Jennifer L. Armentrout
L’OMBRA di ARES TRADUZIONE DI ALICE CASARINI
ISBN 978-88-6905-260-6 Titolo originale dell’edizione in lingua inglese: Sentinel: The Fifth Covenant Novel Spencer Hill Press This translation published by arrangement with Spencer Hill Press through RightsMix LLC. All rights reserved. © 2013 Jennifer L. Armentrout Traduzione di Alice Casarini Realizzazione editoriale: studio pym / Milano Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. © 2017 HarperCollins Italia S.p.A., Milano Prima edizione HarperCollins novembre 2017
"Si dice che quando la vita ti dĂ dei limoni, puoi sempre farci una limonata. Ma quando ti manda un dio incazzato nero deciso a farti fuori, meglio se ti prepari per la guerra e speri nel paradiso." Alex (Alexandria) Andros
1
Ricominciai a sentirmi i piedi, poi le gambe. La pelle prese a pizzicarmi come se migliaia di aghi mi stessero pungendo tutti insieme, tanto che mi si contrassero le dita. In fondo alla gola sentivo ancora il retrogusto dolce del nettare, ma avevo male ovunque, come se avessi appena fatto una gara di triathlon e fossi arrivata all’ultimissimo posto. O come se un dio mi avesse massacrata e un altro mi avesse ricucita. Una delle due cose… Di fianco a me percepii un movimento che mi fece scaldare tutto un lato del corpo. Mi parve di sentirmi chiamare, ma era come se la voce provenisse dall’altro capo del mondo. Dato che mi muovevo alla velocità di una tartaruga zoppa, mi ci volle un po’ per aprire gli occhi, e comunque riuscii solo a sollevare appena le palpebre. Quando le mie pupille si abituarono alla luce fioca, riconobbi le pareti giallo chiaro e le finiture in titanio della camera dell’U-
7
niversità, in South Dakota; era la stessa in cui io e Aiden avevamo fatto tutto tranne che dormire la notte prima che Dominic ci dicesse che erano arrivate persone sopravvissute alla distruzione di Deity Island. Le cose… erano diverse allora; mi sembrava che fossero già passati anni. Un peso terribile mi attanagliò il petto, come un masso che mi schiacciava, impedendomi di respirare. Dominic era morto, così come il rettore dell’Università e le sue Guardie. Era stato tutto un trucco di Ares, che si era spacciato per l’Istruttore Romvi. Il nemico che cercavamo era stato in mezzo a noi per tutto il tempo. Il mio disprezzo per quell’uomo era già a livelli epici prima che scoprissi la sua vera identità, ma adesso lo detestavo con tutta me stessa, con ogni cellula da Apollyon. Ma il mio odio per quello stronzo di Romvi/Ares non era importante, in confronto al fatto che erano morte tantissime persone e che il dio sapeva dove mi trovavo. Cosa gli avrebbe impedito di tornare per il secondo round o di uccidere altra gente? Mi sentii chiamare di nuovo; stavolta la voce sembrava più forte e più vicina. Mi girai verso la direzione da cui proveniva e costrinsi i miei occhi ad aprirsi di nuovo. Non mi ero neanche accorta di averli richiusi. Ero come un gattino appena nato. Di sicuro, i daimon di tutto il continente tremavano dalla paura. Per gli dei, ero proprio patetica! «Alex.» Il mio cuore perse un battito, per poi accelerare quando riconobbi quella voce. Ah, mi era decisamente familiare. Il mio cuore e la mia anima la conoscevano benissimo. «Alex, apri gli occhi. Su, piccola, aprili.»
