Dello stesso autore nelle edizioni HarperCollins Una serata con Audrey Hepburn Una serata con Marilyn Monroe
LUCY HOLLIDAY
Una serata con Grace Kelly traduzione di Sara Caraffini
ISBN 978-88-6905-289-7 Titolo originale dell’edizione in lingua inglese: A Night In With Grace Kelly Harper an Imprint of HarperCollins Publishers © 2017 Angela Woolfe writing as Lucy Holliday Traduzione di Sara Caraffini Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con HarperCollins Publishers Limited, UK Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. © 2018 HarperCollins Italia S.p.A., Milano Prima edizione HarperCollins gennaio 2018
Questo libro è prodotto con carta FSC® certificata con un sistema di controllo di parte terza indipendente per garantire una gestione forestale responsabile.
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Minimalista: è questo il look a cui dovrò dire di avere mirato. Linee pulite, senso di apertura, assoluta mancanza di cianfrusaglie. Tutte scelte perfettamente condivisibili per il proprio spazio abitativo, soprattutto se, come me, fai la designer. Solo che, nel mio caso particolare, il senso di apertura e l’assoluta mancanza di cianfrusaglie in questo appartamento nuovo di zecca dipendono, più che da una qualsivoglia sensibilità artistica, dal fatto che il mio alloggio precedente aveva grossomodo le dimensioni di uno sgabuzzino, quindi possiedo pochissimi mobili. E la manciata di suppellettili che possiedo, e che facevano risultare troppo ingombro e leggermente claustrofobico il vecchio appartamento, in questo non si notano quasi. E, sinceramente, non è certo la cosa peggiore del mondo fingere che tutto questo spazio vuoto rappresenti una precisa scelta di design invece di una banale necessità. Fra mezz’ora il mio investitore, Ben, appena arrivato in aereo a Londra dove si fermerà per un paio di giorni,
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mi raggiungerà per un meeting portando con sé la sua migliore amica, Elvira. Elvira è Elvira Roberts-Hoare, ex modella, bohémien di sangue blu, principale talent scout di Ben e, da ieri, mia nuovissima padrona di casa. Il suo appartamento a South Kensington, qui vicino, in pratica è un museo di moda vintage, con scarpe di Ferragamo esposte in una consolle di plexiglas realizzata su misura e foulard di Alexander McQueen disposti ad arte sui tessuti d’arredamento. Lo so non perché io vi sia stata invitata, ovviamente, ma perché l’ho visto in tutto il suo fulgore su un recente numero di Elle Decor. I miei tentativi di trasformare questo splendido appartamento in qualcosa di degno della suddetta rivista sono irreparabilmente intralciati dal fatto che io non possieda un’incredibile collezione di moda vintage da esibire come opere d’arte. E se anche l’avessi, verrebbe svilita dalla mia mobilia schifosa e, ripeto, assai misera: un futon, un armadio Ikea, un tavolino in vetro e – ultimo ma non certo in ordine di importanza – un enorme e antico divano Chesterfield rivestito di tessuto a rose color albicocca che odora di cane bagnato. In realtà, a ben guardare mi rendo conto che la semplice presenza del Chesterfield, in tutto il suo pretenzioso ma pacchiano splendore, smentisce la mia pretesa di voler dare un’impronta minimalista a questo posto. Inoltre al momento mi ostacola anche il fatto che mia sorella Cass si sia presentata qui dieci minuti fa e stia creando parecchio disordine riempiendo la stanza come solo lei riesce a fare: borsa buttata sul pavimento, tè che le fuoriesce dalla tazza, eccetera. «Oh, porca puttana!» urla, osservando il cellulare e
