Digit4executive n 30

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30 | 2017

www.digital4executive.it

. giuliano noci Digital advertising, è ora di misurare l’impatto sul business . Michael Porter Sociale e ambiente nella strategia competitiva . Intelligenza Artificiale, la vision di Tim Berners-Lee, inventore di Internet . Industria 4.0, il piano Calenda accelera gli investimenti (+25%) . Esperienze di innovazione Allianz, Beiersdorf, Costa Crociere, Enel, Piaggio


EDITORIALE

Organizzi eventi? Inverti la prospettiva

Nessun contatto?

È meglio un CEO autoritario o un CEO capace di motivare chi opera nell’impresa?

Fai networking scopri e contatta i partecipanti

Scarso engagement?

Rispondi ai sondaggi partecipa attivamente di

PRESIDENTE ADVISORY BOARD DIGITAL4EXECUTIVE

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Non è sicuramente un tema nuovo, ma ci ritorno perché nel giro di due giorni - curiosamente - mi sono imbattuto in un articolo del Financial Times, che riprendeva il tema stesso a seguito della pubblicazione del rapporto di una commissione di inchiesta per valutare il comportamento di un top manager in ambito sportivo, e in uno del Corriere della Sera, che commentava la sentenza del Tribunale del lavoro di Milano, chiamato a deliberare sulla liceità del licenziamento di un CEO bravissimo nel conseguire buoni risultati economici ma eccessivo nell’esercizio del suo potere. Personalmente simpatizzo con il modello del CEO “coinvolgente”, soprattutto nelle imprese “brain intensive” che - perché molto innovative e/o perché attive in contesti comunque soggetti a scosse continue - hanno bisogno dell’impegno assoluto di chi opera all’interno. E il Tribunale del lavoro di Milano sembra sulla mia stessa linea (anche se ho molti dubbi sul fatto che siano i tribunali a sentenziare in materia di organizzazione). Ma sono ben conscio del fatto che alcuni dei più grandi successi dell’ultimo decennio - quali il nuovo modello di mobilità urbana di Uber e l’accesso in mobilità a Internet (con l’iPhone) di Apple - sono stati realizzati da CEO di stampo assolutamente autoritario, se non addirittura sgradevoli nella gestione dei rapporti umani: Travis Kalanick si è dovuto almeno transitoriamente dimettere, travolto dalle accuse sul clima creato in Uber; Steve Jobs ha visto crescere la sua fama di grande innovatore insieme con quella (anche a livello cinematografico) di leader dispotico. Quale era il caso sottoposto al Tribunale del lavoro di Milano? La richiesta di danni da parte dell’ex-CEO della filiale italiana di Aon, co-leader mondiale nel brokeraggio assicurativo, licenziato “per giustificatezza” per il “clima inutilmente autoritario” instaurato in Aon Italia, giudicato dalla casa madre “demotivante, talora prevaricatore di ruoli e competenze, tutt’altro che sereno e costruttivo”: questo nonostante il riconoscimento degli ottimi risultati economici e dei lusinghieri posizionamenti di mercato raggiunti per “le sue riconosciute qualità”. Un caso di scuola, che ha visto schierati su fronti opposti i due grandi studi Bonelli-Erede e Gianni-Origoni-Grippo-Cappelli & Partners, con il giudice che ha sentenziato a favore del licenziamento richiamando tra l’altro la “differenza fra autorevolezza e autoritarismo gratuito” e la “gestione manageriale di stampo quasi familistico”. E che cosa diceva l’articolo del Financial Times, estendendo le sue considerazioni dal caso specifico al tema più generale dei CEO autoritari? Riprendeva la tesi di Roderick Kramer, della Stanford Graduate School of Business, pubblicata nel 2006 sulla Harvard Business Review, che “nasty leaders can be hugeley successful, if they don’t cross the line”, distinguendo la figura del CEO “bullo”, che punta a umiliare gli altri per gratificare se stesso, rispetto a quella del CEO “intimidatore”, che – avendo una visione di quella che dovrà essere la trasformazione dell’impresa – mira ad abbattere tutti gli ostacoli che si possono frapporre al raggiungimento dell’obiettivo, spesso sfruttando la capacità di intuire i punti di insicurezza (dove attaccare) delle persone. www.digital4executive.it

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30 | 2 0 1 7 LA SCHOOL OF MANAGEMENT

La School of Management del Politecnico di Milano, con oltre 240 docenti, e circa 80 fra dottorandi e collaboratori alla ricerca, dal 2003 accoglie le molteplici attività di ricerca, formazione e alta consulenza, nei campi del management, dell’economia e dell’industrial engineering che il Politecnico porta avanti attraverso le sue diverse strutture interne e consortili. Fanno parte della Scuola il Dipartimento di Ingegneria Gestionale, le Lauree e il PhD Program di Ingegneria Gestionale e il MIP (la business school del Politecnico di Milano). La School of Management ha ricevuto nel 2007 l’accreditamento EQUIS. Dal 2009 è nella classifica del Financial Times delle migliori Business School d’Europa.

COVER STORY

Digital Marketing, è ora di misurare il vero impatto sul business

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Le imprese italiane e le strategie di valutazione della pubblicità online

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L’online advertising vale il 30% del mercato pubblicitario

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Giuliano Noci, Professore Ordinario di marketing, Politecnico di Milano

GLI OSSERVATORI DIGITAL INNOVATION

Gli Osservatori Digital Innovation della School of Management del Politecnico di Milano (www.osservatori.net) vogliono offrire una fotografia accurata e continuamente aggiornata sugli impatti che le tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT) hanno in Italia su imprese, pubbliche amministrazioni, filiere, mercati, ecc. Gli Osservatori sono ormai molteplici e affrontano in particolare tutte le tematiche più innovative nell’ambito delle ICT, classificate secondo 3 macro categorie. Digital Transformation: Agenda Digitale, Design Thinking for Business, Digital Transformation Academy, Startup Hi-tech, Startup Intelligence. Digital Solutions: Big Data Analytics & Business Intelligence, Cloud & ICT as a Service, eCommerce B2c, Enterprise Application Governance, Fatturazione Elettronica & eCommerce B2b, Gestione Progettazione e PLM (GeCo), Information Security & Privacy, Internet of Things, Mobile B2c Strategy, Mobile Payment & Commerce, Omnichannel Customer Experience, Smart Working. Verticals: Cloud nella PA, Contract Logistics, Digital Insurance, eGovernment, Export, Fintech, Gioco Online, HR Innovation Practice, Industria 4.0, Innovazione Digitale in Sanità, Innovazione Digitale nei Beni e Attività Culturali, Innovazione Digitale nel Retail, Innovazione Digitale nel Turismo, Internet Media, Mobile Banking. Professionisti e Innovazione Digitale. Smart AgriFood. Supply Chain Finance.

Nicola Spiller, Direttore Osservatorio New Media, Politecnico di Milano Andrea Lamperti, Direttore Osservatorio Internet Media, Politecnico di Milano managEmEnT

valore condiviso, la “crociata” di Porter: sociale e ambiente devono entrare nel core business

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intelligenza artificiale, l’inventore di internet: in 50 anni le macchine si evolveranno da sole

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Michael E. Porter, Bishop William Lawrence University Professor, Harvard Business School Sir Tim Berners-Lee, inventore del World Wide Web, Direttore del W3C Consortium

I prossimi Convegni

InTERVISTE

di presentazioni dei risultati delle Ricerche degli Osservatori

Costa Crociere, l’impegno sulla digitalizzazione continua: è la volta dello smart Working

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Procurement Digital Transformation, una rivoluzione che attraversa i processi aziendali

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Nuove reti per nuovi servizi, la sfida delle Telco

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Neil Palomba, Direttore Generale, Costa Crociere

Francesco Colavita, Pre-Sales Director, BravoSolution

Osservatorio eCommerce B2c

Convegno di presentazione dei risultati della Ricerca 2017 L’Osservatorio eCommerce B2c si pone l’obiettivo di monitorare l’evoluzione del commercio elettronico in Italia, quantificando il valore di mercato e studiando i modelli di business di riferimento e le direttrici di sviluppo. L’intento è quello di supportare i player del settore nella comprensione delle dinamiche in atto e nella formulazione delle strategie di presenza sul canale online più appropriate. La Ricerca dell’Osservatorio si basa su un’analisi empirica che, attraverso survey, interviste e studi di caso, coinvolge ogni anno i primi 350 operatori di eCommerce B2c, che coprono più del 95% del mercato. Durante l’evento verrà quindi fornita la fotografia di questo settore in Italia.

10 ottobre 2017

Michele Marrone, Senior Managing Director, Accenture Consulting

Aula Magna dell'Università degli Studi di Milano‐Bicocca Edificio U6

OSSERVaTORI

internet of Things in italia, la crescita accelera al 40%: ora è un business da 2,8 miliardi Angela Tumino, Direttore Osservatorio Internet of Things, Politecnico di Milano

industria 4.0 in italia vale 1,7 miliardi. Piano Calenda, una impresa su 4 investirà oltre 1 milione di euro 38

Piazza dell'Ateneo Nuovo, 1 20126 Milano

Giovanni Miragliotta, Direttore Osservatorio Industria 4.0, Politecnico di Milano

Polimi, il 91% delle Direzioni Hr ha un piano per affrontare la Digital Transformation

Osservatorio Smart Working

Convegno di presentazione dei risultati della Ricerca 2017 L’Osservatorio Smart Working si pone l’obiettivo di promuovere e diffondere la cultura dello Smart Working sviluppando modelli di riferimento e metodologie a supporto di Manager e Policy Maker. Durante l’evento si farà il punto sulla situazione italiana, alla luce delle evoluzioni normative, e sulle prospettive di crescita dello Smart Working attraverso la presentazione dei risultati della Ricerca 2017, realizzata coinvolgendo le principali organizzazioni presenti in Italia e un panel statisticamente rappresentativo di lavoratori, l'approfondimento dei casi di successo attraverso le testimonianze dei protagonisti, e il confronto con i principali player che supportano le aziende nel passaggio a questo nuova modalità di organizzazione del lavoro.

Fiorella Crespi, Direttore Osservatorio HR Innovation Practice, Politecnico di Milano

11 ottobre 2017

Convegno di presentazione dei risultati della Ricerca 2017 L’Osservatorio Innovazione Digitale nel Turismo, giunto alla sua quarta edizione, ha come obiettivo principale la comprensione delle opportunità generate dal digitale per il mondo del Turismo, sia lato Domanda (Turisti digitali italiani e internazionali, leisure e business) sia lato Offerta (Strutture ricettive, Attività ristorative, Agenzie di viaggio, Startup). Attraverso l’utilizzo di survey, interviste dirette, censimenti, analisi della letteratura, analisi desk, segmentazione del mercato, aggiornamento costante sulle novità del settore, l’Osservatorio è in grado di fornire non solo lo stato dell’adozione tecnologica e della digitalizzazione del settore, ma anche di quantificare il mercato e individuare le asimmetrie tra Domanda e Offerta su cui gli attori della filiera possono agire per migliorare la proposizione digitale dei viaggi. Durante l’evento verrà dunque descritto lo scenario attuale e i principali trend futuri del panorama italiano.

Marketing - Beiersdorf, il marketing globale di Nivea ora è data driven. Un’unica piattaforma per analisi real time Martin Böhm, Head of Market Intelligence & Information Management, Beiersdorf AG Davide Zanolini, Direttore Marketing, Piaggio Group

Hr - Dire “bravo” con un “like”: Enel premia il merito con un’App

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Hr - Allianz Expo, la digital platform dove direzioni e dipendenti creano insieme i piani d’azione

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Supply Chain - eCommerce in italia: le scelte di logistica dei settori GDo, retail no-food e produttori alimentari

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Retail - retail alimentare: il digitale per ridurre gli scarti. il caso Migros

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Mariano Corso Politecnico di Milano

PA - PA Digitale, ecco il Piano Triennale: «Concentrarsi sugli ecosistemi chiave»

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Carlo Alberto Carnevale Maffè Università Bocconi

PA - ACi Digital Customer Journey, un’App Mobile personale per ogni utente

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Osservatori Innovazione Digitale nel Retail

Convegno di presentazione dei risultati della Ricerca 2017 L’Osservatorio Innovazione Digitale nel Retail vuole fornire una fotografia del livello di digitalizzazione del Retail italiano, studiando le principali innovazioni che possono ridisegnare i processi di back-end e di front-end dei retailer, nonché quelle a supporto della gestione integrata dei diversi canali di vendita. L’obiettivo è quello di supportare i player del settore nella scelta e nell’implementazione di soluzioni innovative, con il fine ultimo di condividere conoscenza e fare cultura. Durante l’evento sarà possibile conoscere il panorama italiano di questo settore, grazie ai dati della ricerca che, tramite un’analisi empirica, coinvolge ogni anno i Top e medio-piccoli retailer italiani.

13 ottobre 2017

Via Emilia, 155 47921 Rimini

16 novembre 2017 Aula Magna Carassa-Dadda Politecnico di Milano Campus Bovisa Edificio BL28 Via Lambruschini, 4 20156 Milano

Informazioni aggiornate al 15 giugno 2017 - Per i dettagli completi visitare www.osservatori.net/it_it/convegni/prossimi Scopri tutti i prossimi convegni e rivedi quelli passati su: www.osservatori.net/it_it/convegni

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Marketing - Piaggio accelera sulla via del digitale: social e CrM per dialogare con clienti e appassionati 30

Via Lambruschini, 4 20156 Milano

TTG Incontri Rimini Fiera Expo Centre

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dIgITal TRanSfORmaTIOn

Aula Magna Carassa-Dadda Politecnico di Milano Campus Bovisa Edificio BL28

Silvia Stellato, Development and HR Business Partner Global ICT and ICT Key people, Enel

Osservatorio Innovazione Digitale nel Turismo

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Giovanna Ferrari, Corporate Training Manager, Allianz Italia ADvisory BoArD Umberto Bertelè Presidente Advisory Board

Maurizio Dècina Politecnico di Milano Giuliano Noci Politecnico di Milano Paolo Pasini SDA Bocconi Alessandro Perego Politecnico di Milano Francesco sacco Università dell’Insubria - SDA Bocconi raffaello Balocco Segretario Advisory Board

Diego Piacentini, Commissario Straordinario per l’attuazione dell’Agenda Digitale

REPORTagE

Data Protection, rivoluzione GDPr: «Processo continuo e tracciabile, ideale il supporto digitale»

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nORmaTIVE

smart Working in italia, il senato approva la legge

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Gli audit delle software House: come affrontarli e gestirli al meglio

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Emanuele Madini, Associate Partner, P4i- Partners4Innovation Anna Italiano, Senior Legal Consultant, P4I - Partners4Innovation e Gabriele Faggioli, Giurista, CEO di P4I - Partners4Innovation

RubRICa | RICERChE E STudI

74

RubRICa | nOmInE

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c ov e r s tory

c ove r story | Dig ita l M a r k eting , è or a D i M isur a r e il ver o iMpatto s ul b us i ne s s di

manuela gianni

«È assolutamente necessario fare chiarezza per orientare imprese e media company. C’è un disperato bisogno di misurare, perché la rilevanza del digitale è ormai tale da indurre a comportamenti opportunistici»

giuliano noci

Digital Marketing, è ora di misurare il vero impatto sul business

PrOFESSOrE OrDINArIO DI MArkEtING POLItECNICO DI MILANO

deve essere in grado di dimostrare il proprio impatto sugli obiettivi di business delle aziende. E serve capire quali sono i possibili spazi che gli operatori italiani possono occupare, in alternativa o a complemento dei due grandi operatori internazionali». Il processo dI acquIsto è Integrato e Il marketIng è “ambIent”

I Marketer investono sempre più in Advertising online, ma quest’anno la crescita è stata minore delle aspettative, mentre resta costante il peso della TV nel marketing mix. Il futuro del settore passa attraverso 2 snodi: le metriche e la concentrazione eccessiva. Come misurare in modo oggettivo l’efficacia della pubblicità online? Quali spazi possono occupare gli operatori italiani, in alternativa o a complemento dei due Big Google e Facebook?

Dopo anni di crescita vorticosa e di euforia collettiva è arrivato il momento della riflessione per il mercato della pubblicità su Internet. Il canale online è ormai da quattro anni al secondo posto del Media mix pubblicitario e vale il 30% del totale. Ma nel 2016 è cresciuto meno delle aspettative: il 9%, per la prima volta un tasso a una sola cifra. E in valore assoluto vale tanto quanto la televisione. Una battuta d’arresto che fa riflettere e che sta rimettendo in discussione il ruolo e l’efficacia dei canali digitali rispetto a quelli più “tradizionali”. Due sembrano essere le domande cruciali che ancora non trovano risposta. La prima riguarda il reale ritorno degli investimenti pubblicitari. Come misurare in modo oggettivo quanto è efficace la pubblicità online? Quali sono le metriche significative in un mondo sempre più articolato e complesso? | 6 |

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Una sfida non banale, che coinvolge tutti, dagli investitori alle Agenzie Media, dagli editori alle concessionarie, passando per i certificatori del mercato. E che richiede un cambio culturale, organizzativo e di competenze. I tassi di crescita del mercato, secondo gli esperti del Politecnico, nei prossimi anni saranno fortemente influenzati dalla capacità o meno di intraprendere questa strada, in un contesto che si è trasformato in

pochissimi anni. «Per trovare le giuste risposte bisogna però capire che il processo d’acquisto e le esperienze mediali dei consumatori sono profondamente cambiate. Bisogna evitare di essere integralisti, di contrapporre internet al mondo analogico della TV, perché ormai è un sistema integrato - ha puntualizzato Noci. - I Marketer erano abituati a pensare a un processo discreto, in cui alla manifestazione del bisogno segue la fase di acquisto e poi quella del post acquisto. Oggi invece l’acquisto si manifesta come un continuum». Questo perchè gli stimoli che riceviamo sono continui e la loro efficacia dipende dal contesto, tanto che Noci definisce il Marketing una “ambient activity”. Un esempio? A un messaggio pubblicitario in TV oggi è possibile immediatamente reagire, comprando online, e l’acquisto può avvenire mentre si è seduti sul divano o successivamente,

La seconda riguarda il ruolo degli operatori locali rispetto ai Big player internazionali, sempre più potenti e “ingordi”. Come fare ad arginare l’egemonia di Google e Facebook, che in Italia a fine anno rappresenteranno, secondo le proiezioni, quasi il 75% del mercato dell’adv online e che continuano a crescere? «È assolutamente necessario fare chiarezza per orientare imprese e media company - ha affermato Giuliano Noci, ordinario di Strategia e Marketing del Politecnico di Milano, in occasione della presentazione della nuova ricerca dell’Osservatorio New Media -. C’è un disperato bisogno di misurare, perché la rilevanza del digitale è ormai tale da indurre a comportamenti opportunistici rispetto ai quali occorre mettere ordine. Per fare il salto di qualità, attrarre budget sempre più significativi e riuscire a strappare quote al mezzo televisivo, l’Internet Advertising www.digital4executive.it

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c ove r story | Dig ita l M a r k eting , è or a D i M isur a r e il ver o iMpatto s ul b us i ne s s

Pubblicità su internet, le sfide per il futuro Secondo gli esperti del Politecnico di Milano, nel mondo dell’Internet Advertising si avverte oggi una forte esigenza di semplificazione, perchè il mercato sta diventando eccessivamente complicato agli occhi degli investitori come conseguenza della rapida evoluzione tecnologica. In gioco ci sono gli interessi di molti attori del sistema pubblicitario. In particolare, i ricercatori individuano cinque nodi da sciogliere per arrivare a un sistema di misurazione online attendibile e oggettivo. La prima - e forse la più importante - è l’identificazione di una unità di misura unica, un sistema di currency riconosciuto e condiviso che consenta sia la creazione di benchmark tra le diverse iniziative pubblicitarie online, sia un confronto con gli investimenti e le performance sugli altri mezzi e al contempo una pianificazione integrata tra online e offline.

Fonte: Osservatorio Internet Media Politecnico di Milano e IAB Italia *2017 dati stimati

La seconda fa riferimento alla Media Transparency: gli investitori richiedono garanzie sul posizionamento del proprio brand (la cosiddetta brand safety), sulla capacità di misurare correttamente le visualizzazioni (anche rivedendo eventualmente gli attuali criteri di viewability), sulla protezione dalle frodi (ad fraud), sui target raggiunti,

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sulla certificazione dei risultati da parte di attori terzi e, infine, sulla suddivisione della fee lungo la filiera. Un terzo grande problema da affrontare è la concorrenza ad armi impari con gli Over the Top (OTT). Questi ultimi non solo hanno economie di scala non confrontabili con quelli delle imprese italiane, ma non sono nemmeno certificati da enti terzi accreditati. La quarta sfida riguarda le aziende investitrici che devono implementare strategie evolute di misurazione delle performance per valutare l’impatto dei diversi touchpoint sui risultati di business. Vision, tecnologia e competenze nell’utilizzo di grandi moli di dati sono gli ingredienti fondamentali per cogliere tale obiettivo. Infine, appare necessario rafforzare le modalità con cui si valuta l’efficacia degli investimenti di comunicazione con obiettivi di branding, in un panorama in cui diviene sempre più importante discernere i meccanismi profondi alla base delle scelte degli individui. In questo senso la possibilità di disporre di insight che derivano da modalità avanzate di rilevazione (come ad esempio le informazioni ricavabili dai biosegnali ottenuti tramite tecniche di bio-marketing) può rappresentare per le imprese una fonte di forte vantaggio competitivo.

magari alla fermata del tram. «È un passaggio fondamentale: il marketing deve andare sempre più a lavorare dove si manifesta il bisogno. Ma i meccanismi nella testa delle persone non sono cambiati, quindi l’awareness, il branding,

restano estremamente rilevanti. Bisogna essere capaci di gestire attività di breve e medio periodo, in un combinato disposto che unisce logiche di storytelling orientate al branding con azioni tattiche orientate a indurre l’azione. Si è sovra-

Il mercato pubblIcItarIo In ItalIa nel 2016

Il mercato Internet aDV

≈ 2,6 mld di ¤

2,36

Valore totale 7,8 miliardi di euro

mld di ¤

2,15 1,95

RADIO

mld di ¤

≈ OTT

mld di ¤

5%

75%

OTT

STAMPA

67%

OTT

15%

OTT

64%

+11%

+9%

61%

TELEVISIONE

50%

INTERNET ADV

30%

2014 www.digital4executive.it

«Non servono a molto indicatori che misurano il singolo touch point. Dobbiamo pensare a ecosistemi sempre più trasversali: le opportunità stanno a cavallo fra il broadcasting e il digitale interattivo»

2015

+10%

2016

2017

stimata la tecnologia a discapito della creatività: fare pubblicità è un trinomio, un mix di arte, creatività e tecnologia». Oltre la frammentaziOne del multidevice In questa nuova ottica di integrazione fra vecchio e nuovo mondo appare chiara l’importanza di misurare l’efficacia delle azioni nel loro complesso evitando l’iperframmentazione, anche se le esperienze che il consumatore vive con i media sono multitasking e multidevice. «Non servono a molto indicatori che misurano il singolo touch point, che ci dicono se un ban-

ner è viewable e quant’altro. Abbiamo bisogno di un sistema di misure diverse che cerchi di qualificare l’integrazione, sistemi di indicatori che ci aiutino a interpretare il fenomeno, sia in ottica di brandig sia di short term, senza appiattirsi su tattiche che lavorano su target unitari. Dobbiamo pensare a ecosistemi sempre più trasversali: le opportunità stanno a cavallo fra il broadcasting e il digitale interattivo». Secondo il professore del Politecnico, non si tratta solo di cogliere un’opportunità, ma di una necessità per il mercato: «La maggior parte degli investimenti sul digitale transita sui due grandi Over The Top e bisogna ora trovare risposte credibili e sostenibili», ha concluso Giuliano Noci.

Il video online dilaga: più investimenti e nuovi formati Il video è il nuovo linguaggio della comunicazione: è il formato più ingaggiante per la pubblicità dei brand, è essenziale nel media plan, è il futuro del marketing e il presente per i giovani, come confermano le visualizzazioni - milioni - raccolte dai più noti Youtuber. C’è un grande fermento nel mondo dell’advertising e tantissima innovazione tecnologica, con diverse novità in arrivo. Del resto, il tempo degli utenti dedicato alla fruizione del video è sempre di più. E se oggi fare pubblicità significa “pre-roll”, il prossimo futuro vedrà crescere i branded content, le storie, le esperienze interattive, che sono poi l’essenza del digitale. Per i Marketer è dunque ora di imparare a conoscere da vicino questo mondo, capirne le dinamiche - meno scontate di quanto potrebbe sembrare – e avvicinarsi alle innovazioni tecnologiche che stanno rapidamente trasformando lo scenario, ricordando che è molto difficile emergere fra il mare magnum dei contenuti generati. Nel suo complesso, il Video advertising nel 2016 ha superato ampiamente i 500 milioni di euro, grazie in particolare alla crescita della raccolta pubblicitaria da parte degli OTT ma anche dei principali broadcaster,

secondo i dati del Politecnico di Milano. È il formato che nell’ultimo anno è cresciuto di più in valore assoluto e oggi vale il 22% del totale Internet advertising. Per comprendere la reale portata del fenomeno, è utile il confronto con la TV: ogni 100 euro investiti nel piccolo schermo, 13 sono destinati ai video online (erano circa 6 nel 2013). Oggi, spesso la pianificazione video è gestita in maniera integrata, ovvero abbinando televisione e Internet. Guardando alle tipologie di formati video più utilizzati, come anticipato è ancora il pre-roll (che fa parte dei formati in-stream), la forma più richiesta, anche se cresce la domanda di formati out-stream, in particolare all’interno dei Social network. Con il termine outstream si intendono quei video pubblicitari inseriti in altre posizioni all’interno della pagina del sito. Se i formati in-stream cioè all’interno di un contenuto Video, sono standard e si prestano facilmente a semplici riadattamenti delle creatività televisive, i formati outstream sono invece molteplici, si adattano a diversi posizionamenti in pagina e ai diversi schermi/device, e necessitano di una creatività ad hoc per esprimere appieno il loro potenziale.

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cov e r s tory

c ove r story | L e im p r ese ita L ia ne e L e str at eg ie di m isur a zio ne de LL’o nLi ne adv

maNuela giaNNi

Nicola Spiller

Le imprese italiane e le strategie di misurazione dell’online adv

dIREttORE OSSERvAtORIO NEw MEdIA POLItECNICO dI MILANO

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Confusione e allarmi: il caos delle impression Siamo vivendo una sorta di isteria della misurazione. Ad affermarlo è un esperto del settore, Fabrizio Angelini, CEO di Sensemakers – comScore Italia, società internazionale specializzata in questo ambito. «Si seguono le mode senza comprendere i criteri sottostanti e quindi senza sapere su cosa puntare per preservare l’investimento. L’ultima emergenza è la brand safety: riceviamo richieste assurde. La realtà è che ad ogni singola impression erogata possiamo associare un enorme set di attributi. Ma se non c’è accordo su quali metriche utilizzare tutta questa complessità non serve a niente». Angelini ne approfitta per fare un po’ di chiarezza e spiega che in realtà esistono tecnologie per misurare se un’impression (un banner, un post…) è inviata, erogata e vista e che questi parametri sono consolidati a livello internazionale. «Si misura la “opportunity to see”. La viewability ci dice cioè se una impression ha avuto l’opportunità di essere vista, e non se una pubblicità è efficace o crea engagement e tanto meno serve per calcolare il ROI di una campagna. Certo, ci sono molti studi che permettono di dire che sopra certe soglie c’è una ragionevole probabilità che quell’impression possa avere avuto un impatto. Ma il mercato le sta dando un significato diverso da quello per cui è nata». Tanta confusione anche sul CTR (Clic Through Rate), parametro usato per misurare l’engagement. «La verità è che non c’è nessuna correlazione diretta fra CTR e vendite, anzi è l’inverso». L’esperto sfata anche due falsi miti: l’adblocking, che tanta paura faceva in passato, oggi è usato solo dal 13% degli utenti in Italia; e il traffico invalido dichiarato dagli editori per gonfiare i risultati, cioè le frodi, è oggi a un livello medio dell’1%.

