica dei veti incrociati va superata. Altrimenti continueremo a lamentare la dominanza degli ex monopolisti salvo continuare a ritardare la costruzione di nuovi rigassificatori.

il nucleare

15

paesi europei su 27 usano già il nucleare, che copre così il 31% della produzione Ue di elettricità.



primo piano

Poche chiacchiere, serve un piano energetico definito e attuabile di Gabriele Masini

A TU PER TU CON EDGARDO CURCIO Presidente Associazione Italiana Economisti dell’Energia 20

Elementi 12

Sono anni che non facciamo più politica energetica, e non parlo solo di questo governo, ma anche del precedente. Abbiamo paura di prendere decisioni in un settore che è vitale per il bene del nostro Paese. Spesso i Cv hanno poco mercato. Prevalgono gli accordi bilaterali rispetto ai meccanismi di borsa e la concorrenza così non funziona. Serve un’unica forma di incentivazione delle energie rinnovabili a livello europeo e un mercato unico di questi certificati. Nucleare? Sì, ma occorre lavorare subito per il domani. I consumi di energia si possono ridurre fino a un 10% rispetto alla domanda primaria, tempo dieci anni.


Efficienza, risparmio, emissioni e rinnovabili. Sono questi ormai i quattro punti cardinali che definiscono il campo i cui si gioca la partita del nostro futuro, energetico e non solo. Ne parliamo con Edgardo Curcio, presidente dell’Associazione italiana economisti dell’energia, uno dei massimi esperti in materia. E: La Commissione europea ha messo in campo il famoso Piano “20-20-20”, al quale l’Italia ha risposto con un position paper che prevede, tra l’altro, il potenziale delle rinnovabili al 15%. Il 20% è per noi un obiettivo troppo ambizioso? EC: Certamente l’obiettivo del 20% appare ambizioso, tenuto conto che oggi il peso delle rinnovabili in Italia sul totale della domanda primaria di energia è del 7%. Questa quota è formata per circa l’75% dall’idroelettrico, una fonte già molto sfruttata e che potrebbe aumentare solo di qualche punto percentuale con l’apporto del mini-idro. Tutta la nuova quota di rinnovabili prevista dal piano della Commissione per il nostro Paese dovrebbe venire dal solare, l’eolico, le biomasse e la geotermia. Per quanto si possa incentivare, la realtà è che partiamo da basi molto basse. Pensare che queste possano coprire quel 13% mancante nei prossimi 10 anni sembra una prospettiva irrealizzabile. Anche l’obiettivo italiano del 15% è molto ambizioso e richiederebbe comunque un grandissimo sforzo, sia sul piano industriale che finanziario. E: C’è il rischio – come già successo, secondo alcuni, in occasione del burden sharing delle emissioni di CO2 con il Protocollo di Kyoto – che il peso politico di alcuni Stati porti a una definizione non equa degli obiettivi per ciascuna Nazione? EC: Certo, penso alla la Germania, alla Spagna e anche alla Francia. E: La Commissione sembra voler privilegiare gli incentivi feed in rispetto ai Certificati Verdi. È ancora efficace un sistema di incentivi che si basi fondamentalmente su meccanismi di mercato, come quello italiano? EC: Sul piano teorico i Certificati Verdi sono migliori perché sono incentivi

Edgardo Curcio

basati sul mercato. Il problema è più nei dettagli dei meccanismi di applicazione che nel principio generale. Però spesso succede che i Cv abbiano poco mercato: prevalgono gli accordi bilaterali rispetto ai meccanismi di borsa. Ciò vanifica il presupposto iniziale, che è quello di far lavorare la concorrenza. E: Ci sono rimedi al problema della scarsa liquidità del mercato? EC: La cosa migliore sarebbe che ci fosse a livello europeo un’unica forma di incentivazione delle energie rinnovabili e un mercato unico di questi certificati. Così potremmo “compensare” i nostri problemi in un grande mercato dove si scambiano Cv. In Italia oggi c’è una situazione “drogata”: l’eolico ha una condizione di privilegio perché ha un vantaggio enorme dai Cv, che compensano abbondantemente l’investimento, mentre non decollano le biomasse, i rifiuti e anche il fotovoltaico, che ora ha, nel conto energia, un forte incentivo alla realizzazione e alla produzione di elettricità. E: A proposito di mercati e meccanismi finanziari, il 1° novembre è entrata in vigore la direttiva Mifid che, tra l’altro, prevede l’introduzione dei derivati per i mercati dell’energia. Ci sarà un effetto sui prezzi? E, soprattutto, l’Italia è pronta? EC: Il Gme ha dichiarato che ancora non siamo pronti, ma che potremo esserlo a partire dal prossimo anno. Occorre capire come verranno applicati questi meccanismi di copertura dalle imprese e vedere come saranno trasferiti questi sovracosti, pagati dalle imprese per coprirsi dai rischi di variabilità dei prezzi internazionali e delle materie prime, sul prezzo dell’energia elettrica. Se, come immagino, ci sarà un trasferimento, è chiaro che i prezzi potrebbero

aumentare e tutto si trasferirebbe poi sul mercato. E: Efficienza e risparmio: quali sono le effettive potenzialità? Quali i possibili effetti concreti delle misure prese dal Governo e delle campagne messe in atto dalle aziende o, come si è visto recentemente al Gse, dalle associazioni dei consumatori? EC: Credo che si possano ridurre i consumi fino a un 10% rispetto alla domanda primaria, in 10 anni. È una risposta molto concreta all’aumento della domanda, che - tra l’altro - non è cresciuta in Italia negli ultimi due anni, anche per motivi climatici. Inoltre, sulla riduzione dei consumi gioca un ruolo importante anche l’effetto-prezzi: con una bolletta del gas e della luce più “pesante” saremo sicuramente più attenti. E: Sui prezzi dell’energia, e quindi sulle nostre bollette, pesa anche uno squilibrio storico del mix energetico italiano. Sempre più gas, poco carbone, nucleare al bando. Come arrivare a un mix energetico più equilibrato? EC: Ci sono misure che si possono prendere a breve termine, altre a medio e altre a lungo termine. Innanzitutto si possono realizzare i rigassificatori, perché il Gnl si può considerare una fonte aggiuntiva, che può avere sui mercati spot prezzi più interessanti rispetto al gas naturale importato con le pipeline. Poi c’è il problema del carbone, considerato negativamente dall’opinione pubblica per via delle emissioni. Va detto che i nuovi impianti, come quello Enel di Torre Valdaliga Nord, sono centrali “pulite” per quanto riguarda gli inquinanti “sporchi” (zolfo, articolati, ecc.), mentre non sono tali per quanto riguarda la CO2, che non è un inquinante “sporco”, ma ha un effetto sul clima. Imprese e governo dovrebbero

> Elementi 12

21


Potenza efficiente lorda degli impianti da fonte rinnovabile in Italia al 31 dicembre 2005

n

n

2006

Idrica

2.055

0-1

17.325.767

2.093

2006/2005

kW

%

17.412.060

0,5

kW 1.157

419.418

1.173

427.454

1,9

1 - 10

605

1.986.114

626

2.040.351

2,7

> 10

293

14.920.235

294

14.944.255

0,2

Eolica

148

1.638.955

169

1.908.287

16,4

Solare1

n.d.

34.000

n.d.

45.000

32,4

31

711.000

31

711.000

0,0

277

1.199.773

314

1.256.577

4,7

98

915.900

106

945.011

3,2

Geotermica Biomasse e rifiuti2 Solidi – rifiuti solidi urbani

55

526.500

63

529.650

0,6

– da colture e altri rifiuti agro-industriali

43

389.400

43

415.361

6,7

Biogas

180

283.87

208

311.566

9,8

– da discariche

150

336.833

176

269.620

13,8

– da fanghi – da deiezioni animali – da colture e altri rifiuti agro-industriali Totale

5

4.714

6

4.280

-9,2

14

6.843

15

8.673

26,7

9

35.483

11

28.993

-18,3

2.512

20.909.495

2.607

21.332.924

2,0

1 2

Compresi i tetti Fotovoltaici (dati Enea) e il Conto Energia (GSE) Per gli impianti in co-combustione la potenza considerata è pari ad una quota della potenza dell’impianto in base alla produzione realizzata dalle biomasse e rifiuti rispetto a quella totale.

portare avanti il tema della cattura della CO2. Infine c’è il grosso capitolo del nucleare, sul quale c’è, sia da parte della Commissione e del Parlamento europeo, sia da parte del nostro Parlamento, un ripensamento. Anche secondo alcuni ecologisti, come Lovelock, l’unica possibilità che abbiamo per abbattere le emissioni di gas serra è il nucleare. Questo è vero, ma bisogna cominciare a prendere delle iniziative, fare ricerca, accordi, prendere una posizione non più del tutto negativa. E: A Bruxelles le trattative sul “pacchetto energia” si fanno più serrate. Al centro del dibattito, tra l’altro, le diverse opzioni sull’unbundling. Esiste davvero il pericolo di una “invasione barbarica” nel settore dell’energia nel caso di una separazione proprietaria nelle reti o si tratta solo di un approccio di difesa dei “campioni nazionali”? EC: Quello contro la separazione delle reti è – secondo me - essenzialmente un discorso che fanno i campioni nazionali perché non vogliono perdere una fetta importante del mercato e del controllo che hanno sul mercato stesso. Non credo che in uno stato di diritto come il nostro sia possibile a una società straniera come Gazprom “scalare” Snam Rete Gas il giorno in cui fosse privatizzata, senza preventivo

22

accordo con il nostro Governo. Dietro questi atteggiamenti c’è la paura di una perdita di potere e, soprattutto, la paura di non poter più negoziare, una volta perso il controllo della rete, con i fornitori esteri con la stessa forza e alle stesse condizioni di oggi. E: Nimby, lentezza degli iter legislativi e autorizzativi, incertezza politica. L’Italia ha un problema di immobilismo o di scarsa capacità decisionale? EC: Sono anni che non facciamo più politica energetica – e non parlo solo di questo governo ma anche del precedente. Abbiamo paura di prendere decisioni in un settore che è vitale per il nostro Paese, per il nostro benessere quotidiano. C’è un vasto senso dell’individualismo e dell’egoismo che spinge il cittadino a dire no a tutto. La catena del “no” parte dal basso per poi salire, e i politici non se la sentono di prendere decisioni. Abbiamo il greggio che ha toccato i cento dollari al barile e non ci sono praticamente risposte da parte del nostro Governo a una situazione ormai molto preoccupante lato costi e lato crescita economica. Quello che serve è prendere decisioni, anche scomode, ma capaci di risposte al nostro futuro energetico.

Elementi 12

L’incentivazione delle Fonti Rinnovabili con i CV certificati verdi emessi nel 2006

Idrica

45.196

Eolica

42.484

Geotermica

16.340

Biogas

8.627

Biomasse

6.090

Rifiuti

2.362

Solare

31

Totale

121.130

5% 2% 0% 7% 38%

13%

35% fonte GSE


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energia dei comuni

Gli Enti locali nel mercato delle emissioni A COLLOQUIO CON LEONARDO DOMENICI Presidente dell’ANCI e sindaco di Firenze Secondo Domenici, occorre introdurre agevolazioni per l’ingresso degli Enti locali nel mercato delle emissioni, per far crescere il volume di attività della borsa emissioni e le quote di CO2 non immesse nell’atmosfera. Bene le aggregazioni delle utilities dei comuni, ma il fenomeno non deve limitarsi solo a una parte d’Italia. Sull’energia rinnovabile i comuni potranno svolgere un ruolo determinate che sarà favorito dagli accordi con il GSE. Il nucleare? Si può aprire un “ragionamento”.

di Fausto Carioti

24

Leonardo Domenici

Chiede agevolazioni perl’ingresso degli Enti locali nel mercato delle emissioni, spera in procedure più semplici per installare pannelli fotovoltaici sui tetti degli edifici comunali e invoca iniziative per superare i veti delle comunità territoriali alla costruzione dei rigassificatori. Leonardo Domenici, presidente dell’Anci, diessino e sindaco di Firenze, crede che il rispetto degli impegni fissati a Kyoto e la diffusione delle nuove tecnologie per la produzione e il risparmio di energia debbano passare attraverso i comuni italiani.

