LIRICA
Tra Parigi e Martinafranca l’estate multiforme della lirica
BORIS GODUNOV, di Modest Musorgskij. Regia di Ivo van Hove. Drammaturgia di Jan Vandenhouwe. Scene e luci di Jan Versweyveld. Costumi di An D’Huys. Orchestra e Coro dell’Opéra National di Parigi, direttore musicale Damian Iorio, maestro del coro José Luis Basso. Con Ildar Abdrazakov, Ain Anger, Maxim Paster, Evgenij Nikitin, Dmitrij Golovnin, Vasilij Efimov, Boris Pinkhasovič, Evdokia Malevskaja, Ruzan Mantašijan, Elena Manistina, Peter Bronder, Alexandra Durseneva, Mikhail Timošenko, Maxim Mikhailov, Luca Sannai. Prod. Opéra National, PARIGI. Un bambino gioca a palla, finché questa non viene inghiottita dal nero che si trova al centro della scena. Lo sovrasta lo sguardo luminoso e penetrante di Boris Godunov, primo zar eletto e riformista. Il silenzio e l’azione sono i due poli intorno ai quali ruota la scabra lettura di Boris Godunov di Ivo van Hove, che sceglie la prima versione (1869) del capolavoro di Musorgskij, in cui l’azione si raggruma intorno all’ascesa e al declino dello zar: sotto sta il popolo, vittima silenziosa del potere; e sopra un imponente schermo che si riflette su due specchi, per scrutare l’orizzonte psichico del protagonista, le sue visioni, le sue ossessioni. In mezzo una scalinata, buia al principio, simbo-
lo di un potere che nessuno vuole assumere, ma che poi si tinge di scarlatto, soglio shakespeariano votato alla solitudine e forse anche al crimine. Racconta, così, una storia di isolamenti: perché il popolo - di ieri e di oggi - è ormai lontano dalle scelte della politica; mentre chi s’incarica dei destini della nazione magari ne ama profondamente il territorio - e qui le bellissime immagini video (di Tal Yarden) talora cedono il passo alla cartolina illustrata - ma poi è costretto a vedere solo macerie, ferite insanabili e purulente. La politica si trasfigura in un delirio di onnipotenza, in un sogno irrealizzabile, la vox populi si stempera nel silenzio o, peggio, nel grido di dolore dello jurodivyj, il folle visionario destinato a rimanere inascoltato. L’immagine di quel bambino, il falso Dimitri, morto in circostanze oscure, ritorna e si moltiplica in una processione di chierichetti vestiti di rosso, piccoli ministri di una liturgia di sangue che martella, perseguita, travolge la mente di Boris; e quando questi si spegne, preda di un’incontenibile follia, un nuovo omicidio viene perpetrato alle sue spalle, con i boiardi che pugnalano il piccolo Fëdor, l’erede al trono. Mentre al proscenio ritorna il coro, attonito e sgomento, la scala rimane nuovamente deserta, sfondo di una storia di predestinazione e di grazia, appena sfiorata ma irrimediabilmente perduta. Giuseppe Montemagno
LA BOHÈME, di Giacomo Puccini. Regia di Alfonso Signorini. Scene e costumi di Leila Fteita. Luci di Valerio Alfieri. Orchestra e Coro del teatro di Tbilisi (Georgia), direttore Alberto Veronesi. Coro delle Voci Bianche del Festival Puccini, maestro del Coro Viviana Apicella. Con Elena Mosuc, Francesco Demuro, Mauro Bonfanti, Lana Kos, Daniele Caputo, Alessandro Guerzoni, Angelo Nardinocchi, Carmine Monaco D’Ambrosia, Federico Bulletti, Filippo Lunetti, Andrea Del Conte. Prod. Festival Puccini, Torre Del Lago (Lu). FESTIVAL PUCCINI, TORRE DEL LAGO (Lu). Dopo la Turandot dell’anno scorso, il Festival pucciniano del teatro sul lago a pochi metri dalla casa del musicista continua a puntare con decisione sul nome di Alfonso Signorini. Anche quest’anno, comunque, la sua messinscena appare ben studiata e più che dignitosa, anche se questa Bohème è meno affascinante visivamente della Turandot e meno segnata da idee registiche originali (sebbene in parte azzardate e discutibili). La scenografia, di Leila Fteita, riserva poche sorprese: piuttosto convenzionale la “soffitta” tra i tetti di Parigi del primo e del quarto atto; preziosa, invece, la qualità visiva e figurativa del terzo e soprattutto del secondo atto, anche se,
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