I touch poInt dIgItalI facIlItano la mIsurazIone In particolare, nei settori in cui il processo d’acquisto è caratterizzato da una rilevante presenza di touchpoint digitali vi è maggiore disponibilità di dati che permettono di collegare i risultati con gli obiettivi di business, ovvero il mondo eCommerce, Telco e realtà appartenenti al settore dell’Automotive e del Finance/Insurance. «Questi player si contraddistinguono per l’utilizzo di iniziative di advertising online prevalentemente con obiettivi di performance, e sono coloro che, con maggior incidenza, hanno introdotto strumenti e processi che supportano la misurazione integrata. In generale, questi player hanno inoltre introdotto modelli di attribuzione con lo scopo di dare un peso a tutti i touchpoint che hanno concorso nel generare una conversione. Al contrario, le aziende che non hanno canali diretti di conversione online e utilizzano l’advertising primariamente con obiettivi di branding manifestano maggiori difficoltà nelle fasi di implementazione», ha commentato Spiller. Dalle interviste effettuate ai top spender emerge anche che chi ha sviluppato i modelli più sofisticati (in termini di processi, strumenti, routine e cultura aziendale) se li tiene ben stretti, consapevole che

I top spender in pubblicità sono consapevoli del valore delle metriche e quelli più evoluti hanno già messo a punto sofisticate soluzioni in termini di processi e strumenti, soprattutto in ambito eCommerce, Finance, Telco e Automotive. Il quadro che emerge da una recente survey è positivo. Ma l’assenza di metriche standard ha generato una diffusa confusione nel mercato

In che modo i top spender in advertising in Italia stanno affrontando il tema di misurazione delle performance? Per rispondere a questa domanda, la Ricerca 2017 dell’Osservatorio Internet Media del Politecnico di Milano ha realizzato una serie di interviste con l’obiettivo di fornire un framework di riferimento con cui confrontarsi. Ma cos’è una strategia di misurazione? «Intendiamo un processo che identifica gli obiettivi, sia di business sia specifici per campagna che per singoli touch, e definisce l’insieme di metriche per raggiungerli - ha spiegato Nicola Spiller, direttore dell’Osservatorio New Media del Politecnico di Milano -. Le metriche scelte rappresentano i KPI (Key Performance Indicator), le fondamenta della strategia di misurazione. A questo punto il passo successivo è delineare un piano di implementazione per rendere tale insieme di metriche parte del processo di business». L’approccio quantitativo nelle organizzazioni è un fattore culturale. E perché questo tipo di cultura

tuttavia situazioni differenti in termini di disponibilità di processi, strumenti e routine organizzative. Tale diversità è dovuta principalmente alla capacità dell’impresa di tracciare il processo di acquisto del consumatore lungo diversi touchpoint e di conseguenza di disporre dei relativi dati di performance. Alcuni hanno già investito, soprattutto in determinati settori, ma molti hanno un lungo percorso da fare».

prenda piede in modo capillare, è necessario a livello apicale il giusto commitment, la spinta che mette in azione l’ingranaggio. Poi, per poter misurare servono gli strumenti tecnologici in grado di raccogliere ed elaborare i dati, e le persone che li sappiano usare. E ovviamente servono i dati, che devono avere la qualità e la granularità necessarie. «I processi devono favorire la condivisione di dati e metriche che spesso sono di competenza di funzioni diverse all’interno delle organizzazioni, o anche di player diversi, ad esempio i partner esterni di comunicazione», ha puntualizzato Spiller. Persone e strumenti: gli ingredienti della strategia

si tratta di un grande valore per l’azienda, un patrimonio in grado di generare vantaggio competitivo rispetto ai concorrenti.

dIsplay e VIdeo adVertIsIng: le prIncIpalI metrIche utIlIzzate In ItalIa aWareness

consIderatIon Brand InteractIon

cost per mIlle (cpm)

cost per mIlle (cpm)

VIeWs

completed VIeWs

VIeWed ImpressIon

aVerage VIeW tIme

freQuency reach /copertura completed VIeWs

Intent

conVersIon

cost per lead (cpl)

cost per lead (cpl)

cost per clIcK (cpc)

cost per clIcK (cpc)

cost per acQuIsItIon (cpa)

cost per acQuIsItIon (cpa)

sKIp rate

conVersIon rate

conVersIon rate

completIon rate

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Fonte: Politecnico di Milano

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I risultati della ricerca sono positivi. «Emerge che tra i top spender italiani vi è forte sensibilità e consapevolezza alla misurazione. È una buona notizia, non siamo lontani dalla situazione internazionale. Ci sono

effIcIenza

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Legenda:

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cover story

LA TUA AZIENDA È PRONTA PER LO SMARTWORKING?

L’Internet advertising vale il 30% del mercato pubblicitario Le più recenti stime del Politecnico di Milano parlano di una crescita del 10% per il 2017, per un valore complessivo di 2,6 miliardi di euro. Dominano smartphone e formato video, mentre cresce il peso dei grandi Over The Top

di

andrea Lamperti

DIReTTORe OSSeRVATORIO INTeRNeT MeDIA POLITecNIcO DI MILANO

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READY4SmartWorking è un tool gratuito, che attraverso la compilazione di un test online permette di delineare un profilo di maturità con indicazione di approcci e linee guida da seguire per introdurre lo Smart Working. I principali elementi considerati sono: il modello organizzativo la tecnologia digitale gli spazi fisici la cultura manageriale Nasce dall’esperienza sviluppata dal nostro team di esperti e ti consente di effettuare, gratuitamente, una prima valutazione del livello di preparazione della tua azienda all’introduzione di logiche di Smart Working.

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In Italia il mercato pubblicitario nel 2016 valeva complessivamente 7,75 miliardi di euro (+4% rispetto al 2015). La metà degli investimenti sono destinati alla TV, mentre un terzo va a Internet, che con un valore di 2,36 miliardi di euro si conferma il secondo mezzo pubblicitario con il 30% di share. Seguono la stampa (in calo dal 17% all’attuale 15% fra il 2015 al 2016) e la Radio (stabile al 5%). «Nel 2017 prevediamo che il mercato dell’Internet advertising crescerà ancora, con un tasso intorno al 10% e supererà così i 2,6 miliardi di euro. Tuttavia, il mercato risulta sempre più concentrato: si rafforzerà ulteriormente il peso dei grandi Over The Top, che porteranno la loro quota dall’attuale 67% a oltre il 75%», ha spiegato Andrea Lamperti, Direttore dell’Osservatorio Internet Media del Politecnico di Milano. video, native e programmatic Leggendo i dati del mercato Internet advertising in base ai dispositivi, emerge che la raccolta pubblicitaria in larga parte avviene ancora su Pc, ma spicca la forte crescita del Mobile, che raccoglie oltre ormai un terzo del mercato pubblicitario digitale. Un trend che segue quello dell’audience: le persone usano sempre più il cellulare e sempre meno il pc fisso, che resta però il device preferito per fare transazioni e acquisti. Basta però confrontare il peso della raccolta su Smartphone (il 30% appunto) con il tempo medio speso (il 64%) per capire come la monetizzazione dei canali alternativi al desktop sia ancora di molto in-

feriore allo spostamento di traffico dei consumatori. Quanto ai formati pubblicitari online, la crescita è trainata dai video, mentre si registra un boom del Native, definito come l’insieme di “elementi testuali, grafici e video all’interno di widget di raccomandazione, di flussi di news o di pagine di navigazione”. «La componente video pesa già il 22% del totale Internet advertising e rappresenta il formato che nell’ultimo anno è cresciuto di più in valore assoluto; nel 2017 si prevede un’ulteriore crescita intorno al 35%, che la porterà a rappresentare oltre un quarto del totale Internet, grazie non solo alla raccolta all’interno delle piattaforme di Social network ma anche alla crescita di molti altri player e alla diffusione di nuovi formati», ha specificato Lamperti. Altro trend molto significativo è la crescita del Programmatic advertising, ovvero la compravendita di singole impression in real time attraverso piattaforme tecnologiche automatizzate, con o senza modelli di assegnazione tramite asta. Questo mercato in Italia a fine 2016 valeva 315 milioni di euro, con una crescita del 35% rispetto al 2015. L’incidenza sul totale Display advertising è del 23%, mentre il peso sul totale Internet advertising del 13%. Anche in questo caso una forte spinta proviene soprattutto dagli spazi video, che dal 2016 sono stati venduti in maniera importante su queste piattaforme. La capacità di individuare formati pubblicitari sempre più efficaci e di sviluppare creatività ad hoc per il digitale sono individuati come due dei fattori critici di successo per lo sviluppo del mercato nei prossimi anni. www.digital4executive.it

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management - world of business ideas

Ma nag e M e ntWorelD neLD SSOF i DeBaUSI S | ne VaSS lor e condiV iso, condiViso, la “cr ociata” di P or tdi erPorter: : socia le e a mebient e ne lnel c ocore re b business us i ne s s ma nag meoF nt-B USi WOR I De a S | Valore la “crociata” sociale ambiente

in collaborazione con

«La Corporate Social Responsibility è separata dall’attività primaria aziendale e destina risorse a cause nobili. Il modello del valore condiviso invece integra impatti sociali e ambientali nella strategia, cioè nell’attività primaria aziendale»

Michael e. Porter

Valore condiviso, la “crociata” di Porter: sociale e ambiente devono entrare nel core business

BiShoP WiLLiaM LaWreNCe UNiVerSity ProFeSSor harVarD BUSiNeSS SChooL

gna trovare il modo di affrontare questi aspetti in modo profittevole. Il valore condiviso risiede in tutta la catena del valore (nei prodotti, nei clienti, nei fornitori,…) ma anche nelle istituzioni della comunità in cui è inserita l’impresa. Molte organizzazioni sono eccellenti nel soddisfare le necessità dei clienti tradizionali, ma se approfondissero il concetto di valore condiviso scoprirebbero enormi potenziali di crescita. Vedrebbero aprirsi nuovi mercati, nuove esigenze non ancora soddisfatte, nuovi modi di fare business, e per di più gestendo meglio l’impatto sull’ambiente e sulla comunità. Lo so che sembra incredibile, ma è così: il principale terreno per l’innovazione e la crescita non è nè la finanza nè la tecnologia, bensì le questioni sociali e ambientali.

Parla il guru del management strategico, padre dei modelli delle 5 Forze Competitive e della Catena del Valore: «L’opinione pubblica vede le imprese come la causa di molti problemi della società e dell’economia: bisogna cambiare questa percezione con modelli di business diversi, in cui alla generazione di profitto si affianchino benefici per la comunità d’appartenenza e per il pianeta»

Per la prima volta nella storia dopo la rivoluzione industriale dell’inizio dell’800, sembra che si stia sviluppando una sorta di “rottura” tra il mondo economico e la società, un allontanamento tra le imprese e le persone. Michael Porter, il “guru” della strategia d’impresa reso famosissimo da modelli come la Catena del Valore o le cinque forze competitive, ha realizzato che le organizzazioni non stanno più affrontando le tradizionali sfide competitive che storicamente egli aiutava a risolvere, bensì si trovano davanti a una situazione completamente nuova, una sfida completamente diversa. «Nei decenni scorsi, almeno negli Stati Uniti, le imprese erano il posto in cui i lavoratori desideravano essere - commenta Porter -. Ma oggi non è più così. L’idea che le organizzazioni esistono con l’unico scopo di massimizzare il ritorno per gli azionisti non piace più all’opinione pubblica. Quando i benefici hanno iniziato a ridursi, i posti | 14 |

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di lavoro e i salari a diminuire, la società ha cominciato a mettere in discussione questo modello. Perciò le imprese ora devono cambiare mentalità, mettere a punto nuovi modelli di business, stabilire nuove prospettive dalle quali studiare il mercato e se stesse». Porter stesso ha piantato un primo seme per questo cambiamento, coniando il concetto di “valore condiviso”, che spiega in questa intervista in vista della sua partecipazione al World Business Forum di Milano, in programma il 7-8 novembre prossimi. Cosa significa “valore condiviso”? Significa occuparsi di una problematica sociale, di una sfida sociale, come quella dell’acqua, dell’alimentazione o della salute, e qualche volta ottenere anche un guadagno. Deve essere concepito come un vero e proprio business, invece che come un atto di beneficenza o donazione. Biso-

Può fare degli esempi di imprese leader che stanno affrontando questo cammino? Un caso interessante è quello dell’industria farmaceutica. I laboratori hanno sempre costruito la loro fortuna servendo un numero molto limitato di clienti. Dato il loro modello di business, il loro livello di prezzi e le loro modalità di distribuzione dei prodotti, hanno sempre ignorato quasi 6 miliardi di persone, le quali però avevano la medesima necessità di farmaci di chiunque altro. Le aziende farmaceutiche non hanno mai affrontato questa necessità, perché non la consideravano un mercato reale. Ora, con la nuova mentalità, stanno guardando questo mercato potenziale sotto una nuova luce. Si rendono conto di averlo sottovalutato fino a ora.

Questo nuovo modo di pensare implica un nuovo modo di fare le cose? Ovviamente sì. Quando Novartis iniziò a vendere farmaci nelle comunità rurali dell’India, si trovò di fronte un mercato composto da un miliardo di persone. Ma non poteva continuare ad usare lo stesso sistema adottato per vendere farmaci in Svizzera, in Inghilterra o negli Stati Uniti. In India non c’era un solido sistema sanitario, e tantomeno consumatori con un alto livello di educazione, cosicché Novartis ha dovuto inventare una catena di valore completamente nuova. Ma ha imparato molto, grazie a questa esperienza, potendo poi applicare questi insegnamenti al suo business tradizionale. Paradossalmente una grande fonte di innovazione deriva da un contesto che è considerato terzo mondo, da cui nessuno avrebbe immaginato di poter ricavare modelli innovativi. Se guardiamo lo scenario globale, le più grandi opportunità di mercato derivano dai più grandi problemi che l’umanità deve risolvere. Durante questi ultimi 50 anni stiamo vivendo un momento di stabilità, nel quale abbiamo applicato modelli consolidati. Ora però questi modelli stanno perdendo validità: l’abituale e il conosciuto non funzionano più. E questo è un fatto molto positivo. Quali sono le differenze tra il valore condiviso e la CSR, la Corporate Social Responsibility? La responsabilità sociale d’impresa consiste fondamentalmente nell’investire le risorse dell’azienda in azioni da buon cittadino, che significa per esempio riciclare i rifiuti, fare donazioni per

«Quando Novartis iniziò a vendere farmaci nell’India rurale, non poteva usare la catena del valore adottata in Svizzera o negli USA. Ha dovuto inventarne un’altra: una forte spinta all’innovazione è nata dal terzo mondo» www.digital4executive.it

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m anagement- WOR L D OF B US I ne S S I D e a S | Valore condiViso, la “crociata” di Porter: sociale e ambiente nel core business

«Lo so che sembra incredibile, ma è così: il principale terreno per l’innovazione e la crescita in questo momento non è nè la finanza nè la tecnologia, sono le questioni sociali e ambientali»

cause sociali, aumentare la trasparenza e così via. Il valore condiviso invece si riferisce al “core business” dell’impresa, e richiede di gestirlo in un modo nuovo, diverso. Richiede di inventarsi un nuovo modello di business, ma creare valore condiviso significa comunque creare profitto per gli azionisti. Perciò la differenza fondamentale è che, da un lato, si fa qualcosa di separato dall’attività primaria dell’azienda, destinando risorse a cause nobili. Dall’altro lato invece si integra la variabile dell’impatto sociale e ambientale nel core business stesso dell’azienda, mantenendo l’obiettivo finale di creare valore economico. Il mondo delle imprese ha capito il concetto di valore condiviso? C’è grande confusione. Le imprese confondono esattamente i due punti di cui ho appena parlato. Sostengono di star creando valore condiviso, ma ciò che realmente stanno facendo è togliere risorse dal proprio business per fare beneficenza. Non

stanno incorporando l’aspetto sociale e ambientale nel core business. Ci sono enormi problemi nelle comunità di tutti i paesi del mondo, e manager e imprenditori fanno un’enorme fatica a trovare modi positivi per affrontare queste questioni. La chiave è farlo sfruttando la conoscenza del business, invece che mettendosi nelle vesti di benefattori e filantropi. Agendo come imprese e non come enti di beneficenza, sono la forza più potente che l’umanità ha a disposizione per affrontare le questioni ambientali e sociali. Tutto inizia con un cambio di mentalità, definendo il ruolo delle aziende nella società. Sempre più imprese stanno realizzando di poter giocare un ruolo più importante rispetto ai problemi sociali e nel contempo benefico per i propri risultati di bilancio. Non si tratta né carità né di patriottismo. Si tratta di far sì che il business funzioni in modo più efficace ed efficiente, con processi di creazione di valore condiviso.

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Chi è Michael E. Porter Michael E. Porter, Bishop William Lawrence University Professor della Harvard Business School, è forse la massima autorità mondiale di strategia competitiva: i suoi libri Competitive Strategy, Competitive Advantage, Competitive Advantage of Nations e On Competition degli anni ’80 e ’90 contengono teorie di management insegnate nelle Business School di tutto il mondo, tra cui il Modello delle 5 Forze Competitive, la Catena del Valore, i vantaggi competitivi di Costo, Differenziazione e Specializzazione, e il Modello del Diamante sul successo delle nazioni. Laureato in Aerospace Engineering a Princeton, Porter ha poi ottenuto un MBA alla Harvard Business School, dove ha svolto tutta la successiva carriera di docente. Nel 2000 la stessa HBS e la Harvard University hanno fondato l’Institute for Strategy & Competitiveness | 16 |

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appositamente per dare una sede alle sue ricerche. Ricerche che nel tempo, oltre che sulla strategia d’impresa e sull’analisi dei settori, si sono concentrate su sviluppo economico e competizione delle nazioni, politiche ambientali, e ruolo sociale delle corporation, lavoro quest’ultimo coronato con la teoria del valore condiviso, enunciata con Mark Kramer. Porter ha anche studiato il settore health care, con un libro (Redefining Health Care, con Elizabeth Teisberg) e diversi articoli. Ha fondato quattro ONG - The Initiative for a Competitive Inner City, the Center for Effective Philanthropy, la strategy firm FSG, e the International Consortium for Health Outcomes Measurement – ed è autore di 19 libri e oltre 120 articoli, sette dei quali – un record - hanno vinto il McKinsey Award per il migliore articolo dell’anno sulla Harvard Business Review.

ADVISORY E ADVOCACY


intervista

intervista| |Costa CostaCroCiere, CroCiere,l’impegno l’impegnosulla sulladigitalizzazione digitalizzazioneContinua: Continua:èèla lavolta voltadello dellosmart smartWorking Working intervista di

manuela gianni

neil palomba

Costa Crociere, l’impegno sulla digitalizzazione continua: è la volta dello Smart Working

DIRETToRE GENERALE CoSTA CRoCIERE

Dopo l’adesione all’89% e l’aumento di produttività del progetto pilota su 121 persone, l’iniziativa sarà estesa a tutto il personale di terra. Il DG Neil Palomba: «Un cambiamento epocale per Costa, oltre alle navi innoviamo anche il modo di lavorare». Paolo Tolle, VP HR: «Nell’era digitale la relazione fra capi e collaboratori si basa sulla fiducia, con benefici per le persone e per l’azienda»

Continua l’impegno di Costa Crociere per la digitalizzazione progressiva delle componenti del proprio business (vedi box nella pagina a fianco). Abbiamo già raccontato negli scorsi mesi i progetti nelle aree procurement e marketing, mentre recentissimo è l’annuncio dello Smart Working. Dopo aver concluso con successo un progetto pilota di 6 mesi su 121 partecipanti nelle direzioni HR e IT (il test era su un giorno a settimana), Costa Crociere ha esteso lo Smart Working all’intero personale di terra, incluse le sedi estere, con un piano scaglionato che prevede anche specifica formazione e il monitoraggio puntuale dei risultati. L’annuncio è stato dato ai dipendenti di Genova in un evento al Teatro Carlo Felice dal Direttore Generale Neil Palomba, dal Vice President Human Resources Paolo Tolle e da tutti gli Executive della compagnia crocieristica. I risultati del pilota sono stati molto soddisfacenti, ha detto Palomba, con un’adesione dell’89% e un aumento della produttività delle persone, cer| 18 |

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nella motivazione (77%), nel risparmio di tempo e costi per recarsi al lavoro (71%), nella produttività (76%) e nel supporto all’innovazione (71%). Curioso notare che i più giovani e gli over 55 sono i due gruppi meno propensi a stare a casa a lavorare, i primi per amore di socialità, i secondi per il desiderio di evadere dalle mura domestiche. L’elemento rivoluzionario di questa epoca è la nuova relazione basata sulla fiducia fra azienda e persone, fra capi e collaboratori, ha sottolineato Tolle. «Non serve più misurare il tempo passato in ufficio o dare istruzioni precise su come eseguire un compito. La velocità del cambiamento richiede un nuovo approccio, basato sulla valutazione delle performance e su obiettivi chiari, che ciascuno può raggiungere in autonomia, con la massima flessibilità». un vero Passaggio culturale, richiederà temPo e sforzo Quali saranno gli impatti che avrà in concreto lo

Smart Working quando sarà a regime? L’aspettativa dei manager di Costa Crociere è che persone più contente e motivate aiuteranno l’azienda a diventare più veloce e competitiva, che si potranno prendere meglio le decisioni e al livello giusto, che la possibilità di lavorare da remoto aiuterà ad attirare i talenti, in particolare i più giovani e coloro che abitano nelle grandi città europee, come Madrid o Parigi, dove le distanze sono grandissime e gli spostamenti prendono molto tempo. Il passaggio però è culturale e richiederà tempo e sfozo. Sarà necessario semplificare i processi, modificare non solo le relazioni a livello gerarchico ma anche tra pari, all’interno dei dipartimenti. Se ciascuno diventa manager di se stesso, autonomo e responsabilizzato sui risultati, gli executive devono imparare ad allentare i controlli. Serve una leadership inclusiva, partecipata, basata su una vera collaborazione. Sarà importante anche raccogliere i feedback e monitorare costantemente i risultati, per indirizzare la rotta.

Il DG Palomba: «Ecco come il digitale supporta la strategia»

tificata dai manager responsabili. «Siamo quindi pronti a estendere lo Smart Working al resto dell’azienda. È un cambiamento epocale per Costa: per costruire il futuro stiamo investendo per innovare i prodotti e le navi, ed è quindi necessario innovare anche il modo di lavorare». Gradualmente l’iniziativa verrà estesa a tutto il personale di terra e a 2 giorni a settimana: una survey ha confermato che è questo che si aspettano i dipendenti. Benefici Soprattutto di Work-life Balance, efficacia e motivazione Paolo Tolle, Vice President HR di Costa Crociere, ha presentato i dati emersi dai focus group tenuti a sei mesi dall’avvio del progetto. Emerge l’entusiasmo in tutte le fasce d’età, in donne e uomini, e i benefici riscontrati sia per le persone che per l’azienda. Le aree di miglioramento sono in particolare nel work-life balance (93%), nell’efficacia (91%),

Neil Palomba, Direttore Generale di Costa Crociere, ci ha spiegato come il progetto Smart Working e la digitalizzazione supportano la strategia generale dell’azienda. «Abbiamo avviato un processo generale di innovazione nel 2015, quando abbiamo ridefinito il posizionamento del marchio. Abbiamo cambiato un po’ tutto, mettendo il consumatore, che chiamiamo ospite, al centro di tutte le decisioni aziendali». I pillar su cui Costa si è concentrata sono tre. Uno è la rilevanza. «Le crociere hanno una penetrazione bassissima sul mercato del turismo organizzato mondiale, intorno al 10%, quindi le opportunità sono enormi. Era cruciale definire “perché andare in crociera”, e perciò abbiamo attivato una campagna di comunicazione importante, con testimonial d’eccezione. Poi abbiamo dovuto differenziarci rispetto alla concorrenza, basando la nostra unicità su italianità, esperienza enogastronomica e intrattenimento, adattando anche dei format televisivi sulle navi». Il terzo pillar è l’engagement: «Abbiamo puntato tantissimo sul servizio, lo slogan del nostro personale di bordo è “I’m here for you”, sono qui per te». Gli obiettivi, essenzialmente, sono di aumentare la fedeltà di una base di clienti già molto importante, di offrire una differenziazione tale da giustificare un premio di prezzo, e di aumentare anche i ricavi di bordo, pur con un modello di pricing sempre più all-inclusive.

Quanto al digitale, «stiamo lavorando da un anno e mezzo su molti fronti, tanto che non tutti gli strumenti sono andati online. Il principale è il sito internet, che richiede impegno dato che deve essere in grado di supportare 25 lingue diverse e 30 valute in giro per il mondo. L’agenzia di viaggi è il nostro canale distributivo (principale), ma dobbiamo essere disponibili a tutti i consumatori, a tutte le ore in qualsiasi modo abbiano necessità di contattarci. A novembre lanceremo il nuovo sito nel Paese principale che è l’Italia e poi avremo un roll-out in tutti gli altri paesi. Questo supportato da una serie di piccoli/medi progetti, come l’app per i passeggeri a bordo, un sistema di intelligence e data mining che ci permette di comunicare l’offerta giusta al consumatore giusto e di ingaggiarlo nell’arco temporale pre, durante e dopo la crociera». Per realizzare questa digital strategy occorrono competenze diverse, continua Palomba, che hanno imposto cambiamenti organizzativi: «Avevamo competenze che non ci servivano più e ce n’erano altre cui avevamo bisogno, quindi abbiamo investito sulla riconversione di alcune persone e abbiamo assunto specialisti dal mercato». L’ultimo passo era aumentare il coinvolgimento all’interno dell’azienda. «Abbiamo 19.000 dipendenti in giro per il mondo, 1000 a Genova nella sede centrale, e lo smart working è parte di questo impegno».

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intervista | Costa CroCiere, l’impegno sulla digitalizzazione Continua: è la volta dello smart Working

3 milioni di ospiti l’anno per il più grande tour operator italiano Costa Crociere fa parte di Carnival Corporation, gruppo che conta 10 marchi distinti di flotte in giro per il mondo, 12 milioni di ospiti annui sulle sue navi, provenienti da tutto il mondo, 120 mila collaboratori impiegati tra gli uffici di terra e sulle navi, 103 navi complessive di cui 17 in corso d’ordine, e il 45% delle quote di mercato delle crociere nel mondo. Carnival è il maggiore investitore straniero in Italia, con 32 miliardi di euro investiti negli anni, e porta in Italia ogni anno 4 milioni di turisti. L’impatto diretto ogni anno sull’ economia italiana è di 2 miliardi di euro.

Il gruppo Costa, con quartier generale a Genova, è il terzo player a livello globale, con una capacità di quasi 3 milioni di ospiti ogni anno, definiti sui tre marchi principali: Costa Crociere, Costa Asia (marchio che principalmente naviga nelle acque asiatiche) e AIDA, destinato a una clientela prevalentemente tedesca. Leader in Europa e Cina, forte di una flotta di 27 navi con 6 attualmente in ordine che verranno consegnate tra 2018 e 2019, Costa è anche il più grande tour operator italiano, con un fatturato di 3,5 miliardi di euro nel 2016.

