Dicembre 2010

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È QUANDO TI SENTI PICCOLO CHE SAI DI ESSERE DIVENTATO GRANDE. A volte gli uomini riescono a creare qualcosa più grande di loro. Qualcosa che prima non c’era. È questo che noi intendiamo per innovazione ed è in questo che noi crediamo. Una visione che ci ha fatto investire nel cambiamento tecnologico sempre e solo con l’obiettivo di migliorare il valore di ogni nostra singola produzione. È questo pensiero che ci ha fatto acquistare per primi in Italia impianti come la rotativa Heidelberg M600 B24. O che oggi, per primi in Europa, ci ha fatto introdurre 2 rotative da 32 pagine Roto-Offset Komori, 64 pagine-versione duplex, così da poter soddisfare ancora più puntualmente ogni necessità di stampa di bassa, media e alta tiratura. Se crediamo nell’importanza dell’innovazione, infatti, è perché pensiamo che non ci siano piccole cose di poca importanza. L’etichetta di una lattina di pomodori pelati, quella di un cibo per gatti o quella di un’acqua minerale, un catalogo o un quotidiano, un magazine o un volantone con le offerte della settimana del supermercato, tutto va pensato in grande. È come conseguenza di questa visione che i nostri prodotti sono arrivati in 10 paesi nel mondo, che il livello di fidelizzazione dei nostri clienti è al 90% o che il nostro fatturato si è triplicato. Perché la grandezza è qualcosa che si crea guardando verso l’alto. Mai dall’alto in basso.


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6 CRISI VIRTUALI CRISI REALI: DIFFICILE DISTINGUERE Indice

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CRISIS MANAGEMENT

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CRISI VIRTUALI CRISI REALI: DIFFICILE DISTINGUERE

di Franco Pomilio

di Alastair Campbell

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UN MONDO SENZA LEADER

di Hassan Abouyoub

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LA CRISI LA VINCONO I PICCOLI

di Vincenzo Boccia

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IL Guggenheim COME MEDIA PUBBLICITARIO

THANKS TO

di Franco Pomilio

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LA CRISI: UN ALTRO FORMAT DI COMUNICAZIONE?

di Mario Morcellini

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L’ALTER POLITICA

di Jacques Séguéla

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NUCLEARE? SI GRAZIE, MA NON BASTA

Hassan Abouyoub, Vincenzo Boccia, Alastair Campbell, Dora Catano, Alessandro Di Leonardo, Antonio Di Leonardo, Simona Di Luzio, Michaela Liuccio, Fausto Lupetti, Antonia Magnacca, Mario Morcellini, Antonio Nizzoli, Cesare Patrone, Daniela Panosetti, Virginia Patriarca, Franco Pomilio, Ely Szaykowicz, Chicco Testa, Jacques Séguéla.

di Chicco Testa

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AMBIENTIAMOCI

di Cesare Patrone

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L’EMERGENZA TRA REALE E IRREALE

Alastair Campbell

Vincenzo Boccia

Chicco Testa

Franco Pomilio

Hassan Abouyoub

Antonio Nizzoli

Mario Morcellini

Cesare Patrone

Alessandro Rovinetti

Alcuni dei relatori intervenuti all’International Communication Summit tenutosi a Roma presso la sala Pininfarina nella sede centrale Confindustria e autori dei contributi presenti in questo numero

di Antonio Nizzoli

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L’ITALIA UNA REPUBBLICA FONDATA SULLA COMUNICAZIONE

di Alessandro Rovinetti

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INTERNATIONAL COMMUNICATION SUMMIT ON AIR

di Dora Catano

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UNA TESI

di Virginia Patriarca

Jacques Séguéla


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CRISIS MANAGEMENT (Editoriale di Franco Pomilio)

Comunicazione, riscriviamone il futuro L’ICS MAG nasce da un’idea che sembra avere riscosso sincero interesse. L’International Communication Summit di Roma sulla comunicazione delle crisi, concepito con

una formula interattiva tra interventi e key notes, discussant ed auditor, secondo il modello adottato da Aspen, ha determinato un punto di incontro virtuoso tra culture: quella anglosassone e quella musulmana, quella imprenditoriale e quella accademica, quella istituzionale e quella mediatica. Incontro capace di rendere l’idea stessa del summit un sintetico titolo di un nuovo viaggio

la scoperta della comunicazione non come consunta pubblicità, avventuroso:

eterea pubblica relazione, fisico strumento mediatico o teoria sofistica, ma tutto questo e molto di più insieme.

