TRAMONTO A CENTRAL PARK traduzione di Fabio Pacini
ISBN 978-88-6905-253-8 Titolo originale dell’edizione in lingua inglese: Sunset in Central Park HQN Books © 2016 Sarah Morgan Traduzione di Fabio Pacini Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Books S.A. Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. © 2017 HarperCollins Italia S.p.A., Milano Prima edizione HarperCollins settembre 2017
Per la mia cara amica Dawn, con tanto amore
Mai è stato liscio il corso del vero amore. William Shakespeare (Sogno d’una notte di mezza estate, Atto I, scena I)
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La Bella Addormentata non aveva bisogno di un principe. Aveva bisogno di un caffè forte. Frankie
Si era aspettata cuoricini, fiori e sorrisi. Non lacrime. «Crisi in corso, ore due.» Frankie si aggiustò l’auricolare per sentire la risposta di Eva. «Non è possibile. Sono le tre passate.» «Non l’ora, la posizione. Davanti a me leggermente sulla destra.» Una pausa. «Vicino al melo?» «Esatto.» «Allora perché non hai detto: “Vicino al melo”?» «Perché se sono costretta a portare un auricolare per avere un’aria professionale, parlo come una vera professionista.» «Frankie, sembravi più un’agente dell’FBI che una designer floreale. E come può esserci una crisi? Sta an-
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dando tutto a meraviglia. Il tempo è splendido, i tavoli sono perfettamente apparecchiati e le torte sono uno spettacolo, anche se non dovrei essere io a dirlo. La futura sposa è raggiante e gli invitati saranno qui a minuti.» Frankie fissò la donna accasciata contro il tronco dell’albero. «Mi dispiace dovervelo dire, ma la futura sposa non è raggiante. Vedo delle lacrime. Sono l’ultima persona in grado di capire la psicologia dei matrimoni e tutta la scenografia che li circonda, ma non credo sia un buon segno. Se due persone decidono di sposarsi, è perché sono convinti che il matrimonio sia una cosa bella, ho ragione?» «Sei sicura che non siano lacrime di felicità? E quante sono, di preciso? Da un singolo fazzoletto, oppure da un intero pacchetto?» «Abbastanza da riempire una piccola piscina. Piange come una cascata dopo una settimana di pioggia ininterrotta.» «Oh, no! Le colerà il trucco. Sai cosa è successo?» «Forse si è resa conto che avrebbe dovuto optare per la ganache al cioccolato invece della glassa all’arancia.» «Frankie...» «Oppure ha avuto un’illuminazione e ha deciso di tirarsi indietro finché è ancora in tempo. Se stessi per sposarmi, piangerei anch’io, molto più a lungo e disperatamente di lei.» Le vibrò un sospiro nell’orecchio. «Avevi promesso di lasciare le tue fobie sulle relazioni fuori dalla porta.» «Ehi, ti assicuro che la porta l’ho chiusa, ma devono
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essere passate dal buco della serratura.» «Ti ricordo che l’umore prescritto per questo genere di eventi è ottimismo solare.» Frankie fissò la promessa sposa, che singhiozzava sotto il melo. «Da qua non si direbbe. Comunque, è stata un’estate secca. Il melo sarà contento di venire innaffiato.» «Va’ da lei e abbracciala, Frankie! Dille che andrà tutto bene.» «Sta per sposarsi. Come vuoi che possa andare bene?» Frankie rabbrividì. L’unica cosa che odiava più dei bridal showers, le tradizionali feste delle future spose, erano i matrimoni. «Mi rifiuto di mentire.» «Non sarebbe una menzogna! Un sacco persone si sposano e vivono felici.» «Sì, nelle favole. Nella vita reale si tradiscono a