Corso (Polimi): non È telelavoro o welfare, È molto di Più Ospite all’evento di Genova era anche Mariano Corso, docente al Politecnico di Milano di Leadership e Responsabile scientifico dell’Osservatorio Smart Working, che ha ricordato l’effetto “valanga” in corso per lo Smart Working (o lavoro agile) in Italia. A fine anno saranno 300mila, secondo le stime del Politecnico di Milano, i lavoratori dipendenti con possibilità di gestire in autonomia, almeno in parte, le proprie attività professionali, scegliendo di lavorare a casa, o comunque non alla scrivania, e senza timbrare il cartellino. Un numero in rapida accelerazione, complice anche la nuova legge varata dal Governo (per una volta l’Italia è all’avanguardia), nelle PMI come nelle grandi organizzazioni, che sono partite per prime. Fra queste figurano Barilla, BNL, L’Oreal, BPM, American Express o Tetrapak. «Il mondo digitale ci offre grande flessibilità nell’organizzare la nostra vita, ma nel posto di

lavoro restano tanti vincoli, che le persone non comprendono, e che creano frustrazione. Ma sono sempre di più le aziende che stanno mettendo lo Smart Working al centro delle strategie: si risparmia tempo, la produttività migliora, aumentano engagement e motivazione». Ma attenzione: «Il lavoro agile non è il telelavoro e nemmeno una forma di welfare aziendale - ha puntualizzato l’esperto -. È molto di più: è un modello di organizzazione che dà alle persone flessibilità e autonomia nella scelta di spazi, orari e strumenti, in cambio di una maggiore responsabilizzazione sui risultati». Ed è un percorso che richiede tempo, non ci sono scorciatoie: bisogna imparare a organizzarsi in autonomia, con disciplina: «Fondamentale è l’utilizzo corretto delle tecnologie digitali per la collaborazione a distanza, come videoconferenze, chat, e strumenti per la condivisione online di documenti, con la possibilità di accedere a dati e informazioni aziendali in qualunque momento», sottolinea Corso. «Abbiamo 19.000 dipendenti nel mondo, e lo smart working è parte dell’impegno di aumentare il loro coinvolgimento», sottolinea Neil Palomba, DG Costa Crociere

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management

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nicoLeTTa BoLdrini

«È più efficiente che un computer impari da solo un gioco, magari ‘osservando’ un essere umano, piuttosto che programmarlo a questo scopo. La scrittura del codice necessaria a coprire tutti gli scenari possibili è praticamente impossibile»

Sir Tim BernerS-Lee InVEnTorE DEL WorLD WIDE WEB DIrETTorE DEL W3C ConSorTIUM

intelligenza artificiale, l’inventore di Internet: in 50 anni le macchine si evolveranno da sole I computer possono già apprendere, e presto saranno in grado anche di svolgere attività professionali ad alto valore aggiunto. Occorre definire i paradigmi di una nuova società dove l’occupazione non crescerà di pari passo con l’economia. «Anche gli algoritmi possono sbagliare, se si basano su dati generati dall’uomo. Ma più che i robot sarà potente l’intelligenza nel cloud», sostiene Sir Tim Berners-Lee «Ehi ciao, ho inventato Internet!». Si presenta così Sir Tim Berners-Lee sul palco di Las Vegas, ospite tra le ‘guru session’ del DellEMC World 2017. Si capisce subito che l’inventore del World Wide Web, nonché direttore del World Wide Web Consortium – l’ente che supervisiona l’evoluzione di internet - ha molte cose da dire, parla in fretta, per riuscire ad esporre al pubblico tutto ciò che ha dentro. Eppure in mezz’ora sviscera a fondo il tema dell’intelligenza artificiale e “rincuora” il pubblico: «È già qui, non temete!» Qualsiasi pc oggi infatti è di per sé intelligenza artificiale, e l’uomo sta cercando di far fare alle macchine tutto ciò che non ha voglia di fare, dice senza mezzi termini Berners-Lee. «Molti esseri umani sono solo dei segnaposto, stanno portando avanti un lavoro in attesa che un robot lo faccia al posto loro». Il padre del World Wide Web va dritto al punto: già ora, spiega, i computer sono in grado di auto-apprendere. «Imparano a migliorare se stessi autonomamente, anche riscrivendo il codice, | 22 |

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tutti esempi di ‘robotizzazione’ del lavoro che sull’economia avrà indubbiamente effetti positivi ma non altrettanto sull’occupazione». Oggi molte delle attività che sono state automatizzate dai computer e dai robot sono di scarso valore aggiunto: operazioni ripetitive e di ‘basso livello’. «Ma man mano che la tecnologia e l’intelligenza artificiale matureranno assisteremo a ‘funzioni robotizzate’ anche - per esempio - di medici, avvocati e giornalisti: a proposito di giornalismo, l’intelligenza artificiale sarà in grado di produrre un perfetto sistema editoriale». occupazione e lavoro non saranno più la stessa cosa

se necessario, per risolvere i problemi». Per esempio, è già stato ampiamente dimostrato che è più efficiente che un computer impari da solo a giocare a un gioco, magari ‘osservando’ un essere umano, piuttosto che programmarlo a questo scopo. «Perché la scrittura del codice necessaria a coprire tutti gli scenari possibili di un gioco sarebbe quasi impossibile: richiederebbe moltissimo tempo». Questo del gioco è solo uno degli scenari legati al futuro dell’intelligenza artificiale. Un futuro che, avverte Berners-Lee, potrebbe diventare estremamente pericoloso se, come esseri umani, ne perdessimo il controllo. avremo dei robot anche come medici, avvocati e giornalisti Berners-Lee ha dedicato la prima parte dell’intervento agli impatti che l’AI sta avendo sul mondo del lavoro. «Le auto a guida autonoma, le fabbriche automatizzate, i trattori intelligenti sono

Il cambiamento descritto dal fondatore di Internet è tutt’altro che fantascientifico; un recente studio del McKinsey Global Institute stima che entro il 2050/2055 oltre la metà delle attuali attività professionali gestite dall’uomo saranno oggetto di una forte automazione tecnologica, ossia ‘rimpiazzate’ (magari non in toto ma con alti livelli percentuali sulle singole attività) dalle macchine. «Sarà un cambiamento epocale che metterà ancora più in crisi i livelli di occupazione, facendo inevitabilmente perdere molti posti di lavoro. L’economia tutto sommato ne trarrà beneficio, perché la produttività crescerà, ma saranno sempre meno le persone occupate». Tutto questo naturalmente avrà enormi ripercussioni etico-sociali. «Dovremo riconsiderare il concetto di salario, e capire come modellare un sistema incentrato su una sorta di retribuzione universale: alcuni governi del Nord Europa stanno già valutando opzioni del genere. L’idea è molto interessante, ma la questione primaria sta nello stabilire nuove modalità di occupazione delle persone. Occupazione non necessariamente lavorativa. Dovremo trovare il modo di ‘tenere occupata’ una popolazione permanentemente disoccupata, e soprattutto capire le nuove regole sociali: come faremo a rispettare gli esseri umani che non lavoreranno?»

come insegnare a una macchina cosa è giusto? Nella visione di Berners-Lee la questione etica arriva a toccare anche il ruolo stesso delle macchine: «Ci sono modelli matematici che dimostrano che anche gli algoritmi sbagliano o emettono risultati ‘ingiusti’ quando si basano su dati generati dall’uomo. Pensiamo alla miriade di dati non strutturati che generiamo come utenti sui social e al differente ‘livello di qualità’ dei contenuti che creiamo e condividiamo. Come si può definire se un risultato sia giusto o ingiusto? Come può apprenderlo una macchina?» Comunque a un certo punto arriveremo alla singolarità, cioè a ‘quel’ momento in cui l’intelligenza artificiale sarà in grado di evolvere www.digital4executive.it

L’intelligenza artificiale è già qui: «Guardiamo cosa sta succedendo alle negoziazioni dei titoli: abbiamo già affidato un intero business alle macchine»

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management | I nt e l l I ge nz a ar t I f I cI al e , l’ Inv e n t o re dI In t e rn e t: I n 5 0 a n n I l e mac c h I n e sI e vo lv e ra n n o da sol e

«C’è una corrente di pensiero per cui l’umanità è destinata a creare una super intelligenza: fa parte della sua evoluzione dar vita a menti migliori di quella umana, che sapranno risolvere problemi per noi irrisolvibili. E che alla fine ci salveranno»

CORSI BREVI IN se stessa, modificarsi e accelerare il progresso tecnologico, tanto da renderlo secondo alcuni incontrollabile dall’uomo. Si verrebbe infatti a creare una super intelligenza, superiore a quella umana. Ebbene, secondo Berners-Lee la singolarità si concretizzerà probabilmente entro 50 anni, «e sicuramente dovremo trovare un modo per garantire e tutelare la nostra civiltà umana». l’intelligenza artificiale vera non sarà terminator o ‘ex machina’ E forse non potremo contare neanche sulla garanzia delle notissime tre Leggi della Robotica di Isaac Asimov. «Sono leggi basate sull’assunto che i robot e i computer sono deterministici e razionali, ma nel momento in cui si creano robot in grado di reggere una conversazione, con un essere umano o un altro robot, si introducono in esso dei livelli di giudizio e questo non può essere sottovalutato». Il problema principale poi

Chi è Tim Berners-Lee Sir Timothy John (Tim) Berners-Lee, laureato a Oxford, ha inventato il World Wide Web nel 1989, mentre lavorava al CERN. Le sue specifiche di web client, web server, http e HTML sono alla base delle attuali tecnologie web. È direttore del World Wide Web Consortium W3C), e docente di Engineering al Laboratory for Computer Science and Artificial Intelligence (CSAIL) del MIT di Boston, dove è a capo del Decentralized Information Group (DIG). È anche Professor nel Computer Science Department della University of Oxford. Ha sempre promosso i concetti di net neutrality, privacy, e open government data, ed è fondatore e presidente dell’Open Data Institute di Londra. Dal 2001 è Fellow della Royal Society. Nel 2004 è stato nominato Knight Commander of the British Empire, acquisendo il titolo di “Sir”, e nel 2013 ha ricevuto il Queen Elizabeth Prize for Engineering. Pochi mesi fa, nell’aprile 2017, ha infine vinto il Turing Prize, considerato uno dei più prestigiosi riconoscimenti della Computer Science.

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è che l’intelligenza super-umana non sarà un potentissimo Terminator o una splendida ragazza robot come nel film “Ex Machina”. «L’industria del cinema è ossessionata da questa idea, ma l’AI più potente sarà nei cloud aziendali, o settoriali. Guardiamo cosa sta succedendo nello stock trading, la negoziazione dei titoli di Borsa: è fatta da mega computer, in pratica abbiamo affidato un business intero completamente alle macchine». I passi dell’evoluzione dell’AI sono inesorabili, incalza Berners-Lee: i computer creeranno da soli nuovi programmi e applicazioni, che saranno migliori di quelli degli umani, e poi definiranno le strategie che gli umani dovranno eseguire («già oggi le strategie di vendita sono decise dall’AI»), e i bonus con cui incentivarne l’esecuzione. «Ma siamo già arrivati al rovesciamento della prospettiva: ai computer che programmano gli uomini». ma quale guerra tra robot e umani: «sarà molto più noioso» Berners-Lee non vuole creare allarmismo, lo ripete più volte nell’intervento, ma vorrebbe che a livello globale si acquisisse coscienza su temi fondamentali su cui occorre preoccuparci già oggi: «Molti ritengono che finché su robot e intelligenza artificiale ci sarà il controllo umano non ci saranno criticità, ma come possiamo essere certi che le imprese che avranno in mano questo controllo sapranno e vorranno fare ‘la cosa giusta’?». La distopia, cioè la società governata dall’AI, potrebbe nascere non per un devastante attacco dei robot come succede in molti film, ma come una lenta e impercettibile (Berners-Lee usa addirittura l’aggettivo “boring”, noiosa) presa del potere da parte di megaprogrammi nel cloud. «Ma c’è una corrente di pensiero che dice che l’umanità è destinata a creare una super intelligenza: che non c’è da aver paura, e che fa parte della nostra evoluzione il fatto di creare menti migliori della nostra, che sapranno risolvere problemi per noi irrisolvibili. E che alla fine ci salveranno».

BIG DATA Direzione: Filippo Passerini

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transforMation - marketing Marketing | Beiersdorf, il marketing gloBale ora è data driven digital transformation di

Beiersdorf, il marketing globale di nivea ora è data driven. Un’unica piattaforma per analisi real time

annalisa casali

Un «libro bianco» per il marketing: in tUtto il mondo la stessa lingUa Martin BöhM HEAD oF MARkEt INtELLIgENCE & INFoRMAtIoN MANAgEMENt DI BEIERSDoRF Ag

La multinazionale specializzata nella cura della pelle, che distribuisce in tutto il mondo prodotti come Nivea, Labello, Hansaplast, Eucerin, ha concluso un ambizioso progetto di Marketing Intelligence che ha messo a fattor comune 400 database in 50 nazioni e oggi offre ai manager insight per interpretare in modo dettagliato e tempestivo il comportamento dei clienti. Ce lo ha raccontato in esclusiva il responsabile, Martin Böhm

Il reparto marketing è uno di quelli che meglio si candida a sperimentare concretamente i benefici dei Big Data in azienda. Come? L’analisi dei dati può indirizzare in real time interventi diretti sulla generazione dei lead e della domanda, con l’obiettivo di ottenere un incremento della quota di mercato o del fatturato. Certo è facile farlo se si opera con poche centinaia di acquirenti, tutt’altra cosa è se si ha a che fare con oltre 500 milioni di clienti sparsi in ben 70 nazioni, come Beiersdorf, la multinazionale quotata alla Borsa di Francoforte e nota in tutto il mondo per i marchi Nivea, Labello, Hansaplast, Eucerin e La Prairie. TanTe iniziaTive per aumenTare il digiTal iQ di TuTTa l’organizzazione Il colosso tedesco della bellezza ha avviato tre anni fa un percorso di trasformazione digitale ad alto impatto: Blue Agenda. Il progetto fissa obiettivi | 26 |

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Lato marketing, il lavoro più grosso è stato fatto sul marchio di spicco della società, Nivea (i suoi prodotti sono venduti in circa 200 paesi), per il quale tutta la strategia di branding è stata convertita, nell’ultimo anno e mezzo, in un approccio completamente votato al digitale. Un progetto molto complesso, che sfrutta le potenzialità dei Big Data o, meglio, come li chiamano in Beiersdorf, degli smart data, per assicurare al marketing un’operatività in tempo reale. Il responsabile del progetto, partito nel novembre del 2015 e battezzato MIQ (Marketing Intelligence), è Martin Böhm, Head of Market Intelligence & Information Management di Beiersdorf AG, che coordina l’iniziativa dalla sede centrale di Amburgo. «L’obiettivo, piuttosto ambizioso, del progetto MIQ era di creare una piattaforma globale nella quale i responsabili marketing e vendite delle varie business unit nel mondo potessero avere accesso in tempo reale a indicatori prestazionali utili per gestire le proprie attività, come il market share o KPI sull’efficacia delle promozioni e della distribuzione per ogni singola regione, nazione, categoria di prodotti, marchio o singola referenza, da confrontare localmente, adattando il marketing mix in tempo reale». La soluzione implementata è SAP DsiM (Demand Signal Management) su piattaforma HANA, grazie alla quale Beiersdorf è oggi in grado di connettere 400

database di marketing in una cinquantina di nazioni. «È una soluzione che combina un motore di reportistica con diversi algoritmi in grado di interpretare in modo dettagliato il comportamento dei clienti, per creare delle analitiche che io amo definire tailor made, sartoriali». I brand manager Beiersdorf all’epoca richiedevano la disponibilità in tempo reale di statistiche e insight sui diversi prodotti Nivea, ma anche comparazioni tra la propria quota di mercato e quella dei concorrenti diretti, con informazioni aggregate per macro aree ma navigabili sino a un livello di dettaglio molto spinto. «La prima fase, quella forse più onerosa, è stata l’armonizzazione dei dati, cosa non facile data la complessità dei nostri database. Basta pensare che abbiamo oltre 800.000 referenze, ovvero singoli identificativi di prodotto, da gestire. Oggi la tecnologia ci permette di targettizzare il singolo individuo e generare messaggi ad hoc che lo raggiungono nel momento giusto. La difficoltà principale è stata creare un linguaggio comune per tutti i responsabili marketing nel mondo. Per fare questo abbiamo creato un libro bianco, un elenco di regole di base utili per uniformare le tassonomie e le query, semplificando la semantica nell’analisi dei dati sul marketing. A conti fatti, credo che proprio questa sia stata la sfida principale di MIQ…». Un spartiacque essenziale è stato il passaggio, nel 2016, dall’utilizzo massiccio degli strumenti di reportistica agli insight. «Questo significa cambiare completamente il modo in cui si utilizzano i record.

I prodotti Nivea sono al centro di un progetto molto complesso che sfrutta le potenzialità dei Big Data per assicurare al marketing un’operatività in tempo reale. Un’iniziativa che ha l’obiettivo di spingere le vendite sul cliente in modo mirato

chiari da raggiungere entro il 2020 su diversi fronti, dalle HR alle singole business line, per arrivare fino alle vendite, un processo chiave. Nell’ambito di Blue Agenda, è stata creata una business unit “digital” a livello mondiale ed è stato adottato il paradigma dell’Industria 4.0 all’interno delle fabbriche europee, con l’implementazione di un MES (Manufacturing Execution System) a cuore SAP MII (Manufacturing Intelligence & Integration). Negli ultimi anni sono stati anche promossi diversi eventi interni (contest e talent), utili per selezionare una serie di progetti digitali da finanziare con un contributo medio di 5mila euro. Ma l’azienda non si ferma qui. Ha anche creato al proprio interno spazi attrezzati ad hoc, come la digital factory di Amburgo, collocata in un edificio separato all’interno della sede amministrativa della società, e ideato percorsi formativi, campus digitali e sessioni di e-learning, per accrescere il “digital IQ”, l’intelligenza digitale di tutta l’organizzazione, dal top management in giù. www.digital4executive.it

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digital transformation - marketing | Beiersdorf, il marketing gloBale ora è data driven

Design thinking: lo sviluppo co-creativo che coinvolge le business unit Fondamentale, per la riuscita del progetto di marketing data-driven, è stata la possibilità di sperimentare, per la prima volta in Beiersdorf, la metodologia di cosviluppo creativo del design thinking. «Questo non è un progetto IT – tiene a sottolineare Böhm – ma un progetto di business che ci ha messo in mano soluzioni chiare a problemi reali. E ci siamo riusciti proprio perché dall’inizio alla fine abbiamo ascoltato

e coinvolto gli utenti finali nel progetto, mappando le loro esigenze particolari e verificando costantemente con loro i progressi compiuti e gli errori da correggere. La soddisfazione è tale che in futuro penso che il design thinking sarà un approccio che utilizzeremo sempre più spesso per integrare nuove soluzioni tecnologiche in grado di aiutare Beiersdorf a migliorare la sua competitività su scala globale».

I report traducono i dati grezzi in informazioni sintetiche mentre le analytics trasformano i dati in indicazioni utili per orientare concretamente le nostre attività». Capire “perChé”, non solo “Cosa” suCCede Prima di MIQ, l’azienda aveva un team di cruncher (analisti e data scientist), che passavano ore a intervenire manualmente sui dati provenienti dalle diverse fonti per ottenere le informazioni necessarie. Un lavoro faticoso, estremamente noioso, decisamente costoso e non privo di errori. Inoltre, spesso il livello di dettaglio ottenuto nonostante tutto non era sufficiente a supportare i team marketing nel modo corretto. «MIQ ci ha permesso di semplificare il processo di armonizzazione dei record, con un risparmio stimato di circa il 40% dei costi delle procedure di budgeting a livello mondiale. La disponibilità immediata dei dati di mercato sulle referenze Nivea ha anche migliorato l’efficacia delle decisioni delle diverse business unit e, ovviamente, la nostra competitività a livello globale». Di fatto, MIQ «per noi rappresenta un connettore tra la parte creativa e quella tecnica del marketing di Nivea. La gestione di questi smart data ci ha permesso negli ultimi due anni di eliminare gran parte del lavoro di raccolta e ripulitura dei dati relativi alle performance di vendita dei prodotti Nivea per concentrarci di più sullo sviluppo di strategie di marketing di nicchia ma applicabili su una scala globale come la nostra. Gli insight che riusciamo a creare ci permettono oggi di prendere decisioni im-

mediate, in tempo praticamente reale, per adattare il marketing mix sulla base delle più piccole variazioni di gusti, abitudini, e stagionalità che ci arrivano dall’analisi delle vendite. Parliamo di vere e proprie decisioni data driven, guidate dalle informazioni». Lato utente, il personale marketing oggi ha accesso a informazioni dettagliate sul market share per ogni singola referenza prodotto e ogni singola regione. I dati sono facilmente consultabili, aggregabili, navigabili e rielaborabili anche remotamente, grazie a un’App mobile appositamente sviluppata. «Prima di MIQ i dati e le statistiche erano gestiti con un approccio di tipo “what”, per capire come si comportavano le business unit o le diverse nazioni, mentre oggi prevale un’ottica “why”, che ci aiuta a comprendere il perché dei fenomeni che osserviamo e ci indirizza verso le decisioni giuste. Monitoriamo con questo sistema anche la concorrenza, in particolare sui social media, e in futuro l’idea è di riuscire a ottimizzare con questo strumento la gestione in tempo reale dei coupon digitali. In passato non eravamo in grado di spingere le vendite sul cliente in modo mirato, proprio nel momento in cui varca la soglia del negozio o della farmacia, mentre ora siamo in grado di farlo e questo ci permetterà di massimizzare il ritorno sugli investimenti di marketing, pubblicità e promozione». La soluzione è intuitiva e facile da usare: non è stata necessaria alcuna attività di formazione specifica, assicura il manager, e questo ha favorito la diffusione di SAP DsiM nelle varie country, tanto che oggi la piattaforma è utilizzata da oltre un migliaio di utenti in una cinquantina di Paesi.

Sulla pelle e sulle labbra da oltre un secolo Una storia lunga 130 anni quella di Beiersdorf. Con sede ad Amburgo (Germania), il colosso dello skin care è presente direttamente in una settantina di nazioni e ha in organico 17mila dipendenti. Un’offerta davvero ampia, con oltre 800mila prodotti, e marchi arcinoti nel mondo come Nivea (il brand è venduto | 28 |

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in ben 200 nazioni, praticamente in tutto il globo), Labello, Hansaplast, Eucerin e La Prairie. La società raggiunge oltre 500 milioni di clienti ogni anno, nelle profumerie, nella grande distribuzione e in farmacia, con un fatturato aggregato che nel 2016 ha superato i 6,7 miliardi di euro.


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digital transformation transformation -- marketing marketing || Piaggio Piaggio accelera accelera sulla sulla via via del del digitale digitale digital di

manUela gianni

«Tre anni fa abbiamo creato il dipartimento digital marketing, con focus sul CRM (Customer Relationship Management) e sulla gestione strategica della comunicazione social. Prima ci si limitava alla gestione dei siti»

davide zanolini

Piaggio accelera sulla via del digitale: Social e CRM per dialogare con clienti e appassionati

DIREttoRE MARkEtInG PIAGGIo GRouP

fortuna di poter conoscere potenzialmente nome, cognome e indirizzo di 10 milioni di clienti, che però non venivano registrati. Quando abbiamo avviato il progetto avevamo un data base di meno di 500mila contatti: siamo partiti da qui. E poi abbiamo cercato di mettere ordine nel mondo social. Vespa ai tempi aveva 600mila fan su Facebook, oggi ne ha oltre un milione nella pagina ufficiale, oltre a quasi un altro milione e mezzo raggruppati in pagine spontanee, in tutto il mondo. Come secondo step abbiamo attivato una vera rivoluzione culturale, in un’azienda che è fortemente ingegneristica. Serviva spiegare cioè che oggi il consumatore vuole far parte del processo di decisione, e non solo prendere per buone le innovazioni dell’azienda. Inoltre, impiegavamo 3 anni per passare dalla concezione del prodotto al mercato:

Davide Zanolini, Direttore Marketing del Gruppo, racconta una trasformazione prima di tutto culturale e organizzativa. La relazione con i clienti è ora più stretta, mentre i social media danno nuova linfa alle community di fan in tutto il mondo. E per la mobilità del futuro ecco Gita, originale veicolo autonomo e intelligente che segue le persone rotolando

Ci vuole particolare coraggio per trasformare un’azienda che da 130 anni deve il suo successo a un brand iconico e fortemente ancorato al passato come quello della mitica Vespa. Ma l’innovazione digitale bussa alla porta e in un mondo che cambia rapidamente «bisogna adattarsi al cambiamento per continuare ad essere rilevante». E così tre anni fa il Gruppo Piaggio ha deciso di voltare pagina. A raccontarlo a Digital4Executive è Davide Zanolini, che da fine 2013 guida il Marketing di tutti i brand e aziende del gruppo (Piaggio, Vespa, Moto Guzzi, Gilera, Aprilia, Derbi, Scarabeo, Ape) a livello globale e che è stato chiamato proprio per traghettare l’azienda nell’era del digitale e dei veicoli connessi. Il Gruppo ha sede principale a Pontedera (Pisa), un fatturato di 1,3 miliardi di euro, presenza commerciale in tutto il mondo e un’anima fortemente metalmeccanica. Per questo la transizione è complessa: Piaggio, sottolinea Zanolini, «ha una storia | 30 |

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troppo. Oggi il processo è stato accorciato a un anno e nella definizione dei prodotti si prendono in considerazione anche le richieste dei clienti. Per raggiungere questi risultati abbiamo creato gruppi di lavoro interfunzionali, nei quali collaborano persone che appartengono a funzioni che prima erano completamente sganciate: dalla Ricerca e Sviluppo al centro stile all’industrial, ma soprattutto il team commerciale, ovvero chi gestisce la rete dei concessionari e definisce le politiche commerciali. E come è stato vissuto il cambiamento? L’azienda si sta adeguando abbastanza rapidamente. Le resistenze interne ci sono, ma è naturale: prima l’organizzazione era divisa per compartimenti stagni e molti si sono trovati un po’ spiazzati. Ma il processo è avviato. È stato il top management a decidere la svolta? Roberto Colaninno (presidente e AD del Gruppo) è stato il primo sponsor del cambiamento, sia

fatta di pistoni, bielle e cuoio», ma anche dei love brand ultranoti, perché le moto sono simbolo di libertà e indipendenza, e attirano un pubblico di milioni di appassionati in tutto il mondo. I fan oggi sono diventati digitali e si incontrano nei social network. Ecco che per la digital transformation Piaggio ha scelto di partire proprio da qui: dalle community, ovvero i moto club locali e globali, e dai clienti.

Vespa ha oltre un milione di fan nella pagina ufficiale su Facebook e un altro milione e mezzo raggruppati in pagine spontanee, in tutto il mondo

Come e quando è iniziato il cammino del Gruppo Piaggio verso il Marketing Digitale? È iniziato 3 anni e mezzo fa quando sono arrivato: una delle missioni che mi sono state affidate è stata proprio quella di affrontare la rivoluzione digitale. Allora ci si limitava alla gestione dei siti. Abbiamo innanzitutto avviato una importante trasformazione organizzativa, creando il dipartimento digital marketing, con focus sul CRM e sulla gestione strategica della comunicazione social. Piaggio ha la www.digital4executive.it

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digital transformation - marKEting | Piaggio accelera sulla via del digitale

sul piano politico sia per le decisioni relative agli investimenti, che prima nel Marketing erano bassissimi. Del resto i nostri sono brand che in qualche modo si autopromuovono. L’endorsement del top management è fondamentale. Come avete affrontato il gap di competenze digitali nel Marketing? Nuove persone si sono unite all’azienda, ma soprattutto abbiamo creato un bridge molto forte tra IT e Marketing: loro hanno la competenza tecnica necessaria, ad esempio nell’implementazione del software e nella gestione dei Data Base, noi la visione del business e di come si sta muovendo il consumatore e il mondo esterno. Oggi il team misto è molto solido. Inoltre, alcuni specialisti dei nostri partner e fornitori lavorano presso di noi: diventano così parte del team, respirano la nostra aria, ci aiutano nello sviluppo dei progetti e ci permettono di reagire rapidamente ai cambiamenti. Abbiamo persone di SAP, il nostro fornitore per le piattaforme data base, del nostro centro media e dell’agenzia che si occupa della gestione quotidiana dei social network. Le Community di appassionati, i moto club, sono uno dei punti di forza di Piaggio. Come vi relazionate con loro attraverso i canali digitali? Le community sono nate 100 anni prima dei social network e rimarranno fisiche, perché le persone vogliono trovarsi, vedersi e andare insieme in moto. Rappresentano il 5% del parco clienti nel mondo. I motociclisti adorano condividere i viaggi, le esperienze, i ricordi, l’amore per la propria moto. Attraverso il digitale offriamo loro un luogo dove condividere questa passione e nuovi servizi, ad esempio per l’organizzazione di eventi, lo scambio di informazioni, la vendita di moto d’epoca, di accessori personalizzati, dei prodotti creati appositamente per le community. Con loro dialoghiamo regolarmente, offriamo un modo per essere più visibili soprattutto agli esperti, a cui piace elargire consigli. Nell’acquisto della moto c’è spesso il contributo dell’amico informato e oggi l’amico informato è presente online. Abbiamo così avvicinato l’azienda alle community, perché gli appassionati sono fedeli al brand ma non all’azienda. l social stanno anche diventando un canale di customer service informale. Come avete riorganizzato il CRM? Abbiamo portato avanti un processo organizzativo importante. Abbiamo la possibilità di contattare i clienti, sia nuovi sia quelli che tornano per la ma| 32 |

nutenzione, conosciamo tutto di loro, ma questo non veniva fatto. Inoltre, per i data base usavamo 20 sistemi informatici diversi nel mondo, quindi per prima cosa li abbiamo unificati in modo da renderli fruibili e ottenere informazioni che non venivano né considerate né analizzate. Abbiamo anche dovuto modificare i contratti con i concessionari che non erano tenuti a dare i contatti a Piaggio: in pratica, il cliente era dei nostri 2500 concessionari nel mondo (di cui solo 400 sono esclusivi e 10 di proprietà). Ora effettuiamo un tracking di quello che succede prima e dopo l’acquisto. I clienti si informano online e nell’82% dei casi usano i nostri configuratori, che sono tre: del veicolo, dell’offerta o del finanziamento. Solo dopo c’è il passaggio fisico nel concessionario.

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Parlando di advertising, quanta parte del budget dedicate ai canali digitali? Circa il 50% del budget in advertising e comunicazione è digitale. Non solo noi, ma tutta l’industry della moto investe poco in televisione, al contrario delle auto. Ci focalizziamo sui media specializzati, sempre più online, perchè abbiamo bisogno di raccontare tante cose, come recensioni e prove tecniche. Gli eventi promozionali di breve termine, come “porte aperte” e i lanci di prodotto, trovano nel digitale il mezzo migliore. E serve molta targetizzazione. Viviamo di campagne digitali: presentiamo 7-8 veicoli l’anno che vanno fatti provare. E tutto finisce nel punto vendita. Penso che il concessionario del futuro sarà un luogo di incontro e conversazione. Avete annunciato due anni fa il laboratorio di innovazione Piaggio Fast Forward, dedicato alla mobilità del futuro, con sede a Boston, di cui fanno parte Negroponte e altre personalità di varie discipline. Come procedono i lavori? Siamo sicuri che la mobilità sarà uno dei temi che condizionerà il futuro del mondo, per questo ci siamo impegnati nel progetto. Come avevamo promesso, abbiamo presentato il primo prodotto che è Gita, un veicolo autonomo di forma sferica, intelligente, ideato per assistere le persone. Trasporta fino a 18 kg, è connesso e può seguire una persona raggiungendo i 35 km/h e sa muoversi in autonomia. Gita ha un “fratello maggiore”, Kilo, che può trasportare fino a 100 kg di peso grazie all’appoggio su tre ruote. Sarà testato negli USA con partner nel mondo della logistica, del retail, dei servizi alla persona e pensiamo di essere pronti per il mercato, prima B2B e poi B2C, nel 2018.

