8 | 2015
D E ST I NAZ ION E CL OU D
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I cambiamenti climatici stanno stravolgendo abitudini consolidate. Colpa nostra, probabilmente, ma dobbiamo conviverci, farcene una ragione, e adattarci. Fatto sta che l’area mediterranea si sta progressivamente desertificando. Come i mercati che da anni la caratterizzavano, e tra questi non fa eccezione l’ICT. O per lo meno, il modo di vendere e proporre la tecnologia cosi come lo conosciamo da anni. Per cercare un po’ di... umidità, i fornitori in generale, ma il canale in particolare, sono chiamati oggi a trasformare il modo di presentarsi ai clienti. Nubi all’orizzonte già si stanno, timidamente, mostrando, sono le nubi del Cloud Computing. Che siano minacciose di tempesta o foriere di una pioggia ristoratrice dipende tutto da quanto il canale sarà in grado di gestirne gli effetti. Ma la sostanza è una e una soltanto, il Cloud Computing è oggi l’unico ambito in forte crescita nel panorama, anche nazionale, dell’ICT. Puoi usare la metafora delle nuvole, ma alla fine quello è: Cloud. E te lo ritrovi su sempre più intorno. Dalla Sicurezza, all’IoT, alle Enterprise App, al Mobile, ai sistemi di gestione. Anche quando cerchi di fare un approfondimento sui nuovi sistemi operativi, è inevitabile che ti ritrovi a fare i conti con il Cloud. E ben venga. Non stupitevi, perciò, se su questo numero della rivista, troverete spesso la parola Cloud nei titoli degli articoli: non è una svista. Se Cloud è, Cloud lo chiamiamo! Soprattutto su un magazine dichiaratamente ad esso dedicato. Ne parliamo analizzandone il mercato, lo stimolo evolutivo che sta dando al canale, prendiamo in esame l’esperienza di chi sta sperimentando con successo le opportunità che ne derivano. Ma lo facciamo anche affrontandone gli aspetti della sicurezza, trattati in ben due tavole rotonde dedicate al tema, come anche il Cloud ricorre tra i botta e risposta tra distributori e system integrator che ci sono stati nel corso dell’ultimo #Distriboutique. Una canzone ritenuta “birichina” degli anni 50, sfuggita alle strette maglie della censura, recitava: «Si fa, ma non si dice». Una volta tanto si dice (anche forse più di quanto effettivamente sia) quel che si fa.
Marco Maria Lorusso
Loris Frezzato
Direttore Responsabile Digital4Trade
Caporedattore Digital4Trade
marco.lorusso@digital4.biz @MarcoLorux
loris.frezzato@digital4.biz @lorisfrezzato
E di to r i al e
“C’è fermento, confusione ma anche grandi opportunità. Quelli che prima erano amici, adesso sono nemici e quelli che erano nemici adesso sono amici. Non possiamo starne fuori”. Appena precipitato sull’isola in cui alcuni soldati italiani si sono smarriti da anni, il sergente Carmelo La Rosa spiega così, in una mirabile scena di “Mediterraneo”, i drammatici giorni dopo l’8 settembre 1943, giorno dell’armistizio. Intendiamoci non siamo in guerra, ma alzi la mano chi leggendo e pensando al mercato IT, anche per un attimo, non è andato con la testa all’effetto della brezza del cloud sul canale indiretto. Un modo nuovo di “vendere” l’innovazione in cui la logistica diventa relativa, l’hardware un “di cui” e la fatturazione ricorrente. Alzi, quindi, la mano chi non ha sentito parlare di ecosistema fluido che sostituisce la tradizionale catena che per anni ha unito vendor, distributore e rivenditore. Un ecosistema in cui un giorno ho di fianco un partner e il giorno dopo può capitare che questo diventi un po’ meno partner e un po’ più concorrente. Un ecosistema in cui, in ragione delle opportunità, condivido competenze e organizzazioni che poi tornano a essere solo mie nel momento in cui la stessa opportunità svanisce o viene colta. Tanta roba, direbbero i più giovani... però dopo i convegni esiste il confronto con la “strada”, fatta di talenti imprenditoriali tanto innamorati del proprio business da faticare a concepire il concetto stesso di team. Ecco: ora alzi la mano chi non ne ha mai incontrato uno di questi talenti solitari. Più che slide, ppt e scenari, oggi occorre forse reperire, e in fretta, una manciata di sergenti Carmelo La Rosa. Serve forse quella sintesi ingenua ma entusiasta per capire che le regole non sono cambiate... Sta cambiando proprio il gioco. Noi, nel nostro piccolo, ci siamo messi alla ricerca e i primi importanti risultati forse si vedono. Casi di successo su mercati verticali, “ecosistemi” reali che stanno marginando grazie a Iot, sicurezza, datacenter, applicazioni... Forse abbiamo trovato qualcosa. Volete sapere cosa? Venite a Day4Trade il prossimo mese di febbraio, a Milano. Fidatevi, tanto siamo tra “amici” no?
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La danza della pioggia
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#NemiciAmici
8 | 2015
Destinazione Cloud
digital4TRADE Testata di Digital360 S.r.l. Via Copernico, 38 20125 Milano Iscrizione presso il R.O.C. Registro degli Operatori di Comunicazione al n. 16446 Testi e disegni: riproduzione vietata Direttore Responsabile Marco Maria Lorusso marco.lorusso@digital4.biz Caporedattore Loris Frezzato loris.frezzato@digital4.biz Hanno collaborato Primo Bonacina, Annalisa Casali, Stefano Chiccarelli, Gabriele Faggioli, Giorgio Fusari, Andrea Gaschi, Annamaria Italiano, Fabio Lalli, Stefano Mainetti, Roberto Mircoli, Antonio Serra, Paolo Sito, Gianluigi Torchiani Pubblicità mara.perego@digital4.biz Tel. 02.92852769 Progetto grafico Stefano Mandato Impaginazione ADM Studio Sas Cologno Monzese (MI) Stampa Grafiche Cola Srl Lecco Per informazioni sugli abbonamenti abbonamenti@digital4.biz Tel. +39 02.92852785
On «Il canale accolga i talenti. Serve un nuovo ecosistema» Dell, soluzioni end-to-end per clienti e partner Tutti i vantaggi del digitale nella consegna merci
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Day Time Il 2015 è l’anno del cloud Il diritto (di esistere) dei piccoli operatori nazionali #Canalys: «Le 8 cose che fanno arrabbiare un reseller» «Non temete il lato oscuro del cloud...» C’è posto per il canale nel cloud di Dimension Data Un’università... del cloud. La sfida di VMware e Systematika Computer Gross punta sul valore Il cloud chiede nuove dinamiche di sicurezza al canale
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Prime Time #Distriboutique, un canale che cambia e che cresce Le trasformazioni del mercato fanno evolvere il trade
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Story Tellers Window 10 spalanca al canale le opportunità del cloud La sicurezza IT è un caso da mass media. Per fortuna Dell-EMC, quello che cambia per i partner Il debutto di Hewlett-Packard Enterprise Passano per il cloud le opportunità del canale di Huawei Si fonda sul canale la crescita di Amazon WS in Italia Priorità servizi nell’approccio di Oracle al trade Arrow University, l’offerta si amplia Context decreta il 2015 come l’anno di Brevi EDSlan distribuisce le soluzioni di Barracuda
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Tune Mauro Bacchiocchi e la sostenibile evoluzione digitale App Mobile: in 5 mosse il valore per i brand La prima impressione non è tutto. Ma può aiutare Nubi grigie sulla tutela del dati. Il caso Safe Harbor
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Off Come gestire rischi e costi con la terza piattaforma Il bollito di mia zia
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Sono numeri uno di grandi aziende, sono ricercatori e consulenti, conoscono il mercato come pochi e hanno un unico comune denominatore: la fiducia nel canale e nella centralità dell’indiretta nell’evoluzione digitale
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1 / «Il canale accolga i talenti e i giovani. Serve più scambio e un vero ecosistema»
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Agostino Santoni, AD di Cisco Italia e la sfida di un Paese trainato dall’innovazione digitale. Un’innovazione che però deve passare da un canale capace di rinnovarsi e fare davvero sistema
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Agostino Santoni AD di Cisco Italia
I player del digitale saranno decisivi per trasformare l’Italia in un ecosistema il cui fine ultimo sia sviluppare l’innovazione. Un luogo in cui il contributo di tutti i nuovi attori - giovani e di talento - che oggi si fanno avanti grazie alla possibilità di sviluppare soluzioni tecnologiche con una semplicità e una rapidità inaudita - possano entrare a far parte di una rete. Un’innovazione che non riguarda tanto la tecnologia in sé, quanto la sua applicazione per la trasformazione digitale della nostra economia e dei settori che ci fanno forti nel mondo: dal manifatturiero all’agroalimentare. Tutti coloro che nella Pubblica Amministrazione detengono le risorse destinate al cambiamento e all’innovazione e che hanno il compito fondamentale di indirizzare lo sviluppo degli ecosistemi locali, possono trovare nell’industria Ict un’alleata per inserire l’attività di promozione sul territorio nel quadro più ampio della trasformazione digitale. Inoltre, la nostra rete di relazioni con il mondo delle imprese e della ricerca può aiutare a collegare fra loro le realtà che stanno dando vita a questo grande fermento in ogni parte d’Italia. Ma la crescita dell’application economy nel nostro Paese va supportata con una doppia azione di diffusione di competenze e di cultura. La tecnologia deve entrare nell’esperienza quotidiana di tutti attraverso la comprensione delle sue opportunità e un’adeguata formazione che permetta ai giovani di sfruttare il potenziale del digitale per realizzare le proprie idee innovative. Allo stesso tempo, anche l’industria digitale dovrà realizzare un cambiamento culturale, necessario per accogliere nell’ecosistema in cui finora ci eravamo mossi parlando di innovazione, questi nuovi protagonisti, che pensano, si muovono, collaborano in modo veloce, interconnesso, estremamente flessibile e attento alla qualità della vita.
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2 / Dell, soluzioni tecnologiche end-to-end per clienti e partner
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L’ampliamento d’offerta punta a soluzioni integrate a copertura delle aree utili all’innovazione. L’AD italiano Filippo Ligresti disegna gli obiettivi del vendor e raccoglie i primi entusiastici commenti per l’acquisizione di EMC
Filippo Ligresti
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Amministratore delegato di Dell Italia
È in atto un’importante trasformazione del mercato, verso una maggiore integrazione delle tecnologie che abilitano l’innovazione delle imprese. Un’evoluzione stimolata da diversi trend, dal cloud, alla mobility, all’IoT, ai Big Data, che Dell certo non trascura e sui quali stiamo perciò via via “armando” la nostra offerta, sempre più diversificata e integrata, con l’obiettivo di proporci al mercato e al canale quale fornitore unico. Le aziende stanno cercando di capire come le tecnologie possono portare benefici e tendono a sperimentare, puntando su infrastrutture agili e veloci. Si tende, quindi, allo sviluppo di infrastrutture IT interne, più flessibili, e possibilmente cloud based. Un altro trend importante è poi quello della mobilità, adottata per ottimizzare la gestione della forza lavoro attraverso device mobili di vario tipo, dallo smartphone, al tablet al notebook, seguendo un’esigenza che parte sia dal basso sia dalle stesse aziende, le quali devono, ovviamente, avere tutti i mezzi di protezione adeguati. Ulteriore aspetto che sta rapidamente prendendo piede è poi l’IoT, strettamente legato alle problematiche della gestione dei dati generati dalla loro connessione, tipiche dei Big Data. In un panorama così complesso, l’obiettivo di Dell è di proporsi come end-toend solution provider nei confronti dei clienti e del canale, offrendo la più vasta gamma di soluzioni, le migliori, con la possibilità di metterle in sicurezza e affiancarle ai necessari strumenti di gestione e di rete. Sia sulla fascia dei client, sia in quella dei data center, dove abbiamo raggiunto share di rilievo sui server in molte parti del mondo, e sullo storage, che ovviamente si prevede in ulteriore crescita dopo l’annuncio dell’acquisizione di EMC, che ci aspettiamo venga conclusa entro ottobre 2016. Noi offriamo gli strumenti, mentre deleghiamo al canale la loro interpretazione per risolvere le esigenze dei clienti, soprattutto nella fascia SMB, dove ha ampio spazio di manovra. Da parte nostra forniamo al trade un aiuto nel mettere insieme le componenti che possano supportare l’innovazione dei loro clienti. Per questo motivo abbiamo ideato i Blue Prints, veri e propri “ricettari”, che propongono i giusti ingredienti per risolvere determinate problematiche. Utili ancor più ora che la nostra offerta si prevede avrà una poderosa integrazione, data dall’acquisizione di EMC. Un’operazione importante, che andrà a formare la più grande realtà tecnologica presente al mondo, che per Dell significa completare l’offering, grazie alla forte complementarietà delle soluzioni, ponendoci nei confronti dei nostri clienti e partner come unico riferimento per qualsiasi esigenza tecnologica relativa a computing, networking e storage. I primi segnali dal mercato che stiamo ricevendo sono già molto positivi e incoraggianti, a riprova che i clienti vedono solo effetti positivi dall’acquisizione.
Greta Cicolari
Campionessa italiana Beach Volley 2015 Olimpionica Londra 2012 Campionessa d’Europa 2011
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3 / Tutti i vantaggi del digitale nella consegna merci
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La tradizionale bolla cartacea deve essere utilizzata obbligatoriamente soltanto da alcune categorie di prodotto. Il digitale può favorire una migliore gestione delle informazioni
Daniele Marazzi Associate Partner di Partner4innovation
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C’è un tema che mi sta strettamente a cuore, quello dell’applicazione delle tecnologie digitali in ambito trasporto e consegna merci. Un tema che è oggi quanto mai attuale perché ci sono delle opportunità reali nella gestione dematerializzata e totalmente digitale delle informazioni legate all’esito della consegna, sia per le spedizioni andate a buon fine sia per quelle dove si sono riscontrate delle anomalie. In questo ultimo caso, in particolare, è possibile risalire a monte alle possibili inefficienze in tempo quasi reale, sfruttando i processi completamente digitali in luogo dei documenti cartacei. Qualcuno si potrebbe però chiedere se sia oggi ancora necessario portare la tradizionale bolla in consegna, con la classica firma che attesta l’avvenuta consegna. La realtà è che si dovrebbe parlare, piuttosto, di documento di trasporto. La bolla, infatti, rimane obbligatoria soltanto per alcune tipologie di merci, in particolare per quelle soggette ad accisa. Per tutte le altre categorie è sufficiente il documento di trasporto, che lo stesso legislatore permette di utilizzare in maniera completamente digitale. Occorre rilevare che esistono diversi modelli che abilitano il passaggio al digitale nel mondo del trasporto: per esempio, è possibile sfruttare messaggi strutturati quali il dispatched advice e il receveing advice (quest’ultimo in Italia ancora poco utilizzato) per avere informazioni sul buon esito della consegna e ottenere una raccolta strutturata delle eventuali anomalie rilevate. In contesti in cui esiste un’azienda “centrale” che si rapporta con i suoi fornitori abituali tramite un portale Web based o una extranet, oppure una rete di franchising che fa altrettanto con i suoi punti vendita, si può utilizzare la stessa extranet per veicolare le informazioni sia della consegna che sta per arrivare sia per raccogliere le informazioni legate al successivo esito. O ancora, per quelle aziende che operano in un contesto meno continuativo di relazioni, è possibile abilitare i device mobili (smartphone, ma non solo) utilizzati dagli stessi trasportatori. In questo modo si può rendere disponibile in anticipo il documento di trasporto; successivamente, tramite questi stessi apparecchi, è anche possibile raccogliere l’eventuale conferma dell’accettazione totale della consegna o meno.
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Le strade che portano il canale verso il cloud. Nuovi modelli di business chiedono competenze fresche e impongono un’evoluzione accelerata degli attori coinvolti. O l’ingresso di nuove realtà…
L’Osservatorio Cloud & Ict as-a-Service del Politecnico di Milano rileva un aumento degli investimenti aziendali nella nuvola, soprattutto per quanto riguarda le infrastrutture. E anche il canale sta rispondendo al cambiamento
Il 2015 è l’anno del cloud
| D a y Ti me | 16 | Stefano Mainetti Responsabile dell’Osservatorio Cloud & Ict as-a-Service del Politecnico di Milano
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Da anni si parla del cloud. Ora, nel 2015, si può affermare che, anche in Italia, la nuvola sta prendendo piede nelle aziende, persino in quelle più piccole. Ne è convinto Stefano Mainetti, Responsabile dell’Osservatorio Cloud & Ict as-a-Service del Politecnico di Milano che spiega: «La nostra ricerca del 2015 ha dimostrato come ormai il cloud sia una realtà. Già nell’edizione 2014 avevamo notato l’avvio di molti progetti, ma quest’anno c’è stata un’accelerazione verso la direzione del cloud ibrido, soprattutto per le infrastrutture. Anche il percorso di virtualizzazione è al termine, le imprese vogliono infatti andare oltre. Si punta a virtualizzare non solo le risorse computazionali, ma anche la rete e lo storage, così da arrivare a veri modelli di cloud ibrido». Infatti, il vero obiettivo dei reparti IT aziendali, ma non solo, è quello di ottenere il meglio dalle infrastrutture interne d’impresa, valorizzando anche gli investimenti passati nei data center interni, coniugandoli però con l’agilità, la semplicità e il contenimento dei costi che il cloud pubblico è in grado di offrire. Dunque, il mondo delle infrastrutture sembra avviato verso questo percorso, mentre nel futuro si assisterà all’abilitazione di modelli di cloud ibrido anche sulle applicazioni. «Ciò vuol dire consentire alle imprese di agire al meglio, con il supporto tradizionale dei processi di business interni all’azienda, con il supporto che le applicazioni cloud oggi possono garantire», evi-
denzia Mainetti. Oggi per un’impresa è indispensabile aver definito un modello d’integrazione strategico che riesca a far muovere in continuità i processi aziendali, ottenendo il meglio dell’innovazione che arriva dal mercato e mantenendo una base solida sul portafoglio applicativo enterprise.
Il canale come cloud enabler Non va poi dimenticato il cambiamento del ruolo dell’offerta: da tempo i grandi vendor stanno promuovendo e spingendo evoluzioni cloud in modalità SaaS del loro portafoglio. La differenza rispetto a prima è che ora queste aziende possono godere dei ritorni degli investimenti effettuati negli anni passati. I modelli di cloud ibrido proposti e le tecnologie offerte stanno trovando una domanda pronta a consumare questo tipo di servizi. Con conseguenze anche per i partner, puntualizza Mainetti: «Il cloud journey nelle reti TLC e nei data center è ormai al culmine, anche il percorso applicativo sta cambiando, quello che rimane da completare è l’ultimo miglio. Che significa avvicinarsi al cliente, anche con una trasformazione del canale. È forse l’ultimo passo da compiere, ma già si vedono fenomeni interessanti. Infatti, anche le aziende di canale stanno diventando dei veri e propri cloud enabler, capaci di integrare i mattoni elementari, sia infrastrutturali che applicativi, offerti dal cloud pubblico con le esigenze di tutte le imprese».
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Assoprovider ribadisce che c’è posto per tutti, grandi e piccoli. Ognuno con i suoi ruoli per risolvere esigenze diverse dei clienti. Il cloud apre alle problematiche della residenza nazionale dei dati, che gli operatori locali possono garantire
Il diritto (di esistere) dei piccoli operatori nazionali
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Loris Frezzato
Dino Bortolotto
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Presidente di Assoprovider
Tante piccole voci insieme per potere essere ascoltate da chi ha orecchie solo per le voci potenti. Il megafono per i diritti dei piccoli e medi operatori ICT e TLC votati al cloud lo fornisce Assoprovider, l’associazione che raccoglie gli operatori, per lo più locali, che hanno scelto di mantenere dimensioni contenute per offrire servizi cloud specifici e con la garanzia della prossimità dei dati. A tutela delle perplessità dei clienti, ancora restii ad allocare informazioni in posti inarrivabili o nel rispetto della legge, che prevede la residenza entro i confini nazionali dei dati sensibili in gestione per conto dei clienti. «Stiamo parlando di circa 2.000 operatori in Italia, declinabili tra fornitori di accessi o del trasporto a Internet e fornitori di servizi, tra cui ben si colloca il cloud - spiega Dino Bortolotto, Presidente di Assoprovider -. E il ruolo nostro e dei nostri associati è quindi di fungere da system integrator, ossia presentare a chi deve fare funzionare un’azienda soluzioni concrete e collaborare con loro a determinare ciò che conviene gestire in maniera locale e ciò che merita di essere remotizzato e trasferito su piattaforme che rendono l’utilizzo di dati e applicazioni indipendenti dal luogo fisico in cui si opera, in piena logica di mobility». Un aspetto che facilita la gestione del lavoro, toccando però aspetti di sicurezza: allocando le informazioni su luoghi su cui non si ha un controllo fisico, infatti, non ci sono problemi nel caso di dati pubblici, mentre più
difficile è gestire i dati privati e sui quali si sono assunti obblighi di tutela. E nel caso ci si appoggi a grandi operatori, è più facile che dati e traffico vengano portati fuori dai confini nazionali ponendo riflessioni sulla legislatura che governa il trattamento dei dati. Su questi non si ha un controllo delle rotte, in che Paesi transitano e le tutele legislative.
Cloud sì, ma sotto controllo «Votarsi al cloud, infatti, non significa automaticamente non sapere ciò che succede ai propri dati - conferma Bertolotto -. Molti dei nostri associati, per esempio, dispongono di piccole server farm in locale, con macchine sotto diretto controllo fisico e con la ridondanza dei dati su macchine di big player all’estero. Un modo per evitare il rischio di perdere dati critici e di incorrere in sanzioni». Una garanzia possibile con provider nazionali e locali, che solitamente hanno piccole dimensioni, come quelli che fanno parte di Assoprovider. «Anche perché pensiamo che il mercato dell’ICT non sia capital intensive, ma piuttosto knowledge intensive - prosegue Bortolotto - basato sulle competenze e sul modo che queste si riescono a combinare per trovare soluzioni valide alle esigenze dei clienti. Non sempre è necessario crescere per stare sul mercato, ma si possono, anzi, valorizzare le caratteristiche dei piccoli operatori, anche gestendone la reciproca collaborazione».
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Steve Brazier
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Ceo di Canalys
«Non forzateli, semplificate i processi, parlate chiaro…». Dal Canalys Channel Forum un concentrato di preziosi consigli per rivenditori, distributori e vendor alle prese con la rivoluzione del cloud e dei modelli di business ad esso collegati
#Canalys, Brazier: ecco le 8 cose che fanno arrabbiare un reseller
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Marco Lorusso
Oltre 1.000 partecipanti, ritorni di grandissimo prestigio (il Ceo della futura Hewlett Packard Enterprise Meg Whitman, Gianfranco Lanci di Lenovo), debutti emblematici (Dell), incontri, confronti tra partner, distributori, vendor, concorrenti. Il canale, insomma, nella sua espressione più ampia e sincera, tutto a Barcellona in occasione della nuova attesa edizione del Canalys Channel Forum. Dopo la parentesi francese dello scorso anno, dunque, il mega evento continentale è tornato nel capoluogo catalano con numeri ancora più impressionanti e, come sempre, con una rappresentanza italiana sempre più significativa. Ad aprire le danze, davanti a oltre 1.000 partecipanti, ovviamente ci ha pensato il padrone di casa Steve Brazier che, dopo gli accenti futuristici dello scorso anno, fin dall’inizio ha prima promesso e poi mantenuto, sull’onda del claim “Connective Inside”, un approccio analitico molto più concreto, pragmatico. Così è stato e gli spunti di interesse per gli operatori della filiera indiretta sono stati moltissimi. Il Ceo di Canalys ha infatti incentrato il suo seguitissimo intervento su due perni: il tema del cloud computing, delle rivoluzioni in atto sulla filiera e il dibattutissimo tema delle “8 più grandi frustrazioni di un reseller”.
