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. I trend dell’innovazione: dell'innovazione: le priorità delle aziende italiane, la vision dei vendor . Umberto Bertelè: l’auto L'autodel delfuturo futuro . Matt Brittin (Google): come cogliere le opportunità della rivoluzione digitale . Steven Kotler: tecnologie, community e nuovi processi mentali, la ricetta vincente .
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EDITORIALE
Apple sulle montagne russe Il 23 febbraio 2015 Apple valeva in Borsa 775 miliardi di dollari, la cifra più alta di tutti i tempi, e sembrava proiettata verso quota 1000. Il 30 gennaio 2016 (mentre scrivo), a poco meno di un anno di distanza, ne vale solo 521. È una caduta di circa 250 miliardi, solo in parte riconducibile ai ricchi dividendi e ai buyback: elevatissima, se si pensa che i primi 7 gruppi per capitalizzazione italiani (Eni, Intesa Sanpaolo, Enel, Luxottica, Unicredit, Generali e Telecom Italia) valgono complessivamente 240 miliardi; a prima vista sorprendente, se si pensa che l’utile trimestrale appena comunicato è il più elevato della storia della società. Apple non è però nuova alle cadute. Solo 3 anni fa il suo valore era passato dai 630 miliardi di settembre 2012 ai 370 del giugno successivo, con un salto pari in termini assoluti ma più cospicuo in percentuale. Per poi iniziare il ridecollo e crescere in diciotto mesi di 400 miliardi, sino a quota 775.
di
UMBERTO BERTELÈ PRESIDENTE ADVISORY BOARD DIGITAL4EXECUTIVE AUTORE DI “STRATEGIA”
@umbertobertele
Parlare di montagne russe non è esagerato. Come può spiegarsi una volatilità così elevata, per una società che ha costantemente incrementato le sue performance sino agli attuali 235 miliardi di ricavi e quasi 54 di utile? Come può spiegarsi che la Borsa abbia quasi allineato la valutazione di Google (ora Alphabet) a quella di Apple, portandola a oltre 500 miliardi, 35 volte l’utile netto (15 miliardi circa) contro il multiplo 10 usato per Apple? E che lo stesso multiplo 35 sia applicato a Microsoft, non certo una start-up, nell’attribuirle un valore di 415 miliardi a fronte di 11 di utile? È la paura per il futuro che periodicamente sembra ossessionare il mercato nel giudicare Apple. La paura fu il fattore scatenante della caduta di tre anni fa: paura, a quasi un anno dalla scomparsa di Steve Jobs, che fosse irriproducibile il modello di crescita basato sui breakthrough (iPod e iTunes, iPhone, iPad) di cui era stato l’artefice assoluto. La risposta di Tim Cook, suo successore, fu quella di cambiare modello: non puntare su nuovi breakthrough (anche se forse le attese su Apple Watch erano maggiori), ma estrarre il massimo valore possibile dall’esistente, anche sfruttando la crescita vertiginosa della domanda globale di smartphone (1,2 miliardi di esemplari nel 2014). Egli fece tutto ciò che un manuale di marketing consiglia: tinse di lusso l’immagine, per mantenere premi di prezzo elevati; lavorò sull’iPhone, ingrandendone sull’onda di Samsung lo schermo e introducendo funzionalità quali i pagamenti; entrò con forza nel mercato cinese, conquistandone la fascia alta. Con la contropartita però che la società venne sempre più a identificarsi con il prodotto che le garantiva i maggiori profitti e due terzi dei ricavi, l’iPhone. Per cui, all’apparire dei primi segni di rallentamento della domanda, il titolo iniziò a scendere sino a precipitare ai livelli attuali. Ha ragione Apple nel rifiutare l’etichetta di società hardware, nell’esaltare le sue potenzialità di espandersi nei servizi sfruttando l’enorme parco installato (un miliardo circa di device fra iPhone, iPad e Mac) e nell’evidenziare l’esistenza di una riserva di caccia quasi inesplorata quale l’India? O ha ragione il mercato, nel preoccuparsi che - in assenza di novità di rilievo anche i premi di prezzo dell’iPhone siano destinati a ridimensionarsi, in un mercato che sembra essere (almeno nella fascia alta) sempre più di sostituzione? Solo il futuro darà una risposta. Non credo che le occasioni di nuovi business mancheranno, perchè il processo di digitalizzazione dell’economia - come si vede dai fermenti in atto nell’auto, nella finanza e nel manufacturing - è tutt’altro che concluso. Non è certa però la coincidenza fra i protagonisti di oggi e quelli di domani, come le storie di Nokia e BlackBerry insegnano. E una riflessione va fatta anche sui danni che gli utili e le capitalizzazioni dei big del digitale - a partire da Apple - potrebbero soffrire, se la loro capacità di eludere il fisco dovesse svanire.
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cover storyY
Digital Transformation in Italia: nel 2016 tornano a crescere gli investimenti
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Mariano Corso e Alessandra Luksch, School of Management, Politecnico di Milano
Le sfide per le imprese I piani del Governo: Identità Digitale, Pagamenti Elettronici e Anagrafe Nazionale
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Antonio Samaritani, Direttore Generale Agenzia per l’Italia Digitale
Le priorità e le vision dei vendor
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digital economy & strategyN
L’industria automobilistica, Internet e “l’effetto punteruolo rosso”
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Umberto Bertelè, Presidente Advisory Board Digital4Executive MANAGEMENTK
Come cogliere le opportunità della rivoluzione digitale
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Le straordinarie possibilità del nostro tempo
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Matt Brittin, President, Business & Operations EMEA di Google Steven Kotler, autore, giornalista e imprenditore
Normative - Gli elementi fondamentali da considerare quando si sigla un contratto di Public Cloud
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Gabriele Faggioli, giurista, Partners4Innovation, Presidente Clusit digital transformationK
Advisory Board
Marketing - Mobile experience, le dieci regole d’oro per un’App vincente Procurement - Helvetia ridisegna il processo di acquisto e passa al digitale PA - ACI sulla strada del digitale Manufacturing - Smart Manufacturing, riparte l’innovazione in Italia, ma ci vuole un piano nazionale Supply Chain - Leitner ottimizza la Supply Chain grazie a una gestione digitale ad alta integrazione
Carlo Alberto Carnevale Maffè Università Bocconi
Enterprise Services EMEA South, Hewlett Packard Enterprise
Francesco Sacco Università dell’Insubria - SDA Bocconi Raffaello Balocco Segretario Advisory Board
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L’Internet of Things dà forma alla nuova ICT “molecolare”
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Alberto Tripi, Presidente Almaviva
«I quattro check point per ogni executive: dalla mobility all’analisi dei dati» Sergio Colella, Vice President and General Manager,
Maurizio Dècina Politecnico di Milano
Paolo Pasini SDA Bocconi
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intervisteK
Umberto Bertelè Presidente Advisory Board Giampio Bracchi Politecnico di Milano
Giuliano Noci Politecnico di Milano
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speciale “cybersecurity”K
Security & Privacy, cresce in Italia la consapevolezza. Ma non basta
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reportageK
La postazione ideale per lo Smart Working: soluzioni abilitanti e policy organizzative 80
rubrica | ricerche e studi
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rubrica | nomine
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cov e r s tory
di
Digital Transformation in Italia: nel 2016 tornano a crescere gli investimenti
Mariano corso
school of management politecnico di milano
La ricerca della Digital Transformation Academy del Politecnico di Milano su oltre 230 CIO delle principali imprese italiane prevede un incremento dello 0,7% per i budget ICT. Big Data/analytics, dematerializzazione, ERP e CRM le aree tecnologiche prioritarie per i nuovi progetti. «Stiamo entrando in una fase di “post-disruption”, con un rinnovamento culturale che genera nuove visioni tecnologiche, ma anche di business»
In questi ultimi due anni, caratterizzati dal continuo calo dei budget ICT, le imprese italiane hanno cercato di capire il fenomeno “digital disruption”, trascinate dall’entusiasmo di sorprendenti successi come quelli di AirBnb e Uber. Spesso i risultati sono stati deludenti, sia per un inadeguato approccio culturale, sia per la mancanza di risorse, destinate quasi solo al mantenimento e raramente all’innovazione. Ma anche per il ritardo accumulato dalla Pubblica Amministrazione. Se guardiamo alle classifiche sulla digitalizzazione, in cui l’Italia continua a essere in posizioni tristemente basse, dovremmo dire che poco è cambiato e il gap della spesa digitale italiana con la media UE 27 continua a essere altissimo. Eppure il 2015 non si può certamente archiviare come un anno negativo: per fare qualche esempio, il mercato dei Big Data Analytics è cresciuto in Italia del 34%, il Cloud prospetta una crescita del 25%, il Mobile è ormai così capillare da contare nel nostro Paese 45 milioni di device mobili, l’internet delle cose è cresciuto prepotentemente | 6 |
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con 8 milioni di oggetti connessi e un mercato che nell’ultimo anno ha raggiunto il valore di 1,55 miliardi di euro. Anche nella PA finalmente qualcosa sembra muoversi: con l’approvazione del programma di crescita digitale e il rinnovo dei vertici di AGID abbiamo finalmente un piano con priorità che valgono un impegno di 1,5 miliardi l’anno (vedi pag. 17). E ancora, l’ecosistema italiano delle startup finanziate, nonostante le dimensioni ancora limitate, mostra un buon fermento e inizia a dare segni di sistematicità e trend positivi in termini di fatturato totale generato e dipendenti dichiarati a bilancio, rispettivamente 184 milioni di euro e oltre 1500 persone nel 2014. Grandissime imprese a tutta digitalizzazione Ci sembra quindi di assistere all’auspicato cambiamento di approccio: c’è un atteggiamento meno
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di
alessandra luksch school of management politecnico di milano
disorientato, in cui le imprese si accingono a entrare in una fase che potremmo definire di “post-disruption” con un rinnovamento culturale che genera nuove visioni non solo tecnologiche ma anche di business, per contrastare la velocità e l’imprevedibilità dei fenomeni che caratterizzano la competizione attuale. Il contesto globale appare più che mai promettente: se da un lato l’Ocse prevede un rafforzamento della ripresa con un PIL italiano in aumento dell’1,4% nel 2016 e nel 2017, dall’altro, a livello europeo, a fronte di un PIL stimato al 2,2% nel triennio 2014-2016, gli investimenti nelle tecnologie ICT fino al 2019 correranno a un ritmo medio annuale del 3,3%. In questo quadro di promettente ripresa, l’Italia è una macchina che vuole iniziare a girare e le imprese vogliono fare la loro parte. Nel nostro Paese il rapporto tra budget ICT e fatturato nel 2015 si è assestato al 2,1%, senza variazioni rispetto al 2014, e il 2016 è l’anno che segna la ripresa nei budget ICT anche in Italia, con una crescita media dello 0,7%. Una previsione quindi decisamente più ottimistica di quella degli ultimi due anni, che vede protagoniste soprattutto le imprese Medie e Medio-Grandi
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(tra 50 e 250 dipendenti, e tra 250 e 1000 dipendenti) con aumenti sostanziali tra l’1 e il 2%, indicando finalmente un atto di moto anche da parte di quel tessuto economico rimasto un po’ ai margini della digital transformation. Restano stabili le Grandi imprese fino a 10.000 dipendenti, mentre le Grandissime prevedono ancora budget ICT in leggera diminuzione (-0,8%), pesando evidentemente sulla media. Questo dato però non deve far pensare che queste imprese non intendano investire. Al contrario: hanno destinato all’innovazione una quota di budget ICT (35,5%) di 4 punti superiore alla media, stanno tagliando i costi di gestione e legacy, e praticando scelte architetturali e tecnologiche di maggiore efficienza, in modo da liberare risorse per il nuovo. E sempre più spesso vengono allocati budget di innovazione digitale fuori dalle Direzioni ICT.
per le aziende sotto i 10.000 dipendenti e le medie imprese, forse anche grazie al Cloud. I settori che spingeranno di più sull’outsourcing nel 2016 sono PA, Sanità e Industria, mentre Finance e MediaTelco lo ridurranno drasticamente. In generale prosegue inesorabile la crescita dei contratti di tipo “as-a-Service” a scapito di quelli Time & Material, mentre resta stabile la percentuale di budget per contratti chiavi in mano. Un’inversione di tendenza concreta Quanto alle aree tecnologiche in cui si concentreranno gli investimenti ICT nel 2016, le principali sono sei, con specifiche differenze per settore e dimensione. Al primo posto anche quest’anno c’è l’area Business Intelligence, Big Data e Analytics, prioritaria per il 44% delle imprese con punte per il settore Utility&Energy (83%) e le Grandissime imprese. Seconda priorità, con il 40% di risposte, è la Digitalizzazione e dematerializzazione, particolarmente sentita nel settore PA-Sanità, con un picco che sfiora il 90%, e dalle imprese di medie dimensioni, ma anche dai settori Finance e Utility&Energy. La terza priorità, evidenziata dal 34% di rispondenti, va ai Sistemi gestionali ERP che, oltre a diffondersi, si arricchiscono sempre più di funzionalità social e accesso mobile. Questo tema è particolarmente importante per l’Industria (46%) e per le Medio-Grandi imprese tra 250 e 1000 dipendenti, un’importante fetta del nostro tessuto economico. Quarta priorità è rappresentata dai Sistemi CRM con il 27%, ma punte più alte si registrano
Outsourcing: spingono soprattutto PA, Sanità e Industria Il sourcing resta una scelta vitale per le imprese: garantisce una difesa contro l’obsolescenza delle competenze, scalabilità e flessibilità dei costi. Quasi un’impresa su 3 prevede di aumentare il budget in outsourcing, mentre meno di una su 10 prevede di diminuirlo. Il ricorso a servizi esterni in media cresce più del budget complessivo ICT, tranne che per le Grandissime imprese, per le quali tuttavia incidono scelte di sourcing e tecnologiche di efficienza (virtualizzazione, Cloud ibrido, ecc.) più che semplici tagli di spesa. Deciso incremento invece (oltre il 2%)
44%
Business Intelligence, Big Data e Analytics
40%
Digitalizzazione e Dematerializzazione
34%
Sistemi gestionali ed ERP
27%
Sistemi CRM
24%
Consolidamento applicativo
19%
Mobile Business
16%
Sviluppo o rinnovamento dei Data Center Information Security, Compliance e Risk Management
15% 13%
Mobile e Web social Marketing
12%
Information Management, storage, virtualizzazione
12%
Cloud
11%
eCommerce, mCommerce, web social commerce
9%
Sistemi di Collaboration, Social software e Smart working
4%
Smart Manufacturing
3%
Internet of Things
0% | 8 |
Fonte: Politecnico di Milano
Le priorità di investimento per l’innovazione digitale nel 2016 per le imprese italiane
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10%
20%
30%
40%
50%
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La Digital Transformation Academy Per la “Survey CIO 2015” su cui si basa questo articolo focalizzata sulle previsioni del budget ICT per il 2016, le priorità di investimento, le scelte di sourcing e lo sviluppo delle competenze per le Direzioni ICT – la Digital Innovation Academy della School of Management del Politecnico di Milano ha coinvolto oltre 230 CIO delle principali aziende italiane. Giunta al suo ottavo anno di attività, l’Academy ha sviluppato oltre 2000 ore di formazione, 59 Workshop riservati, 14 Report e 8 Convegni aperti, lavorando con oltre 2200 Executive della domanda e dell’offerta. Basata su questa esperienza, la Digital Transformation Academy è il nuovo progetto culturale della School of Management del Politecnico di Milano rivolto alla community dell’innovazione digitale. In collaborazione con Cefriel e con il patrocinio di ASSI, Aused, CDTI, CIO AICA Forum, ClubTI e Forum PA, l’Academy è il punto di riferimento e laboratorio aperto per lo sviluppo
nell’Utility&Energy e nelle Media&Telco; segue il Consolidamento applicativo, priorità ancora molto sentita (24%). In discesa rispetto al 2015 il Mobile Business al 19%, con punte nel settore Finance e nelle Grandi e Grandissime imprese. Si può quindi concludere che la stagnazione della domanda ICT delle imprese italiane sembra davvero vicina alla fine, e l’inversione di tendenza sembra profilarsi nel 2016. L’economia mondiale sembra risalire la china della crisi che l’ha colpita dal 2008, e
di conoscenza e la diffusione di cultura che, attraverso metodologie originali e innovative, intende stimolare e accompagnare la trasformazione digitale delle imprese e contribuire a promuovere una maggiore competitività. Le attività previste dall’Academy per il 2016 sono: • Un calendario di cinque Workshop a invito riservati agli Executive di Line, CIO e ai partner dell’Academy sui seguenti temi: Open Digital Innovation; Strategie di Sourcing; New Capabilities per l’innovazione digitale; Manufacturing & Supply Chain Transformation; B2c processes Transformation • Ricerche condotte in esclusiva con focus sui principali trend negli investimenti ICT e nelle trasformazioni organizzative della Direzione ICT, tra cui la Survey CIO 2016, e relativi Report. • Percorsi di Formazione Executive Mip con moduli specificatamente progettati per manager, professionisti e imprenditori, della domanda e dell’offerta.
le aziende italiane sembra stiano cogliendo questa opportunità, e questo anche attraverso le tecnologie digitali. Il 2016 potrebbe dunque essere il tanto atteso anno di svolta per la digital transformation delle imprese italiane, che dovranno imparare a muoversi in un ecosistema nuovo, creativo e sfidante. Ed è confortante constatare come siano proprio le aziende Medie e Medio-Grandi, fino a oggi rimaste ai margini della sfida digitale, il motore di questa tendenza.
2016, solo il 18% delle aziende taglia ancora il budget ict (ripartizione per dimensione aziendale) Grandissime -0,78%
Grandi 0,14%
Media 0,7%
Diminuzione oltre il 10%
Medie 1,16% Medio-Grandi 1,88%
Diminuzione fino al 10%
Aumento fino al 10%
48%
Aumento oltre il 10%
25% 12% 6%
10%
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Fonte: Politecnico di Milano, Survey CIO 2015
Invarianza
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Amadori digitalizza il procurement: «Acquistare meglio per essere più competitivi» Giampiero Carozza
Group Procurement Director Gruppo Amadori
Amadori, una delle maggiori aziende alimentari in Italia, ha avviato un progetto di trasformazione digitale del processo di procurement, i cui frutti inizieranno a vedersi nel 2016. Data la filiera completamente integrata e la varietà delle tipologie di fornitori, il progetto è stato vissuto come una grande opportunità di business, con forte sponsorship anche da parte dell’Amministratore Delegato. «Considerando che l’azienda vanta una distribuzione capillare sul territorio attraverso molte ragioni sociali, per noi è stato fondamentale investire in una campagna di change management interna, con lo slogan “Acquistare meglio per essere più competitivi”, e coinvolgere gli oltre 5000 fornitori in questo progetto», racconta il Direttore Sistemi Informativi, Organizzazione ed attuazione Strategia del Gruppo Amadori, Gianluca Giovannetti. Il programma ha così portato alla nascita di una nuova direzione Acquisti di Gruppo (UAG), guidata dal Group Procurement Director Giampiero Carozza, e supportata dal team di Business Process Trasformation, guidato da Giovannetti. Il primo passaggio è stato rendere il processo di procure| 10 |
ment efficiente e trasparente. Per farlo è stato necessario abbandonare il vecchio approccio in cui si dedicava troppo tempo alla negoziazione a scapito delle attività più strategiche di analisi pre-trattativa e di implementazione post-trattativa. Oggi l’obiettivo è ridurre drasticamente i tempi di negoziazione, e sistematizzare
e certificare la gestione degli acquisti, liberando così risorse, rendendo i processi più snelli e favorendo le sinergie. Grazie al nuovo approccio il processo di acquisto ha beneficiato in termini di centralizzazione delle competenze “core” della nuova funzione acquisti (selezione dei fornitori, Source to contract), e di miglioramento
dei processi gestionali (Procure to pay) e di compliance. È interessante sottolineare che il team che ha supportato questo processo di trasformazione ha tre anime: per il 40% fa capo al CIO e al team Business Process Transformation, per un altro 40% al CPO e al team dei buyer (40%), e per il restante 20% ai centri servizio condivisi.
Eataly Net, l’eCommerce come canale di marketing per il brand Eataly non ha certo bisogno di presentazioni, e uno dei suoi concept è portare l’eccellenza alimentare italiana fuori dai nostri confini, sia con la catena di negozi fisici, sia tramite l’eCommerce e le attività digitali, affidati a Eataly Net. «La rete internazionale di store è un’occasione eccezionale di sinergie commerciali: grazie al flusso di turisti e uomini d’affari di queste città, Eataly può proporre un’esperienza unica nello store fisico, anche come punto di partenza di un rapporto sempre più
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stretto via eCommerce», spiega Andrea Casalini, CEO di Eataly Net. Al momento l’eCommerce si appoggia interamente sulla selezione di prodotti di Eataly per limitare i già molti aspetti di complessità di un eCommerce nel food e wine a livello internazionale. Prima di tutto nella logistica, dove Eataly Net accentra tutte le spedizioni dell’online dallo store di Monticello, dove si trova anche il magazzino centrale. «È un modello che si sposa molto bene con l’idea dei prodotti Eataly come regali, per cui
la consegna in due giorni lavorativi è un buon compromesso. Se in futuro volessimo alimentare consumi più frequenti e di prodotti freschi, potrebbe tornare utile un modello appoggiato ai negozi, specialmente nelle metropoli. Anche perché siamo sempre più esposti alla competizione, in continuo aumento, di operatori che garantiscono
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Carrefour: «Stravolgere i sistemi informativi per fornire informazioni real time ai clienti»
Debora Guma
Chief Information Officer, Carrefour
Tra 2016 e 2017 Carrefour vivrà un’importante fase della sua trasformazione digitale: «L’obiettivo è stravolgere i sistemi informativi per rendere fruibili ai clienti informazioni importanti sui prodotti in near real time. L’avvento dell’e-
Commerce richiede l’immediatezza di player come Amazon, rispetto ai quali noi abbiamo il vantaggio della nostra esperienza con i clienti e il CRM». Così Debora Guma, Chief Information Officer, fa il punto sulla ristrutturazione dell’IT
la consegna addirittura in un’ora – commenta Casalini –. In futuro, quando l’eCommerce diverrà sempre più autonomo, valuteremo anche il modello marketplace, con possibilità di vendere altri brand del Made in Italy alimentare con cui collaborare, grazie alle nostre dimensioni e all’esperienza in diversi Paesi». Nei prossimi mesi una delle sfide per l’eCommerce di Eataly è cercare il punto di equilibrio tra la vendita dei prodotti online e il mantenimento di un adeguato posizionamento rispetto al valore del brand.
«L’eCommerce non va inoltre sottovalutato come canale di marketing per il brand. Attraverso il sito possiamo dare grande spazio allo storytelling, da sempre una parte essenziale della proposizione di Eataly», conclude Casalini.
di Carrefour in corso da oltre due anni. «Abbiamo puntato soprattutto a mantenere una linea coerente d’evoluzione dell’infrastruttura di sistemi e applicativa: quest’ultima dev’essere molto solida per potervi appoggiare tutti i servizi digitali». Di recente l’azienda ha istituito il Team Digital Innovation, a composizione multifunzionale, con la Direzione ICT in un ruolo da protagonista. A fine 2015 si è chiuso il remodeling del punto vendita di Carugate: «Abbiamo implementato
Andrea Casalini
CEO di Eataly Net
il digital signage come veicolo di informazione al cliente e non solo di pubblicità, realizzato monitor e art wall di grande impatto che forniscono servizi ai clienti, come informazioni sulle code nei reparti, e lanciato il servizio Clicca&Ritira, per prenotare la spesa online e ritirarla nel punto vendita o riceverla a casa; inoltre continuiamo a sviluppare nuovi servizi sull’App MyCarrefour e stiamo sperimentando un’innovativa modalità di fruizione di promozioni personalizzate». Altri temi “caldi” sono il rapporto con i fornitori e le nuove competenze digitali. La Direzione ICT mantiene il presidio di progettazione, governance e servizi, e ha assegnato all’esterno sviluppo e operation, comunque coordinate dall’interno. La carenza di skill digitali sul mercato richiede un grande sforzo di ricerca e selezione, «soprattutto in ambito Business Intelligence, su cui la Direzione Sistemi Informativi punta tantissimo per arrivare all’analisi predittiva dei dati. La ricerca di figure adatte è molto difficile: in alcuni casi siamo molto soddisfatti, ma per i ruoli di Data Scientist contiamo soprattutto sulla formazione interna».
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Il “gioco” di Enel per trovare le competenze digitali interne si estende a 80mila dipendenti Enel punta a diventare una delle prime grandi utility con una concreta strategia digitale, e uno dei punti di partenza è l’area risorse umane. In quest’ambito a breve partirà l’estensione internazionale del progetto “6 Digital”, che punta a coinvolgere l’intera popolazione aziendale, circa ottantamila dipendenti. Si tratta di un’iniziativa per mappare le skill digitali del personale con un percorso di “gaming” composto da test da effettuare su diversi canali, tra cui Twitter e Facebook, secondo varie fasi. Il progetto pilota ha coinvolto quasi 5000 dipendenti nella fase di Digital Readiness Assessment, che ha avuto una redemption del 45%, e ha portato a definire il livello di digitalizzazione dei rispondenti, distinguendoli in quattro gruppi: Star Digitali, Startupper, Guru Digitali e Hacker. La fase successiva di Lateral
Thinking Assessment ha permesso poi di individuare 116 Digital Champions. Per coinvolgere i partecipanti, al completamento di ogni fase era associato un risultato sul proprio livello di preparazione digitale, fornito in modalità personalizzata, accattivante, con una grafica basata anche su immagini che richiamano anche personaggi famosi del mondo digitale (Steve Jobs, Larry Page, Bill Gates, ecc.) «La conoscenza e sviluppo delle competenze digitali è considerata una chiave di volta per affrontare il cambiamento – spiega Nicoletta Rocca, responsabile HR delle divisioni Global ICT e Global Procurement di Enel –. Il progetto 6 Digital ha un obiettivo di business, cioè censire le competenze digitali all’interno di Enel. Ma voleva essere un gioco, qualcosa di divertente, a cui le persone rispondesse-
ro avendo immediatamente un feedback. Oltre alla competenza digitale, cercavamo anche la capacità di avere pensiero laterale: queste due caratteristiche fanno di una persona un potenziale digital champion, in grado di “contaminare” la comunità lavorativa in cui opera ogni giorno».
laRinascente: «Capiremo gli interessi dei clienti dall’analisi dei dati. Con l’aiuto dei vendor» La grande sfida del 2016 per laRinascente è capire a cosa sarà interessato il cliente nei prossimi mesi o anni attraverso l’enorme quantità di dati comportamentali di cui l’azienda dispone. «E i fornitori tecnologici non dovranno solo darci i tool necessari per rispondere, ma contribuire alla risposta stessa», spiega il Chief Information Officer Paolo Ciceri. LaRinascente è la più famosa
Nicoletta Rocca
Responsabile HR delle divisioni Global ICT e Global Procurement di Enel | 12 |
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L’iniziativa, continua Rocca, ha una sponsorship fortissima, «perché l’Amministratore Delegato del gruppo considera come priorità la nostra capacità di evolvere e di diventare una compagnia digitale: abbiamo un’agenda che prevede un preciso percorso di trasformazione».
catena italiana di department store di fascia alta per la vendita di abbigliamento, accessori, design e food, e oltre al flagship store a Milano conta 10 negozi nelle principali città italiane, con quasi 30 milioni di visitatori e 500 milioni di fatturato l’anno. «In Rinascente il continuo flusso di modi innovativi per fruire dei servizi tradizionali è diventato la normalità. E l’aspettativa del dipendente di Ri-
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Hera prepara la “Mobile Factory”. «Un motore d’innovazione per tutto il gruppo» «Abbiamo imparato due cose cruciali. Una è che per fare bene un’App bisogna avere ben chiaro il processo aziendale da supportare. L’altra è che lo sviluppo di un’App va ben oltre l’interfaccia: il 70% del lavoro è legato al back end, cioè ad aspetti come la sicurezza di accessi e dati e l’integrazione con gli altri sistemi aziendali». Così Piera Fasoli, CIO di Hera, riassume le
lezioni del progetto di Mobile Enterprise avviato dal gruppo nel giugno 2014. Hera è nata nel 2002 come aggregazione di 11 aziende municipalizzate in Emilia-Romagna, poi nel tempo ha acquisito altre utility in Veneto, Friuli e Marche. Si occupa di acqua, energia, gas e ambiente servendo oltre 3,5 milioni di cittadini, con 8400 dipendenti. La prima fase del progetto è
Piera Fasoli
CIO di Hera
stata mirata a creare una piattaforma per gestire molti device diversi e il loro accesso ai sistemi informativi di back-end in conformità alle policy di sicurezza, e su cui sviluppare le App aziendali. In parallelo Hera ha iniziato a rilasciare delle Mobile App a supporto dei processi, realizza-
Paolo Ciceri
Chief Information Officer, laRinascente
nascente o di un brand che vende in Rinascente è la stessa del cliente quando scarica un’App o fruisce un nuovo servizio». Da poco per esempio i commessi possono consultare lo stock in tempo reale da device mobili, mentre prima era possibile solo dalle casse. «A fronte di un esiguo investimento, quest’informazione ha acquisito un valore altissimo per il fatto di poterne
disporre dappertutto nel negozio, e non solo in alcuni punti specifici». Quest’approccio ha cambiato totalmente anche la modalità di interazione tra le funzioni aziendali e all’interno di esse, compresa la Direzione ICT. «Oggi all’origine di un progetto non c’è solo un requirement, ma un processo creativo. Nell’ICT stiamo per esempio approcciando
il tema degli Analytics con un gruppo di lavoro orizzontale per capire a quali domande oggi non sappiamo rispondere ma potremmo farlo con un supporto dai dati», racconta il Manager. Così cambiano anche il ruolo del fornitore e il suo modello di ingaggio: «Talvolta i fornitori conoscono bene le caratteristiche tecniche di ciò che vendono, ma non il reale valore», sottolinea Ciceri. «Al fornitore non chiediamo solo di offrire strumenti, ma anche, grazie alle sue competenze, di ingegnarsi per capire e soddisfare una nostra richiesta, e per individuare le opportunità che la tecnologia ci può offrire».
te con un fornitore esterno. Le App, a oggi una decina, sono di tre tipi a seconda degli utenti di riferimento: cittadini, partner esterni, o personale interno. L’obiettivo è coprire tutti i processi aziendali, dalla gestione della nota spese alla produttività personale, fino a quelli industriali: un’App per l’area ambientale per esempio permette di sfruttare i dati di oltre 280mila cassonetti sul territorio, taggati tramite RFId e georeferenziati. Per i Mobile Device Hera ha adottato il modello BYOD per tutte le categorie professionali non impegnate sul campo. Alle altre categorie sono stati distribuiti circa 2000 dispositivi aziendali, diversi in funzione delle specifiche esigenze. «L’idea ora è creare una vera e propria App Factory, basata su un team di analisti funzionali e tecnici, User Experience Designer, esperti di architetture, sviluppatori e tester, che lavori su un modello industriale di gestione end-to-end della mobility in Hera». Tra i benefici attesi ci sono ottimizzazione di tempi e costi di rilascio, gestione di tutto il ciclo di vita delle App, applicazione e gestione sistematica della sicurezza, e soprattutto la creazione di un “Motore industriale per l’innovazione” per tutto il gruppo.
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cover story | le s f i d e pe r l e i m pr e s e ne l 20 1 6
Livelli di soddisfazione del cliente altissimi e uguali su tutti i canali: l’obiettivo di Sky Italia
Federico Ferlenghi
Customer Care Director Sky Italia «Abbiamo sviluppato negli ultimi cinque anni tutti i canali digitali “self care” in senso lato, ma per i prossimi 2-3 anni abbiamo già una roadmap molto intensa per la rivisitazione di tali canali secondo le logiche “seamless” che ci chiedono i clienti: il livello di servizio dev’essere uguale e altissimo attraverso tutti i canali. I clienti ci chiedono di vedere risolte le loro richieste o problemi con la stessa rapidità ed efficienza qualunque sia il canale su cui ci contattano». Così il Customer Care Director di Sky Italia Federico Ferlenghi presenta quello che anche per il 2016 è uno dei punti cardine della strategia della società televisiva, ovvero l’eccellenza appunto del customer care. «È la funzione che ha la visione migliore e più completa sui clienti. Dal contatto quotidiano attraverso tutti i touch point riceviamo informazioni fondamentali per modificare e migliorare i nostri processi, e l’ispirazione per nuovi servizi. In questo i canali digitali in particolare sono fondamentali: un cliente su due utilizza il web o la Mobile App». Per questo Sky ha deciso di investire su strumenti innovativi che consentono di analizzare e interpretare il comportamento del cliente, | 14 |
elaborando consistenti basi di dati. «Grazie a un team dedicato, sappiamo in ogni momento il percorso che fa il cliente per raggiungerci e siamo in grado di individuare i suoi punti di insoddisfazione: questo ci aiuta a riprogettare e a migliorare la sua esperienza». Recentemen-
te in Sky è stata introdotta anche la digitalizzazione delle conversazioni con i clienti, con un motore semantico che categorizza i motivi per cui i clienti cercano un contatto. «Riusciamo a rispondere quasi in tempo reale alle esigenze che emergono dalle conversazio-
ni». Una terza area di lavoro sul database è invece predittiva, e punta attraverso modelli sofisticati di analisi, tipicamente usati dalla funzione marketing, a individuare proattivamente opportunità di customer care mirato o miglioramento dell’esperienza cliente.