Elementi 12

E: Che futuro attende le società municipalizzate dell’energia? Saranno competitor di colossi come Enel ed Eni o la loro dimensione ottimale deve rimanere quella locale, magari allargata rispetto ai confini attuali? LD: Su questo fronte sono stati ultimati alcuni processi di aggregazione di utilities che fanno capo a comuni diversi ed altri processi sono in corso. È un fenomeno positivo perché migliorerà la capacità di rendere servizi più efficienti ai cittadini. Va anche detto, però, che questi processi


economici ed industriali interessano solo il nord e il centro-nord, non il sud del Paese. E: La critica principale che viene mossa alle aziende municipalizzate, specie quelle dell’energia, è di essere poco contendibili ed operare in un mercato scarsamente liberalizzato. Di chi è la colpa? LD: Non sono delle municipalizzate le colpe dei ritardi della liberalizzazione del mercato dell’energia. Dal primo gennaio 2008, con l’entrata in vigore delle nuove regole stabilite in recepimento della direttiva europea sull’energia, vedremo come queste aziende si muoveranno. Oggi hanno una forte attenzione alle esigenze degli utenti, agli investimenti sulle energie rinnovabili e alla possibilità di costruire nuove alleanze. E: Come valuta l’ingresso di grandi gruppi internazionali nelle municipalizzate italiane dell’energia? Il passaggio in mani straniere di un settore così strategico a livello locale è un rischio o un’opportunità? LD: Dipende. In un’economia globalizzata l’investimento straniero è sempre un fatto positivo e comunque non contrastabile. L’importante è garantire che questi capitali siano usati per lo sviluppo del settore, seguendo clausole di salvaguardia della qualità dei servizi. E: I comuni possono svolgere un ruolo nel monitorare e garantire il rispetto dei tagli alle emissioni di CO2 previsti dal protocollo di Kyoto? LD: Pensiamo di sì, e vorremmo farlo di più e meglio, con l’assenso delle altre istituzioni. E: In che modo? LD: L’Anci ha approvato un documento dedicato all’ambiente, alle nuove energie rinnovabili e al mercato delle emissioni, sottolineando la necessità di prevedere l’ingresso degli Enti locali nelle procedure di certificazione delle emissioni. Abbiamo anche proposto un patto nazionale tra governo, regioni e comuni sull’attuazione del protocollo di Kyoto.

“Lo scopo è introdurre agevolazioni per l’ingresso degli enti locali nel mercato delle emissioni” E: A cosa dovrebbe servire? LD: A introdurre agevolazioni per l’ingresso degli Enti locali nel mercato delle emissioni e quindi delle quote di CO2 che non vengono immesse nell’atmosfera. E: Per meglio rispettare i vincoli fissati a Kyoto, da un arco politico sempre più vasto aumentano le voci in favore di un ritorno “ragionato” al nucleare. È una strada percorribile, magari prevedendo agevolazioni economiche e fiscali in favore di quelle comunità che ospitano una centrale nucleare? LD: Intanto una centrale nucleare non si “ospita”. È dalla fine degli anni Ottanta che abbiamo in sospeso le attività di smaltimento delle scorie nucleari in dodici comuni italiani. All’Anci, la consulta dei comuni con servitù nucleari si è dovuta attivare anche perché sono stati più che dimezzati i fondi a suo tempo stanziati in favore dei comuni e delle province interessati alle operazioni di recupero e trattamento dei materiali nuclearizzati. Occorre valorizzare i territori che in tutti questi anni sono stati penalizzati. Con questi presupposti, mi pare difficile che i territori possano tornare a discutere serenamente di simili ipotesi. Poi, certo, c’è il grande tema: se sia opportuno o meno ricominciare a investire sul nucleare. Su questo occorre ragionare, cercare le soluzioni più utili per il benessere delle future generazioni.

E: Come dimostra il caso dei rigassificatori, gli Enti locali oggi, di fatto, hanno il potere di veto sulla realizzazione di simili infrastrutture. Lei come si spiega i tanti veti che arrivano dai territori? LD: In molti casi le paralisi e i veti nascono da un deficit di informazione, di dialogo con le istituzioni e con i cittadini, così come da un errore nell’informare. E: È giusto che pochi amministratori blocchino la costruzione di opere che vanno a vantaggio dell’intera comunità nazionale? Non sarebbe il caso di ridurre il loro potere d’interdizione sul tema dell’energia, che riguarda il “bene comune” nazionale? LD: Prima vorrei affrontare un punto: è giusto che si adottino decisioni così importanti per un territorio senza che vi siano forme di consultazione con gli stessi territori e con gli Enti locali? È possibile che l’unica forma di espressione avvenga nell’opporsi a progetti già decisi o a decisioni già prese ed annunciate? E: Lei come risponde? LD: Io credo che il punto della questione non sia aumentare o ridurre i poteri a livello locale. Credo piuttosto che occorra iniziare una stagione nuova all’insegna della concertazione, tra i diversi livelli istituzionali. Sono convinto che sarebbe di grande aiuto ipotizzare un protocollo di azioni da adottare in questi casi, che preveda la consultazione e il coinvolgimento attivo delle

> Elementi 12

25


Produzione lorda degli impianti da fonte rinnovabile in Italia dal 2003 al 2006

Idrica

2003

2004

2005

2006

GWh

GWh

GWh

GWh

2006/2005 %

36.669,9

42.337,8

36.066,7

36.994,4

2,6 -0,3

0-1

1.455,3

1.731,3

1.525,7

1.520,9

1 - 10

5.731,8

7.127,8

6.090,5

6.354,1

4,3

> 10

29.482,8

33.478,7

28.450,5

29.119,4

2,4

1.458,4

1.846,5

2.343,4

2.970,7

26,8

22,6

27,3

31,0

35,0

12,9

Geotermica

5.340,5

5.437,3

5.324,5

5.527,4

3,8

Biomasse e rifiuti

4.493,0

5.637,2

6.154,8

6.744,6

9,6

Solidi

3.460,1

4.466,9

4.956,9

5.408,3

9,1

– rifiuti solidi urbani

1.811,9

2.276,6

2.619,7

2.916,6

11,3

– da colture e altri rifiuti agro-industriali

1.648,2

2.190,4

2.337,2

2.491,7

6,6

Biogas

1.033,0

1.170,2

1.198,0

1.336,3

11,5

910,5

1.038,4

1.052,3

1.176,8

11,8

2,7

1,2

3,2

3,3

3,1

13,2

18,5

25,7

44,7

73,9

Eolica Solare1

– da discariche – da fanghi – da deiezioni animali – da colture e altri rifiuti agro-industriali Totale

106,5

112,1

116,8

111,5

-4,5

47.984,4

55.286,1

49.920,4

52.272,1

4,7

1

Compresi i tetti Fotovoltaici (dati Enea) e il Conto Energia (GSE)

fonte GSE

comunità locali e presti un’attenzione particolare alla comunicazione. Si tratta di non imporre niente a nessuno, ma di esercitare quel ruolo di governance che già si è rivelato importante nell’esperienza dei nostri partners europei.

E: Se lo fa il comune, il privato può essere invogliato ad imitarlo.

E: E se i veti rimangono? LD: Penso che sia giusto e necessario coinvolgere il più possibile le comunità interessate, e che questo vada fatto nei tempi giusti. Certo, poi chi ha il potere di decidere ha anche il diritto e il dovere di farlo per il bene di tutti, se necessario superando eventuali opposizioni locali residue e minoritarie. E: I comuni italiani potrebbero svolgere un ruolo importante nel promuovere l’uso delle fonti alternative e il ricorso al risparmio energetico. Ma l’impressione è che sia stato fatto poco in questa direzione. LD: Porto ad esempio le ultime iniziative dei comuni e dell’Anci sul risparmio energetico, come la guida rivolta a tutti i comuni sull’uso razionale dell’energia negli edifici comunali. Questa guida, redatta dall’Enea e promossa da noi insieme all’Enel, illustra una serie di comportamenti virtuosi: dalle piccole accortezze per il risparmio di energia, alle buone pratiche che gli amministratori locali debbono adottare

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per migliorare l’efficienza energetica degli edifici comunali. Ma il miglior modo di promuovere le energie rinnovabili e il risparmio energetico è dare il buon esempio come amministrazioni locali.

LD: È così. Io credo molto nell’effetto riproducibilità degli interventi, specie per le energie rinnovabili. Il cittadino che vede i pannelli fotovoltaici nella scuola dove porta i propri bambini o nell’edificio del Comune dove vive e lavora, nell’impianto sportivo comunale che frequenta, è incuriosito, oltre che rassicurato, sull’uso di queste nuove tecnologie. E: Anche in questo caso, però, guardando i tetti degli edifici comunali sembra che ci sia ancora tanto da fare. Sarebbe bello che i comuni potessero accedere in forma semplificata alle procedure di installazione dei pannelli fotovoltaici e di altri impianti di energie rinnovabili. Lo spirito potrebbe essere proprio quello di fare dei comuni un grande laboratorio. Alcune norme contenute nella legge Finanziaria dello scorso anno andavano in questa direzione. Adesso è necessario attuarle. Stiamo aspettando i decreti.

Elementi 12

E: E poi bisogna invogliare il cittadino a fare altrettanto. LD: Su questo è necessario fare chiarezza. Se nelle prime cento richieste di contributi sul conto energia i cittadini capiscono che ottanta seguono iter troppo lunghi, rischia di essere inutile qualsiasi campagna di comunicazione o di promozione. E: Cosa state facendo per semplificare e ridurre questi oneri? LD: In conferenza unificata ponemmo alcune osservazioni di merito quando fummo chiamati a dare il parere sul decreto che regola gli incentivi al fotovoltaico. Con il Gse ora stiamo elaborando un Protocollo d’intesa che può aiutare a semplificare le procedure e rendere più chiare, per i comuni e i cittadini, le regole da seguire per l’installazione dei pannelli fotovoltaici. E: Il 2008 sarà un anno cruciale. LD: Può rappresentare l’inizio di una fase in cui amministrazioni centrali e governi locali - sulla base di un patto che tenga conto degli obbiettivi che dobbiamo raggiungere con il protocollo di Kyoto avviano un percorso di forte collaborazione. Prevedendo, tra le altre cose, l’ingresso degli enti locali nel mercato delle emissioni.



banche ed energia

GSE e banche per la crescita del fotovoltaico

Domenico Santececca

PARLA DOMENICO SANTECECCA Presidente Consorzio ABI Energia L’accordo quadro tra GSE e Istituti di credito è sintomo di una nuova attenzione delle banche per le energie rinnovabili. Tra i vantaggi operativi per le parti che lo sottoscrivono, la possibilità di godere della semplificazione e uniformazione dei termini e delle modalità di notifica e di accettazione della cessione dei crediti nascenti dall’assegnazione delle tariffe incentivanti. Il settore energetico è un comparto che richiede forme evolute di finanziamento, per questo la banca diventa un importante centro di competenze gestionali e di mercato. Il Consorzio ABI Energia? Per ridurre i costi di approvvigionamento e dei consumi di energia delle banche, l’impatto ambientale e il rischio operativo associato all’utilizzo dell’energia stessa.

E: L’accordo quadro sottoscritto tra banche e Gse disciplina la procedura di cessione del credito nascente dalla tariffa incentivante prevista dal Conto Energia. L’obiettivo è quello di agevolare l’acquisto di pannelli fotovoltaici. Come giudica i primi risultati? DS: L’accordo quadro tra banche e Gse ha visto, specie nell’ultimo periodo, un incremento delle adesioni da parte dei singoli istituti di credito. La proposta dell’accordo risale ad un anno fa, ma negli ultimi mesi il numero delle banche che hanno aderito è passato da poche decine a oltre settanta istituti. Questo ci rincuora perché è sintomo di una nuova attenzione da parte delle banche nei confronti delle energie rinnovabili. L’ABI, attiva da anni nel settore energetico grazie al lavoro del Consorzio ABI Energia, auspica un impiego

di Piergiorgio Liberati

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Banche ed energie rinnovabili. Un connubio che sta portando, grazie all’accordo quadro sottoscritto dal Gse con diversi Istituti di credito, alla diffusione della tecnologia fotovoltaica. Oltre 72 banche hanno già sottoscritto l’accordo che avrebbe bisogno, per un suo completo sviluppo, di un’estensione maggiore della rete di contatti, così da massimizzare il numero degli interlocutori bancari e incrementare la collaborazione tra Gse e istituti di credito. Questa la strada da percorrere secondo il Presidente del Consorzio Abi Energia, Domenico Santececca, che con Elementi ha tirato le somme di un progetto iniziato circa un anno fa.