I dolori del cloud e della finanza Dopo gli strali lanciati lo scorso anno contro il cloud pubblico e la sua sostenibilità, Brazier non poteva
che ripartire proprio dal cloud anche quest’anno. «Il business del cloud pubblico - ha spiegato - continua ad avere grossi problemi di sostenibilità proprio perché prezzi e costo del denaro continuano a scendere a una velocità doppia rispetto a quella che porta il numero di clienti ad aumentare». L’occhio di Brazier si è subito fermato su Amazon Web Services già “presa” di mira lo scorso anno.
I mal di pancia del canale: la classifica
4. La mancanza di relazioni personali. «Il canale è soprattutto fatto di relazioni e legami forti, affidare il contatto a sistemi poco umani, diventa un pericolo...». 5. Forzati verso il cloud. «I partner odiano essere costretti ad andare verso il cloud e credo che dovrebbero essere in grado di prendere la decisione che meglio soddisfa le esigenze dei clienti. Non è detto che sia un cammino corretto per tutti». 6. Esclusività. «In alcuni casi non si capisce come e perché esistono prodotti e soluzioni che possono essere veicolati solo da alcune tipologie di partner. Un meccanismo rischioso perché ogni reseller pretende di sentirsi importante come gli altri».
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reni nel momento in cui si trovano a gestire un lead e allo stesso tempo di essere tranquilli nel momento in cui si vogliono registrare a un programma. Il canale percepisce un meccanismo che non è abbastanza veloce sia in un senso che nell’altro e chiede che sia più facile».
Collegati e guarda l’esclusivo videoreportage con le voci di Roberto Vicenzi tra gli uomini guida di Centro Computer e Roberta Viglione, Presidente e Amministratore Delegato di Mauden raggiunti nel corso dell’evento spagnolo
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«In termini di crescita stanno facendo bene - ha spiegato Brazier - e quest’anno arriveranno a controllare il 30% circa di un mercato, quello dello IaaS, che vale circa 25 miliardi di dollari e ne varrà 35 il prossimo anno. Tuttavia, se ci si sposta dalla crescita pura ai ricavi netti il discorso cambia molto ha aggiunto -. Con un capex di circa 4.500 milioni di dollari all’anno e supponendo che il tasso di interesse sia pari all’1%, AWS ha costi annuali di 140 milioni, o 700 milioni di euro all’anno se l’interesse cresce fino al 5%». «Se però gli interessi cresceranno come si pensa, anche il capitale diventerà più costoso, e il cloud anche - ha poi aggiunto il Ceo di Canalys -. Un fenomeno che potrebbe determinare una fuga verso la qualità (molto difficile immaginare infatti una retromarcia sul cloud) e la stabilità di operatori tradizionali “titani” come HP, Microsoft ed EMC che sommate vantano una disponibilità cash di oltre 500 miliardi di dollari (anche se - precisa Brazier - il 40% è tutto incredibilmente nelle mani di Apple). Al di là degli scenari macroeconomici, però, la notizia non è affatto brutta dato che gli operatori tradizionali di IT e i reseller hanno una tenuta finanziaria consolidata». A chiudere il discorso sul cloud ci pensa poi un richiamo netto al tema della normativa. «Anche se si parla di operatori americani, chi vuole fare business con il cloud in Europa e con i dati dei cittadini europei, deve fare i conti con la normativa continentale».
7. Regole di ingaggio. «Per molti reseller non è ancora chiaro e trasparente l’equilibrio che intercorre tra vendita diretta e indiretta. Il tutto dando vita a situazioni di confusione poco utili». 8. Certificazioni. «Spesso sono troppe numericamente e troppe a livello tecnico ed economico».
Dopo i numeri del cloud, a destare non poco interesse tra il folto pubblico è stato poi il concretissimo discorso intorno alle frustrazioni maggiori che oggi un reseller si trova ad affrontare. Frustrazioni sintetizzate in 8 emblematici punti:
2. Sistema di rebates. «I Var chiedono sempre di ricevere ritorni concreti e quantificabili rispetto alle proprie attività. Se i meccanismi di rebates e scontistica non sono chiari la macchina tende a incepparsi». 3. Procedure di registrazione. «Un tema delicatissimo questo. I partner chiedono di essere se-
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1. Gestione Dashboard. «La vera spina nel fianco. Più i sistemi di gestione, registrazione, inserimento di un ordine sono complessi (gestionali, Crm...) più un partner tende ad allontanarsi».
Fabio Di Dionisio Primary Storage Category Manager HP Storage division di Hewlett Packard Enterprise Italia
Lo shadow IT spaventa imprese e canale per dimensioni e per i rischi che porta con sé. Un fenomeno dirompente che però può e deve essere trasformato in “forza buona” e in vantaggio competitivo
«Non temete il lato oscuro del cloud…»
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Marco Lorusso
Secondo una recente ricerca, l’80% dei dipendenti di un’azienda usa applicazioni SaaS senza autorizzazione. Un fenomeno dirompente che, come raccontano allarmati esperti di sicurezza e non solo, proprio per la semplicità con la quale si “scatena” espone imprese e privati a rischi enormi. Rischi economici, ma anche e soprattutto reputazionali legati alla perdita e alla non gestione di informazioni critiche. Fin qui le note negative. Dall’altro lato della medaglia c’è però un trend, quello della richiesta di immediatezza, flessibilità, scalabilità e gestione real-time di grandi moli di informazioni che, fino a oggi, solo il cloud, in tutte le sue declinazioni, è riuscito a soddisfare.
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Un nuovo stile per l’IT e per il business Non a caso, buona parte dei più grandi brand IT internazionali si stanno misurando sulla capacità o meno di “scaricare” a terra il valore di un simile fenomeno, senza che diventi un problema. Un campo sul quale Hewlett Packard Enterprise è impegnata con una visione precisa e innovativa di come deve essere pensata la nuova infrastruttura IT, ovvero “il New Style of Business”. «Il fenomeno dello shadow IT altro non è se non un’evidenza puntuale delle rilevazioni che stanno facendo gli analisti da tempo - racconta Fabio Di Dionisio, Primary Storage Category Manager HP Storage division presso Hewlett Packard Enterprise Italia -. C’è, insomma,
un bisogno di accedere a contenuti che infrastrutture e data center non sono in grado di erogare. Il mercato siamo noi, oggi sono gli utenti a definire la velocità attraverso cui deve essere disponibile un dato, questa è la vera natura della “terza piattaforma” che ci sta portando verso il digitale, la mobility e l’innovazione liquida».
Adattarsi, la prima regola Proprio in un simile panorama si inserisce il discorso del “New Style of Business” sul quale Hewlett Packard Enterprise sta impostando le sue strategie. «Il “New Style”, con i suoi 4 pilastri: cloud, mobility, Big Data e sicurezza - spiega il manager - è l’idea di una nuova architettura capace di adattarsi e di partire proprio dalle esigenze del business. Velocità, capienza, performance, più dati creo, più necessità ho di accedere velocemente a infrastrutture che siano capaci di scalare in real-time. La vera rivoluzione del cloud “buono” ci porterà a una sorta di brockering della capacitá di elaborazione. In un simile contesto avremo infrastrutture molto dense e un hardware ripensato rispetto a quello utilizzato fino a oggi. L’infrastruttura, server, storage ecc. resterà il cuore pulsante, ma il motore, la chiave di volta, sarà tutta nella gestione intelligente e in una suite software come OneView che permette di coordinare la gestione delle risorse in termini di performance, spazio e connettività».
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Recruiting di partner e programmi congiunti con EMC accelerano il percorso del system integrator verso una proposta di hybrid o public cloud con caratteristiche di tipo enterprise, con un modello a consumo anche per il private cloud, offerto come servizio gestito dall’infrastruttura di Dimension Data, la quale ha, inoltre, aggiunto un’opzione di hosted private, ossia “tagli” del proprio public cloud dedicati a specifici clienti. Da qui, la decisione dell’azienda di aprire l’offerta anche a dei partner, nella strategia definita dal One Cloud Partner Program.
Reclutamento di partner «La nostra copertura sui servizi è in 120 Paesi nel mondo, ma per altre Region tale compito può essere svolto da operatori nazionali quali telco, service provider o system integrator, leader a livello locale o su mercati verticali - afferma Brunero -. Proprio a questi ci rivolgiamo, con un’infrastruttura coerente con il resto del nostro network per erogare i loro servizi in white lable mantenendo i rapporti diretti con i clienti». Con l’obiettivo di portare una proposizione ibrida sul mercato mid-enterprise, Dimension Data ha inoltre annunciato la Catalyst Alliance con EMC, che rafforza l’alleanza fra le due aziende e che si orienta verso un’offerta di trasformazione delle infrastrutture IT dei clienti. Elemento centrale della nuova offerta è la Private Cloud Enterprise Edition, basata su architettura Vblock creata appositamente, con il software di orchestration e provisioning di Dimension Data pre-integrato da VCE e messa a disposizione dei clienti come Servizio Gestito.
Enrico Brunero ItaaS Service Unit Manager di Dimension Data Italia
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C’è posto per il canale nel “journey to the cloud” di Dimension Data
O si impara, lentamente, o ci si affida a chi è specializzato. Dimension Data ha abbreviato il proprio percorso che porta al cloud, direttamente acquisendo due aziende focalizzate, OpSource e Bluefire, che hanno portato al varo di una BU dedicata al cloud, puntando direttamente a un’offerta di servizi gestiti sia su public che su hybrid cloud «che prende in considerazione la trasformazione dell’IT on premises delle aziende verso alti livelli di automazione, nella logica di una maggiore flessibilità nella gestione dell’infrastruttura - spiega Enrico Brunero, ItaaS Service Unit Manager di Dimension Data Italia - coniugata comunque con un approccio verso il public cloud, garantendo però caratteristiche di sicurezza, scalabilità, gestione delle informazioni e configurabilità, tipiche delle esigenze business. Un approccio che ci ha portato a costruire un’offerta che potesse essere utilizzata sia da noi, per ampliare la nostra proposizione di public cloud, sia dai nostri clienti, con la Managed Cloud Platform (MCP)». Sulla base di ciò, Dimension Data ha quindi esteso i propri poli da cui fornisce servizi di public cloud a 15 data center, consentendo ad aziende enterprise di erogare servizi ibridi utilizzando un’infrastruttura di private cloud collocata in un data center, proprio o esterno, spostando i workload applicativi in uno o più di questi data center dislocati worldwide. Il tutto visto in un’ottica di servizio, senza pesare sui Capex,
Loris Frezzato
Samuele Cerutti Professional Services Manager at Systematika Distribution
Dalla collaborazione tra la multinazionale e il distributore nasce un innovativo progetto destinato, in una prima fase, a un gruppo ristretto di service provider. Una vera e propria scuola per il canale che vuole imparare a fare business con le nuvole
Un’università… del cloud e del valore. La sfida di VMware e Systematika
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Marco Lorusso
«Al di là di ogni frase fatta, la realtà è che oggi il canale si trova davanti a grandissime opportunità, ma anche a sfide senza precedenti per complessità e ampiezza. Non possiamo farci trovare impreparati». Così Samuele Cerutti, Professional Services Manager at Systematika Distribution racconta il nucleo, lo spirito, l’elemento scatenante che sta per dare vita a un innovativo progetto studiato “di” e “per” il canale dal distributore a valore di Saronno in collaborazione VMware. «Prima ancora che fattore tecnologico - racconta Cerutti - il cloud è un elemento di rottura a livello organizzativo e anche antropologico per il canale. Sistemi di fatturazione, linguaggi, modelli di vendita, organizzazioni e team di supporto. Un mondo diverso e nuovo che va affrontato con coraggio, ma soprattutto con le giuste competenze».
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Appuntamento a Milano Da qui è nata l’idea e la pratica della Cloud University, una vera e propria accademia del cloud in partenza nella seconda parte di novembre con un ciclo di incontri di formazione in aula. A supporto della formazione “fisica” è in partenza anche un sito ad hoc che funzionerà come aggregatore di tutti i contenuti e gli strumenti condivisi nel corso delle lezioni: www.clouduniversity.it. In questa prima fase Systematika e VMware “convocheranno” in aula, a Milano e più precisamente
presso la suggestiva cornice di OPEN - MORE THAN BOOKS a Milano, in Viale Monte Nero 6, un gruppo ristretto di service provider. «I corsi saranno della durata massima di due giorni - racconta Cerutti, che sarà ovviamente anche uno dei docenti - e sono previste due tipologie di percorsi: la versione Academic, che prevede la durata di due giorni e che sarà focalizzata sul vCloud Air Network program e sui Building block of IaaS cloud Environment (vSphere, vCloud Director). Anche la versione avanzata Doctorate avrà la durata di due giorni e sarà focalizzata sui seguenti temi: Virtual SAN: Software-Defined Shared Storage, vCloud Usage Meter, vCLoud Air MSP program».
Un test importante Il lancio del progetto Cloud University riveste un valore strategico sia per Systematika, che proprio sulla formazione da sempre fonda uno dei suoi più importanti elementi differenzianti, sia per VMware che punta così a creare un nuovo e più sinergico canale a valore capace di “scaricare” a terra tutte le potenzialità delle “sue” nuvole. «Si tratta di una decisiva fase di test - conclude Cerutti -. Se, come ci aspettiamo, il progetto avrà buoni riscontri, il sito dedicato a questa iniziativa diventerà anche il collettore di tutte le candidature degli operatori di canale che vogliono “iscriversi” a questa scuola del valore… e del futuro».
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Intervista esclusiva a Paolo Castellacci, guida di Computer Gross e profondo conoscitore delle dinamiche che muovono il canale in Italia. «È un buon anno, cresciamo. Sul cloud ci siamo mossi bene, ma i reseller ora sono attesi da un salto di qualità», un cloud con caratteristiche di tipo enterprise, con un modello a consumo La scommessa del cloud Dal territorio alle nuvole, Computer Gross porta lo stesso identico approccio “umano” anche al paradigma più etereo e intangibile... per definizione. «Siamo stati tra i primi a scommettere e investire seriamente sul cloud con un data center di proprietà e un programma come Arcipelago. Un progetto esclusivamente pensato per consentire ai reseller di sviluppare business con questo nuovo modello, di pensare e gestire l’innovazione digitale. I risultati a oggi sono buoni, ma c’è ancora molta strada da fare. Oggi, buona parte del business legato al cloud è sviluppato sostanzialmente “trasformando” in servizi soluzioni tradizionali come storage, mail, produttività. Il cloud, nel suo senso più ampio di trasformazione dell’infrastruttura hardware e software delle imprese, chiede ora un salto di qualità culturale e tecnologico ai reseller. Un salto di qualità sul quale siamo pronti e attrezzati. Con le nostre persone, ovviamente».
VIDEO Collegati, rivivi il viaggio di Digital4Trade a Empoli e la video intervista esclusiva con Paolo Castellacci
Paolo Castellacci Presidente di Computer Gross
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«Scommettiamo sulle persone», Computer Gross punta sul valore «Abbiamo appena inaugurato un asilo collegato alla nostra struttura, le nostre persone e le loro esigenze vengono prima di tutto, sono il nostro capitale». Gli incontri con Paolo Castellacci cominciano sempre così, dalle persone. Niente tormentoni e ritornelli, semplicemente un valore a cui il distributore di Empoli tiene in maniera particolare. Un valore che, mai come quest’anno forse, è al centro dei pensieri e delle azioni di questa società. «È un anno particolare - conferma Castellacci - ci stiamo muovendo con forza in direzione del territorio e del supporto ai partner. Abbiamo avviato il progetto della catena di cash & carry proprio con l’idea di offrire punti di contatto in cui i clienti sul territorio possono trovare non commessi, ma tecnici e consulenti di valore in grado di confrontarsi con loro». Una decisione coraggiosa e quasi contro-tendenza. «Vero, ma è una decisione che ci sta regalando grandi soddisfazioni, abbiamo aperto già quattro punti vendita ed entro la fine dell’anno ne arriveranno altri due. L’obiettivo è quello di costruire un’offerta nuova e di valore su un format e un modello storico e riconosciuto come quello del cash & carry». Una strategia precisa che consente oggi a Computer Gross di avere un business in cui il “valore” rappresenta oltre il 65% del fatturato.
Marco Lorusso
La filiera si sta organizzando, commercialmente e non solo, per cogliere le opportunità del cambiamento tecnologico stimolato dal cloud computing. E succede, così, che di cloud se ne discuta in casa di un vendor di security, con Trend Micro che si confronta con i partner
Il cloud chiede nuove dinamiche di sicurezza al canale
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Loris Frezzato e Gianluigi Torchiani
Sul tema della sicurezza informatica un assunto può essere condiviso: in seguito ai crescenti attacchi del cybercrime, la soglia di attenzione delle aziende è oggi più elevata rispetto al passato. E in una certa misura lo sono anche i budget messi a disposizione per combattere queste minacce. Ma, rispetto a qualche anno fa, gli operatori che lavorano in questo segmento di mercato devono fare i conti con una realtà tecnologica profonda-
mente diversa. Per proteggere davvero le aziende dalle minacce del crimine informatico oggi non basta più rivendere una licenza software annuale. Anche il settore sicurezza, infatti, sta vivendo in questi anni la rivoluzione del cloud, che sta cambiando le dinamiche di business della filiera IT. Lo dimostrano i dati dall’Osservatorio Cloud del Politecnico di Milano: in Italia, a fronte di un’ICT tradizionale complessivo fatto di hardware e software
Country Manager Italia di Trend Micro
e sul taglio dei costi, le aziende vogliono essere sicure di mettersi in casa qualcosa che permetta ai propri dipendenti di lavorare meglio come end-user experience. Insomma, le imprese hanno bisogno di uno strumento che, innanzitutto, funzioni bene».
Il cloud, argomento ancora da grandi
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Gastone Nencini
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che rimane sul filo, l’unica area in forte crescita pare essere proprio quella ascrivibile al cloud, con un giro d’affari previsto per il 2015 di 1.510 milioni di euro (+35%). L’impatto di questo fenomeno sul canale sicurezza è stato affrontato in occasione di una recente tavola rotonda organizzata da Digital4Trade in collaborazione con Trend Micro, che ha visto la partecipazione di alcuni tra i suoi più importanti partner; un confronto aperto, dove si è cercato di mettere in luce quali aspetti stimolano l’adozione del cloud da parte degli operatori del canale e dei loro clienti e quali, invece, siano ancora gli scogli da superare. Questa tecnologia, ad esempio, è ormai un punto di forza di Hitachi Systems CBT, la nuova realtà aziendale nata dall’acquisizione di CBT da parte dell’omonima società giapponese, come ha evidenziato Denis Cassinerio, Security BU Director di Hitachi Systems CBT: «Il cloud è stato per noi uno dei fattori trascinanti dell’ultimo biennio, potendo mettere in piedi questa offerta grazie ai nostri due data center, di Roma e Milano. La nostra caratteristica principale è che le nostre soluzioni cloud sono multipiattaforma, quindi in grado di sostenere anche le tradizionali applicazioni ACG. Da un punto di vista operativo, la BU Security è stata rafforzata da subito con l’idea di lavorare a stretto contatto con quella che si occupa di cloud, che ormai contribuisce per il 15% al nostro fatturato, grazie a un’offerta integrata, che ci piace definire come taylor made, trainato principalmente dalla richiesta dei clienti di avere un maggiore contenimento dei costi, nonostante vi sia, in effetti, una reale sensibilizzazione delle aziende verso il cloud. Al punto che, su indicazione della nostra casa madre, l’idea è di espandere la nostra attività in ambito cloud su scala internazionale nel giro di un anno».
Silvio Zanetti, Cto di IfiConsulting, evidenzia l’aspetto di refrattarietà iniziale delle aziende, e per ora le uniche realtà su cui si è riusciti a impostare un cambiamento, sono soltanto nel mondo enterprise: «Abbiamo sempre visto il cloud come un’opportunità, siamo partiti cinque anni fa e il nostro è un impegno a 360 gradi. Da un punto di vista organizzativo abbiamo la nostra business unit per il mondo security che opera in modo trasversale, sia on-premise che cloud, a seconda delle esigenze del cliente. Non nego che nei primi
Sulla stessa linea anche Dario Tecchio, Sales and Marketing Manager di Infonet Solutions: « Il cloud lo vediamo come un’opportunità, perché è una forma di integrazione ai sistemi del cliente e in futuro lo sarà sempre di più. Anche se difficilmente sarà una risposta completa a tutte le esigenze delle aziende. Noi siamo visti dai nostri clienti come una società che li può affiancare, guidare e supportare nel mantenimento e nella gestione del sistema di infrastruttura. Riscontro comunque che, più che avere perplessità sul lato sicurezza
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Integrazione è la parola magica. Senza forzare i clienti
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Denis Cassinerio Security BU Director di Hitachi Systems CBT Società con radici storiche, ma che sulla carta è nata lo scorso aprile in seguito all’acquisizione di Cosmic Blue Team (CBT) da parte di Hitachi Systems Ltd. L’attività resta quella dei servizi IT, con specializzazione nell‘approccio consulenziale e multivendor, nella progettazione e gestione di sistemi informativi e della loro sicurezza Dario Tecchio
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Sales and Marketing Manager di Infonet Solutions Fondata nel 1990, conta un organico di oltre 30 persone, di cui buona parte tecnici di elevata competenza, coprendo l’area del centro-nord Italia. La mission è garantire alle aziende del manifatturiero e dei servizi, agli enti pubblici, alle strutture sanitarie e alle organizzazioni no-profit, soluzioni su misura per ottimizzare la gestione di piattaforme IT Silvio Zanetti Cto di IfiConsulting
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Società di Modena, si propone come interlocutore nell’integrazione delle competenze specialistiche delle sue divisioni per analizzare, progettare, realizzare e gestire progetti di sviluppo aziendale. Può vantare numerose certificazioni dei più importanti fornitori e vendor
tempi sia stato duro, far cambiare idea ai clienti non è stato facile. Certamente non facciamo concorrenza ad Amazon o a Microsoft, ma puntiamo a sfruttare il cloud per offrire dei servizi a valore aggiunto, che sono spesso in grado di risolvere dei problemi vecchi di anni nelle aziende. C’è da dire, invece, che, per quanto riguarda le piccole imprese, si fatica a parlare di questi aspetti, anche perché spesso i loro bisogni, anche in materia di sicurezza, sono limitati a un unico applicativo, dunque magari preferiscono ancora utilizzare soluzioni software in house. Riscontriamo quindi un maggiore interesse da parte dei clienti di più grandi dimensioni, ad esempio per implementare soluzioni di disaster recovery o altri servizi specifici (come la rete) che preferiscono non avere in casa, per mancanza di personale o per altre ragioni, permettendogli, in questo modo, di abbassare in maniera sensibile i costi di gestione».