Big Data, App fintech, Blockchain: la visione della banca digitale di UniCredit In UniCredit la digitalizzazione si sta realizzando su due fronti: l’interazione con i clienti sempre più integrata tra canali fisici e Mobile, e la ridefinizione dei processi back-office per garantire tempi di risposta in linea con i canali diretti. Con questi obiettivi e la supervisione strategica di Massimo Milanta, Group CIO & Chief Security Officer, UniCredit intensificherà l’attività 2016 su Big Data Analytics a supporto del CRM evoluto, per gestire offerte sempre più puntuali ai clienti. «Ci focalizzeremo sia sulla modernizzazione del backend, a partire dalle componenti architetturali, per sostituire il mainframe – spiega il Manager
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–, sia sull’innovazione nel segmento corporate, dove stiamo implementando progetti globali per rendere più efficiente l’offerta nei servizi di Supply Chain Finance e Forex Trading». Altri grandi aree di attenzione nel 2016 saranno le open API, sulla scia delle iniziative Appathon fatte nel 2015 per promuovere lo sviluppo di App di servizi bancari e finanziari innovativi; il Blockchain, diventato strategico nel mondo bancario perché permette di creare un sistema di trust matematico
per negoziare ed eseguire contratti in tempo reale; e il Cognitive Computing. Negli ultimi mesi UniCredit ha avviato notevoli cambiamenti organizzativi per agevolare la trasformazione digitale: l’estensione del ruolo di CIO anche a quello di Chief Security Officer, l’accentramento di tutti i progetti di digitalizzazione del modello di business nell’area del Chief Operating Officer, e la creazione della funzione del Chief Data Officer, responsabile del governo
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Snam, lo scouting delle startup come strategia di continuo aggiornamento tecnologico
Gloria Gazzano
Direttore ICT, Snam
Seguire direttamente tutte le tecnologie potenzialmente interessanti per il proprio business è ormai praticamente impossibile anche per le grandi aziende. Snam ha trovato una soluzione innovativa al problema: monitorare le startup hitech, per integrare i prodotti
dei dati aziendali. Inoltre sono stati creati un dipartimento Research & Development, che fa ricerca avanzata e prototipazione, e un’area Innovation, che si occupa di scouting di nuove idee, partnership con aziende e università, e analisi delle opportunità d’investimento sulle startup fintech. «È forte l’esigenza di assorbire specialisti in ambiti fino a qualche anno fa molto lontani dal mondo bancario, come Data Scientist ed esperti in machine learning; inoltre è sempre più in primo piano il tema customer experience, non limitato alla user interface ma esteso a tutti i processi sottostanti», commenta Milanta.
più interessanti al proprio interno. «Abbiamo impostato un percorso strutturato con le fasi di individuazione delle startup, selezione e avviamento di “proof of concept” o inserimento nei cantieri di innovazione - spiega il Direttore ICT Gloria Gazzano -. Voglia-
mo realizzare un’innovazione ripetibile e non episodica, che riassuma in sé creatività, execution e appeal». Il lavoro sulle startup fa parte di un ampio progetto di Snam, che ha strutturato due filoni di innovazione ICT: l’out-in (importare conoscenze dall’esterno) e l’in-out (stimolare con strumenti di creatività l’innovazione delle persone della direzione ICT). Parallelamente ha istituito alcuni elementi organizzativi abilitanti - gli inno-seeker, l’inno-manager, un board dedicato -, iniziando a produrre
Massimo Milanta
Group CIO & Chief Security Officer, UniCredit
output come video-pillole di innovazione sulla piattaforma di collaboration, newsletter e incontri con le startup. «Abbiamo poi aggiunto le Startup tra le fonti, armonizzando il loro potenziale contributo entro il processo di innovazione interno». Infine sono stati lanciati gli inno-speech, eventi rivolti alle persone ICT «a cui invitiamo guest speaker per fertilizzare le idee di tutte le parti in gioco». Per la selezione delle Startup, Snam si affida al supporto di terze parti, e per le valutazioni utilizza una matrice ad hoc basata sui livelli di applicabilità e innovazione. «Così possiamo valutare la coerenza con i progetti che abbiamo in corso – spiega Gazzano –. Si tratta comunque di un processo con mortalità altissima e grande dispendio di risorse: in quasi 3 anni abbiamo valutato 91 startup, realizzato 7 follow up e 3 POC, e solo 2 prodotti sono stati messi in produzione. Avviare collaborazioni con le startup non è automatico: sono fondamentali tavoli di confronto per condividere la cultura tecnologica e di innovazione».
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cover story
I piani del governo: Identità Digitale, Pagamenti Elettronici e Anagrafe Nazionale Il Direttore dell’AgID fa il punto sulle priorità dell’esecutivo per il 2016, ma anche sui progetti già realizzati negli ultimi sei mesi. «Stiamo lavorando alla redazione di regole tecniche e di usabilità in modo da semplificare la user experience dei servizi online della Pubblica Amministrazione»
Antonio Samaritani Direttore Generale Agenzia per l’Italia Digitale
Tre progetti infrastrutturali e una serie di regole tecniche. Sono le priorità dell’Agenzia per l’Italia Digitale (AgID), che ha il compito di garantire la realizzazione degli obiettivi dell’Agenda digitale italiana e contribuire alla diffusione dell’utilizzo delle tecnologie digitali. Tra le sue funzioni l’AgID annovera la definizione della strategia dell’ICT per la Pubblica Amministrazione, la relazione con il mondo dell’offerta, la promozione e lo sviluppo di grandi progetti strategici, la diffusione e lo sviluppo di competenze digitali per ridurre il digital divide dei cittadini e delle imprese. Nella lista delle priorità, al primo posto c’è lo SPID, Sistema Pubblico di Identità Digitale, ossia lo sviluppo di un unico sistema di credenziali per accesso ai servizi della PA. «Vogliamo creare un’infrastruttura sicura, perché alla base c’è un processo di identificazione fisica affidata ai privati», spiega Antonio Samaritani, Direttore Generale Agenzia per l’Italia Digitale da giugno 2015. La seconda priorità sono i pagamenti elettronici (PagoPA), spinti anche dalla ormai obbligatoria fatturazione elettronica digitale: essi produrranno una notevole semplificazione per il cittadino e le imprese, attraverso l’utilizzo di un hub nazionale che al momento comprende 600 amministrazioni. Terzo pilastro dell’azione dell’Agenzia è poi l’Anagrafe Nazionale Unica, che permetterà di trasformare gli oltre 8.000 Sistemi anagrafici presenti oggi in Italia in un’unica piattaforma, attraverso un progetto di data consolidation avviato a dicembre 2015 con i primi 26 Comuni.
Oltre a questi tre progetti infrastrutturali prioritari, l’agenzia sta lavorando alla redazione di regole tecniche e di usabilità in modo da semplificare la user experience dei servizi online della PA. «L’idea è di standardizzare l’accesso ai servizi e i pagamenti attraverso SPID e pagamenti elettronici e di guidare la realizzazione dei servizi che verranno realizzati dalla PA locale (PAL) e dal mercato attraverso regole di usabilità e interoperabilità», spiega il manager. In termini di execution, negli ultimi sei mesi il Governo ha già realizzato alcuni progetti: «Abbiamo messo online il sito del Governo, per non dare solo regole scritte, ma anche esempi; abbiamo poi aperto e reso disponibili tutti i dati relativi alle spese delle PAL e della PAC. Oltre a ciò, abbiamo realizzato Italia sicura, che è una mappa del dissesto idrologico e Open cantieri, che traccia lo stato di avanzamento dei cantieri», racconta Samaritani, che aggiunge: «A breve saranno presenti anche gli indicatori europei declinati regione per regione, perché crediamo che sia necessario monitorare costantemente i risultati e i progressi ottenuti inserendo anche un po’ di concorrenza nel sistema». Se la logica seguita finora è stata bottom-up, l’Agenzia si è data anche una direzione da seguire top-down, ossia il piano triennale dei sistemi della PA inserito nella Legge di Stabilità. Esso definisce con logiche agili quali sono gli standard, i moduli di interoperabilità, le regole di sicurezza per i sistemi della PA. Al piano triennale dei sistemi della PA corrisponde poi quello triennale degli acquisti, con la programmazione realizzata da Consip. www.digital4executive.it
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cover story | Le pr i or i tà e l e v i s i on d e i v e nd or
Le priorità e le vision dei vendor per accelerare la digitalizzazione del paese Una panoramica dei punti di vista dei principali fornitori di tecnologie digitali sull’anno appena iniziato. Cloud, Mobility, Security, Internet of Things e Analytics sono le parole chiave. Ma al di là dei trend dell’innovazione, la visione comune è ottimistica: le imprese stanno scrivendo le loro agende digitali
L’impegno per tutti è supportare la trasformazione digitale in atto ormai in gran parte delle organizzazioni private e pubbliche nel nostro Paese, ma anche le altre “parole d’ordine” - a cominciare da Cloud, sicurezza, competenze, Big Data e Analytics, smart working - sono largamente condivise. Questa la prima idea d’insieme che si ricava da questa rassegna dei punti di vista dei principali vendor sulla scena dell’offerta di ICT al mercato italiano. Le aziende, ma anche la PA, sono sottoposte a sfide senza precedenti, e la trasformazione digitale dei processi è l’unica strada per affrontare tali sfide rimanendo competitivi e in grado di rispondere alle attese di clienti e cittadini: un discorso che non vale solo per il lungo e il medio termine ma anche per l’immediato. E tra i top manager italiani di CA Technologies, Cisco, EMC, Fastweb, Fujitsu, HPE, Huawei, IBM, Microsoft, Oracle, Samsung, SAP, SAS e VMware c’è ampia convergenza sul fatto che nel mondo economico italiano - a partire da settori come industria, finance, retail - la consapevolezza di tutto ciò è ormai consolidata.
CA: «Verso un’economia basata su software e App» Michele Lamartina
Country Manager di CA Technologies Italia
CA Technologies, uno dei principali fornitori indipendenti di software al mondo, rappresenta una delle realtà più significative in aree come il monitoraggio delle prestazioni delle applicazioni, l’automazione del carico di lavoro e dei processi IT, la gestione dei mainframe e della rete. «La nostra estrazione “tecnica” ci ha facilitati nella | 18 |
promozione di concetti come la Digital Transformation e l’Application Economy - afferma Michele Lamartina, Country Manager -. La trasformazione digitale è alla base del secondo fenomeno che caratterizza questi anni: un’economia basata sulla sempre maggiore pervasività del software e delle App in tutte le aree di business
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e in ogni mercato, e sulla diffusa accessibilità tramite dispositivi mobili». L’attenzione verso questi due fenomeni sta determinando la nascita di team dedicati a cui fa riferimento il business interno per ottenere applicazioni sempre aggiornate e veloci in termini di time-tomarket. È qui che entra in gioco la metodologia DevOps (Development e Operations), che agevola la collaborazione tra sviluppo software e messa in produzione ed è una delle aree più strategiche per CA, insieme con la “filosofia” Agile, che prevede il rilascio in tempi brevi e
discreta frequenza di applicazioni o aggiornamenti. A proposito di quest’ultimo aspetto, CA ha recentemente acquisito la società specializzata Rally e ribadito la centralità delle soluzioni in grado di migliorare il time-to-market delle applicazioni basate su API ad alto potenziale di ricavi. L’ultimo tassello della strategia di CA riguarda la componente di sicurezza per rispondere alla crescente richiesta di soluzioni di autenticazione e di controllo degli accessi, indispensabili per realizzare i benefici dell’azienda “estesa” senza patirne le possibili minacce.
cov e r st o ry | L e p rio rità e l e v isio n de i v e n d or
Cisco: «Focus su competenze digitali e sicurezza» Agostino Santoni
AD di Cisco
«La digitalizzazione è una scelta non rimandabile per le imprese e anche nel nostro mercato vediamo una crescente consapevolezza al riguardo». Esordisce così Agostino Santoni, AD di Cisco, che prosegue: «Gli strumenti che oggi abbiamo a disposizione sono accessibili con una semplicità e una
flessibilità senza precedenti, grazie al Cloud, alla Mobility, alla possibilità di connettere in modo nuovo gli elementi e i processi operativi. Sono queste le nuove armi per competere e la nostra priorità strategica è fare in modo che esse raggiungano le nostre imprese - a partire da settori chiave come
il manifatturiero e la filiera dell’agroalimentare, che non possono permettersi di perdere “il treno” della trasformazione digitale». Per sfruttare appieno le potenzialità di questo scenario, secondo Santoni è necessario affrontare due priorità: la sicurezza e le competenze. «In un contesto operativo in cui il digitale diventa pervasivo, la sicurezza deve essere il primo elemento da integrare nelle scelte tecnologiche e nei comportamenti degli utenti: la nostra risposta si basa su sistemi progettati per essere resilienti, che proteggono l’integrità e la privacy dei dati e li gestiscono
in modo trasparente». Proprio la cybersecurity è un esempio dei motivi per cui l’acquisizione di nuove competenze è l’altra priorità chiave: accanto a aree, quali le tecnologie per l’industria 4.0 e i big data, la sicurezza è uno degli ambiti in cui non esiste ancora un numero sufficiente di professionisti qualificati. «Le aziende che vorranno procedere nel percorso della digitalizzazione dovranno fare delle competenze digitali un pilastro delle loro strategie e svilupparle rapidamente al proprio interno, pena la perdita delle grandi opportunità che le tecnologie oggi offrono».
dell’azienda, facendo leva sulle nuove tecnologie per creare soluzioni più intelligenti, erogando un migliore servizio per i clienti». Il secondo aspetto che nel corso di quest’anno avrà una fase di ulteriore sviluppo è il tema della sicurezza. «Il Dark Web - quello spazio virtuale dove i malintenzionati organizzano azioni illegali di vendita,
- passerà da strumento utile per i cyber-criminali a fonte di sicurezza. Le aziende, infatti, saranno sempre più propense a investire in tecnologia di ultima generazione per minimizzare i rischi». In che modo? Cercando i dati nel posto in cui vanno dopo essere stati rubati, attraverso appositi strumenti software.
EMC: «C’è consapevolezza. Il 2016 anno di svolta» Marco Fanizzi
CEO di EMC Il contesto in cui oggi operano le aziende viaggia a una velocità senza precedenti ed è da tempo che EMC sostiene l’ingresso dell’intera società nell’era dell’Information Generation. Entro il 2020 esisteranno oltre 7 miliardi di persone, 10 milioni di aziende, almeno 30 miliardi di dispositivi elettronici connessi al web e 44 zettabyte di dati. In questa sorta di “nuovo mondo”, i clienti chiederanno un accesso più veloce ai servizi e le aziende dovranno essere in grado di garantirlo 24/7. Per descrivere i trend tecnologici del 2016 non si può non tenere in considerazione
questa premessa: le aziende devono avviare o completare la trasformazione digitale e porre maggiore enfasi alla sicurezza dei dati. «Oggi gli Amministratori Delegati sono più consapevoli del valore del business digitale e dell’importanza dei dati prodotti, ma non tutti hanno avviato azioni concrete per creare un team focalizzato sullo sviluppo di una vera e propria agenda digitale trasversale a tutta l’azienda - dice Marco Fanizzi, CEO di EMC -. Il 2016 sarà l’anno di svolta: siamo convinti, infatti, che il Chief Digital Officer diventerà la figura chiamata a gestire la digitalizzazione
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cover story | Le pr i or i tà e l e v i s i on d e i v e nd or
Fastweb: «Servizi Cloud e collegamenti ultraveloci» Fin dalla sua nascita Fastweb ha puntato sull’innovazione e sull’infrastruttura di rete per offrire il massimo della qualità nella fornitura di servizi a banda ultralarga a famiglie e imprese. «Dopo aver investito più di 7 miliardi nello sviluppo di una rete nazionale in fibra ottica lunga circa 40mila chilometri, negli ultimi anni l’azienda è impegnata in un piano per l’espansione della rete a banda ultralarga che si completerà a fine 2016, arrivando a raggiungere circa 7,5 milioni di famiglie e imprese, ovvero il 30% della popolazione, con tecnologia FttC (Fiber to the Street Cabinet) e FttH (Fiber to the Home) con collegamenti fino a 100 Megabit al secondo», spiega Massimo Mancini, CEO. Il mondo delle imprese pubbliche e private, sotto la spinta della trasformazione digitale per il miglioramento dei processi e dell’efficienza, sta vivendo un profondo rinnovamento: «Le aziende non
necessitano più solo di collegamenti ultraveloci, sicuri e affidabili, ma anche, per esempio, di servizi infrastrutturali e applicativi di ultima generazione basati sul Cloud Computing per gestire i dati a supporto del business e di soluzioni che ne garantiscano in qualunque momento la sicurezza». Proprio per sostenere le imprese nel percorso verso la digitalizzazione, Fastweb ha realizzato il Data Center di Milano, certificato Tier IV dall’Uptime Institute di New York, da cui erogare e gestire i propri servizi ICT/Cloud. Oltre ai servizi ICT di ultima generazione vengono fornite anche soluzioni di sicurezza gestita, che garantiscono i più alti livelli di protezione dell’infrastruttura e dei dati aziendali. Inoltre le soluzioni Cloud Computing, basate su infrastruttura open source, favoriscono l’adozione di soluzioni standard e l’interoperabilità e lo sviluppo di ambienti interconnessi e interdipendenti.
Massimo Mancini
Chief Enterprise Officer di Fastweb
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Bruno Sirletti
Presidente e AD di Fujitsu Italia
Fujitsu: «È essenziale ripensare il workplace» Stiamo assistendo a una vera e propria rivoluzione del modo di fare business a livello mondiale, una “trasformazione digitale” che si basa sull’utilizzo strategico della tecnologia, un cambiamento di paradigma che sta lentamente esercitando una profonda influenza su tutti i settori industriali che conosciamo. Per Fujitsu, la Digital Transformation è una delle direttive principali su cui investire nel 2016, proprio perché sta trasformando l’intera catena del valore delle imprese, dai sistemi di manifattura alle operations, dai sistemi di pagamento alla manutenzione, dal marketing alla gestione della customer experience. «Qualsiasi azienda che decida di rimanere fuori da questa svolta epocale rischia di essere tagliata fuori dal mercato e di non parteciparne allo sviluppo. Al contempo è la stessa trasformazione ad aver bisogno che le imprese si adoperino
per ripensare le operazioni e i processi nel nuovo scenario globale, in cui persone, cose (IoT) e dati dell’azienda sono connessi e “dialogano” tra loro: è la chiave non solo per essere più veloci e incrementare l’efficienza, ma anche per cambiare radicalmente il modo di lavorare e l’interazione con i clienti», Bruno Sirletti, Presidente e AD. Nel 2016 Fujitsu si concentrerà anche sull’outsourcing, in particolare in ambito workplace, «settore in cui siamo leader a livello europeo» specifica il manager. In un contesto digitale sempre più diffuso, la produttività delle persone diventa uno degli aspetti essenziali all’interno delle aziende di tutte le dimensioni e le imprese si stanno sempre più orientando, anche in Italia, verso l’outsourcing per incrementare l’efficienza delle operazioni di desktop management: con la virtualizzazione dei desktop si va verso un ulteriore miglioramento dei servizi.
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Huawei: «Un supporto verso i target di Agenda Digitale»
Stefano Venturi
Corporate VP e AD del Gruppo Hewlett Packard in Italia
HPE: «Il rilancio parte da banche, industry 4.0 e PA» Nel mercato attuale, il timeto-value assume un’importanza sempre più strategica per il successo aziendale e disporre di ambienti IT efficienti, produttivi e sicuri permette di essere più veloci, agili e flessibili. «Nella visione di HPE, questo percorso si articola in quattro aree di trasformazione, volte ad abilitare il passaggio a un’infrastruttura ibrida: garantire la protezione del business digitale, preservando i dati sensibili e le interazioni tra utenti e applicazioni; potenziare l’analisi dei dati, trasformandoli in informazioni di valore per il business; favorire una maggior produttività attraverso workplace moderni, per il lavoro in mobilità», spiega Stefano Venturi, Corporate VP e AD del Gruppo Hewlett Packard in Italia. In quest’ottica si colloca, per esempio, HPE Synergy, la prima piattaforma per l’innovativa architettura Composa-
ble Infrastructure, che indirizza le necessità di un ambiente cloud ibrido scalabile e veloce, integrando le applicazioni tradizionali con quelle virtualizzate. «In Italia HPE si sta focalizzando in particolare nella digitalizzazione della PA, sul rinnovamento del sistema bancario e nell’Industry 4.0 che ritengo particolarmente cruciale per il rilancio del nostro Paese, viste le opportunità che la trasformazione digitale offre anche nel settore manifatturiero, nel quale rappresentiamo il secondo mercato in Europa», prosegue il manager. HPE è al fianco delle PA e delle aziende, sia in Italia che nel Mondo, supportandole lungo il loro percorso di trasformazione nell’era digitale, attraverso competenze e soluzioni tecnologiche innovative in grado di accelerare il business e favorire la competitività.
Accompagnare le aziende private e pubbliche nel processo di trasformazione digitale, per conseguire i target previsti dall’Agenda Digitale in Italia e in Europa. Questo è il principale obiettivo che Huawei Enterprise Italia si pone per il 2016, in linea con i macro trend del mercato, in cui il Cloud e l’Internet delle Cose giocano un ruolo importante nel nostro Paese, ancora fortemente trainato dall’industria manifatturiera. «Il nostro contributo per il passaggio all’Industria 4.0, che vede il Ministero dello Sviluppo Economico in prima linea, non vuole limitarsi all’offerta di soluzioni tecnologiche, ma anche supportare le istituzioni e favorire lo sviluppo di un ecosistema virtuoso tramite partnership con altri player e università», spiega Alessandro Cozzi, Country Director Enterprise Business Group Huawei Technologies, Italy.
«La nostra strategia prevede inoltre di offrire alle aziende la possibilità di diventare business digitali con la convergenza fisso-mobile, e puntiamo a fornire un contributo significativo nell’affrontare le problematiche di public safety, anche in virtù di progetti innovativi sviluppati con successo in molti Paesi. La Pubblica Amministrazione, il settore finance, il mercato dell’energia e dei trasporti saranno gli ambiti su cui concentreremo i nostri sforzi». La ricerca e sviluppo, inoltre si conferma al centro della strategia. «Il 2016 sarà un anno importante per lo sviluppo del nostro business in Italia: puntiamo a essere un riferimento per le aziende pubbliche e private, collaborando con i player dell’industria, le università e le istituzioni italiane per favorire e accelerare la trasformazione digitale in atto».
Alessandro Cozzi
Country Director Enterprise Business Group Huawei Technologies, Italy
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IBM: «Il Cognitive computing per trovare senso nei dati» Enrico Cereda
CEO di IBM Italia «Le nostre priorità coincidono con le esigenze espresse dai processi di trasformazione digitale dell’economia e delle aziende italiane - spiega Enrico Cereda, da poco nominato CEO di IBM Italia -. Come evidenzia la nostra ultima survey “Redefining Boundaries” - condotta su 5300 CxO di 21 settori in 70 nazioni, Italia inclusa - la competizione oggi si gioca sul terreno della digital disruption. E il consenso su quali soluzioni tecnologiche prevarranno nei prossimi 5 anni è unanime: sono il Cloud, il Mobile e l’Internet delle cose, trend ai quali non è certo estranea la proliferazio-
ne dei dati. Il loro impatto sta frammentando e ricombinando la catena del valore, aprendo varchi a competitor ‘non tradizionali’. Il che prefigura nuovi equilibri per interi comparti produttivi». Per IBM, proprio l’esigenza di comprendere quei dati - l’80% dei quali di natura non strutturata - è la ragione per cui le aziende guardano in prospettiva al Cognitive computing, l’era dei sistemi di calcolo e dei software di analytics per estrarre senso da ciò che oggi è invisibile. IBM Watson, con l’infusione di intelligenza in un crescente numero di dispositivi e servizi, ne costitu-
isce lo sviluppo più avanzato. «Il digitale non è però la meta - precisa Cereda -. Va inteso come base su cui costruire e far evolvere il modello di business. Ecco perché prestiamo così attenzione alle organizzazioni italiane. Anche con investimenti di peso, come il data center su infrastruttura SoftLayer aperto
nel milanese sei mesi fa. Per le imprese di ogni dimensione e settore, startup comprese, è lo strumento ideale per soluzioni di Cloud ibrido, con servizi e prestazioni tecnologiche al massimo livello di sicurezza configurabili in pochi minuti, secondo le esigenze e a costi pari al reale utilizzo».
Microsoft: «Cloud, Mobile e More Personal Computing» Paola Cavallero
Direttore Marketing & Operations di Microsoft Italia
Il 2016 secondo Microsoft sarà un anno positivo per il mondo ICT, complice la maggiore consapevolezza delle aziende dell’importanza della Digital Transformation e la ripresa del budget ICT. «Questo ci rende fiduciosi sulla possibilità di contribuire alla competitività del Paese, ancora al 21° posto in Europa per l’Agenda Digitale | 22 |
afferma Paola Cavallero, Direttore Marketing & Operations -. Occorre cogliere le opportunità offerte dai trend tecnologici, Cloud Computing e Mobility in primis, ma anche Big Data e Internet of Things, e capitalizzare i progetti in corso in una logica di trasformazione organizzativa». In questo scenario il ruolo degli IT provider è crucia-
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le per guidare le realtà italiane nel percorso di trasformazione allineando strategia ed esecuzione. La mission di Microsoft è aiutare persone e aziende a realizzare con efficacia i progetti in un mondo dominato da Mobility e Cloud, contribuendo a inaugurare una nuova produttività, a sviluppare una piattaforma Cloud intelligente e sicura, e a creare un connubio di hardware e software in linea con le esigenze dei clienti. «Oggi adottare modelli di Smart Working è strategico per recuperare efficienza ed efficacia, mentre puntare sul
Cloud intelligente è importante per migliorare il time-to-value, ridurre i costi, beneficiare in agilità e guadagnare un vantaggio competitivo e cogliere i vantaggi dell’Internet of Things realizzando per esempio predictive maintenance. Infine, grazie al nuovo sistema operativo Windows 10, le aziende possono fare affidamento anche sul ‘More Personal Computing’, con una user experience più naturale, sicura, personale, e ottimizzare il passaggio tra modalità touch e desktop grazie all’interazione intuitiva con tutti i device Windows».
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NetApp: «Più flessibilità e controllo sui sistemi» Bruna Bottesi
Country Manager di NetApp
Nel 2015 il mercato ha visto la crescita di un modello IT emergente: il Cloud ibrido è velocemente diventato una realtà percorribile. Per le organizzazioni è quindi necessario poter disporre di tecnologie avanzate per modulare il modello di IT e sfruttare velocemente le opportunità che un datacenter
sempre più “liquido” offre al Business, afferma Bruna Bottesi, Country Manager NetApp. «Più reattività e flessibilità dalle infrastrutture IT nel supportare nuovi progetti, maggiore controllo sui sistemi di gestione dei dati e più velocità dai sistemi e nell’accesso ai dati, ecco ciò che il mercato oggi chiede
a un vendor come NetApp. E noi siamo pronti a garantire un DataFabric che rende possibile la mobilità dinamica dei dati tra sistemi on premise, implementati nei datacenter dei Service Provider o acquistati as a service presso i grandi Hyperscaler come Azure, Amazon Web Services o Softlayer». In tale scenario controllare l’espansione e l’evoluzione dei sistemi di gestione dei dati può diventare elemento decisivo per arrivare a risultati soddisfacenti in termini di efficienza ed economicità. «Da questo input nascono le soluzioni OnCommand che supportano i CIO nel
governare le performance dei sistemi in essere, effettuano analisi what if e scenari per l’evoluzione, le manutenzioni programmate e il fine tuning dei sistemi, ed estendono la governance anche ai dati gestiti in infrastructure as a service presso service provider e Hyperscaler. Inoltre NetApp ha rinnovato la linea di soluzioni All flash ed esteso la facilità di gestione, l’efficienza, la garanzia di operazioni senza interruzioni e la scalabilità anche ai clienti che adottano le soluzioni basate sui supporti Flash, per rispondere al livello di performance sempre più alto richiesto».
Cloud per trasformare l’azienda in modo integrato. Se la nuvola è l’abilitatore della trasformazione digitale, i dati sono la benzina che alimenta la macchina e il data center “la camera di scoppio” in cui essa si trasforma in energia. Per questo il secondo pilastro del 2016 è l’evoluzione del data center. La nostra storica com-
petenza nel settore, declinata sul tema Big Data e analytics, sarà sempre più integrata con tutti i livelli di soluzioni che offriamo: sono strumenti hardware e software flessibili ed efficaci per trasformare il data center in un hub altamente performante e sicuro, tale da consentire di sfruttare la rivoluzione del Big Data.
Oracle: «Cloud sicuro ed evoluzione del data center» Fabio Spoletini
Country Manager di Oracle Italia
«Nel 2015 abbiamo visto le grandi aziende intraprendere progetti di Digital Transformation. Il mercato ora è consapevole che il futuro si gioca sulla capacità di cogliere le opportunità del digitale, utilizzando la leva del Cloud e ripensando il Data Center, per renderlo un elemento a supporto della strategia digitale e dei nuovi modelli di business possibili grazie a Big Data, Internet delle Cose, Mobile, Sicurezza», spiega Fabio Spoletini, Country Manager di Oracle Italia. Oracle ha aggiunto alla sua proposta tasselli cruciali che
oggi ci consentono di dire alle aziende che il nostro Cloud può rispondere a ogni tipo di esigenza, a livello di piattaforma, infrastruttura, applicazioni e servizi, e grazie anche a innovazioni radicali come la tecnologia “software in silicon” possiamo dire che non c’è mai stato un Cloud così sicuro come quello che offriamo oggi. In tal senso il 2016 è l’anno in cui ci aspettiamo di cogliere i frutti del nostro impegno: vogliamo consentire ai CIO di dimostrare che l’IT è sinonimo di risultati strategici per l’azienda, e aiutarli ad abbracciare il
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cover story | Le pr i or i tà e l e v i s i on d e i v e nd or
Samsung: «Priorità a Retail, Finance e Smart Office» Mauro Palmigiani
Head of Enterprise Business Division di Samsung Electronics Italia
«Il 2016 sarà un anno ricco di opportunità per le aziende, sempre più consapevoli dell’importanza di driver quali la Digital Transformation e l’Internet of Things. Il nostro obiettivo è continuare a contribuire all’evoluzione offrendo alle imprese italiane competenze, know-
how e soluzioni che facilitino la digitalizzazione e consentano di ottenere concreti vantaggi di business», spiega Mauro Palmigiani, Head of Enterprise Business Division di Samsung Electronics Italia. «Per questo la nostra priorità è continuare a puntare sull’evoluzione di
alcuni mercati verticali, come Finance, Retail, e il mondo dello Smart Office. Se nel Finance si sente l’esigenza di iniziare un percorso di Digital Transformation, sfruttando le tecnologie per migliorare i processi interni e fidelizzare i clienti, nel Retail è ormai prioritario digitalizzare la comunicazione interna ed esterna in un’ottica di riduzione dei costi e ottimizzazione dei processi. Dotarsi di un ecosistema tecnologico all’avanguardia che implementi ad esempio soluzioni di Digital Signage permette alle imprese
di personalizzare l’offerta ai clienti e avvicinarli sempre più al brand. In linea con la crescita dell’IoT, stiamo puntando sullo Smart Office: l’acquisizione di SmartThings ci permette di rendere intelligenti le attività quotidiane anche in ambiente business, e interagire e monitorare i device in ufficio. Infine in tema sicurezza abbiamo dotato i device di Samsung KNOX, la suite di soluzioni business per rendere sicuri i dati grazie anche al presidio dell’IT manager, che da remoto può controllare le procedure dei device».
in tempo reale: forza lavoro, asset e IoT, collaborazione con i fornitori e business network, relazione con i clienti e gestione della multicanalità. «I clienti ci chiedono di essere un partner innovativo e di accompagnarli nella nuova era dell’enterprise computing. S/4HANA consente loro di superare il concetto di “real time”
per approdare al nuovo mondo “live business”. Dalla customer experience alla supply chain, un “live business” è in grado di predire il futuro invece di controllare il passato, con processi agili, e di collegare dipendenti e asset aziendali a un unico sistema core digitale, in grado di anticipare, simulare e individuare nuove opportunità».
SAP: «Oltre il real Time e verso il Live Business» Luisa Arienti
AD di SAP Italia La nostra priorità nel 2016 sarà aiutare i clienti a creare valore per il business accelerando il loro percorso di semplificazione e mettendo a fattor comune l’esperienza generata dal processo di trasformazione che SAP stesssa ha portato avanti negli ultimi anni», afferma Luisa Arienti, Amministratore Delegato di SAP Italia. Secondo una recente ricerca di Harvard Business Review, l’86% delle aziende ritiene che i processi di business e decisionali siano diventati così complessi da ostacolare la crescita. 6 aziende su 10 pensano che la complessità abbia aumentato i | 24 |
costi operativi dell’11%, e quasi il 50% che i propri sistemi IT non siano abbastanza agili e capaci di facilitare l’innovazione. In questo scenario le aziende sono sempre più alla ricerca di soluzioni che rendano flessibili i processi. Da oltre un anno SAP sta lavorando in tale direzione secondo il principio Run Simple, per aiutare le aziende a gestire il proprio business in modo semplice ed efficiente. SAP S/4HANA, con oltre 2700 clienti nel mondo raggiunti in 11 mesi, rappresenta la base del Digital Core dell’azienda e consente di connettere tutti gli aspetti della catena del valore digitale
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cov e r st o ry | L e p rio rità e l e v isio n de i v e n d or
VMware: «Computing, reti storage: tutto virtuale»
Marco Icardi
AD di SAS Italia
SAS Italia: «Analytics e Big Data le grandi opportunità» I clienti oggi evidenziano un reale bisogno di ricevere risposte su temi come globalizzazione, digitalizzazione e mobilità, spiega Marco Icardi, AD di SAS Italia. «L’arena competitiva si fa ogni giorno più intensa, il numero di concorrenti diretti e indiretti per ciascuna organizzazione è in vertiginosa crescita e le aziende ci chiedono rapidità nel reagire e soprattutto prevedere i cambiamenti di fondo del mercato. Nei Big Data e negli Analytics risiede la grande opportunità di agire meglio e prima dei concorrenti». La priorità è il consumatore finale: «Soluzioni di Customer Intelligence e Data Management sono in grado di reperire i dati esogeni ed endogeni da sfruttare nel momento più opportuno per soddisfare le esigenze dei clienti e reagire rapidamente e proattivamente. Noi come SAS proponiamo soluzioni cross industry, dalle grandi organizzazioni alle PMI, che da un certo punto di vista
sono le più innovative, quelle che hanno più bisogno degli analytics per disegnare nuovi modelli di business». Il 2015 per SAS, continua Icardi, si è concluso con successo, considerando le trattative concluse, che hanno portato sia all’acquisizione di nuovi clienti sia a un consolidamento di relazioni con clienti storici. «Per il futuro SAS continuerà a servire aziende private e istituzioni pubbliche in modo sempre più rilevante, anche partecipando ai progetti di trasformazione dei clienti in modo ancora più strategico. Lo facciamo coinvolgendo i partner nella costruzione di un mercato in cui ci sia una condivisione di conoscenze che porti valore aggiunto. Dialoghiamo ogni giorno con tutti i nostri stakeholder, dai clienti alle università, dalle quali reperiamo risorse, conoscenze e competenze da mettere a disposizione di clienti e partner per aiutarli in modo efficace e efficiente all’Era Digitale».