Elementi 12


sempre più ampio di tecniche e risorse per l’uso di energie alternative in banca. Pertanto non può che considerare positivamente le adesioni che ogni singola banca, in base alla propria policy, ha espresso.

E: È possibile tracciare un primo bilancio sull’ammontare dei finanziamenti erogati? DS: Ad oggi è prematuro fare un bilancio dei finanziamenti stanziati. Almeno per due motivi. Il primo è connesso al fatto che l’attivazione della convenzione risale solo ad un anno fa, per cui la maggior parte degli istituti ha aderito solo di recente. In secondo luogo, per tracciare un primo bilancio, sarebbe necessaria un’indagine su ogni singola banca aderente, e questo tipo di monitoraggio non è stato ancora effettuato. E: Quali sono le aree maggiormente interessate dal fenomeno dei finanziamenti per il passaggio al fotovoltaico? DS: Per attuare al meglio i propri interventi di finanziamento è molto importante che la banca conosca le caratteristiche del settore energetico, come del resto per qualsiasi altro settore produttivo. Peraltro, si tratta di un comparto in cui sono richieste anche le forme più evolute di finanziamento. Si pensi al project financing in cui un progetto è finanziato in funzione della sua capacità di reddito. Cosa che obbliga il finanziatore a conoscere a fondo il mercato, per capire se il progetto è bancabile o meno. In un settore come l’energetico, in cui il bene non è stoccabile e va prodotto e distribuito quando serve, la posizione della banca può essere altamente strategica. Per questo motivo siamo diventati un centro di competenze non indifferente sia dal punto di vista gestionale sia di mercato. E: Fino ad ora l’accordo è stato sottoscritto da oltre 70 istituti di credito. Vi aspettate maggiori adesioni nei prossimi mesi? DS: L’attenzione del settore bancario è crescente nei confronti dei temi energetici. Vi è, infatti, maggior coscienza dell’importanza di un cosiddetto consumo virtuoso e della necessità di non sottovalutare il principio del fare networking insieme a grandi interlocutori. Ora sono a quota 72 gli istituti che, autonomamente, hanno optato e deciso di aderire all’accordo. In merito alle future adesioni saranno solo le singole banche a scegliere se e quando esprimere il proprio consenso.

E: I vantaggi per coloro che hanno sottoscritto l’accordo sono molti. In primis quello della cessione alle banche del credito derivante dalla tariffa incentivante. Quali sono gli altri aspetti positivi e cosa, invece, andrebbe migliorato? DS: L’accordo quadro con il Gse apporta diversi vantaggi operativi. Tra i principali vi è la possibilità di godere della semplificazione e uniformazione dei termini e delle modalità di notifica e accettazione della cessione dei crediti nascenti dall’assegnazione delle tariffe incentivanti per la produzione di energia da impianti fotovoltaici. A mio avviso, un aspetto che potrebbe essere sviluppato e potenziato è quello relativo all’aumento della rete, con particolare riferimento alla sua estensione, in modo da massimizzare il numero degli interlocutori bancari e incrementare la collaborazione tra Gestore e Istituti di credito. E: L’ABI, con il consorzio dedicato all’energia, ha aperto ad un settore in grande espansione e con un impatto importante per l’economia italiana. In quale direzione si sta muovendo la sua associazione? DS: Il Consorzio ABI Energia, nato nel dicembre del 2003, si prefigge di ridurre i costi di approvvigionamento e dei consumi di energia delle banche, nonché di diminuire l’impatto ambientale e il rischio operativo associato all’utilizzo dell’energia stessa. Varie sono le tematiche affrontate. Dalla redazione di contratti di fornitura chiari che comprendano condizioni economiche vantaggiose, al supporto nella scelta per l’implementazione di tecnologie efficienti, alla razionalizzazione dei consumi. Con l’intento di offrire ai consorziati sempre più servizi utili nel settore dell’energy management, ABI Energia ha avviato una collaborazione con i propri partner tecnologici al fine di realizzare convenzioni d’acquisto su prodotti o servizi che permettano ai consorziati di avere condizioni economiche vantaggiose, elevati livelli di servizio ed offerte facilmente confrontabili. E: Anche il fotovoltaico è oggetto di lavoro da parte del vostro Consorzio? DS: Il primo progetto che ABI Energia ha avviato in tale ambito riguarda la collaborazione con aziende consorziate che forniscono il servizio di fornitura/vendita di energia cogenerata con impianti installati presso il cliente finale. Tale attività, seppur con le differenze dovute alla particolarità del

> Elementi 12

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servizio, è stata condotta facendo riferimento all’esperienza maturata in merito alla stipula di convenzioni d’acquisto di energia elettrica che ha portato ad importanti risultati. Inoltre, ABI Energia ha firmato una convenzione per l’acquisto di energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili, in particolare idroelettrico. Infine, va ricordata la costituzione di un gruppo di lavoro dedicato alla ricerca di soluzioni impiantistiche e di efficienza energetica in banca per incentivare tutto il sistema all’uso delle energie rinnovabili.

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Il nuovo Conto energia Incentivo riconosciuto all’energia prodotta Tariffe (€/kWh) per impianti in esercizio entro il 31 dicembre 2008 Impianti fotovoltaici

1

2

3

Non

Parzialmente

Integrato

integrato

integrato

1≤P<3

0,40

0,44

0,49

B

3 < P ≤ 20

0,38

0,42

0,46

C

P > 20

0,36

0,40

0,44

Potenza nominale dell’impianto P (kW) A

fonte GSE

Elementi 12



mondo energetico

Il nuovo IL RUOLO DEL GSE

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Elementi 12


sviluppo della cogenerazione di Giuseppe Dell’Olio e Michele Panella

Vantaggi della Cogenerazione e tipologie di impianti

L’entrata in vigore del Decreto Legislativo 20 dello scorso febbraio - in attuazione della Direttiva europea 2004/8/CE ha portato novità significative in materia di promozione e sviluppo della cogenerazione, che comportano nuovi compiti per il Gestore dei Servizi Elettrici (GSE). Innanzitutto l’introduzione della Garanzia d’Origine (GO) per l’energia elettrica prodotta in cogenerazione ad alto rendimento, corrispondente fino al 2010 alla definizione data dall’Autorità per l’Energia Elettrica e il Gas. La GO, che ha una taglia minima pari a 50 MWh annui, è utilizzabile dai produttori per dimostrare che l’elettricità da loro venduta è prodotta da impianti funzionanti in cogenerazione. Ad oggi il ruolo svolto dal GSE è stato quello di riconoscere, a consuntivo, il funzionamento in cogenerazione degli impianti di produzione combinata di energia elettrica e termica. Spetta ora al Gestore dei Servizi Elettrici anche il compito di rilasciare la GO all’energia elettrica prodotta in cogenerazione, nonché di effettuare verifiche ispettive sugli impianti cogenerativi, i cui titolari abbiano richiesto la Garanzia sulla base di un programma annuo prestabilito. Il Decreto ha poi affidato al GSE l’elaborazione di un rapporto sul potenziale nazionale per lo sviluppo della cogenerazione, con una sezione dedicata alla piccola cogenerazione (impianti di potenza inferiore a 1 MWe) ed alla microcogenerazione (impianti di potenza inferiore a 50 kWe). Per questi impianti è prevista la semplificazione delle procedure per l’autorizzazione alla loro costruzione ed esercizio. Infine, per monitorare la cogenerazione a livello nazionale, il GSE ha l’incarico di istituire una banca dati su cui far convergere le informazioni relative algi impianti, così come quelle riguardanti le eventuali agevolazioni riconosciute dalle amministrazioni pubbliche.

La produzione combinata può incrementare il rendimento di utilizzo del combustibile fossile fino ad oltre l’80% rispetto alla produzione separata di energia elettrica e calore. Tra i vantaggi, sia la riduzione dei costi di esercizio che delle emissioni di inquinanti e di gas ad effetto serra. È per questo motivo che il Parlamento Europeo ha riconosciuto tale tecnologia tra gli strumenti necessari per soddisfare gli obiettivi posti dal Protocollo di Kyoto e che la legislazione italiana - precorrendo la stessa legislazione Ue - ha riconosciuto specifici benefici agli impianti in cogenerazione. Gli impianti di produzione combinata presentano molteplici configurazioni ed estrema variabilità nelle taglie, che vanno da pochi kW (esistono prototipi anche da 1 kW) fino ad alcune centinaia di MW. Nella forma più semplice comprendono un motore primo ovvero una turbina a vapore, a gas o un motore a combustione interna - ed un generatore elettrico. Nel caso di turbina a vapore si ha un combustibile primario che, bruciando in una caldaia, cede energia termica all’acqua trasformandola in vapore. Parte di questa energia è trasformata in energia elettrica dal motore primo, mentre un’altra viene utilizzata direttamente come energia termica, destinandola a impieghi civili o industriali. In questo modo sola una piccola parte di calore residuo non è più utilizzabile, e si disperde nell’ambiente. Generalmente, la produzione combinata presuppone la possibilità di utilizzare il calore in prossimità del luogo stesso di produzione, essendo la trasmissione del calore complessa e poco efficiente. Pertanto, le centrali che utilizzano tale processo sono di solito associate ad impianti industriali o inserite in un contesto urbano laddove, in taluni casi, è anche possibile realizzare sistemi di teleriscaldamento.

> Elementi 12

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Distribuzione delle potenze degli impianti di cogenerazione in Italia (curva cumulata / 2005) 400

La Cogenerazione in Italia nel 2005

350

Potenza installata (MW)

300 250 200 150 100 50 0 20

40

60

80

100

In Italia – il dato si riferisce al 2005 - il 9% del totale del parco di generazione è costituito da impianti cogenerativi, con una potenza installata pari a 7.700 MW. Come si rileva dal grafico a destra (che riporta la curva cumulata della potenza complessiva dei motori primi per le sole sezioni di impianto di cogenerazione) si tratta, in maggioranza, di impianti di taglia piccola e media. Non mancano, tuttavia, esempi di grandi impianti (fino a 400 MW) di solito ubicati all’interno di importanti siti industriali.

sezione di impianti di cogenerazione fonte GSE

Cos’è la Cogenerazione Gli impianti termoelettrici hanno per loro natura una bassa efficienza energetica. Anche con le tecnologie più avanzate, meno del 60% dell’energia contenuta nei combustibili è trasformata in energia elettrica. La quantità rimanente viene, quindi, dissipata senza alcun impiego utile. In alcuni casi questa quantità di calore può essere utilizzata in applicazioni industriali o civili. Ciò è possibile grazie ad impianti che convertono energia primaria, di una qualsiasi fonte, producendo congiuntamente energia elettrica ed energia termica. Questo processo, nell’ambito di un medesimo impianto, prende il nome di cogenerazione. Va ricordato che le due dizioni produzione combinata e cogenerazione non sono equivalenti. Infatti, la normativa nazionale stabilisce che un impianto di produzione combinata può considerarsi impianto di cogenerazione solo se soddisfa determinati requisiti di efficienza energetica, espressi dai due indici IRE (Indice di Risparmio di Energia) ed LT (Limite Termico) che devono essere rispettivamente maggiori di due valori limite, periodicamente aggiornati dall’AEEG. In particolare, l’IRE indica il risparmio percentuale di combustibile primario che un dato impianto ha realizzato durante un anno solare rispetto alla produzione separata di energia elettrica e calore. L’indice LT, invece, esprime l’incidenza percentuale della produzione termica rispetto all’energia totale prodotta dall’impianto (energia elettrica e termica insieme). Agli impianti di cogenerazione sono riconosciuti alcuni benefici di legge, fra cui: > l’esenzione dall’obbligo di acquisto dei Certificati Verdi (obbligo che grava sui produttori da fonti fossili oltre una data produzione annua); > il diritto all’utilizzazione prioritaria dell’energia elettrica (dopo l’energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili); > il diritto di cessione dell’energia elettrica, a prezzi incentivanti, alla rete di distribuzione (per impianti di potenza < 10 MVA).