Il freno del digital divide C’è comunque un aspetto su cui tutti i partecipanti alla tavola rotonda concordano: il digital divide che ancora interessa molte aree della Penisola è forse il maggiore ostacolo all’ulteriore sviluppo del cloud, anche in ambito sicurezza. Come ha messo in luce Gastone Nencini, Country Manager Italia di Trend Micro: «Sicuramente oggi il cloud rappresenta qualcosa da cui non possiamo prescindere, si tratta di un fenomeno che ormai è partito, anche dentro le aziende. Una delle maggiori problematiche con cui abbiamo a che fare è però il digital divide, poiché alcune zone del Paese restano ancora completamente scoperte dalla banda larga». Sulla stessa linea anche Zanetti: «Sono convinto che nei prossimi anni il cloud sarà una mossa vincente, ma se il cliente finale ha la sua attività situata in zone non adeguatamente coperte dalla Rete, come spesso capita, diventa davvero difficile proporlo. Nella nostra realtà, tra l’altro, le grandi aziende hanno spesso dovuto dislocare le proprie sedi produttive al di fuori dalle grandi città, dove però c’è meno possibilità di avere un servizio di rete di qualità». Come conferma anche Cassinerio, «certo è ormai inesorabile andare verso il cloud, ma incontriamo ancora problemi di connettività e digital divide, che rendono a volte difficile ottenere la scalabilità e i ritorni nel breve periodo promessi. Un aspetto quest’ultimo che in Italia, come sappiamo, è particolarmente dirimente». Ma anche se questo e altri ostacoli rimangono da
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da parte del canale di queste soluzioni è ancora a macchia di leopardo». Anche per questo motivo Trend Micro pensa a un canale decisamente diverso rispetto al passato: già oggi, oltre ai partner tradizionali, si guarda anche alle realtà completamente cloud based, capaci di approcciare il mercato in maniera differente. Nel prossimo futuro si punta ad approcciare anche partner e operatori del mondo industriale, visto che - con la diffusione sempre maggiore dell’Internet of Things, la sicurezza informatica è destinata a interloquire sempre di più con questo settore. Puntualizza Nencini: «Abbiamo lanciato un nuovo partner program che si basa sul concetto di specializzazione, per evidenziare le competenze. Non basta parlare solo di content security, ci interessa interloquire con partner specializzati su un determinato ambito. Il nostro sogno sarebbe avere un network di canale nel quale i diversi attori possano collaborare tutti insieme. Rafforzeremo la nostra azione di training, in termini numerici, ma non solo. Stiamo inoltre mettendo a punto un progetto per l’utilizzo dei social per il canale, così da offrire nuovi metodi di comunicazione più diretti e più rapidi. Nel 2016 cercheremo un rafforzamento a livello territoriale, concentrandoci in particolare sul Sud Italia».
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superare, gli operatori del canale intervenuti alla tavola rotonda hanno già messo in atto delle profonde trasformazioni organizzative commerciali per vendere cloud. «Il cloud lo viviamo come un’opportunità - spiega il responsabile Infonet - . Quello che cambia per noi è essenzialmente il modo di vendere l’infrastruttura. Si è trattato di un investimento costoso in termini di conoscenza, ma necessario per riuscire a proporre delle soluzioni credibili. Il vero vantaggio è che, rispetto alla vendita tradizionale, il cloud ci consente di legare più a noi il cliente». Concorda Zanetti, secondo cui: «I nostri commerciali sono contenti del cloud perché vendono servizi e non dei prodotti, riuscendo in questo modo a fidelizzare il cliente. Abbiamo insomma modificato il nostro modello di business». Cassinerio, invece, non nasconde come la nuvola: «Rappresenta un cambiamento epocale per i nostri commerciali, anche se oggi possiamo dirci a buon punto. Oggi l’offerta deve essere fatta comprendere adeguatamente e, spesso, è rivista almeno una decina di volte. Si tratta insomma di un progetto comunicativo continuo nei confronti del cliente». Un cambiamento nella proposizione commerciale che, ovviamente, coinvolge anche il vendor, come afferma Gastone Nencini: «Noi siamo convinti che il cloud sia il futuro, siamo stati uno dei primi operatori del mondo della sicurezza a utilizzarlo. Abbiamo ripensato l’intero nostro portafoglio prodotti in quest’ottica. Il nostro ruolo è quello di risolvere con flessibilità le problematiche che possono emergere sul mercato con prodotti ad hoc. Ad esempio, abbiamo il nostro prodotto Cloud App per Office 365, che permette di proteggere questa soluzione cloud con la nostra crittografia. Inoltre, tutti i nostri prodotti sono passati dalla classica licensing annuale alla fee giornaliera o addirittura oraria, così da sfruttare al massimo questa potenzialità del cloud. Riscontro, però, che l’adozione
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VoIP e wireless, Alias accelera sulle comunicazioni di valore
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Lo storico distributore cambia passo e mette a disposizione dei suoi partner due nuovi brand di grande impatto come EnGenius e Epygi. Le soluzioni, le opportunità, i nuovi programmi in arrivo sul canale
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Stefano Cucit, Responsabile Business Development di Alias
Alias Sede legale: Via San Francesco, 2 33100 Udine Sede operativa: Via Postumia, 21 33100 Udine Tel. 0432-287777 Fax 0432-508305
Arrivare prima, cercare e trovare soluzioni, idee, brand e innovazioni prima degli altri e portarle sul mercato, metterle a disposizione dei propri partner. Un valore unico che permette ai tanti reseller sul territorio di essere diversi e di essere percepiti come consulenti di valore da parte delle imprese. Un valore sul quale Alias, distributore IT con oltre 25 anni di storia alle spalle ha costruito un inconfondibile marchio di fabbrica. L’ennesima conferma in questo senso è arrivata in queste settimane con l’annuncio di due accordi strategici in mercati da sempre chiave per la società di Udine: wireless e VoIP. Andando con ordine, EnGenius, il brand del noto costruttore Senao Networks, ha infatti definito la propria rete commerciale in Italia con l’accordo di distribuzione proprio con Alias. «Abbiamo deciso di operare esclusivamente con realtà distributive in grado di offrire un indubbio valore aggiunto alla commercializzazione dei nostri prodotti», spiega Albertini Andrea, Sales Manager di EnGenius per l’Italia. Dal punto di vista tecnologico EnGenius è stato uno dei primi brand a offrire una gamma completa di soluzioni con lo standard 802.11ac. Attualmente sono presenti versioni di access point su tutte le linee con pieno supporto a questo standard, sia
con antenne 3x3 a 1750 Mbps che 2x2 a 1200 Mbps. EnGenius e Alias spingeranno molto anche nella promozione del programma di partnership di EnGenius “EnPartner” che punta, grazie a formazione costante, alla creazione di installatori e rivenditori certificati di elevata competenza.
A tutto VoIP Secondo, ma solo per ordine di arrivo, è poi l’annuncio dell’accordo che Alias ha firmato con Epygi Technologies, fornitore a livello mondiale di IP-PBX e Gateway pluripremiati che soddisfano le esigenze telefoniche delle Piccole e Medie Imprese. «Con i prodotti di Epygi andiamo a completare la nostra offerta di soluzioni PBX VoIP per il mercato delle PMI - ha affermato Stefano Cucit, Responsabile Business Development di Alias -. La qualità e l’estrema affidabilità dei prodotti, così come l’interfaccia di configurazione (in italiano) comune a tutti i dispositivi, sono gli elementi chiave che hanno condizionato la scelta. Per quanto riguarda invece EnGenius si parla di un brand che ci permette di ampliare la nostra offerta al mercato che richiede soluzioni integrate, gestite, efficaci e che integrano le più avanzate tecnologie wireless con un ottimo rapporto prezzo/prestazioni».
3CX Italia Direzionale Modena 2 Via Scaglia Est, 15 41126 Modena Tel. (+39) 055-093-5447 info@3cx.it www.3cx.it
Negli ultimi anni, di pari passo con l’aumentata diffusione della cultura della sostenibilità presso l’opinione pubblica, si fa un gran parlare di Green IT e Green Software. Non sempre a proposito. I prodotti tecnologici possono essere definiti green soltanto quando il loro impatto su persone, società e ambiente è minimo lungo l’intero ciclo di vita, contribuendo quindi positivamente allo sviluppo sostenibile. Una filosofia sposata appieno da 3CX, produttore del centralino software-based 3CX Phone System per Windows, secondo cui lo sviluppo di tecnologie basate sul cloud computing può favorire il pieno avvento della “Green IT”. La possibilità di trasferire sulla nuvola intere infrastrutture IT apre infatti la strada a nuove forme di condivisione delle risorse. Con la nuvola, server e hardware-on-premise, infatti, non sono più strettamente necessari. I vantaggi ambientali conseguenti sono netti: la virtualizzazione dei server consente di alleggerire in modo determinante lo sfruttamento delle risorse ambientali (spazio, energia e anche acqua per il raffreddamento del server). Un’impostazione che 3CX, nella realizzazione dei suoi prodotti, ha portato avanti nel concreto: nello sviluppo dell’IP-BPX, l’azienda ha dato molta importanza al pieno utilizzo delle tecnologie per la virtualizzazione dei server. Il 3CX Phone System può infatti essere utilizzato tramite Hyper-V e VMware. Questo metodo di condivisione delle risorse del server e dell’infrastruttura esisten-
ti rappresenta il cuore della strategia di 3CX in ambito “Green IT”. Inoltre, un’apposita funzione del 3CX Phone System rende possibile l’installazione nel cloud, con la conseguente riduzione dei server on-premise e degli impatti ambientali. A prescindere dal cloud, le tecnologie 3CX sono di per sé improntate alla sostenibilità: i centralini telefonici non devono essere corredati da un cablaggio complicato e da più componenti hardware costose, che magari sfruttano le risorse in modo non ottimale. Dal momento che il 3CX Phone System è un centralino telefonico basato su software, non è infatti necessaria l’installazione di cavi in rame aggiuntivi. È sufficiente l’installazione del centralino e il suo collegamento all’infrastruttura IT preesistente. Essendo poi interoperabile con i più noti produttori hardware, il centralino 3CX consente di avvalersi di operatori che, nel processo produttivo, si basano su pratiche Green. Senza contare che le funzionalità stesse dei prodotti 3CX possiedono inoltre molte caratteristiche a basso impatto ambientale che favoriscono l’ottimizzazione dei processi aziendali. Basti pensare che i tradizionali viaggi di lavoro dei dipendenti, potenzialmente molto impattanti per l’ambiente a causa della movimentazione delle flotte auto aziendali e delle relative emissioni di CO2, possono essere ridotti all’indispensabile tramite l’utilizzo della soluzione 3CX Web Meeting per le videoconferenze.
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3CX, la multinazionale delle comunicazioni IT, scommette forte sulla tecnologia “verde” come strumento di innovazione e sviluppo futuro della sostenibilità e del business
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Green IT, «oltre gli slogan, serve una filosofia aziendale»
Prime Time
Distributori e system integrator si incontrano e ne nasce un confronto schietto e senza filtri per trovare nuovi equilibri e metodi di ingaggio per il raggiungimento di opportunitĂ comuni
| Pri me Ti me
#Distriboutique, un canale che cambia e che cresce Si aprono spazi di marginalità dai nuovi trend tecnologici e dalle nuove forme di ingaggio. La speciale tavola rotonda organizzata da Digital4Trade offre spunti di confronto per distributori e system integrator. Ad arricchirla, i dati esclusivi di Context, che hanno messo in luce un andamento positivo della distribuzione italiana nel primo semestre di quest’anno
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Gianluigi Torchiani
Metti intorno a un tavolo i principali operatori della distribuzione italiana insieme ad alcuni dei più noti Var e system integrator della Penisola. È stata questa la ricetta dell’edizione estiva di #Distriboutique, la speciale tavola rotonda organizzata da Digital4Trade che, ancora una volta (la quarta) si è confermata come una preziosa occasione di confronto e dialogo per gli operatori del settore. Tanti i temi trattati dai partecipanti, indice di una varietà di fronti identificati per incrementare le opportunità reciproche di business, dalle dinamiche della filiera, l’affermarsi di nuove tecnologie come quelle del cloud, dei Big Data e dell’Internet Of Things, nonché i risultati del mercato di questa prima parte del 2015, sui quali, in particolare, l’impressione generale che ne è emersa è che, dopo un 2014 in cui si era finalmente intravista una ripresa di una certa consistenza, il canale ICT si aspettasse qualcosa di più dai primi sei mesi dell’anno. Infatti, come
hanno sottolineato molti degli intervenuti, dopo una buona partenza, le cose sono andate meno bene da aprile in avanti.
Latitano gli investimenti delle imprese Colpa, in primo luogo, della carenza di investimenti IT da parte delle imprese. Che, nonostante lo stallo quasi totale degli scorsi anni per via della crisi, sono ancora tentennanti, soprattutto
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quando si tratta di approcciare progetti e brand a elevato tasso di innovazione. Inoltre, nel 2015 è completamente terminato l’effetto positivo innescato dalla fine del supporto a Windows XP. E, per il momento, il sopraggiunto termine (14 luglio 2015) di quello a Windows Server 2003 non sembra aver generato una mole d’affari paragonabile. Un po’ meglio è andata, probabilmente, a quegli attori che sono specializzati in determinate nicchie di mercato che, per diverse ragioni, sono da alcuni anni sulla cresta dell’onda. Il riferimento è, in primo luogo, al settore sicurezza, che sembra godere di ottima salute anche dal lato distributivo. Fortunatamente, non mancano anche degli aspetti positivi: per esempio, il tema del cloud, soprattutto nell’accezione del cloud ibrido, pare ormai essere stato recepito in maniera adeguata da Var e distributori. Sulla spinta dei vendor che hanno avviato importanti campagne per la promozione della nuvola. Qualche perplessità sul modello di business da adottare persiste ancora, tanto che a #Distriboutique è stata lanciata la proposta di applicare al cloud le logiche messe
Le voci da #Distriboutique
«Stiamo vivendo una crescita progressiva di cui siamo estremamente soddisfatti. In particolare stiamo andando molto bene nel settore dell’Internet of Things»
Le voci da #Distriboutique Giorgio Rossi Amministratore delegato di Attiva «Siamo un distributore legato al mondo Apple, ossia a prodotti che stanno andando bene anche nel mondo enterprise. In particolare stiamo osservando in questo momento una grande crescita nell’ambito dei wearable»
Aldo Rimondo Managing director di Achab «In questa prima parte dell’anno abbiamo osservato una crescita costante. Inoltre, i rivenditori si stanno ormai spostando verso la fornitura di servizi, un fenomeno per noi positivo dato il nostro modello di business»
Monica Bernabei Marketing Manager di Avnet TS Italy «Il mercato sta cambiando e questo impone una rivisitazione dei ruoli da parte di tutti. In particolare, è importante il compito dei rivenditori. Alcuni di loro stanno agendo in maniera innovativa, altri meno»
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Pier Carlo Bruno Amministratore Unico presso 3C Informatica
| Pri me Ti me
in atto con successo dai vendor nel settore della telefonia. Magari garantendo a distributori e rivenditori una certa quota di entrate immediate, così da salvaguardare i flussi di cassa.
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Il delicato rapporto con i vendor Proprio il tema del rapporto con i vendor è stato uno di quelli affrontati più a lungo nel corso della tavola rotonda: una buona fetta di partecipanti ha messo in luce come dal lato dei maggiori produttori di tecnologia ci sia ancora un’eccessiva attenzione ai numeri e ai risultati immediati, piuttosto che alla costruzione di un valore aggiunto duraturo. Il paradosso, insomma, è che da una parte si chiede di favorire la distribuzione nel mercato di servizi e prodotti innovativi, magari poco conosciuti dal cliente finale, ma allo stesso tempo si pretendono comunque dei volumi di vendita importanti. I distributori, da parte loro, devono guardare anche ai propri bilanci, dunque sono combattuti tra la spinta e la necessità di promuovere queste soluzioni innovative (destinando dunque risorse umane e non solo), che magari non producono grandi ritorni nell’immediato, e la naturale tentazione di continuare
Roberto Vincenzi Vice Presidente di Centro Computer
a presidiare in forze le più tradizionali aree a volume. Scelte insomma non facili, che i distributori sono chiamati a compiere ogni giorno. Naturalmente, si è affrontato anche il ricorrente tema dei margini, perennemente a rischio erosione, forse proprio a causa delle eccessive pressioni esterne. I manager convenuti a #Distriboutique hanno concordato sulla necessità di andare oltre le classiche contrapposizioni feroci tra competitor, avviando una politica di concertazione e dialogo che permetta di salvaguardare i margini. In poche parole, di fare filiera, mentre invece ancora oggi ogni attore tende a pensare esclusivamente a se stesso. Una strada forse obbligata, anche perché il futuro potrebbe essere foriero di ulteriori e drastici cambiamenti tecnologici per Var e distributori, oltre a quelli già sperimentati nell’ultimo decennio.
I numeri di Context: meglio di quel che sembra Ad arricchire ulteriormente questi temi e considerazioni ci sono stati i dati in anteprima di Context, illustrati dalla country manager per l’Italia Isabel Aranda, che hanno permesso di fare
Gianluca Guasti Marketing Manager di Computer Gross «La prima metà dell’anno ha dato risultati positivi per la nostra società. In particolare server, data center e servizi sono andati bene, anche se stiamo notando risposte diverse in base alle zone geografiche»
«Il secondo trimestre è stato più difficile rispetto al primo, anche perché il business legato ai pc è calato in maniera significativa. In questa prima parte dell’anno abbiamo comunque messo a segno un +25% per i prodotti e un +16% per i servizi»
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Antonio Belvisi Sales & Marketing Manager Networking di EDSlan «Abbiamo registrato una fortissima crescita nel mondo networking, soprattutto l’anno scorso. Quest’anno l’andamento sarà inferiore rispetto al +40% di un anno fa, ma viaggeremo comunque intorno al +10 o 12%»
Massimo Grillo Ceo di Horus informatica «La nostra azienda è focalizzata nella sicurezza che, come noto, è un segmento in forte crescita nel panorama IT. Abbiamo però a che fare con cambiamenti piuttosto rapidi e dirompenti del mercato sui quali bisogna adattare le strategie di approccio»
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RICAVI DISTRIBUTORI 4,000,000
3,500,000
3,000,000
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Apple primo vendor grazie agli smartphone Ma cosa c’è dietro questa crescita? Secondo Context i principali comparti della distribuzione nazionale sono il mobile computing (che da solo vale il 20% del giro d’affari), le telecomunicazioni
Q2-14
UK&Irlanda
Q3-14
Q4-14
Germania
Italia
Q1-15
Francia
Q2-15
Spagna
FONTE: CONTEXT WORLD, PANEL DISTRIBUTORI
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il punto sull’andamento della distribuzione nella prima metà dell’anno. Questi numeri raccontano di una situazione anche migliore rispetto a quella avvertita dai partecipanti a #Distriboutique, soprattutto perché l’analisi prende in considerazione anche le vendite sul mondo consumer. La ricerca ci dice infatti che nel primo semestre del 2015 la distribuzione ICT ha conosciuto, a livello europeo, una crescita del +4,4%, per un giro d’affari di oltre 29 miliardi di euro. In particolare, l’andamento è stato particolarmente positivo per mercati come Regno Unito, Francia e Spagna, ma anche l’Italia ha potuto vantare uno sviluppo significativo. Anzi, il passo in avanti della distribuzione italiana è stato superiore a quello continentale, con un più che soddisfacente +13,6% (e un fatturato di quasi 3 miliardi), confermando così un trend di crescita a doppia cifra che nella Penisola ormai dura dall’inizio del 2014.
Ricavi 1°semestre 2014 VS 1°semestre 2015 Create infographics
Alberto Roseo Direttore Generale e Commerciale di Lutech
Cristiano Ferrari Responsabile vendite di Icos «A differenza del passato, sul tema del cloud ormai i principali vendor spingono in maniera positiva. In particolare c’è da segnalare una forte attenzione sul tema del cloud ibrido»
«Il mondo consumer è ormai ripartito, quindi prima o poi dovranno ripartire per forza anche gli investimenti ICT del mondo enterprise»
Le voci da #Distriboutique
«Veniamo da un ottimo 2014 e stiamo continuando su questa linea. C’è insomma più ottimismo rispetto al passato, anche se a livello enterprise gli investimenti sono un po’ meno consistenti dello scorso anno»
Antonio Serra Sales & Marketing Manager di Texor «In futuro la distribuzione ICT dovrà fare i conti con un rischio crescente. Sempre più prodotti, infatti, potranno essere acquistati direttamente online dai clienti finali»
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Vincenzo Baggio VP Managing Director Italy di Tech Data
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e il software. In particolare, nel primo semestre 2015 si è assistito a un boom delle TLC, addirittura in aumento del 137% rispetto allo stesso periodo del 2014, per effetto soprattutto della corsa degli smartphone (470 milioni di euro). Altri ambiti in progresso sono stati quelli del Power Equipment (+40%), dei data center (+25%) e dei server (+15%). Il dominio nel mercato degli smartphone (57%) ha fruttato ad Apple la leadership nella distribuzione italiana nel primo semestre 2015, permettendole di scavalcare HP, ora seconda. Al terzo posto c’è invece Samsung, mentre al quarto una Lenovo in forte crescita. Buone sono state le performance anche per Cisco, LG e Sony. A livello di singoli prodotti, l’analisi di Context ha messo in luce come il settore dei tablet si avvii ormai verso la saturazione, mentre è ormai iniziata nel semestre la discesa del segmento Desktop computing (-15%), che dovrebbe ulteriormente consolidarsi nei prossimi mesi.
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Il B2B vale un quinto della distribuzione italiana Context ha anche fatto il punto sul mercato B2B, quello che poi interessa di più gli operatori
Riccardi Bruschi Amministratore Delegato di TT Tecnosistemi
a valore intervenuti a questa edizione di #Distriboutique. Il giro d’affari di questo settore è di 508 milioni di euro, che rappresenta circa il 18% del valore complessivo della distribuzione italiana. A conferma delle impressioni emerse dal confronto tra gli attori di canale, in questo determinato ambito il passo avanti è stato più contenuto: +5% rispetto al primo semestre 2014. A testimonianza ulteriore di come il mercato oggi sia soprattutto trainato dall’area consumer. Nel mondo B2B c’è da segnalare la crescita del mercato server, spinto dalla fine del supporto a Windows Server 2003, oltre che di altre categorie come gli Ups, le soluzioni di Network management software, i Nas eccetera. Più, in prospettiva, sono buone le possibilità dell’Internet of Things, in particolare in ambito domestico. Maggiormente concrete sono invece le opportunità già oggi offerte dal settore del digital signage. #Distriboutique, insomma, è stata una giornata davvero intensa e ricca di spunti per gli operatori del canale. Che tornerà già nel prossimo autunno con un nuovo appuntamento.