8
Volevo davvero riuscirci, perché ero pronta a tutto per lui. Combattere contro un’orda di daimon Mezzosangue? Fatto. Affrontare le Furie incavolate? Fatto anche quello. Infrangere almeno una decina di regole per un bacio proibito? Fatto e rifatto. Aprire gli occhi? A quanto pareva, era chiedere troppo. Una mano calda e forte mi accarezzò la guancia; il tocco era diversissimo da quello di mia madre, ma ugualmente intenso, e con la stessa tenerezza capace di far sciogliere il cuore. Il respiro mi si bloccò in gola. Il suo pollice mi disegnò la curva del mento in un modo così dolcemente familiare che mi venne voglia di piangere. E sarebbe stata una reazione giustificata, perché non riuscivo neanche a immaginare cosa doveva avere provato mentre io e Ares eravamo chiusi in quella stanza. A ben pensarci, avrei dovuto piangere anche quando avevo rivisto la mamma. Le lacrime mi erano salite agli occhi, ma poi non erano sgorgate. «È tutto a posto» mi rassicurò lui, con la voce roca per la stanchezza e l’emozione. «Apollo ci ha avvertiti che probabilmente ci sarebbe voluto un po’. Aspetterò per tutto il tempo che ti serve. Anche per l’eternità, se ce n’è bisogno.» Quelle parole si impossessarono del mio cuore, stringendolo fino a farlo scoppiare. Non volevo lasciarlo aspettare neanche un altro secondo, figuriamoci un’eternità. Volevo… anzi, no, avevo bisogno di vederlo. Di dirgli che stavo bene, perché era così, no? Okay, forse non stavo propriamente bene, ma volevo che gli sparisse quel tono pre-
9
occupato dalla voce. Volevo farlo stare meglio, perché non potevo fare stare meglio mia madre e tantomeno me stessa. Una parte di me era completamente vuota. Morta. Ecco cosa provavo. Mi sentivo morta dentro. La frustrazione mi invase il sangue come un acido potente. Strinsi i pugni sotto le coperte morbide, inspirando a fondo. Lui smise di muoversi di fianco a me, come se stesse trattenendo il fiato in attesa, poi espirò a fatica. Mi sentii sprofondare il cuore. Per gli dei, dovevo soltanto aprire gli occhi, non certo fare un numero da equilibrista. Il senso di frustrazione si trasformò presto in rabbia… una furia profonda, che mi riempiva l’anima e aveva un sapore caldo e amaro. Il battito aumentò, e fu allora che mi resi conto che… sentivo di nuovo la cordicella. Sull’Olimpo era scomparsa, ma adesso era tornata. In un primo momento non l’avevo percepita perché mi ero concentrata sul dolore ai muscoli e alle ossa, però il filamento che mi legava al primo Apollyon ronzava come un intero alveare di vespe, sempre più forte, e avrei giurato di riuscire a visualizzarla mentalmente, una cordicella ambrata intrecciata a un’altra blu. Seth? La sua risposta non mi giunse in forma di pensieri o sensazioni, ma come una scarica di energia così pura che fu come se mi avesse colpita un fulmine. Mi sentii invadere da una forza enorme, una pioggia torrenziale di vitalità che mi inondava tutte le terminazioni nervose. Ogni sin-
10
golo rumore nella stanza era amplificato al massimo, compreso il mio stesso respiro, che adesso era più regolare, e quello lento e profondo dell’uomo al mio fianco. Sentii aprire e chiudere le porte che davano sul corridoio fuori dalla stanza; mi giunsero delle voci, ovattate ma distinte. La mia pelle prese vita, riempiendosi di tatuaggi che mi vorticavano su tutto il corpo in risposta alla scarica. Non capivo come ci fosse riuscito, ma sapevo che Seth mi stava prestando il suo potere, come aveva fatto sui monti Catskill la prima volta che avevo combattuto contro le Furie. Certo, all’epoca lui aveva detto di non sapere cosa fosse successo e aveva attribuito tutto all’adrenalina, ma del resto… mi aveva mentito su un sacco di cose. Adesso però mi stava aiutando. Era illogico dal suo punto di