In sintonia con Euclide: L’intero è pari alla somma di tutte le sue parti e maggiore di ciascuna. Il magazine nasce quindi come appendice indispensabile per raccogliere gli echi di un dibattito culturale che sta cambiando alla radice la concezione stessa di comunicazione, l’interpretazione delle sue colonne d’Ercole, stravolgendone i cicli orari e sollevando polveri che sembravano d’argento patinato. In particolare, questo numero contiene i contributi dei principali relatori all’International Communication Summit del 30 Settembre 2010 e alcuni approfondimenti teorici a nostro avviso particolarmente interessanti rispetto al tema della crisi.

punti di vista che si incrociano, dialogano, si scontrano per cercare, come in tutti quegli animati e fertili Apriamo quindi finestre a

laboratori d’avanguardia, stimoli che ci aiutino a disegnare nuove strade, nuovi generi che tutti insieme facciano della comunicazione del nuovo millennio una specie nuova, anzi, unica.

Buon Viaggio ICS CHAIRMAN PRESIDENTE POMILIOBLUMM


CRISI VIRTUALI CRISI REALI: DIFFICILE DISTINGUERE

Foto di Alastair Campbell tratta da IL - il Sole 24ore

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CRISI VIRTUALI CRISI REALI: DIFFICILE DISTINGUERE

CRISI VIRTUALI ALASTAIR CAMPBELL

CRISI REALI: DIFFICILE STRATEGA DELLA COMUNICAZIONE DI CRISI

DISTINGUERE CRISIS MEDIATOR

Quindici regole d’oro. Quindici massime strategiche, elaborate in anni di esperienza diretta, da uno dei massimi esperti mondiali di crisis management. Alastair Campbell, consulente di Tony Blair nei giorni difficili della guerra in Iraq, spiega cosa rende un evento una crisi E qual è il ruolo prezioso della comunicazione in questo processo.

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CRISI VIRTUALI CRISI REALI: DIFFICILE DISTINGUERE

I

n questo contributo proverò a illustrare alcuni punti chiave. Innanzitutto vorrei porre l’attenzione sul cambiamento in atto dei media e al loro impatto nella politica e nel “decision-making”. Vorrei successivamente indicare quella che considero essere una vera e propria strategia per la gestione delle situazioni di crisi, descrivendo una serie di situazioni che mi sono trovato a fronteggiare nel decennio di lavoro al fianco dell’ex primo ministro inglese Tony Blair. Infine suggerirò quelle che io definisco essere “le 15 regole per la gestione delle situazioni di crisi”, basate sul modello anglosassone. Parlando con i relatori del Summit è emersa l’idea di un’Italia perennemente in stato di crisi. Sono convinto che se questo Paese avesse adottato il modello anglosassone per la gestione delle crisi, probabilmente oggi non ci sarebbe questa percezione. Il primo passo, in questo senso, è chiedersi cosa costituisca una crisi. Ritengo che uno dei più grandi problemi nella gestione di un governo è l’informazione negativa, il proliferarsi dell’uso dei media spazzatura, la cultura della crisi e dalla negatività. Una crisi reale, richiede un livello completamente diverso di risposta e una reazione totalmente diversa. Spesso mi capita di osservare che i governi e le organizzazioni che pensano di essere davvero in una situazione di crisi in realtà non lo sono, ma subiscono l’impatto negativo dei media. La definizione di crisi che propongo è la seguente: un evento o una situazione che ingloba l’intera organizzazione e richiede l’azione da parte di tutti i componenti della stessa, su tutte le decisioni relative ai rischi fondamentali per l’organizzazione stessa. Si tratta di una regola generale che racchiude il mio approccio al problema. Quando ho lavorato al fianco di Tony Blair, ci siamo trovati a fronteggiare cinque crisi reali. Tali, però, non sono state riconosciute dai media, dai giornali e questo non dipende dai mezzi bensì dagli emittenti. Essi, infatti, hanno il dovere di comunicare un’immagine del mondo che versa in un perenne stato di crisi. Sono convinto che in realtà siano i media a vivere in una situazione di crisi, poiché non hanno compreso che