Fabio Stanga Business Technology & Alliance Director di Var Group «I primi quattro mesi dell’anno sono stati molto meglio degli ultimi due. In particolare nei servizi abbiamo assistito a una crescita costante, mentre il settore desktop è attualmente in difficoltà»
«Siamo andati molto bene nei primi tre mesi dell’anno, poi si è assistito a una frenata molto persistente, con la crescita che è repentinamente passata dal +40% al +10%»
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Luca Casini Head of Sales & Marketing at V-Valley «Vedo un mercato complessivamente più ottimista rispetto al recente passato e riscontro la volontà dei miei interlocutori di parlare di nuovi trend, come cloud, Iot e Big Data»
Piera Loche Managing Director Zycko Italia «Noi siamo specializzati nella ricerca di vendor poco conosciuti. Vediamo che su questi nomi c’è interesse da parte dei partner, ma ci sono difficoltà oggettive legate alla mancanza di investimenti del mondo enterprise»
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Le trasformazioni del mercato accelerano i processi evolutivi del canale I cambiamenti sfumano i contorni tra le varie categorie di partner e spingono a modificare i propri portafogli d’offerta sia sul lato dei prodotti sia su quello dei servizi
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Andrea Gaschi Associate Partner Partners4Innovation
In questo contesto, proviamo allora a descrivere le principali trasformazioni che questi soggetti stanno attuando per rispondere alle nuove sfide del mercato, ricorrendo, comunque, ai modelli di classificazione più tradizionali, che ci permettano per lo meno di rappresentare il punto di partenza del processo di cambiamento.
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System Integrator
Il mercato ICT sta attraversando una fase di importante trasformazione. I grandi trend - dalla consumerizzazione all’industrializzazione, dal cloud fino ai Big Data - hanno un impatto profondo non solo sui processi delle aziende utenti, ma anche sui modelli di business degli operatori del mondo dell’offerta, a partire dalla stessa value proposition, fino ai clienti target e alle modalità per raggiungerli, o ancora alla propria organizzazione interna e alle competenze chiave da sviluppare, fino alle logiche di partnership nella filiera. I cambiamenti in atto rendono sempre più difficile incasellare gli operatori in modelli definiti: i ruoli sono sfumati e l’ingresso di nuovi attori, anche da segmenti diversi, rendono molto fluido lo scenario competitivo.
Il mercato richiede agli operatori specializzazioni settoriali sugli ambiti di business, e i System Integrator rispondono allargando l’offerta con prodotti verticali nei quali industrializzare le soluzioni apprese in progetti svolti in determinati ambiti, da proporre facendo leva sulle competenze verticali, anche acquisendole dall’esterno, in modo da accrescere il ruolo consulenziale. Per favorire la focalizzazione su tematiche innovative, tali operatori hanno scelto strade diverse a seconda del proprio modello organizzativo: Gli integrati, organizzati in un modello divisionale, hanno introdotto strutture trasversali per sviluppare i temi più innovativi, mettendole poi a servizio delle diverse unità per declinare tali innovazioni sui mercati specifici. I federati, organizzati in una costellazione di realtà molto verticali per tecnologia o per ambito applicativo, hanno invece avviato aziende specializzate su tematiche innovative, che sviluppano e portano sul mercato la nuova offerta. Entrambi tendono ad accedere rapidamente a competenze innovative, sia attraverso le università sia con fusioni e acquisizioni. Il mercato, poi,
Gli ISV, per contro, hanno invece attuato una razionalizzazione della propria offerta, focalizzandosi solo su quella parte che costituisce un differenziale competitivo grazie a competenze specifiche. Sfruttando, a volte, tale specializzazione anche sui mercati internazionali, soprattutto per prodotti di nicchia. Negli ambiti meno distintivi, gli ISV hanno invece sostituito i prodotti sviluppati internamente con soluzioni di terzi. Un cambiamento che comporta una riqualificazione del personale tecnico verso ruoli più funzionali, facendo comunque leva sulle competenze di processo acquisite con l’esperienza. Per quegli ambiti che riconoscono un valore al cloud, gli ISV hanno investito verso il SaaS, distribuendo i ricavi in buona parte lungo la durata del contratto.
Value Added Reseller La richiesta di specializzazione non ha risparmiato neppure i VAR che, per incrementare volumi e margini, si stanno muovendo da una parte allargando l’offerta con soluzioni basate su cloud, sviluppando al contempo anche competenze di Solution Architect. Dall’altra, stanno aumentando l’attenzione all’efficienza dei processi interni, con particolare riferimento a Delivery e di assistenza.
In conclusione, tutte le tipologie di operatori hanno recepito una forte spinta da parte del mercato nel ripensare significativamente la propria value proposition, enfatizzando le competenze acquisite sul business dei clienti e traducendole in soluzioni industrializzate. Questo cambiamento ha comportato una progressiva ibridazione tra i diversi modelli di business, rendendo sempre meno nitidi quei confini fino a poco tempo fa molto netti. In un contesto di mercato poco favorevole come quello attuale, con il mercato e i margini in calo, gli investimenti necessari in risorse e competenze che servono a continuare a competere in modo efficace richiedono che all’interno della filiera si creino le condizioni per una collaborazione fattiva.
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Il cloud è il trend che ha avuto l’impatto più significativo sui VAD, che in tale direzione hanno arricchito la propria offerta di servizi per il canale. Questo ha richiesto investimenti a livello di partnership per costruire l’offerta, a livello di competenze per lo sviluppo e la gestione dell’infrastruttura e per inserire, all’interno di tale infrastruttura, i servizi applicativi che il canale potrà poi rivendere, e talvolta anche a livello infrastrutturale per la realizzazione dei Data Center tramite cui erogare tali servizi. Offerta che si è sviluppata anche verso nuovi servizi, quali lead generation, formazione o supporto nella standardizzazione dei prodotti, per accelerare anche nei piccoli quella trasformazione già in atto nei partner più strutturati.
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Indipendent Software Vendor
Value Added Distributor
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impone ai System Integrator una progressiva contrazione delle tariffe e riduzione dei margini, che tentano di contrastare sia spostando attività all’estero, dove spuntare tariffe più elevate, sia razionalizzando la struttura organizzativa.
D i g i tal 4 Tr ade per J .S o ft
J.Soft aiuta i partner a portare il backup sul cloud Le soluzioni Veeam, in combinazione con l’infrastruttura Azure di Microsoft e il supporto della divisione Software di Computer Gross, rendono possibile questa opzione, garantendo ai partner un’ulteriore opportunità di business
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J.Soft Divisione Software di Computer Gross Italia S.p.A. Via del Pino 1 50053 Empoli (FI) Tel. 0571-9977 Fax 0571-997 333
Rivedi il Webinar “Costruire un’offerta a valore con Azure” Strumenti e funzionalità per garantire l’erogazione dei servizi
Nelle aziende i servizi basati sul cloud sono ormai una realtà, fornendo valore aggiunto alle imprese di qualsiasi dimensione e settore di interesse. La nuvola è capace di assicurare una riduzione della complessità e dei costi, nonché un’iniezione di agilità che aiuta a rispondere al meglio alle esigenze del business moderno. In questo scenario di progressiva affermazione del cloud è comunque centrale il compito dei partner, che rappresentano il vero e proprio collante tra il vendor e le esigenze delle singole aziende. Un ruolo importante può essere svolto anche dalla distribuzione, come dimostra l’esperienza di J.Soft, la divisione Software di Computer Gross, che è in grado di fare da aggregatore delle diverse soluzioni messe a punto dai vendor. La dimostrazione si è avuta in occasione di un recente Webinar organizzato da Digital4Trade, in cui si sono affrontate le possibilità offerte dal cloud, in particolare di Azure, l’apposito servizio di Microsoft. Come racconta Francesco Cristofoli, Microsoft Consultant: «Il nostro è un modello che offre ampia flessibilità riguardo al grado di utilizzo, perché si basa su singoli servizi (app service, compute, storage e network) che possono essere scelti in differenti gradi dal cliente. Che non si devono più preoccupare di attività dispendiose in termini di tempo e, al contempo, possono godere di un livello di scalabilità elevato. Insomma, un vero e proprio modello ibrido
che costituisce la soluzione perfetta per quasi tutti i clienti». Non molti sanno, però, che oggi è possibile trasferire nel cloud pubblico anche un servizio molto delicato come il backup dei dati. Anzi, è forse necessario, poiché per seguire un’attenta politica di sicurezza aziendale occorre implementare la regola del 3-2-1, secondo la quale bisogna conservare tre copie dei dati, su due differenti storage di backup, con una copia conservata off-site. Ma l’esecuzione di backup off-site può risultare difficoltosa, a causa della limitata ampiezza di banda, dei crescenti volumi di dati e della mancanza di risorse necessarie. Qui si inserisce il vendor Veeam, fornitore di soluzioni per la disponibilità dei data center moderni, che ha sviluppato Veeam Cloud Connect, che offre una soluzione completamente integrata, veloce e sicura per l’esecuzione di backup e ripristini nel cloud. Che dunque consente, in un qualsiasi momento, di ripristinare i dati in modo puntuale e preciso, gestendo anche le necessità di tipo legale. Senza bisogno di investire tempo e risorse in un sito secondario e senza necessità di aumentare l’ampiezza di banda. Poiché il modello commerciale di Veeam è al 100% indiretto, un ruolo cruciale viene svolto da J.Soft, che, in qualità di distributore Veeam di licenze per service provider, è in grado di fornire ai partner tutte le tecnologie necessarie (backup, ma non solo) per offrire servizi in hosting.
Zucchetti spa Via Solferino, 1 26900 Lodi - Italia Centralino: (+39) 0371-594-1 Telefono: (+39) 0371-594-2444 market@zucchetti.it partner@zucchetti.it
Il Gruppo LifeGate è il punto di riferimento per lo sviluppo sostenibile delle imprese, un ambito avvertito in maniera sempre più importante dall’opinione pubblica. LifeGate, infatti, offre consulenza su sostenibilità, progetti di comunicazione, fornitura di gas ed energia rinnovabile e progetti di efficientamento energetico (impianti di illuminazione Led e altri sistemi innovativi). Un universo articolato, che si compone di cinque diverse società che operano sul campo e che oggi vede impiegati circa 35 dipendenti e altrettanti collaboratori esterni. Come per le aziende di tutti i settori, anche questa società ha delle necessità da un punto di vista tecnologico e informatico per coadiuvare lo svolgimento della normale attività di business quotidiana: dalla reportistica per business unit al bilancio consolidato. Importante è anche l’utilizzo delle soluzioni gestionali, che permettono di gestire con un unico strumento, in modo integrato e strategico, tutti i processi aziendali: logistica, magazzino, acquisti, contabilità, amministrazione, produzione, marketing, vendite, post vendita, risorse umane e sicurezza sul lavoro. In passato LifeGate si era affidata alle soluzioni ACG, poi invece ha deciso di passare ai software Zucchetti, in particolare al programma gestionale Infinity e a un software di gestione dei prodotti di energia e gas. Come racconta il Cfo del Gruppo LifeGate, Alessio
Laguda, il cambio è stato affrontato soprattutto per il migliore rapporto qualità/prezzo assicurato dalle soluzioni della software house italiana. Ovviamente, il passaggio ha richiesto prima una fase di studio e poi un successivo periodo di rodaggio così che il processo di adozione è durato circa cinque mesi. Un tempo neppure troppo lungo, se si conta che si è dovuto procedere al passaggio dei saldi contabili, all’importazione completa delle anagrafiche e a una nuova strutturazione dei processi interni. Contemporaneamente, per garantire un’ottimale operatività del business, dipendenti e collaboratori che utilizzano quotidianamente i software gestionali hanno seguito delle attività di formazione mirate. Tutto il progetto è stato gestito da Gruppo EDC, partner Zucchetti di Merone (CO). A distanza di tempo da questo cambiamento, oltre al migliore rapporto qualità/prezzo, l’azienda ha riscontrato un’ulteriore serie di benefici derivanti dall’introduzione delle soluzioni Zucchetti. In particolare, in LifeGate si è assistito a un miglioramento della gestione delle informazioni interne, anche grazie all’integrazione nativa degli applicativi targati Infinity. Un ambito molto importante per tutte le aziende, ma in particolare per un’impresa che si trova a operare in ambiti così innovativi come quelli della sostenibilità e della comunicazione.
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Il Gruppo, impegnato con cinque diverse società nel mondo del green, ha deciso di adottare le soluzioni della software house italiana. Con vantaggi importanti per la produttività interna
D i g i tal 4 Tr ade per Zucch etti
LifeGate, lo sviluppo sostenibile passa dai gestionali Zucchetti
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Mentre Dell si compra EMC, Microsoft con Windows 10 porta una nuova (e comune) linfa ad alimentare dispositivi mobili e desktop. Ecco come e cosa può cambiare per gli operatori della filiera indiretta
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spalanca al canale le opportunità del cloud
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Gianluigi Torchiani
Vincenzo Esposito
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Direttore della divisione PMI e Partner di Microsoft Italia
Secondo Microsoft l’adozione del nuovo sistema operativo sta procedendo speditamente anche in ambito aziendale. E i partner possono costruirci sopra il proprio modello di servizi e soluzioni, primo fra tutti Office 365 Windows 10 non è soltanto un semplice passaggio tecnologico, ma rappresenta un’opportunità anche per il canale, che può trovarsi tra le mani uno strumento in grado di diffondere presso le aziende tutti i nuovi servizi sviluppati da Microsoft negli ultimi anni. Ne è convinto Vincenzo Esposito, Direttore della divisione Piccola e Media Impresa e Partner Microsoft Italia e dell’ecosistema dei partner. Che parte innanzitutto dai dati di diffusione del nuovo OS, aggiornati a fine settembre, che sono considerati dal gruppo come abbastanza positivi: in particolare, in Italia Windows 10 può già vantare una quota dell’11% sul totale dei sistemi operativi, un dato superiore alla media mondiale. «Si tratta di un dato abbastanza distribuito, dunque, non focalizzato soltanto su alcuni segmenti di mercato - mette in luce Esposito -. Anche sul lato aziendale siamo partiti bene, anche se è normale che l’adozione nel mondo consumer sia più rapida. Le aziende sono infatti obbligate a fare dei ragionamenti legati all’utilizzabilità delle proprie applicazioni, però stiamo lavorando a stretto contatto con i partner per far loro comprendere le potenzialità dell’OS».
Un’adozione più semplice nel mondo PMI L’adozione in aziende medio piccole, in linea generale, è comunque ritenuta più agile rispetto a quelle grandi, che devono maggiormente fare i conti con l’esistenza di sistemi di tipo legacy. Inol-
tre, per molte imprese del mid-market, Windows 10 rappresenta un’opportunità di rimodernare il proprio parco installato. Per quanto riguarda le modalità dell’upgrade, occorre mettere in evidenza che il passaggio gratuito entro un anno interessa soltanto il mondo consumer, ma molte aziende hanno spesso in essere degli accordi con Microsoft in cui è previsto anche l’aggiornamento del sistema operativo. Che dunque viene erogato in modo del tutto simile al mondo consumer (online), senza la tradizionale installazione fisica delle licenze.
Un sistema operativo come servizio «Windows 10 è davvero rivoluzionario perché consente un’esperienza omogenea su apparecchi diversi. Ci sarà la possibilità di scrivere app universali, capaci di funzionare in qualunque device. Inoltre, sono presenti una serie di funzionalità di sicurezza che consideriamo fondamentali. Ma quello che veramente cambia rispetto al passato è la possibilità di veicolare Windows come servizio - evidenzia Esposito -. Sono convinto che ci allontaneremo sempre più dalla concezione tradizionale di sistema operativo: alla fine, Windows 10 non è altro che un bouquet di servizi, che sono fondamentalmente di tipo cloud based. Inoltre, con il passaggio a un sistema operativo più moderno c’è la possibilità di introdurre in azienda dei servizi aggiuntivi che i vecchi OS, in particolare XP, effettivamente non pote-
Il ruolo crescente del cloud Secondo Esposito questo cambiamento necessita di una svolta culturale da parte delle imprese, ma anche dal lato partner, che devono comprendere il concetto di sistema operativo come servizio e declinarlo al meglio sul mercato. In questo senso Microsoft ha continuato a mettere in atto in questi mesi una serie di iniziative sul canale, anche in collaborazione con gli hardware vendor, per spiegare la portata di questa svolta. Che si ricollega direttamente alla sterzata sul cloud voluta dalla casa di Redmond negli scorsi anni: «In questa fase stiamo andando molto bene su tutta la nostra suite Cloud, in particolare Office
Oltre all’introduzione di Windows 10, il 2015 è stato anche l’anno della fine del supporto a Windows Server 2003: «Si tratta di una doppia opportunità: da una parte c’è la possibilità tradizionale del passaggio a un nuovo sistema operativo tramite l’acquisto di una licenza, che stiamo cavalcando bene. Ma d’altra parte la fine del supporto è anche una grande possibilità per le aziende di riconsiderare a 360 gradi la propria strategia in ambito data center. Per cui diventa un’opportunità per il passaggio di almeno una parte dei server a Azure, il nostro cloud pubblico», spiega Vincenzo Esposito.
365 è il prodotto che è più cresciuto, ma anche su Azure lo sviluppo è a tripla cifra. Tanto che ormai il cloud assume in termini percentuali un valore importante: stiamo parlando infatti di almeno un terzo del business Microsoft. Questa percentuale è ancora più spinta nel segmento SMB, dove ormai il 40-45% del giro d’affari è legato alla nuvola. Di conseguenza, anche il nostro ecosistema di partner si sta trasformando, poiché sta vendendo sempre meno licenze e sempre più servizi. Addirittura alcuni nostri partner, partiti magari con un modello tradizionale, stanno diventando degli ISV che sviluppano soluzioni che si agganciano ai nostri prodotti, cambiando radicalmente il proprio business model», conclude Esposito.
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La fine del supporto a Windows Server 2003 può spingere Azure
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vano supportare. Dunque, una volta che il partner è riuscito a spingere il suo cliente al passaggio a Windows 10, può costruirci sopra ulteriori servizi, uno su tutti Office 365, che presenta un livello di integrazione con Windows 10 molto più spinto rispetto al passato. Per chi possiede il vecchio Windows XP e la versione tradizionale della suite Office, passare all’attuale Windows 10 combinato con Office 365 significa davvero fare un salto in avanti da un punto di vista tecnologico. Le PMI, in particolare, si trovano a disposizione degli strumenti di lavoro sino a pochi anni fa appannaggio soltanto delle grandi aziende. In buona sostanza, una volta che un cliente utilizza Windows 10, per il partner diventa più facile proporre questi servizi».
Windows 10, un primo bilancio I numeri indicano una crescente diffusione del nuovo sistema operativo di Microsoft. I pc tradizionali mantengono il dominio, mentre la capacità di penetrazione nel segmento dei dispositivi mobile è minore portunità di aggiornamento gratuito a Windows 10, è stato certo incuriosito dalle innovazioni propagandate a più riprese dalla casa di Redmond: di sicuro, veder ricomparire sul desktop il familiare menu con tasto Start, per facilitare la scelta delle
Giorgio Fusari
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Dopo aver superato i 14 milioni di installazioni, a 24 ore dal lancio il 29 luglio scorso, a quasi un mese di distanza, Windows 10 è risultato funzionante su più di 75 milioni di dispositivi nel mondo, con una diffusione in continua crescita: lo ha confermato su Twitter, in un post del 26 agosto, Yusuf Mehdi, Corporate Vice President of Marketing del Gruppo Windows and Devices di Microsoft. E, sempre secondo fonti ufficiali Microsoft, di tutti questi sistemi, al 28 agosto, già circa un milione e mezzo utilizzavano Windows 10 nella versione Enterprise. Chi, possedendo un dispositivo basato su Windows 7, 8 o 8.1, ha deciso di sfruttare l’op-
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Le funzionalità più allettanti di Windows 10 (Fonte: Spiceworks Voice of IT)
LA CARATTERISTICHE PIÙ ACCATTIVANTI DI WINDOWS 10 FONTE: Spiceworks
Ritorno del tasto Start 64% Upgrade libero da Windows 7&8 55% Maggiore sicurezza 51% Aggiornamento come un Update di Windows 39% Supporto Desktop Multipli 33% Flessibilità di update 31% Nuovo Web Browser 22%
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APP Universali Mobile e PC 20% 0
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app, ha fatto piacere agli utilizzatori. Ma le nuove funzionalità generali spaziano in varie direzioni: dall’assistente digitale personale Cortana, che aiuta l’utente a reperire un’informazione desiderata, al nuovo browser Microsoft Edge, che permette di ricercare e leggere con maggior efficienza le pagine Web, e scrivere direttamente note al loro interno, poi condivisibili con altri utenti. Tra le innovazioni figura anche Continuum, per l’ottimizzazione delle applicazioni e dell’esperienza d’uso su dispositivi desktop o basati su interfaccia touch (tablet).
Vantaggi per le aziende Il nuovo S.O. promette migliorie dedicate ai professionisti IT e al mondo business: dalle PMI alle grandi imprese. Windows 10, dichiara Microsoft, può aiutare le organizzazioni a difendersi dai moderni attacchi informatici. I livelli di sicurezza sono
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più elevati, con meccanismi per proteggere dati e identità aziendali che vanno oltre le classiche password, e consentono l’esecuzione solo di software affidabile. Strumenti di MDM (Mobile Device Management) basati su cloud semplificano l’amministrazione dei dispositivi. Dal punto di vista dell’aggiornanento del S.O., con Windows Update for Business, Microsoft vuol fornire agli IT manager un controllo completo della distribuzione interna degli update, con la possibilità di regolare la frequenza degli aggiornamenti e selezionare le caratteristiche e funzionalità più indicate per ogni gruppo di addetti dell’organizzazione.
Obiettivi e realtà L’obiettivo dichiarato da Microsoft è avere Windows 10 funzionante su un miliardo di dispositivi, fra pc, tablet e smartphone, entro i prossimi due, tre anni. Un numero forse più simbolico, e non esente da possibili interpretazioni. Windows 10, ritiene Paul Thurrott, giornalista, blogger di tecnologia e autore di innumerevoli articoli sul S.O., è più affermato sui tradizionali pc e su dispositivi trasformabili come i pc 2-in-1, in cui la principale modalità d’interazione è con tastiera e mouse, o touchpad. Thurrott si interroga invece su come Windows 10 potrà affermarsi sui tablet, e sugli smartphone.
LE PRINCIPALI PAURE LEGATE ALL'ADOZIONE DI WINDOWS 10
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I principali ostacoli verso l’adozione di Windows 10 (Fonte: Spiceworks Voice of IT)
FONTE: Spiceworks
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Compatibilità e bug: i maggiori freni all’adozione Fra i punti chiave che preoccupano i responsabili IT nella transizione a Windows 10, il 79% cita i problemi di compatibilità hardware e software; il 65% i bug presenti nelle prime release e il 59% la formazione degli utenti. Il 51% è preoccupato per la mancanza di supporto dei vendor di terze parti, mentre per il 43% il problema è il tempo richiesto dal processo di
Microsoft punta ad avere Windows 10 su un miliardo di dispositivi entro 2-3 anni upgrade. Anche qui l’ambito critico, in un campo dominato da Android e Apple, si conferma l’uso di Windows 10 con i dispositivi mobile: sebbene il 48% dei rispondenti ritenga che utilizzare un sistema operativo comune per pc e mobile device rende più probabile considerare Windows 10, soltanto il 31% dice che sarebbe interessato ad avere Windows 10 per smartphone: una percentuale esigua, se confrontata con coloro che sono interessati a Windows 10 sui laptop (85%), sui desktop (83%) e sui tablet (50%). In sintesi, una domanda sorge spontanea: quanto la diffusione del nuovo sistema operativo su smartphone e tablet potrà influire sull’obiettivo di Microsoft di raggiugere, nei prossimi due o tre anni, il traguardo del miliardo di device?
