Miracolo nella 5a strada

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Date a una ragazza le scarpe giuste e conquisterĂ il mondo. Marilyn Monroe


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Nel mare ci sono molti pesci, ma, se vivi a New York, non te ne fai niente. Eva «No, non possiamo mandare due colombe! So che lui le vuole chiedere di sposarlo a Natale perché pensa che sia romantico, ma cambierà idea quando la sala si riempirà di escrementi di uccello. La direzione dell’albergo ci metterà sulla lista nera e l’amore della sua vita gli dirà di no, rovinando il lieto fine in cui tutti speriamo.» Sistemandosi meglio il cellulare contro l’orecchio, Eva Jordan si strinse nel cappotto. Oltre i finestrini del taxi la neve continuava a cadere, mettendo a dura prova la pazienza degli spalatori. Più ne toglievano, più si accumulava. Nell’eterna battaglia fra l’uomo e gli elementi della natura, l’uomo stava avendo la peggio. La fitta nevicata aveva quasi oscurato la visuale della Quinta Strada, le vetrine dei negozi un chiarore indistinto in mezzo al vorticare dei fiocchi. «Lo aiuterò a ripensare la sua idea di “romanticismo”, senza

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uccelli di qualsiasi genere, incluse oche e galline. E visto che siamo in argomento, un anello d’oro è più che sufficiente. Che se ne fa di cinque? Vuole essere eccezionale, non eccessivo: sono due cose ben diverse.» Come sempre, Paige si mostrò pratica. «Laura sogna questo momento da quando era bambina e lui è sotto pressione perché vuole che sia perfetto.» «Sono sicura che il sogno di Laura non comprenda le voliere. Mi farò venire in mente qualcosa e sarà spettacolare. Quando si tratta di coronare una storia d’amore, non mi batte nessuno.» «Le storie d’amore degli altri, intendi.» «Grazie per avermi ricordato che la mia vita sentimentale si è estinta anni fa.» «Non c’è di che. E visto che concordiamo sull’analisi della situazione, saresti così gentile da dirmi cosa hai intenzione di fare a riguardo?» «Assolutamente niente. E questa è l’ultima volta che tocchiamo l’argomento.» Eva recuperò il bloc-notes dalla borsa. «Concentriamoci sul lavoro. Manca un mese a Natale.» «Non abbiamo tempo di organizzare qualcosa di elaborato.» «Non è necessario che sia elaborato. L’importante è che sia emozionante. Laura dovrà commuoversi. Aspetta...» Eva picchiettò la penna sul foglio. «Si sono incontrati a Central Park, giusto? Portando a spasso il cane?» «Sì, ma, Eva, il parco è sotto mezzo metro di neve e non accenna a smettere. Una proposta lì si concluderebbe

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con un assideramento. Sarebbe ugualmente memorabile, ma per le ragioni sbagliate.» «Lascia fare a me. Avrò tempo di pensarci nei prossimi giorni, mentre finisco di decorare quel famoso appartamento in attesa che il proprietario ritorni dalla montagna.» Eva prese un appunto e rimise il blocco nella borsa. «Lavori troppo, Ev.» «Da che pulpito...» «Perfino io ogni tanto mi prendo una pausa.» «Be’, non so se te ne sei accorta, ma la Urban Genie sta crescendo molto in fretta.» «Prenderti una sera libera per uscire con un tipo sexy non arresterà la sua crescita.» «Ti ringrazio, ma c’è un piccolissimo problema. Non ho un tipo sexy con cui uscire. Anzi, non ne ho nemmeno uno passabile.» «Potresti provare di nuovo con quel sito di incontri online.» «Odio gli incontri online. Preferisco conoscere le persone in altri modi.» «Ma non hai mai occasioni per conoscere nessuno! Lavori tutto il giorno e poi te ne vai a letto con il tuo orsacchiotto.» «È un canguro di peluche. Me l’ha regalato nonna per il mio quinto compleanno.» «Il che spiega come mai è così spelacchiato. È ora che tu lo sostituisca con un uomo in carne e ossa, Eva.» «Adoro quel canguro. Non mi delude mai.»