devono instaurare un dibattito diverso con i governi e con le organizzazioni e tale approccio genera un impatto negativo presso i pubblici di riferimento, con una conseguente percezione amplificata delle crisi che coinvolgono i diversi Paesi. Di queste cinque crisi reali, tre sono state a carattere internazionale, mentre le altre due hanno interessato il mio Paese: La guerra in Kosovo; L’11 Settembre 2001; La guerra in Iraq; Un fortissimo terremoto che ha scosso la Gran Bretagna; La protesta dei camionisti per il rincaro della benzina. Tre di queste crisi hanno coinvolto l’esercito. Quella nel Kosovo non poteva implicare la perdita della guerra. Si trattava di uno scontro che vedeva schierate da una parte le nazioni democratiche e dall’altra una dittatura: la Nato con gli USA, la Gran Bretagna, L’Italia e gli altri alleati contro il Dittatore Milosevic. All’inizio del conflitto, un convoglio di rifugiati fu colpito da una bomba e Milosevic attenzionò questo episodio attraverso i media per tre settimane, come crisi della Nato, che di fatto ci fu perché ogni Paese diede una spiegazione diversa a questa tragedia. A partire da quell’episodio fu istituito un piano di comunicazione per la gestione delle crisi ben dettagliato, per cui nulla poteva trapelare prima che si raggiungesse l’accordo tra gli Stati. Il caso dell’11 Settembre 2001 è stato unico perché il terrorismo globale e i mass media si sono mossi di pari passo. La prima decisione da prendere era se Tony Blair dovesse tenere o meno il discorso alla Conferenza delle “Trade Unions”. Decidemmo di no e affrontammo la questione una volta rientrati a Londra. Di seguito alcune indicazioni sulla scaletta approntata per quella delicata vicenda: modificare la struttura degli incontri; valutare le implicazioni per lo spazio aereo britannico; analizzare i legami con le grandi organizzazioni economiche, il rapporto con i media e i messaggi chiave da comunicare; quando parlare con Bush, la risposta delle Nazioni Unite, cosa accadrà in Libia, Iraq ed Iran? Fare un’analisi del fondamentalismo islamico, l’analisi dei talebani ecc.

Quella dell’Iraq è stata una crisi sotto molti punti di vista. È stata aperta un’inchiesta sull’episodio legato al suicidio dell’Ispettore di governo incaricato di indagare sulle sospette armi di distruzione di massa. È stata una crisi di natura politica e militare che ha interessato il nostro governo. Nel caso di un leader come Tony Blair, quando si ritiene di agire nel giusto secondo coscienza ma l’opinione pubblica la pensa diversamente, l’unica cosa da fare è continuare ad agire nella stessa direzione. Anche in questo caso il coordinamento della comunicazione internazionale è stato fondamentale. Per quanto riguarda le crisi interne al nostro Paese, faccio riferimento a quella generata dalla protesta dei camionisti. Avevamo stabilito un prezzo per la benzina, sia per un motivo ambientale sia per persuadere le persone a utilizzare i trasporti pubblici. Un piccolo gruppo di camionisti ha montato una protesta, a cui tutti i media hanno dato rilevanza, 24 ore su 24. I canali televisivi erano diventati il mezzo di comunicazione principale per questo nucleo di protesta. Si sono verificate numerose manifestazioni di dissenso intorno alle raffinerie. Un giornale ha titolato: “Ci sarà il panico d’acquisto?”. Questa domanda ha chiaramente generato il panico d’acquisto. I reporter si sono recati presso i distributori di benzina, per chiedere alla gente perché fossero in coda per la benzina e la risposta fu che avevano letto sui giornali del dilagare del panico per l’acquisto della benzina. Nel frattempo i network americani mandavano immagini di questo “caos” sottotitolato “Gran Bretagna in Fiamme” oppure trasmettevano interviste rilasciate da persone che avevano intenzione di andare in vacanza in Gran Bretagna ma, data la situazione, avevano desistito. Ciò ha determinato una crisi anche del turismo, che poteva trasformarsi in una vera e propria crisi economica. Queste sono state sicuramente delle vere e proprie crisi che hanno interessato i governi, le banche, gli istituti finanziari. Se ci pensiamo, ne stiamo ancora pagando le conseguenze, ma dobbiamo anche dire che i Governi le hanno affrontate abbastanza bene.