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rovesciando altro tè sul pavimento accanto a lei. «La ex di Zoltan ha parlato con il Mirror. È tutto sul loro sito web.» Questo, fra parentesi, è l’ultimo della lunga serie di Giganteschi Drammi che costituiscono la vita di Cass. Una settimana fa è diventata di dominio pubblico la relazione che ha da tre mesi con un calciatore di serie A. Un calciatore di serie A sposato, per la precisione. E per quanto io possa essere stancamente avvezza alla sua sgradevole abitudine di mettersi con uomini sposati, la moglie di questo particolare uomo sposato non lo era. È rimasta talmente sconvolta dall’intera faccenda che ha buttato fuori a calci quel lurido fedifrago del consorte e si è lanciata in uno sproloquio su Mumsnet successivamente ripreso dal Daily Mail... Il resto, come si suol dire, è storia. La sordida vicenda è persino approdata su OK! di questa settimana, di cui Cass, con quella che somigliava a un’espressione di trionfo, mi ha mostrato una copia quando ha bussato alla porta di casa. A ben pensarci, sono quasi sicura che mostrarmi con fare trionfante una copia di OK! sia proprio il motivo per cui ha bussato alla mia porta. Non è certo venuta per aiutarmi a preparare l’appartamento per la visita imminente. «Cass, non trovo molto giusto che sia proprio tu a parlare di spudoratezza» sottolineo. Anche se, francamente, non so perché mi preoccupo di continuare a esprimere la mia disapprovazione per le sue relazioni adulterine. Nei tre anni passati Cass non mi ha mai dato retta. La sua storia con Zoltan – difensore del Charlton Athletic e membro della nazionale di calcio bulgara – ha seguito a ruota quella con il suo ultimo amichetto sposato, Dave lo Spregevole. (Ero io a chiamarlo così fra me e me, non che quello fosse il suo vero cognome.)
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E infatti, come previsto, lei mi ignora bellamente. «Non esiste un ente a cui posso sporgere reclamo?» chiede in tono melodrammatico. «Una specie di... Non saprei... Sindacato o altro?» «Un sindacato per donne che vanno a letto con i mariti di altre donne?» «No! Mi riferivo a qualcuno con cui posso lamentarmi per la perenne invadenza della stampa!» Riflette per un attimo. «Ma esiste davvero un sindacato per le donne che vanno a letto con i mariti altrui? Perché, anche se la mia situazione è un po’ inconsueta, essendo io una celebrità e via dicendo...» Mia sorella (sorellastra, se vogliamo essere precisi, e devo ammettere che in circostanze come questa mi ritrovo a enfatizzare il suffisso -stra) conduce un reality in tv, Considering Cassidy. Da qui il suo status di celebrità. Da qui, presumo, il suo essersi meritata un articoletto da un quarto di pagina sulla copia di OK! attualmente posata sul mio tavolino, con Alberto di Monaco e la sua incantevole moglie bionda Charlene che mi sorridono fissandomi dalla copertina. «Dubito che esista un sindacato del genere, Cass» dichiaro risoluta. «Ora ascolta, se non ti dispiace, per quanto sia magnifico che tu sia venuta a vedere il mio nuovo appartamento...» «Oh, brava, Libby» replica mettendo il broncio, con una sventagliata di capelli e un altro schizzo di tè. «Gran bel modo di introdurre nella conversazione il tuo sciccoso nuovo appartamento a Notting Hill.» «Non stavo facendo nulla del genere! Inoltre questo non è il mio “sciccoso nuovo appartamento a Notting Hill”.» Mi sento in dovere di precisarlo, perché sembra
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ancora un po’ surreale persino a me. «Vivo qui solo perché ho preso in affitto lo studio qui sotto.» E perché, a dispetto dello sconto estremamente generoso che Elvira Roberts-Hoare mi sta facendo sul canone d’affitto dello studio al pianterreno in cui Ben voleva che iniziassi a lavorare – l’indirizzo chic e il circondario di alto livello lo rendono un perfetto showroom – ancora non posso permettermi di pagare quello e affittare un altro posto in cui vivere. Comunque su una cosa Cass ha ragione: questa viuzza laterale, poco più a nord di Notting Hill, è molto più sciccosa di qualsiasi altra zona in cui io abbia mai abitato. E anche questo appartamento è molto più sciccoso: leggermente sconnesso, con cucina, bagno e camera stipati all’ultimo piano e il soggiorno in mezzo, ma non intendo certo lamentarmi. Vivo qui, in un quartiere davvero superlativo della Zona Uno, praticamente gratis. Certo, non ho alcuna garanzia ed Elvira può sbattermi fuori anche domani se