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«Tesoro, hai bisogno di uscire con qualcuno. Che fine ha fatto quel bancario? Ti piaceva.» «Ha detto che mi avrebbe richiamato e non l’ha mai fatto. La vita è già abbastanza stressante anche senza stare lì ad aspettare che un tizio, a cui forse non sei nemmeno interessata, telefoni per invitarti a un appuntamento al quale non sei nemmeno sicura di voler andare.» «Avresti potuto chiamarlo tu.» «L’ho fatto. Ha bloccato il mio numero.» Eva si girò verso il finestrino. «Non ho problemi a inseguire il successo, se si tratta di costruire la nostra compagnia e il nostro futuro, ma mi rifiuto di inseguire un uomo. E poi lo sanno tutti: più cerchi l’amore, meno possibilità hai di incontrarlo. Devi aspettare che sia lui a trovare te.» «E se non riuscisse a trovarti perché non esci mai di casa?» «Sono uscita! Ti sto chiamando dalla Quinta Strada.» «Sola. Per andare in un altro appartamento. Sempre sola. Pensa a tutto il sesso che ti stai perdendo. Di questo passo, incontrerai l’Uomo Giusto quando avrai ottant’anni, un’anca artificiale e la dentiera.» «Un sacco di gente fa sesso a ottant’anni. Basta essere un po’ creativi.» Ignorando il brontolio dello stomaco, Eva si piegò in avanti e chiese al tassista: «Può fermarsi un attimo da Dean & DeLuca? Se questa sarà davvero la nevicata del secolo, devo comprare ancora qualcosa». Paige tornò alla carica. «Nelle ultime due settimane non ci siamo praticamente viste. Hai sempre troppo da fare. So che questo periodo dell’anno non è facile per te e che

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senti la mancanza di tua nonna.» La sua voce si ammorbidì. «Vuoi che dopo il lavoro venga lì a farti compagnia?» La tentazione di accettare era molto forte. Avrebbero aperto una bottiglia di vino e si sarebbero messe comode sul divano a chiacchierare. Avrebbe potuto spiegare a Paige che, anche se il peggio era passato, la depressione era sempre in agguato e poi... Poi cosa? Eva abbassò lo sguardo. Non voleva essere quel tipo di amica. Quella che non fa altro che piagnucolare e lamentarsi. Quella pesante, che tutti cercano di evitare. In ogni caso, disperarsi con le sue amiche non avrebbe cambiato niente. La nonna si sarebbe vergognata di lei. «Tu hai due appuntamenti in centro e poi Jake ti aspetta per cena.» «Lo so, però potrei tranquillamente...» «No, non rimanderai niente.» Eva lo disse tutto d’un fiato, prima di cambiare idea. «Starò bene.» «Se il tempo non fosse così brutto, potresti tornare a casa e poi andare di nuovo lì domani, ma pare che questa tempesta sarà veramente grossa. Il sindaco ha dichiarato lo stato di emergenza. Forse è meglio se non ti sposti.» Eva si morse il labbro. I suoi sentimenti restavano sempre gli stessi, indipendentemente da dove si trovava. Non sapeva se fosse normale così, ma non aveva mai perso una persona cara, prima, e lei e la nonna erano state davvero molto legate. Se n’era andata da poco più di un anno, ma per Eva la ferita era ancora fresca.

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Era per merito di sua nonna se lei era cresciuta sana e felice. Pur sapendo che è impossibile attribuire un valore a qualcosa che non ha prezzo, Eva sentiva di doverle tutto. Per ripagarla e renderla orgogliosa, aveva sempre seguito i suoi insegnamenti preziosi. Se fosse qui adesso, non sarebbe per niente orgogliosa. Eva sapeva che la nonna l’avrebbe rimproverata, accusandola di passare tutte le sere in casa, in compagnia di una tazza di cioccolata calda e di Netflix. L’avrebbe spinta a uscire e a fare nuove conoscenze, proprio per vincere la tristezza. Per un po’ Eva aveva cercato di farlo, ma si era stancata in fretta e dall’inizio dell’estate la sua vita sociale ruotava attorno alle sue amiche e socie, Paige e Frankie: con loro, tutta era facile e rassicurante. Adesso, però, entrambe erano fidanzate ed era ironico che proprio Eva, la più romantica del trio, conducesse un’esistenza completamente priva di romanticismo. Alzò lo sguardo sul cielo plumbeo che continuava a scaricare neve sulla città. Si sentiva disconnessa. Persa. Perché, oh, perché, viveva tutto con tale intensità? Per fortuna aveva parecchio da fare. Quello era il primo Natale per la Urban Genie, la compagnia di eventi e servizi alla persona che le tre amiche avevano fondato, ed erano subissate di lavoro. La nonna sarebbe stata fiera del suo successo professionale. Sii felice di ogni piccola cosa, Eva. Vivi il momento. Eva sbatté le palpebre, come per liberarsi del velo di tristezza che le offuscava la vista.