Quando ho lavorato al fianco di Tony Blair, ci siamo trovati a fronteggiare cinque crisi reali. Tali, però, non sono state riconosciute dai media, dai giornali e questo non dipende dai mezzi bensì dagli emittenti.


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CRISI VIRTUALI CRISI REALI: DIFFICILE DISTINGUERE

Molto spesso mi capita di essere invitato dalle Quindici sono le regole da seguire per gestire al meglio una situazione di emergenza e crisi. Regola numero 1: conoscere la differenza tra una vera e propria crisi e una generata dalla frenesia dei media. Valutare, quindi, l’esistenza o meno di una crisi: innanzitutto, bisogna analizzare il contesto, partendo da due ovvie osservazioni. La prima è che viviamo in un mondo caratterizzato da continui mutamenti, in un’era sempre più tecnologica, scientifica, culturale, sociale e pervasa da cambiamenti politici. La seconda osservazione è che viviamo in una vera e propria “Era dei Media”. Io ho iniziato la mia carriera di giornalista trent’anni fa. Se in quegli anni mi avessero chiesto cosa fosse un media, la risposta sarebbe stata: il quotidiano, la notizia che vedo in tv una volta al giorno, un magazine che tratta temi specifici d’interesse per il pubblico. I media, oggi, sono invece costantemente intorno a noi, 24 ore su 24. Sono più potenti, aggressivi, giudicanti, triviali, difficili da gestire, mentre internet consente ai propri utenti di generare autonomamente la propria agenda. Il presidente Obama, ad esempio, ha compreso che la gestione dei media rappresenta un problema e ha deciso di focalizzare la propria campagna elettorale attraverso internet. Non sono in sintonia con l’Ambasciatore del Marocco quando afferma che mancano leader. Io penso, piuttosto, che i leader esistano ma sono costretti a operare in un contesto piuttosto difficile. Ritornando al tema della crisi, negli ultimi mesi sul sito della BBC, cliccando la parola crisi, appaiono numerose parole come: crisi influenzale, crisi sanitaria, crisi influenza aviaria, crisi dei vaccini, crisi universitaria, crisi della polizia, crisi del terrorismo, crisi del calcio, ecc. Da ciò si evince che ogni cosa, ogni evento può essere genericamente definito di crisi, anche se in realtà non è così. Regola numero 2: ciò che io chiamo OST, “Objective Strategy Tactics”. Bisogna definire in modo chiaro l’obiettivo, lavorare sulla strategia in relazione all’obiettivo stesso e infine agire tatticamente. Questa regola si applica sempre a ogni set di

università per tenere conferenze su questi temi, quello che auspico è che il tema della comunicazione venga affrontato non solo da un punto di vista accademico, anzi sarebbe utile se quest’ultimo si accostasse in modo attivo al dibattito.

considerazioni. È importante essenzialmente per evitare le crisi, ma anche per la loro gestione. Regola numero 3: non importa che cosa accada, non bisogna mai perdere di vista la propria visione. Molti politici spesso definiscono la realtà in accordo con i media e questo è errato. È molto difficile non farlo, perché se si è un leader e ad esempio i media decidono un giorno di focalizzarsi sull’influenza aviaria e il leader invece decide che questo sia un argomento secondario, va contro l’agenda dei media. Pochi leader definiscono la propria agenda e la comunicano ai vari media. Regola numero 4: ogni strategia ha bisogno di un sistema. In termini di comunicazione, le grandi organizzazioni che versano in una situazione di crisi, devono essere capaci di creare messaggi, di disporre di comunicatori chiave, di addetti stampa, di scegliere accuratamente le immagini da mostrare, perché il più delle volte la comunicazione visiva è più incisiva di quella verbale. Bisogna comprendere la portata dell’evento, monitorare i media, eventualmente ribattere su argomenti, considerazioni e messaggi considerati errati. Quando si stabilisce che si è in presenza di una crisi, bisogna mettere in campo ogni nuova struttura, ogni meccanismo e farlo velocemente. Nel momento in cui ci si trova all’apice della crisi, costantemente sotto i riflettori dei media, è necessario circondarsi di esperti. Regola numero 5: ribattere velocemente e con fermezza. La tecnica spesso usata dai media consiste nel riportare in tv una notizia, ritenuta importante, senza verificarne la veridicità e affermando che se la notizia è vera, allora potrebbe rappresentare un problema. Questo nuovo ambiente mediatico richiede fermezza nel contrastare le notizie false. Regola numero 6: centralizzare le decisioni. Di fronte a una difficoltà bisogna centralizzare le decisioni e spesso ciò diventa difficile perché un Governo risulta suddiviso in vari