«Per VMware il 2015 ha rappresentato un anno di opportunità e di crescita. Lo stesso slancio che ci ha aiutato a chiudere un anno di successi ci porterà a fare un ulteriore passo avanti nel 2016, in termini sia di accelerazione della crescita e della maturità delle nostre soluzioni più innovative, sia di nuovi sviluppi. Oggi siamo nella posizione ideale per supportare i clienti in questa fase di trasformazione, in cui l’IT da centro di costo deve necessariamente diventare motore dell’innovazione», sottolinea Alberto Bullani, Regional Manager di VMware Italy. «La nostra attenzione si focalizzerà sulla piattaforma unificata di computing, networking e storage virtualizzati, in particolare su VMware NSX e vSAN, tasselli fondamentali per la creazione di un’infrastruttura per far girare, gestire e mettere in sicurezza qualunque applicazione, che sia nativa per il Cloud o tradizionale». Nel 2016 la capacità di fornire
servizi di rete e di sicurezza per una vasta gamma di endpoint passerà a un livello più alto, con un’attenzione particolare alla sicurezza, prosegue Bullani. «Continuerà a essere fondamentale la virtualizzazione della componente di rete: l’adozione di questa tecnologia aumenterà, e vedremo nuovi casi d’uso (Disaster Recovery, multi Data Center, etc) e nuovi clienti. Inoltre saremo impegnati a migliorare la scalabilità e il livello di performance delle soluzioni storage hypervisor-converged di VMware vSAN, per supportare i clienti nella gestione della complessità operativa e delle sfide in termini di costi». Tutto questo senza dimenticare la business mobility, ormai una necessità per mantenere un vantaggio competitivo: «Nel 2016 molte aziende ne scopriranno le potenzialità e VMware, grazie al lavoro congiunto con Airwatch, aiuterà i clienti a reinventare i processi aziendali e a cambiare il modo in cui competono sul mercato». Alberto Bullani
Regional Manager di VMware Italy
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Il punto di riferimento sull'Innovazione Digitale in Italia http://www.osservatori.net
Visita WWW.OSSERVATORI.NET per avere tutte le informazioni che contano a portata di mano: un canale unico di aggiornamento professionale a distanza sull'innovazione digitale per seguire Convegni, Workshop e Webinar, in diretta web e on demand, da qualsiasi luogo, collegandosi alla nuova piattaforma web, senza limiti di orario e tempo, il tutto con la massima comodità (oltre 150 Eventi e più di 100 Rapporti di Ricerca) CALENDARIO Febbraio/Marzo/Aprile 2016
Workshop e Webinar possono essere seguiti in diretta web e on demand (successivamente alla diretta) Webinar
Smart Office: tecnologie e strumenti per ripensare gli spazi in ottica Smart Working
8 febbraio
Smart Working
Webinar
Il Big Data Journey: opportunità e minacce per le imprese
9 febbraio
Big Data Analytics & Business Intelligence
Workshop
Il Regolamento Europeo eIDAS
10 febbraio
Fatturazione Elettronica e Dematerializzazione
Webinar
La multicanalità online: le alternative di utilizzo del canale online per un azienda tradizionale
11 febbraio
eCommerce B2c
Webinar
Il Bring Your Own Device in azienda: i vincoli normativi da considerare
23 febbraio
Mobile Enterprise
Workshop
Privacy e sicurezza in ambito sanitario
25 febbraio
Innovazione Digitale in Sanità
Webinar
Password ed altri meccanismi per farsi riconoscere in rete, come gestirli e come proteggerli
29 febbraio
Sicurezza Informatica e Privacy
Workshop
Internet of Things: aspetti legali
1 marzo
Internet of Things
Workshop
Le direttrici di innovazione del Mobile Payment & Commerce: dalle startup ai Big player?
2 marzo
Mobile Payment & Commerce
Webinar
Dematerializzazione e firme elettroniche in Sanità
3 marzo
Innovazione Digitale in Sanità
Webinar
Approcci e metodologie per la valutazione di strategie Cloud
8 marzo
Cloud & ICT as a Service
Webinar
Testing: quali strumenti a supporto e quali i costi da sostenere?
9 marzo
Mobile B2c Strategy
Webinar
L’eCommerce a supporto della multicanalità: percorsi, benefici, criticità
10 marzo
eCommerce B2c
Workshop
Mobile App e Compliance: i principali requisiti di compliance di un'applicazione per smartphone
25 marzo
Mobile B2c Strategy
Workshop
Il controllo sull'utilizzo delle strumentazioni informatiche: i poteri ed i limiti del datore di lavoro
29 marzo
Smart Working
Webinar
Considerazioni su Return on Security Investments
31 marzo
Sicurezza Informatica e Privacy
Webinar
Il trasferimento del rischio residuo e le coperture assicurative nel Cyber Risk Management
11 aprile
Sicurezza Informatica e Privacy
Workshop
I contratti di Cloud Computing
12 aprile
Cloud & ICT as a Service
Webinar
L'acquisto di fatture col metodo dell'asta online: inquadramento normativo, impatti bancari/finanziari 14 aprile
Innovazione Digitale nel Finance
Webinar
L’emergere del fenomeno del coworking e le possibili opportunità legate allo Smart Working
19 aprile
Smart Working
Workshop
Il Decreto in materia di Fatturazione Elettronica tra imprese e i possibili modelli
21 aprile
Fatturazione Elettronica e Dematerializzazione
Webinar
Data Management Platform: alcuni casi concreti di utilizzo
28 aprile
Internet Media
Calendario aggiornato al 18 gennaio 2016 - Per una versione più completa visitare la pagina web: www.osservatori.net/calendario-workshop
Visita il sito www.osservatori.net, scrivi a premium@osservatori.net o telefona allo 02 2399 4813 per conoscere i servizi e gli abbonamenti degli Osservatori Digital Innovation e accedere per un anno a Rapporti e Eventi sui temi chiave dell'Innovazione Digitale: - Agenda Digitale - Big Data Analytics & Business Intelligence - Canale ICT - Cloud & ICT as a Service - Cloud per la PA - Digital & M&A - Digital Innovation Academy - eCommerce B2c - eGovernment - Enterprise Application Governance - eProcurement nella PA - Export - Fatturazione Elettronica e Dematerializzazione
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DIG ITAL EC ONOMY & STR ATE GY le analisi di
umberto bertelè @umbertobertele
L’industria automobilistica, Internet e “l’effetto punteruolo rosso”
Presidente Advisory Board Digital4Executive Autore di “Strategia” (Egea)
Elettrica, iperconnessa, senza guidatore, hi-tech. Come sarà, veramente, l’auto del futuro? E come si sta trasformando il settore automotive, simbolo del mondo industriale, minacciato dalla digital disruption nell’era della sharing economy? I fronti aperti sono molteplici. Di certo l’elettronica si sta insediando nel settore e lo sta “svuotando” dall’interno, come fa con la palma il micidiale insetto noto come punteruolo rosso
Sono davvero a rischio “disruption” i grandi gruppi mondiali dell’auto, sotto i colpi di maglio dell’innovazione digitale? È credibile che nel prossimo futuro essi si trovino a fronteggiare, come più pericolosi competitori, i grandi della Internet economy quali Apple e Google? Gli altri attori della filiera come verranno - se non lo sono già - coinvolti? L’espansione a macchia d’olio della sharing economy provocherà una contrazione della domanda nei paesi sviluppati? E ancora: sarà elettrica l’auto del futuro? Si guiderà da sola? Sono domande inimmaginabili sino a qualche anno fa, ma sempre più concrete. Dopo essersi abbattuta con
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effetti spesso devastanti su molti altri comparti - più leggeri - dell’economia, l’innovazione digitale sta penetrando a fondo nell’auto, nel comparto cioè tradizionalmente più emblematico del mondo industriale per complessità, dimensioni delle imprese e dimensioni della filiera. I punti di possibile sfondamento - proprio a causa dell’ampiezza dell’ecosistema, della molteplicità e varietà dei componenti e dell’elevato contenuto di servizi dell’output - sono molteplici. Ed è sempre più palpabile la paura di perdere rilevanza (o addirittura di soccombere) delle grandi imprese automobilistiche, diverse delle quali nate più di un secolo fa. Una paura che
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si estende agli altri soggetti a monte e a valle della filiera (che hanno interessi però talora conflittuali), alle persone che vedono a rischio il valore delle proprie competenze e i propri ruoli, ai governi che temono erosioni del PIL e perdite di occupazione. Come in ogni grande processo di cambiamento, i dolori di alcuni sono le gioie di altri e alle difficoltà nell’immediato provocate dalla rottura degli equilibri si contrappongono - su orizzonti temporali più lunghi - vantaggi nella fruizione dell’auto e nel rispetto per l’ambiente, con le crescita di nuove imprese e lo sviluppo di nuove competenze. La mia attenzione, però, sarà
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dedicata soprattutto al tema della possibile rottura degli equilibri. Sarà elettrica l’auto del futuro? La forza degli incumbent - dei grandi gruppi automobilistici che competono su una scala sempre più globale - sta essenzialmente nell’esperienza che hanno maturato, nella mole di asset industriali di cui dispongono, nella rete di relazioni consolidate con i fornitori, nella popolarità dei brand, nel grado di copertura dei territori delle loro reti di vendita e di assistenza, nei rapporti politico-sociali - con i governi, la PA, le authority di settore e i sindacati - nei Paesi ove operano: fattori tutti che si trasformano in (quasi insuperabili) barriere all’entrata nei Paesi a economia avanzata di mercato. Molti di questi fattori di forza potrebbero però svanire se fosse elettrica l’auto del futuro: una scelta favorevole per l’ambiente, che sinora è stata frenata dai costi elevati e dal ridotto (ancorchè crescente) grado di autonomia garantito dalle batterie, nonché dalla carenza di una rete di ricarica veloce delle stesse. La nascita dal nulla di Tesla, in uno Stato senza tradizioni automobilistiche come la California, è sintomatica. Il mercato finanziario ci scommette: Tesla vale in Borsa quasi 26 miliardi di dollari, oltre la metà di Ford (47,4) e General Motors (46), oltre il doppio di FCA-Fiat Chrysler Automobiles. Diventa non del tutto irragionevole l’ipotesi che un giorno anche Apple, se cambiassero le convenienze, potrebbe entrare nel settore. E Tim Cook, in un recente intervento, ha fatto affermazioni forti: “The global automobile industry is on the brink of a technology-led upheaval. The industry is at an inflection point for massive change, not just evolutionary change. A series
of technology shifts are coming together to create a rare opportunity for outsiders to break into the business. (..) Software becomes an increasingly important component of the car in future. Autonomous driving becomes very much more important in a huge way in future. (..) Major technologies in the car shift from combustion engine focus”. Si guiderà da sola l’auto del futuro? Google è stata pioniera, con la sua selfdriving car, nell’immaginare un futuro in cui l’auto potesse essere addirittura priva dello sterzo e degli altri comandi tradizionali a disposizione di chi guida: con software, sensori di varia natura (tra cui ovviamente radar), attuatori, interconnessioni con le altre auto e con i rilevatori di traffico, fra i principali ingredienti. Subito seguita (almeno a livello di studio) da diverse altre imprese, tra cui alcune delle incumbent e Apple. Gli ostacoli all’autorizzazione alla circolazione di questi veicoli sono ancora elevatissimi. Ma mi sembra si stia ve-
rificando un fenomeno simile a quello degli ultimi decenni del secolo scorso, quando era sorto il mito della fabbrica senza operai: non ci si arrivò mai, perché eliminare l’ultimo operaio sarebbe stato troppo costoso, ma si mise in moto un processo che - con l’espansione dell’automazione e dei robot - portò alla fabbrica con pochissimi operai. Ciò che sta già accadendo infatti, a partire dai veicoli della fascia alta del mercato, è l’inserimento di driver-assistance features, di supporti alla guida che gestiscono ad esempio il mantenimento in corsia con le distanze di sicurezza e il sorpasso in autostrada o il parcheggio del veicolo: non l’auto che si guida da sola quindi, almeno per il momento, ma una strumentazione crescente al servizio di chi guida. L’elettronica pesa sempre di più L’inserimento di driver-assistance features nell’auto è un fenomeno recente e per ora limitato, mentre la rilevanza del software nel funzionamento del motore è di più vecchia data: come
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emerso dal recente scandalo Volkswagen, la cui prima versione del defeat device sotto accusa è del 2004. L’elettronica sta pesantemente entrando nell’auto, però, per almeno per altre due vie. La prima. Il cruscotto dell’auto assomiglia sempre più a uno smartphone, con connettività e infotainment che assumono una valenza competitiva forte: un acquirente su cinque, secondo una indagine effettuata in Germania, si dice disposto a cambiare marca a fronte di un pacchetto connettività più ricco. La seconda. La connettività appare sempre più destinata ad assumere anche un altro ruolo: permettere al produttore un check continuo via Internet dello stato di salute dell’auto venduta, lungo tutto il ciclo di vita della stessa, finalizzato alla manutenzione preventiva. È quanto accade da tempo nel rapporto fra produttori di pneumatici e grandi flotte di veicoli e tra produttori di impianti industriali e imprese che li hanno installati al loro interno. Il check viene effettuato mediante l’invio, tramite una centralina, dei dati rilevati dai sensori incorporati nelle diverse parti (motore, freni, frizione, tubo di scarico, pneumatici...) dell’auto stessa. Complessivamente l’elettronica – intesa in senso lato - ha un peso prossimo al 50 per cento. L’effetto punteruolo rosso La crescita del peso dell’elettronica - fino a valere la metà dell’auto - e l’importanza differenziante da essa assunta comportano il forte rischio per le imprese incumbent del comparto automobilistico di rimanere vittime di
quello che io chiamo l’effetto “punteruolo rosso”: lo stesso che nei PC colpì Ibm, a vantaggio di Microsoft e Intel. Ibm, dopo aver conquistato (sbarazzandosi dei non pochi concorrenti) una posizione di quasi monopolio nei mainframe ed essere riuscita a contenere i danni del successivo salto tecnologico ai PC, divenendo leader del settore, si trovò - nella fase di sviluppo successiva dei PC stessi - a essere progressivamente confinata al ruolo di quasi assemblatore dei microprocessori (sempre più potenti) di Intel e del software (sempre più ricco) di Microsoft. Il risultato è che, pur non essendosi mai integrati a valle Intel e Microsoft, Ibm sopravvisse (sino alla cessione a Lenovo della business unit) ma come svuotata dall’interno, analogamente alla palma in cui si sia insediato un punteruolo rosso: non era più il brand Ibm ad attirare gli acquisti, ma i brand dei due fornitori fondamentali; non vi era più unicità, perché Intel e Microsoft rifornivano anche i concorrenti; non vi era più extraprofittabilità, perché erano i due fornitori a fare la parte del leone nell’ambito della filiera. Le grandi case automobilistiche potrebbero sopravvivere, ma (riprendendo Tim Cook) in una situazione in cui “major technologies shift from combustion engine focus”, in cui non sono più i motori - come nel passato - a fare la differenza. A vantaggio di chi? A vantaggio dei componentisti come Bosch (quasi 50 miliardi di euro di fatturato complessivo e 3 mila software engineers), che stanno investendo moltissimo e lavorano in stretta interazione con le Internet company, e/o direttamente delle Internet company, che dovrebbero comunque avvalersi
Il produttore potrà effettuare un check continuo via Internet dello stato di salute dell’auto venduta, mediante l’invio, tramite una centralina, dei dati rilevati dai sensori incorporati nelle diverse parti: motore, freni, frizione, tubo di scarico, pneumatici... | 30 |
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dei componentisti per i sensori e gli attuatori (come sta facendo Google con Bosch per la realizzazione della sua self-driving car). Lo sfruttamento di connettività e infotainment La trasformazione del cruscotto in uno smartphone apre grandi possibilità di sfruttamento dei dati che si possono acquisire sugli automobilisti. Sul tema è intervenuta nei mesi scorsi addirittura Angela Merkel, per avvisare che non avrebbe permesso alle imprese come Apple e Google - che insieme controllano la quasi totalità dei sistemi operativi per apparati mobili - di mettere sul mercato la privacy dei cittadini tedeschi. Non è per nulla certo, però, che si vada verso un blocco totale in tutti i Paesi. È probabile che pure le imprese automobilistiche vogliano entrare nella partita, attraverso accordi di spartizione con le Internet company. Ed è possibile che molti automobilisti rinuncino volontariamente alla privacy, in cambio di servizi o di sconti. La crescente vicinanza fra produttori e automobilisti In contrapposizione con i rischi a monte (effetto punteruolo rosso), le innovazioni in atto tendono ad accrescere la presa a valle delle grandi case automobilistiche sui propri clienti, con uno schiacciamento delle strutture intermedie di vendita e assistenza. È una tendenza in atto da anni e che appare destinata a rafforzarsi ulteriormente. In primo luogo è cresciuto enormemente, con la diffusione di Internet e
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La self driving car per ora è lontana, ma si stanno diffondendo nuovi strumenti di supporto a chi guida, per esempio per il parcheggio o il mantenimento delle distanze di sicurezza
più recentemente del Mobile, il ruolo dei siti delle case automobilistiche - divenuti veri e propri saloni espositivi virtuali – nel preorientare i potenziali acquirenti (già clienti o meno) nella selezione dei modelli e delle marche da visionare poi nei saloni espositivi reali, siano essi dei concessionari monomarca (come prevalentemente in Italia) o dei dealer multimarca. In secondo luogo l’allungamento dei tempi di garanzia, con le connesse revisioni programmate presso la rete di assistenza propria o autorizzata, ha drammaticamente ridotto gli spazi per le vecchie officine meccaniche indipen-
denti e riportato quasi integralmente l’assistenza post-vendita sotto le ali delle case produttrici: fenomeno cui ha contribuito anche il già citato passaggio da una componentistica prevalentemente meccanica a una con forti contenuti elettronici. Il fenomeno (già citato) nuovo, che potrà in sinergia con i precedenti rendere ancora più stretto e organico il rapporto fra produttore e cliente e che assumerà progressivamente consistenza con il diffondersi dei nuovi modelli, è quello del check continuo via Internet dello stato di salute delle auto, finalizzato alla manutenzione preventiva. Nella stessa
direzione va l’altro trend, ampiamente utilizzato ad esempio da Tesla, di aggiornare periodicamente e gratuitamente - come per gli smartphone - il software di presidio alle varie funzioni dell’auto: per migliorare le prestazioni, correggere gli eventuali errori e (tema di crescente rilevanza) aumentare le difese contro le possibili intromissioni degli hacker. Se la vicinanza è molto cresciuta nelle fasi antecedenti la vendita (con lo sviluppo dei siti) e post-vendita, molto più ridotte sono le esperienze di vendita diretta via e-commerce: anche per le ovvie resistenze delle reti di concessionari esistenti. Tesla - avendo
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Le forme di sharing economy emerse negli ultimi anni sono in parte eredi di taxi e rent-a-car, ma sfruttano le potenzialità degli smartphone e in genere delle tecnologie digitali. Società come Uber, BlaBla Car, Car2Go, Enjoy rappresentano una seria minaccia alla dinamica delle vendite di auto nuove
goduto del vantaggio di partire da zero - rappresenta il caso più rilevante di vendita diretta (nonostante gli ostacoli giuridici che incontra in diverse parti degli Stati Uniti), come emerge da un recente articolo di The Economist allusivamente intitolato “Death of a car salesman”. Ma esperienze più ridotte, per serie limitate di gamma alta, sono state effettuate anche da Daimler Benz, BMW, Hyundai e Volvo: accoppiando la creazione di showroom “stile Apple”, non strettamente orientati alla vendita, all’effettuazione di quest’ultima via e-commerce (facendo comporre ai clienti i modelli desiderati). Un attacco di natura diversa ai dealer si è avuto invece negli Stati Uniti con la crescita dello strapotere - nell’indirizzamento - di siti “tipo TripAdvisor”, volti a offrire ai potenziali acquirenti di auto una valutazione della bontà dei prezzi e del livello di servizio dei diversi dealer, “forzati” a pagare una cifra non piccola per ogni cliente veicolato. Solo in ritardo i dealer si sono accorti del pericolo, per la loro redditività e la loro immagine, che i nuovi intermediari venivano a rappresentare e stanno cercando di reagire - ancora non si sa con quale possibilità di successo - potenziando i loro siti. La minaccia “sharing economy“ La sharing economy, l’economia della condivisione, ha per definizione lo scopo di economizzare risorse condividendole, di permettere cioè alle persone di spendere meno (o molto meno) per godere di prestazioni non troppo dissimili da quelle ottenibili con
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l’economia della proprietà. Ma proprio per questo essa rappresenta una seria minaccia - tanto più consistente quanto maggiore sarà il suo successo – alla dinamica delle vendite di auto nuove. Nei Paesi a maggiore sviluppo, ove la concentrazione delle persone nelle aree urbane è più elevata e i temi della salvaguardia dell’ambiente e della congestione da traffico sono più sentiti, è probabile che essa porti – anche se con forti asimmetrie territoriali e temporali - a concezioni diverse dell’organizzazione della mobilità e a un conseguente ridimensionamento strutturale dello stock complessivo di auto in circolazione, con ovvi effetti sui livelli correnti delle vendite. Ma anche nei Paesi che sono attualmente in fase di sviluppo non è affatto detto che venga ripercorsa la strada storicamente seguita da quelli sviluppati: è possibile che venga adottata da subito un’organizzazione della mobilità diversa, con penalizzazioni anche significative dei tassi di crescita della domanda. La sharing economy, è opportuno ricordarlo, non nasce dal nulla. In senso lato fanno capo a essa tutti i servizi di mobilità pubblici (metropolitane, treni, ecc.), a livello urbano o su percorrenze più lunghe, nati prima dell’automobile e spesso in concorrenza con essa. Fa capo a essa il servizio taxi, introdotto nel primo ‘800 ancora al tempo delle carrozze, che può essere visto come una forma ante-litteram di “piattaforma on demand“. Fanno capo a essa i servizi di rent-a-car, sviluppatisi nella prima metà del ‘900 con società come Hertz e Avis, che mettono a disposizione dei clienti - con una modalità pay per use auto di proprietà delle società.
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Le forme di sharing economy emerse negli ultimi anni sono in parte eredi dirette di taxi e rent-a-car, con modalità e business model però che sfruttano le potenzialità derivanti dalla enorme diffusione degli smartphone e dallo sviluppo in genere delle tecnologie digitali. Uber, il nome più rappresentativo insieme con Airbnb della sharing economy, ha come ben noto riconfigurato il servizio taxi, puntando sul miglioramento della sua fruibilità. E lo stesso fanno Lyft prevalentemente negli US, Didi Kuaidi in Cina e Ola in India, che ne hanno imitato il modello. Mentre Car2Go ed Enjoy, la prima facente capo al gruppo Daimler Benz e la seconda al gruppo Eni, sono esempi di iniziative che hanno portato a livello urbano e per tempi di utilizzo molto più ridotti il modello rent-a-car. Le forme più innovative di sharing economy sono forse però quelle che si pongono come obiettivo lo sfruttamento di risorse sottoutilizzate. Ad esempio BlaBla Car e Lyft offrono a pagamento, sulle loro piattaforme, i posti liberi messi a disposizione sulle loro auto dai privati che si accingono a effettuare determinati viaggi sulla media distanza e desiderano condividerne i costi. Uber (con UberPool), Lyft (con Line) e Didi Kuaidi (con Hitch) offrono nelle grandi città servizi tipo shuttle bus, mettendo assieme attraverso le loro piattaforme persone che vanno nella stessa direzione, ma con punti di stop diversi, su veicoli di privati disposti – a fronte dei compensi - ad allungare (a causa degli stop) i tempi di percorrenza. Ancora Uber, con il tanto contrastato UberPop, ha cercato di allargare l’offerta e ridurre il costo dei
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Il moltiplicarsi di iniziative ha spinto le grandi case automobilistiche a entrare in un business lontano dal loro. Ford, General Motors e BMW, separatamente ma quasi contemporaneamente, hanno lanciato una variante del rent-a-car tradizionale
viaggi urbani utilizzando privati, possessori di auto, desiderosi di integrare il proprio reddito con una attività di guida part-time. Il moltiplicarsi di iniziative ha spinto peraltro anche le grandi case automobilistiche a entrare in un business così lontano dal loro. Ford, General Motors e BMW, separatamente ma quasi contemporaneamente, hanno lanciato una variante del rent-a-car tradizionale, offrendo sul mercato - attraverso le loro piattaforme - le auto messe a disposizione a pagamento dai loro clienti per i periodi di non utilizzo e facendosi garanti verso gli stessi dell’integrità dei mezzi al momento della restituzione.
Volendo fare una piccola sintesi, i rischi - derivanti dall’innovazione digitale - per i grandi gruppi mondiale dell’auto sono di almeno tre tipi:
si, nel caso in cui le accresciute prestazioni delle batterie e la creazione di reti capillari di ricarica favoriscano l’espansione delle auto elettriche; - la contrazione della domanda nei Paesi sviluppati e la riduzione del tasso di crescita della stessa in quelli in fase di sviluppo se la sharing economy, insieme con l’aumento dei vincoli alla circolazione nelle aree urbane e con il potenziamento delle infrastrutture pubbliche di trasporto, soddisferà una quota crescente dei bisogni di mobilità; - la perdita di rilevanza nell’ambito della filiera a favore dei fornitori (componentisti “tipo Bosch” e/o imprese Internet “tipo Google”), con una conseguente contrazione anche forte della profittabilità, se il peso dell’elettronica nell’auto continuerà a crescere e l’offerta sarà concentrata nelle mani di pochi: quello che ho chiamato effetto punteruolo rosso.
- l’abbassamento delle barriere all’entrata, con l’emergere di nuovi concorrenti (start-up come Tesla o imprese con enormi mezzi come Apple) potenzialmente molto pericolo-
I grandi gruppi, in contropartita, possono sfruttare l’innovazione digitale per accrescere le relazioni dirette con i clienti, ai danni dei concessionari e dei dealer multimarca, e per prendere sotto il pro-
In sintesi
prio controllo le attività post-vendita e le forniture di parti di ricambio: con vantaggi in termini di fedeltà dei clienti e di profittabilità corrente. I dealer – concessionari monomarca od operatori multimarca – appaiono fra i più probabili perdenti e presumibilmente (soprattutto i secondi) cercheranno di reagire con fusioni e acquisizioni che ne accrescano la dimensione. I fornitori della componentistica tradizionale appaiono destinati a soffrire, mentre più rosee sono le prospettive per quelli della componentistica innovativa, se la competizione fra loro non sarà troppo intensa. I servizi per la mobilità dovrebbero complessivamente migliorare, con vantaggi per l’ambiente e una minor congestione. Più misti invece gli effetti per chi vorrà continuare a usare i mezzi propri, aiutato nella guida dalle nuove strumentazioni ma sempre più sotto controllo: non solo da parte dei corpi di polizia, ma probabilmente anche degli assicuratori, che potranno sfruttare la connettività per tenere sott’occhio la pericolosità dello stile di guida e sulla base di questo stabilire il premio da pagare.
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in collaborazione con
annalisa casali
Matt Brittin President, Business & Operations EMEA Google
Come cogliere le opportunità della rivoluzione digitale Ogni organizzazione, incluso il negozio locale o l’artigiano, oggi è digitale, perché sono i singoli clienti, i dipendenti e i partner a essere sempre connessi. E non può esistere più un’attività che non sia legata alla pubblicazione di contenuti, come video o tutorial. Anche in Italia, gli esempi di successo sono numerosi: «Google è un motore di connessioni gratuite alle informazioni dei singoli soggetti, enti e aziende»
Matt Brittin, a capo delle operazioni di Google in area EMEA ne è convinto: il motore del rinnovamento digitale è la semplificazione. Solo mettendo a disposizione della collettività strumenti di ricerca e collaborazione intuitivi ed economici sarà possibile diffondere l’innovazione e far crescere le organizzazioni a ritmi finora sconosciuti. Questo significa lavorare per cancellare la tecnologia dalla nostra vita. Un paradosso? No, una lezione che tutti dovremmo imparare. Oggi sono circa 2,5 miliardi le persone connesse a Internet, che diventeranno 5 miliardi nel 2020. Per quell’epoca il numero dei dispositivi connessi alla grande Rete, tenuto conto del fatto che non si parlerà più di smartphone, notebook e tablet ma di tessuti, elettrodomestici, contatori e automobili “smart”, sarà di circa 25 miliardi di unità. «Si tratta di una vera e propria rivoluzione - esordisce Matt Brittin, President, Business & Operations EMEA | 34 |
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(Europa, Medio Oriente e Asia) di Google, parlando alla platea che ha affollato la tappa milanese del World Business Forum -. Nei prossimi cinque anni, la nostra vita di tutti i giorni cambierà radicalmente per effetto della diffusione dell’Internet delle cose. Dispositivi che noi nemmeno immaginiamo saranno interconnessi e arricchiti di intelligenza». E questo permetterà a tutti di essere collegati virtualmente con chiunque nel mondo. Il manager rifiuta categoricamente l’accusa di “tirare l’acqua al suo mulino”. «Molti ancora pensano che il business digitale sia quello che fanno realtà come la nostra, come Facebook, YouTube o Apple - chiarisce -. Io ritengo invece che non abbia più senso distinguere tra aziende digitali e tradizionali. La realtà è che ogni organizzazione, oggi, è digitale, perché sono i singoli clienti delle aziende, i suoi dipendenti e partner a essere sempre connessi. Anche la più piccola impresa, il negozio locale o l’artigiano non possono ignorare il web». È opinio-
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Una carriera orientata al digitale Matt Brittin è Presidente Business e Operation EMEA (Europa, Medio Oriente e Africa) di Google. In azienda da nove anni, è stato dapprima Direttore Generale di Google UK e, dal settembre 2011, Vice Presidente Europa Settentrionale e Centrale. Dal dicembre 2014 è alla guida delle operazioni EMEA. Un passato da consulente McKinsey e una carriera nel mondo dell’editoria, approda a Google dopo aver ricoperto il ruolo di Direttore Strategie e Digital presso la casa editrice del noto quotidiano britannico The Daily Mirror. Dopo essersi laureato all’università di Cambridge, ha conseguito un MBA (Master in Business Administration) alla London Business School. Sportivo, pratica il canottaggio a livello agonistico e vive a Londra, in riva al Tamigi, con la moglie avvocato e due figli adolescenti.
ne diffusa che il digitale sia qualcosa “per le grandi aziende” ma non è cosi… «Secondo studi recenti spiega il manager - le PMI che hanno un sito web crescono in media dalle 4 alle 8 volte più velocemente di quelle che non hanno una presenza online, incrementando le esportazioni e creando nuovi posti di lavoro». A sostegno delle sue affermazioni, Brittin cita alcuni esempi di botteghe artigiane italiane che hanno avuto un’eco planetaria grazie alla presenza online. Da Fabriano alla Patagonia: in vetrina sul web per vendere ovunque «Una realtà che presento spesso è quella del maestro cartaio Sandro Tiberi di Fabriano, specialista nella produzione di carta pregiata fatta a mano. Tiberi ha compreso da subito il potere del web e delle tecnologie digitali e, soprattutto, si è incuriosito e ha voluto capire il profilo dei visitatori del suo sito Internet. Chi erano? Cosa gli interessava e cosa no? Da dove venivano? Quanto tempo passavano sul suo sito? Utilizzando uno strumento
gratuito di Google è riuscito a raddoppiare il numero di clienti e a far conoscere le sue creazioni anche in Patagonia e Nuova Zelanda, cosa impensabile senza l’ausilio della Rete». Un altro esempio che il manager riferisce con orgoglio è quello di Giovanna Bronico, fondatrice di Ghirigoro, realtà che produce t-shirt e accessori unici, personalizzati mescolando arte, letteratura e materiali Made in Italy. Esporta le sue magliette con stampe a calligramma (una poesia scritta in modo che le parole realizzino un disegno, in genere il soggetto stesso dei versi) in tutto il mondo, dal Canada alla Cina, direttamente dal suo laboratorio artigiano di Formello (RM). Un motore di collegamenti fra chi cerca e chi offre «Tutti pensano che i servizi che Google mette a disposizione siano legati alla ricerca - puntualizza -. A ben guardare, però, quello che abbiamo sviluppato è un motore di connessioni gratuite alle informa-
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zioni dei singoli soggetti, enti e organizzazioni. Collegamenti che esulano dal tradizionale messaggio pubblicitario o dalle attività di marketing, link utili sia a chi sta cercando un servizio sia a chi lo offre. Le aziende aggiornano di continuo le informazioni sui prodotti o i servizi svolti e noi, con l’aiuto di strumenti tecnologici come StreetView o Maps, li facciamo conoscere al pubblico con modalità facili da utilizzare». Se un utente inglese digita su Google la query “mobili in stile tradizionale italiano”, il risultato non sarà un messaggio di tipo pubblicitario ma una serie di informazioni utili a capire meglio in cosa consiste lo stile italiano, quali sono le caratteristiche dei mobili prodotti con quello stile e quali sono le aziende che li offrono. Ecco perché, forza la mano Brittin, «non può esistere più un’attività che non sia legata alla pubblicazione di contenuti, statici o dinamici, di video, di tutorial…». Via la tecnologia dalle scrivanie «Io ho due figli adolescenti, fanno parte della generazione dei nativi digitali, quelli che sin da pic-
coli sono stati abituati a utilizzare le nuove tecnologie, a cercare e condividere informazioni e filmati in Rete, collegarsi in chat con le altre persone e scambiarsi idee e opinioni sui social network. Questo è indubbiamente un vantaggio per loro, perché li rende più inclini ad abbracciare l’innovazione in tutti gli aspetti della loro vita». Proprio questa “neutralità” di pensiero è uno degli aspetti che il manager apprezza di più anche all’interno della sua organizzazione. «I blog del personale Google - commenta - nascono per cercare di capire come far sparire la tecnologia dalle nostre scrivanie. Lo stesso obiettivo ha guidato lo sviluppo di Google Search e Google Maps». Una sorta di democratizzazione delle competenze digitali, quindi? No, molto di più. «Obiettivo dell’innovazione - ne è convinto - è permettere a chiunque di utilizzare la tecnologia in modo inconsapevole e trasparente, senza avere alcuna conoscenza degli aspetti scientifici che la supportano». La rivoluzione del motore di ricerca Google è stata proprio questa: gli individui sono ignari di tutti gli
Il fenomeno YouTube YouTube è la piattaforma web di condivisione video più utilizzata al mondo. Fondata in California nel febbraio 2005 da tre ex dirigenti di PayPal, nell’ottobre 2006 è stata acquistata da Google. I numeri cha la riguardano sono da capogiro: oltre un miliardo di utenti, ovvero quasi un terzo degli individui presenti su Internet, generano ogni giorno miliardi e miliardi di visualizzazioni. Il numero di persone che guarda video su YouTube cresce del 40% anno su anno e il tempo di visualizzazione (il numero di ore che le persone trascorrono sulla piattaforma) aumenta del 60% su base annua. Triplicato negli ultimi due anni anche il numero di utenti che accede a YouTube dalla home page e, nota curiosa, è possibile navigare su YouTube in 76 lingue diverse, che corrispondono agli idiomi parlati dal 95% della popolazione Internet. Più della metà delle visualizzazioni sulla piattaforma proviene da dispositivi mobili (la sessione media è di oltre 40 minuti) e raddoppia, di anno in anno, il tempo che le persone trascorrono a guardare video sui device senza fili.