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osservatorio

osse r vator i o | Int er net of t hIng s I n Ita lI a , la cr escIta accel er a a l 4 0 %: or a è un busIne busI nes s da 2,8 mI lI ardI

DANIELE LAZZARIN

Gli ambiti più promettenti oltre alla Smart City sono il Retail, con la raccolta di enormi volumi di dati sul comportamento dei clienti nei negozi, e l’agricoltura, per tracciare le filiere e gestire l’intero ciclo delle colture ad alto valore

Internet of Things in Italia, la crescita accelera al 40%: ora è un business da 2,8 miliardi

DIreTTOre OSServATOrIO INTerNeT Of THINgS POLITeCNICO DI MILANO

trolleranno i consumi energetici e segnaleranno tentativi di effrazione. In fabbrica con l’IoT si potrà fare manutenzione predittiva e pagare i macchinari in base all’effettivo utilizzo. Nella Smart City i dati raccolti possono alimentare ‘sistemi operativi’ per governare meglio il territorio e offrire servizi di valore per la comunità». un’auto su 5 in italia è connessa

Il 70% del mercato è fatto da contatori del gas intelligenti, Smart Car e Smart Building, spiega il nuovo report dell’Osservatorio IoT del Politecnico di Milano. 14,1 milioni gli oggetti connessi via rete cellulare: oltre la metà sono auto. Nel 2017 grandi attese per l’Industrial IoT grazie al Piano Calenda per Industria 4.0. Per ora solo iniziative locali e sperimentali invece per l’ambito Smart City

Il mercato Internet of Things (IoT) in Italia ha raggiunto nel 2016 un valore di 2,8 miliardi di euro, il 40% in più rispetto al 2015, quando la crescita era stata del 30%. La spinta viene sia dalle applicazioni consolidate basate su connettività cellulare (1,7 miliardi di euro, +36%) sia da quelle basate su altre tecnologie (1,1 miliardi, +47%). Sono i principali dati del report 2017 dell’Osservatorio IoT del Politecnico di Milano, che parla di crescita in linea o superiore ad altri Paesi occidentali, in buona parte dovuta alla legge che impone alle utility di mettere in servizio almeno 11 milioni di contatori intelligenti entro il 2018 (Smart Metering gas). Anche scorporando gli effetti della normativa, la crescita è oltre il 20%, grazie soprattutto all’altro ambito trainante: la Smart Car, che conta su 7,5 milioni di auto connesse circolanti. Smart Metering gas e Smart Car da soli rappresentano più della metà del fatturato IoT. Aggiungendo anche lo Smart Building (applicazioni IoT | 34 |

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Il principale segmento del mercato IoT (34% del totale) è lo Smart Metering e Smart Asset Management nelle utility, che è quasi raddoppiato per l’obbligo normativo, passando da 500 milioni di euro nel 2015 a 950 milioni nel 2016 (+90%). Al secondo posto (20% del totale) c’è la Smart Car, che cresce del 15% e raggiunge 550 milioni. Il calo dei prezzi dei box GPS/GPRS rallenta la crescita del valore di mercato, ma le auto connesse sono aumentate del 40% e ora sono 7,5 milioni, circa un quinto del parco circolante in Italia. Segue poi lo Smart Building (510 milioni di euro, 18% del mercato), in crescita del 45% rispetto al

negli edifici), si supera il 70%. Insieme al fatturato poi cresce (+37%) anche il numero di oggetti connessi tramite rete cellulare, giunti a 14,1 milioni, a cui si aggiungono 36 milioni di contatori elettrici connessi tramite PLC (Power Line Communication), 1,3 milioni di contatori gas che comunicano tramite radiofrequenza, e 650mila “lampioni intelligenti” connessi tramite PLC o radiofrequenza. «Nel 2016 abbiamo osservato importanti segni di maturità dell’Internet of Things in Italia: nuove reti di comunicazione ‘Low Power Wide Area’, maggiore offerta di soluzioni, crescita significativa del mercato – dice Angela Tumino, Direttore dell’Osservatorio Internet of Things -. È il momento di andare oltre la connessione degli oggetti, spostando l’attenzione verso i servizi. L’auto connessa abiliterà nuovi servizi per sicurezza, manutenzione, navigazione, risparmio energetico, mobilità condivisa. I dispositivi Smart Home con-

2015, soprattutto grazie a soluzioni per la sicurezza negli edifici e al graduale coinvolgimento dei piccoli uffici e negozi, dopo le grandi strutture industriali. E ancora le soluzioni di Smart Logistics (250 milioni, 9% del mercato), per la gestione delle flotte aziendali e di antifurti satellitari: a fine 2016 oltre 800.000 mezzi per il trasporto merci erano connessi tramite SIM. La Smart Home vale 185 milioni e il 7% del mercato (+23%), con una netta prevalenza di applicazioni per la sicurezza. Cosa aspettarsi dall’IoT in Italia nel prossimo futuro? Per l’Osservatorio lo Smart Metering continuerà l’espansione nel 2017 sulla spinta della normativa sul gas e delle recenti evoluzioni in ambito elettrico. La Smart Car continuerà a crescere con tassi importanti grazie all’aumento delle auto nativamente connesse. Per la Smart Home lo sviluppo sarà favorito dai nuovi canali di vendita che moltiplicano le occasioni di acquisto (retailer multicanale, utility, telco), dal lancio di nuovi prodotti e servizi con prezzo accessibile, dalle prossime mosse di grandi Over-The-Top come Google e Amazon, e dallo sviluppo di alleanze per ridurre

Fonte: Politecnico di Milano

ANgELA TumINo

Fonte: Wuytriu6yf kuyt kygtto7 jygouyvuyvy

di

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speciale “Managed services”

osservatori o | I nt e r ne t of t h Ings I n I tal I a, l a c re sc I ta ac c e l e ra a l 40 %: o ra è un b usI n e ss da 2 , 8 mI l Ia rdI

Nei settori manifatturieri il 45% delle imprese ha avviato almeno un progetto di Industrial IoT, soprattutto di controllo in tempo reale della fabbrica e manutenzione preventiva. Ma il 25% di questi temi non ha neanche mai sentito parlare

il problema dell’interoperabilità. Ma si prevede dinamismo anche per l’Industrial IoT, grazie agli incentivi previsti dal Piano Nazionale Industria 4.0 (Piano Calenda). Quanto agli ambiti IoT ancora in stato embrionale, i più promettenti sono la Smart City, il cui potenziale è ancora ampiamente da esprimere, il Retail con la possibilità di raccogliere moltissimi dati sul comportamento dei clienti all’interno del negozio, e la Smart Agriculture, dove l’IoT offre opportunità di tracciabilità dei prodotti, ma anche per la gestione delle attività agricole, soprattutto per le colture ad alto valore. Smart City, ritorni d’inveStimento da uno a 9 anni al maSSimo Più in dettaglio, le applicazioni Smart City continuano a pesare poco: 230 milioni di euro, l’8% del totale. A parte alcuni ambiti circoscritti - il trasporto pubblico con 200mila mezzi monitorati da remoto, l’illuminazione intelligente con 650mila pali della luce connessi - il potenziale italiano della città intelligente resta ancora bloccato. L’indagine dell’Osservatorio mostra che il 51% dei Comuni medio-grandi ha avviato almeno un progetto Smart City negli ultimi 3 anni, ma il 56% di essi è ancora in fase sperimentale. Le amministrazioni faticano a estendere i progetti all’intero territorio cittadino e a integrarli tra loro in una chiara strategia di medio-lungo termine. Grandi città, come Milano e Torino, sono l’eccezione positiva con i recenti programmi di ampio respiro, ma è ancora poco per cogliere i benefici delle Smart City a livello di sistema Paese. Per contribuire a superare lo stallo, l’Osservatorio ha sviluppato modelli di stima di costi e benefici di quattro applicazioni Smart City, applicandoli alla città di Milano. Ne emerge che tutti i progetti analizzati si riescono a ripagare: in 1-2 anni la Gestione dei parcheggi, in 2-5 anni la Raccolta rifiuti, in 3-5 anni l’Illuminazione intelligente, in 6-9 anni lo Smart Building in edifici pubblici. A ciò si aggiungono i benefici legati a migliori servizi alla comunità, sostenibilità e vivibilità: a Milano ogni cittadino potrebbe risparmiare 3 giorni all’anno per la ricerca | 36 |

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Servizi gestiti PRES: sicurezza, applicazioni e infrastrutture

SEmPRE PIù azIEndE SI avvalgOnO dEll’ExPERTISE dEl SySTEm InTEgRaTOR PER la gESTIOnE dEllE InfRaSTRuTTuRE, Il mOnITORaggIO dEllE PERfORmanCE dEllE aPPlICazIOnI E la SICuREzza dEI daTI

di parcheggi liberi e si ridurrebbero le emissioni di oltre 60mila tonnellate di CO2 all’anno. induStrial iot, il problema delle Competenze L’Osservatorio ha poi intervistato 110 aziende con sede in Italia, scoprendo che il 45% ha avviato almeno un progetto di Industrial IoT. Le applicazioni più diffuse (52%) sono di Smart Factory (gestione intelligente della fabbrica), controllo in tempo reale della produzione, manutenzione preventiva e/o predittiva, e logistica (43% dei casi). Ben il 25% però di Industrial IoT non ha mai sentito parlare, ma per il 2017 le attese sono ottime grazie al Piano Calenda. E la prima criticità da affrontare è la mancanza di competenze, indicata dal 57% delle aziende. «L’Industrial IoT ha due importanti direzioni di sviluppo – spiega Giovanni Miragliotta, Direttore dell’Osservatorio IoT -. La prima è puntare sulle competenze necessarie per analizzare e gestire i dati raccolti da impianti e macchinari connessi.La seconda è spostarsi dalla’offerta del solo hardware a quella di servizi a valore abilitati dall’I-IoT, ad esempio macchinari gestiti da remoto o ceduti con pricing basati sulle ore di funzionamento». CoSa fanno le aziende dei dati iot A proposito di dati raccolti da macchinari e prodotti connessi, l’Osservatorio ha studiato 53 progetti in Italia e all’estero, scoprendo che i dati si usano come input per ottimizzare i processi (75% dei progetti), creare nuovi prodotti/servizi (49%), o personalizzarli (26%), mentre sono ancora marginali la monetizzazione diretta tramite vendita dei dati e l’uso per l’Advertising & Commerce. «Definire come valorizzare i dati raccolti dai dispositivi connessi, sia in ambito consumer sia business, è sempre più rilevante – sottolinea Tumino -. Cresce però anche l’attenzione per temi di Privacy e Cybersecurity: i consumatori sono tendenzialmente restii a condividere i loro dati, a meno di ricevere in cambio vantaggi concreti».

«Da alcuni anni abbiamo colto un’esigenza sempre più sentita dal mercato», afferma Matteo Masera, Direttore Commerciale di PRES, «quella di assegnare a esperti la gestione delle reti e della sicurezza delle infrastrutture informatiche per poter assicurare alti livelli di servizio, esternalizzandone la gestione, e potersi così concentrare su applicazioni e processi core per il successo del business. Per questo abbiamo intrapreso un percorso di creazione, integrazione ed erogazione di servizi che possano pienamente soddisfare queste richieste: infrastrutture, applicazioni e sicurezza sono i tre pilastri dei nostri Managed Services». Perché la sicurezza è al centro dei servizi gestiti PRES? Garantire la sicurezza è ormai una necessità per ogni azienda. Il Cybercrime è un business redditizio, che prolifera e si aggiorna rapidamente, richiedendo risorse dedicate, che abbiano la stessa velocità e le stesse skill, per poter fermare efficacemente gli attacchi. Il GDPR (General Data Protection Regulation) è la presa d’atto del legislatore di dover ormai rendere obbligatorie per tutte le aziende la gestione e la protezione efficace dei dati in loro possesso. In questo contesto e con questi presupposti nasce la nostra offerta di sicurezza gestita che, attraverso un presidio 24x7 e le capacità dei nostri esperti, controlla le infrastrutture dei clienti, fornendo una visione d’insieme, attuando rimedi, prevedendo e mitigando gli attacchi. Cosa caratterizza i vostri servizi di sicurezza gestita? I nostri servizi coprono tutte le principali tecnologie e danno ai nostri clienti piena visibilità di quanto accade

maTTEO maSERa Direttore Commerciale PRES

e di quanto stiamo facendo. Sono altamente flessibili, per adeguarsi alle specificità ed alle circostanze, e rapidi nell’aggiornarsi. I nostri esperti fanno la differenza sia nell’analisi che nella soluzione dei problemi. Noi siamo e restiamo convinti che anche nella sicurezza la differenza la facciano le persone. Oltre ad offrire servizi, formate i professionisti dell’ICT? Sin dalla nostra fondazione, nel 1988, siamo System Integrator e Centro di Formazione: da sempre realizziamo soluzioni, offriamo servizi e formiamo le persone. Attraverso i percorsi ufficiali e certificati dei più importanti vendor ICT, aiutiamo le aziende ad affrontare le sfide di mercato e a cogliere le straordinarie opportunità offerte dall’innovazione tecnologica.

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osservatorio

osserrvator vatori oi o| |IndustrIa IndustrIa4.0 4.0InInItalIa ItalIavale vale1,71,7mIlIardI. mIlIardI.PIano PIanoCalenda, Calenda,una unaImPresa ImPresasu su4 4InvestIrà InvestIràoltre oltre1 1mIlIone mIlIonedIdIeuro euro osse di

Industria 4.0 in Italia vale 1,7 miliardi. Piano Calenda, una impresa su 4 investirà oltre 1 milione di euro

Daniele lazzarin

giovanni miragliotta DIrETTOrE OssErvATOrIO INDUsTrIA 4.0 POLITECNICO DI MILANO

Il pIeno Impatto della trasformazIone sI avrà tra 10-15 annI

Secondo l’Osservatorio dedicato del Politecnico di Milano, il 63% è speso in Industrial IoT, seguono Analytics, Cloud e robotica avanzata. Le imprese che non conoscono l’argomento calano in un anno dal 38% all’8%. Il 61% sta valutando come sfruttare il Piano e il 70% vorrebbe che fosse prolungato. In media ogni impresa ha 3,4 applicazioni di Smart Lifecycle, Smart Supply Chain e Smart Factory. Necessarie oltre 100 nuove skill per sfruttarle al meglio

Il mercato dei progetti Industria 4.0 (soluzioni IT, componenti tecnologiche abilitanti su asset produttivi tradizionali e servizi collegati) in Italia nel 2016 ha raggiunto circa 1,7 miliardi di euro, di cui l’84% realizzato verso imprese italiane e il resto come export. A tale cifra si aggiunge un indotto di circa 300 milioni in progetti “tradizionali” di innovazione digitale. Lo dice l’Osservatorio Industria 4.0 del Politecnico di Milano, la cui edizione 2017 è stata presentata in giugno a Milano davanti a mille persone, contro le 600 iscritte al convegno dell’edizione 2016. Il rIschIo ora è addIrIttura dI un eccesso dI domanda A pari perimetro rispetto al 2015 il mercato è in crescita del 25%, ma il bello deve ancora venire, visto che il dato 2016 non comprende tutti gli investimenti definiti e varati dopo la pubblicazione del | 38 |

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è fortemente cresciuta: su un campione di 241 imprese manifatturiere, solo l’8% non conosce il tema (un anno fa era il 38%), il 41% ha letto articoli online, il 32% ha partecipato a eventi sul tema e il 28% sta valutando di fare qualcosa, mentre un altro 28% sta già adottando soluzioni». Buona anche la conoscenza dello stesso Piano Calenda: solo il 16% delle imprese non ne ha sentito parlare. Per contro, il 52% ha deciso di usufruire del superammortamento al 140%, il 36% dell’iperammortamento al 250%, il 29% del credito di imposta per ricerca e sviluppo, il 7% investirà in startup. Nel complesso il 73% delle imprese investirà in beni strumentali, il 61% in beni immateriali, il 43% in dispositivi Advanced HMI o soluzioni di ergonomiasicurezza, il 30% in sistemi di qualità-sostenibilità.

Il 26% delle imprese sfrutterà il Piano investendo oltre un milione di euro, la metà tra 500mila e un milione, un quarto meno di 500mila euro. Un Piano governativo di successo, quindi, e la conferma arriva dal 70% delle aziende intervistate che vorrebbe la sua estensione temporale oltre il dicembre 2017, così da avere più tempo per indirizzare i propri inve-

stimenti. Il 29% poi suggerisce l’introduzione di incentivi per corsi di formazione 4.0, il 24% per assunzioni volte a colmare i gap di competenze digitali. «Sembra ormai vinta la prima sfida culturale, quella della consapevolezza sull’Industria 4.0: l’Italia ha un Piano Nazionale, il tema è al centro dell’attenzione del mondo economico e il livello di conoscenza tra le imprese è salito notevolmente – spiegano in un comunicato Alessandro Perego, Andrea Sianesi e Marco Taisch, Responsabili Scientifici dell’Osservatorio -. Ma ora si aprono nuove sfide: bisogna disegnare i progetti sulle specificità di ogni realtà, riuscire a liberarne realmente il potenziale innovativo, misurare i dati raccolti, dotarsi delle necessarie competenze. Il pieno impatto della trasformazione 4.0 si avrà tra 10-15 anni e vanno formulate strategie e roadmap con lungimiranza. È cruciale che l’ondata di investimenti vada oltre l’opportunità fiscale, e si fondi su una vera consapevolezza delle potenzialità della Quarta Rivoluzione Industriale». Quasi due terzi del mercato Industria 4.0 - il 63%, circa un miliardo di euro - è legata a progetti di Industrial Internet of Things, ha detto al convegno Miragliotta. Le altre tecnologie su cui più si investe sono Industrial Analytics (20%, 330 milioni di euro), Cloud Manufacturing (9%, 150 milioni) e

Il 63% deglI InvestImentI è nell’IndustrIal Internet of thIngs

Piano Nazionale Industria 4.0 (Piano Calenda) e dei chiarimenti fiscali collegati. Le attese per il 2017, visto anche l’ottimo primo trimestre, sono più rosee: le imprese dell’offerta s’aspettano una crescita annua intorno al 30%, con quasi un raddoppio in due anni degli investimenti di trasformazione digitale nell’industria italiana. E quindi un recupero del ritardo rispetto ai Paesi più maturi. Ma anche il rischio concreto di un eccesso di domanda rispetto alla capacità produttiva dei fornitori. Gli incentivi del Piano infatti sono disponibili per progetti con consegna del bene entro il 30 giugno 2018. Anche se recentemente il termine per l’iperammortamento è stato prolungato di un mese. «In un anno è cambiato moltissimo - ha detto Giovanni Miragliotta, Direttore dell’Osservatorio -. Un primo grande risultato è che grazie al Piano Nazionale, varato a settembre, e al lavoro di divulgazione di Governo, associazioni, media e anche del nostro Osservatorio la conoscenza di Industria 4.0 www.digital4executive.it

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osservatori o | IndustrIa 4.0 In ItalIa vale 1,7 mIlIardI. PIano Calenda, una ImPresa su 4 InvestIrà oltre 1 mIlIone dI euro

Un check-up per capire quanto siete pronti alla digitalizzazione L’Osservatorio Industria 4.0 del Politecnico di Milano ha messo a punto uno strumento di “check-up”, il “Digital REadiness Assessment MaturitY model” (DREAMY), che grazie a un questionario di circa 200 domande da indirizzare ai diversi responsabili aziendali, va a misurare la “digital readiness” dei processi nel loro stato attuale, e quindi quanto l’azienda intervistata sia pronta per il passaggio al digitale. Il modello è applicabile a tutte le realtà manifatturiere, prescindendo da dimensione, settore e tipo di strategia produttiva. I processi sono raggruppati in sei aree: Product and Asset Design & Engineering, Production Management, Quality Management, Maintenance Management, Logistics Management, Supply Chain

management. Infine una sezione speciale (Digital Backbone) approfondisce come i processi siano integrati tra loro in termini di scambi di informazioni. La maturità viene valutata su diverse dimensioni: organizzazione, processi (monitoraggio, controllo, esecuzione) e tecnologie di supporto. Per essere “pronti a diventare digitali”, spiega l’Osservatorio, occorre avere un opportuno supporto tecnologico (macchinari, sistemi IT, etc.) e organizzativo (capitale umano, know how, etc.), e aver sviluppato la capacità di monitorare i processi, e quella di eseguirli secondo un approccio standardizzato e strutturato, tale da renderli ottimizzati e efficienti in un’ottica di continuous improvement.

Advanced Automation (8%, cioè 120 milioni). L’area più di frontiera, l’Advanced Human Machine Interface (wearable e interfacce come display touch, scanner 3D, visori per realtà aumentata), per ora rappresenta solo l’1% del mercato. Nell’indagine l’Osservatorio ha censito più di 800 applicazioni 4.0, in media 3,4 per azienda, distribuite nelle aree Smart Lifecycle (sviluppo prodotto, gestione del ciclo di vita e dei fornitori), Smart Supply Chain (pianificazione dei flussi fisici e finanziari) e Smart Factory (produzione, logistica, manutenzione, qualità, sicurezza, compliance). Nella Smart Factory, il 38% delle imprese ha adottato soluzioni di Industrial IoT e il 33% di Industrial Analytics, ma oltre un quarto ha investito anche in soluzioni di Advanced Automation e HMI. Nella Smart Supply Chain il 32% adotta soluzioni di Industrial Analytics e il 15% di Industrial IoT, mentre è ancora basso l’uso di piattaforme cloud. In ambito Smart Lifecycle, l’Additive Manufacturing è centrale nelle fasi di prototipazione, ma sono le applicazioni IoT, Analytics e Cloud a crescere di più, attestandosi su livelli poco inferiori al 20%. «Con una media di 3,4 applicazioni per azienda, l’indagine rivela l’ottima vitalità delle imprese italiane nell’Industria 4.0 – continua Miragliotta -, ma la situazione non è omogenea: Industria 4.0 sta diventando, già in questa fase sperimentale, un elemento di differenziazione tra le imprese». CerCansi CapaCità di definire un piano industria 4.0 Anche perché occorrono competenze nuove per sfruttare queste applicazioni al meglio. Competenze rare, difficili da trovare. L’Osservatorio ha individuato oltre 100 skill tecniche necessarie per rea| 40 |

lizzare modelli di business Industria 4.0 in sei aree: Operations, Supply Chain, Product-Service Development, Industrial Data Science, integrazione IT/ OT (Information Technologies/Operation Technologies). La più ricercata è la capacità di “definire un piano di adozione delle tecnologie per il miglioramento dei processi produttivi”, su cui solo il 46% delle imprese si sente preparata. Quasi altrettanto importante è la capacità di integrare digitalmente i processi di business con clienti e fornitori lungo la supply chain, su cui il 54% si sente preparata ma il 75% comunque prevede programmi di formazione, nuove assunzioni o collaborazioni. «Per cogliere davvero la sfida dell’Industria 4.0, le aziende devono rivedere strategie di selezione e sviluppo delle risorse umane, ma anche piani di formazione e reti di collaborazione – commenta Sergio Terzi, Direttore dell’Osservatorio -. La skill considerata più rilevante non è affatto banale perché richiede di contemperare prospettiva strategica di business e tecnica, considerando le implicazioni sulla sicurezza fisica del personale, cybersecurity, privacy, proprietà dei dati e altri aspetti legali». Per dotarsi delle competenze mancanti, l’8% delle aziende selezionerà nuovo personale o avvierà collaborazioni sulle skill chiave dell’Industria 4.0, in particolare la capacità di definizione del piano di adozione delle tecnologie, quelle di analisi dei dati di produzione, e per la conoscenza di sensoristica e piattaforme IoT di monitoraggio dei flussi di materiali. Dove non è previsto inserimento di nuovo personale, invece, sono in corso o pianificate nei prossimi 18 mesi azioni di formazione per la definizione del piano d’adozione delle tecnologie per i processi produttivi (33%), l’analisi dei dati di produzione (31%) e la progettazione di sistemi di manutenzione predittiva (31%).

Il punto di riferimento

per l’aggiornamento Executive sull’Innovazione Digitale Gli Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano sono una fonte unica di informazioni, dati e conoscenza sui temi chiave dell’Innovazione Digitale. Attraverso una piattaforma multimediale e interattiva, WWW.OSSERVATORI.NET, è possibile accedere al know-how e agli eventi sui temi chiave dell’Innovazione Digitale per essere costantemente aggiornati in qualsiasi luogo e con qualsiasi dispositivo. Gli Osservatori elaborano strategie e modelli per molteplici ambiti B2c, B2b e PA: finance, customer experience, export, gioco online, risorse umane, sanità, beni e attività culturali, retail, turismo, media, banking, agrifood, manufacturing, supply chain finance, ...