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dipartimenti e coalizioni. Nel momento in cui ci si trova a dover fronteggiare una crisi, deve esserci necessariamente chi prende le decisioni dall’alto. Regola numero 7: ruolo chiaro e definito di leadership. Nel corso della crisi dell’11 Settembre 2001, l’opinione pubblica aveva perso la fiducia nei confronti dei propri leader. Quando però è venuta a conoscenza della crisi, ha sentito il bisogno di conoscerne i contenuti proprio dai leader. La funzione della leadership è proprio quella di nutrire speranze e cambiamenti. Nel corso di quella crisi, i leader hanno vissuto l’evoluzione degli eventi, in tempo reale, insieme al proprio pubblico. Una delle criticità riscontrate nel comportamento del presidente degli Stati Uniti George W. Bush è stata quella di non aver comunicato tempestivamente all’opinione pubblica cosa stava accadendo: doveva essere ancora più rapido. Regola numero 8: “Apply horses for courses”. In altre parole, non bisogna assumere per certo che la persona posizionata al top dell’azienda sia sempre quella più adatta ad affrontare la gestione di una crisi. Se si tratta di un governo, bisogna necessariamente fare capo al primo ministro o al presidente, ma all’interno di un’azienda si può scegliere di cercare la persona giusta per ricoprire quella funzione. Ad esempio nel caso delle banche, gli amministratori sono bravi nel gestire le crisi, ma lo sono meno nel comunicare attraverso i media e rischiano di peggiorare la situazione. È necessario dunque individuare la persona giusta per veicolare i messaggi all’esterno. Regola numero 9: concordare il messaggio di base e non stancarsi mai di ripeterlo. Quando il comunicatore è ormai stanco di sentire la propria voce ripetere sempre le stesse cose, quello è il momento in cui il messaggio sta iniziando a penetrare nella coscienza del pubblico. Bisogna tener presente che la comunicazione è un processo continuo, finalizzato a diffondere il proprio punto di vista presso il pubblico. Regola numero 10: avere un piano e fare in modo che venga compreso all’interno dell’intera organizzazione. Regola numero 11: organizzare la propria comunicazione a seconda del contesto d’azione. A volte le crisi sono puramente interne, bisogna interfacciarsi con problematiche immanenti all’organizzazione. Nella fase di definizione delle strategie di comunicazione bisogna focalizzare l’attenzione sull’audience di riferimento e definire un piano d’azione. Regola numero 12: mettere in campo tutti gli sforzi nei momenti decisivi e coinvolgere il pubblico, soprattutto quando la crisi raggiunge il massimo della sua espressione. Regola numero 13: condividere le informazioni con il proprio team. La comunicazione interna è davvero importante, in particolare per le organizzazioni ad alto profilo. Quando lavoravo a Downing Street e ci trovavamo ad affrontare situazioni di crisi, io percepivo le sensazioni dal mio team, nel mio ufficio. È necessario che i propri interlocutori all’interno dell’organizzazione ricevano le informazioni dall’interno e non dai media. Regola numero 14: bisogna ricordarsi che la crisi finirà. Può finire e determinare la perdita del proprio lavoro, oppure la crisi di un Governo, il collasso di una banca, ma ad ogni modo finirà. Regola numero 15: è necessario essere sempre circondati dalle persone più preparate, non direttamente coinvolte nella gestione della crisi. È una regola molto importante per i Governi. Occorre pensare a come riattivare le normali strategie una volta rientrata la crisi. Spesso, una volta superata,

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si attraversa un terribile momento di riadattamento, ma se ci si circonda delle persone giuste è possibile rendere questa fase meno traumatica possibile.