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Aveva vissuto quegli ultimi dodici mesi con lo sguardo rivolto al futuro, pianificando ogni cosa nel dettaglio, facendo i salti mortali per stare dietro a tutto. Non aveva avuto nemmeno il tempo di fermarsi per tirare il fiato, figuriamoci per apprezzare il momento. Si era affannata così per l’intero anno, con il gelo di gennaio, le giornate profumate di primavera, l’afa soffocante dell’estate, i colori dell’autunno... Adesso il ciclo si stava chiudendo con un altro inverno. Eva si era fatta largo nella vita a spallate, a fatica ma con determinazione, un piede davanti all’altro senza quasi vedere dove stesse andando. Non si era mai soffermata a vivere il momento perché nessun momento le era sembrato memorabile. Si era sforzata di essere forte e sorridente, ma era stato l’anno più duro della sua vita. Il lutto, pensò, era davvero un pessimo compagno. «Ev?» La voce di Paige echeggiò nel microfono. «Ci sei? Sono preoccupata per te.» Eva chiuse gli occhi e sospirò. Non voleva che le sue amiche si preoccupassero per lei. Sua nonna gliel’aveva ripetuto un’infinità di volte. Sii il sole, Eva, non la pioggia. Non voleva essere la nuvola nera nel cielo azzurro di qualcun altro. Aprì gli occhi e sorrise tra sé. «E di che ti preoccupi? Sta nevicando. Appena schiarirà un po’, attraverserò la strada e andrò a fare un pupazzo nel parco. Visto che gli uomini reali scarseggiano, me ne costruirò uno di neve.»

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«Hai intenzione di costruirti un tipo sexy?» «Esatto. Con le spalle larghe e gli addominali scolpiti.» «E scommetto che userai una carota per fargli il naso.» Eva ridacchiò. «Mmh... Stavo pensando più a una zucchina, bella grande.» «Esigente come sei, non c’è da meravigliarsi che tu sia ancora single! E poi hai il senso dell’umorismo di una bambina di cinque anni.» «È per questo che siamo amiche da una vita.» «È bello sentirti ridere. Una volta Natale era il periodo dell’anno che amavi di più.» Era vero. I Babbi Natale sorridenti agli angoli delle strade, le canzoncine allegre nei negozi, gli alberi addobbati, la neve. Specialmente la neve. Le ricordava le corse in slitta fatte da bambina. Per Eva, la neve aveva qualcosa di magico. Basta, pensò. Basta. «È ancora il mio periodo preferito dell’anno.» Non avrebbe aspettato il 31 dicembre per prendere una decisione. Sarebbe uscita di casa e avrebbe affrontato la vita come le aveva insegnato la nonna. A cominciare da subito. Natale. Lo odiava. Quegli stupidi Babbi Natale sorridenti, le canzoncine sdolcinate nei negozi, gli alberi soffocati dagli addobbi, la neve. Specialmente la neve. Vorticava giù dal cielo con ingannevole innocenza, imbiancando ogni cosa,

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atterrando sul palmo di bambini che, incantati dallo spettacolo, pensavano a grandi pupazzi bianchi e a corse in slitta. Lucas invece pensava ad altro. Seduto al buio nel suo appartamento sulla Quinta Strada, fissava la coltre gelata che aveva ricoperto Central Park. Nevicava senza interruzione da due giorni e, a sentire gli esperti, era solo l’inizio. Avevano previsto la peggiore tempesta di neve della storia recente di New York. Di conseguenza, le strade erano deserte. Chi non era già a casa, cercava di arrivarci il più rapidamente possibile, approfittando dei mezzi pubblici che ancora circolavano. Nessuno guardava in alto. Nessuno sapeva che lui era lì. Nemmeno i suoi amorevoli ma asfissianti familiari, che lo credevano nel Vermont a scrivere. Se avessero saputo che era a casa, l’avrebbero tempestato di telefonate, per sapere come stava, per invitarlo a trascorrere il Natale tutti insieme. «Coraggio, è ora» gli avrebbero detto. «È passato abbastanza tempo.» Ma come si fa a quantificare il tempo? Lucas non era mai riuscito a capirlo. Sapeva soltanto di non essere ancora pronto. Non aveva alcuna intenzione di fingersi allegro per tutta la durata delle feste. Sperava di uscirne relativamente indenne, come ogni anno, senza infliggere il proprio malumore a nessuno. Stava male. Dentro e fuori, sentiva dolore dappertutto. Era rimasto straziato dalla violenza della perdita e adesso si trascinava nella vita senza una meta precisa.