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osse r vator i o H r | P olim i, il 91% dell e dir ezioni Hr Ha un P ia no P er a f f r onta r e la d ig ital trans fo rmati o n

osservatorio

«Perché gli HR manager siano davvero abilitatori di una strategia che ruoti intorno alle persone, è fondamentale l’allineamento strategico tra la direzione risorse umane e le linee di business»

fiorella crespi

Polimi, il 91% delle Direzioni HR ha un piano per affrontare la Digital Transformation

dIRettORe OSSeRvatORIO HR InnOvatIOn PRaCtICe POLIteCnICO dI MILanO

acquisire nuove competenze, che sarà necessario un aggiornamento di quelle esistenti e una revisione continua dei processi - commenta Mariano Corso, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio HR Innovation Practice - È ormai chiara la insostenibilità dei modelli tradizionali di competenze, ma i tempi di assorbimento del cambiamento sono più lenti rispetto al ritmo che servirebbe e questo crea ansia e preoccupazione. L’attenzione c’è, ora bisogna concentrarsi sulle azioni e su una “people strategy” che anticipi le necessità delle organizzazioni, sviluppando sia le competenze specifiche sia le soft skill. Perché gli HR siano davvero abilitatori di una strategia che ruoti intorno alle persone, è fondamentale l’allineamento strategico tra la direzione risorse umane e le linee di business. E alla radice di questa capacità, ancor prima che le risorse tecnologiche e finanziarie, ci saranno le competenze interne, che poi costituiscono il capitale umano dell’organizzazione». Se guardano al medio-lungo periodo (10 anni)

Cresce la consapevolezza che nei prossimi due anni serviranno nuove skill, che in parte andranno cercate sul mercato e in parte richiederanno l’aggiornamento delle capacità già disponibili internamente. La competitività e la sopravvivenza stessa delle organizzazioni dipenderanno dalla capacità di trasformare processi, prodotti e modelli di business per rispondere alle sfide della rivoluzione digitale. I risultati della ricerca 2017

gli stessi dipendenti sanno bene che il proprio lavoro si trasformerà o non esisterà più (55%) e che dovranno correre ai ripari con corsi di formazione aziendali (67%) e il confronto con i colleghi (37%), ma anche con l’autoformazione su piattaforme esterne, come gli strumenti online (youtube, Ted, forum, evidenziati dal 30%) e corsi presso business school o università (19%). A fronte di un cauto ottimismo su nuove opportunità di occupazione per le direzioni HR (47%), c’è anche che è in atto una crisi di competenze e che è necessario fare sempre più azioni di employer branding efficaci per essere attrattivi e mantenere le persone chiave in azienda. I canali più utilizzati sono sia quelli tradizionali come le iniziative di PR (87%), sia quelli digitali come i social network professionali (87%) e il sito web aziendale (84%). Sempre più rilevanti le iniziative sui social media: già adottati dal 46% delle aziende, un ulteriore 22% li utilizzerà nel 2017. Per il recruiting, invece, i canali preferiti sono ancora le segnalazioni (83%), ma anche i social

La digitalizzazione richiederà nuovo personale nei prossimi due anni e sarà necessario un aggiornamento di competenze. «La competitività e la sopravvivenza stessa delle organizzazioni dipenderanno dalla capacità di trasformare processi, prodotti e modelli di business per rispondere alle sfide della rivoluzione digitale», spiega Mariano Corso, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio HR Innovation Practice. Lo sviluppo della cultura e delle competenze digitale è il vero protagonista della settima edizione dell’Osservatorio HR Innovation Practice del Politecnico di Milano, che ha condotto una survey che ha coinvolto 170 direttori HR di medio-grandi aziende operanti in Italia. Il dato più significativo è che ormai c’è piena coscienza della necessità di affrontare il processo di trasformazione digitale: il 91% delle direzioni HR infatti ha già messo in moto azioni | 42 |

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specifiche per supportare il cambiamento, e chi non l’ha ancora fatto si accinge a farlo quest’anno. Le iniziative più diffuse sono quelle di Open Innovation, ossia collaborazioni con università e centri di ricerca (per il 43% del campione), fornitori (31%) e startup (20%). Per scovare, valorizzare e diffondere competenze digitali all’interno, si ricorre, invece, alla creazione di community, azioni di formazione e sensibilizzazione per tutti (40%); nonché scouting, assessment e sviluppo delle competenze digitali già presenti all’interno (33%). C’è infatti la consapevolezza che serviranno nuove skill nei prossimi due anni, che in parte andranno cercate sul mercato (per il 47% servirà nuovo personale), in parte richiederanno l’aggiornamento delle capacità già disponibili all’interno (per il 69% l’acquisizione di nuove competenze riguarderà tutta la forza lavoro). «Ormai non c’è dubbio che nel medio tempo bisognerà

45%

Sviluppo di cultura e competenze digitali

Sviluppo di cultura e competenze digitali

38%

Cambiamenti nei modelli di organizzazione del lavoro

45% +16%

1° su 13 29%

Programmi di welfare aziendali

36%

Nuovi modelli di leadership e culturali

36%

Aumento della motivazione e della soddisfazione

36% 34% 34%

Employer Branding e attraction dei talenti Ricerca e sviluppo di nuovi ruoli e competenze

9° su 13

Gestione di riorganizzazioni aziendali

32%

Ridimensionamenti e reskilling della forza lavoro

32% 27%

Nuovi modelli di valutazione delle performance

12%

Gestione e inclusione delle diversità Gestione della mobilità internazionale

2016

2017

Comprensione e applicazione nuove norme sul lavoro

7% 6%

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Fonte: Politecnico di Milano

LE PRINCIPALI SFIDE DELLA DIREZIONE HR NEL 2017


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osservatori o | P ol i m i , i l 91 % d e l l e d i r e z i oni Hr H a un P ia n o P e r a f f ro n ta re l a d ig ita l t ra n sf o rmat io n

Lo sviluppo di cultura e competenze digitali all’interno dell’organizzazione è la principale sfida di quest’anno per i responsabili HR. In un anno è passata dal nono al primo posto

network professionali (81%), seguiti da agenzie del lavoro (76%), dai corporate career site (76%) e dalle società di ricerca e selezione (76%). Trasformazione digiTale, ecco come la sTa affronTando la divisione Hr Dai risultati dell’Osservatorio del Politecnico risulta che Cloud, Social, Mobile e Analytics sono ancora poco applicati a supporto delle attività della direzione HR. Le aziende che usano queste tecnologie in almeno un processo sono solo il 22%. Tuttavia alcuni ambiti sono ben sviluppati, come quello Social, utilizzato dal 68% delle aziende per almeno un processo di gestione HR. Il Mobile è usato per almeno un processo dal 66% del campione; seguono il Cloud (55%) e gli Analytics (53%). Il primo è principalmente impiegato nei processi di employer branding e ricerca e selezione, amministrazione e valutazione delle performance, ma il 22% prevede di introdurlo anche nella formazione. Il Mobile viene usato per l’amministrazione, il budget del personale, la ricerca e selezione e la formazione. Mentre gli analytics non sono ancora usati in chiave predittiva, ma solo descrittiva, come supporto ai processi di amministrazione (quest’anno aumenterà anche l’uso per la valutazione delle performance e la formazione). L’intelligenza artificiale resta invece una nuova frontiera: c’è interesse, ma sono pochissime le aziende che la utilizzano o prevedono di utilizzarla nel breve periodo a supporto dei processi HR. «Le Direzioni HR hanno compreso che tecnologie come Cloud, Social, Mobile e Analytics possono essere un valido supporto per le loro attività. Oggi, tuttavia, il livello concreto di adozione è per lo più nelle fasi iniziali - sottolinea Fiorella Crespi, Direttore dell’Osservatorio HR Innovation Practice -. Quest’anno abbiamo rilevato come una crescente attenzione sia data all’utilizzo di strumenti e canali innovativi per l’acquisizione dei talenti. Un sintomo è la diffu| 44 |

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G7: come Taormina è diventata una città intelligente e interconnessa sione di iniziative di employer branding on line che hanno l’obiettivo di attrarre quei candidati, soprattutto giovani, abituati all’utilizzo di Internet e dei social per informarsi autonomamente sull’azienda, ancor prima che questa riesca a comunicare con loro». le principali sfide della direzione Hr nel 2017 Quanto detto finora sottolinea come la Direzione HR sia quindi consapevole del ruolo che gioca nella rivoluzione imposta dal digitale. Lo è a tal punto che lo sviluppo di cultura e competenze digitali all’interno dell’organizzazione è, secondo quanto emerso dalla ricerca dell’Osservatorio, la principale sfida di quest’anno per i responsabili HR. Risultato eclatante questo, se si pensa che l’anno scorso la posizione occupata era la nona (vedi grafico). Quanto alle competenze su cui si concentreranno le divisioni HR nei prossimi due anni, cresce il peso attribuito a quelle funzionali di gestione del cambiamento (molto rilevanti per l’83%), mentre lo saranno meno quelle amministrative (altamente rilevanti solo per il 16%), sempre più in outsourcing o automatizzate. Tra le competenze digitali, in capo alle direzioni risorse umane, servono soprattutto la conoscenza di applicazioni Social, Mobile, Cloud, Analytics per relazionarsi meglio con la forza lavoro stessa e contano sempre più le digital soft skill, la cui rilevanza aumenterà nei prossimi due anni per il 57% del campione. Inoltre, per assicurarsi l’engagement delle persone (è questa una delle sfide principali che la Direzione HR dovrà affrontare nei prossimi due anni sia per trattenerle sia per creare un buon clima aziendale) si dovrà puntare ad azioni volte ad aumentare il livello di motivazione e soddisfazione, soprattutto con piani di formazione (78%), modelli di performance management basati sul raggiungimento dei risultati (53%) e iniziative di Smart Working (54%).

Il 26 e 27 maggio 2017 Taormina è stata “al centro del mondo” ospitando il 43º vertice del G7 sotto la Presidenza Italiana. I delegati previsti erano oltre duemila e più di duemila i giornalisti accreditati da tutto il mondo: numeri che spiegano la rilevanza di un evento che ha messo il nostro Paese sotto i riflettori internazionali. La realizzazione di un evento così complesso è stata affidata a un raggruppamento temporaneo d’imprese capeggiato da eGA Worldwide, che ha al suo attivo importanti realizzazioni in ambito sportivo, politico e culturale, insieme ad altre due grandi imprese come Studio 80 Group e Volume. Per la sola parte dei media è stato realizzato un International media Center che ospitava le Press Briefing Room delle Delegazioni, oltre 1.200 postazioni lavoro attrezzate e openspace per i giornalisti, oltre a un International Broadcasting Center che ha ospitato più di 40 tra TV e radio internazionali. «La sfida tecnologica è stata quella di trasformare Taormina in una città intelligente e interconnessa in grado di sostenere i numeri dell’evento e permettere agli operatori e ai delegati dei Paesi partecipanti di comunicare in modo sicuro ed efficace», commenta Pietro Giuliano, Head of Country Digitalization di Italtel. «eGA era alla ricerca di un partner affidabile per una attività cruciale come il servizio di connettività wired e wireless per tutta la durata dell’evento. Italtel si è fatta avanti, forte dell’esperienza maturata al fianco di Cisco per la realizzazione del progetto per eXPo milano 2015, estremamente sfidante sotto il profilo della complessità tecnica e della stringatezza dei tempi». Anche per il progetto del G7, infatti, l’elemento saliente era la brevità del tempo a disposizione. «In meno di 30 giorni dall’accettazione dell’offerta, quindi con tempi strettissimi, è stata portata a termine con successo un’impresa “tita-

Competenza teCnologiCa, rapidità, CapaCità di gestione di progetti Complessi: al summit, italtel ha realizzato in tempi reCord le reti wired & wireless in oCCasione dell’evento internazionale

pietro giuliano HeAD oF CoUNTRY DIGITALIZATIoN ITALTeL

nica” in cui la nostra squadra di tecnici ha dimostrato competenza e determinazione», aggiunge Giuliano. In tre settimane: 12 siti cablati, 40 km fibra e rame posati, quasi 400 Access Point installati. Per delineare e organizzare il progetto si è partiti da un pre-survey a Taormina per valutare i materiali a disposizione, eseguire il Planner Radio WiFi per calcolare le quantità necessarie sulla base delle mappe delle aree da coprire, definire il cronoprogramma delle attività e costituire le squadre di personale tecnico da far lavorare nelle 24 ore, organizzato per turni. L’architettura di rete includeva siti prestigiosi come l’Hotel Hilton, l’Hotel Capo Taormina, l’Hotel San Domenico e il Teatro Greco, il Palazzo dei Congressi e l’isola Wi-FI free di Piazza IX Aprile, parte del progetto Taormina Smart. Grande attenzione è stata dedicata agli aspetti di sicurezza: dalle configurazioni anti-intrusion Wi-Fi alla Network Telemetry, nulla è stato tralasciato. Gli occhi del mondo erano puntati su Taormina. Non era possibile sbagliare e Italtel ha creato una task force determinata e fortemente committata sull’obiettivo. «Un nostro punto di forza è la capacità di avviare e concludere un progetto in tempi brevi: progettazione, organizzazione, allestimento e gestione di architetture complesse nel rispetto rigoroso delle scadenze. La competenza tecnologica è comunque un punto imprescindibile per gestire con professionalità e procedere rapidamente in tutte le fasi di lavoro, e soprattutto nei 10 giorni precedenti l’inizio dell’evento».

p e r ulte r i o r i i n fo r maz i o n i . . .

W W W. ITA LT e L .C om / IT /

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normative

nor mati ve | Sm a r t Wor k ing in i ta lia , il Senato approva la le gge

La legge rappresenta un buon punto di riferimento ed enuncia alcuni principi fondamentali, come la possibilità di lavorare in modo flessibile rispetto al luogo e all’orario attraverso l’uso delle tecnologie digitali

emanuele madini ASSOCIATE PArTnEr P4I- PArTnErS4InnOvATIOn

Smart Working in Italia, il Senato approva la legge Non ci sono più alibi per il lavoro agile: l’entrata in vigore del decreto prevede parità di stipendio e contrattuale, e diritto alla disconnessione per gli smart worker. L’esperto: «Le imprese devono porre molta attenzione alle fasi iniziali di analisi e comprensione delle esigenze lavorative»

Il Jobs Act sul lavoro autonomo che disciplina il Lavoro Agile in Italia è stato finalmente approvato in Senato. Il provvedimento è passato con 158 sì, 9 no e 45 astenuti. Il decreto di legge n. 2233-B diventa così effettivo dopo quasi 15 mesi dal varo in Consiglio dei ministri. Secondo Emanuele Madini, Associate Partner di P4i - Partners4Innovation, «questo provvedimento è un passo avanti per la diffusione dello Smart Working in Italia. Infatti, sebbene non definisca obblighi di attuazione o incentivi, il testo enuncia principi e promuove diritti di grande valore, eliminando gli alibi di chi riteneva mancasse l’adeguato supporto normativo per il Lavoro Agile. Oggi l’auspicio è che lo Smart Working si possa diffondere in modo più capillare e profondo. Adesso è importante non limitarsi però solo all’applicazione didattica della norma, è necessario affrontare questo tipo di cambiamento con maturità e consapevolezza delle potenzialità che lo Smart Working può offrire a Manager e collaboratori per ripensare e ridisegnare le relazioni, i processi e le modalità di lavoro quotidiane. | 46 |

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Tutto questo indipendentemente dal fatto che si svolgano a casa o in ufficio. Per questo motivo le imprese dovranno porre molta attenzione alle fasi iniziali di analisi e comprensione delle esigenze lavorative delle proprie persone e alla definizione di percorsi di supporto e formazione, che consentano ai capi di sviluppare nuovi stili di management e alle persone di acquisire nuove digital soft skills per un utilizzo più avanzato e consapevole delle nuove tecnologie digitali». Il decreto di legge (ddl) “promuove il lavoro agile quale modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa, allo scopo di incrementare la competitività e agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro. La prestazione lavorativa viene eseguita in parte all’interno di locali aziendali e, senza una postazione fissa, in parte all’esterno entro i soli limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale

derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva”, come specifica il testo dell’articolo di legge. «La legge rappresenta un buon punto di riferimento e non va assolutamente vista come “debole” - continua Madini -. Enuncia alcuni principi fondamentali, come la possibilità di lavorare in modo flessibile rispetto al luogo e all’orario attraverso l’uso delle tecnologie digitali, con effetti positivi sia nel lavoro che nel work-life balance. Importante anche l’attenzione alla sicurezza del lavoratore agile e il diritto alla disconnessione». L’accordo relativo alla modalità di lavoro agile è stipulato per iscritto “ai fini della regolarità amministrativa e della prova”. Inoltre, il lavoratore ha diritto a un trattamento economico e normativo non inferiore a quello complessivamente applicato nei confronti dei lavoratori che svolgono le stesse mansioni esclusivamente all’interno dell’azienda. L’accordo può essere a termine o a tempo indeterminato. Il recesso è ammesso, nell’ipotesi di giustificato motivo, anche per l’accordo a termine. Il datore di lavoro deve, anche, garantire la salute e la sicurezza del prestatore di lavoro agile e consegnare al dipendente, nonché al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, con cadenza almeno annuale, un’informativa scritta, in cui siano individuati i rischi generali e quelli specifici connessi alla particolare modalità di esecuzione del rapporto di lavoro. Non è prevista una sanzione specifica per il mancato rispetto dell’obbligo. Il lavoratore ha, poi, diritto alla tutela contro gli infortuni sul lavoro occorsi durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello prescelto per lo svolgimento della presta-

zione lavorativa all’esterno dei locali aziendali. È, altresì, prevista la definizione dei tempi di riposo del lavoratore nonché delle misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro. Secondo la ricerca dell’Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano sono già circa 250 mila in Italia gli Smart Workers, cioè i lavoratori subordinati che godono di discrezionalità nella definizione delle modalità di lavoro in termini di luogo, circa il 7% del totale di impiegati, quadri e dirigenti. E sono già ben il 30% le grandi imprese che hanno avviato progetti di Smart Working. A fronte dei benefici concreti riscontrati e del favore dei lavoratori, molte di queste stanno oggi ulteriormente estendendo il numero di persone coinvolte e l’intensità di applicazione. Tocca ora alle PMI e alle Pubbliche Amministrazioni, rimaste per il momento ai margini del fenomeno, intraprendere questo percorso. Dalla PA negli ultimi mesi sono arrivati segnali incoraggianti. L’approvazione finale del testo di riforma del Pubblico Impiego avvenuta a marzo ha confermato l’obiettivo di arrivare a offrire ad almeno il 10 per cento dei lavoratori forme di flessibilità (Smart Working, ma non solo) entro il 2018. Certamente non basta, ma fanno ben sperare il tentativo concreto avviato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri che inizierà a far sperimentare lo Smart Working a 400 persone da novembre 2017 e alcuni bandi pubblici recentemente pubblicati per dare supporto le Pubbliche Amministrazioni che vogliono approcciare questo cambiamento.

Dalla PA negli ultimi mesi sono arrivati segnali incoraggianti: l’obiettivo è riuscire a offrire ad almeno il 10 per cento dei lavoratori forme di flessibilità (Smart Working, ma non solo) entro il 2018 www.digital4executive.it

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digital transformation - Hr

digital digital tranSformation transformation -- Hr Hr || Dire Dire “bravo” “bravo” con con un un “like”: “like”: enel enel premia premia il il merito merito con con un’app un’app di

gaia fiertler

intervista a

«In questo modo cerchiamo di mettere a fattore comune il know-how e le soluzioni operative, individuate a livello locale o in una specifica area, e di usare le tecnologia anche per favorire la comunicazione e lo scambio di informazioni»

Silvia Stellato

DEvEloPmEnT AnD HR BuSInESS PARTnER GloBAl ICT AnD ICT KEy PEoPlE EnEl

Dire “bravo” con un “like”: Enel premia il merito con un’App

che conoscono poco o con cui non hanno particolari relazioni. È quindi un modo per essere visti anche con gli occhi degli altri, che ci riconoscono meriti oggettivi». Ognuno ha dei crediti mensili da spendere per rinforzare l’operato altrui e chi ne riceve di più entro giugno (primo sprint), per Paese e per categoria, verrà premiato ufficialmente in un evento globale. La piattaforma ha un effetto di contagio a fare bene, sapendo che i propri sforzi saranno riconosciuti e, al tempo stesso, rinforza la fiducia e la stima nei gruppi di lavoro. Non solo, ciascuno dei duemila colleghi dell’IT può costruire il proprio profilo raccontando i progetti su cui sta lavorando, le soluzioni che ha trovato per risolvere problemi operativi o quello che ancora non riesce a risolvere.

Una piattaforma social per i dipendenti dell’area IT che, in nove Paesi al mondo, possono riconoscere i reciproci meriti professionali con una motivazione scritta o un semplice like, oltre che condividere con gli altri la soluzione di un problema. Le finalità? «Gratificare, creare relazione, collaborare e informare-formare», spiega Silvia Stellato

Condividere il know how «In questo modo cerchiamo di mettere a fattore comune il know-how e le soluzioni operative individuate a livello locale o in una specifica area, che un collega impegnato in un’altra funzione con le stesse difficoltà potrà applicare con successo, risparmiando tempo e risorse. Cerchiamo infatti

Si chiama “I like IT”, la nuova piattaforma digitale che Enel ha messo a disposizione dei dipendenti dell’area nell’Information & Communication Technology con un triplice obiettivo: riconoscere i meriti individuali, creare relazione e far circolare informazioni su ciò a cui si sta lavorando. Sentirsi apprezzati per un lavoro ben svolto o per una particolare capacità di guidare un gruppo, risolvere problemi o portare innovazione è una potente leva motivazionale. Per questo Enel, da febbraio, si è affidata alla voce stessa dei dipendenti, complice la divisione HR, della attraverso uno strumento social, l’App “I like IT”. In pratica, dall’Argentina all’Italia nei diciassette Paesi in cui sono presenti tecnici, professional e manager dell’IT, questi possono reciprocamente segnalarsi per specifici topics (teamworking, expertise, innovation, proactivity) nell’ambito dei pillar della strategia ICT (Digital Employee, Digital Asset, Digital Customer, Cyber Security, Platform, Cloud) | 48 |

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con un endorsement spontaneo e motivato. «Questa opportunità crea un senso di gratificazione nei collaboratori, che nelle indagini di clima ci chiedevano più occasioni di visibilità e di riconoscimento», spiega Silvia Stellato, Development and HR Business Partner Global ICT and ICT Key people di Enel. Attraverso la costruzione di una community verticale si punta a dare spazio ai meriti riconosciuti dai colleghi stessi in una logica bottom up e, al tempo stesso, si incoraggia la relazione e la collaborazione.

di usare le tecnologia anche per favorire la comunicazione e lo scambio di informazioni e ridurre il più possibile duplicazioni e ridondanze», aggiunge Stellato. Il progetto si inserisce perfettamente nella nuova strategia Open Power di Enel che caratterizza tutte le azioni HR, in linea con il più ampio progetto di strategia digitale a supporto del business sviluppato da Enel. La piattaforma sarà presto utilizzata anche per favorire la diffusione di una nuova cultura aziendale, diffondendo i concetti ritenuti prioritari. Già ora tutte le settimane vengono proposti quiz informativi con cui ciascuno, se risponde correttamente, accumula crediti da spendere per segnalare colleghi meritevoli. «Per ora usiamo i quiz per tenere viva e attiva la partecipazione alla piattaforma, ma presto li utilizzeremo per sensibilizzare su temi importanti nel nostro lavoro, come la sicurezza. E non è escluso che, vista la risposta incoraggiante a tre mesi dall’avvio (70% dei colleghi attivi rispetto al numero totale dei potenziali, 1.136.020 crediti complessivi per pillar e 59.000 like assegnati), lo strumento digitale venga ulteriormente esteso anche ad altre aree aziendali.

Con la costruzione di una community verticale si punta a dare spazio ai meriti riconosciuti dai colleghi stessi in una logica bottom up e si incoraggia la relazione e la collaborazione

L’importAnzA dEi riconoscimEnti dEgLi ALtri In pratica, con un semplice “like” ci si può unire agli apprezzamenti espressi in modo più strutturato e il fortunato viene avvisato con dei pop up ogni volta che riceve dei complimenti. «Talvolta restano sorpresi di ricevere dei like da colleghi www.digital4executive.it

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Paola CaPoFerro ronCHetta

«L’iniziativa ha valorizzato un processo di comunicazione bottom-up generando una riflessione, ma soprattutto una progettualità comune sugli aspetti legati al clima aziendale»

Giovanna Ferrari

Allianz Expo, la digital platform dove direzioni e dipendenti creano insieme i piani d’azione

CoRPoRATE TRAInInG MAnAGER ALLIAnz ITALIA

Il progetto, promosso da AD e Direttore Generale, coinvolge tutti i 5500 dipendenti e si basa su una soluzione tecnologica che supporta engagement, idea generation ed eLearning all’interno delle funzioni, e la comunicazione tra esse. «Le persone partecipano attivamente, con contributi, idee e materiali, e diventano esse stesse promotrici del cambiamento»

«Una buona performance aziendale e organizzativa non si può sostenere se non si promuove il coinvolgimento e la motivazione dei dipendenti». Così Giovanna Ferrari, Corporate Training Manager di Allianz Italia, spiega la motivazione di base del progetto di engagement “Allianz Expo”, fortemente promosso dall’Amministratore Delegato, KlausPeter Roehler, e dal Direttore Generale, Maurizio Devescovi. «Per una grande organizzazione come la nostra (in Italia i dipendenti sono 5500) era strategico, secondo la Direzione HR, puntare sullo sviluppo della comunicazione trasversale tra le funzioni aziendali, favorire lo scambio sistematico delle buone pratiche e la collaborazione interfunzionale tra le direzioni». È nata proprio da qui l’idea di disegnare un processo sociale e un ambiente collaborativo dove ogni direzione ha la possibilità di co-creare piani di azione, con il fine ultimo di aumentare il coinvolgimento e l’empowerment delle persone, migliorare la qualità della vita lavorativa, aumentare la diffusione del| 50 |

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le competenze digitali, stimolare l’innovazione e il miglioramento continuo di se stessi, dei processi e delle modalità di lavoro, sottolinea Ferrari. 60 “engAgent” scelti in tutte le Aree come fAcilitAtori dellA community Lo strumento scelto da Allianz è una piattaforma multimodale che promuove la “gamification” tra i partecipanti e combina esperienze reali con esperienze digitali, organizzandole in flussi, per integrare e dare continuità a esperienze di engagement, idea generation ed eLearning, che rischiavano di essere messe in pratica una volta ogni tanto. «Grazie alla piattaforma le direzioni creano e diffondono i loro piani di azione (da quando è partito il progetto ne sono stati attivati 115) e le persone partecipano attivamente con contributi, idee e materiali. I dipendenti diventano quindi essi stessi promotori del cambiamento, evidenziando i miglioramenti possibili nell’organizzazione e nel loro lavoro».

La piattaforma è strutturata in quattro sezioni. “Be Challenged”, la sezione “core”, è una piazza virtuale, profilata per le diverse aree aziendali, in cui ciascun utente può discutere, riflettere e contribuire al miglioramento del clima della propria area. Entrando più in dettaglio Ferrari sottolinea che, partendo dalle evidenze della engagement survey, con cui sono coinvolti i dipendenti, e dai messaggi o video messaggi dei responsabili d’area, le persone hanno gli strumenti per proporre dei piani d’azione. Nel 2016 sono state attivate 26 sezioni a rappresentazione di tutte le aree aziendali. L’azione di ‘facilitatore’ della community online è svolta da una figura di riferimento definita “EngAgent”. «Si tratta di una popolazione composta da 60 persone, selezionate nelle differenti aree aziendali, che agiscono come promotori del cambiamento e sostenitori dell’engagement». Gli EngAgent ricevono una formazione di “digital empowerment” per sviluppare self-leadership, proattività, capacità di blogging e storytelling, public speaking e uso degli strumenti digitali. In particolare gestiscono online l’edit e la comunicazione del piano di azione come veri e propri blogger, e offline coinvolgono e danno visibilità a tutto ciò che l’azienda sta svolgendo in termini di attività. La sezione “Be Ready” è quella più propriamente formativa e aperta a tutti. È suddivisa in aree: “Skill for life” comprende percorsi di e-learning, webinar e conference in presenza, dedicati al benessere personale; “People attribute” promuove dei percorsi di apprendimento digitali dedicati alla diffusione dei valori del Gruppo Allianz; “Digital Mindset” consente, con percorsi misti, di conoscere le tendenze della digital disruption e di imparare a usare nuovi strumenti digitali utili sul lavoro; “Agility” supporta i dipendenti con percorsi di apprendimento per allenare la rigenerazione di energia, la flessibilità al cambiamento, l’agilità mentale, il long life learning e l’employability dinamica. «L’obiettivo per il 2017 è trasformare i percorsi di apprendimento in una logica di microlearning e smart learning, con la creazione di un podcast e di un e-magazine organizzati secondo un piano editoriale». La terza sezione “Be Inspired” è l’area visibile a tutti, dedicata alla collaborazione inter funzionale,

in cui è possibile condividere buone pratiche, temi di interesse e lanciare progetti di miglioramento e chiedere suggerimenti. «Nel corso dell’anno la sezione sarà arricchita anche dalla pubblicazione di progetti strategici e/o trasversali all’azienda, a cui gli utenti possono prendere parte candidandosi, previa autorizzazione dei loro responsabili. Ogni progetto ha un blog e una chat dedicati per coinvolgere i colleghi sull’aggiornamento, sui contributi o sull’approfondimento con domande e risposte». Infine la quarta sezione, “Be Leader”, ospita contenuti formativi e rappresenta una palestra di allenamento per i capi, con percorsi blended, per sviluppare una leadership coerente con la strategia Allianz. un blog consente a tutti i dipendenti di dialogare con il coo Ogni direzione ha istituito momenti e modalità gestionali dedicate alla condivisione delle informazioni aziendali, al knowledge sharing e al team building tra le persone. «La Direzione HR ha redatto un manuale che definisce le linee guida per condurre e promuovere la partecipazione attiva a incontri di coinvolgimento e knowledge sharing. Il team di progetto ha seguito l’approccio Design Thinking, e - integrando necessità delle persone, possibilità tecnologiche e requisiti manageriali - ha ideato, prototipato e testato i vari format, per poi diffonderli entro l’organizzazione a beneficio di tutte le direzioni. Il progetto, tra l’altro, prevede anche la nascita di un blog che consente a tutti i dipendenti di dialogare con il COO (Chief Operating Officer), il quale risponde alle loro domande e valuta le loro proposte. «È interessante sottolineare che gli obiettivi di engagement, misurati attraverso l’indicatore Inclusive Meritocracy Index, hanno registrato un aumento significativo dopo l’avvio del progetto. Anche il gradimento dell’iniziativa, misurato attraverso il net promoter score, è alto. In generale, al di là delle valutazioni puramente quantitative, l’iniziativa ha valorizzato un processo di comunicazione bottomup generando una riflessione, ma soprattutto una progettualità comune sugli aspetti legati al clima aziendale», conclude Ferrari. www.digital4executive.it

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digital transformation - supply chain

di g i ta l tr a nsfor mati on - sup p ly c h a i n | eCommerCe in italia, le sCelte di logistiCa di gdo, retail no-food e Produttori alimentari di

Daniele lazzarin

rapido: le aziende offrono consegna in 24 ore, in una finestra tra 2 e 4 ore in funzione del compromesso tra livello di servizio e costo. Anche in questo caso non emerge una differenziazione del prezzo al variare della finestra di consegna scelta. Nella prospettiva di integrare i canali di vendita, le aziende GDO sfruttano i punti vendita per l’allestimento degli ordini eCommerce B2c. Perciò l’area di consegna è locale, e il modello di trasporto prevalente è il sistema “milk run”. L’attività di picking è gestita manualmente, data l’incompatibilità dei sistemi automatici con i negozi esistenti. Gli ordini del canale eCommerce B2c risultano ben integrati nel processo di picking dei negozi tradizionali, e in alcuni casi, l’integrazione si estende anche alla distribuzione, nel senso che gli ordini online e quelli del canale tradizionale con consegna a domicilio sono gestiti utilizzando gli stessi veicoli. L’allocazione degli ordini è ancora statica, anche se alcuni retailer stanno valutando politiche dinamiche, per ridurre gli stock-out e il rischio di perdere vendite.

eCommerce in Italia: le scelte di logistica di GDO, Retail no-food e produttori alimentari Un’analisi dell’Osservatorio Contract Logistics del Politecnico di Milano sulle diverse strategie con cui i tre settori stanno integrando la gestione degli ordini online e quella dei canali fisici. «In un quadro di cambiamento c’è una rapida evoluzione delle scelte, con forte ricerca di sinergie, sempre più necessarie per la sostenibilità economica»

Negli ultimi anni, con l’esplosione dell’eCommerce, i consumatori italiani si sono abituati a passare da un canale di vendita all’altro durante il processo d’acquisto, aspettandosi un’esperienza continua e integrata. Un comportamento che richiede strategie “omnicanale” da parte di produttori e retailer dei settori consumer, in particolare per la Logistica. Come stanno rispondendo i vari settori in Italia? L’Osservatorio Contract Logistics del Politecnico di Milano nella sua più recente edizione ne ha studiati tre: produttori alimentari, GDO, e retailer no food. E ha fotografato le loro scelte su tre variabili logistiche chiave: le modalità di consegna al cliente finale (Delivery Service); l’impostazione della distribuzione in termini di tipi di nodi e servizi di trasporto (Distribution Setting); e quella del processo di allestimento fisico degli ordini (Fulfillment Strategy). AlimentAre: trAttAmento sepArAto per l’eCommerCe Dal 2012 a oggi la percentuale di produttori ali| 52 |