vista, dato che ero molto più gestibile mentre ero così debole, ma a caval donato non si guarda in bocca, e io non avevo certo intenzione di mettermi a sindacare in quel momento. Spalancai gli occhi. E poi lo vidi. Aiden era sdraiato sul fianco, rivolto verso di me. Mi teneva ancora la guancia e continuava ad accarezzarmi con il pollice, e io sentivo i tatuaggi dell’Apollyon scivolare verso la sua mano. Aveva gli occhi chiusi, ma sapevo che era sveglio. Le folte ciglia corvine gli sfioravano la punta degli ampi zigomi. I capelli castano scuro erano tutti scompigliati: i riccioli gli cadevano sulla fronte, scendendo fino agli eleganti archi delle sopracciglia. Aveva un brutto livido viola sull’occhio sinistro; chis-
11
sà se riusciva ad aprirlo. Sulla mascella definita c’era un altro segno spaventoso, di un’incredibile gamma di rossi. Le labbra erano dischiuse, il collo e le spalle contratti. Senza preavviso, fui di nuovo catapultata a quando l’avevo visto per la primissima volta. La sede del Covenant del North Carolina ormai non esisteva più, ma mi sembrò di essere ancora lì, nella sala di addestramento riservata ai principianti. Mi stavo allenando con Caleb e Luke; avevo fatto qualcosa di incredibilmente stupido, come al solito, e stavamo ridendo tutti e tre. Mi ero voltata e avevo visto Aiden vicino alla porta. All’epoca non credevo che ci avesse notati sul serio. Era un Puro, e i Puri non si interessavano ai Mezzosangue, quindi avevo pensato che fosse solo perso nei suoi pensieri. Ma mi aveva colpita comunque: in tutta onestà, era il ragazzo più bello che avessi mai visto, con un viso che riusciva a essere contemporaneamente duro e meraviglioso. E da quel giorno i suoi occhi, capaci di passare dal grigio violaceo all’argento vivo, mi si erano impressi nella mente in modo indelebile. La curiosità era cresciuta a dismisura tre anni dopo, quando Aiden era comparso ad Atlanta e mi aveva salvata da tre fastidiosissimi daimon logorroici. Il nostro amore non era mai stato facile. In quanto Puro, Aiden era intoccabile per me, nonostante io fossi l’Apollyon, e anche in quel momento stava rischiando tutto per starmi vicino. Mi dava forza quando ne avevo bisogno, era l’amico che riusciva a calmarmi con le parole, mi trattava da pari in un mondo in cui per legge
12
sarei sempre stata inferiore a lui, e giuro sugli dei che era l’amore della mia vita. E mi avrebbe aspettata per sempre, proprio come io avrei aspettato lui per l’eternità, e anche per un giorno in più. Solo che l’eternità probabilmente è destinata a durare piuttosto poco, mi sussurrò una vocina pericolosa, che però aveva ragione. Anche se fossi stata in grado di superare tutti gli ostacoli che mi separavano da Seth e di assorbire il suo potere, diventando lo Sterminatore di Dei, senza dubbio sarebbe stato comunque difficilissimo combattere contro Ares. E se per qualche miracolo fossi riuscita a sopravvivere, c’erano buone probabilità che fossero gli altri dei a uccidermi. E allora che senso aveva anche solo provarci? Io e Aiden potevamo scappare insieme, vivere per tutto il tempo che ci era concesso ed essere felici. Se gliel’avessi chiesto, lui avrebbe accettato. Potevamo nasconderci, e se anche un giorno fossimo stati costretti a uscire allo scoperto, saremmo comunque stati insieme… e vivi. E per un po’ non avremmo più dovuto affrontare il dolore e la morte. Un’enorme parte di me, soprattutto quella zona buia e fredda che mi era spuntata dentro quando Ares mi aveva massacrata, era d’accordissimo con quel piano. Scappa. Niente sembrava più semplice o più furbo. Ma non potevo, perché c’erano troppe cose che dovevo portare a termine. Contavano tutti su di me: se non avessimo fermato Ares, il mondo sarebbe precipitato nel caos più assoluto.
