C'e' chi dice di volerti bene

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sara gazzini

c’è chi dice di volerti bene


ISBN 978-88 6905-261-3 Realizzazione editoriale: studio pym / Milano © 2017 HarperCollins Italia S.p.A., Milano Prima edizione HarperCollins ottobre 2017 Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale.


Ai miei bambini, Tommaso e Vittoria, che hanno saputo sedersi e vivere questo sogno accanto a me.



MI CHIAMO…

L’amore è quanto c’è di più prossimo alla psicosi. Sigmund Freud



«Ciao, mi chiamo Giulia, ho quarantatré anni e sono quattro giorni che non gli telefono.» Stasera, alle ventuno in punto, è stata Giulia la prima ad arrivare: giubbotto di pelle, stivali bassi, capelli biondo platino e l’aria sfrontata. Vedendola entrare, ho temuto che non sarebbe nemmeno riuscita a sedersi. E invece eccola qui, con lo sguardo rivolto a terra, le mani che arrotolano un Kleenex fradicio di lacrime e l’espressione sconvolta che nemmeno Susan quando viene lasciata da Joe Black, scopre di avere fatto sesso con la morte e ha la conferma che avrebbe perso per sempre Brad Pitt, dopo avere avuto la fortuna di incontrarlo. «Non l’ho più sentito dall’ultima volta che è venuto a casa mia, dall’ultima volta cioè che abbiamo fatto l’amore, in pratica dall’ultima volta che mi ha fatto una promessa che poi si è scordato di mantenere» aggiun-

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ge d’un fiato. «Sto parlando del mio Alberto: ricco, arrogante, possessivo e traditore. Un giorno c’è e quello dopo mi baratta per una partita alla PlayStation. Ovviamente sposato, ovviamente infelice, ovviamente sul punto di piantare la moglie, ma in fondo sempre lì.» «Giulia, hai voglia di spiegarci meglio?» le domando. «Scusate, sono stata un po’ precipitosa, però era importante per chiarire che la colpa non è mia. È la sorte che si è accanita contro di me.» «Se non sbaglio hai appena detto che Alberto è impegnato. Secondo te, di quale sorte si tratta?» la incalzo, dato che mi sembra un po’ confusa. «Della mia, dottoressa» ribatte agitata. «Tutti gli uomini mi mollano dopo mille promesse!» «Rilassati, Giulia. Siamo qui apposta per scoprire i motivi per cui veniamo abbandonate, e non per piangerci addosso.» «Giusto, dottoressa, ma quali sono queste cavolo di ragioni?» interviene la brunetta con i capelli lunghi tipo Pocahontas e un sorriso da pubblicità, che immaginavo non avrebbe mai osato aprire bocca. Deve essere Sveva, anzi, stando al profilo sulla scheda che ho fatto compilare prima dell’iscrizione e a un’occhiata attenta, sono sicura che sia lei. Ha trentaquattro anni, o almeno così mi pare di ricordare, e indossa ballerine grigio topo – ma morto – leggings neri scoloriti e un maglione infeltrito color panna (sporca)

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poco sopra il ginocchio. Mi stupisco che non abbia un rosario intorno al collo e un inginocchiatoio tascabile per chiedere venia dei peccati. «Tu sei Sveva, vero?» le chiedo. «Sì, sono io.» In questo istante le ballerine grigio topo morto paiono animarsi insieme al suo viso. «E sono sette giorni che non lo chiamo, cioè, non proprio sette…» «Ah, be’ è uguale, non preoccuparti del numero preciso. Sono di meno, per caso?» «No. In verità, sono sette giorni che lui non mi risponde.» «Ah!» mi scappa e mi maledico perché dovrei imparare a tacere quando rimango di sale. Dagli sguardi solidali che si scambiano le partecipanti è evidente che si tratta di un male comune, o meglio addirittura endemico, un po’ come la gramigna infestante che divora i prati. L’idea di aprire il centro Innamorate anonime – il nome non è casuale, e chi ha detto che l’alcol è una dipendenza di sicuro non si è mai innamorato – mi è venuta agli inizi di settembre. Una mattina mi sono svegliata accanto a Gaspare, il mio cane, sudata, sconvolta, esausta. Avevo sognato che mio figlio Mirko, nove anni appena compiuti, mi diceva: «Mamma, vado nel bosco a raccogliere le more, rientro tra un’ora». Da quel momento era svanito nel nulla, di lui più nessuna traccia.

