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CAN YOU HEAR ME
by The Pill
Ci regala un senso di esplorazione e scoperta davvero appaganti senza sentire il bisogno di raggiungere particolari punti di interesse ma godendo del puro avanzare.
Una delle specie di cui mi piacerebbe parlare in questa occasione è sicuramente la Reynoutria Japonica, pianta esogena e invasiva la cui raccolta, anche a scopo alimentare , può decisamente renderci cooperativi con l’ambiente naturale e favorire una visione sostenibile del nostro rapporto con la biosfera. Cresce tipicamente in aeree umide o vicine all’acqua e per questo motivo sarà facile incontrarla nelle parti del sentiero più vicine al lago . Si tratta di un vero e proprio mostro vegetale che soffoca le piante autoctone che caratterizzano la nostra biodiversità. I getti primaverili, simili a grossi asparagi verde-rossastri, crescono molto rapidamente (nelle giornate calde ed assolate anche di 30cm al giorno) e, se raccolti al momento giusto, sono teneri e succosi con un piacevole gusto acidulo e aromatico che ricorda quello del rabarbaro. Li troviamo che spuntano dal terreno fra le piante secche dell’anno precedente e possiamo raccoglierne in quantità. Si conservano in frigorifero e possono essere consumati cotti in marmellate o gelatine e per ricette salate e dolci. All’interno sono cavi e si prestano bene ad essere usati come dei gradevoli cannelloni vegetali da farcire a piacimento e da cuocere poi in teglia al forno. Oppure tagliati e saltati in padella come accompagnamento a piatti grassi e che necessitano di un tono acidulo. Vi consiglio di provare a conservarli in una salamoia di acqua, sale, aceto di mele e miele . Diventano un alternativa alla classica giardiniera, molto più sana e sostenibile. Raccogliete i getti e lavateli bene. Tagliateli tutti alla stessa altezza e infilateli ordinatamente in un barattolo da conserve. Coprite fino a sommergere i getti con la salamoia composta da 3/5 di aceto di mele, 2/5 di acqua, 1 cucchiaio di miele ogni 50g di liquido e sale qb. Lasciate macerare i getti per un mese prima di consumarli. Diverranno un’ ottima sorpresa durante i brunch e le cene tardo primaverili/estive! Un’alternativa alla raccolta dei getti di Reynoutria Japonica, gustosa e davvero, nel senso letterale del termine, romantica è quella di approfittare delle giovani foglie degli alberi edibili che incontriamo lungo il percorso per comporre un’originale insalata, deliziosa e ricca di principi attivi davvero salutari. Le foglie degli alberi nelle prime 4 settimane dopo l’apertura delle gemme fogliari sono un’ottima verdura perché ancora molto tenere e assimilabili dal nostro organismo. Con il passare del tempo le foglie diventeranno invece più legnose, simili a un foglio di carta e poco appetibili. Conviene perciò approfittare immediatamente di questi ottimi ingredienti! Avremo modo, percorrendo il Sentiero del Viandante, di incontrare eleganti betulle che svettano con lo loro ombre lunghe ed eleganti a mezza costa verso l’alto, cangianti nella corteccia argentata. Le foglie sono ottime, dal sapore nocciolato e con un forte potere disintossicante. E poi i maestosi faggi, che spesso creano nella zona piccole foreste pure dette faggete. Le giovani foglie hanno un sapore acidulo e dissetante, leggermente astringente e si dice abbiano il potere di abbassare il livello di colesterolo nel sangue. Più in basso, da raccogliere assolutamente, i polloni del tiglio, foglie tenerissime e croccanti dal gusto che ricorda il cetriolo, rinfrescanti e appaganti. Mentre invece il sentiero si inerpica nei punti più alti, riusciamo a raggiungere le prime conifere e con esse le di gemme di abete rosso. La parte apicale dei rami di questa stupenda e deliziosa conifera si colora, in primavera, di verde chiaro, e ci regala uno dei miei ingredienti preferiti in cucina. Le gemme sono una verdura tenera, acidula e balsamica, ricchissima di vitamina C, che va a completare la nostra insalata di alberi con un tocco davvero unico e speciale.
Simon Gietl Can you hear me?
BY SILVIA GALLIANI PHOTOS STORY TELLER LABS
Lo scorso agosto 2020, l'alpinista professionista Simon Gietl ha realizzato finalmente un sogno: completare la via di 20 tiri, che ha deciso di chiamare “Can you hear me”, sulla parete ovest della ripida e minacciosa Cima Scotoni (2874m) nelle Dolomiti. Due anni di preparazione, fatti di numerosi tentativi e allenamento fisico e mentale, l’hanno infine portato a rispettare la promessa fatta all’amico di sempre Gerry Fiegl.