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Intanto anche l’interesse dei professionisti IT è in crescita, come rileva un’indagine (“Windows 10: Will It Soar?”) di Spiceworks Voice of IT condotta in maggio, intervistando oltre 500 responsabili aziendali del settore in Nord America e nella Regione Emea sulle aspettative e i progetti per il nuovo sistema operativo. Fra gli interpellati, il 96% si è detto interessato a Windows 10, con un 60% che afferma che il proprio reparto IT ha già valutato una versione di anteprima. Tra le più attraenti feature di Windows 10, il 64% indica il ritorno del tasto Start, il 55% l’opportunità di free upgrade da Windows 7 e 8; il 51% i miglioramenti nella sicurezza. Solo il 31% cita la maggior flessibilità di aggiornamento, e solo il 20% la disponibilità di app universali su pc e dispositivi mobile.
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User Training 59%
Eccesso di tempo per 43% l'upgrade
Mancanza di supporto 51% dalle Terze parti
Maggiore sicurezza 51%
Bugs nelle prime 65% versioni
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Problemi di 79% compatibilità
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La sicurezza informatica è un caso da mass media. Per fortuna Gianluigi Torchiani
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Stefano Chiccarelli Ceo di Quantum Leap
Negli ultimi mesi gli attacchi hacker condotti con successo contro Hacking Team, Ashley Madison e Apple hanno creato allarme tra i comuni utenti. Ma una volta pubbliche, le minacce diventano automaticamente meno pericolose In questi ultimi mesi le tematiche della sicurezza informatica sono uscite dal ristretto campo degli addetti ai lavori almeno in tre diverse occasioni, rimbalzando prepotentemente sui mass media generalisti. E non certo per comunicare notizie positive, ma per raccontare di attacchi andati a segno con successo. Il primo caso riguarda l’azienda milanese Hacking Team, specializzata nella sicurezza offensiva. Come racconta Stefano Chiccarelli, Ceo di Quantum Leap, «Quello che è successo è che a metà luglio un anonimo ha divulgato in rete, all’inizio tramite lo stesso account Twitter di Hacking Team e poi attraverso un Torrent da 400 GB, tutta la posta elettronica e una serie di documenti interni (compreso l’elenco degli utenti) e tutto il codice sorgente del software Rcs. Si tratta di un software che di fatto può intercettare le comunicazioni che av-
vengono su device come pc, tablet, smartphone, ecc. Con la pubblicazione c’è stato dunque un grosso danno economico per Hacking Team e i suoi clienti, perché tutta la serie di tecniche che questo software utilizzava sono state divulgate, dunque rese difficilmente utilizzabili».
I problemi arrivano dagli attacchi sconosciuti Eppure l’attacco ha scatenato il panico presso i comuni utenti, che hanno temuto di essere spiati dagli hacker informatici di mezzo mondo, direttamente sul proprio pc. Una preoccupazione, secondo Chiccarelli, del tutto esagerata: «Occorre infatti considerare che questi software, che sfruttano anche delle vulnerabilità per essere installati sul target, sono efficaci nella misura in cui sono segreti, nel momento in cui vengono
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Ashley Madison: a rischio la privacy degli utenti Altro caso che ha fatto molto scalpore è stato quello Ashley Madison: Avid Life Media Inc., proprietaria della piattaforma online che favorisce le scappatelle extraconiugali, è stata attaccata in estate dagli hacker e i dati di non pochi dei suoi utenti sono stati resi pubblici. «Il risalto mediatico è stato enorme in questo caso - spiega Chiccarelli - perché ha toccato la sfera privata e aspetti per certi versi pruriginosi, ma di violazioni di database aziendali ce ne sono di continuo, anche di aziende molto più grosse di
Clusit: per resistere agli attacchi serve la Cyber resilience Gli attacchi informatici investono in maniera crescente cittadini, aziende, istituzioni e Governi, e ormai non c’è settore e ambito che possa dirsi realmente al sicuro senza mettere in atto un’adeguata preparazione. Queste le conclusioni, non certo rassicuranti, dell’ottava edizione del rapporto Clusit sulla sicurezza informatica in Italia. La prima evidenza è che queste azioni hanno soprattutto ragioni economiche: al cyber crimine, infatti, vanno ricondotti il 66% degli incidenti informatici dichiarati nella prima metà di quest’anno (+6% dal dicembre 2014). Che ormai non risparmiano nessuno: persino le super protette “infrastrutture critiche” (per esempio le reti energetiche) sono sotto bersaglio, tanto da registrare la crescita percentuale maggiore (+900%) degli attacchi gravi negli ultimi sei mesi. La domanda, che ovviamente interessa anche gli operatori del canale che operano in ambito sicurezza, è naturalmente: come difendersi? Secondo gli esperti del Clusit l’unica possibilità per fronteggiare le minacce è l’adozione di una logica multidisciplinare di Cyber Resilience. Che per le aziende significa comprendere le proprie vulnerabilità e criticità per predisporre un modello di rischio “cyber” accurato e costantemente aggiornato, che consenta di stimare le perdite potenziali al fine di determinare correttamente gli investimenti necessari in sicurezza.
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resi pubblici sono invece “bruciati”. Quello che mette a rischio davvero la sicurezza dei cittadini sono le vulnerabilità segrete. Tutto ciò che è pubblico, infatti, allerta le persone, le aziende, i produttori di sicurezza, i vendor, ecc». In effetti a distanza di circa tre mesi dell’episodio, non si ha notizia di una vera e propria escalation di spionaggio informatico. Anzi, si può dire che - già a distanza di pochi giorni dal caso Hacking Team - grazie al rilascio di apposite patch di sicurezza il problema sia stato in buona parte risolto.
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TIPOLOGIA E DISTRIBUZIONE DEGLI ATTACCHI - 1H 2015
Dalla Cina un colpo all’infallibilità di Apple Cybercrime
Hacktivism Espionage/Sabotage Cyber warfare
Clusit - Rapporto 2015 sulla sicurezza in Italia
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Una volta pubblici i cyber attacchi perdono di efficacia Avid Life Media. L’aspetto più grave, secondo me è, in questo caso, di policy: il sito prometteva agli utenti che una serie di dati personali inseriti nel primo momento dell’iscrizione sarebbero stati cancellati in una seconda fase. L’attacco ha invece dimostrato che non era così, dunque il sito non applicava la politica che aveva dichiarato».
A settembre, poi, gli attacchi del cybercrime hanno colpito anche Apple, sinora considerata dagli utenti come il massimo dal punto di vista della sicurezza. La compagnia di Cupertino è stata infatti costretta ad ammettere l’esistenza di una grossa falla nel suo App Store cinese, che ha portato alla contaminazione di almeno una quarantina di applicazioni comunemente usate dagli utenti iPhone e iPad. Tra le app infette ci sono state la popolare WeChat, che conta oltre 500 milioni di utenti nel mondo, il rivale cinese di Uber, Didi Kuaidi, e la app musicale di NetEase, simile a Spotify. Ma come è potuto succedere? In buona sostanza gli sviluppatori delle applicazioni infettate hanno utilizzato una versione contraffatta (ribattezzata Xcode Ghost) della suite di strumenti Xcode, messa a disposizione da Apple per la creazione di applicazioni per iPhone, iPad e computer Mac. In particolare, gli sviluppatori hanno scaricato il software contraffatto da un server cinese pubblicizzandone la velocità di download. Apple, seppure con notevole ritardo, è dovuta scendere ai ripari, rimuovendo le app contraffatte dallo Store. Secondo Chiccarelli l’attacco «è stato un metodo molto innovativo per bypassare il controllo sull’App Store, di fat-
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Al di là dei danni causati da questi tre specifici casi, oggi a distanza di tempo più o meno risolti, quello che rimane è una lezione: «Un’impresa di un qualsiasi settore merceologico può infatti subire azioni simili da parte di qualche competitor sleale o da un dipendente infedele. Se poi è successo persino a una società che si occupa di sicurezza informatica, può succedere a maggior ragione a tutte le altre compagnie. Oggi poi siamo in una situazione in cui la sicurezza informatica è spesso all’ultimo posto delle priorità, eppure tutto il mondo business ruota intorno alla rete e al mondo del digitale», conclude l’esperto di sicurezza.
Clusit - Rapporto 2015 sulla sicurezza ICT in Italia
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Una lezione: siamo tutti sotto tiro
NUMERO DI ATTACCHI GRAVI PER SEMESTRE: 2011/2015
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to gli sviluppatori sono stati utilizzati come cavallo di troia per favorire la diffusione del virus. Questo ha evidenziato che, nonostante le applicazioni Ios si possano scaricare soltanto dal negozio Apple, al contrario di quelle Android, il meccanismo di controllo della casa di Cupertino non ha funzionato al meglio». Il caso costituisce dunque la fine del mito dell’inviolabilità di Apple? «In realtà non ho mai creduto a questo mito, semplicemente negli anni passati chi ha fatto malware ha scelto di utilizzare principalmente la piattaforma più diffusa, cioè Windows», evidenzia il Ceo di Quantum Leap.
volte quanto consentito dalla norma. Da dove arriva questo software? Nello scandalo non è coinvolta nessuna nota azienda dell’informatica, perché il software - che ormai gestisce una parte importante delle funzioni delle moderne automobili - era prodotto internamente dalla stessa Volkswagen. Ma come mai nessuno si è accorto di niente per almeno sei anni? Il problema è che, come hanno denunciato alcune associazioni per la libertà informatica, tra cui la Eletronic Frontier Foundation, il Digital Millennium Copyright Act vigente negli Usa di fatto ha consentito ai produttori di automobili di impedire qualsiasi controllo al codice di questi software, appellandosi ai diritti di copyright. Insomma, sviluppatori ed esperti non hanno potuto controllare nulla, e ci è voluta l’indagine dell’Epa per scoprire lo scandalo.
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Settembre è stato senza dubbio il mese dello scandalo Volkswagen. La casa automobilistica tedesca, messa sotto accusa da parte dell’Agenzia federale americana per la protezione dell’ambiente (Epa), ha dovuto ammettere di avere truccato i test di controllo delle emissioni di sostanze inquinanti di alcuni dei suoi veicoli a diesel venduti tra il 2009 e il 2015. Tutto questo è stato reso possibile grazie all’utilizzo di un software fraudolento, capace di abbassare i valori in occasione dei controlli. Grazie a un algoritmo sofisticato installato sui veicoli “incriminati” era possibile rilevare quando la macchina era in fase di test ufficiali di emissioni, spingendola così a rispettare i rigidi parametri ambientali stabiliti dall’ente americano nella stazione di laboratorio o di prove. Ma, durante il normale funzionamento su strada, in realtà emetteva ossidi di azoto o NOx fino a 40
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Un software fraudolento alla base del caso Volkswagen
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Dell-Emc, quello che cambia per i partner Gianluigi Torchiani
A ottobre è andata in porto la più grande acquisizione della storia dell’IT. Tutto lascia pensare che i partner continueranno a giocare un ruolo fondamentale anche nella nuova compagnia, che nascerà però soltanto nel 2017
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La stretta di mano tra Michael Dell (a sinistra) e Joe Tucci rispettivamente Presidente di Dell e Presidente e AD di EMC
Questa volta tra i primi rumors e l’ufficialità sono trascorsi soltanto pochi giorni: lo scorso 12 ottobre è infatti arrivata la conferma della più grande acquisizione della storia dell’IT, quella di EMC da parte di Dell, che prevede un investimento complessivo di 67 miliardi di dollari. Più precisamente, la società di Round Rock rileverà quella con sede a Hopkinton, mantenendo VMware come azienda separata quotata in Borsa. Un’operazione resa possibile grazie ai finanziamenti garantiti dal fondo di private equity Silver Lake, di cui è presidente lo stesso Michael Dell. L’accordo darà vita a un autentico colosso del settore, con posizioni di leadership in segmenti come server, storage, virtualizzazione e pc, nonché negli ambiti a più forte tasso di innovazione del momento come i
software-defined data center, il cloud ibrido, le infrastrutture convergenti e la sicurezza su cui Michael Dell ha già ribadito di voler fortemente puntare. Joe Tucci, presidente e AD di EMC, nelle ore successive all’accordo ha parlato di una scelta dettata dalle “onde del cambiamento” che stanno colpendo il settore IT in una maniera senza precedenti, e si è detto fiducioso che la combinazione di EMC e Dell possa rivelarsi vincente per clienti, dipendenti, partner e azionisti. VMware, al contrario di quanto ipotizzato inizialmente, non sarà dunque esclusa dalla transazione (ed è stata valutata, anzi, decine di miliardi di dollari), anche se rimarrà società autonoma e quotata in Borsa. Le cariche del nuovo gigante dell’IT sono già definite: Michael Dell sarà presidente e Ceo, mentre Tucci
Ovviamente, oltre agli impatti più complessivi che questa operazione potrà avere sul panorama IT mondiale, ci si chiede quali saranno le conseguenze per i partner delle due compagnie. Vero è che, sino alla definitiva chiusura del deal (prevista a inizio 2017 per i tempi tecnici), non dovrebbero esserci delle decisioni definitive, ma gli interrogativi sono comunque tanti. Un punto di partenza è sicuro: negli ultimi anni entrambe le aziende hanno investito molto sul canale. Il cambiamento, in particolare, è stato dirompente per Dell, prima focalizzata quasi esclusivamente sulla vendita diretta. Oggi, invece, circa il 40% del giro d’affari della società texana passa attraverso i partner e la volontà del management, prima di questa operazione, era di un ulteriore incremento di questa percentuale. EMC può vantare cifre persino superiori: la stima è che il 60% del fatturato derivi dai partner. Dunque, logica vuole che il futuro della nuova Dell-EMC non potrà prescindere da un’attenzione al canale, considerato anche che l’obiettivo dichiarato del
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Due aziende dedite al canale
deal è la fornitura di servizi al mondo enterprise. È difficile immaginare, anche, che ai partner venga richiesto, o imposto, di abbracciare l’intero portfolio di servizi e prodotti della futura compagnia. Molto più probabile, piuttosto, che venga lasciata ampia libertà di focalizzazione sui segmenti preferiti (PC, server, storage ecc). Anche se, come mette in luce Kevin Rhone, analista di Enterprise Strategy Group, il nuovo mega gruppo potrebbe essere tentato di forzare i propri reseller a una scelta: o noi o loro, ovvero o le nostre soluzioni o quelle della concorrenza. In positivo c’è la diversità delle due strategie di mercato, che potrebbe favorire preziose sinergie: già oggi non è raro che i clienti Dell utilizzino prodotti EMC e viceversa, dunque, esiste una buona complementarietà. Molto incerto appare invece il futuro della EMC Federation, ossia il network di aziende che ruotava attorno al mondo (EMC Information, Pivotal, RSA, VCE, Virtustream e VMware). Appena un mese fa era stata presentata la credenziale unica Federation Ready per il cloud ibrido, ma l’acquisizione di Dell potrebbe rivoluzionare tutto l’impianto organizzativo, magari spingendo per una maggiore “unificazione”.
Chi unisce, chi divide Le reazioni all’accordo sono state in buona parte positive, soprattutto da parte della rete partner di Dell ed EMC, ma una vera e propria bordata è arrivata da una indiretta interessata, ossia il Ceo di Hewlett Packard, Meg Whitman, secondo cui l’intesa è destinata a causare una marea di problemi ai partner di canale di Dell-EMC. Secondo Meg Whitman, che non a caso ha seguito una strategia opposta con lo split di HP, mettere insieme due programmi e approcci differenti può provocare caos nel canale, ha evidenziato in una e-mail inviata ai dipendenti HP Enterprise.
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appare destinato a uscire di scena alla fine della transazione. Le ragioni alla base dell’accordo sono chiare: nonostante i tanti progetti avviati, EMC era da un po’ di anni in difficoltà, principalmente a causa della concorrenza dei grandi giganti del cloud pubblico (a cui ha cercato di replicare con il cloud ibrido). Non a caso la società lo scorso anno aveva avviato una revisione delle proprie strategie e aveva annunciato di voler tagliare spese per 850 milioni di dollari, facendo presagire l’inizio di una stagione di licenziamenti. Dell, dal canto suo, aveva bisogno di andare oltre il suo attuale core tecnologico, i pc, e mettere le mani su una società che le consentisse di allargare il portfolio di servizi alle imprese.
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Il debutto di Hewlett Packard Enterprise: «Noi più focalizzati»
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Marco Lorusso
Stefano Venturi Amministratore delegato di Hewlett Packard Enterprise Italia
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Collegati e rivivi il debutto di Hewlett Packard Enterprise attraverso l’esclusivo social-reportage
Clienti finali, IT manager, reseller, distributori e tutta l’azienda al completo. Solo posti in piedi al debutto milanese della “nuova” realtà nata dalla separation annunciata da tempo e ufficialmente al via in tutto il mondo dal 1° novembre «È una festa e non vedevamo l’ora che arrivasse. Oggi siamo più veloci, flessibili e carichi come una start-up». I toni decisi e i modi semplici, ma tremendamente efficaci, sono quelli di sempre, ma per Stefano Venturi, numero uno della neonata Hewlett Packard Enterprise, quello è stato un debutto di grandissimo impatto simbolico ed emotivo. A onor del vero, anche se l’ora X scatterà ufficialmente il prossimo 1 novembre, i giochi, come si dice, sono fatti da tempo e, mentre in Francia è già cosa assodata, in Italia le operazioni sono state avviate da mesi. Come detto, infatti, già da qualche settimana lo stesso Venturi è in cabina di regia di Hewlett Packard Enterprise mentre Tino Canegrati è stato chiamato a guidare HP Italia. La tanto annunciata separation che ha dato vita a due società diverse per dinamiche e obiettivi non è però cosa da liquidare con poche righe e tanto meno da affidare all’operatività del quotidiano; si parla infatti di un colosso con 75 anni di storia alle spalle, un impressionante parco installato mondiale e un ecosistema di canale con pochi paragoni. Anche e soprattutto per questo ai piani alti di Hewlett Packard Enterprise è stato voluto con forza un tour che permettesse a clienti finali, Var, reseller, distributori e a tutte le persone della società, di conoscere, ascoltare, celebrare la nascita di una nuova e diversa entità. «Una società capace di focalizzarsi con decisione su quello che sa fare meglio, cioé il business con tutto ciò che ruota intorno al data center, ai dati e alla gestione delle reti», ha detto Venturi davanti a una platea densa e silenziosa. Per quanto concernre HP Inc. invece, il focus è, e resterà, tutto ciò che ruota intorno alla scrivania (stampanti, pc, notebook...).
I quattro pilastri Tornando al gran debutto, «Hewlett Packard Enterprise è un’azienda nuova - ha raccontato Venturi - con un cuore da start-up e un’esperienza di oltre 50 anni in Italia. L’idea e la pratica è quella di concentrarsi su quattro aree chiave: sviluppare un’infrastruttura IT ibrida che si adatti al business dei nostri clienti; aiutare le imprese a proteggere i propri asset digitali; permettere ai clienti di utilizzare il 100% dei propri dati per velocizzare e migliorare le proprie decisioni di business; creare esperienze digitali e mobili per i clienti, impiegati e partner al fine di aumentare la produttività delle aziende».
Cloud ibrido insomma, Big Data, sicurezza e mobility… Queste le quattro stelle polari che indicheranno la strada a una nuova società. Quattro come i settori, target, sui quali ci si concentrerà in maniera particolare: Pubblica Amministrazione, IoT e manufacturing 4.0, Media e Finanza.
L’impatto sul canale Venturi è tornato più volte sul ruolo del canale e non poteva essere altrimenti data anche la foltissima presenza di partner e distributori: «Il canale resta uno dei motori principali per il nostro business. Con i partner abbiamo da tempo avviato programmi di affiancamento e di supporto che stanno limitando al minimo l’impatto della separation».
La società cinese è decisa a ridefinire e ampliare la comunità dei partner a valore aggiunto. La crescente modularità delle soluzioni proposte permette di implementare in breve tempo ambienti cloud e storage fortemente verticalizzati
E in Italia come si traduce? La strategia annunciata verrà declinata sul territorio italiano. Huawei sta mettendo in atto una
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Annalisa Casali
politica di recruitment piuttosto aggressiva nel nostro Paese. «Abbiamo circa 180 partner locali e collaboriamo con i grandi integratori come Accenture - dice Roberto Schiavone, Channel Sales Director di Huawei Technologies Italia -. Tuttavia, i nostri prossimi investimenti saranno per rafforzare le partnership con i system integrator locali. Vogliamo migliorare la formazione, perché i Var e i box mover non bastano a supportare l’implementazione delle tecnologie Huawei. La nostra crescita nel mondo enterprise vuole la formazione di nuovi solution partner OEM in grado di collaborare con i clienti alla soluzione dei loro bisogni». L’idea è di creare una piazza virtuale «una piattaforma di collaborazione aperta, che permetta di portare al mercato soluzioni innovative e verticalizzate», ha proseguito Schiavone. «Stiamo facendo recruiting anche tra gli esperti di customer facing - gli fa eco Alessandro Cozzi, Enterprise Business Group Director Italy and Western Europe - e gli specialisti del networking. Quasi il 100% del budget marketing è, da sempre, destinato alla formazione dei partner, sia on-site che da noi, a Milano o in Cina». L’obiettivo assegnato a Cozzi dalla casa madre è audace: arrivare nel giro di 5 anni a fatturare nel segmento enterprise 200 milioni di euro, circa la metà dell’attuale turnover della filiale italiana.
Eric Xu Rotating Ceo di Huawei
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Huawei ha da sempre legato il proprio brand alla telefonia mobile e al wireless. Nell’universo consumer è famosa per tablet e smartphone (che generano il 26% del fatturato globale pari, lo scorso anno, a 46 miliardi di dollari), ma il suo core business è rappresentato dalle infrastrutture di rete per i carrier (67% del giro d’affari). Negli ultimi anni, però, la multinazionale cinese sta puntando sul segmento enterprise, che pesa per il 7% sul turnover e che, nelle dichiarazioni del rotating Ceo in carica, Eric Xu, dovrebbe arrivare ai 10 miliardi di dollari di revenue entro i prossimi cinque anni. Come? Con il rilascio di nuovi software e middleware sempre più aperti e modulari che consentiranno, con l’ausilio dei partner OEM, di garantire la rapida implementazione di ambienti cloud verticalizzati e poi, aprendo nuovi centri R&D e assumendo migliaia di ingegneri. Per spiegare meglio il suo nuovo corso, la società ha riunito a Shanghai oltre 10.000 tra partner, clienti, analisti e giornalisti in una due giorni focalizzata sul cloud e sulle infrastrutture utili ad abilitare l’Internet of Things, lo Huawei Cloud Congress 2015. «Il nostro impegno sarà sempre più convogliato verso infrastrutture IT, piattaforme software e servizi cloud di classe enterprise, per creare un ecosistema cloud - esordisce Xu -. La cooperazione con i partner è al centro di questa visione». Che il canale sia fondamentale per la società lo si evince dal fatto che, da sempre, quasi il 100% del business di Huawei è realizzato in modo indiretto.