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Retail no-food, foRte RiceRca di sineRgie tRa i canali

mentari che fanno eCommerce B2C (cioè direttamente verso il consumatore) in Italia è salita dal 6% al 41%, con punte oltre il 60% in alcuni comparti: caffè, pasta e riso, caramelle e cioccolato. L’eCommerce è considerato uno strumento per rafforzare il brand e integrare la gamma di prodotti offerti, oltre che, naturalmente, per incrementare le vendite del canale tradizionale. Per i produttori alimentari il Delivery Service è importante, ma non è un fattore chiave di differenziazione: l’obiettivo è minimizzare i costi di distribuzione, garantendo un buon servizio al cliente. Di conseguenza, le aziende propongono la consegna a domicilio presidiata, in 2 o più giorni. La finestra di consegna non è definita al momento dell’ordine e non sono previste differenziazioni di prezzo. Quanto al Distribution Setting, i produttori alimentari preferiscono allestire un Picking Warehouse (PW) separato per l’eCommerce, per preservare l’efficienza delle attività del magazzino tradizionale e sfruttare economie di scala e know-how dei fornitori di servizi logistici. L’area di consegna è

nazionale - spesso un unico deposito serve tutto il Paese -, mentre per minimizzare i costi di distribuzione la consegna a domicilio è gestita tipicamente con trasporto a collettame. Infine per l’allestimento ordini le aziende investono molto poco in automazione, preferendo soluzioni manuali. Visto che ci sono PW dedicati al canale eCommerce B2c, non si pone il problema di integrare gli ordini online e quelli del canale tradizionale nell’attività di picking. gdo, Ruolo chiave del negozio anche peR gli oRdini online In risposta all’ingresso di nuovi competitor, la percentuale di aziende della GDO (Grande Distribuzione Organizzata) italiana che hanno attivato o stanno attivando il canale eCommerce B2C dal 2012 a oggi è salita dal 6% al 43%. Per la modalità di consegna, le aziende della GDO offrono – in alternativa alla consegna a domicilio presidiata – il servizio Click&Collect, con raccolta dei prodotti in negozio o presso stazioni drive-through in prossimità del punto vendita. I clienti si aspettano un processo d’acquisto molto

Dopo i primi tentativi di alcuni big player, negli ultimi 5 anni la percentuale di retailer no food che hanno attivato un’iniziativa eCommerce B2c è salita fortemente, dal 22% al 71%, con volumi di vendita in crescita continua. I clienti possono scegliere tra “attended home delivery” e in-store Click&Collect, con lead time di consegna di 2 o più giorni. La finestra di consegna è concordata solitamente al ricevimento dell’ordine, perché spesso è richiesta anche l’installazione del prodotto, e la frequenza degli ordini non è alta. Il prezzo, anche qui, non cambia in funzione della finestra di consegna scelta. La consuetudine diffusa di svolgere il prelievo a pezzi per alimentare i punti vendita favorisce la scelta dell’opzione Picking Warehouse all’interno del Centro di Distribuzione. In tal caso sono utilizzati uno o al massimo due depositi per servire tutto il territorio nazionale. Il servizio di trasporto varia in funzione della dimensione dei prodotti: per quelli piccoli prevale l’uso del corriere espresso, per i più grandi si preferisce il trasporto a collettame. Il basso volume delle vendite online non giustifica investimenti in automazione all’interno del PW: l’attività di picking è gestita manualmente. Poiché l’unità di picking è il pezzo, sia per il canale tradizionale che per l’eCommerce B2c, l’attività di picking risulta integrata tra i due canali, mentre www.digital4executive.it

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di gi tal transform ati on - s up p ly c h a i n | eCommerCe in italia, le sCelte di logistiCa di gdo, retail no-food e Produttori alimentari

quella di packaging è impostata specificamente per il canale online. In conclusione quindi, in un contesto in forte cambiamento, con crescita a doppia cifra delle vendite online, vi è una rapida evoluzione delle scelte logistiche, spesso accompagnata da una ricerca continua di sinergie con i canali di vendita tradizionali. Sinergie sempre più necessarie per la sostenibilità economica delle iniziative e più frequenti negli ambiti gestione delle scorte, gestione del magazzino, e distribuzione. Il rifornimento di diversi canali di vendita può avvenire dal medesimo stock: le scorte non sono battezzate a priori, permettendo il risk pooling. Tale condivisione può riguardare solo lo stock del Centro di Distribuzione o anche quello a punto vendita. A livello di gestione del magazzino, si possono condividere risorse (spazio, personale, attrezzature) tra diversi canali di vendita. L’attività di allestimento degli ordini online, di conseguenza, può essere gestita congiuntamente al canale tradizionale oppure in momenti della giornata dedicati, ottimizzando l’utilizzo delle risorse esistenti.

Nel processo di distribuzione, infine, l’azienda può sfruttare i rifornimenti del canale tradizionale per trasferire i prodotti destinati al canale online all’interno della rete, per poi personalizzare l’ultimo miglio. In alternativa, gli stessi mezzi utilizzati per rifornire il canale tradizionale possono essere dedicati, in specifiche fasce orarie, alla consegna a domicilio. Tirando le somme, tuttavia, sul mercato italiano i volumi di vendita del canale online spesso non sono ancora sufficienti a giustificare un network di distribuzione dedicato che risponda con costi competitivi alle peculiarità dell’eCommerce. Per questo i fornitori di servizi logistici del settore accompagnano passo per passo lo sviluppo del mercato, costruendo soluzioni dedicate quando viene raggiunto un adeguato volume di vendita nella singola area di distribuzione. Più specificamente, cinque città - Milano, Roma, Torino, Napoli e Bergamo - rappresentano da sole il 25% dell’eCommerce italiano: alcuni operatori stanno aprendo hub in queste città per fare distribuzione dedicata di vendite online.

Logistica, le 8 soluzioni digitali preferite dagli “addetti ai lavori” Nell’edizione più recente dell’Osservatorio Contract Logistics del Politecnico di Milano, un’indagine su 132 manager italiani di aziende utenti (Direttori Supply Chain, Logistica, Operations e Acquisti) e di fornitori di servizi logistici ha evidenziato le seguenti come le tecnologie digitali più promettenti appunto per l’ambito supply chain/distribuzione/logistica. Smart glasses

Occhiali dotati di lenti a realtà aumentata che possono essere utilizzati sia in ambito trasporto sia all’interno dei centri distributivi

Workflow scheduling

Modulo aggiuntivo del WMS per la gestione ottimale delle risorse all’interno dei centri distributivi (ad esempio bilanciamento dei carichi di lavoro tra le aree e assegnazione delle attività agli addetti)

Load building

Modulo aggiuntivo del TMS (o WMS) che calcola l’ingombro volumetrico degli ordini, favorendo l’integrazione tra la pianificazione dei viaggi (svolta tipicamente dal TMS) e la pianificazione delle attività di allestimento ordini (svolta dal WMS)

RFId

Sistemi RFId (Radio Frequency Identification) che sono inseriti sulla singola unità di movimentazione per rendere più efficienti le attività di ricevimento o spedizione oppure sono inseriti a terra e/o a scaffale per ottimizzare le attività dei carrelli in fase di stoccaggio o prelievo

Sensoristica

Sensoristica all’interno dei centri distributivi (esempi: sensori di pesatura, sensori per il monitoraggio delle condizioni dei prodotti e delle prestazioni dei veicoli, geolocalizzazione dei mezzi e rilevatori della presenza di persone/mezzi)

Dematerializzazione e digitalizzazione documentale per il trasporto

Flusso dati elettronico e conservazione digitale dei documenti in parallelo (o in alternativa) alla modalità cartacea

Piattaforme collaborative

Piattaforme che consentono lo scambio di informazioni (fatture, ordini, DDT, prenotazione slot di consegna, …) secondo relazioni ‘‘molti a molti’’

Logistics Mobile App

Applicazioni per mobile device (ad esempio smartphone e tablet), integrate con TMS e/o piattaforme collaborative, che supportano la relazione con i vettori (conferma real-time della consegna della merce, georeferenziazione dei mezzi, gestione dei contenziosi grazie alla prova visiva dello stato della merce, gestone dei pagamenti on delivery, ecc.)

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Top Consult, il WorkFlow Collaborativo semplifica i processi strutturati

Nei processi strutturati tradizionali il workflow gestito dal software gestionale automatizza l’utente, ingabbiandolo in una serie di passi precodificati attivati via email che irrigidiscono il lavoro. Ma da oggi anche il workflow è cambiato. Top Consult ha, infatti, progettato il nuovo WorkFlow Collaborativo, che consente all’utente di gestire in forma diversa anche il flusso dei documenti all’interno dei processi di lavoro, come ad esempio gli acquisti o le pratiche di vendita. «La possibilità di gestire in modo collaborativo i processi strutturati anche complessi, che coinvolgono più utenti e interagiscono con altri processi – afferma Pier Luigi Zaffagnini, CEO di Top Consult –, consente di coniugare l’utilizzo delle regole aziendali e degli automatismi prefissati con la flessibilità e l’intuitività tipiche delle funzioni collaborative del sistema: niente email, ma gruppi di lavoro, bacheca e notifiche. Noi rimuoviamo la rigidità dei processi e facciamo diventare “collaborativo” il sistema, mantenendo gli automatismi pur mettendo al centro delle soluzioni l’’Utente Collaborativo’, sempre attivo, partecipe e informato, sia in ufficio che in mobilità». La soluzione di TopMedia Social NED è progettata per lavorare in modo “smart” ed evoluto: un Designer Grafico definisce e visualizza azioni, regole e partecipanti; l’utente segue e interviene nel workflow attraverso la home page dei client Windows o Web, oltre che mediante una specifica App Mobile che gli permette di tenere sotto controllo gli ambienti collaborativi e i flussi in cui è coinvolto. Le funzio-

Regole e automatismi, ma anche flessibilità. niente email, ma gRuppi di lavoRo, bacheca e notifiche. Rimuovendo la Rigidità dei pRocessi è il sistema stesso a diventaRe “collaboRativo”, e con esso lo diventa anche l’utente

pieR luigi zaffagnini CEO Top Consult

ni di approvazione guidano l’utente nei vari passaggi in modo automatico, per bloccare o inoltrare un documento, navigare, firmare digitalmente tramite il Client Surfer o l’App Surfer Mobile. Il controllo Workflow è invece il cruscotto di monitoraggio che consente all’utente di verificare in ogni momento, anche graficamente, lo stato di avanzamento dei processi strutturati in cui è coinvolto. Se l’utente è il manager responsabile del flusso, vede i passaggi che ha eseguito e, inoltre, tutti quelli delle persone che gli riferiscono; può controllare assenze e anomalie, redistribuire lavori o approvarli direttamente. Nel WorkFlow Collaborativo di Top Consult l’utente è sempre collegato, anche in mobilità, con i colleghi coinvolti negli stessi processi ed è quindi aggiornato in tempo reale; interagisce in modo attivo, non subisce i processi e ha sempre la visione d’insieme di quelli che lo riguardano. D’altra parte, il sistema collaborativo traccia e archivia tutto: notifiche, messaggi e annotazioni di ciascun utente, risposte e telefonate, interventi e attività con i relativi tempi e documenti associati. Non occorre andare a cercare e portare dentro altri documenti o le email, perché qui tutto nasce già all’interno del workflow; si eliminano quindi le barriere presenti negli ERP con i relativi silos informativi a sé stanti. E inoltre anche il modo di lavorare è più sicuro: senza email si abbattono infatti i rischi di intrusioni, attacchi e malware.

p e R ulte R i o R i i n fo Rmaz i o n i . . .

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digital transformation - r Etail

digital transformation - retail | retail alimentare: il digitale per ridurre gli scarti. il caso migros

Una diminuzione delle scorte di 0,5 giorni comprime i costi degli scarti del 40%. Altri interventi efficaci sono dimezzare la varianza del volume dell’ordine dei negozi, e rendere giornaliera la frequenza di tali ordini

Retail alimentare: il digitale per ridurre gli scarti. Il caso Migros Un team dell’IMD di Losanna ha lavorato sui dati della più grande catena di supermercati svizzera per capire le determinanti degli sprechi nella categoria ortofrutta, che costano il 3-5% del fatturato su un mercato che in Italia vale 13,7 miliardi. «Dai sistemi di supply chain management un forte contributo per migliorare previsione della domanda e gestione delle scorte»

Secondo dati di FAO e McKinsey, lo spreco globale di alimentari freschi nel mondo è stimato in circa 940 miliardi di dollari. Per le aziende impegnate nelle filiere alimentari, questo ha un impatto diretto su tutti i principali indici nel senso più lato. Esistono quindi grandi opportunità di risparmio di costi, e di riduzione degli impatti sociali e ambientali. Ma cogliere queste opportunità è molto complesso, perché richiede interventi e soluzioni a tutti i livelli della supply chain. Per questo un team dell’IMD (International Institute for Management Development) di Losanna, guidato da Ralf Seifert, Professor of Operations Management e Director of Digital Supply Chain Management Program della prestigiosa scuola di management, ha condotto uno studio per capire come minimizzare gli scarti di frutta e verdura nel business di Migros, la principale catena di supermercati alimentari svizzera. Nel retail alimentare, frutta e verdura sono una | 56 |

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categoria estremamente impegnativa, a causa dei cicli di vita molto brevi, dei grandi flussi di merce da gestire continuamente, delle infrastrutture specializzate e dell’alto livello di disponibilità di un portafoglio di prodotti che per definizione è a forte stagionalità. In questo settore i livelli “best practice” di scarti sono tra il 3% e il 5% del fatturato. Migros si colloca in questa fascia, e visto il suo volume d’affari l’impatto sui profitti è notevole: l’insegna ha infatti un fatturato di 27,4 miliardi di franchi svizzeri (25,6 miliardi di euro), e una quota di mercato oltre il 20%. Un franco su 10 spesi in frutta e verdura in Svizzera è incassato da Migros. Esaminando un database di circa 500mila osservazioni da tutti i supermercati della catena, il team di Seifert ha scoperto che gli scarti del fresco sono originati da tre principali driver: scorte in eccesso, varianza degli ordini, e lunghi lead time di consegna.

Dall’analisi è emerso che la leva più efficace su cui agire è la riduzione delle scorte nel punto vendita. Una diminuzione delle scorte di 0,5 giorni comprime i costi degli scarti del 40%. Altri interventi vantaggiosi sono la riduzione del ciclo dell’ordine a un giorno (cioè il rendere la frequenza degli ordini dei negozi giornaliera), e il dimezzamento della varianza dell’ordine: in entrambi i casi i costi degli scarti calano del 17%. Le 3 caratteristiche cruciaLi deLLe soLuzioni scM per iL Fresh Food Come creare i presupposti per attivare queste leve? La formazione degli addetti e appositi sistemi di incentivi possono aiutare. Ma la cosa più efficace è certamente l’adozione di soluzioni digitali di supply chain management che indirizzino in particolare tre aree: data management, integrated collaborative forecasting, product tracking.

Il data management è essenziale per migliorare la gestione degli ordini e la visibilità sulla supply chain, e ottimizzare dinamicamente i livelli di scorte. I passi da fare sono soprattutto tre. Uno è usare dati storici di alta qualità (da questo dipende l’accuratezza del demand forecasting). Il secondo è usare dati real time provenienti dai punti vendita (live POS data), per rispondere tempestivamente alle fluttuazioni della domanda. Il terzo è automatizzare il processo dell’ordine, cosa che permette di evitare l’accorpamento degli ordini (batching), che spesso causa problemi di eccesso di scorte o stock-out, e riduce le risorse da dedicare a quest’attività. L’integrated collaborative forecasting serve soprattutto a ridurre la varianza degli ordini, e i lead time di trasporto. La condivisione di dati e previsioni tra partner nelle supply chain del fresco infatti aumenta la visibilità a livello dell’intera filiera, e quindi riduce i rischi di eccesso o insufficienza delle scorte. Infine il product tracking, che significa avere dei “registri digitali” dell’entrata e dell’uscita dei prodotti a ogni stadio della supply chain. Ciò permette di attivare un modello “first in, first out” che riduce il tempo medio di permanenza a scorta (inventory age) e riduce gli sprechi. coinvoLgere tutta La FiLiera In conclusione, nelle filiere della frutta e verdura le soluzioni digitali di supply chain management possono dare un forte contributo all’accuratezza della previsione della domanda e all’ottimizzazione della gestione delle scorte. Tuttavia questi risultati non sono facili da ottenere per la grande complessità di questo mercato, legata tra l’altro ad altissima obsolescenza, volatilità dei prezzi, frammentazione dei produttori e varianza dei driver di valore da un segmento all’altro. Prima di implementare queste soluzioni quindi è vitale sentire il parere di tutte le principali categorie di operatori nella propria supply chain, e fare accurate valutazioni del loro possibile impatto di business. www.digital4executive.it

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intervista

intervista intervista || Procurement Procurement Digital Digital transformation, transformation, una una rivoluzione rivoluzione che che attraversa attraversa i i Processi Processi azienDali azienDali

grazie alla costante interazione con gli attori di questa delicata transizione. Francesco colavita

Procurement Digital Transformation, una rivoluzione che attraversa i processi aziendali

Pre-SALeS DIreCTOr BrAvOSOLUTION

Cosa cercano i CPO, i CIO e i CFO che puntano alla data governance per guidare i processi di trasformazione digitale nel procurement? Quali i requisiti sul fronte tecnologico e di processo? E soprattutto, quali sono i freni che ancora inibiscono le aziende ad affrontare il cambiamento? Risponde Francesco Colavita, Pre-Sales Director di BravoSolution

Anche se perseguono tutti lo stesso obiettivo – la crescita del business – per raggiungerlo CIO, CPO e CFO parlano linguaggi, usano strumenti e adottano prospettive molto diverse. Una cosa comunque li accomuna: l’idea che la data governance sia la chiave di volta per vincere le sfide dell’efficienza, della trasparenza e della flessibilità. Si parla naturalmente di digital transformation, e nello specifico applicata all’ambito del procurement. Un processo fondamentale dal quale i CPO si aspettano soprattutto riduzione dei costi (79% del campione) e gestione dei rischi (57%), secondo le risposte fornite dai manager interpellati da De- loitte per la Global CPO Survey 2017. Il problema è che sebbene la consapevolezza dell’importanza della corretta gestione delle informazioni sia diffusa (per oltre il 60% delle aziende europee la scarsa qualità dei dati è concausa di decisioni non ottimali, come evidenziato dal report “How Governance of Data & Technology Drive the | 58 |

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Intelligence Spectrum in Supply Chain and Procurement” realizzato dal Poole College of Management della North Carolina State University in collaborazione con BravoSolution), solo il 40% ha implementato programmi di Data Governance. Chi lo ha fatto, però, ha agito con piena cognizione di causa: secondo la KPMG CIO Survey 2017, il 90% dei CIO dichiara di aver puntato sulle nuove tecnologie per consentire alla propria azienda di adattarsi a un contesto in continuo cambiamento, migliorando la flessibilità e la capacità di risposta a potenziali vulnerabilità. La cyber security resta infatti la preoccupazione principale per i CIO intervistati. Ma al di là delle statistiche, quali sono le motivazioni reali e profonde che spingono o che frenano la digital procurement transformation? L’abbiamo chiesto a Francesco Colavita, che in qualità di PreSales Director di BravoSolution (specialista globale in tecnologia e servizi per il processo di procurement Source-To-Pay) ha il polso della situazione

Che esigenze e priorità hanno CPO, CIO e CFO rispetto alla procurement data governance? Faccio una premessa: il procurement è una funzione sempre più trasversale nelle aziende moderne. La complessità sta proprio nel gestire l’innovazione tenendo conto delle esigenze di tutti gli interlocutori e implementando processi collaborativi basati sulla condivisione dei flussi dati. Detto ciò, per CPO e CIO possiamo citare quattro grandi temi. Il primo è la trasparenza: tracciare le attività dell’azienda, nel mondo pubblico come nel privato, è cruciale per affrontare serenamente qualsiasi processo di audit. Il secondo riguarda l’efficacia e l’efficienza. Operazioni che oggi sono gestite manualmente possono essere automatizzate, riducendo tempi e costi operativi a basso valore aggiunto. C’è poi la questione della collaboration con il mercato e i fornitori. Il CPO oggi non solo ha la necessità di tracciare i processi e governare i flussi di dati per monitorare a 360 gradi le attività e indirizzare le scelte aziendali. Ha anche il compito di confrontarsi con i fornitori in uno scenario in cui il paradigma sta ribaltandosi: se fino a poco tempo fa il cliente era il centro di tutto, oggi il fulcro della competitività sono proprio i fornitori, ed è sempre più importante razionalizzare il parco fornitori in ottica di incremento performance, riduzione dei rischi e costruzione di partnership. In fine, lato CIO, confermo la priorità del tema sicurezza, a cui si aggiunge quello dell’integrabilità con i sistemi aziendali già uso. Invece per quanto riguarda i CFO? Il ruolo emergente del CFO è un elemento nuovissimo nella procurement data governance, e si esplica essenzialmente in tre aree: dematerializzazione, automazione del ciclo passivo (ad esempio fatturazione elettronica) e compliance normativa. Che cosa frena l’adozione di tecnologie digitali per il procurement? La risposta varia a seconda del tipo di impresa. Se parliamo di multinazionali, gli interlocutori affermano spesso che la loro azienda è unica, e i processi di cui si occupano sono più complessi di quelli di altre organizzazioni. E anche se portiamo loro use case molto vicini alle esigenze da loro espresse, talvolta non è facile superare lo scetticismo sul fatto che esistano soluzioni di mercato adatte al loro caso. Per le medie imprese talvolta l’ostacolo è una organizzazione più concentrata sull’innovazione di business che su quella “a supporto” del business,

anche per ragioni di tempo e risorse. Nella Pubblica Amministrazione la preoccupazione è che la tecnologia non rispetti norme e regolamenti - peraltro in costante cambiamento e dunque di non facile monitoraggio. Segue il timore sul fronte delle competenze da sviluppare internamente. Cosa dovrebbe offrire la tecnologia per superare queste resistenze? Deve in primo luogo essere modulare, flessibile e multilingua, capace di rispondere facilmente ai cambiamenti aziendali e normativi, soprattutto nel mondo pubblico. Sono inoltre sempre più apprezzate le soluzioni che permettono personalizzazioni basate su modifiche di parametri gestibili direttamente dall’utente, senza necessità di intervento IT. Il Cloud in questo senso può essere un alleato prezioso, perché permette di erogare in maniera automatica e trasparente – senza sviluppi lato cliente – aggiornamenti che adeguano le piattaforme ai nuovi scenari, evolvendole in termini di prestazioni, rispondenza ai requisiti normativi e innovazione tecnologica, spesso anticipando i trend del mercato. La tecnologia deve poi garantire sicurezza, autenticità e integrità di dati e processi lungo la filiera e ciò va attestato da enti terzi di Certificazione. Cruciale è poi anche il tema della fruibilità delle informazioni. Non basta che gli analytics siano potenti: i cruscotti su cui vengono visualizzati gli insight devono offrire un’esperienza intuitiva e multidevice, e risultare fruibili per l’intera organizzazione, ovviamente attraverso viste personalizzate, anche da mobile. Ciò è necessario per supportare processi Source to Pay sempre più interfunzionali e dinamici, oltre il tradizionale approccio “a silos”. La nostra tecnologia BravoAdvantage possiede tutti questi requisiti e il mercato lo riconosce: lo confermano il nostro posizionamento quale Leader nel Gartner Magic Quadrant for Strategic Sourcing Application Suites, in tutte le edizioni dal 2010 al 2017, e la percentuale di rinnovo contrattuale dei nostri clienti nel mondo, che supera il 95%. Cosa serve, oltre a un’offerta tecnologica adeguata? Un buon piano di change management: bisogna formare le persone e creare la consapevolezza della digital transformation. La tecnologia è una componente decisiva, ma per promuovere percorsi di adozione rapidi ed efficaci serve che il provider sia anche capace di guidare l’impresa nelle singole fasi, dall’analisi dei processi all’implementazione del prodotto fino al post-go live. Un provider competente anche di processi di procurement nei diversi settori rappresenta in questo senso un fattore chiave di successo, a garanzia del cliente. www.digital4executive.it

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intervista

intervista || Nuove Nuove reti reti per per Nuovi Nuovi servizi: servizi: la la sfida sfida delle delle telco telco intervista di

redazione

Michele Marrone SENIOR MANAgINg DIRECTOR ACCENTURE CONSULTINg

Nuove reti per nuovi servizi la sfida delle Telco La digital transformation sta cambiando il ruolo delle società di TLC. Per affrontare il futuro, è necessario investire strutturalmente in nuovi servizi, costruire una rete digitale e virtuale, abilitatrice di business flessibile, in grado di rendere gli operatori più competitivi grazie a modelli di business innovativi. La vision di Michele Marrone, Senior Managing Director, Accenture Consulting

In un mondo in rapida trasformazione, quali sono gli impatti e le possibilità offerte dalla trasformazione digitale che ormai da tempo ha stravolto l’industria delle telecomunicazioni? E come è possibile per le Telco costruire valore per i clienti? Una sfida complessa, che molte realtà innovative hanno già iniziato ad affrontare. Ne abbiamo parlato con Michele Marrone, Senior Managing Director, Accenture Consulting Quali servizi possono ridefinire il ruolo delle telco e perché? Le Telco hanno svolto un ruolo chiave nell’abilitare la cosiddetta Quarta Rivoluzione Industriale, come è emerso anche dal White Paper che Accenture ha realizzato per il World Economic Forum del 2017 sugli impatti e le possibilità offerte dalla trasformazione digitale nella industria delle Telecomunicazioni. Emerge che il valore potenziale cross-industry dipenderà dalla capacità delle Telco di realizzare le necessarie infrastrutture e le applicazioni ma finora, in realtà, lo share nei servizi | 60 |

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core è calato dal 58% del 2010, al 47% del 2015, per arrivare ad un 45% nel 2018. Le Telco devono dunque iniziare a investire strutturalmente in nuovi servizi, nel mercato B2C ed in quello B2B, sganciandosi dalla dipendenza dalla componente hardware per abbracciare una nuova rete digitale e virtuale sostenuta dal cloud che, in quest’ottica, si sta configurando come un abilitatore di business flessibile, in grado di rendere gli operatori più competitivi. Le Telco devono inoltre integrarsi con l’ecosistema digitale ed essere pronte a fornire anche servizi terzi con modelli OTT. È quello che definiamo approcciare il mercato come piattaforma aperta. D’altro canto la nuova dimensione digitale dell’infrastruttura rende più efficienti i servizi offerti, migliorandone qualità, prestazioni e velocità del time to market. Quali sono i punti di forza che avvantaggiano le Telco in questo nuovo scenario di servizi evoluti, in particolare rispetto agli OTT?