É il 2015 quando Gerhard “Gerry” Fiegl propone a Simon Gietl di salire insieme la via. Lo stesso anno Gerry muore tragicamente a soli 27 anni durante una spedizione sul massiccio dell’Annapurna. Simon, sconvolto dalla perdita dell’amico, accantona l’impresa che tuttavia rimane sempre come un tarlo in un angolo della sua testa. Simon dedica alla via 4 giorni nel mese di settembre 2016, poi dopo altri quattro giorni di arrampicata, il 27 giugno 2018 riesce a completare tutti i 20 tiri della via che viene aperta dal basso, senza spit. È solo nel 2020 che però la via viene finalmente liberata.
Nell’agosto di quell’anno, Simon finalmente trova una soluzione per sbloccare il sesto tiro, quello che più gli ha dato difficoltà in passato, e decide di affrontare la via in free solo con il suo compagno di cordata e collega Guida Alpina Andrea Oberbacher. Ormai si sente in grado di salire anche tutte le altre sequenze difficili, ha studiato e memorizzato i tratti più problematici. Il 15 agosto 2020, dopo due anni di lavoro, Simon Gietl è pronto a realizzare il suo sogno, il suo e quello di Gerry. Le condizioni quel giorno sono ottime, e Simon decide di partire alle prime luci del mattino insieme ad Andrea Oberbacher. La squadra ha una lunga giornata davanti a sé.
Ben presto le cose iniziano a non andare secondo i piani. Durante il terzo tiro, Simon vede una prima battuta d'arresto. Tutto l'ottimismo provato all'inizio della giornata sembra svanire. La parete qui è “delicata” e il rischio di cadere è alto. Diverse volte le dita scivolano dalle prese bagnate, ma alla fine arrivano in sosta. Nel tentativo di scrollarsi di dosso i pensieri negativi, Simon si concentra sulla parete rocciosa davanti a lui. Il tempo stringe ma, stranamente, la pressione diminuisce. Simon comincia a muoversi in modo più rilassato, la frenetica insicurezza che aveva sperimentato più in basso lungo la via svanisce, libera il tiro più duro e tira un sospiro di sollievo.
Tuttavia, mancano ancora 14 tiri prima della vetta. Non c'è spazio per errori o cali di concentrazione. I due salgono lenti ma costanti. Prima dell'ultimo tiro, che porta alla vetta a 2874 metri, Simon controlla l'orologio. Hanno
tempo ma non vedono l’ora di raggiungere la cima. Arrivati in vetta, Simon dedica la salita a Gerry Fiegl. Amico, compagno di cordata e colui che ha deciso di scalare questa via che, purtroppo, non salirà mai. Simon decide di chiamare la via appena liberata “Can you hear me?”. E Gerry sicuramente l’ha sentito.
Simon, puoi raccontarci come e quando è nato il progetto di “Can you hear me”? Quando Gerry Fiegl, uno dei miei migliori amici, mi ha telefonato poco prima della sua spedizione in Nepal, mi ha parlato di una nuova linea sulla cima Scotoni. Voleva che la aprissi insieme a lui in modo tradizionale, senza chiodi a pressione. Mi ha detto “devi promettermelo” e senza pensarci due volte gli ho dato la mia parola. In quel momento non sapevo che promessa stavo facendo. Ma quando la notizia del suo incidente mortale mi ha raggiunto mi ha è crollata la terra da sotto i piedi. È stato solo qualche anno dopo che ho deciso di mantenere la mia ultima promessa a Gerry. Così ho deciso di aprire questa linea solo per lui e di portarlo sempre nel cuore.
Quali sono state le maggiori difficoltà che hai incontrato? La difficoltà principale è stata sicuramente quella di prendere la decisione di aprire la via in free solo. Quando mi sono trovato di fronte a questa grande parete mi è stato subito chiaro che avrei dovuto dare il massimo, tutto, per mantenere la promessa fatta. La scalata è stata molto complicata, ho progredito lentamente ma in maniera costante. La via ha 20 tiri e ci ho messo 8 giorni divisi in due anni per completarla! Che emozioni hai provato una volta arrivato in cima? È stata una montagna russa di emozioni! Mi sono trovavo tutto solo in cima, eppure non mi sentivo solo, sentivo che qualcuno era lì con me e ho gridato ad alta voce “Mi senti, Gerry?”. È stato molto bello, dopo tanti dubbi, aver finalmente completato questa via che Gerry avrebbe voluto scalare insieme. Sapevo di non essere solo lassù, avevo le lacrime agli occhi, mi sentivo felice e allo stesso tempo triste nel sapere che sarebbe stata l'ultima via che avremmo scalato insieme.
Ci sono brand che ti hanno supportato nell’impresa? Che materiale tecnico hai utilizzato? Sì per fortuna! Ho utilizzato abbigliamento, zaini e casco Salewa, un’azienda a cui mi affido da 15 anni e che è stata indispensabile in questa impresa.
Progetti futuri? Il mio più grande obiettivo futuro è quello di invecchiare sano e felice con la mia famiglia! Per il resto ho ancora molte idee che vorrei sperimentare ma dico sempre “non si parla di progetti ma si raccontano storie.”