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Sarebbe potuto andare davvero nel Vermont e chiudersi in una baita sepolta dalla neve come aveva raccontato ai suoi, oppure sarebbe potuto partire per i tropici, dove la neve non l’avevano mai vista. Ma a cosa sarebbe servito? Il dolore l’avrebbe seguito anche lì. Si spostava con lui, viveva in lui, era diventato la sua seconda pelle. Così era rimasto a casa, e quando le temperature erano precipitate, il suo palazzo si era trasformato in una fortezza di ghiaccio. La cosa si addiceva perfettamente al suo stato d’animo. L’unica nota dolente era il cellulare. Negli ultimi quattro giorni, aveva squillato almeno quindici volte e lui lo aveva sempre ignorato. A volte era la nonna, altre suo fratello, spesso era il suo agente. Rifletté per un momento su cosa sarebbe stata la sua vita senza la carriera e si decise ad allungare la mano verso il telefono. «Lucas!» Come al solito, la voce di Jason trasmetteva energia e vitalità. C’erano dei rumori in sottofondo, risate e musica natalizia. «Stavo cominciando a pensare che fossi stato travolto da una valanga. Come va lì in Vermont? C’è molta neve?» Lucas osservò il profilo degli edifici di Manhattan, ammorbidito dalla gran quantità di neve caduta. «Il Vermont è bellissimo.» Era la verità. Dando per scontato che non fosse cambiato dall’ultima volta. «La rivista Time ti ha appena eletto miglior autore di thriller del decennio. Hai visto l’articolo?»

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Lucas lanciò un’occhiata alla pila di posta non aperta. «Non ho ancora avuto tempo di leggerlo.» «È per questo che sei il migliore. Non ti distrai mai. Quando scrivi, per te esiste solo il libro. I tuoi fan sono già pronti a correre in libreria, stanno facendo il conto alla rovescia.» Il libro. L’angoscia gli chiuse lo stomaco. I pensieri cupi lasciarono spazio a un principio di panico. Non aveva ancora scritto una parola. Era in preda al proverbiale blocco, ma questo non lo sapeva nessuno, né il suo agente né tantomeno il suo editore. Sperava ancora in un miracolo, in una scintilla d’ispirazione che gli permettesse di liberarsi dei tentacoli velenosi del Natale per scrivere una storia avvincente. Buffo come le menti contorte e perverse dei suoi personaggi gli sembrassero un’alternativa preferibile allo scintillio delle feste. I suoi occhi si posarono sul coltello che aveva lasciato sul tavolo del salotto. La lama quasi luccicava, provocandolo. Aveva osservato quel coltello per buona parte della settimana, pur sapendo che non poteva essere la risposta. Lui era meglio di così. «È per questo che mi hai cercato? Per discutere del libro?» «So che non sopporti di essere disturbato quando scrivi, ma l’editore mi sta alle costole. Le vendite del tuo ultimo romanzo hanno superato le nostre più rosee aspettative e lui ha deciso di triplicare la tiratura per la prima

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edizione del prossimo.» Jason si lasciò sfuggire una risata. Probabilmente si stava sfregando le mani. «Non puoi darmi qualche indizio sulla trama?» «No, non posso.» Se almeno lui ne avesse avuto una vaga idea, adesso sarebbe stato davanti al computer a scrivere. Invece la sua testa era desolatamente vuota. Non aveva in mente un crimine. Peggio, non aveva un assassino. Per Lucas, ogni romanzo cominciava da un personaggio. Era famoso per i suoi improvvisi colpi di scena, che avevano la capacità di cogliere di sorpresa anche i lettori più smaliziati e intuitivi. Questa volta la sorpresa sarebbe stata la pagina bianca. A quanto pareva, la crisi era ancora più acuta di quella dell’anno precedente. Anche allora il processo era stato lungo e doloroso, ma, in un modo e nell’altro, era riuscito a mettere una parola in fila all’altra entro la fine di novembre, prima che i ricordi lo paralizzassero. Un po’ come cercare di raggiungere la cima dell’Everest con un paio di giorni di anticipo sulla tempesta in arrivo. Il tempismo era fondamentale. Questa volta, però, non aveva trovato la forza di mettersi al lavoro e lo assaliva il dubbio che ormai fosse troppo tardi. Avrebbe dovuto chiedere una proroga per la consegna, giustificandosi. Tremava al pensiero degli sguardi compassionevoli, delle espressioni di finta comprensione. «Dài, mandami almeno il primo capitolo.»