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Elementi 12

Taglia media delle sezioni di cogenerazione per categorie di attività economica / 2005 Attività

Potenza installata media (MW)

Impianti sportivi

0,1

Alberghi e ristoranti

0,1

Istruzioni

0,1

Commercio

0,7

Case di riposo e simili

1

Ospedali

1,4

Concerie

1,7

Articoli in gomma e materie plastiche

3,2

Industria ceramiche

3,8

Industria tessile

4,1

Industria elettronica

9

Industria alimentare

9,7

Riscaldamento e teleriscaldamento

12,8

Industria automobilistica

16,7

Industria cartaria

17,4

Raffinazione petrolio

108,8

Industria chimica e petrolchimica

112,5

fonte GSE

La tabella riporta, invece, la potenza media delle sezioni di cogenerazione per quelle attività economiche, civili o industriali in cui essa è più diffusa. Le potenze sono estremamente variabili: si va da qualche centinaio di kW per attività di servizio fino alle centinaia di MW della grande industria. Complessivamente nel 2005 gli impianti di cogenerazione hanno prodotto circa 39 TWh elettrici e 39 TWh termici, consumando combustibile per 110 TWh. L’energia elettrica così prodotta è stata pari al 13% della produzione nazionale 2005 ed al 16% della produzione di origine termoelettrica. Assumendo un rendimento medio del 36% per la produzione di sola energia elettrica e dell’85% per la produzione di sola energia termica, l’indice IRE globale per il 2005 è pari a circa il 28%, corrispondente ad un risparmio di combustibile di almeno 43,5 TWh (3,7 milioni di TEP), con un rendimento in media superiore al 70%.



mondo energetico

Gli italiani voglio pulita, ma costa Ricerca Gse-Ires-Associazioni Consumatori di Edoardo Borriello Nei Paesi industrializzati il problema energetico ha ormai assunto un ruolo di primo piano a tutti i livelli decisionali e operativi, visto il notevole incremento dei consumi, le sempre maggiori difficoltà di approvvigionamento di gas e petrolio e il conseguente forte rialzo dei prezzi di questi prodotti sui mercati internazionali. In Italia, Paese con un’alta dipendenza dall'import energetico, si è assistito negli ultimi anni ad un profondo mutamento dell'atteggiamento dei cittadini e degli utenti in genere nei confronti di questo problema. Oggi i consumatori italiani chiedono energia a basso costo e certezza nelle forniture. Ma puntano anche sul risparmio energetico e mostrano una elevata sensibilità verso l'ambiente, che si traduce in un accresciuto interesse per le fonti rinnovabili pulite. L'atteggiamento e il comportamento delle famiglie italiane verso le fonti rinnovabili e il risparmio energetico sono stati al centro di un'indagine che il Gestore dei Servizi Elettrici ha condotto, attraverso l'istituto di ricerche economiche Ires e in collaborazione con le associazioni dei consumatori, su un campione di mille persone rappresentative delle caratteristiche demografiche basilari della popolazione italiana. Il risultato della ricerca è stato sorprendente: agli italiani piace l'energia pulita e vorrebbero utilizzarne di più. Oltre la metà degli intervistati ritiene infatti "importante" l'uso delle fonti rinnovabili, ma al tempo stesso lamenta un costo eccessivo che finisce per scoraggiare gli investimenti. Solo il 12 % degli intervistati si dice disinteressato al tema dell'energia pulita, mentre il 41% ritiene sia molto importante ridurre i consumi energetici. Più di 3 intervistati su 4 dichiarano di adottare misure volte al risparmio energetico. Questi comportamenti di risparmio sono più diffusi fra le donne, fra le persone adulte dai 35 ai 54 anni, fra coloro che dispongono di un più elevato titolo di studio (81% dei laureati e 77% dei diplomati) e tra chi ha un maggior reddito.

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Elementi 12

Oltre il 70% degli intervistati ha dichiarato di adottare, tra le misure di risparmio energetico, semplici accorgimenti quali l’attenzione a spegnere le luci laddove non necessarie e l’uso di lampade a basso consumo, il cui prezzo è notevolmente sceso. Inoltre, 6 intervistati su 10 utilizzano elettrodomestici a basso consumo e solo nelle fasce orarie serali. Chi pratica il risparmio energetico vede il suo impegno nell'ottica di obiettivi di lungo periodo e di interesse collettivo,

Favore verso le diverse fonti energetiche energia solare 95 energia idroelettrica 91 energia eolica 85 gas 78 petrolio 60 energia nucleare 58 carbone 61 0

10

20

30

favorevole contrari non so

40

50

60

70

80

90

100


no l’energia ancora troppo quali la riduzione della dipendenza dell'Italia dalle importazioni di petrolio e gas (8 su 10), la riduzione dei consumi di energia (79%) e il contenimento del riscaldamento globale (76%). In genere i consumatori italiani si mostrano abbastanza informati sui temi energetici, anche se emergono aspetti su cui agire a livello di "policy" per migliorare la diffusione delle conoscenze tecnologiche, favorendo effettive misure di risparmio a livello individuale. Ad esempio, le fonti rinnovabili più conosciute da otto intervistati su dieci sono risultate il solare termico, l’eolico e l’idroelettrico. Percentuale che scende a meno del 70% per il solare fotovoltaico, i biocarburanti, la geotermia. L'analisi delle fonti d’informazione da cui gli intervistati hanno sentito parlare di tali tematiche, conferma l'elevata esposizione mediatica cui la popolazione è attualmente sottoposta su questi argomenti. Principalmente i consumatori sono informati in materia energetica dalla televisione (più del 30%) e dalla carta stampata, cioè giornali e riviste (più del 20%). È interessante notare che nel 10 %dei casi anche le informazioni di questo tipo sono veicolate attraverso passaparola di familiari o amici. Buono il livello informativo dei consumatori sulle opportunità di finanziamento e incentivi per l'acquisto di dispositivi per il risparmio energetico (76%) e per l'installazione di impianti fotovoltaici presso la propria abitazione (69 %), nonché in merito alla liberalizzazione del mercato energetico (68 %). Quanto alla disponibilità a investire nelle fonti energetiche alternative, i consumatori sembrano apprezzare differentemente le varie fonti. Più dell'80% si dichiara favorevole alle energie rinnovabili, quali il solare, l'eolico e l'idroelettrico. Tale percentuale scende al 30% circa per tutte le fonti tradizionali, quali il petrolio, il carbone e il nucleare. I sostenitori delle fonti tradizionali mostrano un atteggiamento di delega nei confronti sia degli enti di governo, sia degli operatori economici del settore, quali

L’importanza attribuita alla questione energetica molto 51,2 abbastanza 35,9 poco 12,4 0

10

20

30

40

50

60

la riduzione dei consumi energetici molto 41,5 abbastanza 35,2 poco 22,4 0

5

10

15

20

25

30

35

40

45

le aziende di produzione e distribuzione energetica. I sostenitori delle fonti rinnovabili hanno, invece, un orientamento più attivo rispetto alla tematica energetica e ripongono particolare fiducia nell'associazionismo auto-organizzativo di matrice ambientalistica e della società civile. Il diffuso apprezzamento per le fonti rinnovabili si manifesta anche nella disponibilità a supportare l'uso delle energie alternative. Infatti più del 50% degli intervistati si dichiara favorevole a pagare qualcosa in più sulla bolletta pur di essere rifornito con energia "verde".

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comunicazione aziendale

La frontiera dell’idrogeno Da Giulio Verne ad oggi l’idrogeno è il sogno dell’uomo per un’energia senza emissioni. Enel, nell’ambito del suo progetto Ambiente e Innovazione da 4,1 miliardi di euro di investimenti, ha lanciato un programma di ricerca e dimostrazione sull’idrogeno. Il programma si muove su più fronti: si punta da una parte ad acquisire know-how sulla produzione e l’impiego di idrogeno in impianti di generazione di potenza, dall’altra a sperimentare soluzioni per la generazione distribuita ad alta efficienza. L’hidrogen park Un’interessante opportunità per realizzare un impianto dimostrativo di generazione di energia elettrica da idrogeno è presente a Venezia, nel polo chimico di Marghera, dove una quantità importante di idrogeno è già disponibile come sottoprodotto di processi industriali. In questo contesto nel 2003 fu fondato, con il contributo di Enel, Hydrogen Park, un consorzio che guiderà la nascita e l’espansione del più grande parco sperimentale in Italia per la creazione di una economia in piena scala basata sull’idrogeno. Enel ha deciso di realizzare nel sito di Fusina (VE), dove è già presente un impianto di generazione a carbone, un impianto dimostrativo di media taglia alimentato a idrogeno per la produzione di energia elettrica. L’impianto sperimentale da 12 MW sarà alimentato a idrogeno e integrato con l’esistente centrale a carbone. Enel verificherà sul campo nuovi possibili impieghi per quello che potrebbe diventare il combustibile del futuro. Saranno abbinati idrogeno e metano per realizzare un distributore che potrà alimentare i vaporetti di Venezia e gli autobus delle nostre città. Sull’uso dell’idrogeno per autotrazione la Società sta lavorando in collaborazione con FIAT e il CNR. Enel sta inoltre sperimentando sistemi trigenerativi con celle a combustibile, che utilizzano l’idrogeno per produrre non solo elettricità in modo pulito e silenzioso, ma anche sistemi innovativi di condizionamento estivo e invernale. Si potrà così raggiungere un’efficienza energetica elevatissima. Nei paesi industrializzati, l’economia dell’idrogeno sta infatti diventando l’obiettivo verso cui puntare lo sviluppo tecnologico nel settore energetico per il miglioramento della qualità della vita dei cittadini, per minimizzare la dipendenza dai combustibili fossili e ridurre le emissioni di sostanze responsabili dell’inquinamento e dei cambiamenti climatici. In questo contesto, Enel vuole avere un ruolo da protagonista e ha deciso di fare ricerca su tutta la catena del prodotto, produzione, utilizzo e stoccaggio, e raggiungere così in tempi brevi un utilizzo economicamente sostenibile.

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La centrale di Fusina Così, nel 2009, Fusina sarà al centro della più importante sperimentazione italiana nel campo dell’idrogeno, con l’avvio della più grande centrale a idrogeno del mondo. Con un investimento di 40 milioni di euro, Enel realizzerà un impianto che avrà un’alimentazione al 100% a idrogeno; una potenza installata di 12 MW elettrici; zero emissioni di CO2 e integrazione con i gruppi a carbone. Un impianto ad alto rendimento, che produrrà energia elettrica pari al consumo medio annuo di 20.000 famiglie. Insomma, Fusina rappresenterà il polo di sviluppo dei progetti Enel per la produzione e l’utilizzo di idrogeno attraverso lo sviluppo di cicli “zero emission” a combustione di idrogeno, con elevata efficienza di conversione e alta compatibilità ambientale. E già nel 2008, grazie ad un accordo stretto con Vesta, Enel punta a raddoppiare il quantitativo di combustibile da rifiuti utilizzato nell’impianto di Fusina, passando dalle attuali 35.000 tonnellate annue a 70.000, pari ai rifiuti prodotti da 300.000 persone. Ma, anche l’anno che si sta per chiudere, per la centrale di Fusina è stato un anno importante, con l’entrata in servizio nel maggio scorso dei sistemi di ambientalizzazione dei gruppi di produzione n.1 e n.2. E proprio l’entrata in funzione dei desolforatori (per ridurre le emissioni di ossidi di zolfo) e dei denitrificatori (per ridurre le emissioni di ossidi di azoto) dei gruppi 1 e 2 e l’installazione del nuovo sistema di monitoraggio in continuo delle emissioni delle sezioni 3 e 4, hanno completato gli interventi di ambientalizzazione, avviati alcuni anni fa, per un investimento complessivo di oltre 800 milioni di euro, che hanno consentito di abbattere drasticamente le emissioni prodotte, rendendo l’impianto della zona industriale di Marghera definitivamente uno dei fiori all’occhiello del parco di generazione italiano.



mondo energetico L’obiettivo è duplice: ridurre gli oneri di sbilanciamento con un risparmio in bolletta per i consumatori e avere una programmazione efficace per un uso migliore dell’intero sistema elettrico in termini di produzione e di trasmissione

Dal GSE vantaggi per la collettività L’attività della Sala trading

di Luca Speziale In attività da alcuni mesi, la Sala trading, ha come obiettivo principale quello di ottimizzare le offerte Cip6 che, grazie ad importanti strumenti, possono ridurre sensibilmente gli oneri di sbilanciamento a carico degli utenti finali. Duecento giorni di vita circa, un’attività articolata su quattro blocchi principali, cento unità Cip6 collegate, due sessioni di mercato giornaliere ed almeno una sessione al mese di riconciliazione di energia, conoscenza a 360° degli impianti, tre letture dei contatori al giorno, due categorie di impianti da monitorare (programmabili e non programmabili), operatività per 365 giorni all’anno con due semiturni giornalieri, sei operatori in totale. Sono questi alcuni dei numeri della nuova Sala Trading, ultima “creatura” del GSE, dotata di una tecnologia all’avanguardia al fine di ridurre gli oneri di sbilanciamento e portare un risparmio in bolletta per i consumatori. Le attività della Sala sono suddivise in quattro settori distinti: programmazione della produzione degli impianti Cip6, vendita in borsa dell’energia, gestione del contratto di dispacciamento e, infine, settlement per la fatturazione delle partite energetiche. Uno degli strumenti principali, grazie al quale si può garantire l’ottimizzazione delle offerte Cip6, è senza dubbio l’attività di metering, tramite la quale sono monitorati gli impianti Cip6 ed acquisiti i dati forniti dalle teleletture dei contatori (che avvengono tre volte al giorno, alle 6.00, alle 12.00 e alle 16.00) sia degli impianti programmabili (per i quali è possibile modulare/programmare la produzione) che per quelli non programmabili.