vicenda e poi divorziano.» Frankie rabbrividì di nuovo, lottando contro i propri pregiudizi. «Intervenite voi. Questo è il vostro settore. Sapete che non sono brava a fare la sentimentale.» «Ci penso io.» Questa volta fu Paige a parlare e pochi secondi dopo Frankie la vide sbucare sul prato, tranquilla e composta a dispetto dell’afa soffocante di New York. «Cosa stava facendo immediatamente prima di mettersi a piangere?» «Era al telefono con qualcuno.» «Hai sentito cosa diceva?» «Non ascolto le conversazioni degli altri. Forse è crollata la Borsa o qualcosa del genere, anche se, a giudi-
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care dalle dimensioni di questa casa, solo un crollo davvero catastrofico potrebbe fare la differenza.» Frankie si tolse una ciocca di capelli dalla fronte sudaticcia. «D’ora in avanti dovremo farli al chiuso, questo genere di eventi. Sto morendo di caldo.» Era una di quelle giornate che ti incollano i vestiti alla pelle, facendoti sognare aria condizionata e bibite ghiacciate. Pensò con nostalgia al suo appartamentino a Brooklyn. Se fosse stata a casa, avrebbe curato le sue piante aromatiche, osservando il gioco d’amore fra le api e i fiori del piccolo giardino. Oppure sarebbe salita sul tetto insieme alle amiche, per contemplare dalla terrazza il sole che tramonta sopra Manhattan con un bicchiere di vino in mano. I matrimoni sarebbero stati mille miglia lontani dalla sua mente. Si sentì toccare il braccio e lanciò un’occhiata alla sua amica. «Che c’è?» «So come ti senti. Detesti i matrimoni e questo genere di cose. Non ti avrei mai chiesto di occupartene, ma in questo momento...» «La nostra attività è appena nata e non possiamo permetterci di rifiutare degli incarichi. Me ne rendo conto. Va bene.» La realtà era un po’ diversa, pensò ombrosamente Frankie, ma lei non si era tirata indietro lo stesso. Era lavoro e non potevano permettersi di fare le schizzinose. Da pochi mesi, dopo essere state licenziate da una
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grande compagnia di eventi di Manhattan, lei, Paige ed Eva si erano messe in proprio, fondando la Urban Genie, una startup che si occupava di eventi e servizi. Ripensando all’eccitazione e alla paura che avevano accompagnato i primi passi della loro impresa, Frankie abbozzò un sorriso. Era stato terrificante e liberatorio al tempo stesso. Erano diventate padrone del proprio destino. Il progetto era nato da un’idea di Paige e Frankie sapeva che, senza di lei, probabilmente adesso sarebbe stata disoccupata. Il che avrebbe significato non avere i soldi per l’affitto ed essere costretta a lasciare l’appartamento. L’ansia le serrò lo stomaco, come se qualcuno avesse gettato un sasso nel placido, immobile stagno che era la sua vita. L’indipendenza era tutto per lei. Ecco perché era lì. Per difendere la sua indipendenza e per senso di lealtà nei confronti delle amiche. Si spinse gli occhiali sul naso con un dito. «Sono in grado di affrontare tutti i matrimoni che ci commissioneranno. Non preoccuparti per me. La tua priorità è...» Inclinò la testa verso la donna sotto il melo. «Lei.» «Vado a parlarle. Se arrivano gli invitati, trattienili. Eva?» Paige si toccò l’auricolare. «Non portare ancora fuori le torte. Aspetta il mio segnale.» Si incamminò in direzione della futura sposa. Frankie sapeva che la sua amica avrebbe risolto qualsiasi problema. Paige era un’organizzatrice nata e aveva il dono di dire sempre la cosa giusta al momento giusto.