Cosa cercano gli italiani sul web? In Italia, Google è il motore di ricerca più utilizzato in rete e, come sempre accade a fine anno, pubblica le statistiche sulle parole più ricercate. In vetta, non solo nel Bel Paese ma in tutto il mondo, nel 2015 si riconferma la parola “Facebook”, seguita da “YouTube” e, guarda caso, da “Google”. La maggior parte degli utenti, quindi, snobba le applicazioni per utilizzare la versione web dei servizi. Appena fuori dal podio, “meteo” e, a seguire, “Libero”. Interessante anche vedere quali sono le parole la cui ricerca è cresciuta di più nel corso dell’anno. La medaglia d’oro va ad “alta definizione”, seguita da “Expo” e “Isis”. Se si guarda alle ricerche relative al significato delle parole, spicca “gender”, seguita da “transgender”, “Isis” e “Je suis Charlie”. Tra i personaggi più ricercati in Italia lo scorso anno Pino Daniele, Valentino Rossi e il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
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Un progetto a misura di PMI per sviluppare competenze digitali Uno studio congiunto di Unioncamere e Ministero del Lavoro (Sistema Informativo Excelsior) stima che le competenze digitali sono considerate sempre più essenziali per il mondo del lavoro. Ai giovani al di sotto dei 30 anni, quelli che hanno più familiarità con le nuove tecnologie, si rivolgono 2 assunzioni su 5 e per oltre il 60% delle figure professionali richieste è necessaria un’esperienza specifica in quest’area. La difficoltà di reperire i candidati in possesso delle competenze digitali richieste si rivela più elevata rispetto alla media delle altre competenze (il 16% contro il 10,1%). A livello geografico, sono le aziende lombarde quelle più interessate agli skill digitali (26,2%) seguite da quelle laziali (12,2%) e piemontesi (9,3%). Partendo da queste premesse Unioncamere, Ministero del Lavoro e Google hanno varato a settembre “Crescere in digitale”. Il progetto punta a diffondere le competenze digitali tra i giovani iscritti al programma Garanzia Giovani, avvicinando anche le PMI al web. Tre le fasi previste: 50 ore di training online per i giovani, laboratori orientati al digitale sul territorio e 3mila tirocini retribuiti presso le imprese (500 euro al mese, coperte dai fondi nazionali Garanzia Giovani). «Gli ultimi dati rilevati - dice Matt Brittin, Presidente Business e Operation EMEA (Europa, Medio Oriente e Asia) di Google - sono incoraggianti. Oltre 200mila ore di formazione erogate; 36mila ragazzi iscritti al programma e 2.600 che hanno già completato le 50 ore di formazione online». Oltre 2mila giovani sono stati segnalati per svolgere un tirocinio presso le 900 aziende che si sono rese disponibili a far entrare nella propria organizzazione uno o più “digitalizzatori”.
algoritmi e i motori di analisi semantica che rendono possibile un’azione all’apparenza semplice come digitare sulla tastiera del proprio PC una frase, un nome e trovare, in pochi secondi, una marea di informazioni. C’è innovazione solo se c’è collaborazione La creatività, secondo il manager, può nascere solo dall’integrazione e dallo scambio delle idee. «Internet è una fucina di progetti che non ha uguali in alcun laboratorio di ricerca - conclude -. Attualmente sono 2,7 miliardi le persone connesse
alla Rete, che diventeranno 5 nei prossimi anni. Il web ha creato le premesse per un salto quantico nell’innovazione in tutti i settori. La creatività nasce sempre più spesso dalla collaborazione a livello planetario, magari tra persone che neppure si conoscono ma che tramite Internet sono in grado di condividere idee e spunti di riflessione, esperimenti e fallimenti, inversioni di rotta e ripensamenti». Basta pensare all’escalation nell’utilizzo di YouTube e alla diffusione dei video in generale, che permettono ai ricercatori universitari di collaborare a un progetto anche se i singoli membri vivono a decine di migliaia di chilometri di distanza.
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in collaborazione con
Daniele Lazzarin
Steven Kotler autore, giornalista e imprenditore
Le straordinarie possibilità del nostro tempo Nei prossimi vent’anni l’uomo potrà fare più progressi che nei precedenti 200, grazie a tre fattori concomitanti: una gamma di tecnologie in crescita esponenziale, dall’intelligenza artificiale alla stampa 3D; lo studio scientifico di uno stato mentale ottimale che amplifica le potenzialità; l’iper-connessione della popolazione, che abilita meccanismi come il crowdsourcing. La visione positiva di Kotler, autore di bestseller tradotti in 40 lingue
Forse non sarà il migliore dei mondi possibili, ma certamente questa è l’epoca migliore nella storia umana. Si può sintetizzare così il punto di partenza di tutto il lavoro di Steven Kotler, imprenditore e studioso delle connessioni tra tecnologia, psicologia, management e neuroscienze. Nei prossimi vent’anni, dice Kotler, l’uomo potrà fare più progressi tecnologici che nei precedenti 200, e per la prima volta risolvere le esigenze vitali di ogni persona sulla Terra. Questo grazie a tre fattori abilitanti: una gamma di tecnologie a crescita esponenziale (stampa 3D, intelligenza artificiale, robotica, connessioni a banda larga, Internet of things e bionica); lo studio scientifico del Flow, uno stato mentale in cui l’uomo diventa cinque volte più produttivo del normale; e l’iper-connessione delle masse, con effetti benefici come il crowdfunding, il crowdsourcing e le community online. Sono questi i concetti portanti del più recente libro di Kotler, scritto insieme a Peter H. Diamandis, | 38 |
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dal titolo “Bold: How to Go Big, Create Wealth and Impact the World”, ed esposti dallo stesso Kotler al recente World Business Forum di Milano. «Per migliaia di anni gli unici che potevano cambiare qualcosa nel mondo erano i re. Da 200 anni hanno questo potere anche le banche, e da qualche decina d’anni anche le grandi aziende. Ma oggi per la prima volta ogni persona potenzialmente può cambiare il mondo, si può diventare miliardari aiutando un miliardo di persone». Interfacce user-friendly, tecnologie per tutti Cominciando dalle tecnologie, il digitale ne ha accelerato enormemente lo sviluppo. «Le “tecnologie esponenziali” sono le più potenti che il mondo abbia mai visto. Le nanotecnologie ne sono un esempio meraviglioso, perché stanno accelerando cinque volte più velocemente rispetto alla legge di
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Chi è Steven Kotler Steven Kotler è autore, giornalista e imprenditore. Le sue attività sono dedicate all’esplorazione delle connessioni tra capacità umane, tecnologia e coscienza. È coautore insieme a Peter Diamandis del bestseller “Abundance” e del recente “Bold”, nei quali si spiega come utilizzare le tecnologie esponenziali, il pensiero “in grande” e gli strumenti condivisi per migliorare gli standard di vita di miliardi di persone nei prossimi 20-30 anni. Ha inoltre scritto “The Rise of Superman”, dove spiega la scienza del Flow, uno stato di coscienza in cui l’uomo raggiunge i massimi livelli di benessere e performance. Un tema al centro delle attività del Flow Genome Project, di cui Kotler è cofounder e director. I suoi scritti sono stati tradotti in oltre 40 lingue e pubblicati da circa 80 testate, tra cui The New York Times, Atlantic Monthly, Forbes, Wired e Time. Ha un blog su Forbes.com dal titolo “Far Frontiers,” dedicato ai temi di scienza e cultura, e in passato ha collaborato con aziende come Google, JP Morgan, Omnicom Media e Menlo Ventures.
Moore: raddoppiano il loro potenziale ogni quattro mesi». Quanto alla sanità, oggi il 50% del corpo umano è rimpiazzabile da parti artificiali, e anche per questo ogni giorno ciascuno di noi guadagna 5 giorni di vita semplicemente essendo vivo. «Grazie all’intelligenza artificiale parliamo con il nostro smartphone, e due anni fa è nato Watson, un super computer in grado di diagnosticare le malattie meglio dei più bravi dottori al mondo». Secondo le statistiche i medici sbagliano diagnosi in circa il 40% dei casi, quindi l’intelligenza artificiale può rivoluzionare la sanità. «Nel giro di pochi anni probabilmente avremo questi strumenti diagnostici in Cloud e vi accederemo dallo smartphone. I benefici si sentiranno in tutto il mondo ma soprattutto in regioni come l’Africa, dove medici e infermieri scarseggiano, e gli ospedali possono essere anche a vari giorni di viaggio: questa tecnologia produrrà enormi cambiamenti e salverà molte vite». «Ma le tecnologie non sono solo diventate esponenziali - sottolinea Kotler -. Sono anche aperte a tutti, perché hanno interfacce user-friendly, facili e comprensibili». L’esempio classico è internet: inventata nel 1971, per oltre vent’anni è stata utilizzabile solo dai militari. La svolta è stata nel 1993, quando fu inventata un’interfaccia user-friendly: il primo web browser, chiamato Mosaic. «Prima di questa evoluzione c’erano 26 siti web online, dopo ne sono nati decine di milioni». Altre tecnologie “esponenziali” sono la robotica e
la stampa 3D. Solo cinque anni fa per programmare un robot bisognava essere un tecnico specializzato, ora è stato creato il primo robot industriale con interfaccia user-friendly: è meno costoso ma soprattutto non richiede competenze specifiche Quanto alla stampa 3D, permette di riprodurre praticamente tutti gli oggetti riducendo di moltissimo il costo di produzione. Può creare oggetti partendo da 300 materiali diversi, dalla plastica fino a elementi elettronici e tessuti umani. «In Cina hanno da poco stampato un palazzo di 5 piani, due anni fa è stata creata la prima automobile, ci sarà un impatto molto forte anche sul mondo dei trasporti. La stampa 3D sta innescando la quarta rivoluzione industriale. È decisamente disruptive, ha un potenziale di business di miliardi e miliardi di dollari, e tutti la possono usare, proprio perché ha un’interfaccia user-friendly: basta un mouse». capacità di performance, analisi e decisione estreme Un secondo grande fattore abilitante è l’iperconnessione delle masse, a cui Kotler ha appena accennato al World Business Forum di Milano (vedi box “Crowdsourcing: conoscenza globale e talenti nascosti”), soffermandosi invece a lungo sul terzo, il Flow. «I primi due fattori delineano lo scenario per cui oggi è sempre più semplice creare una startup, e passare velocemente da un’idea a un business da un miliardo di dollari. Ora vedremo come i singoli - imprenditori e manager - possono gestire tutto questo grazie a capacità di performance, analisi e decisione www.digital4executive.it
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estremamente superiori alla media». Capacità che si ottengono con il “Flow”, uno stato mentale e di coscienza in cui le persone si sentono ottimamente e rendono al meglio delle loro possibilità, e che massimizza le capacità di apprendimento, e di creatività nel senso di nuovi collegamenti tra le informazioni. Il Flow ha iniziato a essere studiato negli ultimi 30 anni, partendo soprattutto dai risultati di sportivi (scalatori, snowboarder, surfisti, ciclisti, runner, ecc.) che in pochi anni hanno polverizzato i limiti precedenti. Il surf per esempio è uno sport che ha già una certa tradizione, ma fino a 20 anni fa i surfisti sfidavano onde alte un metro, oggi si cimentano con onde alte anche più 30 metri. tutto il lavoro di una settimana concentrato in un solo giorno Il Flow però non ha impatti solo nello sport, ma in tutte le attività umane, e quindi ovviamente anche sul lavoro: nel business può portare enormi benefici. McKinsey ha fatto uno studio di 10 anni su oltre 5000 executive coinvolti nei suoi workshop, e ha scoperto che le persone “inflow” (in stato di flow) sono cinque volte più produttive della media. «Ciò significa che si può lavorare solo il lunedì essendo produttivi come in una settimana lavorativa intera.
Le risorse inflow processano le informazioni più velocemente e profondamente, quindi trovano più connessioni tra informazioni e generano più idee e innovazione. Il tasso di problem solving può quintuplicare: è la base per un enorme cambiamento». Il punto però è che fino a poco tempo fa entrare in stato di Flow era pressoché casuale. Sempre secondo lo studio di McKinsey, in un ambiente di lavoro le persone riescono a “essere inflow” mediamente per meno del 10% del tempo. Se consideriamo che aumentando solo del 20% questo tempo si può raddoppiare la produttività, diventa fondamentale “amplificare” i fattori che favoriscono il Flow. «Oggi con le moderne tecnologie di monitoraggio e di diagnostica per immagini del cervello e del corpo lo stato di Flow può essere scientificamente studiato e sfruttato, ed è per questo che è nato il Flow Genome Project di cui sono co-fondatore e direttore della ricerca». Buone scuole, pratica continua, attesa del premio? Non bastano Il primo punto quindi è capire quanto funzionano le forme tradizionali di motivazione, che Kotler sintetizza con la sigla M3, che sta per Mother, Musicians e Marshmellow. «Mother rappresenta l’ambiente: secondo l’opinione comune, genitori colti e
Crowdsourcing: conoscenza globale e talenti nascosti Questa è un’epoca in cui per la prima volta una persona si può rivolgere al mondo intero, via internet, per chiedere informazioni, servizi o finanziamenti. E per Steven Kotler uno dei tre fattori abilitanti dei potenziali enormi progressi dei prossimi anni è proprio l’iperconnessione delle masse, che origina le community online e fenomeni come crowdfunding e crowdsourcing. «Il crowdfunding può essere una soluzione per il grande problema di chi fonda una startup: i finanziamenti. Introdotto nel 2009, oggi è un business da 16 miliardi di dollari che in 10 anni può arrivare a 150/300 miliardi, cioè 10 volte l’attuale potenzialità di capitali per chi ha una buona idea». Il Crowdsourcing invece è expertise on demand, fino a poco tempo fa disponibile solo su scala locale, nelle comunità e nelle aziende. Oggi invece le indicazioni degli esperti possono arrivare da qualunque parte del mondo tramire apposite piattaforme online. «Un caso interessante è Foldit, un gioco online di ripiegamento delle proteine (protein folding) creato da tesisti della Washington University – racconta Kotler -. Nel 2011 in 10 giorni migliaia di giocatori di Foldit nel mondo hanno decifrato la struttura di un virus che aveva fatto impazzire gli scienziati per 15 anni. E il bello è che il maggior contributo non è venuto da un ricercatore o un docente, ma dalla segretaria di una clinica, che ci ha lavorato nei ritagli di tempo. Insomma il Crowdsourcing globalizza l’accesso alle competenze, ma dà anche visibilità ai talenti nascosti».
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«Non bisogna pensare di migliorare del 10%, ma di dieci volte. Nel primo caso infatti punterò sugli stessi strumenti, tecnologie e processi che uso di solito. Nel secondo invece dovrò mettere in discussione tutto, cambiare punto di vista, e puntare su creatività e innovazione»
benestanti e buone scuole sono fattori facilitanti di risultati eccellenti. Musicians è una metafora invece per la pratica e l’allenamento: per avere risultati eccellenti bisogna esercitarsi per ore e ore, proprio come chi studia musica. Con Marshmellow si intende l’amplificazione della gratificazione attraverso l’attesa del premio, come i bambini che devono resistere per non mangiare una caramella, in modo da gustarla di più quando avranno il permesso di mangiarla». In realtà, però, la ricerca ha riscontrato che per il Flow questi elementi non risultano fondamentali. L’educazione non incide, e neanche la pratica. «Abbiamo individuato invece 17 fattori favorevoli (trigger) per il Flow, di cui alcuni psicologici, alcuni ambientali, alcuni sociali, cioè di gruppo, e alcuni legati alla creatività. Quelli psicologici - fortissima concentrazione, obiettivi chiari, e feedback in tempo reale - sono fondamentali, ma altri tre sono molto interessanti». la difficoltÅ del compito dev’essere del 4% più alta delle nostre capacità Uno è il cosiddetto Challenge/Skills Balance. «Per stimolare al massimo la nostra produttività, occorre che la difficoltà del compito sia leggermente più alta delle nostre capacità. Le ricerche dimostrano che questa differenza deve essere del 4%: se la difficoltà è più alta ci scoraggiamo, se è minore non ci concentriamo abbastanza. C’è un punto di equilibrio perfetto tra noia e ansia che innesca quello che gli scienziati chiamano “Flow channel”. Questo 4% di difficoltà in più ci porta fuori dalla nostra “comfort zone”, e permette di scalare e mantenere un livello alto di performance». Il rischio, continua Kotler, è un altro potenziatore del Flow. «Può essere un rischio emozionale, fisico, creativo, ma quel che conta è che i rischi massimizzano lo sforzo personale e quindi ci mantengono “in flow”. Il rischio è l’elemento chiave che porta al successo, è un modo per portare le
persone a usare in modo costruttivo la paura e cambiare l’atteggiamento mentale». A questo si collega un ulteriore fattore abilitante: ridefinire l’impossibile. «Per decenni i fisiologi hanno ritenuto impossibile che l’uomo potesse correre un miglio in meno di 4 minuti, poi nel 1954 Roger Bannister l’ha corso in 3.59,4, e da quel momento molti atleti in pochi mesi sono riusciti a scendere sotto quel limite». Da qui è nata l’espressione “Bannister effect”: il limite fisiologico non era cambiato, ma l’atteggiamento mentale sì, e questo ha fatto la differenza. «C’è un legame fortissimo tra percezione e performance, bisogna vedere le cose come possibili e tutte le tecnologie e strumenti di cui ho parlato oggi permettono a chiunque di affrontare le sfide». facebook, google, toyota e patagonia: tutti lavorano già sul flow Legato a questo è un altro trigger, il concetto di “moonshot thinking”. «Non bisogna pensare di migliorare del 10%, ma di dieci volte, cioè del 1000 per cento. Nel primo caso infatti il miglioramento è incrementale, e per ottenerlo punterò sugli stessi strumenti, tecnologie e processi che uso di solito. Per migliorare di 10 volte, invece, bisogna mettere in discussione tutto, cambiare prospettiva e punto di vista, e puntare sulla creatività e sull’innovazione». La scienza del Flow, ha concluso Kotler, è già ampiamente applicata nel business. «Alcuni colossi, come Facebook e Google si stanno concentrando su singoli “trigger”, altri come Toyota e Patagonia, hanno già reso il Flow un componente della loro cultura aziendale. Quindi provare a sperimentare questi principi in qualche progetto pilota potrebbe non bastare in alcuni settori: magari qualche vostro concorrente è già avanti, e non avete alternative – se volete tenere il passo sugli indici di produttività – se non cominciare a fare sul serio anche voi». www.digital4executive.it
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Aiutare le aziende a gestire il proprio business in modo semplice ed efficiente è l’obiettivo di SAP, che da più di un anno ha orientato la propria offerta secondo il principio Run Simple. Un esempio tangibile di quest’impegno è il rilascio la scorsa estate di SAP Cloud for Analytics, che mette a disposizione di tutti gli utenti aziendali funzioni di analisi avanzate per data discovery, pianificazione, forecast, visualizzazione o previsioni. Una delle caratteristiche più evidenti di SAP Cloud for Analytics è la flessibilità per usi differenti: la soluzione ben si adatta infatti alle esigenze dei senior executive che tipicamente richiedono funzionalità di Business Intelligence (BI), o a quelle dei responsabili di divisione che hanno più bisogno di dati per la pianificazione, per sviluppare simulazioni e previsioni o per meglio indirizzare la governance o aspetti di compliance. SAP Cloud for Analytics, tipica soluzione offerta in modalità SaaS, costruita nativamente su SAP HANA Cloud Platform, offre una singola esperienza a sostegno del processo decisionale gestendo i dati, spesso custoditi in silo o dislocati in aree aziendali molto distanti, in modo efficiente. Con tutte le funzionalità analitiche presenti in un unico prodotto, i responsabili possono quindi accedere ai dati, creare report, visualizzare i dati con un clic, pianificare con gruppi diversi dell’organizzazione senza doversi preoccupare dell’integrazione dei dati da fonti multiple. Un altro annuncio che rientra nell’impegno di SAP per la semplificazione risale a fine ottobre quando il colosso tedesco ha rilasciato SAP Digital Boardroom,
Due esempi dell’approccio “Run Simple” sono SAP Cloud for Analytics, che offre funzioni avanzate per data discovery, pianificazione, forecast, visualizzazione o previsioni, e SAP Digital Boardroom, che contestualizza l’esperienza di una sala dei bottoni riunendo in un solo momento persone, device e sedi fisiche
basata su SAP Cloud for Analytics. Si tratta di una soluzione digitale di nuova generazione che contestualizza l’esperienza di una sala dei bottoni riunendo in un solo momento persone, dispositivi e sedi fisiche. SAP Digital Boardroom utilizza i dati delle diverse aree aziendali gestite con SAP S/4HANA e SAP HANA Cloud Platform per fornire un’unica fonte alla base di tutti i KPI aziendali. La Digital Boardroom permette inoltre di armonizzare la visualizzazione delle operazioni di un’organizzazione per tutte le funzioni aziendali e per dispositivi diversi in modo semplice e intuitivo. Inoltre, soluzioni come SAP Cloud for Analytcs e SAP Digital Boardroom aiutano le imprese a controllare e guidare il cambiamento nell’economia digitale, incorporando funzioni di business intelligence totalmente automatizzate per migliorare qualità e velocità della reportistica e sviluppare nuovi modelli collaborativi in tempo reale. Daimler Trucks North America ha scelto soluzioni di analytics di SAP in Cloud per identificare e tracciare potenziali contratti per i propri partner; National Football League (NFL) usa gli analytics di SAP per fornire indicazioni ai tifosi per il fantacalcio grazie a un tool che confronta le performance dei diversi giocatori. «NFL sta attivamente collaborando con SAP per la prossima impostazione di soluzioni analytics in Cloud ha affermato Cory Mummery, VP & GM NFL Now, NFL -. La capacità di sviluppare potenti strumenti e funzionalità per l’analisi dei dati a partire dalla singola partita di calcio migliorerà ulteriormente l’esperienza dei tifosi con i nostri prodotti dedicati al fantacalcio».
p er u lt er i o r i i n f o rma zioni...
go.sap.c om / italy
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digital transformation - marketing di
domenico aliperto
Mobile experience, le dieci regole d’oro per un’App vincente Dalla scelta precisa dei problemi da risolvere al “minimalismo evolutivo”. Dall’uso attento del gesture design alla necessità di evitare adattamenti di soluzioni pensate inizialmente per il web, fino all’importanza decisiva dei primi 5 minuti successivi al download. Ecco un decalogo di consigli e suggerimenti di una specialista di sviluppo e design per piattaforme Mobile
Esiste un metodo infallibile per realizzare una Mobile App di successo? Certamente no. Ci sono però delle regole di base per la creazione ed evoluzione continua di una Mobile User Experience (UX) originale e vincente, che costituisce il vero vantaggio competitivo di un software rispetto ai concorrenti. Purché naturalmente tutto questo sia portato avanti sempre in modo integrato con gli aspetti della sicurezza dell’App. Seguendo queste regole si può implementare un design la cui efficacia è misurabile, e migliorabile seguendo le direttive provenienti – anche indirettamente – dagli utenti. «La fase di retention e di engagement dell’utente è fondamentale, almeno quanto la sua acquisizione tramite campagne di marketing e canali social prima del download dell’App», conferma Emilia Ciardi, cofondatrice di Sparkling Labs, e designer/developer per Gtech. | 44 |
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Ciardi è stata protagonista del webinar “Le 10 regole d’oro della Mobile UX”, organizzato dagli Osservatori Digital Innovation della School of Management del Politecnico di Milano, e ha introdotto il decalogo con queste parole: «Ci sono tre punti di partenza indispensabili per una UX efficace: l’utente deve trovarla intuitiva e semplice già al primo impatto, perché non avrà mai la pazienza di investire energie mentali per capire come funziona; deve trasferire oltre a funzioni e servizi pratici anche emozioni; l’efficacia e la “responsi-
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La fase di retention ed engagement dell’utente è fondamentale, almeno quanto la sua acquisizione attraverso campagne di marketing e canali social che lo invogliano a scaricare l’App
veness” sono infine legate alle performance della UX, a loro volta determinate dai tempi di consumo sul Mobile».
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Quali problemi vogliamo risolvere?
Se non rispondiamo a questa domanda, la Mobile App non sarà efficace. I task devono diventare degli “user journey”, dei percorsi all’interno dell’applicazione: ogni elemento è un flusso ed è importante che sia molto semplificato, conducendo l’utente un passo alla volta nel percorso che intendiamo fargli fare. Per questo prima di tutto bisogna scegliere le “battaglie da combattere”. Le Mobile App non devono essere “coltellini svizzeri” che promettono di aggiustare qualsiasi situazione. Ma d’altra parte è necessario indicare percorsi fluidi con precise “call to action” che aiutino l’utente a non perdersi durante l’esperienza. Le interruzioni nei flussi, con interfacce nodali che interrompono e richiedono “investimenti mentali”, sono in genere dannose. Così come la pubblicità. Inoltre se riusciamo a trasferire aspetti emozionali, offrendo feature avanzate come fossero ricompense per la fedeltà dell’utente, saremo in grado di farlo sentire più a suo agio, man mano che prende confidenza con l’applicazione.
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Dare più valore a operazioni ordinarie
Bisogna di volta in volta trovare opportunità per arricchire l’esperienza e portarla su un nuovo livello. Ovvero proporre l’evoluzione di azioni che faremmo normalmente, ma che grazie ai mobile device possono essere svolte in modo aumentato, con dimensioni aggiuntive. Dallo sharing al rating passando per la dimensione social. In tal modo i task della Mobile App diventano qualcosa che gli utenti desiderano
come parte integrante della propria vita online. Il suggerimento è quindi di valutare attentamente se qualcuna delle funzionalità che proponiamo può aggiungere più significato e valore per l’utente.
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“Less is more”: minimalismo ed evoluzione basata sui dati di comportamento Si è già detto che bisogna scegliere le battaglie da combattere nell’ottica del poco ma buono. L’ideale è creare qualcosa di minimalista, agile, con KPI che ci permettano di analizzarne il funzionamento e migliorarlo. I dati generati dall’utente nell’uso dell’App possono essere utilizzati per ottimizzarla. Si può per esempio “distillare” il prodotto eliminando le funzioni meno adoperate, oppure monitorare il modo in cui cambia l’usabilità col passare del tempo, in risposta per esempio a mutate condizioni ambientali o all’arrivo di un competitor diretto sulla piazza. Lo studio dei dati permette di analizzare le performance reali dell’App anche in scenari molto complessi, aiutando gli sviluppatori a testare diverse alternative prima di rilasciarle.
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Non è un Web rivisto: stiamo progettando per lo schermo di un mobile device Sarà banale ripeterlo, ma non si può costruire una Mobile App semplicemente adattando le soluzioni pensate per il Web. Occorre anzi comprendere come l’utente dispone del device e dell’App nelle diverse situazioni d’uso: se digita tenendo lo smartphone con una o due mani, da fermo o in movimento, se ha a che fare con sessioni brevi o con contenuti di intrattenimento. Date queste premesse, bisogna inserire le principali funzioni della Mobile App all’interno dello spettro dei possibili utilizzi, dando precedenza per la UX a quelli più in linea con i nostri task. www.digital4executive.it
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Non si può costruire un’App adattando soluzioni pensate per il Web. Occorre capire come l’utente la usa: se digita tenendo lo smartphone con una o due mani, da fermo o in movimento, se fruisce di sessioni brevi o contenuti di intrattenimento
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Fare leva sugli standard
Di tanto in tanto si vedono Mobile App che sembrano progettate tenendo poco conto delle regole standard di funzionalità. Va bene la creatività, ma la familiarità con logiche e meccanismi già incontrati su altri prodotti di larga diffusione premia, perché aiuta l’utente a orientarsi nell’utilizzo e lo mette subito a suo agio.
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Sfruttare, quando possibile, il “gesture design”
Sempre parlando di standard, è bene sfruttare anche quelli “visual” che invitano a compiere gesti specifici sul display. Si tratta di pattern che se utilizzati bene e con un pizzico di ingegno possono aprire scorciatoie per diverse funzionalità ed evitare di realizzare interfacce affollate di bottoni. L’importante è che siano “thumb friendly”, facilmente richiamabili nel layout e intuitivi, inseriti cioè in contesti d’uso in cui lo standard è affermato, come per esempio lo swipe nelle caselle di email, che permettono di accedere a diverse funzioni sui singoli messaggi in elenco. Un modo elegante per farli scoprire all’utente è suggerirli con una sottile animazione.
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Usare le animazioni con attenzione
Se le animazioni sono sfruttate male, danno poco oltre al senso di “festa” e rallentano l’esperienza dell’utente. Vanno utilizzate per aggiungere intuitività alla UX. Se l’animazione è per esempio a supporto di una transizione di stato o promuove un’interazione più profonda, instaurando una metafora, è benvenuta: nel momento in cui l’utente comprende il senso delle metafore, si orienta meglio da solo su spazi e funzionalità, rendendosi conto di cosa accade nell’App in risposta a specifici gesti o ad azioni non concluse. | 46 |
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Non dimenticare: il design serve per comunicare con persone
Anche se è intermediato da uno schermo, il contenuto ha come utenti finali delle persone. Bisogna dunque cogliere le opportunità per distribuire al meglio il contenuto sfruttando i sensi umani. Per il momento, al cuore dell’esperienza sensoriale sui mobile device ci sono le immagini, che hanno il potere di inserirsi nella memoria a lungo termine degli utenti. Per questo, se il contenuto che trattiamo ce lo permette, non dobbiamo lasciarci sfuggire l’occasione di usarle.
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Investire sulla “prima volta” dell’utente
Una Mobile App ha circa 30 secondi a convincere gli utenti che l’hanno scaricata a usarla. E non devono servire più di 5 minuti per imparare a servirsene. Nei primi attimi di utilizzo ci si gioca tutto il lavoro fatto nella fase di acquisizione: l’App deve mostrare subito i suoi aspetti migliori, evidenziando i benefici che può trasmettere. Aspetto cruciale: non forzare la registrazione. È una pratica molto nociva che può alzare la soglia d’abbandono dell’App in una misura dal 50 al 75%, anche con sistemi di autenticazione semplificati come Facebook Connect. Meglio accogliere gli utenti come ospiti e proporre la registrazione poi, magari con un meccanismo premiante. Dobbiamo puntare tutto sul valore che l’App porta nella vita dell’utente.
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Mai trascurare l’esecuzione
Tutti questi accorgimenti che abbiamo visto finora sono inutili se chi sviluppa l’App non li mette tutti in pratica, conclude Emilia Ciardi. «A ogni progetto preparato sulla carta con accuratezza deve corrispondere un’esecuzione tecnica altrettanto accurata».