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«Ti farò sapere» borbottò Lucas, affrettandosi a chiudere la comunicazione dopo gli auguri di rito. Si massaggiò il collo. Non aveva il primo capitolo. Non aveva nemmeno la prima riga. Finora l’unica vittima era la sua ispirazione. Giaceva inerte dentro di lui e non dava segni di vita. Sarebbe stato capace di resuscitarla? Ne dubitava. Aveva passato ore seduto davanti al portatile e non aveva scritto una parola. Nella sua testa c’era solo Sallyanne. Lo riempiva completamente, dominava i suoi pensieri e il suo cuore. Quel cuore a pezzi, forse irrimediabilmente danneggiato. Quel giorno cadeva il terzo anniversario della telefonata che lo aveva fatto deragliare dal corso, apparentemente sereno e fortunato, della sua vita. Per Lucas, era stato come vivere la scena di uno dei suoi libri. Ma era stato lui a dover identificare il corpo all’obitorio, non uno dei suoi personaggi. Da allora non aveva fatto altro che trascinarsi attraverso le giornate, impegnandosi affinché gli altri, dall’esterno, pensassero che si fosse ripreso. Aveva capito quasi subito che le persone non volevano vedere il suo dolore, la sua disperazione, il suo lutto. Familiari, amici, collaboratori... tutti desideravano credere che lui avesse superato lo shock della tragedia e stesse andando avanti. Riusciva quasi sempre a soddisfare le loro aspettative, tranne in quel periodo dell’anno, quando si avvicinava l’anniversario della morte di Sallyanne. Prima o poi avrebbe dovuto confessare al suo agente

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e al suo editore che non aveva nemmeno iniziato a scrivere il romanzo che i fan attendevano con tanta trepidazione. Quel libro non avrebbe reso una fortuna alla sua casa editrice perché, semplicemente... non esisteva. E lui non sapeva cosa fare per rievocare la magia che gli aveva permesso di saltare in testa alla classifica dei best seller in più di cinquanta Paesi. Ogni mattina ripeteva lo stesso rituale che aveva seguito negli ultimi due mesi. Si sedeva davanti al computer e fissava lo schermo, aspettando che dai meandri della sua mente tormentata emergesse un’idea. Continuava a sperare in un miracolo. In fondo era la stagione giusta, no? «Siamo arrivati?» Eva sbirciò fuori dal finestrino del taxi. «Incredibile. Domina Central Park. Cosa non darei per vivere qui, a due passi da Tiffany!» Il tassista le lanciò un’occhiata nello specchietto. «Ha un sacco di bagagli. Le serve una mano?» «Ce la faccio, grazie.» Eva gli allungò tre banconote da dieci dollari. Faceva un freddo assurdo e la nevicata si era ulteriormente infittita; grossi fiocchi pesanti che riducevano la visibilità iniziarono subito a posarsi sul cappotto di Eva. Alcuni si infilarono nello spazio stretto tra il bavero e il berretto di lana e si sciolsero sulla sua pelle, strappandole un brivido. Il marciapiede era ghiacciato. Mosse un passetto avanti, poi un altro, eppure, nonostante la cautela, perse l’equilibrio.

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«Argh...» D’istinto allargò le braccia, ma, senza l’intervento del portiere, sarebbe sicuramente caduta. «Attenta. Si scivola.» «Davvero? Non me n’ero accorta.» Si aggrappò alla mano di lui, ricomponendosi. «Grazie. Non avrei voluto trascorrere il Natale in ospedale con la gamba rotta. Pare che il cibo faccia schifo.» «Di questi ci occupiamo noi.» L’uomo fece un cenno e due ragazzi in livrea uscirono dal palazzo, trasferendo scatole e sacchetti su un carrello per i bagagli. «Grazie. Vado all’ultimo piano. All’attico. Mi tratterrò per qualche giorno per decorare l’appartamento di un cliente che è fuori città. Lucas Blade.» Il famoso autore di thriller che vantava una dozzina di best seller mondiali. Eva non ne aveva letto neanche uno. Odiava ogni forma di violenza, sia reale sia fittizia. Preferiva concentrarsi sul lato buono delle persone e della vita. Preferiva dormire di notte. Il calore del palazzo l’avvolse come una coperta. Fuori stava imperversando una vera e propria bufera di neve e, sebbene fosse stata all’aperto solo per pochi istanti, Eva aveva le guance in fiamme e le dita insensibili sotto i guanti. Nemmeno il cappello di lana che si era tirata fin sulle orecchie era riuscito a proteggerla dal morso gelido dell’inverno newyorkese. «Ho bisogno di vedere un documento.» Il portiere era molto professionale. «Di recente in questa zona ci sono stati dei furti. Per quale compagnia lavora?»

