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humour
G(L)OSSIP
Cronache di un Concorso insognato
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di Fabrizio Sebastian Caleffi
«Non hai passato molto tempo in compagnia degli attori, vero? Quanto a disperazione, non li batte nessuno». (Paul Auster)
Milano, maggio 18 (a +50 dal Sessantotto): ho vent’anni compiuti da poco, posso considerarmi un Millennial, vero? Son pieno di me e tuttavia sono talmente agitato da sbagliar direzione. Me ne accorgo quando la Linea Verde dice Lanza-Piccolo Teatro (è un presagio, reciterò allo Strehler con Strehler?). Turna indrè. Fermata Sant’Agostino-Civitate Dei. Quattro passi e arrivo al Libero, nel senso di teatro, dove si tengono le audizioni di selezione. Sarei il sesto in ordine di apparizione, ma mi propongono di entrare per primo. “Primo” mi piace sempre: entro. «Che brani presenti?» mi chiede uno che mi somiglia (gli somiglierò da vecchio, credo). «Quando ti sei diplomato?» domanda una tough-girl. Non mi sono diplomato. Glisso. Ma l’interrogatorio continua. «In che ordini fai i tuoi brani?». Non mi faccio mandare in confusione e attacco la canzone. Roma is a glass of red wine you must drink since you are in time. Roma is a romantic romance where also life is only a dance. Romma romantica pe’ noi scappiamo via da tutti i guai. Romma che mai invecchierai. Quello che mi somiglia vuol sapere di chi è il song. «Mio». «Strano, somiglia a un pezzo che ho scritto per...». «La musica è mia, le lyrics invece...». «Procediamo» intima, dura, la dura. Parto a razzo con il monologo. «Autore?» vuol sapere il Senior Sosia. «Sono io». «Strano, pare proprio il mio monologo da...». Secondo pezzo: interrotto. «Com’è andata?» dice la carina che sta per entrare dopo di me. «Alla grande. No, alla grandissima». A casa, piango per 48h. Poi mi dicono che sono passato. Ed eccomi di colpo rimbalzato alla serata finale all’Elfo Puccini: i sogni, si sa, procedono ellittici. Magari anche un po’ ellenici. O volevo dire ellenistici? Fatto sta che ho fatto il triplete. Ma procediamo con ordine. Con ordine? Ma quando mai! Mai. Il teatro è fatto della stessa materia dei sogni e i sogni conoscono solo il disordine (soprattutto il disordine amoroso). Bene, dunque ho vinto tre Premi Hystrio: alla Vocazione, il Premio Melato e Scritture di Scena, al quale non avevo neppure partecipato. Mentre salgo in palcoscenico tra i boati della platea (di consenso, certo, che cosa vi salta in mente?) chiamato alla ribalta dal Bravo Presentatore Perrotta, il Ninofrassica delle premiazioni, scatta, fatidico, il flashback. Così eccomi ritornato in questa stessa sala detta Shakespeare, vuota, se non per il Gran Jury che giudica implacabile&infallibile. Quello che pare me tra quarant’anni mi chiede un brano nuovo. Non avendo in memoria pezzi né vecchi né nuovi (ho la memoria di un elefante di cartone), tè che t’improvviso seduta stante, però restando in piedi, un fabulazzo gramelot che fa sembrare il Nobel Fo un neodiplomato qualunque. «Com’è andata?» mi chiede la solita carinissima e io, che ho nel frattempo imparato qualcosina, a muso lungo e duro rispondo «Da schifo». Fanno così gli attori, per evitare l’invidia degli dei e soprattutto dei colleghi. Non la evito comunque quando nel foyer del teatro vengono proclamati i due vincitori, di cui mi sfuggono sia il nome che il cognome, ma quello maschile dev’essere il mio se le ragazze mi abbracciano, approfittando per strizzarmi le palle con libidine e i ragazzi per pugnalarmi alle spalle. Li invito tutti a bere con me. E chi non beve con me “Chè” Di Mejo li colga. Dove andiamo? Al Bar 5 Stelle (il governo in carica ha stabilito che tutti i bar debbano chiamarsi così, mentre il Ministro dell’Interno decreta che nell’insegna di ogni ristorante o trattoria o bistrot figuri la parola ˝luganega˝). Al Bar 5 Stelle beviamo tutti, ma mi ubriaco solo io. Fatto sta che m’addormo (o m’addormisco). E cadere addormentati nel bel mezzo di un sogno so’ cazzi che nemmeno un intorcinato come l’Ambleto from Novate ci aveva pensato. Fatto sta che quando mi chiamano in scena a recitare il mio monologo, alla ribalta viene Trinculo (con l’accento filologicamente sulla u) che canta Buscaglione. Guarda che luna: con la luna di traverso, mi consolo con un subsogno e, maschera in faccia e boccaglio in bocca, faccio il sub nell’inconscio collettivo presente in sala, dove nuota una sirenetta barese, al cui canto non mi sognerei mai di resistere. Guarda che mare. Vengo a galla quando chiamano il Premio Scritture di Scena e tosto mi leggono una motivazione critica della mia commedia mai scritta Learjet 45, che pare sia piaciuta: è il dramma di un vecchio bimotore che non sa più volare e delle sue tre hostess. Tra esserci, non esserci o farci, ne approfitto per intascare (si fa per dire, dato che in tasca non ci sta di certo) anche la targa-piastrella del Melato award, riconoscimento annunciato da Lady Anna per la mia già fulgida carriera culminata in un Riccardo III diretto da Riccardo III stesso a Londra. Poi, d’improvviso d’altro sogno rapito, m’involo nel cielo squisito, diretto a Stoccolma per ritirare il Nobel per la Letteratura 2018. Qui, la festa appena cominciata è già finita. Gli altri ragazzi commentano, le stagiste sfavillano, le attrici si atteggiano, le occasioni scarseggiano, il giovane bracco di Cruciani bracca il piccolo grande Ciro, Mario Martone è ancora a tiro? Ma che ne sarà di noi cercatori del Gràdth Mor? E chi intende il gaelico scozzese intenda. Gli altri possono indovinare.