decide di trovarsi un nuovo inquilino più adeguato, ma vale la pena di rimanervi per il semplice piacere di abitare in un posto che non tremi ogni qual volta ci passa sotto un treno della metro né sia pervaso da aromi che arrivano dai takeaway dell’isolato tanto pungenti da farti lacrimare gli occhi. Per il semplice piacere di abitare e lavorare in un posto così... favoloso. «Sai, avevo un personal trainer che lavorava in una palestra privata in questa via un paio di anni fa, quando mi stavo mettendo in forma per Danzando. O meglio» aggiunge Cass amareggiata, «quando la mamma mi ha fatto credere che avessi qualche chance di partecipare a Danzando.» Ha posato il suo posteriore perfettamente
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tondo sul bracciolo del mio Chesterfield. «Probabilmente dovrei ricominciare ad allenarmi fino a sfoggiare una forma smagliante, se devo venire schiaffata sui tabloid ogni cinque minuti.» «Sono sicura che perderanno presto interesse» ribatto io. «Dio, lo spero tanto» replica in modo poco convincente. «Ai vecchi tempi l’invadenza della stampa non mi ha mai infastidito, ma ora è diverso. Le mie priorità sono cambiate. Sono una madre.» «Cass, non sei affatto una madre.» «Sì, invece. Insomma, Zoltan ha due figli! Due femmine! E se finisco per sposarlo...» «Esci con lui solo da tre mesi!» «... diventerò la loro nuovissima matrigna, il che, ovviamente, sarebbe fantastico. Sai, desidero diventare madre da così taaaanto tempo...» Rinuncio al tentativo di sistemare i fiori vergognosamente costosi che ho comprato in un elegante negozio lungo la strada e la fisso. «Sul serio?» «... Ma in questo modo riesco a godermi la parte divertente senza dovermi sobbarcare anche tutta la roba davvero merdosa. Tipo essere grassa e via dicendo.» «Incinta, Cass, non grassa. Incinta.» «Questo lo dici tu, Libby, ma quando ho visto le foto di Nora al battesimo, be’, sembrava davvero enorme! E come minimo aveva avuto la bambina da quattro mesi, giusto?» «Due mesi» la correggo, sulla difensiva perché la Nora di cui sta parlando è la mia migliore amica da almeno vent’anni. L’estate scorsa sono stata la sua testimone al matrimonio. Sono la madrina della sua figlioletta di otto mesi, Clara. «E non era affatto grassa, era splendida.»
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«Sì, okay, comunque non intendo correre il rischio. In ogni caso non si tratta solo della faccenda di ingrassare. I bimbi piccoli piangono, e fanno un gran casino, e la notte sei davvero stanca quindi riesci a fare sesso soltanto, tipo, tre volte alla settimana o simili... Ma poi loro arrivano a, tipo, sei o nove anni o... be’, qualsiasi sia l’età delle figlie di Zoltan... e a quel punto sono superfacili da gestire! Ci si limita a gironzolare insieme e a fare cose madre-figlia davvero carine come... parlare delle boy band preferite e...» Per un attimo l’ispirazione si esaurisce. «Non saprei... passare la giornata in una spa?» «Dubito che alle bambine di nove anni interessino le spa, se devo essere sincera.» «A me piacevano. Quando ho compiuto nove anni ho trascorso un magnifico fine settimana in una spa con la mamma.» «Quando io ne avevo tredici? Non ricordo che ci abbia portato in una spa quando eravamo così piccole.» «Oh, probabilmente era uno dei fine settimana in cui tu eri a casa di papà o altro... Ehi, ora ricordo! Credo ti avessimo detto che la mamma doveva accompagnarmi a un’audizione per Doctor Who.» «Allora lo ricordo benissimo.» Soprattutto perché a quel punto non ero più un’ospite regolare di papà nei fine settimana, il che non gli impediva di lasciarmi a casa da sola con un cofanetto di film di Humphrey Bogart per uscire con qualche nuova ragazza tutto il pomeriggio del sabato e gran parte della domenica. Mi preparavo dei sandwich al formaggio (un po’ perché erano l’unica cosa che sapevo preparare e un po’ perché in casa c’erano soltanto pane e formaggio) e mi addormentavo sul pavimento davanti al televisore; nella camera degli ospiti c’era una