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«La Urban Genie.» Dopo circa un anno, la compagnia era ancora una novità per lei, tanto da procurarle un moto d’orgoglio quando ne pronunciava il nome. Gli porse la patente. «Non siamo in giro da molto, ma ci siamo abbattute su New York come una tempesta.» Si sfilò i guanti e sorrise. «Be’, visto quello che sta succedendo fuori, forse sarebbe meglio dire come una piacevole brezza... ma siamo piene di progetti per il futuro. Ho la chiave del signor Blade.» La tirò fuori dalla borsa, agitandola come una prova, e lo sguardo dell’uomo si ammorbidì. «Va bene, signorina: è sulla mia lista. Metta una firma qui, per cortesia.» «Posso chiederle un favore?» Eva terminò la firma con uno svolazzo. «Quando tornerà Lucas Blade, non gli dica che sono stata qui. Quando aprirà la porta, dovrà trovarsi davanti l’appartamento pronto per il Natale. Un po’ come una festa a sorpresa.» All’inizio, Eva era stata dubbiosa, perché non tutti amano le feste a sorpresa, ma chi era lei per contraddire la nonna di Blade? Mitzi, che dopo essere stata una delle loro prime clienti, era diventata una buona amica, le aveva dato istruzioni molto precise. Eva avrebbe dovuto preparare l’appartamento al Natale. Secondo Mitzi, Lucas si trovava nel Vermont, impegnato a scrivere un libro che avrebbe dovuto consegnare a breve. In altre parole, per lui il mondo aveva cessato di esistere. Oltre a decorare l’attico, Eva aveva ricevuto il compito di riempire il suo freezer di manicaretti, che avrebbe cucinato lei stessa durante il weekend.

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«Va bene, non si preoccupi. Non gli dirò niente.» Il portiere sorrise. «Grazie...» Abbassò lo sguardo sulla targhetta appesa al taschino della giacca. «... Albert. Mi ha salvato la vita. In alcune culture, da questo momento in poi le apparterrei. Fortunatamente per lei, siamo a New York. Non saprà mai che rischio ha corso.» Lui rise. «Stamattina la nonna del signor Blade mi ha telefonato per informarmi di aver spedito il suo dono per Natale. Non mi aspettavo una donna.» «I miei talenti sono il regalo, non io. Altrimenti, mi sarei presentata avvolta nella carta regalo con un bel fiocco rosso in testa!» «Quindi si fermerà qui per tre notti. Sola?» «Esatto.» Non c’era niente di nuovo in questo. A parte le sempre più rare volte in cui Paige si fermava a dormire dalla sua vecchia coinquilina, Eva trascorreva tutte le notti da sola. Non ricordava quando era stata l’ultima volta in cui avesse dormito con un uomo, ma era determinata a far sì che la situazione cambiasse. Era in cima alla sua lista di desideri per Natale. «Lucas non tornerà prima della prossima settimana e, con questo tempo infame, non avrebbe avuto senso fare avanti e indietro tra Brooklyn e Manhattan.» Lanciò un’occhiata in direzione della porta, alla neve che si stava attaccando sui vetri colorati. «Qualcosa mi dice che stanotte non si muoverà nessuno.» «Stavolta è davvero brutta. Hanno previsto sessanta centimetri di neve e raffiche di vento fino a ottanta chilometri all’ora. Il momento giusto per fare provviste di cibo,

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controllare le batterie della torcia e tirare fuori la pala.» Albert abbassò lo sguardo sui suoi pacchi, che traboccavano di decorazioni natalizie. «Lei ha già provveduto, a quanto pare. Festoni e ghirlande non le mancheranno. Presumo che sia una persona che ama le feste.» «Già, è così.» O meglio, una volta era così. Avrebbe dato qualsiasi cosa per tornare a essere quella persona. Ignorando il senso di vuoto che avvertiva in mezzo al petto, chiese: «E lei, Albert?». «Ci sto lavorando. Due estati fa ho perso mia moglie. Eravamo sposati da quarant’anni. Non abbiamo avuto figli, per cui passavamo il Natale sempre tra noi. Adesso sono rimasto solo. Le confesso che starei più volentieri qui, di servizio, che a casa mia davanti a un pranzo scongelato al microonde.» Eva sperimentò un moto di empatia nei suoi confronti. Capiva il bisogno di stare in mezzo alla gente. Anche lei era fatta così. Certo, stava bene anche da sola, ma, potendo scegliere, preferiva di gran lunga la compagnia. D’istinto, infilò la mano nella tasca interna del cappotto e tirò fuori un biglietto da visita. «Tenga...» «Romano’s Sicilian Restaurant, Brooklyn?» «La pizza migliore di tutta New York. La proprietaria, Maria, è la madre di un mio amico e il giorno di Natale cucina per tutti. Io le do una mano. Sono una cuoca, anche se adesso, per gli eventi che organizziamo, ricorro a servizi di catering.» Troppe informazioni, pensò, soffocando una smorfia. Indicò il biglietto. «Se per Natale non ha altri impegni, ci raggiunga, Albert.»