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Passano per l’industry cloud le opportunità del canale di Huawei
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Si fonda sul canale la crescita di Amazon Web Services in Italia
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Gianluigi Torchiani
Nicola Previati Head of AWS Italy
Il gigante del cloud pubblico prevede programmi per ISV e system integrator, fondamentali per l’implementazione dei progetti nella realtà italiana. L’obiettivo per il futuro è incrementare ulteriormente il livello di servizio nei confronti dei partner, spingendo sulla formazione Su cosa si basa in questo momento la crescita di Amazon? Viene quasi naturale indicare il celebre negozio retail che quasi tutti abbiamo utilizzato almeno una volta. Ma in realtà, nel secondo trimestre del 2015 è stata la sua divisione cloud, Amazon Web Services (AWS), nata nel 2006, a vantare i risultati migliori: le entrate legate ai servizi di cloud pubblico sono praticamente raddoppiate (+81%) rispetto a un anno prima, passando da 1,17 miliardi di dollari a 1,82 miliardi di dollari. E anche in Italia, come spiega Nicola Previati, Head of AWS Italy, il cloud pubblico è un fenomeno in grande espansione.
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Cloud pubblico non è nemico del canale Ma questa crescita non significa escludere il canale: «Amazon ha un contatto diretto con i clienti, perché chiunque, dalla piccola start-up alla grande multinazionale, ha accesso a una piattaforma che è la stessa per tutti. Ma, soprattutto in un mercato così geograficamente distribuito, con una netta preponderanza delle Pmi, non si può certo pensare che tutte le aziende abbiano le competenze, anche minimali, per gestire in autonomia la propria infrastruttura cloud. Il tema dei partner ha perciò sempre avuto molta importanza a livello italiano (ma non solo) e spingeremo sempre di più in questa direzione. E il loro numero continua a crescere, di pari passo con l’aumento della domanda da parte dei nostri clienti». L’idea di AWS, perciò, è che il canale non debba avere paura delle tecnologie del cloud computing ma, al contrario, debba costruirci sopra il proprio modello di business. La società americana mette loro a disposizione due distinte tipologie di partnership. Una si rivolge agli ISV,
che hanno il loro software integrato o appoggiato sulle piattaforme AWS. C’è poi una soluzione per i system integrator, ribattezzati consulting partner, che aiutano cioè le aziende a sviluppare, gestire e manutenere le loro soluzioni su AWS. Da notare che i consulting partner Amazon sono sia grandi system integrator globali (Capgmenini), che medi (Reply), ma non mancano anche quelli di minori dimensioni, specializzati nelle tecnologie cloud (ma non necessariamente cloud native).«Poiché le esigenze che i clienti AWS esprimono sono le più disparate, anche i partner sono molto diversi tra di loro. È interessante notare come si creino più sinergie che una vera e propria competizione. Anche perchè è poco probabile che un singolo system integrator abbia le competenze necessarie in tutti i rami dell’IT. Insomma, sullo stesso cliente possono collaborare più partner, con skill tra loro complementari», spiega Previati.Per il futuro, «l’obiettivo è incrementare il nostro livello di servizio. Abbiamo già cominciato a effettuare investimenti in formazione, facciamo training sia via Web che fisicamente, ma stiamo intensificando questo tipo di attività», conclude Previati.
Il cloud stimola l’evoluzione del trade Il canale può, pertanto, utilizzare l’offerta cloud di Oracle che agevola il trasferimento delle applicazioni dall’on-premise al cloud e viceversa, in perfetta logica ibrida. «Il cloud sta mostrando un ruolo
fondamentale nell’evoluzione del canale - osserva Romani - i system integrator possono proporsi come SaaS o come PaaS partner nello sviluppo di nuove app cloud o nell’integrazione o estensione di SaaS Oracle; gli ISV possono collocarsi quali partner PaaS o come SaaS, potendo integrare o estendere le proprie soluzioni cloud con le nostre app; infine, i VAR, i quali, come IaaS, hanno la possibilità anche di estendere tali servizi in aggiunta ai servizi PaaS di infrastruttura di Oracle». Una rivoluzione nel modo di proporsi ai clienti che deve, quindi, cambiare la logica stessa dell’offerta, non più basata sulla vendita dei prodotti, ma orientata ai servizi, e abituare alle nuove dinamiche che ciò comporta, ossia importi di minore entità e con cicli di vendita più corti. «Oracle ha affrontato il cloud in tempi ancora non sospetti - continua Romani - con un vantaggio che ci ha permesso di accumulare esperienza sul percorso da indicare al canale. Partner il cui modello di ingaggio prevede l’intermediazione dei distributori, Computer Gross e Icos, i quali distribuiscono le nostre offerte PaaS e SaaS, gestendo il business di volume e il credito». Ai partner, il vendor prospetta nuove opportunità, compresi i rinnovi, oltre alle nuove vendite e le estensioni dei contratti, abilitandoli a costruirsi un proprio business basato su cloud attraverso un Incentive Program, che si declina in un Referral Program che riconosce il 10% alla registrazione di un deal su cloud, quindi creare progetti di implementazione acquisendo skill attraverso nuove specializzazioni e, infine, attraverso il Resale Program, gestito attraversi i VAD, assicura un ulteriore 10% di margine sulla vendita del progetto e sui rinnovi per i seguenti 3 anni successivi.
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Il canale è strategico per la crescita di Oracle e il cloud lo è per la crescita del canale. Il cloud di Oracle, ovviamente, che si propone ai propri partner come interlocutore unico con un’offerta as-aService che dichiara essere la più completa del mercato, su tutti i fronti: application, platform e infrastructure. «Siamo gli unici ad avere una completezza di servizi - afferma Sauro Romani, Alliances and Channels di Oracle Italy - con una suite esaustiva su tutte le aree applicative, dalla gestione HR, sales and marketing, ERP, SCM, social, EPM e altro, come completa è anche l’offerta in ambito Platform e Infrastructure. Un portafoglio che è fondamentale per i partner nella loro proposizione cloud, e proprio su di loro stiamo investendo per estendere le nostre potenzialità di vendita e interferire anche con nuovi interlocutori in azienda al di fuori dell’ambito IT».
Loris Frezzato
Sauro Romani Alliances and Channels di Oracle Italy
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Forte di un’offerta completa, il vendor si propone come unico interlocutore per il cloud, varando un apposito programma di incentivi e spronando alle specializzazioni. Previsti anche un roadshow e un Cloud Day per fare incontrare i clienti e le offerte dei partner
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Priorità servizi nell’approccio di Oracle al trade
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Arrow University: l’offerta si amplia
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Dal tradizionale focus sulla sicurezza, il distributore ha dapprima approcciato il tema infrastrutturale per andare, con un accordo internazionale, ad affrontare l’area software includendo Sas. Novità illustrate alla Arrow ECS University, giunta alla 15a edizione
Federico Marini
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Managing Director di Arrow ECS per l’Italia
Grande affluenza di pubblico all’edizione 2015 della Arrow ECS University: oltre 600 iscritti (contro i 500 dello scorso anno) hanno partecipato alla manifestazione che si è tenuta a Villa Quaranta, nei pressi di Verona; un record assoluto per l’evento che da 15 anni annualmente il distributore a valore organizza in Italia con l’obiettivo di stimolare il confronto e lo scambio di informazioni tra il canale dei partner e 31 dei numerosi vendor che compongono il proprio listino, presenti con un desk espositivo dedicato e attivi in un non-stop di workshop formativi. Un’offerta che Arrow aggiorna ogni anno, aggiungendo ai brand storici della sicurezza, sulla quale è specializzata, nuovi nomi. Lo scorso anno è stata la volta dell’estensione verso lo storage, e quest’anno spicca, invece, la presa di contatto con il mondo del software, grazie alla new entry Sas. «Una svolta, quella verso il software, che rappresenta una grande sfida per noi - afferma Federico Marini, Managing Director di Arrow ECS per l’Italia - come anche per Sas stessa, che con noi ha di fatto aperto alla distribuzione attraverso un accordo centrale. Esempio di un’ottimizzazione, oltre che
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Lo spirito della University: tradizione e innovazione nella formazione al canale Loris Frezzato
dei servizi e delle capacità finanziarie, anche delle opportunità in termini di ampliamento dell’offering (un altro caso è la sigla recente con FireEye, ndr), derivanti dall’essere entrati a far parte di un Gruppo internazionale come Arrow. Per noi, ribadisco, è un mercato nuovo, che ci consente di affrontare clienti nuovi aprendo un canale diverso da quello con cui siamo abituati a collaborare, e per il quale ci siamo strutturati con risorse dedicate e opportune competenze. Portando a una sessantina il numero delle risorse, tra la sede principale di Bolzano e quella, in crescita, di Milano». Una vocazione alle novità che si è sviluppata in Arrow già l’anno scorso con l’entrata di brand di infrastruttura sui quali sono stati fatti grandi sforzi per creare i dovuti servizi a supporto del canale. Novità che predispongono a una crescita del distributore, che però sarà prossima, visto che, per ammissione di Marini, «la crescita, davvero importante, che c’è stata quest’anno, è stata ancora sulle tecnologie tradizionali della nostra offerta, ossia security e network security, segno di un mercato che sta crescendo e che ci sta dando ottimi riscontri che si sommeranno a quelli attesi dall’ampliamento alle nuove aree che ci stiamo preparando ad affrontare». Check Point, Citrix, HP, F5 Networks, Juniper sono i primi nomi dei best performer 2015 dell’offerta Arrow che vengono in mente a Marini ma, un po’ tutti i brand della “vecchia guardia” hanno avuto una crescita, sintomo che il mercato della sicurezza, in generale, gode di ottima salute. Una crescita che, in parte, riguarda anche la numerica dei dealer clienti, attualmente oltre un migliaio quelli attivi, in leggera crescita quest’anno anche grazie alla dote dei nuovi marchi di infrastruttura entrati in lista, e qualcuno anche ereditato da Sas.
Context pubblica gli attesi risultati del suo sondaggio ChannelWatch. In cima alle preferenze dei rivenditori italiani c’è il distributore di Bergamo. «La conferma di una vocazione precisa per il presidio del territorio e la prossimità di valore»
Marco Lorusso
mente dedicata ad hardware, pc, notebook, device mobili in generale e componentistica, che nel corso dell’ultimo anno fiscale ha generato 167 milioni di euro. All’attività di distribuzione di brand internazionali, la società orobica associa anche una propria linea di prodotti a marchio Winblu, che comprende pc, workstation e server.
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12 mesi, 52 settimane, 365 giorni... un anno. Un periodo di tempo ampio che, per il mondo dell’innovazione digitale equivale spesso a un’era geologica. Nascono nuovi prodotti rivoluzionari, alcuni arrivano già vecchi sugli scaffali dei rivenditori di turno..., vedono la luce aziende di successo, altre chiudono o si dividono. Tutto cambia per tutti insomma, ma per il mercato ICT forse un po’ di più. Ecco perché un premio come quello che Context ha appena assegnato a Brevi assume oggi un valore molto particolare. La società internazionale di analisi del mercato ICT, ha infatti premiato il distributore di Grassobbio (BG) conferendogli il titolo di “Distributore dell’Anno” per l’Italia. Un premio assegnato sulla base di un sondaggio effettuato da Context tra i diversi Paesi europei che analizzava, nel contesto più ampio della propria “ChannelWatch”, anche le preferenze degli operatori del canale italiano riguardo il distributore di riferimento.
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Context decreta il 2015 come l’anno di Brevi
Il canale tiene Ma quali sono i trend e le dinamiche osservate nel corso di questo anno record da Brevi? «L’andamento del dollaro ha penalizzato significativamente il settore - racconta il manager -. Un settore che è stato trainato principalmente dalla domanda di telefonia e soprattutto dal suo player principale. Nonostante queste dinamiche congiunturali, Brevi si sta confermando realtà stabile nel fatturato e al primo posto nel segmento cash & carry. La nostra, infatti, è la prima rete in Italia per numero di punti vendita e copertura territoriale». Tra le altre note positive osservate da Brevi, con la consueta attenzione, c’è poi uno stato di salute finanziaria particolarmente buono. «Il tema del credito - conclude Brevi - vede i reseller ben posizionati e solidi. Non a caso le principali agenzie di finanziamento e supporto al credito indicano da tempo proprio il mondo IT come uno dei più affidabili e “attraenti”. Una dinamica che trova perfetta conferma in un ecosistema di partner targati Brevi, che continuano a dimostrare grande affidabilità».
Giambattista Brevi Fondatore, Presidente e timoniere dell’omonima società
Un premio per il valore «Questo premio lo condividiamo con i nostri 29 cash & carry distribuiti a livello nazionale e i 15mila rivenditori attivi - racconta Giambattista Brevi, storico timoniere della società -. Questo è il nostro motore, questo il tratto distintivo che fa di Brevi una società di valore vero». Ad alimentare un simile motore ci pensano 130 persone e un’offerta di 80 marchi, particolar-
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EDSlan distribuisce le soluzioni Barracuda Networks
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L’accordo prevede la commercializzazione dei prodotti del vendor californiano su tutto il territorio nazionale. Il distributore arricchisce così la sua offerta nei settori sicurezza e storage
Rodolfo Casieri
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Direttore commerciale di EDSlan
EDSlan arricchisce il proprio portafoglio di prodotti che riguardano il mondo della security e dello storage; infatti, ha di recente siglato una partnership per la distribuzione su tutto il territorio nazionale delle soluzioni di sicurezza, networking, application delivery e protezione dati del vendor californiano Barracuda Networks. L’accordo permette a EDSlan di distribuire tutta la gamma di soluzioni, tradizionali e cloud, di Barracuda andando così ad arricchire e ampliare l’offerta del distributore nelle aree di mercato della sicurezza e dello storage. «La partnership con Barracuda Networks ci posiziona ulteriormente come un distributore di riferimento anche nel mercato della security e dello storage - ha spiegato Rodolfo Casieri, Direttore commerciale di EDSlan -. Barracuda offre un portafoglio di prodotti e tecnologie premiate a livello internazionale in grado di rispondere alle esigenze in ambito IT delle aziende di tutte le dimensioni, sia per qualità sia per prezzo. Questo significa offrire ai nostri clienti un prodotto eccellente a un prezzo competitivo, capace di garantire al contempo margini estremamente interessanti. L’offerta spazia dalla sicurezza allo
storage, passando per l’application delivery e l’infrastruttura nel suo complesso. Si tratta di un ventaglio completo di soluzioni che permettono al cliente finale di aumentare la produttività e la competitività, garantendo al contempo la protezione delle informazioni e delle reti aziendali». Le soluzioni Barracuda si distinguono per la semplicità di implementazione e di utilizzo offrendo un supporto 24 ore su 24 e sette giorni su sette. Barracuda Networks punta su un modello di vendita interamente indiretto e il suo programma di canale comprende vari livelli con impegni diversi che vengono richiesti al partner per poter soddisfare ogni tipo di esigenza. Il supporto che viene reso disponibile si fonda su tre fronti, che vanno dal livello commerciale al marketing fino ad arrivare a quello tecnico. «Riconosciamo a EDSlan una presenza storica sul mercato italiano e la capacità di avere un’ampia base di partner in tutta Italia e di poter accelerare l’adozione delle tecnologie Barracuda grazie alle competenze e alla professionalità delle sue risorse tecnico commerciali», ha poi commentato Stefano Pinato, Country Manager Italia di Barracuda Networks.
iniziativa a cura di
Morten Lehn, Managing Director di Kaspersky Lab per l’Italia
Kaspersky Italia Via F. Benaglia,13 00153 Roma www.kaspersky.it info@kaspersky.it Fax (+39)06-5814168
L’informatizzazione e l’innovazione tecnologica hanno semplificato la vita di molte aziende, ma hanno anche aperto la strada a nuove tipologie di attacchi informatici. I moderni cyber criminali, infatti, utilizzano strategie di attacco sempre più mirate per accedere a fonti di conoscenza sulle vittime per sfruttarne i punti deboli. Gli attacchi evolvono insieme alla tecnologia e un esempio sono gli attacchi DDoS (Distributed Denial of Service). «Fino a qualche anno fa questi attacchi erano una forma di vandalismo per pochi esperti, che interrompeva temporaneamente la navigazione Internet - spiega Morten Lehn, Managing Director di Kaspersky Lab per l’Italia -. Oggi sono una seria minaccia alla continuità operativa delle aziende e uno strumento di “vandalismo informatico” che può creare danni economici e di immagine. Gli attacchi DDoS, che hanno lo scopo di bloccare l’accesso alle risorse online dell’azienda sommergendole di richieste “spazzatura”, possono essere realizzati da chiunque: hanno costi relativamente bassi (una persona senza scrupoli può ordinare un attacco DDoS per poco più di 40 euro al giorno) e basta una semplice ricerca per trovare persone che lo realizzano su richiesta; inoltre, le valute criptate permettono a chiunque di nascondere la propria identità». L’accessibilità di questa minaccia mette a rischio
qualsiasi azienda che abbia rivali di ogni sorta. Secondo un’indagine Kaspersky Lab e B2B International le imprese più colpite da questi attacchi sono quelle che operano in settori quali e-commerce (44%), organizzazioni che forniscono servizi di telecomunicazione (44%), media online (41%) e aziende finanziarie (39%). Le ragioni più comuni per cui si organizza un attacco DDoS sono teppismo, concorrenza sleale o ricatto e spesso sono parte di un attacco più ampio che punta ad accedere ai dati critici di un’azienda creando un diversivo attraverso il sovraccarico dei servizi online. Ci sono però molti modi di contrastare gli attacchi DDoS. Uno di questi è l’installazione di strumenti di filtraggio all’interno dell’infrastruttura IT, anche se questo metodo nasconde qualche inconveniente. Innanzitutto, necessita dell’ausilio di professionisti IT che controllino il sistema di filtraggio. Poi, è davvero difficile bloccare un attacco DDoS importante in questo modo perché spesso ostruisce il canale Internet e non solo l’equipment aziendale. Quindi, l’unico metodo efficace è avere un contratto con un’azienda specializzata. Anche un Internet provider fornisce questo servizio, utilizzando un ampio canale che dà un buon margine di sicurezza e che permette ai propri clienti di comunicare anche durante l’attacco. Ma non basta, perchè la tecnologia che sta dietro gli attacchi DDoS è in continua evoluzione e, per contrastarli, le aziende hanno bisogno di esperti in house per implementare le regole di filtraggio. «I provider tendono a non specializzarsi per evitare spese extra. Il metodo di protezione più efficace coinvolge esperti che non solo modificano gli strumenti di filtering, ma analizzano le modalità utilizzate dai criminali, sviluppano nuove tecnologie difensive, monitorano la situazione e sono pronti a migliorare i meccanismi di filtraggio. A questo fine, Kaspersky Lab ha progettato Kaspersky DDoS Protection, una soluzione che integra le tecnologie avanzate di Kaspersky Lab alla protezione contro gli attacchi DDoS», conclude Lehn.
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Questo genere di minaccia rischia di colpire aziende di ogni tipo. Secondo Kaspersky Lab non sono sufficienti le normali protezioni garantite dagli Internet provider
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Come prevenire gli attacchi DDoS
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Sicurezza: le risposte del canale alle preoccupazioni dei clienti Crescono i fronti di attacco alle informazioni e l’evoluzione e l’impegno strategico ed economico del cybercrime va di pari passo agli sforzi dei vendor e del canale nel dare risposte adeguate ai clienti, ormai sotto assedio. In queste pagine cerchiamo di fare un’analisi della situazione attuale, quali sono i fronti più esposti e appetibili al cybercrime e come il distributore a valore aggiunto Avnet Technology Solutions è in grado di rispondere, attraverso i servizi ai propri clienti dealer e grazie a un paniere d’offerta il più completo possibile sui vari aspetti della sicurezza ICT
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Avnet TS Italia Via Gozzano, 14 20092 Cinisello B. (MI) Tel. +39-02-6186041 Fax +39-02-6186045 info.it@avnet.com
Un motore nuovo nel viaggio verso la terza piattaforma», ecco la “sicurezza” di Avnet Mobility, social networks, cloud computing, Big Data. La rivoluzione della terza piattaforma e dell’informatica tradizionale che diventa digitale è tutta nell’impatto e nelle accelerazioni che questi paradigmi tecnologici, nuovi, stanno imponendo a imprese e manager a ogni latitudine. Accelerazioni che offrono grandi potenzialità, ma che stanno anche esponendo processi critici, informazioni, dati condivisi a velocità siderali, a rischi enormi. «Così la sicurezza diventa parte integrante di ogni data center, del design stesso di ogni soluzione ad esso dedicata». Ha le idee chiare Max Tschabuschnig, Avnet Emea Security Director mentre racconta il percorso che il distributore a valore ha scelto per sviluppare una nuova e più ampia strategia legata proprio alla sicurezza. «Avnet, da ormai due anni, ha come obiettivo il raggiungimento di un ruolo da protagonista nella transizione alla terza piattaforma. Non è però possibile - spiega il manager - intraprendere un simile viaggio senza la certezza di affidarsi a mezzi di trasporto sicuri. Fino ad oggi avevamo un buon presidio della security, ma tattico ed eterogeneo in ragione delle declinazioni nei vari Paesi. Ora però, la sfida della migrazione verso un IT sicura, richiede un approccio molto più strutturato. Per questo abbiamo deciso di sviluppare una struttura che possa garantire gli stessi standard di competenze commerciali e tecniche a ogni country. Un gruppo di competenze che permetterà a partner e strutture locali di aumentare valore e credibilità sul territorio. Un elemento, questo, decisivo soprattutto per il Sud Europa dove i partner spesso non hanno la forza di investire in nuovi mercati e competenze». Un approccio che, non a caso, sta avendo ottimi riscontri proprio in due Paesi molto simili come
Spagna e Italia, in cui, come spiega Tschabuschnig, lo sforzo è stato più ampio e profondo, mentre in Olanda il distributore ha anche avviato la costituzione di un centro ad hoc per la gestione di tematiche amministrative. Un supporto completo, dunque, che sfocia anche in un’attività di stimolo diretto della domanda. Il sistema sviluppato da Avnet prevede, infatti, la disponibilità di risorse dedicate a livello locale, e quindi anche italiano, con un profilo tecnico, che si occuperanno di contattare una certa fascia di clienti finali offrendo un servizio di prima consulenza a livello di sicurezza.
Un’offerta senza precedenti Strategie precise destinate ad aprire importanti strade di business per il canale italiano, ma anche scelte coraggiose e decise in tema di soluzioni e tecnologie. «Abbiamo allestito un’offerta di impatto e valore.