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CRISI VIRTUALI CRISI REALI: DIFFICILE DISTINGUERE

COMUNICAZIONE DI CRISI: UN DIBATTITO APERTO Il 30 settembre 2010 a Roma Alastair Campbell partecipa come main speaker all’International Communication Summit. Il suo intervento solleva un articolato dibattito sul tema: di seguito la trascrizione degli interventi.

Quesito del Dott. Giorgio Riondino, Capo di Gabinetto della Presidenza del Consiglio dei Ministri. [Il dott. Riondino apre una discussione sui media e fa riferimento a una foto pubblicata qualche giorno prima su L’Espresso raffigurante Berlusconi, all’epoca giovane imprenditore, seduto alla scrivania con accanto, ben visibile, una pistola] Per noi – afferma Giorgio Riondino – ai tempi delle Brigate Rosse, la pistola rappresentava uno strumento di difesa dagli attacchi nei confronti degli

ROMA 30 SETTEMBRE 2010 ICS INTERNATIONAL COMMUNICATION SUMMIT “Comunicare nelle crisi” Nella foto in basso Alastair Campbell stratega della comunicazione di crisi - crisis mediator “UNO DEI PIU’ INFLUENTI E CONTROVERSI COMUNICATORI AL MONDO”(BBC)

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Il pubblico, una volta appresa la notizia dai media, elabora un proprio giudizio e non si attiene imprenditori. In Spagna, invece, tutti i giornali avevano associato a quella fotografia l’immagine di un Berlusconi, delinquente e mafioso. Un’immagine di questo tipo, trasmessa senza un commento, crea una crisi. Penso che oggi il vero problema sia quello di dover convivere sempre più con un’informazione vasta e complessa. In presenza di una situazione di crisi, si crea il contrasto tra l’informazione ufficiale e quella fornita dal web. La mia domanda è: “Come si potrà conciliare la necessità di un’informazione diretta e corretta per il benessere della comunità, rispetto a informazioni che vengono diffuse e hanno un largo seguito senza dover arrivare a delle forme di censura?”. Risposta Mr. Campbell In merito a quella foto, mi sono preoccupato quando l’ho vista, ma l’ho rimossa finché lei non me l’ha ricordata. Queste cose vanno e vengono. Berlusconi rimane il primo ministro. Sopravvive a diverse situazioni. Sarò onesto, Silvio Berlusconi non sarebbe diventato primo ministro in Gran Bretagna e in molti altri Paesi, perché il pubblico non avrebbe tollerato il controllo dei media. La cosa interessante è che, anche se controlli la maggior parte dei media, in realtà non li controlli mai completamente, perché i network hanno un grande potere internazionale. Sono meno pessimista di lei per quanto riguarda internet, spesso è difficile distinguervi all’interno i contributi dei giornalisti da quelli degli opinionisti. Su internet i rumors diventano fatti. Se i politici si focalizzassero maggiormente sull’OST, riuscirebbero a portare avanti meglio le proprie tesi. Bisogna aprirsi al cambiamento. Quesito del Dott. Franco Siddi, Segretario Generale Federazione Nazionale della Stampa. Da questa conferenza è emerso un attacco nei confronti dei giornalisti, visti

esclusivamente a quello dei media.