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Attualmente il GSE opera sul Mercato del Giorno Prima (MGP) e, dal 1° luglio 2007, anche su quello di aggiustamento (MA). L’attività di programmazione, che avviene giornalmente, permette all’operatore di preparare le offerte anticipatamente alla data di scadenza del MGP ed intervenire sul MA fra le ore 11.00 e le 14.00 per aggiustare le offerte del giorno successivo. In sintesi, modificando la programmazione si mitigano le situazioni di sbilanciamento che portano ad una riduzione dell’onere dello stesso. I “cruscotti di monitoraggio delle unità di produzione” sono uno dei sistemi della Sala con cui si mettono a confronto gli andamenti delle offerte presentate con le misure acquisite dai contatori degli impianti. I dati sono visibili all’interno di un grafico che riporta la produttività di un struttura per verificare la corrispondenza di quanto programmato. Nel momento in cui venissero segnalati scostamenti, gli operatori specializzati possono intervenire, ove necessario, per ridurre le differenze e quindi diminuire i casi in cui, per ragioni diverse, la programmazione non può essere rispettata. Gli operatori, infatti, sono in grado di monitorare ogni impianto a 360°, grazie alla possibilità di accedere “all’anagrafica” dello stabilimento, una vera e propria carta d’identità con cui possono essere elaborati molti dati utili. Dallo schema dell’impianto, all’utilizzo delle immagini satellitari, dall’attività di produzione oraria, allo storico della stessa. Inoltre, in questa fase, molto utili risultano i dati meteorologici, che possono influenzare gli impianti

che sono sensibili ai mutamenti delle condizioni climatiche. Quali sono i vantaggi? L’operatività sul MA porta un duplice beneficio, di tipo economico e tecnico, sia per la collettività sia per il sistema elettrico. Nel primo caso ridurre gli sbilanciamenti porta ad una diminuzione degli oneri della componente A3 presente in bolletta e di conseguenza un abbassamento dei costi della stessa. Nel secondo caso, una programmazione efficace permette un uso più efficiente dell’intero sistema elettrico, sia in termini di produzione sia di trasmissione. Infine, c’è l’attività di settlement per la fatturazione delle partite energetiche, che viene ripartita verso il GME per energia venduta, verso TERNA per gli sbilanciamenti e verso i produttori per le unità Cip6 miste, ai sensi della delibera AEEG 112/06. In conclusione, se per gli impianti programmabili, come già detto, il vantaggio determinato dal monitoraggio della produzione per ridurre gli oneri di sbilanciamento a carico dell’utente finale è tangibile, ben diversa è la situazione per quelli non programmabili. Infatti per questi l’attività di monitoraggio, attuata con appropriati sistemi, serve a far sì che anche la loro attività diventi nel tempo sempre più “programmabile”, aumentando così i benefici ed i vantaggi all’interno del settore elettrico e aprendo interessanti scenari futuri.

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mondo energetico

Mercato domestico: GRAZIE ALL’AU PIÙ FACILE PREVEDERE IL PREZZO DI CESSIONE DELL’ ENERGIA ELETTRICA

Lo permette la nuova procedura di valutazione del rischio associato al portafoglio energia sviluppata dall’Acquirente Unico di Marco Primavera La liberalizzazione del mercato elettrico e la crescente competizione tra gli operatori ha comportato una consistente esposizione a rischi di diversa natura derivanti sia da variazioni inattese dei fattori di mercato quali la volatilità del prezzo dell’energia e delle commodities di riferimento sia dall’inefficienza ed inadeguatezza degli strumenti operativi. Nello svolgimento del proprio ruolo di fornitore dei clienti del mercato vincolato (dal 1° luglio mercato tutelato) AU ha avuto interesse a dotarsi degli strumenti tecnico/analitici che riducano l’esposizione a tali rischi. In particolare il dotarsi di tali strumenti consente, ad AU, una migliore previsione dell’andamento del prezzo di cessione applicato alle imprese distributrici, e alle imprese distributrici, stesse di stimare con migliore accuratezza l’andamento dei propri costi. Se è vero infatti che, fino

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ad oggi, l’impresa di distribuzione vede reintegrate con la perequazione di fine anno eventuali differenze tra costi e ricavi, la differenza tra prezzo di cessione pagato ad AU e tariffa ricavata dai clienti finali può generare, nel corso dell’anno, squilibri finanziari che possono essere minimizzati laddove chi formula il prezzo al cliente finale disponga di uno strumento in grado di prevedere il costo del proprio portafoglio e quindi l’andamento del prezzo di cessione. È bene sottolineare inoltre che, essendo AU ad oggi il maggiore intermediario per energia transata, il suo prezzo di acquisto dell’energia (corrispondente al prezzo applicato ai distributori) rappresenta, per il mercato elettrico, un indicatore di riferimento, la cui previsione facilita le strategie di prezzo degli operatori del mercato libero.


AEEG 05/04

Portafoglio AU

Variabili previsionabili Fabbisogno PUN BRENT Cambio €/$ BTZ STZ Arabian light Iranian light

Costo energia Importazioni annuali Importazioni contratti pluriennali Sbilanciamento Import Bilaterali fisici (offerta Enel +Energia) Contratti bilaterali Extramaglia Acquisti in borsa Componente CCT Certificati verdi Garanzia per capacità di trasporto Corr. GME AEEG 34/05

CFD Carbone CFD Gas 1 CFD Olio CFD Gas 2 CFD Baseload CFD Baseload VPP CFD On Peak VPP CFD Off Peak VPP Altre coperture finanziarie CFD CIP6 Sopravvivenze

Costo servizi Costo/Ricavo da gestione UP Corr. Sbilanciamento (Quota MGP) Corr. Sbilanciamento (Quota onere) Corr. non arbitraggio Corr. approvv. risorse dispacciamento

Corr. unità assenziali a sicurezza Corr. costi GSE Corr. Remunerazione capacità Corr. Remunerazione interrompibilità Corr. aggregazione servizio di misure

PC

OD

DP

Prezzo di cessione

INT

CD

Costo AU Costo funzionamento AU fonte AU

Modellizzazione del Portafoglio acquisti L’implementazione del Portafoglio acquisti è stata possibile realizzando, su un software di simulazione dinamica, un modello in grado di acquisire tutti i dati gestionali riguardanti i contratti di acquisto presenti nei Data Base aziendali e classificare le voci di costo di cui si compone il portafoglio. Una volta implementato il modello e classificate le voci di costo è stato possibile distinguere tra le variabili caratterizzate da aleatorietà, da monitorare attraverso opportune politiche di contenimento dei rischi, e quelle deterministiche. L’aleatorietà implicita nel Portafoglio è legata ai dati previsionali che impattano su esso. Si tratta di grandezze che hanno un andamento variabile nel tempo non prevedibile deterministicamente: sono pertanto modellizzate statisticamente fissando per ognuna un valore medio atteso ed una deviazione standard. Queste variabili sono: fabbisogno del mercato vincolato, prezzo unico nazionale (prezzo di Borsa), cambio €/$, brent e altri indici correlati al brent quali STZ, BTZ, Arabian Light, Iranian Light a cui sono indicizzati alcuni contratti di copertura stipulati da AU. Nelle voci di costo calcolate su variabili aleatorie risiede un grado di incertezza che si ripercuote sul portafoglio, costringendo ad una sistematica analisi di tutti gli scenari possibili per avere precise indicazioni sulle azioni migliori da intraprendere. Ipotizzandone un certo comportamento, le variabili aleatorie sono utilizzate per valutare gli andamenti del prezzo di cessione e agire sulla composizione del portafoglio, al fine di contenere il prezzo dell’energia elettrica entro valori desiderati sia in termini di valore medio sia di volatilità attesa.

Tale modello permette dunque di valutare non solo lo stato attuale dei prezzi, ma anche la probabilità associata diversi scenari di prezzo. Per calcolare la probabilità di un certo evento si è scelto il metodo statistico non parametrico denominato Montecarlo, utilizzato per trarre stime attraverso simulazioni. La simulazione Montecarlo relaziona una serie di realizzazioni possibili del fenomeno in esame (prezzo di cessione), con il peso proprio della probabilità di tale evenienza, esplorando tutto lo spazio dei parametri del fenomeno (variabili previsionali). Calcolato questo campione rappresentativo, la simulazione esegue misure delle grandezze di interesse su tale campione. Il prezzo di cessione può essere simulato quotidianamente, essendo disponibili ogni giorno le curve forward delle grandezze previsionali, tenendo conto anche dei valori a consuntivo e quindi con deviazione standard pari a zero. Una volta simulato il prezzo di cessione e calcolata la sua deviazione standard è possibile stabilire, in corrispondenza di diversi livelli di probabilità, qual è il valore del prezzo che è ragionevole attendersi. Conclusioni La modellizzazione del Portafoglio acquisti e il calcolo del prezzo di cessione forniscono importanti indicazioni di carattere gestionale a supporto delle azioni decisionali di AU. Le simulazioni dei diversi scenari prezzi/quantità permettono di valutare la fattibilità di eventuali modifiche di composizione del portafoglio e di misurarne l’impatto. In questo modo si possono fornire al management di AU indicazioni quantitative e offrire all’AEEG, con minor margine di incertezza, informazioni utili per l’aggiornamento tariffario.

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energia alternativa

Il cuore caldo della Terra

SPECIALE GEOTERMIA

L’energia geotermica in Europa sta raggiungendo tutti gli obiettivi prefissati. Con limitate chance di ulteriore sviluppo per la produzione elettrica – ove l’Italia gioca un ruolo nettamente dominante – ma con ottime possibilità per gli usi a bassa entalpia. Un settore, quest’ultimo, che sta conoscendo un forte sviluppo ovunque, ad eccezione del nostro Paese

di Valter Cirillo

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L’energia geotermica è costituita dal calore endogeno della Terra, che nelle zone più profonde raggiunge migliaia di gradi centigradi (°C). Esso trae origine dal residuo calore primitivo del pianeta e dalle reazioni nucleari legate al decadimento radioattivo di alcune sostanze naturali (uranio, torio, potassio eccetera). È considerata rinnovabile in quanto inesauribile su scala umana. La Terra è un immenso serbatoio di calore: si calcola che l'energia termica contenuta entro i primi 5 km della crosta terrestre equivalga a quasi 500.000 volte gli attuali fabbisogni energetici mondiali. Si tratta però di energia fortemente dispersa e solo raramente recuperabile: la potenza media alla superficie è di appena 0,063 watt/mq, cioè circa 20.000


volte inferiore a quella al suolo dell'energia solare (1.350 watt/mq). Per contro ha la caratteristica di essere costante nel tempo, priva di fluttuazioni meteorologiche diurne o stagionali e, cosa che più interessa dal punto di vista economico, può concentrarsi in zone caratterizzate da anomalie termiche raggiungendo livelli di temperatura industrialmente sfruttabili. Recentemente il Consiglio Europeo dell’Energia Geotermica (EGEC) ha adottato una definizione dell’energia geotermica che non fa riferimento al calore endogeno della Terra, ma la considera “una fonte di energia rinnovabile, stoccata sotto forma di calore sotto la superficie solida del suolo”. Questa definizione consente di considerare “geotermiche” alcune