Cisco dà sicurezza alla trasformazione delle aziende La security accompagna il processo di trasformazione aziendale abilitato dalle tecnologie Cisco. Un aspetto, quello della sicurezza, che il vendor sta ormai affrontando in maniera trasversale sull’intera propria offerta, con un impegno crescente che dall’offering tradizionale basato su firewall l’ha portata, in breve tempo, grazie a importanti acquisizioni, a collocarsi come il maggiore player mondiale di sicurezza. «Una focalizzazione che segue di pari passo il cambiamento in atto nel panorama IT - afferma Stefano Volpi, GSSO Area Manager di Cisco Italia -. Si sta infatti assistendo a una digitalizzazione delle aziende che vede l’IT come fattore di crescita, con grandi cambiamenti nei processi, dal Byod, al cloud, alla virtualizzazione, i quali hanno allargato a dismisura il perimetro aziendale». Cisco in tutto questo si vuole proporre come attore principale affinché il processo di trasformazione del business sia accompagnato da criteri adeguati di sicurezza. «La rete è sempre più convergente con la sicurezza - spiega Volpi - assumendo un ruolo crescente. Per questo la sicurezza è diventata uno dei pillar fon-
damentali dell’offerta di Cisco, che negli ultimi anni ha fatto numerose acquisizioni specifiche, per 3,5 miliardi di dollari, portandola a strutturarsi con una divisione dedicata, la GSSO (Global Sales Security Organization), che impiega 6.000 persone». A oggi la protezione di Cisco si estende dal network a tutti gli altri punti nevralgici delle aziende, dal data center, al client, alla WAN, all’edge e a tutto l’ambiente periferico, con il vantaggio che tutte le soluzioni sono in grado di dialogare tra di loro. Un panorama che per il canale si traduce in opportunità, potendosi ritagliare un ruolo di consulente, enfatizzando ulteriormente il valore aggiunto che può vantare. Con il vantaggio di non disperdere energie con offerte frammentate e concentrare gli sforzi e gli investimenti nella creazione di competenze specialistiche. Competenze sulle quali Cisco è attiva con un fitto calendario di training. Attività di supporto al canale sulle quali forte è il contributo di Avnet, in qualità di distributore specializzato sull’offerta del vendor e che si è strutturata con un’apposita divisione dedicata alla sicurezza, garantendo competenze interne e da trasferire ai partner.
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Max Tschabuschnig, Avnet EMEA Security Director
Radware assicura servizi “non stop”. Anche in cloud Continuità dei servizi per chi opera su Web, al riparo da interruzioni della rete e un bilanciamento gestito dei flussi di rete e dell’application delivery. È all’insegna della costanza nell’erogazione dei servizi l’offerta di Radware, la quale si rivolge proprio a quell’utenza che sulla continuità di segnale basa il proprio business, dalle banche per i propri servizi online, ai carrier, ai vari enti governativi o società
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- racconta Tschabuschnig -. Cisco è forse il brand che con più forza in questi ultimi anni ha investito in direzione della security integrata nel mondo data center. Stesso discorso vale per RSA che ha sviluppato un’offerta sempre più ampia capace di andare oltre il secure ID verso la governance del rischio e della compliance. Abbiamo poi cominciato un’attività specifica con un brand come Stormshield che sta raccogliendo ottimi riscontri in Francia e che proprio in Italia vedrà nascere una partnership molto forte con Avnet. Si tratta di un brand dal quale molto ci aspettiamo per il suo elevato rapporto qualità-prezzo che lo rende un’alternativa di grande valore, per giunta europea, ai grandi colossi americani. Chiude il cerchio un brand come Radware che si inserisce perfettamente nella nostra visione della sicurezza a 360°. Una sicurezza che, dovendo proteggere dati e informazioni distribuite attraverso device di ogni forma e dimensione e in ogni momento, non può non estendere il suo raggio d’azione alla parte di rete e a tutto il network che si deve occupare del data e application delivery».
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di gaming. Un target che oggi il vendor israeliano tende ad ampliare anche verso il basso, grazie alla declinazione delle proprie soluzioni DDoS verso il cloud del proprio WAF (Web Application Firewall), che consente di gestire lo spostamento sicuro delle applicazioni su cloud privati e pubblici. «Si tratta di un servizio gestito da Radware interamente via cloud che garantisce le stesse performance dell’offerta on premises - spiega Nicola Cavallina, Channel Manager Italy, Greece and Cyprus di Radware - studiato per quelle aziende che sentono l’esigenza di proteggersi pur non avendo al loro interno skill o persone per gestire la sicurezza IT. Si tratta di soluzioni ad altissima affidabilità. utilizzate sia per ambienti critici, come quelli militari, ma mutuate anche per quelli business, dalle grandi aziende fino alle PMI, per le quali l’esigenza di sicurezza non è certo minore». Risale solo a pochi mesi fa la presentazione del servizio di cloud WAF e già le prime PMI italiane stanno mostrando attenzione, e il canale, che già commercializzava le soluzioni on premises di Radware, è ora attivato anche a coprire questa componente, svincolando se stessi e i loro clienti da investimenti in competenze e infrastrutture e orientandosi verso la trasformazione di un modello basato su Capex a uno di puro Opex. Il vendor si appoggia a un network di partner certificati su due livelli, Premiere e Select, che supporta con formazione online, servizi di pre e post vendita e iniziative di lead generation e marketing congiunto per i top partner. Oltre al canale di rivenditori e system integrator, Radware si appoggia poi a partnership tecnologiche con alcuni tra i maggiori brand internazionali, tra questi Cisco. Un’alleanza che avvicina in maniera strategica anDa sinistra: Stefano Volpi, Global Security Sales Organization Area Manager di Cisco Italia;
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Nicola Cavallina, Channel Manager Italy, Greece and Cyprus di Radware
che Avnet, che sull’offerta Cisco è particolarmente focalizzata.
Reti, end-point e dati, i tre fronti di protezione di Stormshield Cambiano le strategie del cybercrime e di conseguenza cambiano le risposte con cui le aziende devono tutelare la propria incolumità digitale. Ai fronti di accesso tradizionali, delle reti e dei server, si aggiungono oggi le nuove vulnerabilità dei client, disparati nei form factor e nelle modalità di utilizzo, non più solo in ambito privato, ma anche in azienda. «Tra i principali trend che stiamo osservando, evidenziamo una recrudescenza degli episodi di ransomware che colpiscono i client, accelerati con il fenomeno del Byod - conferma Alberto Brera, Country Manager di Stormshield Italia -. Quando si parla di attacchi, infatti, si è portati a pensare che gli obiettivi siano i server, mentre da qualche tempo il target è molto più spesso il client, più semplice da raggiungere e più vulnerabile perché meno “blindato” rispetto al server». Va da sé che i metodi tradizionali, come gli antivirus, non possono più bastare a fare fronte a una varietà crescente di attacchi, e le strategie di difesa del server e della rete stessa, come firewall e UTM, vanno adeguate alle evoluzioni del cybercrime. Di fronte a un simile panorama, Stormshield, azienda del Gruppo Airbus, risponde con una propria offerta di soluzioni, che poggia su tre principali fasce di prodotto, a garanzia di una protezione, rispettivamente, delle reti, con Stormshield Network Security; degli end-point con Stormshield End Point Security e dei dati, anche distribuiti, e sul cloud, con l’offerta Stormshield Data Security.
RSA, l’Intelligent Driven Security è un’opportunità per il canale In un panorama tecnologico profondamente diverso rispetto al passato, la sicurezza informatica in azienda non può più essere gestita attraverso un approccio tradizionale. Su questa strada si sta muovendo da tempo RSA, la divisione security di EMC. «Il nostro cambio di strategia - racconta Fabrizio Banfi, Channel Sales Manager - è avvenuto nel 2011, siamo stati i primi a introdurre l’approccio di Intelligent Driven Security, che si compone di
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tre elementi fondamentali. Il primo è la visibilità: riteniamo infatti che sia indispensabile avere oggi completa visibilità su ciò che accade all’interno (e non solo) della propria rete aziendale, anche considerando aspetti di risk e di compliance. Il secondo elemento riguarda l’analisi: i dati devono poter essere analizzati, al fine di individuare eventuali anomalie. Il terzo è l’azione, che si concretizza nella realizzazione di procedure di rilevamento e risposta a incidenti. RSA realizza la propria strategia attraverso quattro aree di intervento: Advanced Security Ooperation Center, Identity Management and Ggovernance (IMG), Governance Risk and Compliance (GRC) e Fraud and Risk Iintelligent. La strategia di RSA sta dando i suoi frutti: negli ultimi anni la filiale italiana ha viaggiato a un tasso di crescita del +20%, con punte del +40% in alcuni segmenti dell’offerta, guadagnando quote di mercato. Questa crescita ha naturalmente un impatto molto positivo anche sui partner di canale, da cui passa il 95% del giro d’affari di RSA in Italia. «La nostra politica di canale non è quella di indirizzare centinaia di partner - spiega Banfi -. In particolare, gli aspetti più complessi della nostra offerta attualmente sono seguiti soltanto da una ventina di partner. Ce ne sono poi molti altri che si sono specializzati lavorando con noi in ambito autenticazione». Un ruolo importante è poi giocato dal distributore: «Avnet è davvero in grado di dare consistenza alla parola valore, grazie agli ingenti investimenti effettuati in passato a livello Emea. In particolare ci sono di forte aiuto nel reclutamento di nuovi partner e nella gestione delle trattative con i clienti finali. Con Avnet mettiamo poi in campo iniziative congiunte di formazione e non solo», conclude il Channel Sales Manager di RSA. Da sinistra: Alberto Brera, Country Manager di Stormshield Italia; Fabrizio Banfi, Channel Sales Manager di RSA
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Un’offerta che, soprattutto per quanto riguarda la parte di protezione delle reti, che ha uno storico di circa una quindicina di anni di esperienza e centinaia di migliaia di installazioni in tutto il mondo, in uso da aziende anche di grandissime dimensioni, con soluzioni che hanno i massimi livelli di certificazione europei. Soluzioni che puntano a realizzare quella vision strategica di “Collaborative Security” che prevede una forte integrazione tra le aree dati, network ed end-point, i cui feedback saranno presto centralizzati in una security advisory cui il vendor sta lavorando. Soluzioni che in Italia sono veicolate tramite l’indiretta, da oltre un centinaio di Var, system integrator, reseller, certificati su vari livelli, cui delega in autonomia soprattutto il presidio della fascia SMB, mentre il team di Stormshield Italia si concentra a sviluppare contatti sulle aziende enterprise, oltre a dare supporto pre e post vendita al canale. Proprio sulla fascia di aziende di grandi dimensioni è il supporto che il vendor chiede ad Avnet, sviluppando insieme al distributore modalità di ingaggio di un canale a valore.
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Bersaglio “mobile” L’esplosione di dispositivi e applicazioni mobili sta travolgendo il nostro modo di lavorare... Lo sanno le imprese, lo sa il cybercrime che da tempo ha puntato il suo mirino. Come difendersi? Cosa cercano gli hacker nei dispostivi mobili dei nostri clienti? A tu per tu con Janne Pirttilahti, F-Secure Next Gen Security Product Director e uno dei massimi esperti europei in materia
mobile per sviluppare un business molto consistente. Il tutto facendo leva sull’immediatezza di utilizzo e l’eccesso di confidenza che smartphone e tablet spesso inducono in utenti con poco tempo e poca formazione... Ma nel mare magno di virus, nuovi attacchi e acronimi tecnici, spesso difficili da comprendere, di cosa deve avere paura oggi chi gestisce informazioni critiche attraverso dispositivi mobili? Lo abbiamo chiesto a uno dei massimi esperti europei in materia, Janne Pirttilahti, Next Gen Security Product Director in F-Secure. «Prima di tutto bisogna capire che molte minacce sono totalmente indipendenti dal tipo di dispositivo (device-agnostic) - spiega il manager -. C’è meno malware per i dispositivi mobili, certo, ma gli utenti mobile sono minacciati allo stesso modo da ogni sorta di truffa, incluso il phising. Attualmente il phising può persino rappresentare una minaccia più grande su mobile, perché una persona non vede la barra degli indirizzi del browser o ha comunque uno spazio limitato».
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In Italia, il 52% circa della popolazione utilizza smartphone per comunicare, vivere, lavorare. Non solo, secondo i dati dell’Osservatorio Mobile Enterprise del Politecnico di Milano la spesa in device, app e soluzioni di Enterprise Mobility Management è arrivata a 2,2 miliardi nel 2014 e salirà di un altro 50% in tre anni. Insomma, non sono giochi, la rivoluzione mobile è ormai bene posizionata al centro del business di imprese di ogni dimensione e a ogni latitudine. Una rivoluzione che porta una marea montante di dati e informazioni critiche a viaggiare lungo reti e coordinate spesso complesse da monitorare. Lo sanno le imprese, lo sanno e lo hanno capito ancora meglio organizzazioni criminali che da tempo stanno investendo in questo senso. Il mirino degli hacker infatti è ben puntato proprio in direzione della possibilità di sfruttare il
Ma come funziona davvero un attacco mobile e a che tipo di bersagli punta? «Un tipico attacco di pishing sulle piattaforme mobile prende di mira siti di banking online e persino app bancarie. Abbiamo visto malware per Android che si innesca quando un’app bancaria viene lanciata e crea una nuova finestra sopra la finestra originale di login della banca, così da rubare le credenziali dell’utente. Minacce specifiche per i dispositivi mobili includono malware per il mobile naturalmente: ce ne sarà meno che per Windows, ma è comunque parecchio. Google Play era solito avere grossi problemi con il malware capace di bypassare le misure preventive di Google. Oggi la situazione è migliorata, ma ci imbattiamo ancora occasionalmente in malware per Google Play. Il vero problema è con gli app store di terze parti, specialmente in Russia e in Cina. Alcuni di quelli sono infestati da malware per Android. E proprio
Come e cosa cercano gli hacker? Chi sono? «Ci sono differenti tipi di hacker che agiscono per motivi diversi. Ci sono attori governativi che sono spinti da motivi di sorveglianza; ci sono gli attivisti spinti da quelle che potremmo chiamare motivazioni politiche, e che tipicamente prendono di mira qualcuno; e poi ci sono criminali informatici che non si preoccupano tanto del tipo di target, ma di andare a colpire dove possono guadagnare più soldi. Tutti usano tecniche similari, anche se attacchi avanzati con bersagli molto mirati ovviamente richiedono più risorse per essere messi in atto. Un attacco tipico parte ancora da software vulnerabili o da un utente che non è stato attento». Ci può fare un esempio pratico di un attacco? «Vediamo un esempio per iOS. Un attacco mirato a una grande azienda. L’attacco coinvolge un’applicazione enterprise iOS che ottiene il permesso di essere eseguita dopo che l’utente l’ha approvata. Ottenere l’approvazione è semplice, basta usare tipici attacchi di social engineering. L’applicazione iOS malevola ruberà così le credenziali degli utenti usate per vari servizi basati su cloud che porteranno eventualmente a compromettere l’intera azienda se è stata individuata la giusta vittima. Un esempio per Android? Il ransomware Crypto.
Con un simile scenario, chi si occupa di portare innovazione tecnologica nelle imprese, ovvero Var, reseller, system integrator... Su che tipo di difesa deve scommettere? Quali gli strumenti efficaci? «Contro le minacce su Wi-Fi la crittografia funziona, così anche le VPN, e sono facili persino per un utente qualsiasi. Contro il pishing e il malware ci sono soluzioni che sono valide, ma le minacce persistenti avanzate (APT) sono difficili da affrontare per l’utente medio, anche se solitamente non è lui a essere preso di mira da questo tipo di attacchi. L’analisi della rete fornita dall’operatore o dal fornitore della VPN è anch’essa efficace contro gli attacchi di phishing e malware: è quello che fa per esempio F-Secure Freedome. La più grande sfida sulle piattaforme mobile è che soluzioni di sicurezza affidabili sono vincolate dalle stesse regole come le normali applicazioni. Molte tecniche di protezione efficaci, come l’analisi comportamentale, non possono essere implementate su iOS o Android». Quali sono gli errori da evitare e quali invece i passi per un’esperienza digitale e social “sana”? «Usare vecchi sistemi operativi e vecchie versioni software espone a rischi, scaricare applicazioni a caso espone a rischi, non prestare le giuste precauzioni quando ci si connette, soprattutto al WiFi, espone a rischi. Tutti questi errori sono facili da evitare: 1) aggiorna il tuo software; 2) prendi in considerazione solo ciò di cui ti fidi; 3) usa una VPN e una soluzione anti-malware».
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Le immagini degli utenti vengono crittografate e viene richiesto un riscatto».
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Quanto influisce il comportamento degli utenti sull’aumento del rischio? «Molti utenti di dispositivi mobili sono portati a scaricare app per tutto, e questo li porta anche a scaricare e installare applicazioni da sviluppatori sconosciuti e molte persone ciecamente inseriscono credenziali delle e-mail o di servizi di cluod storage in applicazioni di terze parti. Tuttavia, la minaccia più tangibile, che molti utenti di dispositivi mobili scelgono di ignorare, è il fatto che i dispositivi mobili spesso funzionano su reti Wi-Fi totalmente non attendibili. E’ davvero facile rubare informazioni non crittografate su una rete WiFi aperta e persino più semplice con un hotstop fasullo. F-Secure ha recentemente condotto un esperimento a Londra con il Cyber Security Research Centre inglese e una società tedesca specializzata nei test di penetrazione in cui in pochi minuti ben 250 persone si sono connesse al nostro hotspot “fasullo”. Le persone non prestano attenzione, questa è la vera e più grande minaccia».
Janne Pirttilahti, F-Secure Next Gen Security Product Director
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recentemente abbiamo assistito a come iOS sia vulnerabile a XCodeGhost».
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«E’ una questione di attitudine e di fortuna», Mauro Bacchiocchi e la sostenibile evoluzione digitale
Gianluigi Torchiani
Digital4Trade inaugura un nuovo spazio dedicato al racconto delle storie di successo che animano il canale indiretto italiano. Ad aprire le danze il caso di Mauro Bacchiocchi che, all’interno di Telecom Italia Digital Solutions, si sta occupando di sviluppare, attraverso il canale, l’offerta business di servizi digitali
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Mauro Bacchiocchi di mestiere fa il Sales Director di TI Digital Solutions Cloud & OTT. Il tutto all’interno di Telecom Italia Digital Solutions, società del Gruppo Telecom Italia nata dall’esigenza di sviluppare nuovi business complementari e strategici rispetto a quelli “core” in un contesto tecnologico in continua evoluzione. Abbiamo parlato con lui non tanto di strategie di business e iniziative aziendali, quanto piuttosto di esperienze professionali e di come la trasformazione digitale possa e debba essere cavalcata e non subita...
Mauro Bacchiocchi
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Sales Director di TIDS Cloud & OTT
Da giovane avrebbe mai immaginato e sperato di fare questo tipo di lavoro? Più che sperare o immaginare il mio sforzo più grande è sempre stato quello di sviluppare una apertura mentale e attitudinale rispetto agli stimoli e alle sollecitazioni che mi arrivavano dalla società che mi circondava. Ho seguito un percorso di tipo tecnico in un periodo in cui le grandi trasformazioni che stiamo vivendo oggi – mobile, cloud - erano inimmaginabili: la mia idea era comunque di completare il percorso in ingegneria elettronica interrotto però dal servizio di leva, allora obbligatorio, e mai più ripreso proprio perché la l’istinto mi ha portato a cogliere subito l’opportunità di entrare nel gruppo Telecom Italia. Se ripenso a quando avevo 25 anni e guardo dove sono ora, posso dire di sì, desideravo lavorare in questo settore. In ogni passaggio della mia storia professionale è emerso sempre un segnale forte che ha indirizzato le mie scelte. Per questo ora più che mai quello che mi sento di consigliare, anche alla luce delle trasformazioni in atto nel nostro modo di apprendere e lavorare, è quello di sviluppare la capacità di leggere e cavalcare, non subire, i cambiamenti. Più di ogni altra cosa oggi è l’apertura mentale a fare la differenza». Com’è iniziata la sua carriera professionale? Come per tanti, è iniziata dal gradino più basso e si è sviluppata poi tutta all’interno del Gruppo Telecom Italia ma con una varietà di profili professionali che mi hanno permesso di mettere insieme un puzzle di esperienze e competenze, soprattutto commerciali, credo molto prezioso. Infatti, ho iniziato con un’attività di vendita nel primo periodo di deregolamentazione del mercato, entrando in azienda alla fine del 1995 , come venditore a zona per poi rapidamente arrivare alla gestione di un piccolo portafoglio di clienti medi sia imprese che enti pubblici. L’incontro quotidiano con un mondo eterogeneo mi ha dato la possibilità di inquadrare, toccare, conoscere e confrontarmi con
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tutti i segmenti business e di imparare il funzionamento di tantissime attività, dalla piccola officina sino alla multinazionale. Affrontare questo tipo di complessità è stato molto utile e penso abbia contribuito in modo deciso nello sviluppo di una mia sensibilità e conoscenza del mercato. Spesso mi rifaccio a quelle esperienze anche quando oggi capita di avere a che fare per la prima volta con un nuovo cliente. Sono proprio quei linguaggi e quei confronti che mi permettono di mutare e adattarmi ad ogni situazione e tipologia del cliente. Poco dopo, nel periodo compreso tra il 1999 e il 2003, ecco il primo periodo di espansione di Internet (la cosiddetta bolla) e anche io, pur non avendo una estrazione tecnica, sono stato cooptato per “attitudine all’innovazione” in una nuova business unit appositamente costituita per cavalcare questa opportunità. Fu forse il primo momento in cui Telecom Italia decise di investire , anche a livello organizzativo,in nuovi business diversi da quelli “core” (diversi dall’esperienza di TIM , tanto per fare un esempio) ed in cui mi sono confrontato con nuovi mercati da costruire ex novo. Dunque ho avuto anche modo di vedere da vicino la tecnologia e cosa si trova dietro i servizi IT, i data center e le strutture a supporto. Il percorso si è completato con l’esperienza della costruzione e dello sviluppo di un canale commerciale che potesse valorizzare questi servizi “Internet” – che in TI venne chiamato “canale Var” - dove ho svolto il mio primo ruolo non strettamente di vendita, ma anche di gestione, dialogando a tutto tondo con aziende esterne al gruppo, anche non totalmente dedicate al business tradizionale di una Telco. Come è poi arrivato al suo ruolo attuale? Nel 2010 , a valle della precedente esperienza organizzativa, ci fu un altro progetto di focalizzazione delle attività sull’IT collegato alla “famiglia d’offerta” Impresa Semplice. In questa fase ho avuto l’opportunità di occuparmi del marketing delle soluzioni SaaS verso la piccola e media impresa. La spinta innovativa di questi servizi IT/CLOUD – che hanno un ciclo di vita accelerato e dinamico profondamente diverso da quelli Telco – ha contribuito a una ulteriore riflessione aziendale ed è stata formata una business unit che patrimonializzasse esperienze e asset non solo all’interno del gruppo ossia Telecom Italia Digital Solutions. Tante, diverse e stimolanti esperienze, che ho potuto mettere insieme grazie alla possibilità di far parte di un Gruppo in cui le opportunità di sviluppare e cavalcare business emergenti sono continue e che ha trovato forte sintonia con la mia esigenza di mettermi in gioco costantemente».