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digital transformation - procurement
Luigi Sironi Purchasing manager Helvetia
Helvetia ridisegna il processo di acquisto e passa al digitale La compagnia assicurativa ha istituito di recente una nuova Direzione Acquisti per la sede italiana, ridefinendo ruoli e attività e dotandosi di una piattaforma digitale che include un portale fornitori, il sistema di Sourcing per gestire offerte e preventivi, il Vendor rating e l’archivio contratti. Soluzioni integrate che hanno creato un “circolo virtuoso digitale” dell’intero processo
Un processo di Acquisto strutturato, gestito attraverso una piattaforma digitale, che include la qualifica di fornitori, la raccolta di offerte e preventivi, la valutazione delle performance e un archivio per i contratti digitali. È questa oggi la realtà della sede italiana di Helvetia, il gruppo assicurativo internazionale dall’identità svizzera presente principalmente nel centro e sud Europa, che ha vissuto a partire dal 2013 una vera e propria evoluzione della Direzione Acquisti in chiave digital, lasciandosi alle spalle le modalità del passato che facevano largo uso di excel, mail e documenti cartacei. Presente da oltre 60 anni nel nostro Paese, la Compagnia ha consolidato negli anni il proprio posizionamento incrementando la rete distributiva attraverso alcune acquisizioni strategiche. Così, di pari passo allo sviluppo della filiale italiana e alla crescente consapevolezza che gli acquisti sono un processo trasversale di grande importanza, è emersa l’esigenza di creare una Direzione Acquisti, | 48 |
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con specifiche competenze interne in grado di centralizzare tutte le decisioni. Fino al 2013, infatti, ogni area aziendale acquistava autonomamente e c’era solo un polo amministrativo all’interno dei Servizi Generali che aveva il compito di attivare il ciclo passivo di fatturazione sul gestionale SAP. È nata così la funzione “Acquisti e Controllo Costi”, guidata da Luigi Sironi, che riporta direttamente al Chief Operating Officer. Metà dei fornitori appartengono al mondo IT «Quando siamo partiti con questo progetto, l’esigenza principale era gestire in modo strutturato il rapporto con i fornitori, capire chi sono e riuscire a raccogliere in modo sistematico una serie informazioni che supportino le scelte d’acquisto. Tutto questo è fondamentale per un comparto come quello assicurativo, i cui fornitori per il 50% riguardano
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l’ambito IT e sono difficilmente sostituibili in quanto spesso fanno capo ad accordi di lunga durata, soprattutto con coloro che gestiscono gli applicativi aziendali: per fare un esempio, non è facile sostituire una società che fornisce l’ERP per la vendita dei prodotti assicurativi», sottolinea Sironi. Nel 2014 il progetto ha previsto la definizione puntuale di tutte le procedure interne e ha sancito definitivamente l’ownership della Funzione Acquisti sui rapporti commerciali con i fornitori e sulla formalizzazione degli accordi con le aziende esterne. Questo è stato un passaggio culturale molto forte che ha richiesto un significativo lavoro di change management da parte della Direzione Acquisti. «Prima di pensare a strumenti digital, l’organizzazione ha lavorato per creare una sua identità e definire processi e modi di approcciare il mercato dei fornitori. Una volta definite le regole, il passaggio successivo è stato quello di dotarsi di uno strumento per gestire le attività in maniera più efficiente», afferma il manager. L’adeguamento tecnologico è arrivato nel 2015 con l’adozione di strumenti web based per la gestione dell’albo fornitori (Vendor Management), dei processi di sourcing (con inviti ai diversi fornitori qualificati a presentare le proposte tecniche e commerciali) e della valutazione delle performance dei principali fornitori (Vendor Rating). Un nuovo approccio (noto anche come Supplier Value Management) che vede i fornitori “al centro” del processo di procurement e sempre più portatori di valore per l’azienda. L’obiettivo era creare un unico punto di accesso, facilmente fruibile, per le candidature, razionalizzando e omogeneizzando le modalità e i processi, resi così snelli, omogenei e facilmente rintracciabili. Con un’unica piattaforma, fornita da BravoSolution, Helvetia ora può gestire il rapporto con i fornitori nelle sue diverse declinazioni, dal processo di selezione, all’assegnazione dei contratti, alla valutazione delle prestazioni. «Tramite un processo di selezione dei fornitori abbiamo scelto BravoSolution per due motivi principali: l’esperienza consolidata nel settore bancario-assicurativo in Italia e all’estero e una notevole sensibilità e velocità nell’implementazione della piattaforma. Da quando abbiamo firmato il contratto a quando abbiamo fatto la prima registrazione dei fornitori sul portale e la prima richiesta di offerta online è trascorso appena un mese», evidenzia Sironi. Il Vendor Rating, nello specifico, consente di gestire le campagne di valutazione periodica dei principali fornitori, comprendere come hanno lavorato, se ci sono margini di miglioramento e se è il caso di cambiare interlocutore, laddove si possa fare. Come
accennato in precedenza, queste attività riguardano anche fornitori difficilmente sostituibili. A che serve, dunque? «La valutazione delle performance e quindi la valutazione del livello di servizio erogato porta a individuare le aree di miglioramento e quelle di eccellenza. Mettere nero su bianco, in maniera strutturata il percepito dei i clienti che lavorano con un certo fornitore è importante per individuare le opportunità di cambiamento e miglioramento, e aprire un confronto: gli spunti per lavorare insieme e migliorare possono essere molteplici». Inoltre un’altra componente ritenuta particolarmente utile dal team acquisti è quella di Contract Management, che consente di gestire l’archivio dei contratti dematerializzati, le scadenze e i KPI. Con una ricerca per fornitore, dunque, è ora possibile accedere all’intero spettro delle informazioni relative all’intero processo di Acquisto. In sintesi, il nuovo approccio strategico nella gestione del parco dei fornitori ha avuto molteplici ricadute positive: sulle fasi di pre-qualifica e qualifica dei fornitori che avvengono nello stesso momento, nell’univocità della domanda per indirizzare categorie di prodotti/servizi simili, nella tracciatura dello status dell’attività. Ma non è tutto, perché le funzionalità per la gestione dei fornitori (Supplier Value Management), per il Sourcing e per il Contract Management sono integrati e i documenti sono accessibili in qualsiasi momento, creando un “circolo virtuoso digitale” dell’intero processo di Procurement.
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Con un’unica piattaforma Web, Helvetia Assicurazioni ora può gestire il rapporto con i fornitori nelle sue diverse declinazioni, dal processo di selezione, all’assegnazione dei contratti, alla valutazione delle prestazioni
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digital transformation - pa di
manuela gianni
Vincenzo Pensa Direttore innovazione e sviluppo e Responsabile IT di ACI
ACI sulla strada del digitale La dematerializzazione del Certificato di Proprietà, che ha preso il via il 5 ottobre, è il primo importante risultato di un percorso di innovazione intrapreso da Automobile Club Italia nell’ottica di semplificare la vita ai 40 milioni di automobilisti italiani e migliorare l’offerta di servizi: nel 2016 sono previste altre novità, come un’App e l’accesso online alle informazioni sul pagamento del bollo
A partire da lunedì 5 ottobre chi acquista un’auto, una moto o un camion non deve più ritirare il consueto Certificato di Proprietà del veicolo, ma un codice e una ricevuta dell’avvenuta registrazione. Il documento, digitale, resta al sicuro negli archivi informatici del PRA e può essere recuperato dall’automobilista quando ne ha bisogno, semplicemente collegandosi on line dal sito dell’ACI. Si tratta di una piccola rivoluzione per i 40 milioni di automobilisti italiani, e quindi una buona notizia per l’intero Paese. Sono oltre 38mila i certificati emessi ogni giorno e 300.000 quelli smarriti ogni anno, con relativo costo per richiedere un duplicato: considerando anche i bolli che si aggiungono al costo del servizio, si stima un risparmio annuo per i cittadini pari a 15 milioni di euro. Tanta carta e un fiume di inchiostro risparmiati, dunque, ma soprattutto più efficienza, meno burocrazia e una via aperta verso nuovi servizi. Il Certificato di Proprietà digitale rappresenta infatti il primo risul| 50 |
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tato concreto di un programma di digital transformation che ACI ha avviato da un paio d’anni e che nel 2016 porterà altre novità per gli automobilisti, fra cui servizi online per verificare il pagamento del bollo e un’App integrata che offrirà tutti i servizi ACI, dal soccorso stradale all’infomobilità. Il PRA, gestito dall’ACI da 88 anni, diventa così una delle PA centrali più avanzate sulla frontiera della digitalizzazione. Da un paio d’anni ACI, infatti, ha intensificato gli sforzi, creando anche una nuova figura, quella del Direttore Innovazione e Sviluppo, ruolo affidato a Vincenzo Pensa, che ricopre anche la responsabilità dei sistemi IT. Un Direttore dell’Innovazione in una PA è un bel segnale per il Paese. In questi due anni di attività, quali obiettivi avete perseguito? Aver creato una struttura che ha come scopo principale quello di innovare e dare un contributo allo sviluppo dell’organizzazione è stato un investimento di
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ampie prospettive che comincia a dare i suoi frutti. L’esigenza era quella di spingere l’innovazione a 360 gradi: non solo da un punto di vista tecnologico, ma anche di modelli di business e di comportamenti. E non in modo fumoso ma con un forte aggancio alla realtà per ottenere risultati concreti. L‘innovazione non è un processo creativo, ma scientifico: abbiamo lavorato molto sui metodi e sugli aspetti strutturali. Ci siamo immediatamente posti due obiettivi. Innanzitutto diffondere la cultura dell’innovazione in modo pervasivo. La contaminazione è importante: volevamo ampliare il perimetro e far toccare con mano il nuovo approccio, dimostrando che anche con piccole iniziative si può fare molto, in modo da far salire a bordo altre persone: in questo modo si crea un circolo virtuoso. Oggi l’innovazione fa parte di tutte le strutture interne dell’ACI, con team multisciplinari, e questo arricchisce molto l’organizzazione. L’altro obiettivo è stato quello di inserire nei processi di sviluppo e pianificazione un approccio orientato all’innovazione, in cui la figura centrale è l’utente finale. In ACI, che da sempre si occupa di soccorso stradale, l’attenzione alle esigenze degli utenti è già forte, ma vogliamo enfatizzare ancora di più l’orientamento al cliente: tradizionalmente nella PA l’attenzione è sulla norma, mentre noi cerchiamo il quid pluris, quel qualcosa in più, in termini di opportunità da cogliere, all’interno del quadro normativo. E sappiamo che limitandosi all’efficientamento dei processi non si producono risultati eclatanti. Come si articola il progetto di trasformazione digitale in corso? La digitalizzazione del certificato di proprietà è il primo concreto risultato di questo ampio program-
ma di innovazione che stiamo portando avanti: oggi sono circa 3,5 milioni i documenti emessi (c’è un contatore sul sito dell’Aci, ndr). Ma è solo uno dei tasselli nell’ambito in particolare della gestione delle attività del pubblico registro automobilistico. Di fatto, il Certificato di Proprietà, o comunemente CdP, è l’output di un processo che è stato ripensato e che a breve sarà interamente digitalizzato. Molto di più, insomma della semplice dematerializzazione di un documento. E questo ha richiesto un ripensamento radicale della macchina organizzativa oltreché dei metodi di lavoro. Quali saranno i prossimi step? A febbraio sarà possibile per l’automobilista firmare il passaggio di proprietà direttamente su una tavoletta e in questo modo avremo digitalizzato tutta la filiera, come dicevo. Nel Cloud, ci sarà una sorta di cassetto riservato all’utente e questo renderà l’attività più efficiente, trasparente e sicura. Non si potranno verificare più situazioni ambigue e truffe: in passato è capitato che alcuni veicoli fossero intestati a persone che neanche ne erano a conoscenza. Anche le marche da bollo ora sono virtuali: è un ulteriore elemento di efficientamento, quelli cartacei possono essere contraffatti o riciclati. Inoltre, dall’identità digitale e dal contatto diretto con gli utenti possono nascere nuovi servizi. L’obiettivo è l’accesso ai dati in tempo reale, non solo dalle 106 sedi del PRA o dalle 5.500 agenzie indipendenti collegate, ma anche dal pc o dal tablet, comodamente seduti a casa o in auto, garantendone il pieno valore legale. Sarà possibile per ciascuno verificare la propria situazione, incluso il pagamento del bollo auto. In
Obiettivo dell’ACI è permettere agli automobilisti di accedere in tempo reale ai loro dati del PRA
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agenda abbiamo una serie di servizi per gli automobilisti, che metteranno il nostro Paese all’avanguardia in ambito Europeo: l’innovazione che stiamo portando avanti non ha paragoni in altre realtà. Quando si fanno progetti di innovazione nella Pubblica Amministrazione in genere uno dei principali ostacoli è il change management, il cambiamento delle abitudini consolidate del personale. Che tipo di reazioni avete riscontrato? La forza di questa organizzazione sta anche nella professionalità e coinvolgimento del proprio personale quindi i processi di innovazione trovano un terreno fertile. È una cultura aziendale che ha radici profonde. Per esempio, il telelavoro è una realtà consolidata da tanti anni, siamo stati tra i primi a far pagare con carta di credito e ad offrire servizi a domicilio: i nostri funzionari in casi particolari, ad esempio disabili o lungo degenti, vanno a casa o nella struttura ospedaliera, muniti di pc e stampante. Sul progetto della digitalizzazione c’è un forte coinvolgimento di tutto il management: il team è trasversale all’organizzazione. E c’è un lavoro di condivisione molto importante, per far sentire tutti partecipi e arricchire l’iniziativa con il contributo di vari soggetti. Il personale è stato formato e messo nelle condizioni di operare al meglio con vari strumenti: dal classico incontro informativo a strumenti di e-learning. Che impatto ha avuto il CdP digitale in termini di investimenti IT? In realtà il grande sforzo è stato di natura progettuale. Ci siamo posti l’obiettivo di non gravare sulle
agenzie, che non devono sostenere investimenti: è sufficiente la connessione internet e i pc di cui già dispongono. L’unico elemento che si aggiunge è la tavoletta per la firma digitale. Lo sviluppo delle applicazioni, invece, è stato fatto internamente da ACI informatica, la società in house che si occupa di IT. È stato realizzato un potenziamento dell’infrastruttura di rete: gli uffici presenti in tutti i capoluoghi dovranno trattare una quantità più importante di dati, garantendo sicurezza. Che ruolo ha lo smartphone nella vostra strategia? C’è una particolare attenzione ovviamente: tutti abbiamo lo smartphone mentre siamo in auto. La nostra Mobile strategy punta a fornire tutti i servizi utili a chi si muove, sia informativi sia di assistenza stradale. Stiamo razionalizzando le diverse iniziative già disponibili, realizzando una piattaforma unica, in modo da gestire le informazioni in modo integrato e creare servizi ad hoc, personalizzati. A breve rilasceremo un’App da cui l’automobilista potrà accedere a una serie di informazioni, incluso il CdP digitale. E nel lungo termine, cosa si aspetta? L’infomobilità è un grande tema: potremo fornire ogni genere di informazioni utili a chi guida e alla sua sicurezza. Pensiamo a un sistema di alert per segnalare le manutenzioni programmate del veicolo, o addirittura info sulla modalità di guida personale, grazie a sensori collegati allo smartphone. C’è uno spazio enorme: è un mercato di 40 milioni di veicoli.
Il Certificato di Proprietà in cifre • 11 milioni di operazioni effettuate dal PRA ogni anno, ossia circa 50.000 ogni giorno • 15 minuti il tempo medio per la maggior parte delle operazioni, tutto comunque è concluso e registrato in tempo reale ed entro la giornata, senza “sospesi” che si accumulano • 1.800.000 circa le iscrizioni che hanno riguardato nel 2014 l’acquisto di nuovi veicoli (autovetture, autocarri, motocicli oltre i 125 cc, rimorchi oltre le 3.5 ton.) • 6 milioni sono stati i trasferimenti di proprietà e 1.7 milioni le radiazioni. Ben 1.2 milioni di trascrizioni riguardano ipoteche, fermi amministrativi, duplicati per smarrimento, ecc. • Dal 5 al 7% è il valore medio degli emolumenti del PRA per lo svolgimento della pratica (da Euro 13.50 a 27, zero per i disabili) rispetto al totale dell’importo pagato, il restante sono imposte • Oltre 300.000 gli smarrimenti ogni anno del Certificato, che si eliminano con la digitalizzazione • 30.000.000 di fogli risparmiati ogni anno con la digitalizzazione, equivalenti a oltre 9.000 km di carta (come andare da Roma a Rio de Janeiro) • 106 gli Uffici in tutta Italia del PRA e oltre 5.500 le Agenzie (Studi di Consulenza) collegate telematicamente al PRA | 52 |
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digital transformation - manufacturing di
Daniele Lazzarin
Giovanni Miragliotta direttore Osservatorio Smart Manufacturing politecnico di milano
Smart Manufacturing, riparte l’innovazione in Italia, ma ci vuole un piano nazionale Salgono gli investimenti soprattutto in sei aree tecnologiche, dal Cloud alla stampa 3D, spiega l’Osservatorio Smart Manufacturing del Politecnico di Milano, che ha censito 135 applicazioni. «Ma l’adozione è ancora frenata da molti fattori. L’Italia è la seconda manifattura europea: il settore merita una attenzione delle istituzioni simile a quella di Paesi come Germania, USA e Regno Unito»
ll comparto manifatturiero italiano sta finalmente uscendo dalla crisi economica. Questo anche grazie alla digitalizzazione in corso nei suoi processi, definita di volta in volta quarta Rivoluzione industriale, Industry 4.0, o “Smart Manufacturing”. Ma perché questo diventi un vero cambio di marcia per il sistema Paese occorre un programma nazionale, simile a quelli già in corso in altri Paesi, come Germania, USA e Regno Unito. Questi in sintesi i concetti del primo rapporto dell’Osservatorio Smart Manufacturing della School of Management del Politecnico di Milano. Le imprese italiane hanno iniziato a investire in tecnologie come Internet of Things, Big Data e Cloud Computing, Advanced automation, dispositivi wearable e nuove interfacce uomo/macchina (Advanced HMI, Human Machine Interface) o stampa 3D. Ma rispetto allo scenario mondiale l’adozione appare rallentata da fattori di contesto, culturali, organizzativi e dalla capacità di offerta. «La ricerca, pur rivelan| 54 |
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do un buon fermento anche in Italia, mostra come nel nostro Paese ci sia ancora molta strada da fare da parte di aziende utenti, fornitori e istituzioni – spiega Marco Taisch, Co-Responsabile scientifico dell’Osservatorio –. Spiace osservare come nel documento ‘Strategia per la crescita Digitale’ della Presidenza del Consiglio non c’è neanche una riga sul settore manifatturiero». Applicazioni, prevale la Smart Execution L’Osservatorio ha censito in Italia 135 applicazioni in ambiti molto diversi nelle 43 imprese industriali analizzate. La maggior parte è nell’area Smart Execution - produzione, logistica, manutenzione, qualità, sicurezza/compliance - specialmente grazie a tecnologie già diffuse come Internet of Things e Big Data, mentre Cloud Manufacturing e Advanced HMI si candidano a diventare le tecnologie di riferimento per il prossimo futuro. Una grande ricchezza
digital transformation - manufacturing | Smart Manufacturing, riparte l’innovazione in Italia
applicativa si trova anche nell’area Smart Integration, che comprende New Product Development, Supplier Relationship Management e Product Lifecycle Management. Quanto all’area Smart Planning (Production & Distribution Planning, Inventory Management e Supply Chain Event Management), il potenziale è ancora latente, ma esploderà una volta che le tecnologie smart avranno permeato il processo manifatturiero e i sistemi di condivisione dei dati. «La situazione dello Smart Manufacturing in Italia mostra luci e ombre – commenta Giovanni Miragliotta, Direttore dell’Osservatorio –. Dai dati emerge che le medie e grandi imprese sono già attive sul tema, ma è assente la visione strategica, sia nelle singole imprese sia a livello Paese». Vari Paesi hanno in corso grandi programmi di innovazione digitale che definiscono strategie, roadmap e criteri di unificazione attorno a cui sviluppare l’industria del futuro. Programmi varati per esempio da Germania, USA – grazie alla Smart Manufacturing Leadership Coalition (SMLC) - e Regno Unito (iniziativa “High Value Manufacturing”). «L’Italia è la seconda manifattura europea e il comparto rappresenta con il suo indotto il 20% della ricchezza del Paese: sarebbe auspicabile un’attenzione delle istituzioni simile a quella di questi Paesi – osserva Miragliotta -. L’Osservatorio ha anche l’obiettivo di sensibilizzare imprese, fornitori di tecnologia e istituzioni verso un programma di intervento supportato dal Governo». Un obiettivo che richiede di partire da una definizione rigorosa di “Smart Manufacturing”, cosa che
l’Osservatorio ha fatto dividendo queste tecnologie in due grandi insiemi. Uno più vicino all’IT, formato da Internet of Things, Big Data e Cloud. L’altro, più eterogeneo e vicino al livello operativo, formato da Advanced automation, Advanced HMI, e Additive Manufacturing. Vediamo più da vicino queste 6 tecnologie fondanti dello Smart Manufacturing. IoT, Cloud e Big Data in versione “industrial” (Industrial) Internet of Things/Smart Objects. L’espressione IoT descrive uno scenario (già in parte concreto) per cui ogni oggetto che usiamo quotidianamente può diventare intelligente (“smart”, cioè con capacità di auto identificazione, localizzazione, diagnosi stato, acquisizione dati, elaborazione, attuazione) e connesso tramite protocolli di comunicazione standard. Il dominio applicativo dell’IoT tocca ogni ambito dell’attività umana (case ed edifici, automotive, ambiente, Smart city, agricoltura, sanità, ecc.): quelli più vicini al mondo produzione/ operations sono detti “industrial internet” o “CyberPhysical Systems”. Manufacturing Big Data/Industrial Analytics. Specializzazione dei metodi e strumenti per trattare ed elaborare grandi moli di dati sull’ambito manifatturiero e di Supply Chain Management. I dati possono provenire da sistemi IoT connessi al layer produttivo (per esempio macchinari sensorizzati e connessi), o dallo scambio tra sistemi IT per la pianificazione e sincronizzazione dei flussi produttivi
smart manufacturing: principali benefici rilevati per settore Adempimento vincoli di legge Miglioramento di pianificazione, controllo e flessibilità Incidenza del beneficio per settore
Soddisfazione del cliente / Miglioramento immagine Aumento ricavi
Fonte: Politecnico di Milano
Riduzione costi
Macchinari
Automotive
Aeronautica Difesa
Alimentare
Elettronica Elettrica
Home Appliances
Lavorazioni metallo
Arredamento
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Chimica
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digital transformation - manufacturing | Smart Manufacturing, riparte l’innovazione in Italia
C’è grande interesse mediatico e pratico per gli eccezionali livelli di time to market e complessità dei prodotti realizzabili con la stampa 3D, ma restano limiti di prestazioni meccaniche, tutela della proprietà industriale e lentezza del processo
e logistici. In quest’ambito rientra l’applicazione di nuove tecniche e strumenti di Data analytics & visualization, Simulation e Forecasting, per evidenziare l’informazione celata nei dati e il suo uso efficace per supportare decisioni rapide. Cloud Manufacturing. Applicazione in ambito manifatturiero del paradigma Cloud, con accesso diffuso, agevole e on demand a servizi IT – infrastrutturali, di piattaforma o applicativi - a supporto di processi produttivi e di gestione della Supply Chain. Spazia dalla virtualizzazione delle risorse fisiche necessarie alle macchine di fabbrica a quella di applicazioni, dati e processi su piattaforme di e-execution ed e-collaboration ospitate in Cloud, a quella delle stesse risorse produttive, abilitata ad esempio da piattaforme (come Makercloud) per caricare le specifiche di produzione di un bene (disegni, requisiti, volumi, etc.) e ottenere proposte di fornitura. Queste tre tecnologie hanno un ulteriore potenziale se sono attivate insieme. Un caso pratico è l’uso di sensori per la misura in tempo reale di alcuni parametri del processo manifatturiero, con le attività di connectivity e data management gestite in Public Cloud, e un’applicazione di industrial analytics (in locale o anch’essa in Cloud) per l’analisi dei dati in tempo reale e il supporto alle decisioni di gestione. advanced Automation e HMI, l’innovazione più operativa Advanced Automation. Quest’espressione indica i più recenti sviluppi nei sistemi di produzione automatizzati in campi come la capacità d’interazione con l’ambiente, l’auto-apprendimento e la guida automatica (es. passando dai “tradizionali” sistemi AGV a nuovi dispositivi come i droni), l’uso di tecniche di visione e pattern recognition (sistemi di manipolazione, controllo qualità) e infine la capacità di interagire con gli operatori. Advanced HMI. Espressione che indica i recenti sviluppi nei dispositivi wearable e nelle interfacce uomo/macchina, per l’acquisizione e/o veicolazione di informazioni in formato vocale, visuale e tattile. L’Advanced HMI include sistemi consolidati, come i display touch o gli Scanner 3D per l’acquisizione dei gesti, e soluzioni più innovative e bidirezionali, come | 56 |
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i visori per la realtà aumentata a supporto di operatività e training degli operatori. I ricercatori considerano nell’area Internet of Things i dispositivi con funzione prevalente di acquisizione dati (es. wearable per misurare parametri ambientali e di sicurezza), e nel campo Advanced HMI quelli con componenti innovative nell’interazione operatori-sistemi. stampa 3d, una vera rivoluzione Additive Manufacturing. Nota anche come Stampa 3D, questa tecnologia è una reale rivoluzione rispetto ai processi produttivi tradizionali (asportazione o deformazione plastica di materiale), perché crea oggetti stampandoli strato per strato. Negli ultimi anni ha avuto un boom, allargando il numero dei processi tecnologici di base (tra i principali Selective Laser Sintering, Electron Beam Melting, Fused Deposition Modeling, Stereolithography) e dei materiali trattabili (plastiche, metalli) con buone prestazioni di finitura e resistenza meccanica. L’Additive Manufacturing trova applicazione in 4 ambiti: Rapid Prototyping (a supporto di sviluppo prodotti, simulazione statica e in galleria del vento, etc.), Rapid Manufacturing (realizzazione diretta di prodotti vendibili), Rapid Maintenance & Repair (riparazione in modo additivo di particolari usurati o danneggiati) e Rapid Tooling (realizzazione di stampi, gusci, ecc. per stampaggi e formature). L’Osservatorio si è concentrato su casi di Rapid Manufacturing in metallo per capire gli impatti su importanti processi tradizionali come fonderia, lavorazione meccanica e assemblaggio. A fronte del grande interesse mediatico e pratico per le eccezionali prestazioni di time to market e complessità dei prodotti realizzabili, rimangono limiti di lentezza del processo, prestazioni meccaniche, e tutela della proprietà industriale. Queste ultime tre tecnologie, spiega l’Osservatorio, fanno parte della Ricerca, anche se eterogenee, poiché aprono nuovi modi di lavorare in fabbrica, rimuovendo vincoli (di produzione, movimentazione, interazione), creando nuove opportunità operative ma anche di business (per esempio aumento della varietà), e richiedendo nuove competenze per il pieno sfruttamento delle loro potenzialità.
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World Economic Forum: rischio occupazione con l’Industry 4.0. Polimi: «Niente allarmi» L’evento di Davos quest’anno ha riconosciuto la rilevanza della trasformazione digitale in atto, ma lo studio ‘Future Jobs’ prevede la perdita di 5 milioni di posti di lavoro entro il 2020 con l’avanzare dello Smart Manufacturing. Secondo Alessandro Perego del Politecnico di Milano, però, si tratta di previsioni di breve periodo che non devono spaventare oltre misura La quarta rivoluzione industriale è in corso, ma che impatto avrà sull’occupazione? «La tecnologia è un catalizzatore, ma occorre rivedere processi e organizzazioni. In fondo accadde lo stesso con l’elettricità: ci sono voluti 30 anni perchè la transizione avvenisse», ha ricordato Erik Brynjolfsson, Director MIT Initiative on the Digital Economy, intervenendo a un dibattito al World Economic Forum (WEF) di Davos, dove top manager ed economisti si sono riuniti come ogni anno per discutere dei grandi temi dell’economia mondiale. La Digital Transformation è oggetto di uno studio dettagliato del WEF: il clima è ottimistico, molto diverso rispetto solo a due anni fa. Ma desta preoccupazione nel breve periodo il possibile impatto sull’occupazione in particolare nelle fabbriche. Se lo Smart Manufacturing o Industry 4.0, cioè l’innovazione digitale nei processi industriali, è la chiave per la competitività del futuro, nel breve termine - spiega lo studio ‘Future Jobs’ presentato a Davos – si potrebbero perdere 5 milioni di posti di lavoro entro il 2020 in 15 grandi Paesi. Questo dato ha suscitato allarme, ma nel mediolungo termine non è assolutamente certa una contrazione degli occupati in numero assoluto, considerato anche l’impatto nell’indotto, in particolar modo nel terziario avanzato, sostiene Alessandro Perego, Direttore Scientifico degli Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano. «Di sicuro assisteremo a un’evoluzione delle forme attuali del lavoro verso il digitale, ma il cambiamento è da leggere in chiave positiva. Anche in Italia - che per la ricerca ‘Future Jobs’ dovrebbe
uscire indenne dai prossimi 4 anni, con 200mila posti di lavoro creati e altrettanti cancellati - le imprese hanno iniziato a investire in tecnologie come Internet of Things, Big Data, Cloud, sistemi di produzione automatizzati, stampa 3D (vedi pag. 54). Il nostro Paese però deve saper cogliere a pieno i benefici del digitale nell’industria, attuando iniziative sistemiche per lo sviluppo dello Smart manufacturing e fornendo ai lavoratori le competenze digitali per le mansioni del futuro». Il precedente delle prime tre rivoluzioni Secondo Perego lo studio del WEF fa riflettere, ma non deve allarmare oltre misura. «Da tempo ormai si levano interrogativi sull’impatto della rivoluzione digitale sull’occupazione. Ma molti autori, Brynjolfsson & McAfee e Rifkin per citarne alcuni, e diversi documenti di analisi e politica industriale nazionale, come il programma “Smart Industry” olandese, evidenziano che la tesi per cui nel medio-lungo periodo l’occupazione calerà non ha basi empiriche. Dal punto di vista macro-economico le tre rivoluzioni industriali precedenti (quelle del vapore, dell’energia elettrica e della prima informatizzazione) non hanno fatto uscire dal mondo del lavoro segmenti di popolazione, ma piuttosto hanno cambiato il concetto di lavoro, definendo nuovi equilibri di occupazione, tutela sociale, creazione e distribuzione della ricchezza. Perciò dobbiamo guardare in positivo anche alla quarta rivoluzione industriale». www.digital4executive.it
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digital transformation - supply chain di
Laura zanotti
intervista a
ottimizzare la supply chain grazie a una gestione digitale ad alta integrazione
Marco Goss
Chief Supply Chain Officer Leitner
Leitner, nata a Vipiteno e oggi parte di un Gruppo multinazionale specializzato in tecnologie funiviarie, utilizza una soluzione integrata che permette di gestire l’intera catena logistica, dai 900 fornitori di componenti fino alla rete di 110 trasportatori. Tra i vantaggi, una riduzione dei costi ma soprattutto visibilità e collaborazione tra tutti i referenti
Per gli sciatori e gli amanti della montagna, Leitner è un marchio molto noto. I suoi impianti, infatti, sono il complemento fondamentale di ogni sport invernale, migliorando l’attrattività delle strutture ricreative grazie a seggiovie e cabinovie ad agganciamento automatico, funicolari, funivie, ascensori inclinati e skilift confortevoli e sicuri. Data la tipologia di prodotto, il modello di business è molto complesso: come produttore Leitner necessita di materie prime, lavorati e semilavorati che, tra lamiere e profilati in acciaio, funi, sistemi di controllo elettronico, riduttori, freni, sedute e parti elettrotecniche, comporta la gestione di oltre 900 fornitori diversi. Tra i provider, infatti, c’è persino BMW che fornisce sedute in pelle riscaldate per cabine superlusso, dotate di frigo bar e display interattivi per l’infotainment dei viaggiatori. Il processo di produzione include fasi diverse, dal taglio alla saldatura, dalle lavorazioni meccani| 58 |
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che a verniciatura e montaggi finali, secondo i vari modelli a catalogo e relative varianti e personalizzazioni. Una volta terminati i sottogruppi degli impianti in base alle varie configurazioni dell’ordine, la distribuzione coinvolge poi una rete di 110 trasportatori. Si tratta di referenti diversi, che coprono le attività di trasporto navale e stradale in ambienti anche molto difficili: in montagna, infatti, servono mezzi speciali, a 4 ruote motrici, per trasportare i sottogruppi degli impianti per il montaggio finale, realizzato in loco. Ottimizzare i processi di trasporto Le maggiori sfide per Leitner sono a livello produttivo ma a anche a livello logistico, con una gestione concretamente complessa: ogni ordine include tantissimi codici di prodotto e va accompagnato dalle specifiche di montaggio e relativi disegni aggiornati. Sia outbound che inbound,
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Il Gruppo può gestire richieste di trasporto anche su più stabilimenti e su diverse nazioni, organizzando i viaggi tramite un’unica interfaccia on line, il che consente di migliorare la saturazione dei mezzi
l’organizzazione deve risolvere una pluralità di indirizzi di presa (1100) e di consegna (1300) su una movimentazione che comprende una media di 18.500 prese l’anno. Nel 2008, la volontà di ottimizzare la Supply Chain ha spinto la società a reingegnerizzare i processi, avviando un progetto di implementazione SAP a livello di gruppo. Con l’occasione, la direzione puntava a introdurre anche un sistema di Transport Management System (TMS) che potesse garantire la gestione completa degli ordini di trasporto e la gestione documentale di ordini e conferme d’ordine, includendo la parte più organizzativa del ritiro dei materiali presso i fornitori. «Cercavamo un sistema integrabile con SAP ma anche di facile utilizzo, performante e multilingua - spiega Marco Goss, Chief Supply Chain Officer di Leitner -. Tra i requisiti della soluzione, avevamo necessità che il partner fosse affidabile, in modo da garantire lo sviluppo dell’applicazione e la sua sostenibilità negli anni. Abbiamo scelto la soluzione proposta da Tesisquare e nel 2009 abbiamo iniziato a implementare il sistema: TMS si è dimostrato subito molto valido, non solo portando maggiore efficienza e precisione nei processi, ma anche velocizzando tutte le procedure associate alla logistica e alla movimentazione dei prodotti, garantendoci una riduzione dei costi di trasporto tra il 5 e il 10% ma anche una riduzione delle ore uomo necessarie di un 15%».
tata ha consentito una reportistica avanzata che ha introdotto nel Gruppo una tracciabilità dei trasporti e dei prezzi espressa attraverso indicatori importanti (KPI). Il Gruppo può gestire richieste di trasporto anche su più stabilimenti e su diverse nazioni, organizzando i viaggi tramite un’unica interfaccia on line, il che consente di ottimizzare i carichi riuscendo a migliorare la saturazione dei mezzi, favorendo così una razionalizzazione delle attività e dei consumi (con il vantaggio di ridurre l’impatto ambientale della logistica). Tra i vantaggi di TMS va aggiunta anche la possibilità di avere un numero identificativo unico rispetto alla richiesta di trasporto, per consentire il riconoscimento immediato in fase di ritiro dai fornitori o dai clienti, velocizzando ulteriormente il processo. «La possibilità di elaborare statistiche avanzate, con accesso al database aggiornato - ha proseguito Goss - ci permette di analizzare approfonditamente le variabili associate ai trasporti come il livello di saturazione, il calcolo dei pesi medi o la valutazione dei trasporti diretti/indi-
Una supply chain ad alto tasso di collaborazione La soluzione ha incrementato la visibilità ma anche la collaborazione tra tutti i referenti della Supply Chain, ovvero fornitori, trasportatori e produttori, introducendo elementi di automazione e di semplificazione che hanno innalzato la qualità delle attività, abbattendo i tempi e ottimizzando le risorse. Oggi gli ordini vengono inviati automaticamente ai trasportatori, riducendo di conseguenza il numero di mail e telefonate. La soluzione adotwww.digital4executive.it
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retti, permettendoci di controllare meglio i costi. Non solo: la sistematizzazione dei processi, grazie all’invio automatico degli Ordini di Trasporto ai trasportatori, ha velocizzato i processi di consegna, permettendoci di gestire i listini in modo automatizzato con modalità di aggiornamento decisamente semplificate. Un altro plus è la possibilità di effettuare il controllo e la conferma delle fatture dei trasportatori che vengono poi automaticamente caricate sul sistema ERP, con un’assegnazione corretta dei costi relativi ai vari progetti. I risparmi che abbiamo ottenuto con questa soluzione si attestano tra il 5 e il 10%, con una riduzione delle ore del personale dedicate all’attività che si aggirano intorno al 15%». Dal document management alla conservazione sostitutiva in un’unica soluzione di continuità Nel 2012 Leitner decide di estendere l’ingegnerizzazione anche alla parte di gestione dei fornitori, aggiungendo una soluzione di Vendor management, integrato a SAP e al sistema di TMS. Nel 2014 inizia l’avviamento prima al Gruppo Leitner e poi al Gruppo Poma, la divisione francese del Gruppo. «Oggi, tramite un unico portale - conclude Goss - possiamo inviare automaticamente dal nostro sistema ERP al nostro sistema di SCM ordini di acquisto ai fornitori e documenti correlati relativi a specifiche e disegni aggiornati. In questo modo possiamo gestire automaticamente le conferme d’ordine, con aggiornamenti e avvisi
di spedizione con una estrema precisione rispetto alla disponibilità delle merci in produzione, proprio grazie alla migliorata puntualità dei fornitori. Il processo automatizzato include anche la gestione delle richieste di ritiro da parte dei fornitori come input integrato tra i due sistemi. A livello di valutazione delle performance, siamo passati dall’82% al 90% di puntualità, guadagnando quindi ben 8 punti percentuali. Insomma, siamo passati da una situazione pregressa basata su una quantità di fogli Excel a un sistema evoluto, integrato, digitalizzato e ad altissime prestazioni». Grazie al sistema SCM il Gruppo ha introdotto una soluzione che, dal document management alla conservazione sostitutiva, ha dematerializzato i processi attraverso un’unica soluzione di continuità. Gestione dei workflow, notifiche e alerting, questionari dinamici, dashboard e KPI sono tutti elementi di supporto al Gruppo attraverso moduli integrati e personalizzabili. Questa digitalizzazione spinta di tutti i processi gestionali, oltre a garantire l’affidabilità dei dati e la massima trasparenza informativa, ha avuto un impatto positivo sull’intera supply chain del Gruppo, migliorando non soltanto le performance dei trasportatori, ma anche la logistica interna dei cantieri. Ad oggi, infatti, le consegne sono tutte registrate, e non ci sono motivi di contestazione grazie a un livello di controllo relativo sia all’approvazione degli ordini che ai documenti di trasporto, con un tracciamento anche della data di consegna. Il tutto messo a sistema.