Una crisi è un evento o una situazione che ingloba l’intera organizzazione e richiede l’azione da parte di tutti i componenti della stessa, su tutte le decisioni relative ai rischi fondamentali per l’organizzazione stessa.

come un nemico da combattere. Bisogna, invece, affrontare i media in un altro modo, come diceva Campbell, bisogna capire quali sono i fatti e comunicarli correttamente, non avere paura di dire la verità e affrontare le crisi senza nascondere fatti che comunque sono evidenti. Risposta Mr. Campbell Sono d’accordo con lei. Anche se non apprezzo i media moderni e il loro modo di operare. Non credo che una regolamentazione sia necessariamente la risposta di cui hanno bisogno. Ciò di cui c’è bisogno è di un dibattito reale all’interno dei media sui media stessi. Ad esempio, nel caso della politica britannica, quest’ultima è stata ridotta dai giornalisti – e di ciò ne sono molto dispiaciuto – a una sorta di soap opera. Questa situazione cambierà perché è il pubblico a volere un cambiamento. Le persone usano principalmente internet perché questo è un mezzo che consente loro di costruire la propria agenda e coltivare i propri interessi. Bisogna dar fiducia alle persone sulla loro capacità di riconoscere ciò che è vero da ciò che è falso. I media devono riflettere seriamente sulla propria condotta. Quesito del Dott. Giovannangelo Montecchi Palazzi, Vicepresidente di Assafrica e Mediterraneo. Premetto che non mi occupo di comunicazione e neanche di quella aziendale e sono rimasto colpito di come in un forum sulla comunicazione si siano sferrati duri attacchi nei confronti della comunicazione stessa. Con mio grande sollievo Mr. Campbell ha fatto una serie di riflessioni positive, intanto sul buon senso del pubblico. La mia domanda è, come si potrebbero incentivare i media a riflettere su loro stessi e il pubblico ad aprire gli occhi?


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Risposta Mr. Campbell Vi fornisco un esempio per chiarire meglio la mia posizione. Quando è scoppiata la crisi finanziaria non si è potuto far nulla, i media ne hanno parlato 24 ore su 24. Ora che siamo in ripresa, posso constatare come le banche siano intervenute poco nel dibattito. Hanno speso moltissimo nella pubblicità e nelle operazioni di marketing. Io ho suggerito loro, nel corso di una conferenza, di smettere di farsi la guerra e unire le forze, per sviluppare un programma di educazione attraverso i media includendo la pubblicità al fine di spiegare alle persone il nostro ruolo nel portare avanti la ripresa. Per aprire il dibattito sui media, è necessario farlo in diretta televisiva o radiofonica perché, diversamente, un discorso come quello che abbiamo affrontato oggi i media stessi non lo avrebbero riportato. Molto spesso mi capita di essere invitato dalle università per tenere conferenze su questi temi, quello che auspico è che il tema della comunicazione

venga affrontato non solo da un punto di vista accademico, anzi sarebbe utile se quest’ultimo si accostasse in modo attivo al dibattito. La classe politica, il mondo accademico e quello degli affari dovrebbero comunicare le proprie istanze al meglio. Quesito del Dott. Marco Barbieri, Capo Ufficio Stampa INPS. Prima di porre il mio quesito, vorrei fare una serie di considerazioni. Ritornando al discorso del prof. Morcellini su quali siano stati gli ammortizzatori della crisi, io aggiungerei anche l’INPS, per sua natura erogatore di servizi. Il media system ha un peso nella comunicazione, ma non è l’unico soggetto nella comunicazione. Forse si dà poco risalto a quanta comunicazione transita fuori dal sistema dei media. Spesso si parla di dieta mediatica e poco di dieta comunicativa pensando che siano la stessa cosa.

FOTO TRATTA DAL SITO www.defense.gov Soldiers and Airmen from Provincial Reconstruction Team Zabul return to base after a quality assurance, quality control patrol near the city of Qalat, Zabul Province, Afghanistan, Nov. 1. PRT Zabul is comprised of Air Force, Army, Department of State, U.S. Agency for International Development and U.S. Department of Agriculture personnel who work with the government of Afghanistan to improve governance, stability and development throughout the province. (U.S. Air Force photo/Staff Sgt. Brian Ferguson)(Released)