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Possedeva un altro dono, cruciale per il buon esito di eventi di questo genere: credeva nel lieto fine. Per come la vedeva Frankie, quelli che credevano nel lieto fine erano dei poveri illusi. I suoi genitori si erano separati quando lei aveva quattordici anni, il giorno in cui papà, un direttore delle vendite, aveva annunciato che lasciava mamma per una collega. Da allora anche tutto il resto era andato storto. Frankie fissò senza guardarli i nastri che vibravano nella brezza. Come faceva la gente? Come riuscivano, ignorando le statistiche, a convincersi che fosse possibile trovare l’anima gemella e stare per sempre con la stessa persona? “Per sempre” non esisteva. Cambiò posizione, inquieta. Paige aveva ragione. Non c’era niente sulla Terra che Frankie odiasse più dei matrimoni con annessi e connessi. Li percepiva come un presagio di sciagura. Era come guardare una macchina che corre sull’autostrada verso un gigantesco tamponamento a catena. Le veniva l’impulso di coprirsi gli occhi o di lanciare un grido di avvertimento. Quello che non le piaceva, che proprio non riusciva a sopportare, era assistere alla disgrazia. Vide Paige che passava un braccio sulle spalle della donna singhiozzante e si girò dall’altra parte. Si disse che era un modo per concedere la giusta privacy alla futura sposa, ma la verità era che non voleva guardare. Era troppo crudo, troppo reale. Guardare riportava in vita memo-
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rie che preferiva dimenticare. Fortunatamente, il suo lavoro non la obbligava ad avere a che fare con le emozioni dei clienti; lei si limitava a creare addobbi floreali in sintonia con lo spirito dell’evento. Oggi lo spirito sarebbe dovuto essere lieto, ragion per cui aveva scelto sfumature crema e colori pastello, che si intonavano perfettamente con le tovaglie di lino. Creste di gallo e piselli odorosi, ortensie e rose disposte in normalissimi vasi di vetro per soddisfare l’esigenza di semplicità della futura sposa. Ovviamente, semplicità era un termine relativo, pensò Frankie, osservando i due lunghi tavoli. Semplicità avrebbe potuto significare servire il pranzo dentro a cestini da picnic, ma in questo caso c’era un tripudio di posate d’argento e bicchieri di cristallo. Charles William Templeton era un avvocato con un sacco di clienti famosi e fondi sufficienti a far sì che la sua unica figlia, Robyn Rose, potesse avere un matrimonio da favola. Il Plaza era già stato prenotato per l’estate, e Frankie era felice che la Urban Genie non avrebbe organizzato il ricevimento. Il tema scelto per il bridal shower invece era eleganza da giardino con un tocco di romanticismo. Frankie era rimasta impassibile persino quando Robyn Rose aveva menzionato le fate dei fiori e Sogno di una notte di mezza estate. Grazie a Eva, che era molto brava a tradurre le visioni romantiche dei clienti in realtà, avevano rispettato i termini dell’incarico. Avevano noleggiato le sedie, decorandole con nastri colorati in modo che facessero pendant con le tovaglie.
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Delicate farfalle di seta fatte a mano erano artisticamente posizionate sui fiori e i cespugli del giardino, e svariate decine di metri di pizzo creavano un effetto “grotta incantata”. Sembrava quasi di essere dentro a una favola. Frankie abbozzò un sorriso. Solo Eva avrebbe potuto farsi venire quell’idea. L’unico accenno alla semplicità era il vecchio melo che offriva riparo alla sposa in lacrime. Frankie si stava già preparando a inventare delle scuse per trattenere gli invitati, quando Eva si materializzò al suo fianco, le guance arrossate dal sole. «Hai capito cosa sta succedendo?» «No, ma da qui non ha l’aria di una festa. Paige dovrà fare una delle sue magie.» Eva si guardò attorno con aria sognante. «È tutto bellissimo e noi abbiamo lavorato come matte per renderlo perfetto. Io adoro i bridal showers. Li vedo come l’ultima, grande festa prima che gli sposi salpino assieme verso il tramonto.» «Il tramonto è ciò che precede le tenebre, Ev.» «Non puoi almeno fingere di credere in quello che facciamo?» «Io credo in quello che facciamo. Siamo in affari. Organizziamo eventi e siamo dannatamente in gamba. E questo è un evento come tanti.» «Detto così, è tutto molto asettico, invece c’è anche un lato magico.» Eva raddrizzò le ali di una farfalla di seta. «A volte, grazie a noi, i desideri delle persone si realizzano.»