Cosa non le piace del settore IT, che ormai frequenta da diversi anni? L’età media è piuttosto elevata e davanti a fenomeni travolgenti come quelli in atto oggi ci sono persone e generazioni che hanno già attraversato due o tre evoluzioni di questo tipo. Sarebbe bello avere maggiori opportunità diconfronto con figure ed elementi con minore impostazione e “storia” alle spalle».
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Un aspetto curioso di questi 20 anni di carriera Nell’ambito dei vari passaggi mi sono trovato a lavorare in ambito IT e a nuovi progetti particolarmente innovativi, come lo sviluppo del business legato al Cloud, anche con persone che non avevano mai avuto esperienze simili in vita loro. Mi sorprende e mi piace sempre molto osservare e fare tesoro della dinamica che si scatena dal contributo “open minded” ed eterogeneo di persone che non hanno vincoli e preconcetti dovuti a formazioni rigide.
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Customer Experience e applicazioni mobile: generare valore per i brand in 5 mosse
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Gli utenti usano sempre di più le app dei propri smartphone per ottenere informazioni su aziende e prodotti. Un fenomeno che deve essere affrontato con una strategia precisa
Fabio Lalli
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CEO di IQUII, digital agency specializzata in progetti mobile, wearable/IoT e strategie digitali. Da oltre 15 anni svolge consulenza ICT, aerospaziale, banking. Ha progettato piattaforme di enterprise network 2.0, applicazioni mobile e sistemi di social gaming. Negli ultimi anni ha ricoperto il ruolo di responsabile dei sistemi informativi in diverse aziende di consulenza e system integration. Appassionato di comunicazione, marketing e new media, nel 2010 fonda il network Indigeni Digitali e la relativa associazione no profit con lo scopo di diffondere la cultura digitale. Ha gestito un acceleratore per un anno ed è mentor ed advisor di alcune start-up. Ha collaborato al libro “Enteprise 2.0” , scritto “Geolocalizzazione e Mobile Marketing”, e “Wearable”. Professore all’Università di Perugia, insegna al IlSole24Ore, IULM e RomaTre.
La nostra vita quotidiana è sempre più connessa: nel 2015 ci sono 36,6 milioni di italiani che navigano attivamente su Internet, e 22 milioni di loro lo fanno principalmente da dispositivo mobile. Il mobile, di fatto, influenza sempre di più l’esperienza degli utenti non solo nella fruizione e nella produzione di contenuti, ma anche nel loro rapporto con i brand. Vivere connessi grazie al digitale e alle applicazioni mobile consente infatti alle persone di ricevere informazioni in tempo reale a prescindere da dove si trovano; da questo punto di vista, la principale sfida per le aziende è quella di sfruttare la tecnologia mobile per presidiare in modo diretto e innovativo tutti i punti di contatto che essa ha con i suoi utenti di riferimento. Tanto che, nella maggior parte dei casi, la customer experience si estende oltre l’interazione con il sito Web dell’azienda: essa include la ricerca del sito stesso o dei suoi punti vendita e filiali sul territorio, la fruizione delle sue pagine Web o l’esperienza in-store, l’acquisto dei prodotti/servizi e la loro consegna al cliente, il loro utilizzo e l’assistenza post vendita. Durante tutte queste esposizioni e interazioni i clienti si formano sia impressioni cognitive (convinzioni, opinioni) che affettive (sensazioni e attitudini) sul valore e la qualità, che influenzeranno i futuri acquisti e il passaparola con gli altri. Oggi gli utenti non si fanno più ipnotizzare da messaggi sparati in modo top-down dai brand perché dispongono degli strumenti che consentono loro di verificarne i contenuti. Per questo è importante puntare alla fidelizzazione, che nell’era dei social media e delle applicazioni mobile deve seguire un pattern costituito da 5 diverse fasi tra loro integrate: 1) Discovery: l’utente si relaziona al brand attraverso gli strumenti di connessione forniti dalle applicazioni social e mobile sulle quali questo è attivo. 2) Trust: l’utente che inizia a utilizzare l’applicazione ha la possibilità di visualizzare le interazioni fatte dagli altri utenti con i quali condivide interessi comuni (compresa l’esperienza di marca). 3) Engagement: l’utente è motivato a utilizzare l’applicazione attraverso il sistema di notifiche generate dalle azioni compiute da lui e dagli amici con i quali è in contatto. 4) Rewarding: il sistema eroga premi virtuali con un sistema di gamification che spinge l’utente a interagire nella piattaforma e a compiere azioni reali. 5) Interazione: l’utente costruisce progressivamente un’esperienza di marca attraverso lo scambio di informazioni con gli altri utenti e con l’azienda. Si genera così un effetto di affiliazione che aumenta il tempo di esposizione dell’utente nei confronti del brand. Applicando queste tecniche è possibile trasformare un’applicazione mobile in un vero e proprio strumento di coinvolgimento diretto degli utenti, trasformandoli da semplici visitatori a persone in grado di amplificare l’offerta del brand nei confronti del quale interagiscono.
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La prima impressione non e’ tutto. Ma puo’ aiutare Esiste uno stile per tutto. Molte volte abbiamo sentito parlare di stile di management e spesso si è fatto riferimento al famoso maglione a giro collo dell’AD di FCA, Sergio Marchionne, quasi come se il riferimento al suo modo di vestire individuasse quello di condurre l’azienda da lui amministrata. E chissà che non sia vero. In effetti il modo in cui una persona si veste spesso ne rappresenta anche il suo comportamento, il suo modo di affrontare le cose e quello di porsi nei confronti degli altri. Non che questo necessariamente porti ad affrettate conclusioni: il preoccuparsi del commento degli altri non significa certo preoccuparsi degli altri. Attenzione, comunque, a commettere l’errore di non dare importanza alle apparenze. Se è vero infatti che l’apparenza non rappresenta il vero modo di essere di una persona - e quindi un ladro che si vesta in modo elegante non rappresenterà mai un modo di vivere che risulti degno di emulazione - è vero anche il contrario: una persona non curata nel look potrebbe certamente essere apprezzata per tanti altri motivi: grande cultura, onestà cristallina, bontà d’animo infinita e quant’altro. Ma in realtà rischia di non essere presa in considerazione, solo perché non è riuscita a fare una buona impressione nel momento iniziale della presentazione.
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Le apparenze possono ingannare, ma sono importanti, specie per stabilire il primo contatto nel mondo degli affari. Da un’app i consigli giusti per combinare il proprio guardaroba
Paolo Sito
Tutto questo per dire che il modo di vestire, che risulta certamente il primo elemento d’impatto immediato quando veniamo presentati a una nuova persona, ha certamente una grandissima importanza, costituendo spesso un elemento fondamentale che può pregiudicare l’inizio di una relazione sia questa di natura amichevole, sentimentale o professionale. Insomma, è vero che l’abito non farà il monaco, ma di sicuro risulterà complicato farsi passare per una persona attenta e rispettosa se chi ci incontra ha qualche imbarazzo a stringerci la mano perché ci trova “impresentabili”. Ebbene, poteva l’informatica tenersi fuori da un tema di fondamentale importanza nella gestione delle relazioni professionali? Certo che no. L’obiettivo di Emiut, l’applicazione sviluppata da Emidio Cesetti, è proprio quello di fornire consigli utili nella gestione del proprio modo di vestire e nella definizione di un proprio stile. Emiut è un assistente virtuale per lo stile maschile formal e casual che si può scaricare gratuitamente per tutti i sistemi iOS all’indirizzo sull’App Store. Lo scopo è quello di aiutare le persone a comporre il proprio guardaroba tenendo conto del contesto in cui l’abito deve essere indossato e ovviamente badando alle preferenze personali (non tutti devono vestirsi in abito blu e scarpe nere). Un semplice clic permette di inserire un modello, che di sicuro rispetta i canoni dell’eleganza, nel proprio guardaroba virtuale in modo che questo vada a comporsi tenendo conto delle proprie esigenze e peculiarità.
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Un personal stylist a portata di touch
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Nubi grigie sulla tutela dei nostri dati personali. Si apre il caso Safe Harbor La Corte di Giustizia UE invalida il programma del Dipartimento del Commercio USA. Il motivo? Gli Stati Uniti non garantiscono un adeguato livello di protezione dei dati personali trasferiti da persone Gabriele Faggioli e Annamaria Italiano o enti residenti nel Vecchio Continente
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Martedì 6 ottobre 2015, con una clamorosa sentenza resa nell’ambito della causa C-362/14, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha dichiarato invalida la decisione n. 2000/520/CE con cui la Commissione Europea ha aderito al programma c.d. “Safe Harbor”, costituito da una serie di principi redatti dal Dipartimento del Commercio Usa in accordo con la Commissione medesima, finalizzati a garantire un livello adeguato di protezione dei dati personali trasferiti da persone o enti residenti in Europa alle imprese statunitensi aderenti al programma. In altre parole, secondo quanto statuito dalla Corte di Giustizia, i trasferimenti dati - fino a qualche giorno fa ritenuti “sicuri” - verso le aziende statunitensi che annualmente aderivano al programma “Safe Harbor” potrebbero non essere più considerati tali e, di conseguenza, essere vietati, alla luce di quanto previsto dalla rigorosa disciplina vigente nell’Unione in materia di trasferimento di dati personali all’estero, che può aver luogo solo qualora il Paese di destinazione dei dati garantisca “un livello di protezione adeguato” (art. 25, primo comma, direttiva 95/46/CE).
Le origini della causa Gabriele Faggioli
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Giurista di Partners4innovation (Digital360) e presidente Clusit (Associazione Italiana per la sicurezza informatica)
La vicenda da cui è scaturita la pronuncia in commento ha avuto origine dal giudizio instaurato dal cittadino Austriaco Maximillian Schrems contro l’Autorità irlandese di protezione dei dati personali. Sulla scorta delle rivelazioni rese nel 2013 da Snowden in merito alle attività dei servizi di intelligence statunitensi, Schrems adiva l’Authority di Irlanda (dove ha sede la filiale europea di Facebook Inc.), per contestare che i propri dati, trasferiti e trattati dall’azienda titolare dell’omonimo social network, potessero considerarsi adeguatamente tutelati dalla sorveglianza svolta dalle autorità pubbliche degli Stati Uniti, alla luce delle norme di diritto e delle prassi vigenti in tali Paesi. L’Authority irlandese, tuttavia, aveva respinto la denuncia dell’attivista austriaco, sulla base del presupposto che l’adeguatezza della protezione offerta dagli Stati Uniti ai dati personali riferiti a cittadini europei e trasferiti verso aziende aderenti al “Safe Harbor” era già stata accertata e statuita dalla Commissione Europea, con la Decisione 2000/520/ CE, venendo a configurare, di fatto, un principio già “assodato”.
La decisione della Corte La Corte di Giustizia ha, invece, radicalmente ribaltato tale conclusione, sottolineando con forza la missione garantista di cui sono investite le autorità nazionali di controllo. Secondo quanto statuito dalla Corte, l’esistenza di una decisione con cui la Commissione, ai sensi dell’art. 25 , comma sesto, Dir. 95/46, non può annullare né ridurre i poteri di supervisione di
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cui le autorità nazionali di controllo dispongono in virtù della Carta fondamentale dei diritti dell’Unione (ivi compreso il potere di vietare un trasferimento attuato in violazione della normativa sulla protezione dei dati). Di conseguenza, anche a fronte di una decisione della Commissione, le autorità nazionali di controllo, investite di una domanda, devono poter esaminare in piena indipendenza se un determinato trasferimento verso un Paese terzo soddisfi tutte le tutele richieste dalla normativa europea. Secondo la Corte, di fatto, la legislazione statunitense permette alle autorità pubbliche di accedere e trattare i dati trasferiti in maniera «incompatibile con la finalità per la quale è avvenuto il trasferimento, al di là di quanto strettamente necessario e proporzionato alla tutela della sicurezza nazionale, laddove una legislazione che permetta alle autorità pubbliche di avere accesso in modo generalizzato ai contenuti di comunicazioni elettroniche deve essere considerata come una compromissione dell’essenza del diritto fondamentale del rispetto della vita privata. Allo stesso modo, una legislazione che non preveda alcuna possibilità per il singolo di esperire rimedi giuridici al fine di avere accesso ai dati personali che lo riguardano, o per ottenerne la rettifica o la cancellazione, non rispetta l’essenza del diritto fondamentale a una tutela giurisdizionale effettiva».
Venuto meno l’accordo che garantiva un ombrello di adeguatezza agli accordi stipulati dalle oltre 4.000 imprese statunitensi aderenti al “Safe Harbor”, l’ultima parola ritorna ai singoli Stati Membri, che potranno esercitare la propria autorità sovrana nel decidere dove vadano conservati e trattati i dati dei propri cittadini. Nel frattempo, cautelativamente, le aziende che hanno sottoscritto contratti che prevedono trasferimento dati negli Stati Uniti sulla base del Safe Harbor potrebbero richiedere ai fornitori di stipulare le standard clauses della Commissione Europea per garantire la certa legittimità del trasferimento dei dati. Certo è che, nel vuoto creato dal venir meno del “Safe Harbor”, una risposta comune a livello europeo si impone come necessaria e in questo senso si stanno già muovendo le Autorità Garanti nazionali. Come dichiarato all’indomani della sentenza dal Presidente del Garante per la protezione dei dati personali, On. Antonello Soro, «anche gli Usa sono più sensibili al tema dopo lo scandalo datagate e le riforme che l’amministrazione Obama ha portato avanti sull’uso dei dati personali. Basti pensare che la Corte Suprema degli Stati Uniti ha sancito il principio per cui l’uso, per motivi di sicurezza pubblica, delle informazioni contenute nel telefonino è possibile solo dopo l’autorizzazione del magistrato. Prima questo era impensabile». Su questi presupposti, sarà interessante vedere a quali accordi Vecchio e Nuovo Continente riusciranno a giungere in occasione del futuro e annunciato Safe Harbor 2.
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In attesa di Safe Harbor 2
DIETRO OGNI INTERFACCIA, C’È SEMPRE UNA FACCIA. LA NOSTRA
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Mobile, social e IoT. Gli anelli che caratterizzano la Terza Piattaforma impongono una differente gestione delle risorse tecnologiche in azienda, chiedendo a reseller e CIO stessi di porsi con un nuovo ruolo, che metta la sicurezza al di sopra di tutto. Vediamo come
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1 / Come gestire i rischi e ridurre i costi con l’avvento della Terza Piattaforma
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La straordinaria diffusione di applicazioni social, Mobile Computing, Big Data e Internet of Things può essere un’opportunità per il mondo del business. Ma per governarla serve un nuovo ruolo dei CIO
Primo Bonacina
Roberto Mircoli
Mi occupo di informatica dal 1984. Ho lavorato con ruoli di responsabilità per molte aziende, spesso multinazionali. Tra le più note: 3Com, Tech Data, Magirus (ora Avnet), Microsoft, Acer. Nel 2014 ho creato un’azienda di consulenza operativa, commerciale e manageriale (PBS - Primo Bonacina Services: http:// www.primobonacina. com/) che si occupa di favorire il business delle aziende IT.
Nell’ambito di importanti multinazionali ICT ho sviluppato una certa esperienza nell’accelerazione di nuove tecnologie in contesti globali molto competitivi. Ho anche maturato competenze nel settore delle start-up innovative alla guida di uno spin off del Consiglio Nazionale delle Ricerche. Attualmente lavoro a Londra, ma torno in Italia appena possibile (www. linkedin.com/in/rmircoli).
Secondo molti osservatori, siamo, infatti, alla vigilia di una nuova Era Digitale, caratterizzata da un’immensa onda d’innovazione e discontinuità a seguito della quale il “business as usual” non sarà più una scelta percorribile per gran parte delle aziende in gran parte dei settori. La trasformazione che aziende e interi settori di mercato stanno affrontando in questa situazione è altrettanto chiara. Per esempio, nell’industria automobilistica sta cambiando il modo in cui si sceglie e acquista un’automobile, l’esperienza che se ne ha guidandola e i servizi associati alla manutenzione. Oppure possiamo citare l’adozione di modelli omni channel nel Retail e i nuovi modelli di supply chain nel settore manifatturiero. In definitiva, ogni business è destinato ad affrontare la trasformazione digitale e l’alternativa è una sola: diventare sempre meno rilevanti, perdere redditività o addirittura rischiare di estinguersi (c’è chi dice infatti che il 40% delle aziende Fortune 500 potrebbe non esistere più tra dieci anni …). In questa nuova Era Digitale si stanno diffondendo nuove applicazioni, con caratteristiche molto diverse da quelle tradizionali, volte a interagire in tempo reale con le persone proprio nell’istante in cui compiono un’azione, al fine di orientarne l’esito. Queste nuove applicazioni hanno potenzialmente un numero di utenti migliaia di volte superiore a quelle tradizionali, e a ciascuno di quegli utenti è associata una quantità di dati migliaia di volte superiore. Si tratta cioè di un nuovo contesto applicativo che richiede un fattore di scala mai visto prima: milioni di applicazioni, miliardi di utenti, trilioni di oggetti interconnessi. Sul piano IT ciò naturalmente si accompagna all’affermarsi di una “nuova piattaforma” che unifica il mondo digitale e quello fisico, trasformando il modo in cui individui e organizzazioni si rapportano con la tecnologia. Si tratta della cosiddetta “Terza Piattaforma’” che, secondo IDC, si fonda su quattro componenti: i servizi cloud, la mobility, le tecnologie social e i big data. Insieme a tutto ciò, tuttavia, devono convivere le applicazioni pre esistenti, altrettanto importanti perché su di esse si basa il funzionamento di molte aziende. La sfida è quindi riuscire a coniugare entrambe le esigenze, e il dilemma dei CIO oggi è proprio questo: i direttori generali e di Business Unit e i responsabili del marketing spingono per sviluppare le agende digitali delle proprie aziende e innovare il modo in cui esse operano, mentre per i consigli di amministrazione è almeno altrettanto
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prioritario - come lo è sempre stato - gestire il rischio e ridurre i costi. Un mix di questi fattori (sviluppare l’agenda digitale, gestire i rischi e ridurre i costi) è dunque oggi più che mai la priorità delle aziende il cui destino sarà dettato da quanto più o meno efficacemente i rispettivi CIO riusciranno a coniugarlo capitalizzando gli attributi delle tecnologie e delle soluzioni della “Piattaforma”.
Gestire i rischi Con l’adozione della Terza Piattaforma e le relative architetture, tecnologie e soluzioni, anche la gestione del rischio assurge a una nuova dimensione e rilevanza; ovvero, da fattore storicamente inibitorio ad abilitatore di innovazione. Ciò ha, infatti, implicazioni sia rispetto alla natura, sia al potenziale dei nuovi rischi a cui ritrovarsi esposti, insieme al fatto che il numero crescente di applicazioni e dispositivi interconnessi che entrano in azienda finiscono per aumentarne i punti di accesso e di vulnerabilità sfruttabili da malintenzionati e criminali informatici.
Dal punto di vista IT, la maggior parte delle aziende - in particolare quelle di dimensioni più elevate - sono ancora molto frammentate: silos mainframe, Unix, isole Linux, Windows e HPC con le rispettive applicazioni, middleware, database, strumenti di gestione e orchestrazione, piattaforme di computing, storage e network. E l’operatività di ciascuno di questi silos è affidata a gruppi separati di specialisti ed è tipicamente dimensionata in modo statico sui livelli di picco. Chiaramente e inevitabilmente questo approccio risulta costoso e la transizione a una nuova piattaforma tecnologica, la Terza Piattaforma, promette significative efficienze e relative riduzioni dei costi derivanti per esempio da una combinazione di questi fattori:
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Ridurre i costi
• standardizzazione di un unico tipo di hardware industry-standard, al posto dei diversi silos • infrastrutture iper convergenti scalabili orizzontalmente (scale out) • introduzione di tecnologie white box (per esempio, server e storage) • maggiore agilità con infrastrutture software defined • automazione negli strumenti di management • abilitazione di processi in modalità self service. Naturalmente, tutto ciò non si realizza in un istante, ma è piuttosto un percorso pluriennale, che promette di generare benefici non solo in termini di riduzione dei costi complessivi (TCO) ma anche - non meno importante - in termini di agilità e velocità del business.
La Terza Piattaforma abilita le aziende a trarre valore di business da applicazioni social, Mobile Computing, Big Data, Internet of Things e altre potenziali evoluzioni tecnologiche come, per esempio, il cognitive computing. Al contempo la Terza Piattaforma rende gli utenti più avvezzi all’uso della tecnologia, e quindi anche più propensi a utilizzarla in modo disintermediato rispetto all’IT aziendale. In definitiva, si tratta quindi di un’evoluzione pilotata da acceleratori d’innovazione in un mondo in continua trasformazione. Vi piace l’idea? Ne vogliamo parlare?
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Conclusioni e prospettive
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2 / Il bollito di mia zia Comunicare è diventata un’esigenza e ha contribuito a creare la concorrenza tra le varie fonti di comunicazione
Antonio Serra
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Sales & Marketing Manager at Texor
Siamo posseduti dall’avidità di comunicare, rendere noto, diffondere, condividere informazioni, dati, idee e concetti. Il Web contribuisce in modo massiccio a diffondere messaggi, facendo esplodere la produzione di contenuti. In questa dinamica quasi surreale, si è creata la concorrenzialità tra le fonti di comunicazione derivante proprio dall’esplosione del numero di comunicanti attraverso la rete. Se dovessimo giudicare il popolo attraverso la quantità di canali d’informazione di cui oggi dispone, possiamo tranquillamente dedurre che il popolo è una “gola profonda” (riferimento a uno dei primi film hard, del 1972, in cui l’attrice è incessantemente insoddisfatta sessualmente...), cioè perennemente incontentabile e bramoso di notizie. Il mondo dell’innovazione digitale è emblematico in questo senso. Soluzioni e prodotti apparentemente rivoluzionati spesso diventano vecchi ancor prima di capirne la reale utilità. Provo a fare l’elenco: Tv digitali, Tv satellitari, Tv via cavo, canali tematici, radio, giornali, quotidiani online, quotidiani free press, social network, blog, Sms news, app dedicate alle news... Ipotizziamo di usufruire della stessa notizia da tutti questi canali, il risultato sarà che ognuno di loro l’avrà divulgata in modo da soddisfare la propria convenienza economica, di target, di indirizzo politico o religioso e tante altre sfaccettature vi vengano in mente, creando confusione e disorientamento. E poi ci sono i social… e l’esplosione di catene, dicerie, complotti, condivisioni. E cosa non si è disposti a fare oggi per un “Like”... Alla fine, si torna sempre lì, tutto inizia da un rivolo che diventa fiume che diventa mare... La corsa ad alimentare la “gola profonda” è continua. Si bruciano le notizie prima che ne sia stata verificata la fonte. Alla base di tutto questo c’è una convinzione... il primo che arriva al popolo lo cattura.
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PS: Forse vi state chiedendo: «ma il titolo cosa c’entra?» La risposta è... nulla, ma se siete arrivati in fondo alla lettura, è la conferma di quello che ho scritto.
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