13
Mi aggrappai a quel sottilissimo senso del dovere con tutta me stessa e dissi: «Ehi». Aiden alzò le palpebre di scatto, mostrando gli occhi d’argento che riuscivano invariabilmente a farmi sciamare le farfalle nello stomaco e sobbalzare il cuore. I nostri sguardi si incrociarono. Lui si sollevò di colpo; il volto gli impallidì all’improvviso, facendo risaltare ulteriormente i lividi sulla mascella e sull’occhio sinistro. Mi sentii esplodere il terrore nel ventre, cosa piuttosto strana, visto che di solito la mia prima reazione ai movimenti improvvisi non era la paura, eppure balzai contro la testiera del letto. Il mio corpo protestò per quello scatto, lasciandomi senza fiato. «Cosa succede?» gracchiai. «Cosa c’è che non va?» Aiden mi fissava con gli occhi sgranati. Non aveva ripreso colore, era pallido come un daimon, e dal suo sguardo trapelava incredulità, ma anche dolore. Allungò la mano, ma si bloccò a pochi centimetri dal mio viso. «I tuoi occhi…» «Cos’hanno?» Il cuore mi batteva così forte che ero sicura che stesse per saltarmi fuori dal petto e mettersi a ballare sulle coperte. «Li ho aperti. Ho sentito che mi chiedevi di farlo.» Aiden fece una smorfia. «Alex…» Stavo cominciando a preoccuparmi sul serio. Perché reagiva così? Che Ares mi avesse rifatto i connotati in modo tanto radicale da farmi finire gli occhi sul mento? Aiden lanciò un’occhiata alla porta, poi tornò a guar-
14
darmi; assunse di nuovo un’espressione impassibile, ma tanto non riusciva a nascondermi ciò che sentiva sul serio. Glielo leggevo nello sguardo, che in quel momento era talmente pieno di sofferenza da spezzarmi il cuore, anche se non capivo perché. «Come ti senti?» chiese lui. Uhm, la domanda più che altro era come non mi sentivo… «Be’… confusa, come minimo. Aiden, dimmelo. Cosa succede?» Mi fissò così a lungo che cominciai a essere proprio in imbarazzo. Passarono diversi secondi, durante i quali mi convinsi che gli occhi dovevano davvero essermi finiti sul mento, ma alla fine capii. Il panico mi divampò in fondo allo stomaco e si diffuse come un virus. Saltai giù dal letto e atterrai sul pavimento. Delle fitte incandescenti mi riverberarono in tutte le ossa, ancora in via di guarigione. Barcollai di lato, appoggiandomi al muro per non cadere. Anche Aiden balzò giù dal letto e mi raggiunse in un istante. «Alex, stai…» «Sto bene.» Ricacciai in gola un gemito. Aiden allungò la mano, ma io mi staccai dal muro prima che potesse sfiorarmi. Ogni passo era una tortura degna del Tartaro. Avevo la fronte imperlata di sudore e le gambe mi tremavano per lo sforzo di arrivare al bagno, che era in comune con la suite a fianco. «Devo guardarmi» rantolai. «Forse sarebbe meglio se ti sedessi» suggerì Aiden, subito dietro di me.
15
Non potevo. Sapevo cosa gli stava passando per la testa. Pensava che fossi connessa a Seth, e magari che fosse un trucco per poi liberarmi e strappare via le costole a Deacon, ma Seth restava in silenzio all’altra estremità della cordicella. Aiden mi superò e aprì la porta del bagno, e io praticamente ci caddi dentro. Quando lui trovò l’interruttore sulla parete, la luce inondò la stanzetta piccola ma funzionale. Sullo specchio comparve il mio riflesso. Mi sfuggì un gemito. Non potevo essere io. Impossibile. No, non ero io, mi rifiutavo di crederci, eppure quel maledetto riflesso era inequivocabile. Ero cambiata. In modo terribilmente evidente. Il senso di oppressione al petto tornò raddoppiato e io mi dovetti aggrappare al bordo del lavandino. Adesso i capelli mi arrivavano qualche centimetro sotto le spalle e avevano le punte rovinate e irregolari perché Ares me li aveva tagliati via con il pugnale. Afferrai una ciocca e feci una smorfia nell’accorgermi che era molto più corta delle altre. Che adesso il resto della mia chioma fosse appeso nella Sala della Guerra di Ade? Ero pallidissima, come se fossi stata ammalata per mesi e non vedessi la luce del sole da una vita. Ma non era quello il problema principale, in realtà. Per gli dei, non erano neanche gli occhi color ambra, di nuovo identici a quelli di Seth; certo, erano due topazi puri e scintillanti con un luccichio inquietante che si vedeva anche
16