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«Il mio desiderio era di avere un buon lavoro assieme alle mie amiche, quindi in questo senso, sì, hai ragione. Ma non c’è niente di magico, a meno che reggersi in piedi dopo una giornata di diciotto ore non possa definirsi un atto di magia. Diciamo che anche il caffè ha poteri magici. Fortunatamente, non devo credere al lieto fine per fare bene il mio lavoro. La mia responsabilità si limita ai fiori.» E le piaceva moltissimo. La sua storia d’amore con le piante era iniziata da bambina, quando aveva cercato rifugio in giardino per sottrarsi ai drammi che andavano in scena dentro casa. I fiori potevano essere al tempo stesso un’arte e una scienza, e Frankie aveva studiato con attenzione ogni pianta, imparando a conoscere le varie peculiarità. Alcune amavano l’ombra, come le felci, lo zenzero e le arisaeme, altre, come girasoli e gigli, adoravano il sole. Tutte avevano bisogno di un habitat ideale, di una casa perfetta per fiorire. Piantate nel posto sbagliato, avvizzivano e morivano. Non erano molto diverse dagli umani, rifletté. Per lei non c’era soddisfazione più grande di scegliere il fiore giusto per l’evento giusto. Si divertiva a disegnare e creare composizioni, ma più di tutto le piaceva coltivare e curare fiori e piante durante l’anno. Dalla stravagante frivolezza dei boccioli primaverili ai colori bruciati, rugginosi dell’autunno, ogni stagione portava i suoi doni. «I fiori sono stupendi.» Eva studiò i mazzi sapientemente arrangiati all’interno dei vasi. «Quello è molto particolare. Cos’è?»
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«Una rosa.» «No, quello argentato.» «Una centaurea cineraria.» Eva la guardò. «Mmh... Detta anche?» «Fiordaliso delle scogliere.» «È bellissima. E hai usato i piselli odorosi.» La sua amica li guardò con aria languida. «Erano i favoriti di mia nonna. Quando potevo, ne raccoglievo un po’ e glieli mettevo sul comodino accanto al letto. Le ricordavano il suo matrimonio. Mi piace come li hai disposti. Hai un talento incredibile.» Frankie sentì il tremito nella sua voce. Eva aveva adorato sua nonna ed era rimasta devastata dalla sua morte, avvenuta un anno prima. Sapeva che la sua amica soffriva ancora molto per quella perdita. Ma sapeva anche che Eva non avrebbe voluto avere una crisi sul lavoro. «Sapevi che i piselli odorosi sono stati scoperti trecento anni fa da un monaco siciliano?» Eva deglutì. «No. Tu sei un’enciclopedia vivente.» «È il mio lavoro. Che te ne pare di questo? Non ci crederai, ma è un fiore di carota» disse rapidamente Frankie. «Dovrebbe piacerti. È perfetto per i matrimoni.» «Hai ragione.» Eva si ricompose. «Quando mi sposerò, nel mio bouquet dovrà esserci anche un fiore di carota. Me lo farai tu?» «Certo, ti preparerò il bouquet più meraviglioso che sia mai stato visto. Ma promettimi che non piangerai. Diventi un disastro, quando piangi.»
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Eva si passò una mano sulla faccia. «Quindi sarai felice per me? Anche se non credi nell’amore?» «Se qualcuno può dimostrarmi che sbaglio, quella sei tu. E te lo meriti. Spero che l’Uomo Giusto venga a rapirti in sella al suo cavallo bianco.» «Be’, seminerebbe un certo scompiglio sulla Quinta Strada.» Eva si soffiò il naso. «E io sono allergica al pelo di cavallo.» Frankie si sforzò di rimanere seria. «Certo che con te non ci si annoia mai.» «Grazie.» «Per cosa?» «Per avermi fatto ridere invece che piangere. Sei la migliore.» «Sì, be’, puoi ricambiare il favore gestendo questa situazione.» Frankie fece un cenno verso Paige che allungava a Robyn un altro fazzoletto di carta. «Lui l’ha mollata, eh?» «Non lo sappiamo. Potrebbe essere qualunque cosa. Oppure niente. Forse le è entrata una ciglia nell’occhio.» Frankie si girò a guardare Eva. «Fra un po’ mi dirai che credi ancora a Babbo Natale e alla fata dei dentini.» «E al coniglio pasquale.» Eva tirò fuori dalla borsa uno specchietto e si controllò il trucco. «Non dimenticare il coniglio!» «Com’è vivere sul pianeta Eva?» «Bellissimo. E non azzardarti a contaminarlo con il tuo cinismo. Un attimo fa stavi parlando dell’Uomo Giusto.»