tecnologie per la produzione di calore a bassa temperatura, che utilizzano scambiatori posti orizzontalmente a profondità di circa un metro. In tal caso il calore recuperabile non è quello geotermico (che affluisce in superficie con un gradiente medio di circa 3°C ogni 100 metri, ed è praticamente irrilevante ad un metro da suolo), bensì quello dovuto ai raggi del Sole. Le tecnologie geotermiche La temperatura dei fluidi e la tipologia dei giacimenti sono i due elementi che determinano diverse applicazioni del calore geotermico. Nelle zone vulcaniche e ai confini delle placche tettoniche – a profondità comprese tra 500 e 1.500 metri - si

possono trovare giacimenti ad alta entalpia (con temperature dei fluidi superiori ai 150 °C) da cui è possibile trarre vapore da indirizzare direttamente in turbina per la produzione elettrica. Nelle stesse zone vulcaniche possono trovarsi giacimenti meno caldi, a media entalpia, con temperature comprese tra i 90 e i 150 °C. In tal caso la produzione elettrica può essere effettuata grazie a centrali a ciclo binario, ove il calore prelevato dal sottosuolo viene trasmesso ad un fluido di lavoro (ad esempio ammoniaca) che vaporizza a temperature inferiori e rende quindi disponibile il vapore per le turbine. Vi sono, infine, giacimenti a bassa entalpia, composti da fluidi geotermici o risorse acquifere con temperature comprese tra i 50 e i 90 °C. In tal caso gli utilizzi sono prettamente termici: riscaldamento di abitazioni, di piscine e serre, di acqua per usi industriali, usi termali eccetera. Anche il calore geotermico a bassissima entalpia, rilevabile in falde freatiche fino a circa 100 metri dalla superficie, può essere utilizzato per il riscaldamento e la climatizzazione. In tal caso si utilizzano direttamente le acque calde (in genere sui 30 °C) oppure apposite “pompe a calore geotermico”, con scambiatori di calore che possono essere verticali (sonde che scendono fino a 200-300 metri) o orizzontali, con gli scambiatori interrati ad alcune decine di centimetri sotto il suolo. Da sottolineare che gli usi geotermoelettrici sono spesso abbinati alla produzione di calore in cogenerazione. Infine, una nuova tecnologia prevede lo sfruttamento della temperatura di rocce calde secche reperibili ad oltre 3.000 metri di profondità, tramite l’iniezione di acqua in pressione, da cui trarre fluidi con temperature superiori ai 200 °C. L’energia geotermoelettrica nel mondo Secondo i dati dell’ultima Conferenza Europea sulla Geotermia (EGC-2007) a fine 2007 saranno installati nel mondo 9.737 MW elettrici (+804,3 MW rispetto a fine 2005). Gli Stati Uniti sono il Paese con la maggiore potenza geotermica installata (2.687 MWc) , seguiti dalle Filippine (1.969 MWc) e dall’Indonesia (992 MWc), che negli ultimi due anni ha installato quasi 200 nuovi MW, sorpassando il Messico, ove la capacità è restata stabile a 953 MW.

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L’Italia è quinta nella graduatoria mondiale, con 810 MW previsti a fine 2007. Seguono, a distanza, il Giappone (535 MW), la Nuova Zelanda (471 MW), l’Islanda (421 MW). Nell’Unione Europea a fine 2007 è attesa una potenza complessiva di 863 MW, quasi tutta a carico delle due grandi aree geotermiche italiane di LarderelloTravale-Radicondoli e di Monte Amiata. Va sottolineato che – a causa di impianti ancora in costruzione, ma soprattutto di fuori servizio per manutenzione e ripotenziamenti – la potenza installata non corrisponde a quella effettivamente in esercizio. Negli USA, ad esempio, rispetto ai 2.687 MW installati a fine 2007 non più di 1.935 saranno in esercizio; parimenti in Italia rispetto a 810 MW di potenza, quelli in esercizio sono 711. Per quanto concerne il nostro Paese, l’ultimo incremento di potenza è del 2005 (+20,5 MW), grazie a due nuove unità per complessivi 60 MW. La produzione elettrica, secondo Terna, è stimata in circa 5.500 milioni di kWh/anno fino al 2010, quando dovrebbero entrare in servizio ulteriori 100 MW circa. Entro il 2010 i principali sviluppi sono attesi in Francia (36,5 MW), in Portogallo (35 MW) e in Germania (8,4 MW).

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Produzione di calore in Europa Le applicazioni geotermiche legate all’uso diretto del calore sono quelle più sviluppate nella UE. 18 Paesi su 27 utilizzano in tal senso risorse a media o bassa entalpia per un totale (escluse le pompe a calore geotermiche) di 2.490 MWt (megawatt termici) installati, con una produzione energetica di 793 mila tonnellate equivalenti di petrolio. Va detto che le statistiche sugli usi diretti del calore geotermico sono difficili da effettuare, sia per la mancanza di una metodologia comune di calcolo, sia perché sono innumerevoli le applicazioni non contabilizzate (quasi tutte quelle termali, ma anche gran parte delle serre e della climatizzazione di edifici isolati). Ad esempio gli usi termici in Ungheria – il Paese ove la tecnologia è maggiormente sviluppata - si ritiene siano ampiamente sottovalutati dalle statistiche ufficiali (725 MWt). Lo stesso, seppur in modo minore, per l’Italia, che è al secondo posto nella graduatoria dell’Unione (circa 500 MWt), seguita dalla Francia (307 MWt). Le prospettive di sviluppo degli usi diretti geotermici a media e bassa entalpia sono ottime in molti Paesi. In particolare in Francia, ove si punta a triplicare gli usi attuali entro il 2015, anche grazie a forme di incentivi basati sulle “tonnellate di CO2 evitate”: gli incentivi statali ammontano a 400 €/t di CO2 evitata, cui possono aggiungersi ulteriori sovvenzioni

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regionali (l’Ile-de-France, ad esempio, prevede sovvenzioni aggiuntive variabili da 150 a 300 €/t di CO2 evitata, in relazione alla taglia del progetto). Le applicazioni a bassissima entalpia L’utilizzo delle pompe a calore geotermico sono in rapida diffusione in molti Paesi europei. È tuttavia difficilissimo contabilizzarle, sia perché alcuni (Paesi Bassi, Belgio) non le differenziano dalle pompe di calore ad aria, sia perché la maggior parte dei Paesi non dispone di statistiche affidabili in tal senso. Controversa è anche la loro catalogazione: si passa infatti da pompe di pochi kWt a pompe di centinaia di kWt, destinate al riscaldamento di una singola abitazione o di complessi edilizi, che prelevano il calore dal suolo o da falde freatiche, con scambiatori di calore orizzontali o verticali eccetera. L’Unione Europea è comunque l’area di maggiore diffusione di questa tecnologia nel mondo. Secondo valutazioni di EurObserv’ER, a fine 2006 erano installate circa 600.000 pompe a calore geotermico nella UE, per una potenza di circa 7.300 MWt. In tale anno il mercato ha per la prima volta superato le 100.000 pompe vendute. La Svezia è il Paese con il maggior numero di installazioni (oltre 40.000 a fine 2006), seguita da Germania (28.600 unità), Francia (20.000), Austria (7.235) e Finlandia (4.500). L’Italia brilla per la sua pressoché totale assenza in questo settore, in forte espansione altresì in Germania, Francia, Austria, nei Paesi Baltici e Svizzera. Un settore che registra costanti innovazioni tecnologiche e conta al momento circa 25.000 addetti. Gli obiettivi raggiunti In conclusione, a livello europeo, il settore geotermico è allineato con gli obiettivi posti dalla Commissione Europea (Sustainable Energy Europe 2005-2008). Per il geotermoelettrico è prevista una potenza installata di 990 MW al 2010. Il che vuol dire che sono stati sostanzialmente raggiunti anche gli obiettivi posti dal Libro Bianco sulle fonti rinnovabili, che prevedeva una potenza di 1.000 MW a quella data. Per la produzione di calore (tutti gli usi) le prospettive sono invece più che positive. Si ritiene infatti che la potenza installata (9.565 MWt a fine 2006) superi i 17.500 MWt nel 2010, cioè oltre il triplo dei 5.000 MWt previsti dal Libro Bianco per tale data.


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Fondata nel 1987, APER è l’associazione che riunisce a rappresenta i produttori di energia elettrica da fonti rinnovabili, tutelandone gli interessi a livello nazionale e internazionale. Un’attività che si traduce da una parte con l’assistenza e il supporto tecnico e normativo necessario alla realizzazione e gestione degli impianti e alla commercializzazione dell’energia elettrica prodotta, e dall’altra in azioni di promozione mirate a favorire la formazione e la diffusione di una cultura della sostenibilità ambientale e delle Fonti Rinnovabili, attraverso l’organizzazione di un fitto calendario di corsi, convegni e fiere. Attualmente APER conta più di 350 associati, oltre 400 impianti per un totale di circa 2000 MW di potenza elettrica installata che utilizza il soffio del vento, la forza dell’acqua, i raggi del sole e la vitalità della natura per produrre 6 miliardi di KWh all’anno a cui corrisponde una riduzione di emissioni di CO2 di oltre 5 milioni di tonnellate annue.

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lavoro INTERVISTA A ANTONIO MARZANO Presidente Cnel

Stimolare la competitivitĂ nelle aziende e dare certezze e fiducia ai lavoratori

Antonio Marzano

di Giusi Miccoli


La contrattazione decentrata e aziendale, valorizzata, dà più competitività alle imprese e migliora la redditività dei dipendenti. Flessibilità sì, ma contrastando l’incertezza che la stessa produce nei lavoratori. Servono strumenti per agevolare l’inserimento lavorativo delle donne e per sostenere la lavoratrice madre. Energia: la liberalizzazione è incompiuta, c’è bisogno di favorire una domanda elastica, di riflettere sulle fonti alternative, sul clean coal e sul nucleare. Oltre a limitare il potere di veto degli enti locali e incrementare il risparmio energetico. In Europa occorrono un’Autorità e una Borsa energetica. E: Presidente quale sarà il ruolo futuro del Cnel? Oltre a prevedere i fenomeni legati all’economia e al lavoro e fornire a Parlamento e Governo indicazioni utili, può affermarsi come luogo di confronto, analisi e discussione sui diritti dei lavoratori? AM: Il Cnel è, per volontà dei padri Costituenti, il luogo in cui quotidianamente s’incontrano capitale e lavoro. Il futuro del Cnel è già scritto nella sua origine, nella Costituzione dove nel primo articolo si afferma che l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro. Naturalmente il Cnel deve attrezzarsi per rispondere sempre meglio ai compiti che gli sono attribuiti. In particolare, deve essere in grado di prevedere i fenomeni economico-sociali che investiranno la comunità. E: Come cambia il lavoro in seguito all’affermarsi di nuovi fattori economici e sociali? Quale è la sua trasformazione strutturale? AM: Abbiamo avviato con le Presidenze di Senato e Camera una inchiesta sulle trasformazioni del lavoro nel nostro Paese. Sarà anche un’occasione per leggere i fenomeni di trasformazione dell’apparato produttivo e dei servizi che hanno accompagnato la crescita italiana. Oggi la globalizzazione, l’Unione Europea, la competitività, l’irruzione sui mercati di Paesi ritenuti solo qualche anno fa in via di sviluppo, determinano cambiamenti strutturali ed inevitabili. Contemporaneamente è altrettanto ovvio che alcune forme di occupazione sono cambiate, come sono cambiate le figure professionali e la tecnologia.

“Le ore sono fatte per l’uomo, e non l’uomo per le ore” Rabelais, da “Gargantua e Pantagruel”

Noi dobbiamo rispondere alle sfide sullo sviluppo, sull’occupazione, sui diritti dei lavoratori. Se vuole un esempio concreto, penso ad una valorizzazione della contrattazione decentrata e aziendale, per rendere l’impresa sempre più competitiva, a vantaggio anche del reddito dei propri dipendenti, in un contesto nazionale di tutele contrattuali garantite ed esigibili per tutti. E: La strategia europea dell’occupazione, basata sulla centralità del lavoratore e sulla sua capacità di trovare lavoro, prevede maggiore orientamento, assistenza, formazione e sostegno al ricollocamento. È possibile sviluppare una politica orientata al welfare to work? AM: È di questi giorni la notizia che le rimesse degli emigrati superano, nel mondo, di tre volte gli aiuti che i Governi occidentali forniscono ai Paesi in via di sviluppo: è un caso tipico di welfare to work. Ma bisogna darsi carico di una politica di flex security, cioè di una politica che, pur assicurando i vantaggi della flessibilità del mercato del lavoro, contrasti l’incertezza che la stessa produce nei lavoratori. Sono un sostenitore del reddito minimo legato alla riforma degli ammortizzatori sociali. Inoltre, bisogna saper valorizzare il lavoro femminile, trovare strumenti adeguati sia per l’inserimento lavorativo sia per sostenere la madre-lavoratrice, ad esempio costruendo asili nido nei luoghi di lavoro. E: Si discute sempre più intensamente della necessità di pervenire ad un nuovo diritto del lavoro. Quale è il futuro della Legge Biagi? AM: Certamente ci sono questioni che si possono definire meglio, ma mi sembra che l’impianto generale della legge sia valido.