al buio, e ora capivo perché avessero spaventato Aiden. Però… okay, avevo gli occhi color miele che brillavano, amen. Quello che non riuscivo ad accettare era il mio viso. Alla fine ero superficiale come qualsiasi altra diciottenne, quindi sì, quella… era una botta enorme. Gli zigomi e il naso erano tratteggiati da sottili linee rosate, così come la fronte. La mia faccia era coperta da una ragnatela di cicatrici. Solo un lato del mento, quello dove Aiden mi aveva accarezzata prima, era sfuggito a… be’, allo sfregio. Disorientata da ciò che vedevo, alzai lentamente il braccio e mi passai le dita sulla guancia. Ebbi la conferma di ciò che temevo: le righe erano leggermente in rilievo, come dei punti di sutura. Apollo e suo figlio mi avevano rattoppata. Il nettare stava ancora aiutando il mio corpo a riprendersi, ma sapevo che quelle cicatrici dimostravano che non sarei mai riuscita a guarire senza l’aiuto degli dei. Come per ogni altra cosa, doveva sempre esserci uno scambio. Quando si otteneva qualcosa, bisognava sacrificare qualcos’altro. Non c’era bisogno che qualcuno me lo dicesse: sapevo da me che quelle cicatrici non sarebbero mai scomparse. «Oh, per gli dei…» Barcollai. «Alex, ora dovresti sederti.» Aiden cercò di nuovo di sfiorarmi. «No» risposi di scatto, sollevando una mano per allontanarlo. Sgranai gli occhi. Anche le mani erano rico-
17
perte di cicatrici. Non sapevo neanche cosa gli stavo intimando di non fare, ma le mie labbra continuarono a muoversi. «No.» Aiden si ritrasse, tuttavia non se ne andò. Si appoggiò allo stipite e incrociò le braccia muscolose sull’ampio torace, con la mascella che gli si tendeva. Il senso di pressione mi risalì lungo la gola, gonfiandosi come un palloncino, per poi esplodere come un temporale di tarda estate. «Cosa ti aspetti? Che diventi di nuovo l’Alex Malvagia?» Mi lanciai verso di lui, perdendo l’equilibrio. «Che usi…» Aiden schizzò in avanti e mi afferrò al volo prima che mi sfasciassi la testa contro il muro. «Maledizione, Alex, devi fare attenzione e sederti.» Mi divincolai per liberarmi, barcollai indietro e mi lasciai cadere sul coperchio del water. L’impatto mi lasciò senza fiato. Per gli dei, era come se mi fossi rotta l’osso sacro. Rimasi lì seduta, sentendomi come se mi avessero letteralmente dato un calcio nel sedere. Aiden mi fissava con gli occhi che tanto amavo, nei quali era in corso una lotta all’ultimo sangue tra la speranza e lo sconforto. Mi sentii distrutta in almeno sette modi diversi. Aiden venne avanti e si chinò per guardarmi negli occhi. «Non vuoi uccidermi?» La maggior parte della rabbia scivolò via. Niente poteva far defluire la furia come sentire l’uomo che amavo che mi chiedeva una cosa del genere. «No» sussurrai. Aiden inspirò bruscamente. «E non vuoi quello che vuole lui?»
18
«No.» Mi cadde lo sguardo sulle sue mani, posate fra le ginocchia. Per tutti i numi, le nocche erano piene di lividi e di ferite, come se avesse fatto a botte con… e poi capii. Aiden e Marcus avevano tempestato di pugni la porta in titanio dell’ufficio del rettore. Mi sentii stringere il cuore nel vedere quelle mani martoriate che si aprivano, si chiudevano e si riaprivano di nuovo. «Non lo sento neanche. Cioè, la cordicella è tornata, quindi so che anche lui dev’essere da qualche parte, ma non lo sento. Resta in silenzio.» Aiden distese le mani, e nonostante non lo stessi guardando, sentii che la maggior parte della tensione gli si era sciolta. Credeva quasi del tutto alle mie parole, e non potevo fargli una colpa di quel poco di sospetto che gli restava. «Per gli dei, Alex, quando ho visto i tuoi occhi, ho pensato che… Brillavano come quando sei scappata dal seminterrato e…» E l’avevo quasi ucciso. Se avessi alzato le palpebre, ci saremmo ritrovati faccia a faccia, ma non ne ero capace. Lui si avvicinò. «Mi dispiace. Avrei dovuto…» «Non importa.» Ero esausta, ma non in senso fisico: stranamente era più una stanchezza… dello spirito. «Ti capisco. Avevi tutte le ragioni per pensarlo. Non so perché i miei occhi brillino. Seth c’è, ma non sta cercando di influenzarmi.» Il peso di quel non ancora inespresso gravava su di noi. «E non mi parla» aggiunsi, tenendo per me il fatto che Seth mi aveva prestato un po’ della sua energia.