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«Solo per impedirti di piangere. Non capisco perché le persone si sottopongano a queste torture quando potrebbero farla finita piantandosi un coltello da cucina nel cuore.» Eva rabbrividì. «Leggi troppi thriller. Perché non provi con i romanzi rosa?» «Preferisco piantarmi un coltello da cucina nel cuore.» E aveva la sensazione di averlo appena fatto. Stava guardando Robyn Rose, ma vedeva sua madre, stesa sul pavimento della cucina, distrutta dalla disperazione e dal dolore, mentre suo padre, bianco come il marmo, scavalcava il suo corpo tremante e se ne andava, lasciando Frankie a raccogliere i cocci. Sentì Eva che la prendeva a braccetto. «Un giorno, probabilmente quando meno te lo aspetti, ti innamorerai.» Un commento tipico di Eva. «Non accadrà mai.» Poi, sapendo che la sua amica era emotivamente vulnerabile, Frankie cercò di aggiustare il tiro. «L’amore ha su di me lo stesso effetto che l’aglio ha sui vampiri. E poi mi piace essere single. Non guardarmi con aria pietosa. È una scelta consapevole, non una sentenza di morte, né uno stato transitorio in attesa che arrivi qualcosa di meglio. Non essere dispiaciuta per me. Amo la mia vita.» «Non ti viene mai voglia di avvinghiarti a qualcuno di notte?» «No. In questo modo non devo litigare per il piumino. Posso occupare tutto il letto e tenere la luce accesa per
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leggere fino all’alba senza preoccuparmi di disturbare.» «Un libro non può prendere il posto di un uomo!» «Non sono d’accordo. Un libro può darti molte delle cose che ti dà una relazione. Può farti ridere e farti piangere, può trasportarti in mondi diversi e insegnarti cose nuove. Puoi anche portarlo fuori a cena. E, se ti annoia, puoi prenderne un altro. Il che è più o meno quello che succede con le persone nella vita reale.» Al contrario di suo padre, sua madre non si era mai risposata. Preferiva consumare gli uomini come se fossero riciclabili. «Adesso mi sta venendo di nuovo voglia di piangere. E come la metti con l’intimità? Un libro non potrà mai conoscerti.» «Posso fare a meno di quella parte.» Frankie non voleva farsi conoscere. Aveva abbandonato la piccola isola su cui era cresciuta proprio per questo motivo... la gente sapeva troppo. Ogni singolo dettaglio della sua vita, compresi quelli molto intimi e profondamente imbarazzanti, era stato di pubblico dominio. Paige tornò verso di loro. «La chiamata veniva dallo sposo» disse in tono asciutto e professionale. «Ha annullato tutto, la festa di oggi e il matrimonio.» Eva si mise una mano sul petto, scioccata. «Oh, no! Per lei deve essere un colpo terribile.» «Forse no.» Nonostante avesse già previsto tutto, Frankie ebbe una stretta allo stomaco. «Forse se l’è cavata per il rotto della cuffia.» «Come puoi dire una cosa simile?» «Prima o poi lui l’avrebbe tradita, spezzandole il
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cuore. Meglio adesso che fra cinque anni, quando magari avrebbero avuto tre figli e centouno cuccioli di dalmata. Pensate alle persone innocenti che avrebbero potuto restare coinvolte nel crollo.» Non volendo ammettere quanto l’amareggiasse avere ancora una volta ragione, Frankie si allungò in avanti e tolse il fiore di carota dal vaso. «Centouno cuccioli di qualsiasi razza metterebbero sotto pressione anche il più solido dei matrimoni, Frankie» disse Eva. «E non tutti gli uomini tradiscono.» Paige controllò l’ora sul cellulare e il diamante che aveva al dito scintillò, riflettendo la luce del sole. Vedendolo, Frankie venne assalita dai sensi di colpa. Avrebbe fatto meglio a tenere la bocca chiusa. Eva si divertiva a sognare a occhi aperti e Paige si era appena fidanzata. Non avevano bisogno di sentire le sue opinioni sui matrimoni. «Fra te e Jake sarà diverso» borbottò. «Siete una di quelle rare coppie perfette. Ignorami. Scusa, mi dispiace.» «Non devi scusarti.» Paige mosse la mano e l’anello brillò di nuovo. «Tu e io vogliamo cose diverse, tutto qui.» «Sono una guastafeste.» «Sei figlia di genitori divorziati. E non è stato un divorzio civile. Abbiamo tutti prospettive diverse sulla vita, a seconda delle nostre esperienze.» «Però io tendo a esagerare. Ne sono consapevole. Non era nemmeno il mio divorzio.» Paige scrollò le spalle. «Ne hai subito le conseguen-