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Lui fissò il biglietto che aveva in mano. «Ci siamo conosciuti cinque minuti fa. Perché mi invita?» «Perché lei mi ha salvato da una brutta caduta e perché è Natale. Nessuno deve stare solo il giorno di Natale. Nemmeno io me ne starò tappata qui dentro per tre giorni. Appena nevicherà un po’ meno forte, almeno quel tanto che basta per vedersi la mano allungando il braccio, andrò a Central Park e costruirò un pupazzo di neve delle dimensioni dell’Empire State Building. Ah... A proposito di strutture gigantesche, più tardi dovrebbero consegnare un albero di Natale. Forse, vedendolo, penserà che io abbia rubato quello davanti al Rockefeller Center, ma le assicuro che non è così.» «È molto grande?» «Ho pensato che questo tizio vive in un attico e per gli attici ci vogliono alberi grandi. Mi auguro che riescano a portarlo di sopra.» «Lasci fare a me.» Albert aggrottò la fronte. «È proprio sicura di non voler tornare dai suoi, finché è ancora possibile?» Le parole di quell’uomo toccarono un tasto dolente. «Starò bene qui, al sicuro e bella riscaldata. Grazie, Albert. Lei è il mio eroe.» Eva si incamminò verso l’ascensore, pensando che probabilmente in quel momento tutti i newyorkesi erano diretti a casa, al calore, alle risate e agli abbracci della famiglia. Tutti tranne lei. Lei non aveva nessuno. Non le era rimasto un singolo familiare. Certo, aveva

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le sue amiche, amiche fantastiche, ma per qualche ragione questo non attenuava il dolore. Sola. Cosa c’era, nel Natale, che amplificava questo vuoto? L’ascensore viaggiò silenziosamente all’interno del palazzo, poi le porte si aprirono. L’appartamento di Lucas Blade era lì di fronte e, una volta entrata, Eva ringraziò i fattorini che l’avevano aiutata a portare scatoloni e sacchetti e chiuse la porta alle loro spalle. Quando si voltò, rimase senza fiato per il panorama che si vedeva da lassù, attraverso le vetrate che occupavano tutta la parete. Senza accendere le luci, si tolse gli stivali bagnati e si avvicinò alla finestra. Non sapeva niente di Blade, ma una cosa era certa: quell’uomo aveva un ottimo gusto. Aveva anche il riscaldamento a pavimento e i suoi piedi intirizziti ringraziarono per il meraviglioso calore che filtrava attraverso le calze di lana. Mentre osservava gli edifici circostanti, la sensazione di freddo nelle ossa svanì senza lasciar traccia. Sotto, molti piani più in basso, poteva vedere sulla Quinta Strada le luci dei pochi taxi coraggiosi impegnati in quella che sarebbe probabilmente stata la loro ultima corsa per Manhattan. Presto le strade sarebbero diventate impraticabili. Spostarsi sarebbe stato impossibile, o perlomeno molto rischioso. New York, la città che non dorme mai, sarebbe stata finalmente costretta a riposare.

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La neve continuava a cadere, grossi fiocchi che ondeggiavano e vorticavano nell’aria prima di posarsi pigramente sulla coltre, già piuttosto spessa, che ammantava la città. Eva si strinse nelle braccia, lasciando vagare lo sguardo sul paesaggio imbiancato di Central Park. New York al meglio del suo sogno invernale. Non riusciva proprio a capire perché Blade sentisse il bisogno di ritirarsi chissà dove a scrivere. Se quel posto fosse stato suo, non se ne sarebbe mai andata. Ma forse lui era stato obbligato a lasciarlo per sfuggire ai ricordi. L’amatissima moglie era morta tre anni prima, poco prima di Natale, e Mitzi aveva raccontato a Eva che quella tragedia lo aveva cambiato profondamente. Be’, era normale. Aveva perso il grande amore della sua vita. L’anima gemella. Eva appoggiò la fronte sul vetro, il cuore che sanguinava per quello sconosciuto. Le amiche le ripetevano di continuo che era troppo sensibile, ma lei non poteva farci niente: era la sua natura. Alcune persone ascoltano impassibili le notizie al telegiornale, Eva invece sentiva tutto in profondità e in quel momento, anche se non lo aveva mai incontrato, sentiva il dolore di Lucas. Cosa c’è di più crudele che sposare il grande amore della tua vita e poi perderlo? Come si fa a raccogliere i pezzi e andare avanti? Non avrebbe saputo dire quanto a lungo fosse ri-