19
Tornai a guardarmi le mani, deturpate dalle cicatrici. Sull’Olimpo non erano così, o quantomeno io non me n’ero accorta. «Non ha importanza» disse lui. «Sei tu, e questa è l’unica cosa che mi interessa… l’unica che conta.» Volevo tanto credergli, ma non riuscivo a togliermi dalla testa l’espressione terrorizzata che gli era comparsa sul viso quando aveva visto i miei occhi. Sapevo che Aiden aveva sempre detestato le iridi ambrate, sin dal momento in cui erano comparse, dopo il Risveglio, e non potevo fargliene una colpa. Gli avrebbero sempre ricordato Seth e tutto quello che avevo detto e fatto in quel periodo, soprattutto se brillavano come lampadine accese. «Alex.» Le sue mani possenti avvolsero le mie. Ci fu un lungo momento di silenzio. «Come stai?» Alzai una spalla e feci una smorfia. «Abbastanza bene.» Lui mi fece scivolare le dita attorno ai polsi e io all’improvviso mi sentii sul punto di scoppiare a piangere, ma non sapevo perché. Volevo soltanto raggomitolarmi lì, sul pavimento del bagno. «In tutta la mia vita, non sono mai stato così spaventato come quando mi hai chiuso fuori dalla stanza con Marcus.» «Neanch’io.» Deglutii forte. Non so perché lo feci, ma mi liberai le mani e le lasciai cadere fra le ginocchia. «Come sta mio zio?» «Tiene duro, ma per lui sarà un enorme sollievo sapere che ti sei svegliata.» Aiden si piegò verso di me e io sentii il suo respiro caldo sulla guancia. L’istinto mi gridava
20
di alzare il mento di pochi millimetri per andare incontro alle sue labbra, ma non riuscivo a muovermi. Ci fu un’altra pausa, poi Aiden pronunciò parole pesanti come piombo. «So perché ci hai spediti fuori dalla stanza quando Ares ti ha attaccata. È stato un gesto incredibilmente coraggioso, degno di te.» Affondai le dita nei jeans rigidissimi. Per gli dei, erano ancora i pantaloni che avevo addosso durante la battaglia? Le gambe erano coperte da chiazze di sangue, come macchie di vernice. Serrai gli occhi e mi sentii salire la nausea quando mi accorsi che nella mente mi scorrevano ancora le immagini di ciò che aveva causato quelle macchie. Aiden fece un respiro profondo. «Ma se fai di nuovo una cosa del genere, ti strozzo. Con tanto amore, ovviamente.» Era la stessa cosa che avevo pensato di lui; quasi mi spuntò un sorriso, che però non arrivò mai alle labbra. Aiden non aveva finito. «Ci siamo promessi di affrontare tutto questo insieme.» «Ares ti avrebbe ucciso» risposi io, ed era la verità. Se lui e Marcus fossero rimasti nell’ufficio del rettore, Ares li avrebbe uccisi entrambi, e si sarebbe anche goduto il momento. «Ma io ti avrei protetta» ribatté Aiden. «Avrei fatto qualsiasi cosa perché tu non dovessi affrontare quello che hai passato là dentro. Quando sono entrato e ti ho vista…» Si interruppe e imprecò sottovoce. «E per cercare di proteggermi, saresti rimasto ucciso.