Leitner, funivie non solo per l’alta quota L’azienda altoatesina, con sede a Vipiteno, è stata fondata nel 1888: nel corso degli anni, la qualità della progettazione e della produzione hanno portato l’azienda a diversificare l’offerta e a definire un modello di business che le ha permesso di varcare i confini nazionali, diventando un gruppo a livello mondiale, con oltre 3.000 dipendenti e un fatturato di gruppo che nel 2014 ha superato i 700 milioni di euro. Oggi, infatti, Leitner è parte di una realtà imprenditoriale multinazionale specializzata in tecnologie funiviarie (Leitner e Poma), impianti per l’innevamento artificiale (Demaclenko), veicoli battipista e veicoli cingolati multiuso (Prinoth) e impianti eolici (Leitwind). Le soluzioni proposte non sono più finalizzate esclusivamente all’alta quota: sia in Italia che all’estero, infatti, diverse città hanno risolto l’equazione economia/ecologia legata ai problemi del traffico urbano, adottando gli impianti a fune (aeree e su rotaia) per il trasporto pubblico del Gruppo: da Perugia a Rio de Janeiro, dalla Turchia alla Colombia. Attualmente il Gruppo conta 70 filiali, 127 punti vendita e assistenza e 8 stabilimenti produttivi dislocati in Italia, Austria, Slovacchia, Francia, Nord America e India.
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PERCORSO EXECUTIVE E CORSI BREVI IN
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Il Percorso Executive in gestione strategica dell’innovazione digitale e i Corsi Brevi Digital Innovation di MIP Politecnico di Milano affrontano i temi chiave dell’innovazione digitale nelle Imprese e nella Pubblica Amministrazione, come leva di innovazione strategica e fonte di differenziali competitivi. Realizzati in collaborazione con CEFRIEL, i corsi attingono al know how degli Osservatori Digital Innovation e sono una delle iniziative della Digital Transformation Academy della School of Management del Politecnico di Milano.
Un ampio catalogo a disposizione con nuovi corsi in programma da febbraio a dicembre 2016:
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intervista di
mauro bellini
intervista a
alberto tripi presidente almaviva
L’Internet of Things dà forma alla nuova ICT “molecolare” Alberto Tripi di Almaviva spiega le ragioni che hanno portato alla nascita di Giotto, una nuova piattaforma per la creazione di applicazioni IoT, in uno scenario in cui tutte le “molecole” oggetti, persone, macchine - dialogano fra loro. «Quel che più conta sono la mole e la qualità dei dati, destinati a superare le aspettative: nella valorizzazione si collocano le opportunità più importanti»
L’occasione è offerta dalla presentazione ufficiale di Giotto, la nuova piattaforma di sviluppo per IoT, la risposta di Almaviva alla domanda di innovazione che arriva dai clienti, e coinvolge sviluppatori, integratori, provider e un ecosistema di università e startup orientato alla ricerca e allo sviluppo. Ed è proprio dal tema delle potenzialità dell’Internet of Things che inizia la nostra conversazione con il presidente di Almaviva, Alberto Tripi. Le società di ricerca stimano che in pochi anni gli oggetti connessi sfioreranno in numero i 30 miliardi. Si tratta di una potenzialità che chiede di essere gestita. In che modo? Le previsioni di sviluppo nella diffusione di apparati e sensori IoT sono destinate ad essere riviste verso l’alto. Il numero di “oggetti intelligenti” che ci circonderà in futuro supererà le stime attuali proprio perché ogni giorno si aprono prospettive di affermazione in nuovi mercati. Ma quel che più conta sono la mole e la qualità | 62 |
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di dati destinati a superare le aspettative. E noi come Almaviva abbiamo la consapevolezza che nella valorizzazione di questi dati si collocano le opportunità più importanti per le imprese utenti. In uno scenario segnato dalla diffusione di sensori, che indossiamo come wearable e che “parlano” e raccontano ad esempio del nostro stato di forma, dei nostri spostamenti. Anche un pezzo importante della storia di ciascuno di noi entra in questo flusso e fornisce dati di estremo interesse, a condizione di leggerli e gestirli in una prospettiva di valore. E purché chi è chiamato ad analizzare questi dati sia in grado di rispettarli, garantendo tutti i fattori di sicurezza e di privacy. L’IoT è una prospettiva sempre più fondamentale anche per le imprese? Certamente, ma con l’obiettivo di allargare e completare tutti i fattori di conoscenza che portano valore aggiunto al business. In altre parole non è più possibile pensare che in una azienda si progettino nuovi pro-
intervista | L’Internet of things dà forma alla nuova ICT “molecolare”
dotti senza avere una conoscenza completa dei prodotti che sono già sul mercato, senza una analisi della concorrenza e senza una consapevolezza del contesto ambientale nel quale verranno venduti o utilizzati, così come non si possono trascurare le opinioni dei clienti. Giotto è creato per sviluppare applicazioni che consentono di aggregare, integrare, analizzare le informazioni che provengono dall’ecosistema individuato, nel rispetto di privacy e priorità del business. Ma l’ecosistema non si ferma ai clienti, comprende anche collaborazioni con Università, Centri di ricerca, startup... Per fare innovazione occorre avvalersi sempre più di partnership, di startup con un forte orientamento alla conoscenza e all’operatività. Il rapporto con questo ecosistema è di reciproca collaborazione. Giotto costituisce un tool che mettiamo a disposizione dei centri di ricerca e delle università. Almaviva ha stretto accordi con l’IoT Lab del Politecnico di Milano, con il CTL Sapienza e con l’Università degli Studi Roma Tre. Almaviva è una realtà italiana. Ha Data Center solo in Italia, applica parametri di sicurezza e privacy secondo stringenti regole italiane e dà garanzia di continuità del servizio in ambiti mission critical. Tutto questo per voi è un valore aggiunto anche nella prospettiva IoT? La sicurezza è alla base del rapporto con tanti nostri clienti, con cui abbiamo rapporti di stretta collaborazione. La sicurezza è una continua sfida e l’apertura al mondo dell’IoT ovviamente apre un nuovo fronte di rischi da presidiare. Gli elevati standard di sicurezza e privacy che siamo in grado di garantire sono un elemento qualificante e distintivo dell’offerta Almaviva. Gli effetti dell’Internet of Things vengono paragonati a quelli di una sorta di Quarta rivoluzione industriale. La sete di applicazioni e le opportunità di sviluppo cambiano le regole del mercato. Che cosa ne pensa? Dopo la rivoluzione di Internet possiamo dire che stiamo vivendo un nuovo grande passaggio. Oggi ci confrontiamo con un digitale che definisco di tipo molecolare. In questo momento la tecnologia è molto più vicina ai clienti e agli utenti e, potremmo dire, alle “cose” che parlano tramite l’IoT. Si tratta di un approccio che pone il digitale in una posizione di estrema attenzione alle richieste che le singole “molecole” presentano all’ecosistema informatico. In Almaviva siamo partiti per realizzare Iride, che ha permesso di dare vita a una soluzione che aveva l’obiettivo di unire Big Data, Cloud e CRM focalizzandosi sulle richieste dei singoli clienti. Con questo approccio abbiamo poi creato Giotto, che allarga il perimetro di conoscenza anche
alle “cose” che a loro volta creano e generano dati che confluiscono nelle piattaforme Cloud, Big Data, CRM di Almaviva. Dal punto di vista della visione strategica e dello sviluppo applicativo Giotto è un acceleratore. Questo potrà dare una scossa al settore? Il time to market è un fattore di competitività essenziale per le imprese. Anche a questo abbiamo pensato nello sviluppo di Giotto, che è stato concepito per integrare Big Data, Cloud, CRM e Business Intelligence e per creare applicazioni che dialogano con le piattaforme dove i dati vengono generati, archiviati, elaborati, condivisi. Così da stressare i tempi di sviluppo anche a livello di integrazione delle applicazioni nel contesto delle infrastrutture aziendali. Siamo convinti che Giotto sia una componente abilitante di quella che viene chiamata Industria 4.0. Che rapporto c’è tra Giotto e il concetto dell’informatica “molecolare”? Giotto è concepito per interpretare questa nuova visione del rapporto con il digitale che poggia sul dialogo di tutte le “molecole” dello scenario IoT: persone, macchine, dati, con un supporto unico. La nostra soluzione è universale ed è costituita da un insieme di mattoncini, nella forma di componenti software che sono prima di tutto compatibili e integrabili con le infrastrutture presenti in azienda e che già vengono resi disponibili parzialmente assemblati in soluzioni universali. Da quali settori vi aspettate le maggiori soddisfazioni con la diffusione di Giotto? Ci sono alcuni settori che sono predisposti a queste soluzioni come il manufacturing. Ma vedo straordinarie opportunità in diversi settori come quelli dei trasporti, della logistica, delle Smart City, della Smart Mobility, dell’ambiente, dell’agricoltura. Almaviva è presente da tempo nel settore dell’agrifood, nell’ambiente, nella gestione del territorio. Che prospettive vedete in questi settori? Da anni partecipiamo insieme ad altre aziende e partner alla gestione del SIAN, Sistema Informativo Agricolo Nazionale. Questo progetto si basa sulla mappatura reale e dettagliatissima del territorio: un insieme di dati utili per l’agrifood, ma anche per la gestione dell’ambiente e del territorio. Queste informazioni sono basilari per la prevenzione e la programmazione degli interventi. Giotto può unire la conoscenza del territorio con la conoscenza specifica dell’agricoltore e con altre fonti, per fornire un quadro completo sia delle opportunità di business per l’agricoltura sia per la pianificazione di interventi. www.digital4executive.it
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intervista
intervista a
Sergio Colella
Vice President and General Manager, Enterprise Services EMEA South, Hewlett Packard Enterprise
«I 4 check point per ogni executive: dalla mobility all’analisi dei dati» Security e ambienti ibridi sono gli altri due pilastri dell’offerta di servizi di Hewlett Packard Enterprise, in risposta a un mercato che chiede velocità, ubiquità della fruizione, agilità e supporto a ecosistemi e community. «La tecnologia non è più solo un fattore competitivo importante: è la discriminante che traccia il confine tra chi è dentro e chi è fuori, tra chi corre e chi è fermo»
Sono passati solo pochi mesi dalla separazione di HP in due entità, HP Inc. (pc e stampanti) e Hewlett Packard Enterprise, che si occupa di soluzioni e servizi negli ambiti infrastrutture ibride, security, analisi dei dati e smart workplace. Tutta l’area dei servizi di Hewlett Packard Enterprise in particolare è stata affidata per la regione EMEA South con la carica di Vice President and General Manager, Enterprise Services a un italiano, Sergio Colella, entrato in HP nel 2014 dopo un’esperienza di consulenza di oltre 20 anni in Accenture. A Colella abbiamo chiesto una fotografia sull’offerta di HPE in questo campo e un punto di vista da “addetto ai lavori” sui trend più attuali della domanda in Italia. Quali sono gli ambiti più innovativi e più richiesti della gamma di servizi di HPE da parte di aziende ed enti pubblici italiani? Se volessimo “fotografare” in poche frasi cosa caratterizza la domanda di oggi, direi: | 64 |
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• “speed is the new normal”: la velocità non è un vantaggio ma un assunto /aspettativa di base; • “anywhere, anytime, anyhow”: ovunque, sempre e senza discontinuità sono le aspettative di base per i livelli di servizio; • “do not need to be big”: essere grandi non implica di per sè un vantaggio, anzi a volte è il contrario: non sono più la dimensione e la forza a fare la differenza, ma l’agilità; • “together we can more”: è l’era degli ecosistemi di aziende, delle community e delle collaborazioni. In questo contesto, la tecnologia non è più solo un fattore competitivo importante come in passato, ma diventa un fattore discriminante che traccia il confine tra chi c’è e chi non c’è, tra chi è dentro e chi è fuori, tra chi corre e chi è fermo. E alcune tecnologie giocano un ruolo più importante di altre: in particolare tutte quelle che aiutano a “combinare”, a creare sinergie tra il mondo fisico e il mondo digitale. Date queste premesse
intervista | HPE e i servizi: «I 4 check point per ogni executive: dalla mobility all’analisi dei dati»
possiamo dividere in quattro tipologie le soluzioni e i servizi più richiesti. In primo luogo quelli “ibridi”, cioè che aiutano le aziende a trasformarsi dal “vecchio” (tecnologie e modelli di business) al “nuovo”- e se pensiamo al cloud, a diverse modalità di “nuovo”- facendo convivere realtà composite e in divenire, salvaguardando gli investimenti fatti, garantendo la continuità del business pur permettendo di evolvere rapidamente. Un secondo ambito è rappresentato da soluzioni e servizi per la mobilità, sia verso l’esterno, per essere sempre disponibili per i consumatori, sempre più mobili (sia in senso fisico che in termini di fedeltà), sia verso l’interno, per rompere la correlazione rigida “postazione di lavoro/funzione/persona”. Un’altra area importante è rappresentata da soluzioni e servizi che aiutano a generare “intelligenza”, cioè a captare, raccogliere e trasformare la grande e crescente quantità di dati disponibile (Transactional Data, Mobile apps, Social networking, Sensors, IoT, environmental, etc.) in risultati di business. Ciò implica un set nuovo di capacità per catturare questi dati, interpretarli per generare intelligenza e rendere questa intelligenza disponibile al momento giusto, permeando l’intera azienda e tutti i suoi processi. Non va trascurato infine l’ambito della sicurezza dei business, che sono sempre più digitali, distribuiti e aperti su ecosistemi di imprese e community, e quindi per definizione più esposti. Questi sono in sintesi le soluzioni e i servizi più richiesti, e anche quelli che ritengo i quattro “check point” per ogni executive che voglia capire come si posiziona la sua azienda sul mercato. Quali sono i settori su cui HPE con questa offerta punta di più per il 2016? HPE è presente in tutte le principali aree di mercato (comunicazioni e media, viaggi e trasporti, pubblica amministrazione, sanità, finanza, energia, manifatturiero, CPG e retail), e in particolare registriamo un’attività più intensa nei settori dove la domanda di trasformazione è più forte. Citerei sicuramente il settore pubblico, dove siamo il partner di riferimento per molte iniziative nell’area della digitalizzazione della PA e di impegno della PA stessa per la digitalizzazione del Paese. Penso ad esempio ai progetti nell’area Education dove abbiamo realizzato – tra gli altri - il progetto “iscrizioni online” che ha riscosso un ampio consenso (tassi di utilizzo fino all’82% del Nord Italia, oltre 1,5 milioni di domande pervenute, 90% degli utenti soddisfatto dal servizio) e che è stato riconosciuto come uno dei progetti più innovativi e di grande impatto nell’area del digital government. Anche nel panorama bancario è in atto una profonda trasformazione e vi è una forte spinta al cambiamento, per rendere più “leggero” un settore tra-
dizionalmente molto “fisico” – pensiamo al grande numero di filiali bancarie sul territorio italiano – che ha attraversato diverse fasi di consolidamento e che ha subito una fortissima pressione sia per l’entrata di molti nuovi player puramente digitali, sia per il radicale cambiamento delle abitudini e aspettative dei consumatori. Qui citerei la nostra importante collaborazione con UniCredit, che ha visto HPE impegnata al fianco di UniCredit Business Integrated Solutions, la società globale di servizi del Gruppo, nella razionalizzazione, industrializzazione e digitalizzazione dei servizi HR per il gruppo bancario. Ciò ha permesso a UniCredit di acquisire la “leggerezza” necessaria ad una delle più importanti istituzioni finanziarie in Europa, ottenendo importanti risultati in termini di agilità, time to market, capacità di innovazione, trasparenza ed efficienza. Sempre parlando di grandi aziende “best performer” posso citare anche Luxottica, che supportiamo da anni, a livello globale, nella sua costante crescita e nelle straordinarie performance. In generale, se consideriamo le esperienze di maggior successo, mi sembra che il fattore comune sia l’utilizzo della tecnologia come “game changer” per apportare agilità, supportare la crescita, tenendo sotto controllo i costi. HPE ottiene i migliori risultati dove HPE riesce a essere un partner di riferimento nel tempo. Come sta cambiando il ruolo del fornitore di servizi digitali con il diffondersi del Cloud computing? Le organizzazioni di servizi, e in particolare IT, si focalizzano sempre meno sulle attività tradizionali, come acquisto hardware, software e così via. Il focus è sempre più sull’approvvigionamento e brokeraggio di servizi IT, quanto più questi servizi sono esternalizzati o consumati sotto forma di servizi Cloud. In quest’ottica le aziende cercano sempre più di creare delle value partnership con partner strategici, fornitori di servizi globali, leader nelle tecnologie di riferimento, per stabilire collaborazioni di lungo termine. Il fornitore di servizi diventa parte di un ecosistema di aziende che, in quanto sistema di competenze e risorse, garantisce una capacità di innovazione e trasformazione superiore a quella delle singole aziende. L’obiettivo di HPE è supportare le organizzazioni nel rendere i loro ambienti IT esistenti più agili, aperti e sicuri, nell’ambito di un percorso che porta al Cloud ibrido iniziando dal Cloud privato. Oggi ancora molte aziende utilizzano ambienti IT tradizionali, e pertanto sono in una fase di transizione. L’efficacia delle soluzioni di HPE nel Cloud è poi strettamente connessa all’ecosistema dei partner, con cui siamo impegnati a ottimizzare lo sviluppo della rete e di soluzioni sempre più in grado di rispondere alle esigenze di un mercato in continua e rapida trasformazione. www.digital4executive.it
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Come creare valore attraverso il licensing
Software specifici per applicazioni verticali, suite per la produttività dei collaboratori, risorse on demand prese in prestito dal Cloud. Se da una parte gli strumenti a disposizione delle aziende crescono in maniera vertiginosa, diventando sempre più mirati ed efficaci, dall’altra aumenta la complessità nella gestione di un ecosistema tanto vasto e dinamico. Il tema del SAM (Software Asset Management), per fortuna, si è evoluto di conseguenza, e anzi per certi versi è riuscito a travalicare i propri originari ambiti di competenza trasformandosi da tool di verifica della compliance delle licenze a elemento di rilevanza strategica, capace di generare immediatamente nuovo valore per le imprese. Oggi piattaforme avanzate come per esempio SoftCare di COMPAREX non si limitano a censire le soluzioni presenti in azienda e a orchestrare la corretta amministrazione del licensing. Mettendo a frutto le capacità del motore analitico SAM2GO Profiler per scandagliare i dataset all’interno dell’organizzazione e incrociarli con il patrimonio informativo del proprio network internazionale (34 mercati per oltre 15 mila produttori), COMPAREX, infatti, è in grado non solo di evidenziare sovrapposizioni e inefficienze nell’utilizzo e nel ciclo di vita dei software - valutando se la dotazione è coerente con le reali necessità aziendali e indirizzando il procurement verso un’allocazione ottimale del budget per gli acquisti futuri - ma anche di identificare le offerte migliori sul mercato globale, tarate sul daily price più competitivo dei prodotti standard. «Cavalcare le possibilità offerte dal Cloud significa migliorare il time to market delle proprie soluzioni»,
Dal Software Asset Management all’ottimizzazione dei processi di acquisto: è il percorso virtuoso che le aziende possono compiere con il supporto di COMPAREX, specialista in questo ambito
Roberto Brioschi Amministratore Delegato COMPAREX Italia
spiega Roberto Brioschi, Amministratore delegato per l’Italia di COMPAREX, che nel 2015 è stato riconosciuto da Microsoft come Software Asset Management Partner of the Year e Volume Licensing Partner of the Year. «La gestione del licensing naturalmente deve seguire questo trend - continua Brioschi - tenendo quindi presente il fatto che ci si sta spostando da una logica di licenza venduta e acquisita in forma perpetua a un approccio basato sulla sottoscrizione. Ma anche in questo caso oggi il SAM tradizionale rappresenta soltanto un punto di partenza: dai contratti quadro all’acquisizione di software standard fino a soluzioni specialistiche è possibile ottimizzare le risorse impiegate ottenendo benefici sia sul piano funzionale e tecnologico che su quello del conto economico». Come funziona? In pratica, grazie al COMPAREX Dynamic Global Sourcing, il cliente accede automaticamente al miglior modello di approvvigionamento su scala globale per le proprie specifiche esigenze. La piattaforma calcola un’offerta personalizzata tenendo conto delle variazioni dei tassi di conversione delle valute e delle politiche di prezzo locali, fino a comporre un mosaico sempre aggiornato e disponibile su una dashboard intuitiva e di facile accesso.
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speciale “cybersecurity”
security & privacy, cresce in Italia la consapevolezza Ma non basta Il primo Osservatorio Information Security & Privacy del Politecnico di Milano mette in luce una crescita dell’attenzione delle imprese sulla necessità di garantire l’integrità dei propri dati. Tuttavia i progetti faticano a tenere il passo con l’innovazione digitale e le nuove minacce. In arrivo il Regolamento europeo sulla privacy, che prevede l’introduzione nelle diverse legislazioni nazionali della figura del Data Protection Officer (DPO)
Cresce la consapevolezza dei vertici aziendali sui temi della protezione dei dati. Cresce anche sulla scorta dell’eco planetaria di alcuni episodi criminosi, che hanno messo in luce le conseguenze disastrose degli approcci superficiali alla gestione della sicurezza IT. Un anno, quello appena concluso, che si ricorderà per gli attacchi a JP Morgan Chase, con la sottrazione di 79 milioni di record (dati personali e password) dei clienti della banca d’affari, e all’Office of Personnel Management, l’ufficio che gestisce gli impiegati pubblici negli Stati Uniti, con i dati di 21 milioni di cittadini americani trafugati. Il 2015 è stato anche l’anno di Carbanak, maxi furto che ha coinvolto 100 banche in 30 Paesi e ha fruttato un miliardo di dollari di bottino. E in Italia? Sotto attacco i sistemi informatici di Expo, di cui è stata oscurata per ben due volte la pagina del ticketing online, e del Ministero della Difesa - nell’ambito di una campagna antimilitarista conclusa con la pubblicazione di un corposo gruppo di informazioni riservate. | 68 |
È in questo contesto che nasce l’Osservatorio Information Security & Privacy, promosso dalla School of Management del Politecnico di Milano con l’obiettivo di fornire ai decisori aziendali strumenti e modelli per governare le sfide legate alla sicurezza e alla protezione della privacy. La ricerca, al suo primo anno di attività, ha coinvolto un campione di 150 Chief Information Security Officer (CISO), Chief Security Officer (CSO) e Chief Information Officer (CIO) di grandi aziende italiane, interpellati sul budget dedicato alle iniziative di protezione, le principali aree di investimento e interesse, le minacce percepite, i ruoli e i meccanismi di governance. Tenere il passo con la rivoluzione digitale Per far fronte a modelli di innovazione sempre più rapidi, l’approccio delle aziende verso l’information security deve maturare lungo due direzioni
speciale “cybersecurity”
In Europa arriva il Data Protection Officer L’aumento dei dati che transitano nel sistema informativo aziendale e la varietà delle fonti che li generano spingono verso la creazione di ruoli e figure professionali destinate alla gestione delle problematiche di privacy connesse. A questa esigenza diffusa fornisce una risposta il nuovo Regolamento europeo sulla privacy, in approvazione in questi mesi, che prevede l’introduzione della figura del Data Protection Officer (DPO). Il suo obiettivo è mettere in atto una politica di gestione del trattamento dei dati personali all’interno dell’organizzazione, per adempiere al meglio alle normative di riferimento. Una figura già presente in alcune legislazioni europee, che si identifica in un professionista con responsabilità e competenze diverse - giuridiche, informatiche, di gestione del rischio e analisi dei processi aziendali -. Nel campione analizzato emerge come solo nel 21% dei casi la figura del DPO sia già formalizzata mentre nel 33%, pur non esistendo tale ruolo, la responsabilità è demandata ad altre funzioni.
principali: da una parte sviluppare consapevolezza strategica e vision, dall’altra mettere in campo piani concreti a livello organizzativo e tecnologico. Le aziende che si possono definire mature su entrambi i fronti sono il 19% del campione, mentre il 48% risulta a uno stadio iniziale del percorso. La velocità d’implementazione di progetti pensati per migliorare la sicurezza nella gestione delle informazioni fatica a tenere il passo dell’evoluzione delle tecnologie digitali e delle minacce che da queste derivano. Lo si nota chiaramente osservando le aree di investimento delle aziende in tema di protezione: aspetti fondamentali come il cloud e la mobility rimangono ancora di nicchia, benché indicati come rilevanti in prospettiva futura.
Le “distrazioni” costano caro A fronte di una consapevolezza crescente verso l’information security, spesso ci si scontra con barriere che rendono complesso tradurre nella pratica la strategia aziendale. Dalla ricerca emerge chiaramente come le barriere sono molto eterogenee, tuttavia è possibile indicare alcune linee di intervento standard. Da una parte occorre intraprendere un percorso di evoluzione del modello organizzativo che favorisca la creazione di nuovi ruoli, meccanismi di coordinamento e competenze. Dall’altra è necessario un ripensamento delle metodologie di analisi dei confini della sicurezza, affiancando a logiche tradiCampione: 123 rispondenti
le nuove competenze: il data protection officer
Ruolo assente (non se ne prevede l’introduzione)
30%
Ruolo demandato ad altre funzioni aziendali
Fonte: Politecnico di Milano
34%
16% Introduzione nei prossimi 12 mesi
20% Presenza formalizzata | 69 |
speciale “cybersecurity”
Quanto costa il cybercrime? Come il PIL del Belgio Secondo l’ultimo dossier del CSIS, il Centro americano per gli Studi Strategici e Internazionali, negli Stati Uniti 40 milioni di persone (il 15% della popolazione) hanno subito furti di informazioni personali a opera di hacker. In Turchia questo è successo a 54 milioni di persone, a 20 milioni in Corea e Cina e a 16 milioni in Germania. Il danno economico mondiale causato dagli attacchi hacker si aggira tra 375 e 575 miliardi di dollari l’anno, più o meno quanto il Prodotto Interno Lordo del Belgio. In Europa ogni anno per colpa del cybercrime si perdono 120mila posti di lavoro. In Italia invece, ogni anno lo 0,4% del PIL viene speso per far fronte alle minacce digitali (cybercrime, hacktivism, spionaggio industriale, sabotaggio, cyber warfare): 825 milioni di euro. Ponemon Institute valuta che per ogni record (pacchetto di informazioni) perso o rubato, in Italia un’azienda ci rimette 141 dollari. Sempre Ponemon stima anche che a una piccola impresa un attacco informatico costa mediamente 400mila euro; a una di medie dimensioni 1,3 milioni; mentre per una grande azienda il costo può arrivare anche a 5,9 milioni di euro.
zionali nuove modalità di analisi per processi, utili per rispondere meglio ai trend emergenti. Una tendenza confermata anche nella pianificazione del budget dedicato all’information security & privacy dove, nella maggioranza dei casi, c’è un’allocazione formale: nel 42% dei casi con orizzonte annuale e nel 32% pluriennale. Nel restante 26% dei casi non vi è un’allocazione definita e le risorse vengono stanziate sulla base delle necessità contingenti. Se si guarda all’evoluzione della spesa dedicata, nel 41% dei casi questa risulta cresciuta nell’ultimo anno, nel 54% è rimasta stabile e nel 5% dei casi è diminuita.
L’incremento medio della spesa registrata negli ultimi 12 mesi all’interno del campione è stato pari al 7%. La ricerca ha appurato quali sono le principali minacce alla sicurezza aziendale: accanto a fonti esterne al perimetro come le associazioni criminali (ritenute la principale minaccia nel 58% dei casi) e gli hacktivist (46%), spiccano i dipendenti (49%) e i consulenti (30%). Un’azienda su tre ha subìto, a causa di vulnerabilità interne come distrazioni dei dipendenti, accesso non sicuro alle informazioni e utilizzo di dispositivi mobili personali, una perdita o un furto di dati negli ultimi 12 mesi.
Campione: 131 rispondenti
la spesa in information security & Privacy (% su budget it) Superiore al 15%
Nulla o inferiore allo 0,5%
4%
14%
Compreso tra 10 e 15%
4% Compreso tra 5 e 10%
13%
24%
12% 17%
Compreso tra 3,5 e 5%
12%
Compreso tra 1,5 e 2,5% Compreso tra 2,5 e 3,5% | 70 |
Fonte: Politecnico di Milano
Compreso tra 0,5 e 1,5%
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minacce informatiche sempre più insidiose «In Italia rischi sottovalutati»
Il nuovo anno è appena iniziato e con esso il diffondersi di minacce informatiche sempre più sofisticate e pervasive che ogni azienda sarà chiamata attivamente a contrastare. Le previsioni per il 2016 elaborate dai laboratori di Intel Security coprono uno spettro di minacce che va dal ransomware agli attacchi alle automobili, dalle minacce alle infrastrutture critiche, all’immagazzinamento e vendita di dati rubati e si spingono fino a lanciare questo allarme: gli hacker potranno in futuro sfruttare le connessioni internet via satellite per attaccare siti o impossessarsi di dati personali. L’analisi effettuata non si ferma al 2016, ma si spinge fino al 2020 per prevedere come cambieranno le tipologie di protagonisti nell’ambito delle minacce e gli obiettivi degli attacchi. Cosa dovranno attendersi le aziende nel prossimo futuro? • Attacchi al di sotto del sistema operativo. Dal momento che le applicazioni e i sistemi operativi sono stati rafforzati, gli autori degli attacchi potrebbero cercare punti deboli nel firmware e nell’hardware. • Rilevamento delle tecniche di evasione. Gli aggressori cercheranno di evitare il rilevamento prendendo di mira nuove superfici di attacco, utilizzando metodi sofisticati, eludendo attivamente le tecnologie di sicurezza. • Nuovi dispositivi, nuove vulnerabilità. Mentre non vi è stato ancora un aumento degli attacchi a dispositivi IoT e indossabili, entro il 2020 la base installata di tali sistemi raggiungerà livelli significativi di penetrazione tali da attirare l’interesse degli hacker. • Lo spionaggio informatico. Si prevede che il mercato nero del codice malware e dei servizi di hacking potrebbe consentire allo spionaggio informatico di essere
i prossimi dodici mesi saranno caratterizzati da una vera e propria escalation, qualitativa e quantitativa, con minacce del tutto nuove pronte a colpire non solo computer e smartphone, ma anche tutti gli altri dispositivi smart di ultima generazioNe
perpetrato all’interno del settore pubblico e in attacchi aziendali per raccogliere informazioni finanziarie al fine di manipolare i mercati. • Privacy: sfide e opportunità. Il volume e il valore dei dati personali digitali continuerà ad aumentare, attirando i criminali informatici, e ciò potrebbe favorire l’introduzione di nuove norme sulla privacy in tutto il mondo. È in questo scenario che giornalmente Intel Security ed Ecobyte Technology collaborano per implementare nelle aziende efficaci sistemi di prevenzione e difesa dagli attacchi informatici divenuti sempre più complessi. «La Security viene troppo spesso lasciata indietro, ma non può più essere così per chi intende competere sui mercati. Non è più il tempo per aspettare che avvenga un furto di informazioni. Oggi la perdita di un solo dato è grave per le aziende, ma in Italia ancora si sottovaluta questo genere di servizi. Siamo tutti connessi, la sicurezza è ormai fondamentale» - afferma Fabio Naccazzani, CEO della società Ecobyte Technology. Aggiunge Ferdinando Torazzi, Regional Director di Intel Security: «Come emerge dal nostro report, i prossimi 12 mesi saranno caratterizzati da una vera propria escalation, qualitativa e quantitativa, sul fronte degli attacchi informatici, con minacce del tutto nuove pronte a colpire non solo computer e smartphone, ma anche tutti gli altri dispositivi smart collegati alla rete. Per questo le aziende dovranno prestare sempre più attenzione agli attacchi di ultima generazione adottando un approccio di difesa a ciclo unico per prevenire, rilevare e correggere in modo molto più veloce ed efficace ogni tipo di attacco, conosciuto o non».