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E: Come Ministro delle Attività Produttive del precedente Governo ha avuto modo di operare sulla dinamica tra economia e mercato dell’energia. Quali sono a suo parere le vie per giungere a una vera ed efficace liberalizzazione del comparto? AM: Il miracolo italiano è anche il miracolo dell’energia. L’Italia, pur essendo priva di materie prime e in particolare di fonti energetiche, è un Paese che da agricolo è diventato tra i più grandi Paesi industrializzati. In sostanza, con la competitività del nostro sistema manifatturiero ci siamo pagati l’energia e le materie prime. Quando, nel 2001, assunsi l’incarico di Ministro delle Attività Produttive, sapevo che bisognava fare uno sforzo straordinario per rendere più competitivo il sistema Italia, soprattutto nel settore energetico. Fu così che misi subito mano alla legge di riforma dell’energia, approvata nell’estate del 2004, varai il cosiddetto decreto sblocca-centrali, autorizzai la costruzione di dodici rigassificatori, avviai la Borsa elettrica. Norme che permisero al Paese di aumentare la propria capacità d’approvvigionamento e produzione. Certo, c’è da fare ancora molto. A partire dall’Europa, dove considero necessario costituire un Authority e una Borsa energetica continentale. In Italia credo sia opportuna una serena riflessione sulle fonti alternative, sul clean coal e anche sul nucleare. Cosi come occorre un confronto con le amministrazioni locali e sul loro potere di veto. Qui bisogna essere disponibili ad uno scambio, prevedendo - ad esempio - sconti sulle bollette a chi mette a disposizione il territorio. E, infine occorre lavorare ad un piano di risparmio energetico, che consenta di ridurre la rigidità della domanda di energia. Pochi l’hanno osservato, ma una domanda elastica è fondamentale per una politica di liberalizzazione.

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energia del pensiero

Il comunicatore senza cultura fa guai

“Nessuna comunicazione è mai conclusa” Laura Peiretti

Domenico De Masi

UN CAFFÈ CON DOMENICO DE MASI Cultura importante per chi guida i gruppi nelle aziende. La sua mancanza, insieme a quella della sensibilità, crea solo deserti. Non crescono le persone e non si dà all’attività quella spinta necessaria al vero miglioramento. L’impresa è oggi l’organizzazione più centrata e centrante che esiste. La creatività? Non siamo più in grado di fecondarla. Anzi la scoraggiamo. Solo riappropriandosi del tempo l’uomo potrà riscoprire valori e principi che danno senso alla vita.

di Romolo Paradiso

Conobbi Domenico De Masi dieci anni fa, circa. Fu grazie a Piero Celli, allora direttore del personale Enel, società nella quale lavoravo, durante un convegno sul tema del lavoro e del cambiamento. I tempi erano quelli dell’avvio delle privatizzazioni e il settore elettrico ne era coinvolto in pieno. Positivamente da un lato, perché si andava incontro ad un cambiamento che avrebbe dovuto favorire la concorrenza tra gli operatori dell’energia e in ultimo la diminuzione del costo dell’elettricità per i cittadini. Condizione questa che, per chi come me operava nella comunicazione, avrebbe significato un mutamento di strategie di lavoro innovativo e stimolante. Negativamente, dall’altro, per il timore di ripercussioni sull’occupazione dei lavoratori del comparto, vissuti per decenni in regime di monopolio. Celli mi avvertì subito: “Guarda che De Masi ti impressionerà, perché sarà l’unico ad andare controcorrente. Forse, sarà l’unico veramente stimolante”.

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E: Ma è vera, nel senso che è una buona comunicazione? DDM: Dipende sempre dallo scopo che vuole raggiungere. Certo, c’è una comunicazione più sincera, meno commerciale, diciamo, e una più strettamente legata alla riuscita di un prodotto, alla sua vendita, al suo successo. Il problema è capire quanto, la comunicazione in genere, ha assunto i caratteri della comunicazione mercantile, cioè quanto questa ha influenzato quella comune. E: Non poco forse. DDM: Sì, l’influenza c’è. Sta poi al singolo capire i limiti che questa comporta e l’importanza di saper esprimere una diversa comunicazione per un vissuto personale di senso e qualità. E: Non le sembra che nelle aziende circoli una comunicazione poco “autentica”, intendo coraggiosa, capace di raccontare con verità cosa sta accadendo e come, così come ciò che vogliamo fare e come vogliamo farlo?

Non si sbagliava. De Masi sparigliò tutte le carte in tavola. Parlò dei manager, della buona leadership, delle donne che lavorano e di quelle che stanno a casa. E parlò soprattutto del tempo. Disse che un capo di stato, un primo ministro, e lo stesso un manager, che non sa dedicare attenzione e tempo alla sua famiglia, non può avere la sensibilità giusta per guidare un popolo. Che era arrivato il momento di riconoscere come primario, per il bene della comunità, il ruolo e il lavoro delle casalinghe, e per questo a loro andava corrisposto un giusto salario. E poi il tempo. Il tempo perduto, sciupato, stracciato per cose solo mercantilmente utili, andava invece riconquistato per dare un senso alla quotidianità, e, più ancora, alla persona.

DDM: Nelle aziende vige un’etica particolare. Intanto c’è una struttura formale che prevale su quella informale. Molte cose non possono essere dette, o devono essere dette in modo attenuato, oppure enfatizzato, a seconda della necessità del momento. L’impresa oggi è l’organizzazione più centrata e centrante che esiste. L’azienda non tende a far crescere le persone. Quindi la comunicazione che viene adoperata risente di questo e assume caratteri spesso lontani da quelli utili all’evoluzione del dipendente, non solo in senso lavorativo, ma anche personale e umano. Non ci si cura delle relazioni interpersonali. Se e come renderle migliori. Non si pensa all’importanza di creare, sviluppare o risvegliare la sensibilità delle persone, l’interesse per tutto ciò che può accrescere la cultura e la creatività dei singoli, da condividere poi in modo osmotico con la comunità societaria.

“Dare impulso e senso al lavoro di gruppo”

E: Professor De Masi, la pensa ancora così? DDM: Ancora. Su tutto quanto dissi allora. E: Secondo lei, che è uno dei massimi esperti in comunicazione, dove sta oggi la vera comunicazione? DDM: Credo sia diffusa ovunque. Sta in un pacchetto di sigarette, nell’involucro di una bottiglia di champagne, nella copertina di un libro, nello spot televisivo, nella scarpa di una donna, nella foggia dei suoi capelli. Ci gravita attorno. Sta un po’ dappertutto.

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E: Si parla tanto, nelle aziende, di fare squadra, anzi Piero Celli dice, più finemente, fare gruppo, in quanto nel gruppo nessuno è escluso, tutti, ognuno con le proprie qualità, i propri difetti e lacune, partecipano all’ideazione e realizzazione delle cose. Non crede che da noi manchi ancora una vera cultura del condividere i percorsi attraverso una sentita mutualità intellettuale e personale? DDM: Si assiste a una strana situazione. Da una parte l’impresa è obbligata a usare il lavoro d’insieme, il lavoro di gruppo. Dall’altra lo inibisce. Perché di solito non considera il gruppo, ma l’individuo. È questa una forte contraddizione. L’azienda non può fare a meno del lavoro d’insieme, ma nello stesso tempo vede il gruppo come una possibilità di resistenza,


di forza aggregata e aggregante. È un limite che si ripercuote sull’attività interna ed esterna della società. L’impresa vincente è quella che sa dare impulso e valore al lavoro di gruppo, consentendone il miglioramento, la crescita, il successo. Certo, quest’ultimo passa anche attraverso quello individuale, che va però condiviso, allargato agli altri e da questi assimilato e adoperato come spunto per aprire orizzonti di ulteriore arricchimento e sviluppo.

“Selezionare l’informazione, elaborare un percorso di conoscenza” E: Qual è, secondo lei, il profilo del comunicatore oggi?

E: I leader. Mi sembra che siano più proiettati a seguire un personale percorso di crescita, piuttosto che a favorire quello dei collaboratori, a stimolarlo, a trasferire loro esperienze. Parlo non solo di esperienze lavorative, ma anche umane o di tipo sociale, culturale, anch’esse fondamentali per dare senso e scopo al lavoro. Rischiando così di creare deserti d’anime intorno a loro. È d’accordo? DDM: La cultura che domina nelle aziende è quella economica. Alcune imprese, avendo dei leader più colti, che sanno guardare lontano, ci tengono a favorire anche una cultura in grado di arricchire i lavoratori. Arricchimento che si propaga all’azienda, alla sua attività. Le imprese, nella selezione del personale da dedicare alla guida di gruppi, dovrebbero essere sensibili a una scelta che consideri non solo la capacità individuale di “spremere” fatturato, ma anche il livello di cultura e umanità. È un peccato che ciò non avvenga, perché avere una visione più ampia della propria missione migliora tutto il ciclo lavorativo e i risultati economici della società. E: La creatività. Siamo ancora un popolo di creativi? DDM: L’Italia su 194 Paesi al mondo è tra i primi trenta nell’Ocse e tra i primi otto del G8 per livello di creatività. Questo dovrebbe dimostrare che siamo ancora un popolo di creativi. Uso il condizionale perché lo siamo in virtù del fatto che oggi sono creativi quei popoli nei quali affluiscono creativi da altre parti del mondo. Avveniva così anche nella Roma imperiale. E: Quindi si tratta di una creatività non “puramente” italiana? DDM: Certo. Noi, purtroppo, non siamo in grado di fecondare una nuova creatività. A volte la scoraggiamo, invece di alimentarla. Di conseguenza la nostra è una creatività un po’ statica, soprattutto con poco pensiero, povera di novità rilevanti, di vera avanguardia. E: Perché nelle aziende si tende a delegare la creatività all’esterno. Per fretta, per insicurezza, per incapacità? DDM: Perché le logiche interne alle aziende sono tali da scoraggiare i creativi. Non c’è, lo ripeto, la leadership colta e sensibile, capace di permettere la crescita delle persone attraverso l’insegnamento, la condivisione, l’esempio, il tempo. Ma poi, siccome non si può fare a meno della creatività, questa viene delegata all’esterno. Il massimo del paradosso.

DDM: Credo che più di tutto debba possedere una grande cultura. Solo la cultura permette di comprendere il significato dell’informazione e di trasmetterlo in modo autentico. Solo la cultura, e quindi la sensibilità, possono avviare il miglior processo di cambiamento di cui l’uomo ha bisogno. Un comunicatore senza cultura è meglio che stia zitto ed eviti di comunicare. Fa solo guai. E: C’è una bulimia dell’informazione, che non è conoscenza, anzi… DDM: La conoscenza deriva da altre cose. Dalla scuola, da percorsi di elaborazione e così via. L’informazione certo non corrisponde al sapere, se è questo che vogliamo intendere. Ma ne rappresenta un viatico importante. Sta a noi saper avviare un percorso di conoscenza attraverso la sensibilità, la disponibilità alla ricerca, alla riflessione, all’approfondimento. Non tutto ciò che l’informazione ci offre, e oggi ci offre tantissima mercanzia, può, o meglio, è degno, di diventare conoscenza. La forza della conoscenza sta anche in questa capacità di selezione e analisi. E: Il tempo. Con esso l’umanità ha sempre avuto un rapporto difficile. Almeno con quello che i greci chiamavano Kairòs, il tempo utile, perché della riflessione, della conoscenza, della scoperta della bellezza. Questo tempo noi lo abbiamo perso. Riconquistarlo significa forse ripercorrere un cammino donchisciottesco, emarginato e confinato dai più nella follia? DDM: C’è una grande voglia di riconquistare il tempo. Si è sparsa la voce che si vive una volta sola. Abbiamo la consapevolezza che non si può né uccidere, né sprecare il tempo. Esso è un bene prezioso che va sorseggiato, come si farebbe con un buon bicchiere di vino, gustandone tutte le caratteristiche, le sfumature, le potenzialità, le qualità. Molti manager sono capaci di stracciare il tempo, stressandosi con il loro sciocco presenzialismo, rinunciando alla famiglia, alla cultura, alla vita. Credo che ci sia un movimento mondiale di recupero del tempo, della lentezza, dell’intelligente parsimonia nell’usare il tempo. È un qualcosa che fa bene a tutti. All’uomo della strada, alla società civile, alla politica, alle aziende. E attraverso di esso riscoprire le cose più vere e importanti della vita. La natura, l’arte, la cultura, la meraviglia, la bellezza, la convivialità, l’amicizia autentica, il sentimento, la poesia, l’amore. È poco?