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masta lì in piedi, davanti alla vetrata, o quando di preciso avesse avuto la sensazione di non essere sola. Cominciò con un lieve formicolio alla nuca, che si trasformò in un brivido di paura nell’attimo in cui udì una specie di tonfo. Me lo sono immaginato, vero? Era sola, completamente sola. Eppure si trovava in uno dei palazzi più sorvegliati della città e lei ricordava distintamente di aver richiuso la porta. Non era possibile che qualcuno l’avesse seguita all’interno, dunque nell’appartamento non poteva esserci nessuno, a meno che... Deglutì, mentre un’ipotesi si faceva strada nella sua mente terrorizzata. ... a meno che non fosse stato già lì. Girò lentamente la testa, maledicendosi per non aver acceso la luce. Con il cielo plumbeo, l’appartamento era pieno di ombre cavernose e di angoli completamente bui. La sua immaginazione partì al galoppo, ma lei provò a ragionare. Quel tonfo sarebbe potuto dipendere da molte cose. O forse addirittura era venuto da fuori. Trattenne il respiro e, dopo una manciata di angoscianti secondi, sentì un altro rumore, questa volta sicuramente all’interno dell’appartamento. Sembrava un rumore di passi. Passi furtivi, di chi cerca di non farsi scoprire. Sollevò lo sguardo e vide qualcosa muoversi tra le ombre sulla parete. Il terrore la investì, paralizzandola. Erano ladri, senza dubbio.

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Doveva andarsene il più rapidamente possibile, ma la porta sembrava lontanissima. Sarebbe riuscita a raggiungerla? Il cuore le batteva all’impazzata nel petto e aveva le mani sudate. Si avviò verso la porta e lungo il tragitto prese in mano il cellulare. Tremava così tanto che per poco non le cadde. Schiacciò il tasto per le emergenze e, quando sentì una voce femminile che diceva: «Qui 911...», sussurrò nel microfono: «Aiuto. C’è qualcuno in casa». «Alzi la voce, signora.» «C’è qualcuno in casa.» Doveva scendere da Albert. Lui avrebbe... In quel momento, sentì una mano tapparle la bocca e, prima di poter cacciare un solo grido, Eva si ritrovò con la schiena sul pavimento, schiacciata dal peso di un potente corpo maschile. L’uomo l’aveva immobilizzata e con una mano le stringeva i polsi in una morsa d’acciaio. Oh, mio Dio. Se almeno avesse potuto gridare... ma non era nemmeno in grado di aprire la bocca. Era bloccata. Riusciva a malapena a respirare, anche se stranamente i suoi sensi registrarono il fatto che il suo aggressore aveva un buon profumo. Dopo due anni di sogni e speranze, finalmente si trovava in posizione orizzontale con un uomo. Era davvero un peccato che lui stesse cercando di ucciderla.

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RINGRAZIAMENTI

Scrivo storie positive dove, genericamente parlando, non muore nessuno. Entrare nella mente del mio eroe, Lucas, non è stato facile per me e voglio ringraziare lo scrittore Graeme Cameron, che mi ha concesso generosamente il suo tempo e mi ha aperto una finestra sulla mente di un autore di thriller. Graeme, il tuo romanzo, Normal, mi ha tenuta sveglia la notte e ha sicuramente contribuito a far lievitare la mia bolletta della luce. Lee Child lo ha descritto come ipnotico e raggelante e il fatto che io l’abbia letto tutto d’un fiato, sebbene di solito non vada alla ricerca di storie raggelanti, è un’ulteriore testimonianza del tuo talento di scrittore. Sei stato perfino capace di creare un serial killer con il senso dell’umorismo! Quest’anno ho avuto il grande piacere di essere invitata a partecipare alla campagna Get In Character, organizzata da CLIC Sargent, un’associazione benefica che raccoglie fondi per bambini e giovani malati di cancro. Il mio ringraziamento è per Ann Cooper, che ha generosamente prestato il suo nome a un personaggio di questo

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libro. Annie Cooper è un’infermiera, una donna altruista e meravigliosa come te. Spero che ti piaccia! Un grazie sentito anche a Laura Coutts, che, nel corso dell’asta, ha fatto un’offerta generosa per alcune copie autografate dei miei libri. Come sempre, grazie a tutti i miei magnifici lettori che continuano a comprare i miei libri e a mandarmi messaggi gentili e pieni di affetto. Sarah xxx


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