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cabina armadio dall’aria sinistra e non osavo dormire là per paura che dentro vi fosse nascosto qualcuno pronto a strisciare fuori a notte fonda. «Comunque ascolta, Cass, potremmo parlare di tutto questo – il tuo, ehm, nuovo ruolo di matrigna – un’altra volta, per favore?» «Perché? Non sei indaffarata, vero?» «Sì, invece!» Non si è accorta di quello che stavo facendo mentre lei continuava a blaterare? «Te l’ho detto! Ben ed Elvira arriveranno da un momento all’altro!» «Oh, sì, giusto. Anche se sai che ormai non puoi più fare niente per rendere questo posto abbastanza elegante per far colpo su Elvira Coso-Vattelapesca, vero?» Rivolge un’occhiata sprezzante alla stanza, poi arriccia il naso mentre sbircia il divano. «Dio, Libby, sei ancora così al verde da non poterti permettere qualcosa di meglio di questo? All’Ikea potresti comprarne uno per centocinquanta sterline!» «Lo so. Mi piace questo.» Fa una smorfia. «Allora non posso aiutarti. Comunque sei tu a dover convincere questa tale Elvira che non stai per riempirle l’intero appartamento di cimici dei letti o qualsiasi altra dannata cosa sia annidata lì dentro.» «Non c’è annidato niente» puntualizzo. «Né cimici dei letti né... nessun altro.» «Nient’altro.» «Giusto. Sì, ovvio. Ma adesso sul serio, Cass, devo proprio prepararmi...» «D’accordo, me ne vado.» Si alza, barcollando leggermente sui tacchi dodici che considera obbligatori per una normale giornata fuori casa. «Devo andare a trovare la mamma in ospedale.» Stamattina presto la mamma si è fatta togliere dei
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calcoli biliari in una clinica privata nei pressi di Harley Street. No, come non detto: si è sottoposta a un piccolo intervento estetico. O meglio, questo è ciò che si ostina a dire alla gente, perché i calcoli sono un disturbo decisamente troppo poco glamour per lei. A quanto pare, preferisce che tutti pensino che si è sottoposta a un lifting o a una rinoplastica piuttosto che a un’operazione per via di brutti vecchi calcoli biliari che le tintinnavano dentro. Credevo avesse proibito a me e a Cass di passare a trovarla fino a domani, quando si sarà rimessa abbastanza in forze per drappeggiarsi una liseuse sulle spalle e tenere banco, ma a quanto pare mia sorella è esentata dal divieto. «Vai da lei oggi?» chiedo. «Sì, mi ha chiesto di fare un salto. Perché? Tu non riesci ad andarci per tutto il giorno?» «No, è che avevo capito che non ci volesse in ospedale.» «Oh. Be’, forse non vuole te. Oppure» aggiunge, cercando di far suonare meno sgarbata l’affermazione, «più che non volere te, vuole me, se capisci cosa intendo.» «Bene, dille che passerò da lei domani, come da convocazione» replico in tono allusivo. «Sempre che riesca a trovarmi un posto sulla sua agenda fitta d’impegni, certo.» Ma Cass non mi sta prestando molta attenzione, intenta com’è a osservarsi nello specchio accanto alla porta. Prende dalla borsa la trousse con il necessario per perfezionare il proprio aspetto – qualche badilata di blush, un oceano di gloss per le labbra e una piccola onda anomala di mascara – nel caso venga paparazzata lungo il tragitto verso l’ospedale, immagino. Poi se ne va, con una fugace oscillazione della mano nella mia direzione, lasciandomi un totale di dieci minuti per truccarmi, infilarmi la tenuta
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che ho scelto e scendere nello studio/showroom per radunare i pezzi che voglio mostrare a Ben ed Elvira durante il meeting. Oggi deve andare tutto bene. Per forza. Quando, esattamente un anno fa, Ben è arrivato in elicottero e ha investito quarantamila sterline nella mia attività come disegnatrice di gioielli, non riuscivo a credere alla mia fortuna. I suoi soldi, per non parlare della sua voluminosa agenda di contatti e della sua competenza negli affari, hanno trasformato la Libby va a Hollywood da minuscola attività in ristrettezze finanziarie e con solo una manciata di clienti a piccola impresa vera e propria, con tanto di sito web