I provider tradizionali mantengono un certo vantaggio in termini di accesso al patrimonio di dati dei consumatori. Le applicazioni di rete, in particolare il controllo sulla piattaforma di trasmissione end-to-end, e le funzioni di back office sui dispositivi, consentono per esempio alle Telco di avere accesso a dati strategici, che servono a personalizzare offerte di prodotti e servizi digitali su specifici segmenti di clientela, in modo da risultare rilevanti. Inoltre, rispetto alle tematiche di data privacy e sicurezza, le Telco hanno la possibilità anche di distinguersi dagli OTT: sono trusted provider, e possono sviluppare servizi garantiti per clienti premium. Nuove opportunità di crescita per le Telco arrivano anche dalle applicazioni IoT (Internet of Things). La Connected Home (Casa connessa) si basa su comunicazioni Machine to Machine e sta progressivamente diventando una realtà. Ma in che modo possono agire le Telco sul mercato? Quali strategie di go-to-market osservate, a livello internazionale? Rispetto al ruolo strategico che le Telco possono rivestire, vediamo diversi modelli. Alcuni operatori puntano fortemente al B2B e a crescere come provider di servizi di connettività e ICT Infrastrutturali, definiti ad hoc sui segmenti di industry: è quanto ha scelto di fare per esempio Century Link con l’acquisizione di Level 3 Communications. Altre realtà puntano alla fornitura diretta nel B2C di servizi tradizionali e digitali in Bundle e di crescere come Provider End-to-End di servizi integrati ed esclusivi. Il focus è sul controllo di tutto il ciclo del cliente e della sua esperienza multi-canale, come ha fatto BT, che ha acquisito i diritti sullo sport. Altri ancora puntano al B2C e B2B2C con un ruolo di Player dell’ecosistema al fine di crescere diventando parte essenziale della routine digitale, cercando di cannibalizzare quanti più servizi. Il focus sull’esperienza rimane ma assume connotati più rivolti alla fruizione di servizi integrati con quelli di terze parti. Un esempio è Liberty Global e la sua One BackOffice Platform. Quali sono gli step necessari per abilitare questo cambiamento? Innanzitutto realizzare le reti del futuro sempre più sicure, ottimizzate e disaccoppiate, cioè usare la virtualizzazione e l’astrazione dalla rete fisica di accesso e gettare così le basi per servizi differenziati. Bisogna poi andare oltre la connettività e posizionarsi sui servizi digitali, in ambito Consumer ed Enterprise per creare nuovi stream di revenue. È poi necessario ridefinire l’esperienza del cliente per competere e vincere la sfida su cui gli OTT e altre

industry hanno definito gli standard sia in termini di experience (Netflix, Google, Apple), sia in termini di Expectations (Amazon, Uber, Well Fargo), che si traduce in nuove acquisizioni e in una migliore customer retention. Infine, va colmato il gap dell’innovazione guidata dalla convergenza fra servizi tradizionali e digitali, dalla rapidità di sostituzione delle tecnologie tradizionali con le nuove, dalla agilità necessaria all’introduzione di nuove funzionalità, dalla rotazione verso nuovi tipi di competenze, nuovi talenti, nuovi modelli organizzativi. In base alla vostra esperienza, ci può raccontare su cosa si stanno muovendo, in concreto, le Telco più innovative? Innanzitutto per trasformare e fare crescere il Core Business servono iniziative di ottimizzazione dei processi. Abbiamo riscontrato un incremento esponenziale di iniziative di Digital Customer Service su molti degli operatori con cui collaboriamo (es. KPN, Etisalat, Verizon per citarne alcuni), basate su Intelligenza Artificiale come Digital Assistant e Chatbot per deflettere anche il 20% delle chiamate dall’operatore umano a quello Digitale. Oppure basate su tecniche di Augmented Reality e Visual Recognition per supportare la rapida risoluzione di problematiche in ambito di assistenza tecnica. Infine, osserviamo l’introduzione di robot per l’automazione di numerosi processi in ambito customer operations. L’aumento di soluzioni digitali innovative si riscontra anche in ambito Sales, per ottimizzare il cost-tosell, aumentare il traffico sui canali digitali, il numero di leads generato ma soprattutto il tasso di conversione dei leads in vendite, vero tallone di Achille delle Telco. In ambito Marketing si affermano soluzioni a supporto del Programmatic Advertising, dell’ottimizzazione della gestione dei contenuti digitali e dell’introduzione di Modelli Predittivi Avanzati basati su Analytics e motori decisionali Real Time, per aumentare per esempio la propensione all’acquisto o diminuire la propensione al churn. Sul fronte del miglioramento della Customer Experience dell’NPS e della Loyalty, è aumentato molto il numero di iniziative di Design dei Customer Journeys e della Service Experience, sia sui singoli canali che in ottica Omni-Channel. Un secondo step, parzialmente sovrapposto al primo, prevede iniziative che hanno l’obiettivo di usare parte del carburante per entrare nel New Business e poi scalarne la generazione del valore. Con un approccio che anteponga le aspettative del mercato a ritorni immediati, con un processo decisionale degli investimenti e delle performance basato su KPI meno tangibili e dove vi sia spazio all’innovazione e alla sperimentazione. www.digital4executive.it

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digital transformation - Pa

Digital digital transformation transformation -- Pa Pa || PA PA DigitAle, DigitAle, ecco ecco ilil PiAno PiAno triennAle: triennAle: «concentrArsi «concentrArsi sugli sugli ecosistemi ecosistemi chiAve» chiAve»

Diego Piacentini COMMISSArIO STrAOrDInArIO PEr L’ATTUAzIOnE DELL’AGEnDA DIGITALE

PA Digitale, ecco il Piano Triennale: «Concentrarsi sugli ecosistemi chiave»

Un approccio “mobile first”: il comUne di milano dà l’esempio

Il documento 2017-19 punta a riqualificare la spesa in tecnologie e servizi digitali, migliorandone l’efficacia anche grazie ai meccanismi di partecipazione diretta dei cittadini voluti dal Commissario Straordinario per l’Attuazione dell’Agenda Digitale, Diego Piacentini. L’analisi di Luca Gastaldi, Direttore dell’Osservatorio Agenda Digitale del Politecnico di Milano

È stato pubblicato il Piano Triennale per la Trasformazione Digitale della Pubblica Amministrazione, stilato da AgID (Agenzia per l’Italia Digitale) insieme al Team per la Trasformazione Digitale guidato da Diego Piacentini, Commissario Straordinario per l’Attuazione dell’Agenda Digitale. Il documento fissa il percorso strategico della digital transformation nella PA italiana per il periodo 2017-2019, indicando tutti gli investimenti tecnologici utili a supportare il processo, in linea con gli obiettivi del Piano di Azione dell’Unione Europea per l’eGovernment 2016-2020. «Si tratta di un piano non statico - ha sottolineato Piacentini -. La tecnologia è in continua evoluzione e l’innovazione cambia nel tempo i paradigmi. Stiamo introducendo un modello di partecipazione completamente nuovo: per realizzare la trasformazione digitale dei servizi della PA si deve agire in modo collaborativo». In effetti accedendo a un apposito link (https:// pianotriennale-ict.italia.it), chiunque potrà proporre modifiche o integrazioni al testo, aprendo delle “pull request” che saranno valutate dal team di Piacentini | 62 |

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italiane. Per mostrare loro che si possono ottenere risultati concreti sarà opportuno concentrarsi inizialmente su alcuni ecosistemi chiave. Uno di questi può essere la Sanità, che da sola cuba un quinto della spesa pubblica in tecnologie digitali. Occorre poi occuparsi del recupero delle risorse economicofinanziarie per l’attuazione del piano, riqualificando la spesa, e cioè tagliando costi inutili per investire invece nelle direzioni specificate dal piano. Le PA avranno bisogno perciò non solo di tecnologie ma anche di esperti di finanza. Occorre definire meccanismi con cui supportare le PA dal punto di vista finanziario e nel recupero di risorse dall’Europa, e qui l’Agenzia per la Coesione Territoriale giocherà un ruolo da protagonista».

e dall’AgID. Inoltre si potranno chiedere chiarimenti e usufruire di una serie di strumenti collaborativi e di interazione.

Tra i primi enti locali a sottoscrivere una collaborazione operativa con il Team di Piacentini e l’AgID ci sono i Comuni di Bari, Firenze, Milano, Palermo, Roma, Torino e Venezia. «Lo sviluppo di servizi pubblici digitali necessita di un processo collaborativo tra il Team e le amministrazioni locali, fornendo suggerimenti e mettendo a fattor comune quanto realizzato sino a oggi – ha detto Piacentini -. Le amministrazioni locali giocheranno un ruolo decisivo sul territorio, dando impulso all’esecuzione delle innovazioni esistenti e future in modo integrato con una metodologia agile e un approccio open data». La cooperazione ha iniziato a dare frutti già lo scorso aprile, quando il Comune di Milano, nell’ambito dell’iniziativa #MilanoDigitale, ha attivato il Fascicolo del Cittadino. Si tratta di un “faldone digitale” disponibile online, nel quale sono presenti le pratiche dei vari uffici (ambiente, casa, educazione e istruzione, tributi…), oltre alla banca

dati dell’anagrafe cittadina. Per usufruire del nuovo servizio è sufficiente registrarsi sul portale istituzionale del Comune di Milano tramite un sistema di autenticazione forte o tramite SPID, il Sistema Pubblico di Identità Digitale. È già possibile consultare le informazioni anagrafiche dell’intero nucleo famigliare, le iscrizioni ai servizi scolastici, controllare pagamenti e scadenze per le imposte comunali ed eventuali multe. Le funzionalità di pagamento saranno garantite dall’integrazione con il nodo nazionale dei pagamenti PagoPA, sia online – via mobile e web – sia offline, attraverso i punti fisici convenzionati sul territorio. Il Fascicolo del Cittadino è una delle prime applicazioni della strategia “mobile first” caldeggiata dal Team per la Trasformazione Digitale: tutte le informazioni digitalizzate sono accessibili anche da dispositivi mobili in modo veloce, sicuro e sempre aggiornato. Una commUnity di svilUppo per rivedere in digitale i servizi pUbblici Nei giorni della presentazione del piano triennale s’è tenuto a Milano “Digital Design Days”, evento di 3 giorni promosso da Piacentini per coinvolgere una community internazionale di sviluppatori e designer nella revisione in digitale dei servizi pubblici. L’idea è che questo ecosistema «contribuisca allo sviluppo di API (interfacce di programmazione applicativa) e servizi digitali, individui e risolva problemi tecnologici, fornisca informazioni e istruzioni sui principi di innovazione digitale e crei strumenti e servizi condivisi». Il tutto con un approccio plasmato sull’utente finale e le sue esigenze, realizzato tramite progetti basati su filosofie come design thinking e human centered design, nelle quali sono cruciali le attività di brainstorming.

EsPErTi di finanza PEr caPirE dovE rEcuPErarE lE risorsE L’approvazione del piano è un’ottima notizia, commenta Luca Gastaldi, Direttore dell’Osservatorio Agenda Digitale del Politecnico di Milano. «Finalmente tutti gli attori, pubblici e privati, hanno a disposizione una mappa del percorso di informatizzazione della PA che illustra le iniziative per ogni ambito, il cronoprogramma, gli investimenti da fare. Il piano, atteso da tempo, apre una strada definita per la PA Digitale che ora va perseguita con convinzione, e messa in pratica rispettando impegni e scadenze sfidanti che coinvolgono diversi tasselli di un mosaico complesso». Un percorso non certo in discesa: «Per prima cosa - continua Gastaldi - ora è necessario controllare che il piano sia attuato dalle oltre 20mila PA

ForumPA, 17mila partecipanti all’edizione 2017 L’edizione 2017 del ForumPA è stata la più partecipata degli ultimi anni: dal 23 al 25 maggio al Roma Convention Center la Nuvola sono arrivate oltre 17mila persone per i 260 appuntamenti in programma, dal convegno d’apertura con la Ministra della Semplificazione e la PA Marianna Madia ai seminari, dalla lectio magistralis dell’economista Jeffrey Sachs ai 150 Workshop e Academy di formazione per i dipendenti pubblici. Quasi mille i relatori, tra cui 5 Ministri, due Presidenti di Regione, dirigenti, esponenti della politica locale, accademici, vertici di imprese ICT, esperti e opinion leader. L’evento ha ispirato oltre 14 mila tweet, mentre la webTv ha offerto oltre 18 ore di diretta. 240 i giornalisti accreditati. «Tra i fattori di questo successo

ci sono la riforma che ha concluso proprio alla vigilia del ForumPA 2017 l’iter legislativo; l’imminente presentazione del piano triennale di trasformazione digitale della PA; l’impulso all’innovazione di un pubblico impiego che non ci sta a farsi equiparare ai ‘furbetti’; il tema della sostenibilità scelto per quest’edizione; e la nuova sede nella ‘Nuvola’ di Fuksas», commenta Carlo Mochi Sismondi, Presidente di FPA, l’azienda che organizza ForumPA. Da sottolineare anche i 9 vincitori del Premio ForumPA 2017, selezionati tra 314 candidati. Sono i Comuni di Milano, Mantova, Bari, Campi Bisenzio, la Provincia di Barletta Andria Trani, e poi Equitalia, Agenzia delle Entrate, l’Istituto “Eleonora Duse” di Bari e la startup Soonapse. www.digital4executive.it

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digital transformation - Pa

digital transformation - Pa | ACI DIGITAL CUSTOMER JOURNEYUN App MObILE pERSONALE pER OGNI UTENTE di

alessandra luksch

SChool oF MAnAGEMEnT PolITECnICo DI MIlAno

ACI Digital Customer Journey un’App Mobile personale per ogni utente Costruire un’unica app per tutti i servizi dedicati agli automobilisti e dare così una risposta personalizzata ad ogni esigenza, dalla ricerca domestica di informazioni alla notifica dei servizi. È l’obiettivo sfidante che ACI ha affrontato con un approccio progettuale “lean” e un team di innovazione interfunzionale appassionato e motivato che ha permesso di superare i silos organizzativi

Da oltre 100 anni ACI assiste gli automobilisti con passione, esperienza e professionalità, su una varietà di servizi che negli anni è cresciuta in modo esponenziale, così come i 2229 veicoli del 1905 arrivati oggi a oltre 39 milioni. I servizi di ACI mirano a coprire in modo completo le esigenze di una vita in movimento, dall’assistenza stradale all’educazione e sicurezza alla guida, alla compravendita dei veicoli, facendo convivere diverse anime, quella PubblicoIstituzionale, quella Sportiva, l’Associativa e i Servizi innovativi al cittadino automobilista, con esigenze diverse in termini di obiettivi, target e contenuti. Per valorizzare sempre meglio questa varietà di offerta e rendere il proprio cliente padrone del servizio, ACI ha avviato, tra le sue azioni, anche uno sfidante piano di Digital Transformation. Pilastro del piano è il ridisegno dell’esperienza dell’utente attraverso un Customer Journey per dare ad ogni esigenza la sua risposta, dalla ricerca domestica di informazioni alla notifica dei servizi accessibili ovunque. È un ri| 64 |

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pensamento non solo dell’attuale offerta di servizi, ma più profondamente delle modalità di interazione con i propri clienti. Si tratta di un progetto di comunicazione strategica che riguarda l’intero Ente e che va oltre i confini della comunicazione per includere le sfide e le opportunità legate alla digitalizzazione dei servizi, alla user experience, all’omicanalità ed alle opportunità di business digitale. Un importante ambito di innovazione per ACI è quello del Mobile, in cui è stata implementata un’App - ACI SPACE - per rispondere all’esigenza degli utenti di fruire dei servizi molteplici di ACI “qui ed ora”. Il progetto ha preso avvio da un approccio strutturato per poi svilupparsi in modo molto più aperto. Fatto non secondario è la prassi di sviluppo seguita dal gruppo di innovazione guidato da Vincenzo Pensa, con persone dedicate all’innovazione per l’Ente tra ACI Innovazione e ACI informatica: Stefania Di Mico, Federica Caracciolo, Rita Speranza, Antonio Ricotta, Francesca Zampa, Simona Dardari, Giuseppe

Arcidiacono, e Laura Pepe e Alessandro Banci di ACI Informatica. È un gruppo leggero, senza gerarchie e molto coeso; si lavora con riunioni serrate in cui sono coinvolte le Direzioni di riferimento per ogni servizio e da cui si esce con un risultato concreto. Il principio guida, assai sfidante, è stato quello di costruire un’unica app per tutti i servizi. Per questo l’ingrediente principale del progetto è stata la collaborazione, fondamentale per la realizzazione di un progetto così ampio, che ha sostenuto l’intera organizzazione oltre che il gruppo di lavoro nell’obiettivo comune. È stato realizzato in principio un benchmarking sulle app già esistenti, bollo, soci, ecc., non soltanto nel mondo ACI ma anche in quello delle Società Collegate, ad esempio in ACI Global per il soccorso stradale. Da questa prima analisi è emerso come le app esistenti fossero fortemente separate tra loro e identificate con la singola struttura referente. Oggi si parla finalmente della app ACI, ma ancora meglio dell’app personale di ogni utente che la costruisce come meglio serve per i propri scopi. Anche in questo caso si è seguito un nuovo approccio di lavoro, più lean e coinvolgente. Dopo il kickoff di condivisione con i Direttori, si è svolto un primo incontro di assestamento dei gruppi di lavoro per superare la fase di brainstorming tipica dei contesti aziendali. Poi si sono avviati i tavoli di lavoro interfunzionali e il più possibile destrutturati, senza

vincoli e gerarchie - tavolo mobilità, tavolo servizi pubblici, ecc. -, sempre con la presenza della Direzione Innovazione. Sono stati momenti soprattutto di ascolto e la Direzione Innovazione ha rivestito il ruolo di interprete dei bisogni trasformandoli in app da restituire agli utenti, attraverso disegni e rappresentazioni (ma anche colori e disegni di esempio) per comunicare e condividere ogni step. Di fatto è stato usato un approccio lean con modalità try&error, che ha aiutato moltissimo lo sviluppo e il buon esito del progetto (in questo modo è stata ridisegnata anche la tile Club dedicata ai Soci ACI); dal disegno si è poi passati all’app con il supporto di un esperto di customer experience. Si è quindi abbandonato l’approccio allo sviluppo tradizionale basato sulla descrizione delle specifiche, sperimentando con successo una metodologia più agile in cui le richieste sono state raccolte attraverso i disegni. Lo stesso è valso nella gestione dei rilasci, dove sono stati coinvolti parenti e amici per migliorare l’app, in puro stile Facebook. Sono stati creatività, improvvisazione ed entusiasmo a guidare la progettazione. Il motto del progetto è stato “non si fanno prigionieri” - quello che non funziona si abbandona senza accanimento - si accettano i fallimenti con un approccio molto laico allo sviluppo. La modalità progettuale ha consentito di uscire dai silos organizzativi e di creare una rete che lavora secondo un unico obiettivo. È stato un percorso partito in salita, ma col tempo la Direzione Innovazione si è conquistata la fiducia di tutta l’organizzazione. Con questo entusiasmo si è di molto ridotto il rischio di fare cose sbagliate e perseguire strade inutili, e questo ha sicuramente avuto un peso anche sui conti, benché difficile da quantificare. ACI SPACE ha introdotto anche il concetto di omnicanalità collegando canali fisici e virtuali. L’app è stata pubblicata a maggio sugli store android e apple; è molto semplice da scaricare in sostituzione della vecchia versione. Sono anche state inserite e funzionalità di pagamento mobile per bollo, parcheggio, servizi ACI e via via, in modalità lean, verranno introdotte nuove tile.

Il gruppo di innovazione ACI guidato da Vincenzo Pensa: Stefania Di Mico, Federica Caracciolo, Rita Speranza, Antonio Ricotta, Francesca Zampa, Simona Dardari, Giuseppe Arcidiacono, e Laura Pepe e Alessandro Banci www.digital4executive.it

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ADVErTOrIAL

La geografia digitale per un processo decisionale Data Driven

Nel governo dei territori i dati, e in particolare i dati geografici, sono diventati una risorsa strategica. Non è pensabile, infatti, governare la crescente complessità di natura sociale ed economica senza poter disporre di strumenti e di tecnologie in grado di restituire una conoscenza puntuale e aggiornata del territorio al quale ci si riferisce. Dati istituzionali, dati che provengono dal funzionamento della stessa PA, dati che vengono dagli oggetti smart (l’Internet Of Things), e infine dati che provengono dagli stessi utenti delle città (si pensi ai dati di flusso provenienti dai mobile device) aumentano il loro valore informativo con la dimensione geografica. I progettI dI esrI ItalIa Le singole strutture della PA stanno adoperandosi per raccogliere i dati e per portarli a uso degli operatori del settore e dei cittadini. In questo contesto naturalmente disomogeneo, Esri Italia, l’azienda leader in Italia per le tecnologie e le soluzioni geospaziali, supporta le amministrazioni per creare soluzioni, basate sulla tecnologia Esri, che permettano di omogeneizzare e normalizzare i dati territoriali, rendendoli fruibili, in modo rapido e strutturato, e coerenti con gli standard dell’AgID. Oltre a fornire servizi di consulenza specialistica, Esri distribuisce infatti ArcGIS, la più avanzata e diffusa piattaforma software per la gestione di

p er u lt er I o r I I n f o r m a zIonI...

www.E S R I I TALI A. I T

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ADVErTOrIAL

Il Comune di Milano ha realizzato, con il supporto di Esri, il suo Geoportale: uno strumento per la conservazione, l’analisi e la distribuzione di tutta l’informazione geografica dell’Amministrazione

le tecnologIe esrI permettono dI omogeneIzzare e normalIzzare I datI terrItorIalI raccoltI dalle ammInIstrazIonI, rendendolI fruIbIlI, In modo rapIdo e strutturato, e coerentI con glI standard agId

massImIlIano mazzer Key Account Manager Esri Italia

dati geografici. Il tema dell’utilizzo dei dati per promuovere l’innovazione è stato al centro di recente di una tavola rotonda dal titolo “Data Driven Decision: un’opportunità per le Amministrazioni”, organizzata in collaborazione con Forum PA nell’ambito della Conferenza Esri Italia 2017, tenutasi il 10 maggio 2017 all’Ergife Palace Hotel di Roma, che ha visto la partecipazione e il confronto tra importanti esponenti di amministrazioni locali e centrali (tra cui il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, l’ISTAT, l’AgID, la Regione Lombardia, la Regione Puglia, il Comune di Milano), per condividere approcci, soluzioni e strumenti utili a favorire e sostenere la diffusione di pratiche di governo basate sull’informazione e la conoscenza. Esri Italia è stata anche Partner di Forum PA 2017 (23-25 maggio, Convention Center “La Nuvola”, Roma), occasione in cui ha illustrato il ruolo della Geografia Digitale e delle tecnologie geospaziali per l’innovazione e la trasformazione digitale della Pubblica Amministrazione. In par-

ticolare, Esri Italia è stata presente, insieme ad altri partner, al Convegno “Data Driven Decision: usare i dati per governare i fenomeni”, dove Esri Italia ha evidenziato alcuni temi e criticità per l’evoluzione digitale della PA. Al suo fianco c’era il Comune di Milano che ha da poco realizzato, con il supporto dell’azienda, il suo nuovo Geoportale: uno strumento di divulgazione e lavoro, deputato a divenire il luogo per la conservazione, l’analisi e la distribuzione di tutta l’informazione geografica dell’Amministrazione, affiancandosi agli altri strumenti esistenti e operanti. A partire dalle innovazioni infrastrutturali, grazie alla Piattaforma Esri, il Comune di Milano ha introdotto un nuovo strumento per i cittadini e un innovativo approccio organizzativo che consente di promuovere la condivisione e l’integrazione tra i dati dell’amministrazione, di favorire l’efficienza e l’ottimizzazione dei processi, con notevoli ricadute anche sull’abbattimento dei costi. «Nei recenti eventi sul Data Driven Decision, organizzati da Esri Italia, è emerso fortemente che il dato territoriale è centrale per una efficace gestione della macchina amministrativa pubblica, ad ogni livello», spiega Massimiliano Mazzer, Key Account Manager di Esri Italia. «Da anni ci impe-

gnamo a supportare le amministrazioni centrali e locali in questi progetti. Abbiamo sperimentato in tanti casi, come nella lunga collaborazione con il Comune di Milano, il valore della Piattaforma Esri come strumento di normalizzazione e integrazione di grandi moli di dati, in particolare per l’utilizzo e la fruibilità delle informazioni geografiche dall’esterno. I risultati raggiunti con gli strumenti messi a punto per il Sistema Informativo del Comune di Milano possono essere facilmente replicati in altre amministrazioni pubbliche locali e regionali, come i Comuni di Roma, Bologna, Firenze e Catania, per citarne alcuni, così come essere riprodotti in realtà municipali di minore estensione territoriale». Esri Italia affianca tante amministrazioni locali e centrali per realizzare sistemi e soluzioni avanzate in questo settore, per la gestione dei dati e per assicurare servizi ai cittadini, in tanti ambiti dove l’innovazione tecnologica fa la differenza come il Trasporto pubblico, il turismo, l’ambiente e l’energia, il catasto, la sanità, le tecnologie per la smart city. Da questo punto di vista, il contributo della Piattaforma Esri risulta fondamentale per un concreto passo in avanti delle Amministrazioni impegnate nell’innovazione tecnologica.

Chi è Esri Italia Esri Italia, Official Distributor di Esri per il mercato italiano, è l’azienda di riferimento in Italia per le tecnologie e le soluzioni geospaziali. Fornisce ai propri clienti gli strumenti per effettuare analisi geospaziali complesse sui propri dati; supporta enti e aziende nell’integrazione della componente geografica con le proprie piattaforme Enterprise; diffonde all’interno delle organizzazioni la potenza della lettura geografica delle informazioni. La mission è supportare, con massima attenzione, i clienti sostenendoli nella realizzazione di soluzioni che migliorino i processi operativi e decisionali. Tra i clienti di Esri Italia ci sono le Pubbliche Amministrazioni, molte aziende dei settori Utilities, Energia, Risorse Naturali, Telecomunicazioni, Trasporti, Commercio, nonché da Università, Enti di Ricerca e da Associazioni del settore No Profit. | 67 |


reportage

r e p or tag e | data p r ot ection, r ivoluzione g dp r : « ciclo continuo e t r accia bil e con s uppo rto di gi tale » di

daniele lazzarin

data protection, rivoluzione gdpr: «processo continuo e tracciabile, ideale il supporto digitale»

più responsabilità per outsourcer e fornitori cloud In generale, osserva Faggioli, il GDPR è un passo avanti su molti fronti. Un esempio è la responsabilità di outsourcer e fornitori di servizi Cloud. L’esternalizzazione dell’ICT è un trend inarrestabile: è logico affidare la gestione delle piattaforme digitali e della loro sicurezza ai Cloud provider, soprattutto per le PMI, che non hanno le risorse per difendersi da sole. «D’altra parte se uso una soluzione in Cloud, per le scelte di trattamento dati dovrò confrontarmi con il fornitore. Se per esempio gestisco il CRM con il software-as-a-service del fornitore X, con il GDPR dovrò accettare la valutazione dei rischi che fa X, o pagare di più i servizi. D’altra parte se un mio cliente subisce una sottrazione di dati personali potrà rivalersi anche su X». Faggioli ha poi “lanciato” gli interventi successivi citando altri pilastri del GDPR, come la data protection “by design” e l’accountability del titolare dei trattamenti. «È la terza “generazione” di norme sulla privacy, ma stavolta il legislatore vuole una vera svolta, viste anche le sanzioni previste, molto più alte dell’attuale normativa: possono arrivare nei casi più gravi anche al 4% del fatturato annuo».

Il dato personale è ormai un vero asset e il nuovo regolamento europeo per il trattamento dati riflette questo scenario con principi come “protection by design” e accountability. Conformarsi è obbligatorio entro maggio 2018 e richiede un percorso organizzativo e tecnologico da iniziare subito. Ma con quali priorità? Se n’è parlato a un workshop con gli esperti di P4i

Gabriele Faggioli, CEO di P4i: «È la terza generazione di leggi sulla privacy, ma stavolta il legislatore vuole una vera svolta, viste anche le sanzioni previste: possono arrivare nei casi più gravi anche al 4% del fatturato»

«il concetto rivoluzionario è che non ci saranno autorizzazioni» Nell’era della digitalizzazione il tema del trattamento dati è caldissimo. Il dato personale è ormai un asset, il cuore dei modelli di business di maggior successo, in primis Google e Facebook. Per questo la Comunità Europea ha promulgato un nuovo regolamento - GDPR, o General Data Protection Regulation – con direttive per molti aspetti radicalmente diverse dalla normativa precedente. Il GDPR è già in vigore e occorre conformarsi entro maggio 2018, affrontando un percorso organizzativo, tecnologico e di processi che va pianificato subito. Ma la consapevolezza tra le aziende italiane per ora è bassa. Questi i temi dell’evento “Alert GDPR: quali impatti per l’azienda?”, tenutosi a Milano nell’ambito dei Digital Performance Lab di TESISQUARE. «Il 2016 secondo il Rapporto Clusit è stato l’anno peggiore di sempre in termini di evoluzione delle minacce “cyber” e dei relativi impatti, ep| 68 |

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pure c’è ancora bisogno di fatti di cronaca, vedi WannaCry o una nuova legge, perché si parli di trattamento dati e sicurezza ICT con la giusta attenzione», ha spiegato Gabriele Faggioli, CEO P4i-Partners4innovation, Presidente Clusit e Condirettore Scientifico Osservatorio Security & Privacy del Politecnico di Milano. I motivi sono molti: c’è un problema di base di cultura e conoscenza, le informazioni sugli attacchi sono molto parziali («nessuna legge ha mai obbligato a comunicarli: il GDPR sarà la prima»), e la “superficie d’attacco” continua ad ampliarsi, per il diffondersi dello smart working e degli oggetti connessi (IoT). i primi investimenti nei budget 2018 Inoltre, pur sfiorando il miliardo di euro l’anno – dati dell’Osservatorio Security del Politecnico di Milano - gli investimenti in ICT Security in Ita-

lia sono insufficienti rispetto al valore generato dall’uso dell’ICT. «Il 72% degli attacchi nel 2016 sono stati ransomware e data breach, cioè eventi legati al cybercrime. Il ransomware ha provocato gravi danni ma almeno ha portato questi temi sulle prime pagine dei media», sottolinea Faggioli. Insomma la percezione dei rischi sta salendo, ma la pericolosità degli attacchi cresce più velocemente. In tale scenario lo stesso Osservatorio qualche mese fa ha fotografato l’approccio delle grandi aziende italiane al GDPR. «Quasi la metà non conosceva neanche l’argomento, ma credo che nel frattempo tale percentuale si sia azzerata; l’altra metà era già partita con progetti di adeguamento, ma siamo lontani da strategie dettagliate di investimenti e interventi. Nel caso migliore questi saranno messi a budget dal 2018, ma la vera forte crescita arriverà nel 2019 e nel 2020».