21
Non lo capisci? Ho dovuto chiudervi fuori. Se tu o Marcus foste morti, non sarei mai riuscita a perdonarmelo.» «E pensi che noi siamo in grado di perdonarci, sapendo cosa ti ha fatto quel bastardo?» La sua voce era piena di rabbia… e di frustrazione. «Guardami.» Incapace di trovare un altro modo per spiegargli quel ragionamento ovvio, scossi la testa. «Maledizione, Alex, guardami!» Alzai il viso di scatto per la sorpresa e il mio sguardo incrociò il suo. Aveva gli occhi di una violenta sfumatura di grigio canna di fucile che lasciava trasparire le emozioni. Emanavano dolore puro, e io volevo tanto distogliere gli occhi, rifugiandomi nella vigliaccheria. «Il mio cuore ha smesso di battere quando quella maledetta porta mi si è sbarrata davanti. Vi sentivo combattere. Sentivo che Ares ti prendeva in giro e ti spezzava le ossa. E non potevo farci assolutamente niente.» Posò le mani ai lati delle mie gambe. La tensione gli faceva contrarre i muscoli delle braccia. «Non avresti mai dovuto affrontare una cosa del genere da sola.» «Ma tu saresti morto.» «E dato che ti amo, sono disposto a morire per risparmiarti una cosa come quella. È una mia decisione, non prenderla mai più al posto mio.» Aprii la bocca, ma non riuscii a dire niente. Le sue parole mi avevano spezzato il cuore e poi avevano ricucito la ferita. Ma cosa mi sarebbe rimasto, se lui fosse morto? Sarei stata più che distrutta, e non potevo neanche pensarci senza sentirmi male. Se mi fossi trovata di nuo-
22
vo in quella situazione, avrei fatto la stessa scelta, proprio perché lo amavo. Come poteva pensare che avrei preso una decisione diversa? Sapevo che dovevo dirglielo, ma le parole… non riuscivano a superare il groppo che mi sentivo nel petto o a far saltare la valvola della pressione che avevo dentro. Ebbi un tremito, mi sentivo anestetizzata e raggelata fino al midollo. Aiden fece per afferrarmi le spalle, ma poi si fermò e chiuse le mani. «Il mio cuore è tuo, e così la mia forza. Non sottovalutare le due cose: sono disposto a morire per te, ma abbi fiducia anche nel fatto che non ho nessuna intenzione di lasciarti sola. Ares non mi avrebbe sconfitto tanto facilmente, perché avrei combattuto con tutto me stesso per sopravvivere e restare al tuo fianco.» Sentii le sue parole con le orecchie e con il cuore, ma nella mente non vedevo altro che le Guardie che Ares non aveva nemmeno sfiorato. Aveva spezzato in due Dominic soltanto ruotando la mano e scaraventato il rettore fuori dalla finestra con un semplice movimento del braccio. Tutta la forza di volontà del mondo non sarebbe bastata a salvarli. Mentre il silenzio riempiva il bagno, Aiden fece un respiro mozzato. «Di’ qualcosa, Alex.» «Io… ti capisco.» Mi fissò, esterrefatto. Il senso di torpore mi aveva invaso anche i muscoli. «Voglio fare una doccia. Ho bisogno di togliermi questi vestiti e di lavarmi.»
23
Aiden strabuzzò gli occhi, poi abbassò lo sguardo. Se la rabbia gli aveva fatto riprendere un po’ di colore, adesso impallidì di nuovo, come se si fosse appena reso conto che avevo ancora addosso i vestiti insanguinati di quando avevo affrontato il dio della guerra. «Alex…» «Ti prego» sussurrai. Lui restò immobile per un istante infinito, poi annuì. Si alzò agilmente, fermandosi a metà per posarmi un bacio sulla fronte. Il mio cuore prese a rimbombare, ma poi mi resi conto che le sue labbra mi stavano sfiorando quelle orribili cicatrici e feci una smorfia. Aiden si ritrasse immediatamente, con lo splendido viso tesissimo per la preoccupazione. «Ti… ti ho fatto male?» «No. Sì. Cioè, la pelle è ancora sensibile.» In realtà non mi aveva fatto per niente male. All’inizio era stato persino piacevole. «Ho solo bisogno di farmi una doccia.» Lui esitò, e per un attimo pensai che non se ne sarebbe andato, poi però annuì di nuovo. «Vado a prenderti qualcosa da metterti quando esci.» «Grazie» risposi io, mentre lui usciva e chiudeva la porta. Mi alzai piano, sentendomi come una novantenne, con le articolazioni che scrocchiavano e i muscoli che si tendevano. Ci misi un bel pezzo a togliermi i vestiti macchiati, poi aprii l’acqua ed entrai nella doccia mentre il bagno si riempiva di vapore. Il getto caldo mi inondò dalla testa ai piedi, facendomi pizzicare la pelle in via di guarigione.