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Mentre rimuginavo su quell’incubo tremendo, ho avuto una specie di folgorazione: se mio figlio poteva abbandonarmi, potenzialmente avrebbero potuto farlo tutti gli uomini. Le innamorate anonime avevano bisogno di questa rivelazione. Così di professione ho scelto di diventare una love personal trainer e sono piuttosto nota in Toscana, anche perché credo di essere l’unica. Subito dopo la laurea in Psicologia, infatti, sono volata a Boston e lì ho partecipato a numerosi corsi di self-help, tra cui il famoso Sex and Love Addicts Anonymous, che hanno ampliato le mie conoscenze e mi hanno fatto maturare la convinzione che il sesso e l’amore possano causare una dipendenza tale da condizionare la nostra vita. Una volta ottenuto il titolo e l’abilitazione di coach, al mio rientro in Italia, ho organizzato numerosi incontri, che hanno registrato il sold out, per esempio: L’amore dall’adolescenza in avanti; L’amore nella pubertà; L’amore della donna; L’amore dell’uomo; L’amore di una donna e di un uomo; L’amore di un uomo e di una donna; L’amore fedele; L’amore infedele; L’amore non corrisposto; L’amore corrisposto; L’amore per lui… per lei, o meglio per l’altra. In sostanza, l’amore è un capitolo che non è mai concluso, c’è sempre qualcosa da aggiungere o riscrivere. Soprattutto perché le problematiche, nonostante siano più o meno simili, possono essere declinate in infinite varianti: non mi chiama, non mi cerca, promet-

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te e non mantiene, mantiene e non promette, mi tradisce, non mi tradisce ma è come se lo facesse, mi mente, mi prende in giro, mi ignora. Per non parlare dell’evergreen visualizza su WhatsApp e non risponde. Il centro invece è un esperimento nuovo, nuovo almeno per la piccola periferia fiorentina in cui vivo, e questo è il primo giovedì in cui le innamorate anonime si riuniscono, oltre a essere il primo giovedì di ottobre. Mentre ragionavo sulla data di apertura, mi ripetevo che in fondo ottobre era il periodo migliore per cominciare questa attività, perché si tratta di un mese banale: non è settembre che segna il rientro dalle vacanze estive con il cuore pieno di ricordi; non è novembre con il cielo grigio e il primo freddo; non è nemmeno dicembre con le luci, le strade illuminate e la corsa ai regali. Già, nella mia mente ottobre non aveva mai avuto un ruolo, erano soltanto trentun giorni, anonimi come le innamorate che avrei aiutato. Con il centro invece avrei avuto finalmente la possibilità di dare a ottobre il suo senso: sarebbe diventato il mese delle ferite, di quelle che sembrano non smettere mai di sanguinare, ma che contro ogni aspettativa guariscono. Sì, avevo deciso: ottobre sarebbe stato il mese del riscatto. La sede è in una traversa della via Pisana, quella che da Scandicci porta a Firenze. Qui, qualche settima-

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na fa, ho scovato un vecchio garage a buon prezzo, a cui si accede attraverso un grande cancello e una discesa di una decina di metri. È un vicolo buio e un po’ sperduto – le prime case sono distanti almeno un chilometro – di cui non so il nome, sempre ammesso che lo abbia, da queste parti funziona così. Il pomeriggio in cui ero andata a visitarlo mi ero detta che la strada isolata, la discesa da percorrere e l’assenza di un lampione sarebbero stati tutti dettagli che avrebbero soddisfatto il desiderio delle mie innamorate di restare innamorate, ma anonime. In questo primo giovedì, delle dodici selezionate si sono presentate in otto. Non so perché, ma sono convinta che le quattro assenti abbiano cambiato idea proprio durante la discesa. Ché l’amore, è risaputo, fa vivere d’impulso, ti fa gettare nelle situazioni più assurde, ti fa cercare le soluzioni più impensabili, e se per un istante ti concedi il tempo di riflettere sei fregata. Se, per caso, in quell’attimo – che può essere la parola di un’amica, il consiglio di tua madre o una discesa di dieci metri – ti metti a pensare e ti guardi dall’esterno con un minimo di oggettività, magari ti convinci che stai solo perdendo tempo. Ecco, deve essere andata così per quelle quattro, mi dico. «Ciao, mi chiamo Caterina. Per farla breve: trentasei anni di cazzate e un amore irrisolto. Maurizio non ho ancora smesso di chiamarlo, e come potrei?» esor-

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disce all’improvviso una voce risoluta alla mia destra, ponendo fine alle mie supposizioni. A prendere la parola è Caterina, che è arrivata con quasi dieci minuti di ritardo, affinché, ci scommetto, gli occhi fossero puntati su di lei. E infatti osservo questa donna meravigliosa con un pizzico di invidia: un metro e settantacinque, occhi scuri sottolineati alla perfezione dall’eyeliner e labbra sottili rosso fuoco. Indossa un paio di jeans attillati, secondo me di quelli push up, altrimenti un sedere del genere non si spiega, una giacchetta nera con le maniche a tre quarti e décolleté tacco 12. Si muove con la sicurezza di chi si sente dire in continuazione che è bella. Peccato che da quello che so Caterina in realtà si sente uno schifo. Un attimo dopo, come un’onda a cui ne segue una seconda, si presentano le altre innamorate anonime. «Ciao, sono Sofia e sono vicedirettrice di banca, per la precisione la filiale vicino al bar Cioni. Lo dico, perché lì ho conosciuto Marcello che non solo non sto chiamando, ma sto proprio cercando di cancellare dal mio cervello. Ah, ho cinquantadue anni e a questo punto sarebbe carino se qualcuna di voi mi dicesse che non li dimostro!» conclude sorridendo. Avrei indovinato che Sofia lavora in banca solo dal suo look: capelli freschi di piega, fatta senza dubbio nel pomeriggio dopo le cinque, tailleur poco sopra al ginocchio, calze velate al punto giusto e una camicetta di seta