patinato, una fantastica copertura da parte della stampa e – mi spiace, ma probabilmente è ancora questa la cosa che mi entusiasma di più – un packaging superlativo e sciccoso, con scatolette in verde eau-de-nil e grigio tortora corredate di scritte color argento e piene di carta velina argentata. Ultimamente non riesco a tenere il passo con le richieste per i pezzi più economici in vendita sul sito, così ne ho subappaltato la realizzazione a un fantastico piccolo laboratorio artigianale in Croazia mentre cerco di concentrarmi sul versante del design e sulla manifattura di alcuni dei monili più complessi. Sei mesi fa ho persino collaborato brevemente con il reparto gioielleria del Liberty (l’elegante grande magazzino in onore del quale, per quanto lei sostenga altrimenti, sono quasi sicura che la mamma mi abbia ribattezzato) come parte della vetrina Nuovi Designer. Di recente la rivista Brides mi ha dedicato un intero articolo concentrandosi sulle tiare in stile vintage da me create su ordinazione per alcune clienti. Voglio dire che sono ancora piccola ma sto crescendo, e nulla di tutto ciò sarebbe mai successo senza Ben.
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Il rovescio della medaglia, tuttavia, è che a volte può essere... un po’ una lotta mantenere il timone di quello che immagino si possa definire controllo creativo. O, più nello specifico, il controllo sulla direzione che l’attività sta imboccando. Un anno fa potevo anche non avere un piano generale ben definito – volevo solo creare della bigiotteria originale e ispirata alla Vecchia Hollywood a un prezzo abbordabile – ma per lo meno stavo ancora procedendo a zig-zag in quella direzione. Ben, come sto iniziando lentamente a capire, ha idee leggermente diverse, e durante ogni nostra conversazione degli ultimi due mesi ha tentato di spingermi a ridurre progressivamente gli articoli più economici per concentrare invece gli sforzi su costose ordinazioni personalizzate. Certo, i margini di guadagno su queste ultime sono più ampi, ma sospetto che Ben ragioni in questo modo perché nella sua piccola scuderia ha già altri designer che producono gioielli e accessori rivolti al mercato di massa e – dettaglio più importante di tutti – perché Elvira Roberts-Hoare, la sua più fidata consulente, gli sta consigliando di tenersi ben stretto il versante lussuoso del mercato, per quanto mi riguarda. Non ho avuto molti contatti con lei, ma so che non è granché convinta del taglio ispirato a Hollywood, tanto per dirne una – «Alla fin fine, tesoro, sono tutte celebrità defunte. Fa un po’ troppo Viale del tramonto» – e, peggio ancora, è sempre meno convinta dell’intera faccenda del prezzo abbordabile. La sua idea per la Libby va a Hollywood, per quanto posso capire, prevede che io realizzi pezzi unici su ordinazione e mostruosamente costosi per una clientela con il doppio cognome – per lo più spose – che compare sulle pagine mondane del Tatler. Immagino dipenda dal fatto che queste cose – le
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clienti con il doppio cognome e le pagine mondane del Tatler – rappresentano la sua particolare area di competenza. E inoltre, sospetto, dal fatto che trovi irritante che sia stato Ben a prendermi sotto la sua ala, e non lei come succede di solito, e voglia quindi imprimere la sua autorità e le sue opinioni sulla Libby va a Hollywood per affermare la sua posizione predominante. Ma non posso certo lamentarmi. Sul serio, non posso. Ben possiede il sessantacinque per cento della mia attività e vi ha investito decine di migliaia di sterline. Ed Elvira è il suo braccio destro, quindi lui anteporrà sempre la sua opinione alla mia. Spero solo che, magari, e dico magari, il meeting odierno riesca a far pendere un po’ più la bilancia verso la sottoscritta. Sto lavorando davvero sodo sui bozzetti per una nuova collezione di massicci bracciali in bronzo costellati di pietre semipreziose abbinate ai segni zodiacali e voglio mostrarne alcuni a Ben ed Elvira. Sono anche armata di promettenti dati