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La crisi energetica nel mondo e in Italia a cura di Carlo Bernardini

Petrolio e dopo? Contro le false tesi sulla fine dell’oro nero

e Giorgio Salvini Dedalo, 2007, pag. 240, euro 15,00

di Riccardo Varvelli Etas, 2007, pag. 198, euro 15,00

Enrico Fermi ed Edoardo Amaldi, con i loro studi di fisica, hanno dato origine a nuove opportunità in materia di risorse energetiche. Tra queste, quella nucleare. Ora, ragioni ambientali ed economiche, spingono ad una ricontestualizzazione del problema. Nel corso di un recente convegno, fisici italiani e stranieri hanno discusso su questo tema. Il volume, che ne raccoglie gli interventi, chiarisce i punti “critici” del nucleare, superando i pregiudizi “cristallizzati” nel tempo, e precisa lo stato della ricerca nei settori alternativi.

Per tutto il XX secolo gli allarmi sulla fine del petrolio si sono susseguiti con cadenza regolare. Negli ultimi tempi il tema è tornato di attualità, polarizzando le opinioni su due fronti. Da una parte coloro che prevedono un rapido esaurimento del petrolio – e quindi la necessità di iniziare subito a sostituirlo con fonti rinnovabili – e dall’altra coloro che ritengono che ci sia ancora tempo e che la transizione ad altre fonti sarà lenta e progressiva. L’autore, esperto del settore ed editorialista scientifico, è un sostenitore di questa seconda tesi secondo cui il petrolio basterà per tutto il XXI secolo e parte del XXII. Nel frattempo lo sostituirà il gas naturale, anche se un ruolo importante lo iniziano a svolgere le fonti rinnovabili.

“Così abbiamo guardato con ansia ognuno il silenzio dell’altro” Rainer Maria Rilke

I miei mari

La guerra nel team

di Folco Quilici Mondadori, 2007 , pag. 481, euro 20,00

di Patrick Lencioni Etas, 2007, pag. 190, euro 16,00

Una vita trascorsa tra i mari del mondo, a fotografare, riprendere e narrare storie di un ambiente meraviglioso, nel quale l’uomo si confronta con creature di ogni specie e con se stesso. Quilici racconta la sua grande passione per il mare con la solita prosa asciutta e incisiva e con lo sguardo indagatore di chi vuole scoprire, conoscere, studiare attraverso il mare anche l’uomo. Leggendo le pagine del libro, sembra di rivivere i bellissimi racconti di mare, che, quel grande narratore che fu Vittorio G. Rossi scriveva con la mano fluida e delicata di un poeta. Il libro è arricchito da un interessante dvd: cinquattotto minuti di immagini da vedere e rivedere, senza mai stancarsi di meravigliarsi e di sognare.

È un “romanzo” breve su uno dei temi più pressanti di ogni realtà organizzativa: il funzionamento dei gruppi di lavoro. La storia è quella di Kathryn Petersen, brillante manager chiamata a risolvere i problemi di un’impresa che – nonostante i talenti di cui è composto il team dirigenziale – non riesce a compiere il salto di qualità verso il successo. Quale la ragione di questa difficoltà? Che anche le persone più brillanti, se non sanno fare gioco di squadra, risultano più dannose che utili. L’autore attraverso la storia di Kathryn, presenta un metodo per riconoscerle e affrontarle, superando situazioni congelate e rendendo il gruppo coeso.

Biblioteca a cura di Mauro De Vincentiis

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HA UNA VASTISSIMA RETE DI CONNESSIONI CON UN SISTEMA ATTIVO 24 ORE AL GIORNO, COME INTERNET. MA NON È INTERNET.

TERNA NON È SOLO LA SOCIETÀ CHE POSSIEDE LA RETE AD ALTA TENSIONE E GESTISCE LA SICUREZZA DELL’INTERO SISTEMA ELETTRICO NAZIONALE. NON È SOLO UN GRANDE GRUPPO INDIPENDENTE, TRA I PIÙ GRANDI DELLA BORSA ITALIANA, CON PIÙ DI 40.000 KM DI LINEE E OLTRE 3.000 DIPENDENTI. NON È SOLO LA REALIZZAZIONE DI IMPORTANTI INVESTIMENTI NAZIONALI E INTERNAZIONALI E UNA SCELTA DI SVILUPPO BASATA SUL RISPETTO DELLE COMUNITÀ E DELL’AMBIENTE. TERNA È LA VOGLIA DI FAR CRESCERE UNA GRANDE AZIENDA E SERVIRE NEL MODO PIÙ PRODUTTIVO ED EFFICIENTE IL PAESE. QUESTO PERCHÉ, IN OGNI MOMENTO, TERNA TRASMETTE ENERGIA .

WWW.TERNA.IT


Filo di Nota a cura di Mauro De Vincentiis

L’arte di un leader

Fn Il management con Leopardi e Machiavelli

Per un manager comprendere la cultura e la storia del proprio Paese, o della organizzazione in cui lavora, può essere più importante che conoscere a fondo le tecniche di gestione o quelle operative e commerciali. Secondo alcune scuole di pensiero, oggi un manager si forma meglio con Seneca e Shakespeare, letti in poltrona, a casa. Il gesuita spagnolo Baltasar Gracián (1601-1658), autore di “Oracolo, manuale e arte di prudenza” (1647), apprezzato dagli executive americani, scrive: “La virtù non basta per difendersi dagli attacchi degli avversari, per ottenere il favore del volgo e dei potenti: occorrono prudenza, astuzia, ingegno”. E allora, con ingegno e con qualche lettura “classica”, si

può andare alla scoperta della migliore prudenza o della buona astuzia. Però, la scelta del libro non è facile. Si può cominciare con le “Operette morali” di Giacomo Leopardi o con i “Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio” di Machiavelli. Per letture mirate sugli stili di direzione, poi, c’è “La coscienza di Zeno” di Italo Svevo, “I Buddenbrook” di Thomas Mann e “Guerra e pace” di Lev Tolstoj. Certo non è facile educarsi al pensiero, essere sensibile al rapporto umano, senza appiattirsi sulle tecniche manageriali. È preferibile, dunque, valutare una serie di situazioni organizzative o riflettere sugli “interrogativi eterni” di Tolstoj? Questo è il problema!

La difficile e affascinante arte del “talent scout”, anche nell’attività lavorativa, non si improvvisa. Nasce e cresce in chi, avendo specifica competenza e precisa responsabilità, avverte la necessità di pensare in grande, di fare sintesi, di cogliere l’essenziale. È, questa, una persona che apprezza e coltiva la capacità e la volontà di un’altra o di altre di partecipare alla comune impresa e coglie in questo atteggiamento il triplice desiderio di realizzare un progetto personale, di portare un contributo al successo dell’impresa, di collaborare alla costruzione del bene comune. Una sorta di allenamento con il quale il leader forma un gruppo di lavoro in grado di coniugare la necessaria fermezza delle regole con la flessibilità della mente e del cuore. Così, al momento opportuno, non deve affannarsi per individuare una persona di talento, perché questa si è preparata nel gruppo in una quotidiana esperienza umana e professionale e si presenta con il suo volto, con la sua idoneità ad essere elemento di unità dinamica, motore di sinergia. Si potrebbe dire che il gruppo stesso con naturalezza la fa emergere e la riconosce. Rimane quasi inavvertito il paziente, intelligente e rispettoso agire del leader. La nuova figura rimane tra le altre alla pari, gli equilibri non saltano, i rapporti interni rimangono trasparenti e costruttivi perché nel tempo sono stati trasmessi e condivisi valori e motivazioni. Il gruppo comprende cioè che questa persona può portarlo al successo: il leader gli ha trasmesso l’arte di giocare lealmente la diversità come carta vincente.

in Punta di Penna di Paolo Bustaffa

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Congratulazioni La direzione e la redazione di Elementi si congratulano con l’amico e collaboratore Vittorio Esposito, curatore della rubrica “La Copertina”, nonché Consigliere nazionale dell’Ordine dei Giornalisti, per l’assegnazione del primo premio per il giornalismo e la critica d’arte, conferitagli dalla giuria del XII° Premio Sulmona.

Francesco Guerrieri Nel dibattito arte figurativa-arte astratta degli anni ’50 e ’60 del secolo scorso, nella ricerca di nuovi linguaggi sperimentali per definire una linea italiana dell’arte informale, un contributo di rilievo lo ha fornito Francesco Guerrieri. Nato a Borgia (Catanzaro) nel 1931, Guerrieri si trasferisce con la famiglia nel 1939 a Roma dove compie gli studi classici e frequenta l’Accademia dell’Associazione Artistica Internazionale e i Corsi dell’Accademia di Francia. Nel 1958 sposa l’artista Lia Drei con la quale svilupperà le sue ricerche e le analisi sulla percezione visiva. Le proposte di Guerrieri, accettate e seguite da molti artisti e oggetto di ampi dibattiti non solo in Italia, si concretizzano e si sviluppano dalle iniziali ricerche polimateriche (1959-1962) - ottenute utilizzando tela, carta, terre e sabbie, scarti di oggetti, stracci irrigiditi dalla colla, fili di ferro e spaghi e colori di ogni tipo – allo strutturalismo che, nelle intenzioni di Guerrieri, doveva contribuire a rinnovare l’arte in funzione di rappresentazione del tempo in cui viene realizzata. Con questi obiettivi partecipa alla fondazione prima del “Gruppo 63” e, poi, dello “Sperimentale p” che, superando l’ambito del concretismo, dello strutturalismo e della pittura gestaltica, presupponevano

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Gente e sole polimaterico, 1961

Francesco Guerrieri

un linguaggio intersoggettivo aprendo all’arte i rapporti con la scienza, la tecnologia e la psicologia della forma. Negli anni ’70, proseguendo il suo viaggio all’interno della pittura, propone, con il titolo “Immarginazione”, opere ambiente, performance e quadri-finestra nei quali viene superata la distinzione tra dipinto e cornice attraverso segni pittorici che diventano “margini” che incorniciano l’ambiente. Il problema della rappresentatività

dell’arte contemporanea diviene centrale in “Interno d’artista”, ciclo iniziato nel 1979 e proseguito fino al 1981 e poi ripreso alla fine degli anni ‘80 dopo le esperienze della Metapittura. Collaboratore di riviste d’arte, Francesco Guerrieri partecipa alle più importanti rassegne d’arte contemporanea tra cui l’VIII Quadriennale di Roma. Sue opere sono esposte in numerosi musei e collezioni pubbliche e private in Italia e all’estero.

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la Copertina a cura di Vittorio Esposito

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NEL RACCONTARTI QUELLO CHE ABBIAMO FATTO QUEST’ANNO, TI RACCONTIAMO IL FUTURO.

Quando si parla di ambiente, si parla del futuro di tutti. Per questo un anno fa abbiamo avviato il progetto “Ambiente e Innovazione”. Un grande impegno di cui già oggi possiamo vedere i primi importanti frutti. Come ad esempio, gli 8 impianti eolici e i 6 idroelettrici aggiunti al nostro parco rinnovabili. Come l’avvio dei lavori per la prima centrale al mondo alimentata a idrogeno. Oppure l’innovativo progetto per il primo impianto dimostrativo per la produzione di energia con la cattura della CO2. O come l’installazione dei primi prototipi fotovoltaici di nuova generazione nel nostro centro ricerca solare di Catania. Sono i primi importanti passi verso un futuro migliore. Vieni a scoprire tutti i nostri progetti su: www.enel.it/ambiente.

LA VERA RIVOLUZIONE È NON CAMBIARE IL MONDO.


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