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color arancio probabilmente a manica lunga, a giudicare dal piccolo lembo di stoffa che spunta dalla giacca. «Ciao, mi chiamo Virginia, sono una ballerina di danza classica e insegno nelle scuole più rinomate della Toscana. O meglio, insegnavo, fino a quando lo stronzo di turno non mi ha condannata a passare gli ultimi quindici giorni in camera a piangere e ad appendere le scarpette al chiodo.» Noto che non dice l’età, ma per rispetto alla sua riservatezza evito per il momento di chiedergliela. «Ciao, io sono Laura, ho superato abbondantemente i quarantacinque e mi sono separata troppe volte per ricordarmi quale dei miei ex mi ha fatto soffrire di più.» «Io invece sono Valeria, ma sinceramente, a parte che ho trent’anni tondi tondi, non mi sento di aggiungere altro.» Non resta che Bianca, a cui rivolgo un’occhiata di incoraggiamento. Lei però scuote la testa, è troppo timida per presentarsi. Bianca infatti è giovanissima, e lo dimostrano le immancabili All Star ai piedi, i jeans strappati e negli occhi la possibilità di avere il mondo in mano ma l’incapacità di crederci davvero. Tra le oltre venti domande di adesione che ho ricevuto, queste otto saranno le mie innamorate anonime: Giulia, Sveva, Caterina. E poi Sofia, Virginia, Laura, Valeria, Bianca. Loro sono la mia missione. «Io sono la vostra love teacher» dico appena abbia-

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mo completato il giro di presentazioni, «e come vedrete vi insegnerò che cos’è l’amore e come imparare a sopravvivergli.» Ho trentanove anni, qualche ruga assolutamente d’espressione, la forza apparente di chi non ha niente da chiedere e la paura viscerale di chi ha tutto da perdere. Capelli mesciati poco sotto l’orecchio, che portavo lunghi fino a poco tempo fa e che poi ho tagliato insieme al passato e alle promesse disattese. Non sono bella, ma un tipo. Quello sì. Nella mia vita ci sono un figlio, un cane (un chihuahua di tre chili scarsi che si crede un alano; su questo posso mettere la mano sul fuoco perché, fin da piccolo, ha accuratamente evitato di infilarsi sotto qualsiasi cosa che non fosse alta almeno ottanta centimetri: mai sotto una sedia, o un mobile, o al letto. Gaspare dentro di sé è certo di non riuscire a passarci), un coniglio e un ex marito. Una carriera avviata, una passione violenta e carnale per la bistecca con l’osso, mille sogni e un solo cassetto, oltre alla voglia immensa di salvare il gentil sesso dalla dipendenza comune: l’uomo. Infine, per completare il quadro, non posso non menzionare la mia ammirazione smodata per Freud. Il mio mentore considerava due gli oggetti supremi dell’amore: se stesso e la figura materna, ed è proprio su quella figura materna che mi sono persa e che ancora aspetto di ritrovarmi.

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«Comunque, dottoressa, se mi permette» interviene Giulia, strappandomi alle mie riflessioni, «vorrei aggiungere un dettaglio di vitale importanza.» «Certo, di’ pure» rispondo con un sorriso. «È vero, sono quattro giorni che non lo chiamo e che lui non si fa sentire, ma ieri ho cambiato l’immagine del profilo su Facebook e Alberto è stato il primo a mettermi un Like. Secondo lei cosa significa?» «Probabilmente niente» replico. «Niente?» ripete Sveva, che trasalendo perde una ballerina grigio topo morto. «Niente non è possibile!» si infervora Caterina a cui si sgrana persino l’eyeliner. «Non la vedo come una dimostrazione di vitale importanza» dico pacata per ristabilire un po’ la calma. «Dottoressa» Giulia scatta in piedi, «sono quattro giorni che non lo chiamo e lui mi ha messo un Like. È un’evidente dichiarazione d’amore. Siete tutte d’accordo, no?» Un sì si leva all’istante potente e compatto. Le mie anonymous lovers sono otto, ma in questo momento sembrano mille. C’è molto da lavorare, dico tra me scuotendo il capo.

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Questo volume è stato stampato nel settembre 2017 presso la Rotolito Lombarda - Milano




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