sulle vendite dell’ultima collezione che ho fatto realizzare dal laboratorio in Croazia e... Sento la porta d’ingresso che si apre ed Elvira e Ben che entrano. Elvira ha usato la sua chiave, il che significa che presto dovrò scambiare due parole con lei riguardo alla privacy... In realtà, siamo sinceri, non scambierò affatto due parole con lei riguardo alla privacy. Questa è casa sua – be’, di suo padre, ma non stiamo a spaccare il capello in quattro – e io vivo qui praticamente gratis. Lei potrebbe anche entrare senza preavviso in piena notte, ballando il tip-tap e accompagnata da una banda di ottoni che suona una marcia e io terrei comunque la bocca chiusa. «Libby? Sei in casa?» «Sono qui, Ben!» rispondo, passando dalla stanza sul
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retro allo spazio espositivo ancora vuoto. «Ciao! Sono felice di vedervi.» Ben, che bacio sulle guance alzandomi in punta di piedi, è impeccabile come sempre: completo elegante, camicia dal colletto sbottonato e fazzoletto da taschino rosa shocking a dimostrare che lui è il tipo di venture capitalist multimilionario che investe in ditte di moda invece che in cose banali quali la produzione di acciaio o la tecnologia del microchip. Ma Elvira... be’, ha un look assolutamente strepitoso. Sfoggia un minuscolo caftano a motivi cachemire che le copre a stento i glutei praticamente inesistenti, sandali alla schiava i cui lacci le salgono fino alle cosce altrettanto inesistenti e una borsa Birkin di Hermès nell’incavo di un braccio emaciato; un gigantesco paio di occhiali da sole le tiene scostati dal viso i capelli biondo platino divisi in trecce da contadinella. «Elvira!» Valuto l’ipotesi di dare un bacio anche a lei, ma la sua scostante aria altezzosa mi dissuade. «Grazie ancora per tutto questo.» Faccio un gesto con la mano per indicare l’intero showroom. «Ovviamente non ho ancora avuto la possibilità di pensare a come voglio arredarlo, ma è uno spazio così magnifico che sono sicura sarà...» «Ho bisogno di acqua» annuncia di colpo, interrompendomi e cominciando a salire le scale senza aspettare un invito. «Hai della minerale naturale in cucina?» «Acqua minerale? Ehm... no, solo di rubinetto. Posso fare un salto nel negozio qui vicino se può...» «Non c’è tempo» dice voltandosi, chiaramente in piena emergenza-disidratazione. «Dovremo accontentarci del rubinetto.» «Allora, Libby, è bello vederti sistemata qui» afferma Ben. Il suo tono suona brusco come sempre, ma ormai ci
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sono abituata e so che molto spesso nasconde una certa gentilezza. «È un po’ più elegante di... Scusa, come si chiama il posto in cui vivevi prima?» «Colliers Wood.» «Un po’ più di classe di Colliers Wood, eh?» «Sì, è incantevole.» Prendo la pila di bracciali in bronzo e i documenti con i dati di vendita e comincio a seguirlo su per le scale che portano in soggiorno. «Grazie per avere convinto Elvira a offrirmi questo posto.» «Non c’è di che. Inoltre El parlava da mesi dell’idea di farti lavorare in uno showroom, giusto?» «Sì. In realtà è una delle cose di cui speravo tanto che potessimo discutere oggi, Ben.» Eccoci in soggiorno; Elvira è salita al piano di sopra, in cucina, per soddisfare il suo impellente bisogno di acqua. «Adoro disporre anche dello showroom, ovviamente, e sarà fantastico per i meeting con le clienti e cose varie... ma continuo a sperare ardentemente di poter aprire presto un mio negozio. E mi piacerebbe molto avere la certezza che tu sosterrai l’iniziativa, così come la faccenda dello showroom, quando arriverà il momento di...» «Pensavo ti fossi trasferita qui.» «Come, scusa?» «Pensavo ti fossi trasferita.» Ben indica il soggiorno. «Dove sono tutte le tue cose?» «Oh, giusto! Sono queste, tutte le mie cose!» «Stai scherzando.» «No, no, mi piace vivere in base a... ehm... un’estetica molto minimalista...» «Stai scherzando» ripete lui. Indica il Chesterfield con un cenno del capo. «Insomma, quel vecchio affare rientra nella tua estetica minimalista?»