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ze, era inevitabile. È come mettere in lavatrice una calza rossa e una camicia bianca. Alla fine la camicia esce macchiata.» Frankie abbozzò un mezzo sorriso. «In questa metafora io sarei la camicia bianca? Non credo di avere la stoffa...» Eva la studiò. «Hai ragione. Sei più un giubbotto da combattimento.» «Robyn è salita in casa per ritoccarsi il trucco.» Paige riportò la conversazione sul lavoro. «Gli invitati arriveranno a minuti. Ci parlerò.» «Cancelliamo?» «No. Andiamo avanti, ma non sarà più un bridal shower, bensì una festa... una celebrazione dell’amicizia.» Frankie si rilassò leggermente. Non aveva niente contro l’amicizia. «Bell’idea. Come sei riuscita a convincerla?» «Le ho fatto notare che gli amici sono lì per noi nella buona e nella cattiva sorte. Lei li aveva invitati nella buona, ma, se sono veri amici, resteranno anche nella cattiva.» «E la cattiva sorte è più sopportabile in una bella giornata di sole, con lo champagne e le fragole» disse Eva. «Eccola che arriva.» Frankie si avvicinò a un altro vaso di fiori, ma Paige la fermò posandole una mano sul braccio. «Che fai? Sono bellissimi.» «I fiori dovrebbero corrispondere al mood dell’occasione, e questi sono troppo matrimoniali.»
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Senza aspettare l’approvazione di Paige, Frankie rimosse tutti i fiori di carota dai mazzi e li gettò sotto un cespuglio. Si sforzò di non vederlo come un gesto simbolico. Le tre amiche tornarono a casa un po’ prima del tramonto. Sudaticcia, irritabile e molto turbata dagli eventi della giornata, Frankie frugò nella borsa in cerca delle chiavi. «Se non entro nel giro di cinque secondi, rischio di sciogliermi sullo zerbino.» Paige si avvicinò alla porta del suo appartamento. «A dispetto di tutto, è andata bene.» «Lui l’ha mollata» mormorò Eva e Paige si accigliò. «Lo so. Mi riferivo all’evento. Quello è andato bene. Dobbiamo festeggiare. Jake sta venendo qui. Perché non ci troviamo in terrazza per un drink?» Frankie non aveva alcuna voglia di festeggiare. «Non stasera. Ho appuntamento con un libro.» L’avrebbe aiutata a non pensare a come si doveva sentire Robyn Rose in quel momento e a non preoccuparsi degli effetti che questa vicenda avrebbe avuto su di lei e sulla sua capacità di amare ancora in futuro. Agitata, si lasciò cadere di mano le chiavi e notò di sfuggita l’occhiata complice tra le sue amiche. «Stai bene?» «Sì. Sono solo stanca. Una lunga giornata in un caldo infernale.» E parte di quel calore era dipeso dall’esposi-
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zione prolungata a un calderone ribollente di emozioni. Frankie recuperò le chiavi e si asciugò la fronte con il palmo della mano. «Forse se ogni tanto ti mettessi una gonna, soffriresti meno il caldo» disse Eva. «Sai che non porto mai la gonna.» «Dovresti. Hai delle gambe stupende.» Frankie provò ad aprire la porta, ma la chiave si incastrò nella serratura. «Ci vediamo domani.» «Va bene, e siccome noi sapevamo già che dopo il bridal shower avresti avuto bisogno di distrarti, ti abbiamo preso una cosa.» Paige infilò una mano nella sua borsa capiente, che conteneva di tutto, dal liquido detergente al nastro adesivo. «Tieni.» Le porse un pacchetto. Frankie lo prese, commossa da quel gesto. «Mi avete comprato un libro?» Lo scartò in fretta con un fremito di eccitazione. Il malumore svanì come per incanto. «È l’ultimo di Lucas Blade! Uscirà il mese prossimo. Come ve lo siete procurato?» Se lo strinse al petto, cercando di non mettersi a sbavare. Avrebbe voluto sedersi lì sulla soglia e immergersi nella lettura. «Eva ha ottimi contatti.» Eva schiuse le labbra in un sorriso che le fece apparire due fossette sulle guance. «È stato sufficiente accennare alla cara Mitzi che tu adori i romanzi di Lucas Blade e lei si è servita dei suoi superpoteri di nonna per costringerlo a firmarti una copia, anche se non capisco come sia possibile leggere un libro intitolato La morte ritorna. Io resterei sveglia tutta la notte con gli occhi sbarrati. L’unica cosa