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Le nuove frontiere dell’IT security? Wi-Fi e M2M
Il concetto di IT Security si evolve man mano che cambiano le esigenze e gli strumenti aziendali. E quanto più connesse sono le architetture che abilitano il new business, tanto più diventa necessario attivare difese dinamiche che presidino specialmente le vulnerabilità presso gli access point. Anche in risposta ai crescenti attacchi focalizzati, le reti Wi-Fi e le connessioni M2M sono diventati due dei grandi temi che gli specialisti del settore stanno esplorando per garantire ai propri clienti una difesa a 360 gradi. Fortinet attraverso la recente acquisizione di Meru Networks è oggi in prima linea rispetto a queste priorità. «L’integrazione è stata completata, sia sotto il profilo organizzativo che rispetto alla struttura e alle risorse, senza dimenticare l’aggiornamento dei listini e l’ottimizzazione della rete dei reseller», conferma Filippo Monticelli, Country Manager per la Penisola. Grazie all’apporto di Meru, ora Fortinet può indirizzare tre ambiti strategici della security in chiave wireless: «Abbiamo innanzitutto potenziato l’integrated infrastructure approach per aree ad alta densità, come campus universitari, poli fieristici o strutture sportive, affiancandolo alle soluzioni integrated approach tipiche della nostra offerta. Il terzo pillar è il Cloud, con i nuovi access point FortiAP-S che introducono funzionalità on-board di IPS, antivirus scanning, web-filtering and application control in modalità Cloud-based». Elementi che si riveleranno differenzianti della proposizione nel prossimo triennio, quando si verrà anche a creare, data l’obsolescenza della maggior parte degli apparati in esercizio, un mercato di sostituzione importante. «Sarà necessario, oltre a potenziare le attivi-
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Grazie all’acquisizione di Meru Networks, lo specialista della sicurezza ha completato l’offerta sul fronte del wireless. Tra i temi caldi del 2016, le minacce alle comunicazioni tra device, anche in ambito payment, da affrontare con firewall e access point di nuova generazione
filippo monticelli Country Manager Fortinet Italia
tà di evangelizzazione e di reseller, promuovere offering forti in termini di MSSP: la situazione è ancora frammentata, e al di là delle scelte dei singoli operatori, costruire un’offerta efficace sui servizi è strategico». Inevitabile, poi, parlare di M2M. Tra le Fortinet predictions 2016 elaborate dal team di oltre 200 analisti che lavorano nei laboratori, la numero uno è proprio la crescita degli attacchi rivolti alle comunicazioni tra device. «Nel 2015 abbiamo avuto un primo assaggio delle minacce che coinvolgeranno sempre più spesso sia il mondo IoT sia la gestione del Digital Payment», dice Monticelli. «Il contesto enterprise ha richiesto l’introduzione di nuove signature studiate appositamente per Android e iOS, che offrono un servizio specifico anti malware senza la necessità di attivare client sul dispositivo, e quindi del tutto trasparente all’utente che sfrutta il BYOD». Con i clienti dell’area bancaria, Fortinet sta invece lavorando su progetti dedicati alle filiali del futuro, integrando i propri sistemi firewall di nuova generazione in contesti distribuiti sulle singole agenzie. «Si tratta di soluzioni di next generation firewall con funzionalità evolute di advanced threat prevention che rendono sicuri network su cui possono comunicare strumenti di customer interaction così come tradizionali ATM», chiosa Monticelli.
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Non solo tecnologia: la sicurezza è anche “cultura aziendale”
Cybercrime sofisticati e innovazioni tecnologiche rendono i dati, le informazioni, le persone e le aziende sempre più esposte agli attacchi mirati: la sicurezza è ormai un fattore imprescindibile per le imprese. Per rispondere alle sempre crescenti esigenze di protezione, Hitachi propone EasyShield, un’offerta di soluzioni e servizi sviluppati per supportare le aziende nel complesso percorso di Security Risk Management. “Easy” sta a indicare un approccio che vuole farsi carico della gestione della complessità IT dei clienti per consentire loro di focalizzarsi sul proprio core business. «All’interno del Gruppo Hitachi - spiega Denis Cassinerio, Security BU Director & Sales Director North Italy di Hitachi Systems CBT - stiamo gestendo la fase di integrazione con la capogruppo. Ciò avverrà consolidando e sostenendo, a livello locale e internazionale, la strategia della multinazionale giapponese, che prevede tra le varie priorità un potenziamento dei Managed Service all’interno dell’offerta di Security, costituita anche dai SOC (Security Operation Center) per il monitoraggio globale dei Data Center e degli ambienti Cloud. Il posizionamento di Hitachi sulla security è molto radicato, basti pensare alla presenza sul mercato Finance, con circa 160 banche, e al rafforzamento delle risorse in seguito alla recente acquisizione di Above Security, società canadese specializzata in servizi di sicurezza gestita in oltre 40 Paesi». In particolare, Hitachi mira a promuovere la cultura della sicurezza come enabler della Business Transformation. Il panorama sugli attacchi evidenzia infatti una forte inadeguatezza di competenze, non solo a livello tecnologico, ma anche di gestione dei processi. «Il nostro obiettivo è
Con EasyShield, Hitachi supporta le aziende nel complesso percorso di Security Risk Management, con tecnologie ad hoc e un team ad altissimo livello di specializzazione. «La Sicurezza è uno degli elementi abilitanti della Business Transformation»
Denis Cassinerio Security BU Director & Sales Director North Italy Hitachi Systems CBT
soprattutto costruire una cultura aziendale e formare le persone, sempre più esposte agli attacchi di ingegneria sociale. Gli interlocutori non sono più solamente le figure tecniche. La security deve fornire un solido supporto alle linee di business, e non rimanere confinata nell’ambito della tecnologia, dove linguaggio e metodologie risultano a volte poco comprensibili per chi è chiamato a prendere delle decisioni sugli investimenti IT. Ed oggi, non investire nella giusta maniera, e non avere un sistema di sicurezza gestito e certificato, significa rischiare molto. La compliance e i piani di sicurezza certificati sugli standard internazionali sono requisiti importanti per le imprese». Spesso le medie imprese non sono strutturate per adottare strategie di Security, e l’offerta EasyShield è pensata anche per loro. EasyShield presenta un ampio spettro di soluzioni che spaziano dai servizi di certificazione e compliance con le normative di settore, alla fornitura di soluzioni e servizi ’best of breed’ in ambito Data Center, Cloud e gestione delle vulnerabilità. Il portfolio di offerta si arricchisce anche grazie ai Managed Service e ai modelli di delivery internazionali, agli interventi di Cybersecurity mirati a garantire i requisiti chiave di disponibilità, integrità e riservatezza dei dati.
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speciale “cybersecurity”
PRES, un partner per implementare e gestire gli ambienti di cloud ibrido
In maniera crescente il modello di IT costituito dal cloud - quello privato, pubblico, e ancor più quello ibrido - sta rappresentando, per le imprese di ogni ambito e dimensione, la soluzione adatta a rispondere ai requisiti di agilità, scalabilità e velocità che l’attività di business oggi impone. Tuttavia la complessità delle infrastrutture IT, delle applicazioni e dei processi aziendali fa sì che il ’cloud journey’ non possa essere un percorso semplice e immediato: per questo motivo le diverse organizzazioni, quando decidono di intraprendere iniziative di migrazione verso il cloud, devono di volta in volta stabilire una corretta strategia di trasformazione del business, progettata e ’tagliata su misura’ in funzione dei processi, delle policy e delle priorità aziendali esistenti. Spesso, facendo ingresso nel mondo cloud, si rende necessaria una revisione e rimodellazione dell’architettura di sistema e di rete; oppure occorre eseguire un ’retuning’ delle performance delle applicazioni aziendali per garantire una ’user experience’ soddisfacente; o ancora serve attivare un sistema di monitoraggio degli eventi e delle minacce di sicurezza, a cui la rete dell’impresa viene esposta al moltiplicarsi del numero di endpoint. Non esiste più un perimetro da difendere, si deve proteggere il dato in tutti i suoi percorsi. ’Abilitatore’ del business Posizionandosi in tutti questi scenari di business transformation come un system integrator attivo nella progettazione e realizzazione di soluzioni ICT a supporto del business, PRES ha investito in una serie di nuovi servizi, volti a favorire il processo di migrazione dei propri clienti
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Il system integrator potenzia la propria attività nel mondo delle nuvole e si posiziona come consulente, fornendo una gamma di nuovi servizi pensati per l’ottimizzazione dell’infrastruttura IT e la sicurezza dei dati e delle applicazioni aziendali
Matteo Masera Direttore Commerciale PRES
verso la nuvola. «Intendiamo porci come una figura di consulenza nel mondo del cloud ibrido - spiega Matteo Masera, Direttore Commerciale di PRES - perché riteniamo che questo sarà il paradigma del futuro. Per questo abbiamo costruito una famiglia di servizi che aiutano i nostri clienti ad integrare ed amministrare gli ambienti ibridi, in cui stanno già operando, sollevandoli da investimenti in nuove conoscenze da acquisire e permettendo loro di ottimizzare le risorse. Processi aziendali, applicazioni e organizzazione, tutta l’azienda viene coinvolta dalla trasformazione digitale e noi siamo pronti ad accompagnarla in questo percorso integrando tecnologie e conoscenze». I servizi sono forniti da PRES 24 ore su 24, in maniera trasversale per tutte le soluzioni cloud adottate dai clienti, e vengono erogati attraverso il NOC/SOC (Network Operation Center/Security Operation Center) che la società ha allestito, utilizzando tecnologie software d’avanguardia, nel quartier generale di Rivoli, in provincia di Torino.
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«Il ruolo del System Integrator è cambiato: non siamo più integratori di tecnologie, integriamo servizi»
3 tipologie di servizi: dall’ottimizzazione dell’infrastruttura alla security I servizi offerti da PRES per il mondo cloud ibrido rientrano essenzialmente in tre categorie, e sono fruibili dai clienti attraverso un canone. Inoltre, a seconda delle proprie esigenze, ciascuna organizzazione può scegliere se acquistare l’intera suite di servizi, oppure se comprarli singolarmente. A una prima categoria appartengono i servizi di monitoraggio dell’infrastruttura IT dell’impresa. Dal NOC di Rivoli, PRES è in grado di controllare e gestire in modalità centralizzata le infrastrutture di rete, le macchine e gli apparati delle aziende utenti, identificando se il modello di IT ibrido sta causando eventuali problemi di configurazione, colli di bottiglia, o necessità di rimodellazione dell’architettura tecnologica dell’organizzazione presa in esame. Il NOC inoltre gestisce il servizio Cisco Meraki per le aziende che scelgono soluzioni di networking cloud managed, ideali per clienti con reparti IT agili o filiali sparse in diverse regioni. Un’altra categoria sono i servizi di monitoraggio applicativo che, in maniera analoga, consentono di scoprire l’esistenza di problemi responsabili del calo di performance e reattività di una determinata applicazione, misurabile in funzione del tempo di risposta con cui riesce a fornire i dati richiesti dall’utente. «A questo livello, riusciamo a comprendere cosa all’interno dell’infrastruttura sta provocando il rallentamento dell’applicazione, e se è necessario intervenire sul piano della revisione architetturale della rete, oppure identificare un problema nella scrittura del software che genera una user experience non soddisfacente». Questo vale ad esempio per i portali web, oggi quanto mai strategici per qualsiasi organizzazione voglia mantenere e sviluppare online una solida presenza digitale. Un utente che incontra difficoltà nella fruizione del servizio è un cliente non soddisfatto ed ha un costo enorme per l’azienda. A un terzo ambito appartengono i servizi di monitoraggio della sicurezza IT. «Il cloud - spiega Masera - è un ambiente in cui i classici confini e perimetri delle reti d’impresa scompaiono, per aprire le organizzazioni verso il mondo online esterno, dove esiste un Web sempre più pervasivo, ubiquitario, e disponibile anche
in mobilità. Oggi i dati entrano ed escono di continuo dai perimetri aziendali, passando da una nuvola all’altra. Quindi, per chi deve garantire la protezione delle informazioni, la prospettiva cambia: non si può più lavorare soltanto sulla tradizionale sicurezza perimetrale delle reti, ma occorre concentrare l’attenzione soprattutto sulla sicurezza del dato. E ciò, dal punto di vista tecnico, comporta un cambiamento di competenze e di strumenti, che si rendono necessari per far fronte a queste nuove problematiche. Quello che abbiamo costruito è un servizio di monitoring della sicurezza IT che, anche in questo caso, permette di seguire, attraverso strumenti di logging, i vari percorsi compiuti dai dati nel passaggio da un ambiente all’altro. In questo modo, analizzando i log, possiamo determinare se si sono verificati tentativi d’intrusione o eventi di rete di tipo anomalo, sospetto, e potenzialmente in grado di costituire una minaccia per la sicurezza e protezione delle informazioni aziendali». In ogni caso, anche quando non stanno circolando in rete ma si trovano memorizzati nei singoli dispositivi, i dati vengono comunque cifrati e protetti, grazie a una particolare soluzione che PRES fornisce agli utenti. Quest’ultima è in grado di creare in maniera semplice, ad esempio su uno smartphone aziendale, un’area virtuale riservata, in cui vengono segregate le app enterprise, e un’area personale dove restano confinate le app private. A PRES, o all’IT manager del cliente, resta demandato il controllo della definizione delle policy che stabiliscono quali app rendere personali e quali di tipo aziendale. E tutto ciò può avvenire senza dover stravolgere e modificare le app stesse tramite più o meno pesanti interventi di personalizzazione. Il system integrator fa poi un bilancio dell’attività finora svolta: «Su questi servizi - conclude Masera - abbiamo investito e stiamo raccogliendo i frutti del lavoro svolto. Crediamo che vi siano ancora ampi margini per continuare a crescere in questo ambito. Il ruolo del system integrator è cambiato, non siamo più integratori di tecnologie. Integriamo servizi». | 75 |
speciale “cybersecurity”
La cybersecurity come tutela del cliente: presidio continuo, azioni mirate, ricerca e innovazione
Parlare oggi della Cyber Security in Poste Italiane significa fotografare un’organizzazione di 142.000 dipendenti che eroga servizi finanziari, assicurativi e di logistica a consumatori, imprese e settore pubblico per milioni di clienti e che gestisce una rete di 13.200 uffici Postali dove vengono serviti 1,5 milioni clienti ogni giorno. Inoltre nell’ambito dei servizi finanziari di Banco Posta sono gestite 20 milioni di carte tra cui 6,5 milioni di carte Postamat e 13,5 milioni di carte prepagate. «Questo scenario impone, come priorità assoluta, di fornire servizi sicuri e affidabili per tutelare il cliente», afferma Rocco Mammoliti, Responsabile Sicurezza Informatica Poste Italiane. A tutto ciò si contrappone la realtà del cybercrime che, negli ultimi tempi, ha raggiunto livelli di estrema sofisticazione utilizzando tecniche, modelli e strumenti di attacco sempre più efficaci che spesso fanno ricorso anche al fattore umano. «Le nuove tecnologie (Big Data, realtà aumentata, IoT, geolocalizzazione, wearable devices..) su cui si fonderanno nuovi servizi potranno essere utilizzate come vettori di attacco aumentando i rischi per le aziende e per il cittadino. Il presidio continuo degli scenari di rischio fa parte della cultura aziendale di Poste Italiane e, in tal senso, richiede quindi la definizione di un approccio strategico e strutturato finalizzato ad una gestione globale dei rischi per promuovere azioni mirate, coordinate, anche a livello nazionale ed internazionale, contro criminalità informatica e minacce», afferma l’esperto. Le iniziative di Poste Italiane in questa direzione si sono concretizzate nella creazione di un ecosistema pubblicoprivato per il mantenimento e la crescita di un polo di eccellenza in materia di cyber security. Oltre le importanti
la cultura della sicurezza è radicata in tutte le attività di Poste Italiane e si concretizzA in un ecosistema pubblico-privato con collaborazioni internazionali, che include una task force dedicata e due poli, a trento e cosenza, per L’innovazione e la ricerca
Rocco Mammoliti Responsabile Sicurezza Informatica Poste Italiane
collaborazioni con la Polizia delle Comunicazioni. È stato creato nel 2013 il CERT (Computer Emergency Response Team) di Poste Italiane che è stato accreditato sui vari circuiti a ivello internazionale, in particolare TF-CSIRT (Computer Security Incident Response Teams Task Force), unico nel FIRST (e unica organizzazione italiana ad essere certificata CSA STAR per i servizi di sicurezza in Cloud). Il CERT rappresenta il Centro di coordinamento operativo di tutte le attività di sicurezza e prevenzione a supporto del business e di governo degli incidenti informatici di Gruppo ed è il punto di sintesi per analisi di dati e attività di information sharing. L’innovazione e la ricerca rappresenta un altro punto fondamentale nella cultura della sicurezza di Poste Italiane ed in tal senso Cyber Security Innovation Lab a Trento rappresenta il fulcro della ricerca sperimentale sulle aree di Mobile e di Gestione Sicura delle Identità Digitale del Cittadino. A tal proposito va ricordato che Poste Italiane è uno degli Identity Provider di SPID. Un ulteriore e importante elemento nell’ecosistema di Cyber Security di Poste è rappresentato dal Distretto di Cosenza. Nato da un progetto di ricerca cofinanziato dal MIUR, vede la collaborazione, in ambito regionale, di grandi e medie imprese ed Università.
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speciale “cybersecurity”
Un nuovo approccio per proteggere l’azienda nella Mobile Cloud Era
I Data Center, sempre più dipendenti dalle tecnologie Cloud e di virtualizzazione (con velocità di provisioning di server, storage e risorse di rete in crescita costante), esercitano una forte pressione sugli amministratori della sicurezza, che devono proteggere i carichi di lavoro in maniera più rapida. Le azioni criminali sono sempre più mirate al furto di informazioni preziose, piuttosto che causare l’interruzione delle attività, e il costo delle violazioni dei dati può raggiungere milioni o addirittura centinaia di milioni di euro. In questo scenario di azioni criminali sempre più puntuali ed efficaci, VMware gioca un ruolo fondamentale con le proprie tecnologie. Spiega Luca Zerminiani, Senior Systems Engineering Manager: «Offriamo soluzioni per l’evoluzione della sicurezza del Data Center che passano attraverso la micro-segmentazione con VMware NSX. NSX svolge tre funzioni fondamentali in questo processo: isolamento (nessuna comunicazione tra reti non correlate), segmentazione (comunicazioni controllate all’interno di una rete) e sicurezza con servizi avanzati (stretta integrazione con soluzioni di sicurezza leader di mercato)». Con NSX la sicurezza del Data Center è garantita da policy granulari automatiche legate alle macchine virtuali. Questo è reso possibile dalla virtualizzazione della rete, che disaccoppia la componente hardware e permette di creare le reti e tutti i servizi correlati in software. Queste reti sono isolate l’una dall’altra in piena sicurezza. Si tratta di un approccio che scardina la vecchia concezione di protezione del perimetro delle reti, e che consente agli amministratori dei Data Center di non dover più
VMware propone una soluzione per la sicurezza del Data Center che supera il concetto di perimetro e isola le reti virtualizzate l’una dall’altra. L’alleanza fra Intel security e AirWatch estende poi la protezione ai device mobili, che rappresentano spesso un «punto cieco»
Luca Zerminiani Senior Systems Engineering Manager di VMware Italia
stabilire a priori dove collocare la sicurezza, poiché essa è presente ovunque. Una sicurezza diffusa ma non rigida, un modo per proteggere finalmente il Data Center stesso in modo completo e adattabile. Dal punto di vista della sicurezza mobile invece, tra le altre iniziative VMware ha recentemente annunciato di aver esteso la collaborazione con Intel Security attraverso nuove soluzioni congiunte che utilizzano la piattaforma AirWatch by VMware Enterprise Mobility Management. «L’alleanza affronta tre aree vitali di sicurezza aziendale: la protezione dei dati, il rilevamento delle minacce e la prevenzione e la gestione della sicurezza con i flussi di lavoro integrati», spiega il manager. La soluzione renderà più facile il flusso di dati dai dispositivi mobili, come ad esempio le caratteristiche e la localizzazione del dispositivo. «Questo può contribuire a eliminare il “punto cieco mobile” che attualmente esiste in molte infrastrutture di sicurezza enterprise e permetterà di gestire meglio gli eventi e gli incidenti attraverso una varietà di dispositivi e sistemi operativi», afferma Zerminiani. Un approccio, quello di VMware, a 360 gradi, volto a guidare la trasformazione del business verso la Mobile Cloud Era fornendo alle organizzazioni gli elementi di sicurezza fondamentali.
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PUBLIREDAZIONALE
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Il Regolamento Europeo eIDAS
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Fatturazione Elettronica e Dematerializzazio
Webinar
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Webinar
Dematerializzazione e firme elettroniche in Sanità
Webinar
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eCommerce B2c Il panorama Il panorama Il panorama del Mobile del Mobile delPayment Mobile Payment & Payment Commerce & Commerce & Commerce è sempre è sempre èpiù sempre internazionale: più internazionale: più internazionale: Apple, Apple, Google Apple, Google e Google Samsung e Samsung e Samsung hanno hannohanno lanciato lanciato i lanciato loro i loro Wallet i Wallet loro e iniziato Wallet e iniziato e a iniziato testare a testare le a reazioni testare le reazioni le dei reazioni consumatori. dei consumatori. dei consumatori. In attesa In attesa del In attesa loro del loro arrivo del arrivo loro in Italia, arrivo in Italia, il in mercato Italia, il mercato il ha mercato ha ha Istituto Istituto Mario Istituto Mario Negri Mario Negri Negri Webinar Il Bring Your Own Device in azienda: i vincoli normativi da considerare 23 febbraio Mobile Enterprise lavorato lavorato su lavorato nuove su nuove soluzioni su nuove soluzioni soluzioni cloud-based, cloud-based, cloud-based, sui trasferimenti sui trasferimenti sui trasferimenti di denaro di denaro di Peer-To-Peer, denaro Peer-To-Peer, Peer-To-Peer, sui servizi sui servizi sui di servizi Mobile di Mobile di Ticketing Mobile Ticketing Ticketing AulaAula A -Aula Mariella A - Mariella A - Mariella Alberini Alberini Alberini & Parking, & Parking, &sull'introduzione Parking, sull'introduzione sull'introduzione di soluzioni di soluzioni di soluzioni di Mobile di Mobile di Wallet, Mobile Wallet, sulla Wallet, sulla messa messa sulla a punto messa a punto dia servizi punto di servizi di servizi Mobile di Mobile di Identity, Mobile Identity, sulla Identity, sulla sulla Workshop Privacy e sicurezza in Masa, ambito sanitario 25 febbraio Innovazione Digitale in Sanità Via Via Privata Privata Via Giuseppe Privata Giuseppe Giuseppe La Masa, La La 19Masa, 19 19 proposta proposta proposta commerciale commerciale commerciale di Mobile di Mobile diPOS Mobile POS e di POS esistemi di sistemi e didisistemi cassa di cassa evoluti. di cassa evoluti. Oltre evoluti. Oltre a fornire Oltre a fornire aunfornire quadro un quadro undelle quadro delle principali delle principali principali 20156 20156 Milano 20156 Milano Milano innovazioni innovazioni innovazioni emerse emerse durante emerse durante l'ultimo durante l'ultimo anno, l'ultimo anno, il anno, Convegno il Convegno il Convegno di presentazione di presentazione di presentazione dei dei risultati risultati dei della risultati della Ricerca della Ricerca 2015 Ricerca 2015 2015 Webinar Password ed altri meccanismi per farsi riconoscere in Mobile rete,Mobile come gestirli eCommerce come proteggerli 29 provare febbraio e Italia, Privacy dell'Osservatorio dell'Osservatorio dell'Osservatorio Payment Mobile Payment & Payment & Commerce & Commerce sarà sarà l'occasione l'occasione sarà l'occasione per per provare pera provare tracciare aSicurezza tracciare a cos’ tracciare èInformatica cos’ successo è successo cos’è in successo in Italia, in Italia, quanto quanto vale quanto vale il mercato ilvale mercato il nazionale mercato nazionale nazionale del Mobile del Mobile delPayment Mobile Payment & Payment Commerce & Commerce & Commerce e quali e quali sono e quali sono le previsioni sono le previsioni le previsioni di crescita di crescita diper crescita iper i per i Workshop Internet of Things: aspetti legali prossimi marzo Things prossimi anni, prossimi anni, e peranni, e discutere per ediscutere per discutere su come su come coinvolgere su come coinvolgere coinvolgere e incentivare e incentivare e incentivare gli 1utenti gli utenti gli a usare utenti a usare i Mobile aInternet usare i Mobile Wallet i of Mobile Wallet e promuovere Wallet e promuovere e promuovere i i i pagamenti pagamenti pagamenti elettronici elettronici elettronici in Italia. in Italia. in Italia. Workshop Le direttrici di innovazione del Mobile Payment & Commerce: dalle startup ai Big player? 2 marzo Mobile Payment & Commerce 3 marzo OSSERVATORIO OSSERVATORIO OSSERVATORIO EXPORT EXPORT EXPORT Convegno Convegno Convegno di presentazione di presentazione di presentazione dei risultati dei risultati dei della risultati della Ricerca della Ricerca 2015 Ricerca 20152015
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Innovazione Digitale in Sanità
dell’Export dell’Export dell’Export italiano; italiano; (2) italiano; contributo (2) contributo (2) contributo delledelle tecnologie delle tecnologie tecnologie digitali digitali all'Export; digitali all'Export; all'Export; (3) identificazione (3) identificazione (3) identificazione di possibili di possibili di Modelli possibili Modelli diModelli di di Istituto Istituto Mario Istituto Mario Negri Mario NegriNegri Webinar Testing: quali strumenti a supportoExport, e quali iincosti da sostenere? 9 marzo Mobile B2c Strategy Export, Export, cui inle cui nuove in lecui nuove tecnologie le nuove tecnologie tecnologie giocano giocano un giocano ruolo un ruolo rilevante, un ruolo rilevante, rilevante, attraverso attraverso attraverso l’analisi l’analisi dei l’analisi 5dei pilastri 5 pilastri deisu 5 pilastri cui suquesti cuisu questi cui si basano questi si basano si basano AulaAula A -Aula Mariella A - Mariella A - Mariella Alberini Alberini Alberini (canali (canali commerciali, (canali commerciali, commerciali, canali canali di comunicazione, canali di comunicazione, di comunicazione, alternative alternative alternative logistiche, logistiche, logistiche, sistemi sistemi disistemi pagamento, di pagamento, di pagamento, aspetti aspetti di aspetti natura di natura legale, di natura legale,legale, Via Via Privata Privata Via Giuseppe Privata Giuseppe Giuseppe La Masa, La Masa, La 19 Masa, 19multicanalità: 19 Webinar L’eCommerce a supporto della percorsi, benefici, criticità 10 marzo eCommerce normativa normativa normativa e doganale). e doganale). e doganale). La Ricerca La Ricerca LasiRicerca è focalizzata si è focalizzata si è focalizzata su Cina su Cina e su USA Cina e USA come e USA come mercati come mercati dimercati sbocco di sbocco di e food sbocco e B2c food e fashion e food e fashion ecome fashion comecome 20156 20156 Milano 20156 Milano Milano settori settori merceologici. settori merceologici. merceologici. Le metodologie Le metodologie Le metodologie di Ricerca di Ricerca disiRicerca sono si sono basate si sono basate su basate un'analisi su un'analisi su un'analisi empirica empirica empirica realizzata realizzata realizzata mediate mediate survey, mediate survey, survey,
Workshop
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Webinar
Considerazioni su Return on Security Investments
Workshop
31 marzo
Sicurezza Informatica e Privacy
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Webinar
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Lavoro. Durante Lavoro. Durante l’Durante evento l’evento sil’proclameranno evento si proclameranno proclameranno i vincitori iwww.osservatori.net/calendario-workshop vincitori i del vincitori Premio del Premio del“Professionista Premio “Professionista “Professionista Digitale Digitale 2015”. Digitale 2015”.2015”. | 78 |
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Gli elementi fondamentali da considerare quando si sigla un contratto di public cloud Il ricorso a questi servizi comporta intrinsecamente alcuni rischi. È quindi di massima importanza che i contratti contengano adeguate contromisure, sempre considerando la singola specificità. Ecco in sintesi i principali punti di attenzione
di
Gabriele Faggioli
giurista, Partners4Innovation Presidente Clusit
I contratti di Cloud computing, intendendosi per tale il solo Cloud pubblico, devono essere analizzati, compresi e valutati alla luce dei rischi che il servizio comporta. Come ben illustrato dall’Opinion 5/2012 dell’Article 29 Data Protection Working Party, tali servizi hanno instrinsecamente alcuni rischi che possono essere schematicamente riassunti come segue: mancanza di disponibilità dovuta alla scarsa interoperabilità, mancanza di integrità dovuta alla condivisione di risorse, mancanza di riservatezza dei dati e disclosure alle Autorità, mancanza di isolamento, scarsa possibilità di intervento. A fronte di ciò, i contratti devono contenere adeguate contromisure mirate a limitare i rischi stessi, sempre considerando la singola specificità. Sempre l’Opinion 5/2012 sopra richiamata ha posto l’attenzione su una serie di elementi contrattuali che è fondamentale valutare in relazione a ciascun contratto. Il tema è molto vasto. Citiamo qui si seguito solo alcuni elementi rilevanti.
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• • Occorre che il contratto dettagli i livelli di servizio (SLA) applicabili (che dovrebbero essere oggettivi e misurabili) e le sanzioni pertinenti (finanziarie o altro, ivi compresa la possibilità di citare in giudizio il fornitore in caso di inadempienza). • È necessario che il contratto specifichi le misure di sicurezza che il fornitore Cloud è tenuto a rispettare, a seconda dei rischi del trattamento e della natura dei dati da proteggere. È particolarmente importante che siano specificate misure tecniche e organizzative
concrete, ferma restando l’applicazione di eventuali misure più rigorose previste dalla legislazione nazionale. È importante che il cliente possa valutare l’orizzonte temporale del servizio Cloud di interesse, nonché portata, modalità e finalità del trattamento di dati personali effettuato dal fornitore Cloud e tipologia dei dati personali oggetto del trattamento. È rilevante che sia inserita una clausola di riservatezza vincolante per il fornitore Cloud e per eventuali suoi dipendenti che abbiano accesso ai dati. In particolare, ma non solo, la clausola dovrebbe prevedere che possano accedere ai dati esclusivamente persone autorizzate. Il contratto dovrebbe stabilire espressamente che il fornitore Cloud non può comunicare i dati a terzi, anche per motivi legati alla conservazione, a meno che nel contratto non sia prevista la presenza di subcontraenti. Il contratto dovrebbe prevedere l’obbligo del fornitore Cloud di indicare tutti i subcontraenti autorizzati (ad esempio, in un registro digitale pubblico).
Il tema dei subfornitori è sicuramente di grande rilevanza. Il contratto, infatti, dovrebbe definire la catena della responsabilità e prevedere l’obbligo di strutturare i trasferimenti internazionali per l’incaricato del trattamento, ad esempio firmando contratti con subincaricati sulla base delle clausole contrattuali tipo, contenute nella decisione 2010/87/UE. www.digital4executive.it
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reportage di
paola capoferro ronchetta
La postazione ideale per lo Smart Working: soluzioni abilitanti e policy organizzative Otto manager di sei primarie realtà del panorama economico italiano si sono confrontati su come stiano cambiando oggi le logiche alla base dell’organizzazione del lavoro nel corso di una tavola rotonda organizzata da Digital4Executive. La nuova frontiera è il Digital Workspace, caratterizzato da flessibilità di luogo e di orario, grazie alle nuove tecnologie
Flessibilità, rapidità, capacità di adattamento, creatività, problem solving, innovazione, produttività. Sono queste le parole chiave oggi nel mondo del lavoro in rapidissima trasformazione. Alle aziende è richiesto di ripensare le logiche alla base dell’organizzazione e abbandonare i vecchi modelli tradizionali per rispondere ai dettami di quello che è noto come il paradigma dello “Smart Working”. In questo cammino, un ruolo determinante è svolto dalle tecnologie, che abilitano nuovi modi di comunicare, collaborare e lavorare. Proprio sul tema dello Smart Working si sono confrontati otto manager di sei primarie realtà del panorama economico italiano, nel corso di una tavola rotonda organizzata da Digital4Executive, in collaborazione con Citrix. Ad aprire i lavori è intervenuta Fiorella Crespi, Direttore dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano, che ha tracciato i confini del fenomeno. | 80 |
www.digital4executive.it
«Fare davvero Smart Working vuol dire attivare iniziative con particolare attenzione a quattro leve di progettazione: le policy organizzative, il layout fisico, le tecnologie digitali e gli stili di leadership», ha raccontato. «Si va sempre più nella direzione di un Digital Workspace, caratterizzato da flessibilità di luogo e di orario: l’ufficio fisico non è più l’unica identificazione del lavoro. Ad abilitare il cambiamento ci sono le tecnologie, che consentono di comunicare e condividere anche a distanza grazie ai servizi e alle applicazioni di social collaboration, di lavorare senza essere seduti a una scrivania, di accedere a dati e applicazioni aziendali da diversi device anche lontano dalle sedi aziendali, garantendo la sicurezza. E infine di agevolare il lavoro in mobilità all’interno degli stessi ambienti di lavoro, grazie per esempio allo smart printing, che permette l’utilizzo di stampanti condivise, e al Digital Signage per prenotare le sale riunioni».
reportage | L a pos taz i one i d e al e pe r l o sma rt wo rkin g : so l uz io n i a b il ita n t i e p o l ic y o rg a n iz z at ive
Nel percorso verso un mondo del lavoro più smart, l’Italia sconta un certo ritardo. Secondo i dati dell’Osservatorio, ancora solo un’azienda su dieci fa Smart Working, e un’altra su dieci ha in programma di iniziare, a fronte della diffusione del wireless per abilitare la mobilità interna (92%), delle tecnologie di Unified Communication & Collaboration (80%) e delle Mobile Biz-App (63%). Per Benjamin Jolivet, Country Manager di Citrix, per capire a fondo il fenomeno Smart Working occorre accettare il fatto che già oggi è una realtà e che non si tratta di una semplice questione logistica. «Viviamo in un momento storico in cui l’ambito lavorativo è profondamente influenzato dall’esperienza personale», specifica il manager. Perciò è necessario avere una visione più ampia e comprendere le dinamiche che stanno “diluendo” l’ufficio. «La nostra mission - sottolinea Jolivet - è permettere agli utenti di accedere a dati e applicazioni ovunque e da qualsiasi device».