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«Be’, no, ma mi piace mescolare il minimalismo con... l’eccentricità vintage.» «Quello è indubbiamente un esempio di eccentricità vintage.» Si avvicina al mio divano per osservarlo con cautela. «Non ci sono dentro dei topi o altro, vero?» Trovo offensivo, per conto del mio Chesterfield, che questa sia la seconda volta nel giro di poche ore in cui qualcuno insinua che vi abiti dentro qualcosa. O, più precisamente, trovo offensivo che sia la seconda volta che qualcuno insinua che vi abitino delle sinistre creature striscianti tipo roditori. In netto contrasto con le creature che vi abitano davvero, che sono – e sarò molto stringata perché so che la cosa mi fa sembrare una pazza, a prescindere da come ve la metta giù – delle leggende hollywoodiane. E in tutta sincerità non sono convinta che vivano veramente nel divano, ma piuttosto che ne scaturiscano. Perché il Chesterfield è... magico. Insomma, questa è la spiegazione migliore, e in realtà l’unica, che io sia riuscita a trovare. Vi avevo avvisato che sarei sembrata una pazza, d’accordo? Ma onestamente non c’è altro modo di spiegarlo. «No, non ci sono dentro dei topi! Comunque, Ben, come stavo dicendo sono davvero felice che abbiamo questa occasione di discutere della situazione, perché...» «Cosa sta succedendo qui?» chiede Elvira quando, scesa dalla cucina, ricompare ai piedi delle scale. «Di cosa state parlando?» «Stavo solo dicendo che...» «Stavo chiedendo a Libby se ci sono dei topi in questo vecchio divano» spiega Ben. «Hai mai visto niente del genere?»
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«No.» Lei osserva il Chesterfield. «Dio, lo adoro.» Rimango di stucco. «Davvero? Chiunque altro io conosca lo odia.» «Oh, be’, nessuno si intende di mobilio vintage, tesoro, a meno che abbia occhio per questo genere di cose.» Il suo tono suggerisce che lei ce l’ha, l’occhio, il che è vero, per lo meno basandosi su quello straordinario servizio di Elle Decor. «È un vecchio oggetto di scena dei film» spiego, felice di avere trovato qualcosa che mi accomuna a Elvira dopo mesi di disagevole alleanza. «Viene dai Pinewood Studios.» «No!» Inarca le sopracciglia di scatto. «Come sei entrata in possesso di una cosa simile?» «Un tempo facevo l’attrice» rispondo, prima di aggiungere in fretta: «Be’, solo la comparsa, in realtà. Ma un paio di anni fa, quando mi ero appena trasferita nel mio vecchio appartamento, stavo prendendo parte a una serie di telefilm girati ai Pinewood e un... ehm, un mio amico che lavorava là aveva un accordo con il custode del magazzino di scena: chiunque poteva portarsi via qualsiasi cosa a loro non servisse più». «E nessun altro ha voluto questo?» Elvira posa la sua Birkin su uno dei cuscini del divano e passa una mano sul malconcio tessuto color albicocca. «Dio, la gente è talmente stupida. È un pezzo favoloso!» «El, tesoro, non puoi dire sul serio.» Ben scoppia in una breve risata tonante. «Questo vecchio cumulo di immondizia?» «Non essere così grossolano! Deve racchiudere un sacco di storia, se è rimasto ai Pinewood per tutti quegli anni.»
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Ringraziamenti
Un gigantesco grazie a Kate Bradley, Charlotte Ledger, Charlotte Brabbin e tutto lo splendido team di Harper Fiction. Grazie a Clare Alexander, al mio fantastico marito Josh e alla mia ancor piÚ fantastica figlia Lara.
Questo volume è stato stampato nel dicembre 2017 presso la Rotolito Lombarda – Milano