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buona di questo libro è la foto sulla quarta di copertina. Lucas è mostruosamente attraente. Mitzi ha detto che me lo presenterà, ma non sono sicura di voler conoscere uno che scrive di omicidi per vivere. Non penso che abbiamo molto in comune.» «È autografato?» Frankie aprì il libro e vide una dedica a suo nome scritta in un corsivo fluente. «Fantastico! Stavo pensando di ordinarlo, ma, visto il successo dei romanzi precedenti, il prezzo è andato alle stelle. Non riesco a credere che abbiate fatto questo per me.» «La tua idea di horror è un bridal shower, o un matrimonio, ma te ne sei occupata lo stesso» disse Eva. «Così abbiamo deciso che ti meritavi un regalo. Questo è il nostro grazie. Se ti fa troppa paura e vuoi compagnia, vieni a bussare da noi.» Frankie sentì un groppo in gola. Ecco cos’è l’amicizia, pensò. «Mi auguro che mi faccia paura. Lo scopo è proprio questo.» Eva scosse la testa, incredula. «Ti voglio bene, ma non ti capirò mai.» Frankie sorrise. Forse capire non è poi così importante. Forse l’amicizia è amare qualcuno anche se non sempre lo si capisce. «Grazie» bofonchiò. «Siete le migliori.» La chiave finalmente girò, permettendole di entrare nel suo adorato appartamento. Richiuse la porta e per prima cosa si tolse gli occhiali. La montatura pesante le aveva lasciato due segni ai lati del naso, così se lo massaggiò delicatamente mentre attraversava il salotto. Lo spazio era ridotto, ma Frankie lo aveva arredato bene,
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con mobili di seconda mano trovati su Internet. Aveva rifoderato lei stessa il morbido e accogliente divano, ma la cosa che amava di più erano le sue piante. Occupavano ogni ripiano disponibile; un arcobaleno di verdi diversi punteggiato di macchie di colore che invitavano lo sguardo a indugiare su quel piccolo giardino. Aveva trasformato quei settanta metri quadri in un santuario vegetale. Un caprifoglio giallo e rosso, clematis mentana, si attorcigliava, assieme ad altri rampicanti, su un traliccio di legno, facendo da sfondo ai vasi traboccanti di piante. Pervinche e bacope si aggrovigliavano e mescolavano, ricadendo sulla piccola piattaforma di tavole di cedro che per quattro ore al giorno riceveva sole, e una lampada marocchina faceva bella mostra di sé sul tavolino rotondo dove Frankie aveva l’abitudine di sedersi quando non aveva voglia di raggiungere le sue amiche in terrazza. Calma e pace la avvolsero. La prospettiva di trascorrere la serata a leggere un libro che aspettava da mesi le risollevò il morale. Questa era la sua vita, e Frankie l’amava. Non era tagliata per le vertiginose discese e i bruschi sobbalzi di quell’ottovolante emotivo chiamato amore. Non ne aveva bisogno, non li desiderava. Non aveva mai sprecato un pomeriggio fissando con trepidazione il telefono in attesa che suonasse; non aveva mai infradiciato di lacrime un fazzoletto. Aprì il libro, poi pensò che se avesse cominciato a