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La mia domanda è: Lei ritiene che questa intermediazione dai media classici sia operabile, e se sì, quanto e come percepisce questa possibilità di comunicare fuori dai media? Risposta Mr. Campbell Prendiamo il caso del sistema sanitario in Gran Bretagna: se si chiede alle persone qual è l’impressione sul sistema sanitario britannico la risposta sarà negativa. Se invece si chiede se la sua ultima esperienza sulla fruizione del servizio sanitario è stata positiva o negativa, la risposta sarà per il 93% dei casi buona. La prima domanda non ha molta importanza, la seconda invece sì, perché mette in campo la propria opinione. Faccio riferimento alla regola numero 13, che pone attenzione alla comunicazione interna. Quando lavoravo per il primo ministro e mi trovavo a dover affrontare situazioni di crisi, oltre a interfacciarmi con ministri, ambasciatori etc. ponevo la mia attenzione alle opinioni degli “addetti ai lavori” (guardie del corpo, domestiche, ecc.), perché dai loro sguardi potevo comprendere l’entità reale del problema. Per quanto riguarda internet, sta cambiando ogni giorno il panorama di fruizione e questo può creare sia effetti positivi che negativi. Personalmente sono un utilizzatore della rete, sono presente su twitter e attraverso i link carico in rete contenuti per me ritenuti interessanti e che potrebbero interessare la mia audience. In generale credo che i media tradizionali siano spaventati da internet. Quesito del Prof. Marco Stancati, docente presso l’Università Sapienza di Roma Sono pienamente in sintonia con lei sull’importanza della comunicazione interna e sul fatto che, in presenza di una crisi aziendale, non deve essere necessariamente l’amministratore delegato della stessa a dover comunicare. Dalla mia esperienza nella gestione delle situazioni di crisi aziendali, ritengo che il primo portavoce debba essere il proprio personale. Un’azienda con 10mila dipendenti, ha 10mila potenziali portavoce che, se non vengono informati, rischiano di portare la crisi all’esterno e aggravarla. Concordo con lei anche quando afferma che non bisogna farsi dettare l’agenda della crisi, siamo noi a doverla stabilire e non i media. Nel mondo aziendale, a differenza di quello politico, c’è un terzo protagonista, e cioè il cliente, che decide se c’è crisi oppure no. Risposta Mr. Campbell Io ritengo che anche nelle crisi politiche il pubblico giochi un ruolo attivo. In Gran Bretagna quando il titolare di una compagnia dice qualcosa di sciocco, viene bombardato dai media. Ciò diventa imbarazzante e dunque si ricorre allo humour per superare il problema. Vi racconto un episodio. Durante il conflitto in Iraq c’è stata un’inchiesta in cui ero personalmente coinvolto e sono stato completamente assediato dai media che avevano ormai una postazione fissa davanti alla mia abitazione. Tutte le mattine era mia abitudine andare a correre e una mattina sono stato fermato da una donna che mi chiesto: “Lei capisce che se noi dovessimo credere a ciò che dicono i media lei non dovrebbe andare a correre da solo?”. Quello è stato per me un momento importante, perché ho capito che il pubblico, una volta appresa la notizia dai media, elabora un proprio giudizio e non si attiene esclusivamente a quello dei media. Le persone condividono i propri giudizi, è così che va il mondo.

La cosa interessante è che, anche se controlli la maggior parte dei media, in realtà non li controlli mai completamente, perché i network hanno un grande potere internazionale.

Quesito del Dott. Carlo Montalbetti, direttore generale Comieco Io penso che se avessimo applicato le regole citate precedentemente da Mr. Campbell all’emergenza rifiuti in Campania avremmo avuto scarsi risultati. Dico questo perché credo che il primo punto di partenza dovrebbe essere l’autoanalisi, al fine di interrogarsi sulla correttezza del proprio operato. Bisogna avere l’umiltà di prendere atto di quella che è la situazione. Un buon comunicatore nella crisi dovrebbe innanzitutto analizzare in modo spassionato come stanno andando realmente le cose, dando anche l’indicazione, nel caso dell’emergenza rifiuti, di dimettersi e fare un gesto molto forte. Risposta Mr. Campbell Concordo con lei in parte. Io penso che se si applicassero le regole una per una vi sarebbe una differenza nei risultati. In molte situazioni di crisi questo non accade. Per quanto riguarda il tema dell’umiltà concordo con lei, ma molte volte in situazioni di crisi l’opinione pubblica vuole sentire parlare i propri leader e le loro affermazioni devono essere decise, altrimenti rischiano di confondere l’opinione pubblica. Concordo con lei in generale, quindi, ma non per quanto riguarda la gestione delle situazioni di crisi.

Alastair Campbell



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