Una significativa testimonianza di lavoro “smart” alla tavola rotonda è venuta dalla Banca Popolare di Milano, che con il progetto “Workplace Strategy” ha ripensato l’utilizzo degli spazi in chiave dinamica. Il primo passo è quello dell’ottimizzazione dei posti di lavoro, come ha raccontato Roberto Fonso, che di BPM è il CIO: «Non abbiamo più postazioni assegnate alla singola persona, ma scrivanie in condivisione. Sono stati creati piccoli ambienti gestiti con sistemi di prenotazione studiati ad hoc». Apripista nel progetto pilota è proprio la funzione diretta da Fonso, ritenuta la più adatta a testare in tempi brevi il nuovo assetto e a trasmetterne alle altre divisioni gli aspetti positivi. «Il punto di partenza è stato analizzare le modalità d’uso quotidiane delle postazioni. È così emerso che in pratica ne basta una ogni 1,3 persone». BPM, insieme al MIP (la business school internazionale del Politecnico di Milano, ndr), ha anche avviato un progetto di Smart Working per facilitare il lavoro da remoto senza però restare a casa. «Oggi i nostri dipendenti possono lavorare in uffici distaccati, una serie di “isole” dislocate sul territorio lombardo», specifica Fonso. «La banca dispone infatti di un patrimonio immobiliare molto ampio. Per questo abbiamo deciso di usare questi spazi, dotandoli tutti della medesima tecnologia». Per supportare il progetto sono state realizzate alcune sessioni di formazione indirizzate in particolare al middle management. «Un progetto di questo tipo è molto più complesso di quanto può sembrare: da un lato si tratta di cambiare mentalità e adottare una nuova filosofia manageriale, dall’altra è necessario adeguare gli spazi e il parco tecnologico in base alle esigenze». Secondo Marco Romagnoli, Team Leader Enterprise Sales di Citrix, «oggi è infatti necessario vincere la “sindrome della grotta” e aprirsi all’esterno. Per portare avanti il cambiamento e perché sia pervasivo bisogna delineare un percorso che lo accompagni e definire gli strumenti che lo supportino». Un percorso che Citrix vive in un doppio ruolo, da una parte supportando le aziende nell’implementazione del Mobile Workspace, dall’altra come utente, realizzando ogni giorno nelle sue sedi il concetto di Smart Working, attraverso la collaborazione, la responsabilizzazione www.digital4executive.it
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Romagnoli, Citrix: «Oggi è necessario vincere la “sindrome della grotta” e aprirsi all’esterno. Per portare avanti il cambiamento bisogna delineare un percorso che lo accompagni e definire gli strumenti che lo supportino»
Da sinistra: Fiorella Crespi, Direttore dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano; Benjamin Jolivet, Country Manager di Citrix; Roberto Fonso, CIO di BPM
delle persone e il raggiungimento degli obiettivi. «Principi riflessi anche dalla conformazione fisica della sede che, anche in Italia, è caratterizzata da grandi open space con pannelli fonoassorbenti per la riduzione del rumore, spazi circolari con la possibilità di scrivere e zone informali dotate di divani e poltrone per telefonate e veloci riunioni, a dimostrazione del fatto che oggi Citrix non è più una commodity per l’IT, ma anche un nuovo strumento abilitante per funzioni aziendali come HR e Facility, dando quel valore aggiunto nella concezione degli spazi e dei nuovi layout che prima non veniva percepito». Un altro modo di declinare il concetto di Smart Working è quello di Silvano Chiapparoli Logistica che, come ha sottolineato il Direttore Sistemi Gian Luigi Sangermani, ha puntato a ottimizzare i processi e a governare lo spostamento delle persone tra i vari stabilimenti. «La natura logistica del nostro business richiede di rispondere in tempi rapidi alle diverse esigenze che emergono, tra cui ad esempio la stagionalità. Per farlo ci siamo resi conto che è fondamentale poter contare sulla “mobilità” delle 600 persone che lavorano per noi, senza avere ricadute negative sulla loro produttività». Per questo è stata creata un’infrastruttura unica, che consente la centralizzazione di tutti i processi così da consentire ai dipendenti di trovare sui terminali dislocati tra i vari siti gli applicativi di cui hanno bisogno. Parallelamente sono stati introdotti degli strumenti di Unified Communica-
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tion che rendono reperibili i dipendenti ovunque si trovino. «Per fare in modo che lo Smart Working sia veramente efficace è fondamentale responsabilizzare le persone, rendendole libere di agire e non controllandole di continuo. Non si tratta soltanto di un discorso organizzativo, ed è necessario che in Italia si cominci a pensare di lavorare per obiettivi», ha evidenziato Sangermani. Proprio il lavoro per obiettivi è il punto di partenza per ripensare l’organizzazione dell’azienda secondo il Direttore dei Sistemi Informativi dell’Istituto Auxologico Italiano, Alberto Ronchi. «Il mondo della sanità è già di per sè “smart”, fa parte della natura stessa dell’essere medico riuscire a essere produttivi sempre e ovunque. In questo la tecnologia gioca un ruolo decisivo per ottimizzare l’uso del tempo, come ad esempio quando nel corso di una visita a un paziente il medico manda un consulto a un altro collega». «È vero che i medici hanno già nel loro DNA il concetto di Smart Working», fa eco Emanuele Balistreri, il Chief Information & Technology Officer dell’Istituto Europeo di Oncologia. Per loro è naturale occupare posizioni diverse e utilizzare i terminali dislocati nell’Istituto accedendo con le proprie credenziali. La sfida è riuscire a spingere questo modello di lavoro laddove resistono modelli “tradizionali”. «Oggi, per esempio, la gran parte dell’attività medica è svolta in modalità “smart” (come negli ambulatori) o in mobilità (nei reparti) eppure resiste l’abitudine a mantenere
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una postazione individuale per attività di studio medico, come l’analisi dei casi dei pazienti o lo sviluppo di uno lavoro di ricerca». Probabilmente in un passato di cartelle cliniche cartacee e corposa documentazione diagnostica questo modo di lavorare era inevitabile, ma oggi che i fascicoli clinici sono elettronici e accessibili da qualunque terminale si può pensare un nuovo modello. «Abbiamo colto l’occasione di un trasloco, che porterà a unire in un’unica sede il polo amministrativo e l’ospedale, per iniziare un ripensamento profondo delle logiche con cui oggi si lavora allo IEO. Il nostro progetto, che ha un orizzonte temporale di due anni, prevede la creazione di workspace tematici con postazioni sia individuali che condivise, e anche la definizione delle policy che consentano di lavorare fuori sede in mobilità». Ci sono poi realtà come Dalani, il primo Shopping Club italiano dedicato alla casa e all’arredamento, che vista la loro giovane età sono già nate con logiche di Smart Working. «La nostra startup, nata tre anni fa, è caratterizzata da un fortissimo tasso di crescita», sottolinea il Chief Technology Officer Andrea Simeone. «In pochissimo tempo siamo passati da 60 a 100 dipendenti. Anche questo ci ha portato a ottimizzare l’utilizzo degli spazi, con l’obiettivo di trovare un modo efficiente per far lavorare le persone». Ecco perché in Dalani sono stati testati diversi livelli e combinazioni di Smart Working, decidendo alla fine di optare per l’adozione di open space che favoriscono la collabora-
zione, dopo aver notato che il lavoro in mobilità nel caso specifico andava fortemente a scapito del team building. «Forse – conclude il manager – le aziende italiane ancora non sono sufficientemente pronte ad adottare politiche di Smart Working sistematiche così come ormai accade nella grande maggioranza degli altri Paesi europei e degli Stati Uniti. È cruciale puntare sull’empowerment delle persone, responsabilizzandole rispetto ai risultati attesi, aspetto questo tutt’altro che facile da mettere in atto». A proposito di startup, ben pochi si aspetterebbero di trovare dinamiche tipiche di queste realtà in un colosso consolidato come Enel. Che invece, per valorizzare al meglio le competenze digitali delle sue oltre 68mila persone dislocate in oltre 32 Paesi, ha deciso di avviare un’iniziativa mirata alla ricerca dei talenti digitali “nascosti” in azienda, creando poi una Community «con l’idea di mettere a fattor comune le capacità e le eccellenze, secondo una logica bottom up», come sottolinea Roberto Tundo, che ai tempi ricopriva la carica di Responsabile Information & Communication Technology di Enel Green Power e Responsabile Digital Business Enabler. «Inoltre, accanto al team che gestisce i business model che portano il cash flow, da meno di un anno è nato un team digital pensato per fare da raccordo appunto tra business e innovazione tecnologica digitale, individuando nuovi modelli da implementare che portino a un upgrade potenzialmente positivo per tutto il gruppo».
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Da sinistra: Marco Romagnoli, Team Leader Enterprise Sales di Citrix; Gian Luigi Sangermani, Direttore Sistemi di Silvano Chiapparoli Logistica; Alberto Ronchi, Direttore dei Sistemi Informativi dell’Istituto Auxologico Italiano
Da sinistra: Emanuele Balistreri, Chief Information & Technology Officer dell’Istituto Europeo di Oncologia; Andrea Simeone, Chief Technology Officer di Dalani; Roberto Tundo, ex Responsabile Information & Communication Technology di Enel Green Power e Responsabile Digital Business Enabler
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rubrica | ricerche e studi a cura di
paola capoferro ronchetta
big data e Analytics in crescita del 14%: in italia È un mercato da 790 milioni di Euro A spingere la domanda di mercato sono banche, assicurazioni, media e telecomunicazioni. E a promuoverne l’adozione in azienda sono le funzioni marketing, finanza, acquisti. «È necessario definire un chiaro percorso di avvicinamento e formazione per le imprese», afferma Carlo Vercellis, il Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Big Data Analytics & Business Intelligence I Big Data crescono e sono una realtà sempre più importante per il nostro Paese. Carlo Vercellis, il Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Big Data Analytics e Business Intelligence della School Management del Politecnico di Milano, non ha dubbi: è vero che queste soluzioni in Italia stanno crescendo e che l’orizzonte è certamente favorevole, ma è necessario definire un chiaro percorso di avvicinamento e formazione per le imprese. Una sorta di Big Data Journey. L’Internet of Things (IoT) farà esplodere la necessità di gestione e analisi dei dati, e se si associa questo orizzonte a quello del Mobile (in Italia il numero di SIM ha superato quello degli abitanti), si può facilmente prevedere una crescente necessità di analisi. La ricerca ha evidenziato che anche se la Business Intelligence è utilizzata a regime dall’88% delle imprese del campione, nel caso dei Big Data la quota si ferma al 17%. «Tuttavia i Big Data – precisa Vercellis –
presentano un tasso di crescita decisamente molto interessante. La fotografia complessiva del mercato rispecchia questo profilo». Il mercato analytics in Italia vale 790 milioni di euro, con un incremento del 14% rispetto al 2015. La quota della Business Intelligence è dell’84%, la quota Big Data è del 16%. Cambia invece la prospettiva dal punto di vista dei trend di crescita, con la Business Intelligence che sale a un tasso dell’11% e i Big Data che si espandono a un tasso del 34%. La spinta di Marketing e Vendite Ma chi spinge per i Big Data in azienda e chi “frena”? Alessandro Piva, Responsabile della ricerca dell’Osservatorio, mette in evidenza che «sono prima di tutto le persone del marketing e delle vendite a promuoverne l’adozione: nel 77% dei casi ne sono fruitori e nel 75% dei casi presentano le maggiori potenzialità. Amministrazione, finanza e con-
trollo sono già utenti nel 76% dei casi mentre nella percentuale delle potenzialità scendono al 37%. Tra le altre funzioni vanno segnalati l’IT (60% delle fruizioni) e gli acquisti (55%)». La mappa del mercato in termini di settori non presenta sorprese: le banche, come prevedibile, sono “affamate” di Big Data e sono a una quota del 29%, l’industria è al 21%, telco e media sono al 14%, PA e sanità al 9%, Retail/GDO all’8%, utility al 6% e assicurazioni al 5%. Anche qui lo scenario cambia se si guarda alle prospettive di investimento per il futuro: sono le assicurazioni, le telco, i media e, ancora una volta le banche, ad accreditare le previsioni di crescita più alte, tra il 15% e il 25%. Se poi si guarda al mondo analytics in termini di maturità applicativa, si possono mappare quattro grandi tipologie di atteggiamento, che corrispondono a quattro diversi livelli appunto di maturità. Ci sono le imprese in fase di sviluppo,
BI ormai pervasiva, Big data ancora sperimentali Business intelligence
big data
Assente, e non c’è interesse Assente, ma in fase di valutazione
27% 48%
Presente, in fase pilota su alcuni ambienti specifici
42%
17% 8%
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Campione: 91 CIO di medie e grandi organizzazioni italiane | 84 |
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Presente, con utilizzo a regime in alcuni ambienti specifici Presente, con utilizzo a regime nella maggior parte degli ambiti applicativi
Fonte: Politecnico di Milano
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dove l’utilizzo degli analytics è ormai consolidato e la loro stessa diffusione contribuisce ad aumentare le aspettative e l’interesse. Poi ci sono gli ambiti che possono essere definiti emergenti, in cui gli analytics sono ancora poco diffusi ma c’è comunque interesse e talvolta rappresentano un’indicazione per il business, per esempio a livello di
eCommerce analytics (18%), customer experience analytics (11%), Social & Web analytics (7%). Una particolare attenzione va attribuita alle nicchie, ovvero ad alcuni ambiti d’applicazione dove la diffusione di questi strumenti è entrata a far parte dello stesso modello di business, come nel caso di security analytics, telecommunication analytics, transpor-
tation analytics. L’ultimo gruppo è rappresentato dalle applicazioni che possono essere considerate come consolidate, che presentano nel contempo una buona diffusione ma tassi di crescita fisiologicamente limitati. Alcuni esempi sono Supply chain analytics (29%), Human Resources analytics (26%), Production Planning & Sales (26%).
Retail, il digitale nei medi e piccoli esercenti: molto back-end e shopping experience, poco omnichannel 8 merchant su 10 fanno pubblicità verso i consumatori e comunicano con i fornitori via web, e-mail, SMS o social, ma meno del 20% fa eCommerce o ha una presenza Mobile. Un’indagine dell’Osservatorio Innovazione Digitale nel Retail del Politecnico di Milano con Confesercenti Per approfondire la diffusione del digitale tra i retailer italiani medi e piccoli, e per capire come la dimensione aziendale influenzi l’uso delle tecnologie, l’Osservatorio Innovazione Digitale nel Retail del Politecnico di Milano ha condotto un’indagine, in collaborazione con Confesercenti, su 100 medio-piccoli esercenti italiani (campione non statisticamente rappresentativo), con particolare attenzione sul livello di reale adozione delle tecnologie e sulle barriere che condizionano gli investimenti. Le innovazioni oggetto dell’indagine sono: sistemi di cassa evoluti e Mobile POS, chioschi, totem o touchpoint, sistemi di sales force automation, sistemi di pubblicità via web, email, Sms o Social network, sistemi di loyalty, sistemi di comunicazione con i fornitori via email o web, sistemi gestionali per il demand planning e distribution planning, soluzioni
a supporto della fatturazione elettronica e dematerializzazione, iniziative online (sito web informativo o di ecommerce), e iniziative Mobile (app o Mobile site). I medio-piccoli retailer, sintetizza l’Osservatorio, utilizzano l’innovazione digitale per migliorare l’esperienza dei clienti in negozio e per rendere più efficienti i processi di back-end. L’omnicanalità però non è ancora una priorità. L’88% dei rispondenti dichiara di aver investito in almeno un’innovazione digitale per migliorare la customer experience. 8 su 10 pubblicizzano la propria attività commerciale tramite almeno un canale innovativo (sistemi di pubblicità via web, email, sms o Social Network), 6 su 10 hanno attivato sistemi promozionali (via sms o con coupon digitali), 3 su 10 hanno adottato sistemi di sales force automation o sistemi di cassa evoluti e Mobile POS, 2 su 10 hanno attivato sistemi di loyalty
(tramite carta con banda magnetica o codice a barre) e meno di 1 su 10 ha installato chioschi, totem o touchpoint all’interno del negozio per fornire informazioni aggiuntive ai consumatori. L’86% dei rispondenti ha invece sviluppato innovazioni digitali per migliorare i processi di back-end. 8 su 10 adottano sistemi di comunicazione con i fornitori via email o web, e solo 4 su 10 hanno soluzioni a supporto della fatturazione elettronica e dematerializzazione, o sistemi gestionali per il demand e distribution planning basati su supporti elettronici (excel o software dedicati). Infine, il 60% ha abilitato innovazioni a supporto dell’omnicanalità, anche se con un approccio molto timido. 6 su 10 sono presenti online con un sito informativo, ma solo 2 su 10 permettono di acquistare online (sito eCommerce) o hanno attivato una presenza sul Mobile (con App o Mobile site).
I medio-piccoli retailer utilizzano l’innovazione digitale per migliorare l’esperienza dei clienti in negozio e per rendere più efficienti i processi di back-end. L’omnicanalità però non è ancora una priorità www.digital4executive.it
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RUBRICA | ri cerch e e s t u d i
CFO e CIO, i 5 fattori chiave della collaborazione: il digitale avvicina Finance e IT Secondo un’indagine mondiale di EY, in molte aziende globali la relazione tra i due manager si è rafforzata negli ultimi tre anni, anche se rimangono due grandi criticità da superare: comprensione dell’IT e bilanciamento tra controllo e innovazione Nell’odierna economia digitale, la solidità finanziaria di un’azienda è strettamente dipendente da un’efficiente relazione tra CFO e CIO. Le innovazioni tecnologiche, dal Cloud alla mobilità, hanno il potenziale di trasformare attività, modelli di business, customer experience. La convergenza cruciale e strategica di tecnologie, piani di investimento e gestione del rischio rende questa relazione fortemente strategica, come sottolinea lo studio di EY “Partnering for performance. Part 3: the CFO and the CIO”, basato su un sondaggio condotto tra 652 CFO di tutto il mondo (Italia compresa). Già in molte aziende globali la relazione si è rafforzata: il 61% dei CFO dice di aver intensificato la collaborazione con il CIO negli ultimi tre anni e il 71% è oggi più coinvolto nell’agenda IT. Tuttavia questa partnership non è pienamente efficiente a causa di due grandi ostacoli: il CFO non riesce a comprendere a pieno le tematiche IT (44% delle risposte), inoltre trova
arduo bilanciare il compito di mantenere una disciplina sui costi con l’esigenza di attuare strategie ambiziose e innovative, e partecipare alla definizione dei programmi per il cambiamento. La gestione dei costi resta il primario contributo che dà all’IT (35% delle risposte) e la relazione tra CFO e CIO è tradizionalmente legata alle questioni di budget: l’IT può incidere in alcune industrie anche per il 6% del fatturato e il ruolo del CFO è evitare che la spesa sia sempre più gravosa. Le cinque chiavi del successo: più forti insieme Quali sono dunque i fattori che garantiscono il successo della relazione CFO-CIO, a beneficio di tutta l’organizzazione? Le chiavi sono cinque. La prima è assumersi insieme la responsabilità di stimolare e guidare l’innovazione tramite le nuove tecnologie digitali. La seconda è spostare l’enfasi del modello operativo dell’IT dal Capex all’Opex: fino a poco tempo fa i progetti IT richiedeva-
no grandi investimenti di avvio (capex), mentre oggi il sempre maggior ricorso a servizi Cloud fa prevalere i costi operativi (opex). Il terzo fattore è gestire i nuovi rischi generati dall’adozione delle tecnologie digitali: c’è la necessità di gestire nuovi rischi di cybersecurity e privacy dei dati, pur massimizzando i ritorni dagli investimenti in IT e rispettando i vincoli di budget. Inoltre è vincente collaborare da pari a pari (anche se oggi nel 72% dei casi il CIO continua a riportare al CFO) e infine aiutare tutti i top manager del Finance a comprendere meglio le tematiche IT costruendo nuove competenze, e allineandosi anche sulle stesse metriche di misurazione. In questo modo, sottolinea EY, si vince la sfida di un mercato dove aziende più agili, interamente basate su Internet, rischiano di scalzare operatori più tradizionali. La digitalizzazione - driver di innovazione, nuovi modelli di business, competitività - avvicina come mai era accaduto prima Finance e IT.
Dai Big data ai video personalizzati, come disegnare una customer strategy vincente nel B2B Forrester Research analizza i grandi trend per il marketing business to business: fondamentale personalizzare la relazione col cliente, puntando su una selezione ragionata di strumenti, sempre più numerosi, e sfruttando gli analytics
Big data e analisi predittiva, personalizzazione della relazione col cliente, selezione attiva delle tecnologie di marketing: sono questi i grandi trend con cui i Chief marketing officer (CMO) delle aziende business-to-business dovranno misurarsi nel 2016 secondo Forrester Research, che ha presentato di recente la ricerca “Predictions 2016: B2B Marketing’s new mission”. «Oggi i CMO del B2B si trovano di fronte compratori più esigenti che si | 86 |
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comportano come consumatori», spiega Laura Ramos, VP e principal analyst B2B marketing di Forrester Research, intervistata da AdvertisingAge. «I CMO devono trovare il modo di fondere una convincente esperienza digitale con gli approcci offline più tradizionali e devono farlo costruendo un’esperienza coerente per il loro cliente su tutti i canali». Nella nuova customer strategy domina la personalizzazione. Non basta mandare email col nome del cliente, occorre
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Digital marketing, cogliere le opportunità di business con la rivoluzione dei talenti Nelle organizzazioni i sistemi di formazione e sviluppo sono inadeguati e la direzione marketing non dà importanza allo sviluppo delle competenze che riguardano le aree di crescita più immediata. Ma per rimanere al passo con la trasformazione digitale servono nuove capacità. La ricerca di BCG I nuovi canali di vendita digitali e le nuove modalità di confronto sui social e di acquisto sulle piattaforme online richiedono nuove capacità di marketing che tengano conto della rivoluzione in corso. Eppure, nonostante la veloce trasformazione del mondo digitale e delle sue opportunità di business, il gap a livello di marketing è ancora molto ampio, perche la strategia non può essere più solo legata alla creatività e alla costruzione del brand, ma deve essere sempre più orientata alla lettura e predizione di grandi quantità di dati e veloce nell’adattarsi a condizioni che mutano di continuo. Per fare questo serve una nuova cultura e servono competenze digitali, ancora pressoché assenti nelle organizzazioni come risulta dalla ricerca “The talent revolution in digital marketing”, commissionata da Google a BCG (Boston Consulting Group) , e svolta in Gran Bretagna e Germania su 1100 manager di marketing - dai digital specialist ai brand manager - in 57 aziende.
Dalla ricerca è emerso che i sistemi di formazione e sviluppo sono inadeguati: non supera infatti il 46 di punteggio, su una scala da 1 a 100 che rappresenta le best practice, la reale presenza di una formazione “veramente efficace e d’impatto per il digital marketing” erogata dalla propria azienda. Il settore che performa peggio in questo senso è il retail, con 39 di punteggio, ma nessuno supera 48 punti su questo tema. Anche i materiali didattici non vengono abbastanza aggiornati, né sono rintracciabili facilmente come si vorrebbe. Le aziende non condividono abbastanza le best practice e non c’è abbastanza tempo per costruire le proprie competenze digitali. Le cose sembrano andare un po’ meglio per i settori dei beni di largo consumo, nell’amministrazione pubblica, nell’education e nel non profit, ma non si supera comunque il 49 di score. Non solo non vengono sviluppate all’interno le competenze digitali che servono, ma non vengono neppure rico-
conoscere veramente chi si ha di fronte, le sue esigenze. I video personalizzati (è citato in particolare il servizio di Vidyard, integrabile con il CRM) sono secondo la Ramos una novità con un importante impatto sul business, mentre guadagneranno spazio strumenti come social, brand listening e piattaforme per le community. Fondamentale l’attenzione sul postvendita: i CMO devono assicurarsi che la loro azienda “mantenga le promesse” e continui a soddisfare il cliente anche a contratto concluso. Altra sfida per i CMO nel 2016 sarà capire come trasformare i dati della loro azienda in conoscenza utile, spostandosi dalle tradizionali previsioni per macromercati verso dati più granulari, che individuano microsegmenti - per esempio, le
differenze tra un cliente e l’altro nell’acquisto. «Il marketing deve diventare una scienza - ammonisce la Ramos -. I CMO sono chiamati ad alzare l’asticella sul fronte dei dati». Occorrerà ancora districarsi nella pletora di tecnologie per il marketing: i CMO non devono perdere tempo sperimentandone tante, ma selezionarne una o due su cui puntare. Non serve necessariamente “più tecnologia”, chiarisce la Ramos, ma essere “più smart” nell’integrazione, nel costruire l’esperienza omni-channel, nel raccogliere e analizzare dati su tutti i canali. L’aggregazione e la “pulitura” dei dati è anche la base per l’analisi predittiva: Forrester prevede interesse crescente per servizi come quelli offerti da InsideView, ReachForce, ZoomInfo.
nosciute come prioritarie nell’immediato (un anno) o a medio termine (tre anni). Proprio i canali dove si è più carenti come skill, sono quelli su cui si punta di meno. Il canale video, per esempio, non supera 43 di punteggio, la Mobile advertising 37, i display media 27 e il testing 44. In pratica, la direzione marketing non dà importanza allo sviluppo e al miglioramento delle skill che riguardano le imminenti aree di crescita, con il rischio di far restare indietro la propria organizzazione o di farla proprio uscire dai giochi, a fronte di un mercato del digitale in veloce sviluppo. Oggi, sottolinea BCG, sono disponibili tool e siti per misurare il livello di digitalizzazione di un’azienda e capire il livello di interesse ad andare a lavorare in essa. Mentre le aziende che non punteranno davvero sul digitale entreranno davvero in un circolo vizioso, perché meno saranno all’avanguardia, meno saranno scelte da talenti dotati di competenze per gestire con profitto il marketing digitale.
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PERCORSO EXECUTIVE IN
GESTIONE STRATEGICA DELL’INNOVAZIONE DIGITALE www.mip.polimi.it/ICT
Il Percorso Executive in Gestione Strategica dell’Innovazione digitale di MIP Politecnico di Milano affronta i temi chiave dell’innovazione digitale nelle Imprese e nella Pubblica Amministrazione, come leva di innovazione strategica e fonte di differenziali competitivi. Si rivolge a manager e profili ad alto potenziale. La formula interaziendale consente il confronto tra professionisti con esperienze diverse che operano in svariati settori, favorendo attraverso discussioni, testimonianze e lavori di gruppo uno scambio di esperienze volto ad un arricchimento reciproco.
KEY FACTS
Il Percorso Executive permette di: >
strutturare una visione ampia e strategica del ruolo delle tecnologie digitali nelle imprese e del loro impatto sul business
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8 moduli + Project Work
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Mentoring & Personal Empowerment
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accrescere le competenze manageriali di governance e di gestione dell’Innovazione digitale orientata al business
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Formato part-time verticale
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comprendere le molteplici opportunità di innovazione del business che possono derivare dalle nuove tecnologie
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Marzo 2016 - Novembre 2016
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sviluppare un’ampia e critica panoramica sulle principali tecnologie e soluzioni applicative, con particolare riferimento agli scenari tecnologici emergenti
CONTACTS MIP Management Academy: 02 2399 4896 - scazzosi@mip.polimi.it
RU B |RICA | n o mine rubrica nomin e
Laura Cioli Amministratore Delegato e General ManAger, Rcs MediaGroup Laura Cioli è il nuovo Amministratore Delegato e General Manager di Rcs MediaGroup. Il Consiglio di Amministrazione della società ha deciso di promuovere un componente interno alla dirigenza scegliendo di porre al vertice del Gruppo Cioli, già Amministratore Delegato in Cartasì e componente del cda da quando si era ricostituito l’organico. Nata a Macerata 52 anni fa, laureata in Ingegneria e con un master in ammi-
nistrazione aziendale conseguito presso l’Università Bocconi di Milano, nel corso della sua carriera prima di entrare in Cartasì è stata Direttrice Esecutiva di Vodafone Italia, e dal 2006 al 2008 Vice Presidente Senior in Eni Gas & Power.Dal 2008 al 2012 ha ricoperto il ruolo di General Manager di Sky Italia. Laura Cioli fa parte anche del consiglio d’amministrazione di Telecom Italia, Salini Impregilo e World Duty Free.
Enrico Cereda Amministratore Delegato, IBM Italia
Gli organi sociali di IBM Italia hanno approvato un cambio al vertice della società, con Nicola Ciniero che assume il solo ruolo di Presidente ed Enrico Cereda quello di Amministratore Delegato. Cereda, 49 anni, ricopre il nuovo ruolo dopo oltre un biennio nel ruolo di General
Manager della Global Technology Services, divisione dedicata alle vendite e alla fornitura di tutti i servizi di infrastruttura tecnologica, in cui ha guidato un team di oltre 2000 persone, inclusi professionisti IT, consulenti e rappresentanti delle vendite. In precedenza è stato al vertice della divi-
sione Systems and Technology Group di IBM Italia che gestisce il mercato dell’hardware, Executive Assistant del Senior Vice President Software Group Sales all’IBM Worldwide Headquarter a New York, e fino a luglio 2011 Direttore per l’Europa del Software Middlware presso la sede europea di Madrid.
Barbara Morgante Amministratore Delegato e Direttore Generale, Trenitalia
Trenitalia, la società interamente posseduta dalle Ferrovie dello Stato, ha designato Barbara Morgante Amministratore Delegato e Direttore Generale, con tutte le deleghe operative. Si tratta della prima donna in cabina di
regia nell’azienda che gestisce il trasporto di passeggeri e merci. Laureata con lode in Scienze Statistiche ed Economiche all’Università di Bologna nel 1986, Morgante ha lavorato dal 1988 al 1995 come Consulente di direzione aziendale, carica con cui ha seguito progetti nelle aree strategie, marketing e organizzazione. Nel 1995 è stata assunta in TAV (Treno Alta Velocità) dove prima è stata Responsabile Marketing e poi Responsabile dell’Unità Sistemi e Analisi. Nel 1998 è entrata in Ferrovie dello
Stato ancora una volta come Responsabile Marketing della Direzione Commerciale della Divisione Infrastruttura, per poi assumere la responsabilità della struttura di Pianificazione e Marketing strategico della Direzione Strategia, Qualità e Sistemi di RFI. Nel 2006 è stata nominata Direttore Strategia e Pianificazione di RFI. Nell’agosto 2008 è stata nominata Direttore Centrale Strategie e Pianificazione di Ferrovie dello Stato Italiane e dall’agosto 2014 ha acquisito anche le responsabilità del governo del sistema ICT dell’intero Gruppo FS.
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RUBRICA | nomine
Cramer Ball CEO, Alitalia
Alitalia ha annunciato la nomina di Cramer Ball a CEO, con decorrenza dall’inizio di marzo 2016. Ball, 48 anni, australiano, ha oltre vent’anni di esperienza nel settore
dell’aviazione. In precedenza, con la carica di CEO del vettore indiano Jet Airways e di Air Seychelles, ha guidato importanti processi di trasformazione e risanato le due compagnie aeree: nel primo caso portando la compagnia aerea di Mumbai a ridurre importanti perdite e mettendola in condizione di raggiungere l’utile il prossimo anno, nel secondo rendendo il business di Air Seychelles profittevole. Sono questi i punti di
forza che hanno portato alla sua scelta. Nella sua carriera Ball ha inoltre ricoperto il ruolo di Regional General Manager - Sud Est Asia per Etihad Airways a Bangkok, e General Manager Australia e Nuova Zelanda per la compagnia aerea emiratina a Sydney. Ha inoltre ricoperto ruoli simili in Gulf Air, mentre è stato Manager Strategic Corporate Programmes in Qantas e Commercial Sales Manager in Ansett Australia.
Gianni Potti Presidente del CNCT di Confindustria Servizi Innovativi e Tecnologici
Gianni Potti è stato riconfermato Presidente del Comitato nazionale di coordinamento territoriale (CNCT) di Confindustria Servizi Innovativi e Tecnologici, per il biennio 2015-2017. Cinquantasei anni, imprenditore padovano nel settore della comunicazione e del digitale, Potti - che con la nomina a Presidente del settore digitale è stato confermato di diritto Vice Presidente di Confindustria Servizi Innovativi - ha proposto all’assemblea pochi chiari obiettivi. «Puntiamo a un
deciso sviluppo dei nostri progetti strategici - ha dichiarato - e tra questi ci sono dei road show, una piattaforma reti di aggregazione di imprese, la creazione di una forte sinergia tra servizi innovativi e manifatturiero, il contratto di lavoro, gli appalti e la sburocratizzazione (nuova normativa e Consip), i progetti europei». Inoltre è in programma la costituzione di un Osservatorio nazionale con l’obiettivo di fare formazione agli imprenditori, creare reti e piattaforme di imprese.
Pietro Scott Jovane Amministratore Delegato, Banzai
Pietro Scott Jovane è stato nominato nuovo Amministratore Delegato di Banzai, dopo l’esperienza in Rcs Mediagroup.
Sposato e padre di due figli, Jovane è nato a Cambridge (Usa) e si è laureato in Economia e commercio all’Università degli Studi di Pavia. Nel 1994 lavora nel team rappresentante gli azionisti (Pilkington e Techint) preposto alla prima privatizzazione italiana: il Gruppo Vetrario SIV. Successivamente, a New York dal 1998 al 2000 è il Chief Financial Officer per il Nord America del Gruppo Versace. Rientrato in Italia nel 2000 assume l’incarico di Chief Financial
Officer di Matrix e poi quello di Responsabile del Controllo di Gestione del Gruppo Seat (allora Divisione Internet & Media di Telecom Italia). Nel 2003 approda in Microsoft Italia dove arriva a ricoprire il ruolo di Amministratore Delegato, dopo aver assunto nel 2006 la guida della divisione online, con il compito anche della concessionaria di Microsoft Advertising, e tra il 2005 e il 2006 la direzione commerciale per il Mercato Telecomunicazioni e Media.
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