24
L’acqua mi scese lungo i capelli e il corpo, riempiendo la vasca di rosso e creando un grottesco vortice color lampone intorno allo scarico. Mi lavai i capelli due volte, ripetendo i gesti meccanici finché non ci fu più nemmeno una traccia di rosa sul fondo della vasca. Solo allora, quando chiusi l’acqua e sentii scemare il getto, che si ridusse a un sommesso gocciolio lungo le pareti di plastica, mi decisi a guardarmi il corpo. Dalle punte dei piedi fino alle spalle, con la sola eccezione dei pochi punti in cui non c’erano ossa da spezzare, ero completamente ricoperta dalla filigrana sottile delle cicatrici rosate. Per tutti i numi… non avevo mai visto niente del genere. Sembravo una bambola di pezza patchwork. Uscii dalla doccia con le gambe che mi tremavano e mi girai di lato. La schiena era molto peggio. Il colore era più scuro lungo la spina dorsale, dato che molte delle vertebre erano state fratturate. Che tutte quelle ossa avessero lacerato la pelle o fatto scoppiare delle vene? Probabilmente quand’era successo sentivo già troppo dolore per accorgermene. Apollyon o no, non riuscivo a credere di essere sopravvissuta a una cosa del genere. Niente di tutto quello che era successo sembrava reale. Il senso di torpore al petto si diffuse come un’erba infestante. Forse mi ero rincretinita per via di quello che avevo visto, perché mi aspettavo già da prima che il mio corpo avesse quell’aspetto, eppure la consapevolezza non penetrò a fondo.
25
Uno strano segno sulla schiena, vicino al fianco, attirò la mia attenzione. Era del colore di una rosa pallida, ma non aveva la stessa forma del resto delle cicatrici. Sfregai lo specchio appannato e mi girai per vedermi meglio la parte bassa della schiena. Rimasi a bocca aperta. Per tutte le anime degli Inferi, aveva decisamente la forma di una mano. «Ma che cavolo?» «Alex?» Dalla camera giunse la voce di Aiden. «Tutto bene là dentro?» Con il cuore che rimbombava, afferrai un telo dal portasciugamani e me lo avvolsi attorno al corpo. Quella cicatrice era l’ultima cosa che volevo che Aiden vedesse. Aprii la porta e mi costrinsi ad assumere quella che speravo fosse un’espressione rassicurante. «Sì, tutto okay.» Dalla sua faccia si capiva chiaramente che non mi credeva, ma poi il suo sguardo scese più in basso. Non era stato il telo ad attirare la sua attenzione, né il fatto che fossi mezza nuda. Nel profondo del cuore, sapevo perché mi stava fissando e perché aveva serrato le labbra. Sapevo che non era stata la vista del mio corpo a bloccarlo. Era stata la ragnatela di cicatrici che adesso ricopriva praticamente ogni centimetro della mia pelle; era la prima volta che la vedeva in tutta la sua gloria. Avvampai per l’imbarazzo. Di cicatrici ne avevo anche prima, fra i marchi dei daimon e la ferita del pugnale, ma non erano mai arrivate a quel livello. Queste erano orribili, veramente orribili. Non lo si poteva negare.
26
Aiden alzò lo sguardo, incrociando il mio, e io non riuscii a sopportare la vista delle emozioni che gli vorticavano negli occhi d’argento o il pensiero di affrontare un’altra conversazione come quella di prima. Corsi a prendere i vestiti puliti che mi aveva appoggiato sul letto e tornai indietro barcollando, quasi cadendo di nuovo nel bagno. «Arrivo subito.» «Alex…» Chiusi la porta per bloccare qualsiasi discorso stesse per farmi; mi avrebbe sicuramente detto qualcosa di incredibilmente incoraggiante, come suo solito, ma io non potevo sopportarlo. Non era affatto tutto okay. Era innegabile, il mio corpo non era più bello, e non ero così ingenua da illudermi che lo fosse. Mi sentii serrare la gola per le lacrime mentre mi strappavo di dosso il telo e lo gettavo a terra. Era davvero stupido preoccuparsene così tanto, perché di certo non era nella classifica dei Dieci Problemi Peggiori che avevamo in quel momento, ma che cavolo, mi bruciava nel petto come un fuoco ardente. Mi vestii e fissai la porta. Le lacrime non sgorgarono mai, il torpore dilagante invece si diffuse ovunque, lasciandosi dietro le emozioni peggiori: rabbia e sofferenza. E paura e ansia.
27
Questo volume è stato stampato nell’ottobre 2017 presso la Rotolito Lombarda - Milano