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leggere sarebbe rimasta agganciata, e prima doveva farsi la doccia. L’indomani era domenica e lei non aveva niente da fare, il che significava che sarebbe potuta andare avanti a leggere fino a notte fonda e svegliarsi tranquillamente a mezzogiorno. Uno dei tanti vantaggi dell’essere single. Mise giù il libro, chiedendosi come mai in genere le persone fossero così ansiose di rinunciare a quel prezioso status. Per quanto volesse bene alle sue amiche, era contenta di vivere da sola. Paige ed Eva condividevano l’appartamento sopra il suo da anni, e sebbene adesso Paige passasse più tempo nel loft di Jake, tornava a casa almeno tre giorni a settimana. Frankie sospettava che quella decisione dipendesse in parte dalla necessità di mantenere uno spazio proprio e in parte dal desiderio di non lasciare sola Eva. Il sogno romantico di Eva di mettere su famiglia era qualcosa che Frankie riusciva a comprendere, ma non condivideva. Dal suo punto di vista, la famiglia era una faccenda complicata, imbarazzante, egoistica e, in troppe occasioni, dolorosa. E quando è la famiglia a farti soffrire, le ferite sono più profonde e più lente a guarire, forse perché le aspettative sono molto alte. Le esperienze che aveva accumulato crescendo avevano influenzato profondamente l’adulta che era diventata e le sue scelte di vita. Il suo passato era ciò che le impediva di partecipare
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a un matrimonio, o di organizzarlo, senza provare l’impulso di chiedere agli sposi se fossero proprio sicuri di promettersi fedeltà eterna. Il passato era il motivo per cui non si vestiva mai di rosso, odiava le gonne ed era incapace di mantenere una relazione con un uomo. Il passato era ciò che la spingeva a tenersi alla larga dall’isola in cui era nata e su cui aveva trascorso i primi diciotto anni della sua vita. Puffin Island era un paradiso per gli amanti della natura, ma per Frankie era popolata di brutti ricordi e da persone che provavano risentimento nei confronti dei Cole. Non poteva biasimarli. Era cresciuta all’ombra dei peccati di sua madre e la reputazione della sua famiglia era una delle ragioni che l’avevano spinta a trasferirsi a New York. Lì perlomeno, quando entrava in un negozio, non le era mai capitato di interrompere persone intente a parlare male di lei. A nessuno importava che suo padre fosse scappato con una donna che aveva la metà dei suoi anni, o che sua madre avesse deciso di curare le proprie insicurezze portandosi a letto ogni uomo che le capitava a tiro. Era riuscita a lasciarsi tutto alle spalle fino a sei mesi prima, quando all’improvviso sua madre aveva deciso di smettere di spostarsi su e giù per il Paese, passando di lavoro in lavoro e di uomo in uomo, e si era trasferita in città. Dopo anni quasi senza contatti con la sua unica fi-
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glia, sembrava ansiosa di recuperare il tempo perso. Per Frankie anche la minima interazione con lei era una tortura. E, oltre all’imbarazzo, alla rabbia e al disagio, c’erano i sensi di colpa. Le dispiaceva di non riuscire a simpatizzare con la condizione di sua madre. In fin dei conti, la prima vittima dell’infedeltà di suo padre era stata lei. Avrebbe dovuto essere più comprensiva. Ma erano così diverse. Erano sempre state così? Oppure era Frankie che cercava ogni appiglio per dimostrarsi diversa? Uno dei ricordi più limpidi che aveva della sua adolescenza era la determinazione assoluta a non assomigliare in alcun modo a sua madre. Togliendosi la camicia, entrò nella piccola cucina e si versò un bicchiere di vino. Paige ed Eva avrebbero discusso approfonditamente dell’evento della giornata, analizzandolo in ogni dettaglio. Ma Frankie non ne aveva alcuna voglia. Aver assistito alla scena era già sufficientemente brutto e non occorreva essere dei geni per capire cosa era andato storto. Lo sposo aveva mollato la sposa. A cosa serviva l’autopsia, quando nel cranio della vittima c’era il foro di un proiettile? Si infilò sotto la doccia e aprì al massimo il getto dell’acqua, lavandosi via lo stress di quell’interminabile giornata. Avrebbe potuto essere un disastro, ma, con la grande efficienza che la contraddistingueva, Paige aveva salvato la situazione.
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Questo volume è stato stampato nell’agosto 2017 presso la Rotolito Lombarda - Milano