A proposito di Data Protection “by design”, l’art. 25 del GDPR dice che sia nel momento in cui si definisce un trattamento e gli strumenti per gestirlo, sia all’atto del trattamento, il titolare mette in atto misure tecniche e organizzative adeguate per soddisfare il regolamento, e deve essere in grado di dimostrare in ogni momento questa adeguatezza. «È un profondo cambiamento - ha spiegato Sergio Fumagalli, Responsabile Practice Data Protection di P4I e coordinatore di Europrivacy.info -. Il concetto è: ogni volta che si decide un nuovo trattamento, vanno definite fin da subito le misure per adempiere al GDPR». In condizioni particolari poi, e cioè nel caso di trattamenti basati su nuove tecnologie (per esempio black box in macchina, braccialetti smart, ecc.) che comportino alti rischi per diritti e libertà delle persone fisiche, è richiesta una valutazione d’impatto (Data Protection Impact Assessment) del www.digital4executive.it

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reportage | data pr ot e ct i on, r i vol u z i one gd pr : « c ic l o c o n t in uo e t rac c ia b il e c o n sup p o rt o dig ita l e »

«Nel GDPR l’accountability permea tutto, e ciò impatta anche sugli strumenti per gestire la compliance. È logico pensare a soluzioni digitali, sia per informatizzare i processi sottostanti, sia per documentare le decisioni»

trattamento. «Il titolare deve informarsi, decidere, e mantenere una documentazione che giustifichi tale decisione. Il concetto rivoluzionario è che non avrà un’autorizzazione. Può solo consultare il garante, che darà parere non vincolante. E non essendoci approvazioni, non ci sono rallentamenti». In generale comunque con questi tre principi – by design, impact assessment e consultazione preventiva - il GDPR introduce un approccio di data protection viva, continua, condivisa, con procedure sempre attive in azienda, forte collaborazione, e scelte sempre giustificabili, sottolinea Fumagalli. la libertà di decidere, con l’onere di saper giustificare Andrea Reghelin, Associate Partner P4I e coordinatore di Europrivacy.info, ha approfondito un altro concetto basilare del GDPR: l’accountability. «Il titolare è responsabile del rispetto di una serie di principi di Data Protection, tra cui liceità, correttezza e trasparenza nella gestione dei dati, limitazione del trattamento, dei dati utilizzati e della conservazione, integrità e riservatezza». Inoltre deve poter spiegare le scelte fatte per rispettarli. «Per esempio una password d’accesso ai dati deve avere una complessità proporzionata ai rischi che gravano sul trattamento specifico: devo dimostrare d’aver fatto l’analisi dei rischi e l’esito di tale analisi. Così devo poter spiegare perché ho deciso di non dotarmi di un DPO (Data Protection Officer) – nei casi in cui non è obbligatorio - o di non informare i clienti di una violazione dei loro dati; e poi anche i controlli vanno documentati». Insomma occorrerà un vero e proprio sistema aziendale di data protection, che supporti un processo “a ciclo chiuso”. «Non basta un ufficio, occorre applicare il principio by design, attribuire ruoli e responsabilità (la direzione HR deve governare i trattamenti in area HR, la direzione marketing quelli in area marketing e così via), aggiornare continuamente il registro dei trattamenti, definire regolamenti e procedure, mantenere la documentazione di decisioni e controlli, controllare l’effettiva applicazione, fare adeguamenti quando servono». | 70 |

Insomma, sottolinea Reghelin, il titolare ha libertà di decidere come adeguarsi al GDPR («con l’aiuto del DPO, che nello spirito della legge è un organo consultivo e di controllo»), ma tale libertà è gravata dall’onere di dimostrare perché sono state prese le decisioni. «L’accountability permea tutto, e questo ha impatti anche sugli strumenti per gestire la compliance al GDPR. È logico ricorrere a soluzioni digitali, sia per informatizzare i processi sottostanti, sia per documentare decisioni e controlli». una rete d’imprese per una soluzione ad hoc Proprio per questo TESISQUARE ha deciso di investire negli ultimi 18 mesi nell’evoluzione della sua soluzione di gestione della privacy, per farne un “Data Protection Management Tool”. «Abbiamo messo a punto TESI GRC Modulo GDPR costituendo una rete d’imprese con P4I, che ha contribuito con le sue competenze legali e di digitalizzazione dei processi, Blackswan, che ha portato in dote i suoi modelli di analisi del rischio, e Compet-e, specialista di gestione della privacy», ha spiegato Gianluca Giaccardi, Business Line Executive GRC e HRM di TESISQUARE. Le funzioni principali della soluzione sono organization and roles («mappatura dei ruoli impattati dalla Data Protection, non solo interni»), processing management («registro dei trattamenti, con due processi principali: privacy by design per i nuovi trattamenti, assessment periodico per quelli vecchi»), analisi rischi («impact analysis, calcolo rischio netto») e misure di sicurezza, Supplier Qualification, gestione delle richieste degli interessati (cioè i titolari dei dati personali), incident and data breach, gestione audit/non conformità/remediation plan, e infine reporting/dashboarding. «L’obiettivo – conclude Giaccardi - è digitalizzare sia il modello organizzativo, grazie al supporto di workflow e collaborazione, sia la governance di tale modello attraverso cruscotti delle attività, grazie anche all’integrabilità della soluzione con gli altri sistemi informativi aziendali, per esempio applicativi di HR per derivare le modifiche organizzative o di analisi dei rischi».

Il punto di riferimento

per l’aggiornamento Executive sull’Innovazione Digitale Gli Osservatori Digital Innovation della School of Management del Politecnico di Milano sono una fonte unica di informazioni, dati e conoscenza sui temi chiave dell’Innovazione Digitale.

I Percorsi di Aggiornamento Executive

Workshop e Webinar tenuti da analisti ed esperti degli Osservatori Digital Innovation

permettono di stare al passo con i trend di innovazione e con le nuove teconologie digitali per essere sempre competitivi Percorso: Ecommerce & Customer Experience Strategy (2016-2017) La crescita dell’eCommerce è pervasiva. Qualsiasi commercio, oggi, deve fare i conti con il suo lato elettronico. Ed è necessario offrire al consumatore soluzioni adeguate. Perché non basta un sito e un carrello per fare eCommerce. Il Percorso (2 Workshop e 5 Webinar) approfondisce gli aspetti chiave della formulazione di una strategia omnicanale, elemento determinante nella gestione dell’intera relazione con il cliente (dall'engagement al post-vendita).

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Percorso: Digital Travel Innovation (2016-2017) Il turismo digitale apre il campo a dinamiche e abitudini tutte nuove. Gli strumenti moderni offrono opportunità imperdibili. Il Percorso (5 Webinar) illustra come il Digitale stia trasformando il mercato dei viaggi sia Leisure che Business e mostra come cogliere le opportunità che i nuovi strumenti generano a vari livelli della filiera e della relazione con il cliente.

Percorso: Customer Relationship Management (2016-2017) Fidelizzare i clienti vuol dire saper gestire le relazioni. Come ci si deve muovere fra dati raccolti, campagne marketing e nuovi regolamenti? Il Percorso (1 Workshop e 4 Webinar) vuole offrire un quadro completo per migliorare non solo la gestione dei propri clienti attraverso i nuovi sturmenti digitali, ma anche il marketing, la promozione, la gestione commerciale, la strategia di vendita.

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Per l’offerta completa sui Percorsi di Aggiornamento Executive visita www.osservatori.net e se sei interessato a percorsi tematici sull’innovazione digitale in lingua inglese contatta Daniela Lecce: email daniela.lecce@osservatori.net | telefono +39 02 2399 9524

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Per maggiori informazioni: email matteo.castiglioni@osservatori.net | telefono +39 02 2399 9590 | cellulare +39 392 3821952


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nor mati ve | G l i a udit del le Sof twa r e HouS e: com e a f f r onta r li e GeS ti rli al me Gli o

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Un supporto legale specialistico, con focus sulle peculiarità della contrattualistica informatica, può rivelarsi fondamentale per intavolare e sostenere la dialettica con la software house

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SEnIor LEGaL ConSULtant dI P4I - PartnErS4InnovatIon e

Gli audit delle Software House: come affrontarli e gestirli al meglio

gAbrIele fAggIolI

GIUrISta, CEo dI P4I - PartnErS4InnovatIon

È fondamentale che ogni azienda effettui al proprio interno una serie di accertamenti preliminari in modo che, una volta raggiunto un quadro preciso del parco software installato e dei contratti in essere, possa concordare con il fornitore le “regole del gioco”

La richiesta di audit avanzata dalle software house per verificare la conformità di quanto installato ai termini e condizioni previsti nei contratti di licenza d’uso – richiesta oggigiorno molto frequente – costituisce un momento particolarmente delicato dei rapporti tra l’azienda ed il vendor. Un momento in cui, data la crescente complessità delle condizioni di licensing e delle metriche di utilizzo previste dalla maggior parte dei vendor, la sinergia e l’integrazione tra competenze giuridico-legali e competenze tecnico-operative esistenti all’interno dell’azienda si rivela particolarmente importante al fine di gestire correttamente le diverse fasi dell’audit. Per poter affrontare al meglio la verifica, è particolarmente importante che l’azienda espleti al proprio interno una serie di accertamenti preliminari rispetto al formale avvio delle operazioni di audit. In primo luogo, è opportuno procedere a inventario delle licenze possedute e comparare le risultanze della propria verifica con le indicazioni provenienti dal vendor. Parallelamente sarà necessario ricostruire e acquisire l’intera impalcatura contrattuale relativa | 72 |

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agli accordi in essere con il vendor. Essa contiene, tra l’altro, la disciplina delle condizioni e delle metriche di utilizzo dei programmi, nonché dei diritti che possono essere fatti valere dal vendor in sede di verifica, oltre che costituire prova della legittima acquisizione dei diritti di utilizzo sui prodotti licenziati. Un supporto legale specialistico, con focus sulle peculiarità della contrattualistica informatica, può rivelarsi fondamentale per intavolare e sostenere la dialettica con la software house o con l’auditor terzo da essa investito dell’incarico di espletare materialmente la verifica. Ciò perché gli accordi di licenza – tipicamente predisposti in maniera unilaterale dal software vendor e accettati dai licenziatari per lo più passivamente, senza alcuna rilevante possibilità di negoziarne termini e condizioni – potrebbero presentare clausole di difficile interpretazione o addirittura profili di potenziale abusività o illegittimità. Un esempio evidente di quanto sopra è costituito dalla sentenza C-128/11 del 3 luglio 2012, con cui la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha ri-

qualificato in vere e proprie compravendite gli accordi di licenza a tempo indeterminato, sancendo conseguentemente l’illegittimità di ogni clausola o previsione in essi contenuta con cui si vietasse o si subordinasse al previo consenso del vendor la successiva rivendita del software oggetto di cessione. Sotto un profilo più tecnico, invece, al fine di prepararsi adeguatamente alla verifica condotta dal vendor, preventivandone i potenziali rischi e pianificando le opportune e necessarie strategie di mitigazione nel breve termine, l’azienda potrà valutare la possibilità di svolgere al proprio interno, eventualmente con il supporto di consulenti esterni specializzati in tale ambito, un’attività di Asset Software Management (SAM). Tale attività, effettuata in via preventiva, costituisce un esempio di modello di gestione e controllo che l’azienda potrebbe implementare per evitare di commettere reati per violazione dei diritti di proprietà intellettuale esistenti sul software, in tal modo esonerandosi da responsabilità amministrativa, ex d. lgs. 231/2001. Ma può essere espletata anche in vista in di un imminente e preannunciato audit della software house, per ottenere una “fotografia” realistica e oggettiva delle installazioni di software in azienda, eventualmente individuando i possibili gap tra i dati di inventario o le installazioni reali, in modo da poter approntare le eventuali azioni correttive. Una volta che l’azienda abbia raggiunto consapevolezza sulla situazione del proprio parco installato e abbia ricostruito il quadro giuridico che ne governa l’utilizzo, è opportuno e vivamente consigliabile definire e concordare con il vendor e/o con l’eventuale auditor terzo le “regole del gioco” per l’audit stesso. Sotto questo profilo, occorrerà, tra l’altro: - definire e delimitare con esattezza il perimetro dell’audit, tanto sotto il profilo oggettivo, procedendo a esatta identificazione dei prodotti da sottoporre a verifica (cosa che acquista rilevanza nelle ipotesi in cui l’azienda utilizzi più prodotti software licenziati dalla medesima software house), quanto sotto il profilo soggettivo, procedendo a identificazione del perimetro societario impattato dall’audit

medesimo (aspetto che assume rilevanza nell’ipotesi in cui l’azienda destinataria della verifica faccia parte di un gruppo societario); - valutare con le controparti l’opportunità o la necessità di sottoscrivere specifici accordi di confidenzialità che garantiscano la riservatezza delle operazioni da effettuarsi e delle informazioni raccolte attraverso le stesse; - far chiarezza sulle regole che presiederanno all’espletamento delle operazioni di verifica, anche alla luce di quanto previsto in merito dagli accordi di licenza; - concordare quali strumentazioni verranno utilizzate e quali tipi di dati verranno raccolti. È evidente che la gestione dell’audit dovrà poi tenere conto della specificità dei prodotti licenziati, delle forme e modalità attraverso cui il vendor procede a verifica, del fatto che l’azienda possa essere in concreto inadempiente rispetto all’accordo di licenza (talora anche in maniera inconsapevole) e di una serie di variabili che non sempre è possibile preventivare, ma che dovranno essere gestite al momento. In linea generale, occorre comunque tener presente che, nonostante la possibilità di accesso e verifica sia un diritto contrattualmente pattuito a favore del vendor, tutto ciò che non è espressamente previsto nel contratto non può considerarsi autorizzato. Il vendor per esempio non potrà imporre attività diverse o ulteriori rispetto a quelle predeterminate in contratto, né imporre unilateralmente una modifica delle condizioni contrattuali, se tale diritto non è stato espressamente normato nell’accordo. Ancora: nel caso di aziende appartenenti ad ampi gruppi societari, l’audit rivolto a una di esse non potrà essere indiscriminatamente esteso a tutte le altre, e potrà essere contestato come illegittimo l’eventuale tentativo del vendor di estendere il perimetro della verifica all’utilizzo che dei propri programmi facciano tutte le entità afferenti al medesimo gruppo societario, a prescindere dalla formale identificazione dei destinatari dell’audit quali licenziatari e/o utilizzatori, alla luce delle previsioni contrattuali contenute nei contratti azionati. www.digital4executive.it

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R UB R I CA | ri c e rc he e s tudi

rubrica | ricerche e studi a cura di

paola capoferro ronchetta

CFO e FunziOne FinanCe, un FuturO da primO suppOrtO del CeO. COn l’aiutO del ClOud e del digitale

L’eCommerCe B2B in itaLia vaLe 310 miLiardi: «iL 14% deLLe interazioni Business è digitaLe»

Un’indagine KPMG sui Chief Executive evidenzia che il direttore finanziario è il ruolo più in crescita. Un ruolo da “Renaissance CFO” protagonista delle strategie aziendali, in sintonia con le Line of Business, che richiede di liberare tempo e risorse per attività cruciali oltre la classica sfera amministrativa e contabile, dalle M&A alla stessa IT

Gli scambi di informazioni e le transazioni tra imprese via web o EDI crescono del 19% in un anno. Più di metà delle grandi aziende, e una PMI su 4, usano soluzioni eProcurement, eSupply Chain Execution o Collaboration. Tutti i dati del report 2017 dell’Osservatorio Fatturazione Elettronica ed eCommerce B2B del Politecnico di Milano

Oggi il CFO (Chief Financial Officer) è il manager “C-Level” con le più grandi opportunità in azienda di assumere un ruolo cruciale. Sia in termini di visibilità sulla creazione di valore di tutte le LOB (Line of Business), sia di “information broker” a supporto delle decisioni strategiche. Su questo c’è ampia convergenza nelle indagini di mercato e analisi degli esperti. Ma il salto di qualità non è scontato: richiede un deciso cambiamento di mentalità, competenze e attività, nel quadro della trasformazione digitale in corso e dei conseguenti impatti continui su processi, organizzazione e allocazione delle risorse. Ogni CFO e relativa funzione Finance che ci riuscirà diventerà il primo riferimento del CEO e del Board, in piena collaborazione con gli altri C-Level e le LOB. I primi a esserne convinti sono proprio i CEO, cioè i numeri 1 di imprese e organizzazioni, per i quali il CFO è il top manager che crescerà di più nel prossimo futuro. Secondo il report “The view from the top” di KPMG - basato su interviste a 549 CEO di grandi aziende di 29 Paesi (tra cui l’Italia) con fatturato oltre 500 milioni di dollari - il 56% dei CEO pensa che la figura che più aumenterà di im-

310 miliardi di euro. Questo il valore raggiunto in Italia nel 2016 dall’eCommerce B2B, la gestione delle transazioni tra imprese tramite soluzioni digitali: un valore cresciuto del 19% in un anno, e che rappresenta il 14% del totale delle transazioni tra le imprese (B2B) nel nostro Paese, che nel 2016 è stato di 2200 miliardi di euro. Questi i principali dati dell’edizione 2017 dell’Osservatorio Fatturazione Elettronica ed eCommerce B2B del Politecnico di Milano. La metà del valore dell’eCommerce B2B italiano si concentra nel rapporto tra produttori e rivenditori, mentre il 30% scaturisce da scambi tra produttori e fornitori, e il restante 20% dai rapporti

la strada per diventare “renaissanCe CFO” Per il CFO, quindi, una vera e propria investitura: il report infatti parla di “Renaissance CFO”, ma nel contempo evidenzia anche un notevole gap tra aspettative e realtà, visto che il 30% dei CEO pensa che il proprio CFO oggi non li assista nel modo migliore nell’affrontare le sfide strategiche. Più precisamente il 35% dei CEO vorrebbe più valore dal CFO soprattutto nell’area crescita/performance (fusioni e acquisizioni, alleanze, nuovi mercati, ecc.). Il 30% invece chiede ai CFO valore soprattutto nell’area Governance, e cioè compliance, relazioni con board e investitori, risk management. Il 16% prevalentemente nell’area efficienza (costi, working capital, sourcing), il 12% nell’area controllo (IT, Internal Audit), e il 7% nell’area innovazione (di prodotto, di mercato, di modello di business). Per adeguarsi il più possibile a queste altissime attese (non a caso alcuni parlano di “Augmented CFO”) e rende-

re il proprio ruolo davvero strategico in azienda, il CFO deve andare oltre la corretta raccolta e reporting dei numeri: deve saper scoprire cosa tali numeri significano ora, e possono significare per il futuro dell’azienda. E quindi per esempio simulare scenari (performance, profittabilità, sostenibilità, …) per i prossimi anni, facilitare il business planning per le LOB e gli altri C-Level, in coerenza con budget e piani strategici, suggerire azioni di risposta ai cambiamenti di business. Ma non solo. Il CFO oggi deve dare contributi fondamentali per esempio crescita aziendale, anche internazionale, per temi come fusioni e acquisizioni (M&A), spin-off, outsourcing, integrazione dei canali commerciali fisici e online (omnicanalità), e delle filiere produttivo-logistiche (supply chain), governance e allineamento delle subsidiary. In ambito Regulatory & Compliance deve gestire modelli di reporting e standard contabili diversi, rapporti con molte tipologie di stakeholder e investitori, ottimizzare la leva fiscale (Tax management). Nella Pianificazione e controllo orchestrare nuovi modelli di budgeting e forecasting (zero-based, predictive, risk-based,....), e di Profitability & cost management.

grossisti-rivenditori e produttori-grossisti. 120mila imprese italiane nel 2016 hanno usato soluzioni di eCommerce B2B, il 20% in più dell’anno precedente. Tra esse c’è oltre la metà delle grandi imprese italiane, e più di una PMI su 4. Distinguendo per comparti merceologici, Automotive (80 miliardi di euro), Largo Consumo (65 miliardi) e Farmaceutico (18 miliardi) sono i primi 3 settori in Italia per volume di scambi di eCommerce B2B. L’Automotive si conferma al primo posto anche per l’incidenza dell’eCommerce rispetto al totale del transato B2B (ben il 70%), quasi eguagliato però dal Farmaceutico (67%). L’Osservatorio classifica le soluzioni

eCommerce B2B in tre categorie: eProcurement (ricerca, qualificazione e certificazione fornitori, negoziazione su strumenti digitali, eCatalog), eSupply Chain Execution (fasi logistiche, commerciali, amministrative e contabili), eSupply Chain Collaboration (pianificazione, sviluppo nuovi prodotti, gestione della qualità). «Circa il 75% del valore dell’eCommerce B2B scaturisce dall’uso di applicazioni di eSupply Chain Execution, perché le imprese negli ultimi anni si sono concentrate soprattutto sul recupero di efficienza digitalizzando il Ciclo Orderto-Pay – ha spiegato Irene Facchinetti, Direttore dell’Osservatorio -. Le solu-

Fonte: Politecnico di Milano

portanza nei prossimi 3 anni è appunto il CFO. Il 47% indica invece il COO (Chief Operations), il 44% il CIO/CTO, il 34% il CMO (Chief Marketing), e il 20% il CHRO (Chief Human Resources).

Il 35% dei CEO vorrebbe più valore dal CFO nell’area crescita/performance (fusioni e acquisizioni, alleanze, nuovi mercati, ecc.), il 30% invece nell’area Governance, e cioè compliance, relazioni con board e investitori, risk management | 74 |

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noimi r u bri cRU aBRICA | n o| m nnee

RUBRI C A | ri cerch e e s t u d i

zioni di eProcurement ed eSupply Chain Collaboration invece sono usate per lo più da poche grandi imprese e incidono molto meno sui volumi complessivi scambiati». Per quanto riguarda l’eSupply Chain Execution, l’Osservatorio distingue tra connessioni EDI e portali B2B/Extranet. Nel primo caso (reti EDI) oltre 150 milioni di documenti digitali (+36% rispetto al 2015) - soprattutto fatture, ordini, conferme di spedizione - sono stati scambiati nel 2016 tra oltre 12.000 imprese (+9%), il 96% delle quali appartiene a soli cinque settori: Automotive, Elettrodomestici/Elettronica di Consumo, Farmaceutico, Largo Consumo, Materiale Elettrico. Quanto a Extranet e Portali B2b, sono circa 430, utilizzati principalmente dalle grandi imprese per interagire con ecosistemi frammentati o piccole imprese.

C’è poi anche il Sistema di Interscambio (SdI) per interagire con la Pubblica Amministrazione (e non solo), già adottato al 31 dicembre 2016 da oltre 900.000 imprese, con cui l’anno scorso sono state scambiate oltre 30 milioni di Fatture Elettroniche nel Tracciato FatturaPA. Passando all’eProcurement, in Italia sono quasi 250 i grandi Portali che supportano sia i processi di selezione e qualifica dei fornitori sia le fasi di negoziazione e acquisto. Nel 60% dei casi i Portali sono cataloghi elettronici, prevalentemente per l’acquisto di beni e servizi indiretti, nel restante 40% gestiscono anche lo scambio di documenti del Ciclo dell’Ordine. Quanto all’eSupply Chain Collaboration, l’adozione di queste soluzioni resta limitata. Fanno eccezione pochi grandi attori che hanno deciso di scambiare

con clienti e/o fornitori informazioni “strategiche” (dati di sell-out, livelli di stock, piani di produzione, previsioni di vendita) oltre a quelle “operative” (Ordini, Fatture). Si rileva interesse per le collaborazioni nei processi di Marketing e Comunicazione (30% delle imprese), meno nello sviluppo congiunto di nuovi prodotti (14%). Infine oltre il 60% delle grandi imprese intervistate dall’Osservatorio indica tra le priorità di investimento per i prossimi tre anni progetti digitali a supporto del ciclo Order-to-Pay, e dei processi interni (Gestione Elettronica Documentale, Conservazione Digitale). Tre imprese su quattro dichiarano tra le priorità almeno un progetto collaborativo (Marketing o Monitoraggio della Supply Chain). Prioritarie solo per un’impresa su cinque, invece, le soluzioni di eProcurement.

MassiMo Macarti aMMinistratore Delegato, canon italia Massimo Macarti è il nuovo Amministratore Delegato di Canon Italia. Il manager, che da gennaio ricopriva il ruolo ad interim di managing director della filiale italiana lasciato da Enrico Deluchi, ha una profonda conoscenza dell’azienda, dove è entrato nel 1991. Prima di diventare AD, ha ricoperto diversi ruoli, tra cui quello di Senior Vice

President of Corporate Communitations and Marketing Services, e, precedentemente, di Chief of Human Resources, sempre in Canon Emea. «Approccio il nuovo incarico con entusiasmo, determinazione e la volontà di mettere l’esperienza maturata a livello internazionale al servizio della filiale italiana», ha commentato Macarti.

siMone Masè ceo, saatchi & saatchi italia

Publicis Communications ha scelto Simone Masè come nuovo CEO di Saatchi & Saatchi Italia, una tra le agenzie pubblicitarie italiane più premiate al mondo. Trentino, 46 anni, con una lunga carriera internazionale, Masè proviene dal mondo delle aziende: ha ricoperto, infatti, la carica di Global Marketing Activation Director per Heineken, Senior Advisor

Marketing & International Development per Trentino e Chief Marketing Officer del brand Pinko. Masè manterrà anche il ruolo di Chief Marketing Officer di Publicis Communications assunto a inizio anno con l’obiettivo di coordinare, sviluppare e accrescere il business del Hub creativo del gruppo francese nel nostro Paese.

siMona cleMenza ceo, Krizia

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Krizia ha annunciato la nomina di Simona Clemenza quale nuovo CEO del brand di moda. Torinese, classe 1973, la manager è stata scelta per la sua solida esperienza professionale, maturata prima all’interno di grandi aziende italiane quali Blumarine e Gianfranco Ferré, e poi a capo dei più prestigiosi marchi internazionali del lusso e della moda. Dal 2006 al 2012 è stata, infatti, Direttore Commerciale wholesale & franchising del Gruppo Kenzo-Lvmh, per poi essere chiamata a ricoprire la carica di Vice Presidente del settore Global Sales & Licen-

sing del brand di Karl Lagerfeld, ruolo che ha mantenuto fino al nuovo incarico di CEO. La sua nomina fa parte di un più ampio piano strategico di rinnovamento intrapreso da Krizia, volto a dare ulteriore impulso in un’ottica di espansione nei mercati nazionali e internazionali. «La riconosciuta professionalità di Simona Clemenza contribuirà allo sviluppo della strategia di crescita globale del marchio», ha dichiarato Mrs. Zhu ChongYun, che nel 2014 ha acquisto la griffe fondata da Mariuccia Mandelli.

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R UBRI C A | no mi ne

07 Novembre 2017 08 MiCo Milano Congressi

Luca camerano amministratore DeLegato e Direttore generaLe, a2a ricoperto la carica di Amministratore Delegato di GDF SUeZ energie, e prima ancora nel Gruppo enel l’incarico di Direttore Generale della controllata enel Gas sin dal momento della costituzione della Società. nel Gruppo enel ha rivestito, inoltre, la carica di Responsabile dell’Area Business e microbusiness Gas/energia elettrica e dell’Area di Business Residenziali Gas. È stato Direttore Generale di Camuzzi e Amministratore Delegato di Plenia. Prima di entrare nel mondo delle utility, ha maturato una significativa esperienza nel settore del corporate e investment banking all’interno di Citigroup

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recentemente è stato Presidente e Ceo di mobilink in Pakistan (2014-2017), dove ha trasformato profondamente il business e gestito nel 2015 la fusione e il progetto di integrazione con Warid. Ha cominciato la carriera a Swisscom (1994-98) fino a diventare Vice Presidente e membro del consiglio esecutivo di Swisscom international. in seguito è passato a Deutsche Telekom, inizialmente in Germania, dove è stato vice presidente esecutivo e membro del consiglio esecutivo (1999-2002) e poi negli Usa (2002-2004).

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Jeffrey Hedberg è il nuovo Ceo di Wind Tre. Succede a maximo ibarra al vertice della società dall’inizio dell’anno, dopo essere stato alla guida di Wind. Dopo il successo della prima fase d’integrazione, Hedberg è stato nominato per condurre la società nella prossima fase e costruire il “più innovativo player sul mercato italiano con la più ampia rete nel 4G/Lte del Paese, oltre a creare un pioniere in campo digitale”. il neo Ceo ha ricoperto ruoli di vertice nelle telecomunicazioni per oltre 25 anni. Più

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Luca Camerano è il nuovo Amministratore Delegato e Direttore Generale di A2A. Come AD, Camerano ha fra le sue responsabilità la gestione della società A2A, con una serie di poteri molto vasti, accordatigli in fiducia dall’intero CdA. nello specifico, si occupa del rapporto coi media e coi giornali, con le istituzioni e le autorità competenti, con gli enti esterni e ovviamente con i piccoli azionisti facenti parte di A2A. inoltre, Camerano ha anche il potere di passare al vaglio eventuali nuove proposte mirate a operazioni fuori dall’ordinario. Camerano, 52 anni, precedentemente, ha

Rachel Botsman ECONOMIA COLLABORATIVA

Nicholas Negroponte FUTURO

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Abigail Posner CREATIVITÀ

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wobi.com/wbf-milano



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