Digital4executive 28

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. Osservatori PoliMi Ridisegnare il futuro: l’agenda 2017 per l’innovazione . La vision di Joichi Ito, direttore MIT Media Lab . Andrea Rangone: universitari, pronti per l’era digitale? . Storie di digital transformation: Autogrill, Ideal Standard, MSC Crociere, RAI, Doppel, Comau


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human I F I C A T I O N

7-8 novembre 2017 MiCo Milano Congressi

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"La strategia è una questione di scelta: non si può offrire tutto a tutti"

/wobi_it

Michael Porter

MARKETING

STRATEGIA

Jonah Berger

Michael Porter

Docente di marketing alla Wharton School

Autorità mondiale in materia di strategia competitiva INNOVAZIONE

LEADERSHIP

Chris Anderson

George Kohlrieser

Imprenditore tech ed ex Editor in Chief di Wired

Esperto mondiale di Leadership CREATIVITÀ

FUTURO

Abigail Posner

Nicholas Negroponte

Head of Strategic Planning in Google

Cofondatore del MIT Media Lab

EXECUTION

DIGITAL TRANSFORMATION

Randi Zuckerberg Ex Direttore Marketing di Facebook

ECONOMIA COLLABORATIVA

Esperta mondiale di collaborazione e scambio

info.it@wobi.com

Main Sponsor

Supporting Partner

Technical Partner

Chris McChesney

Global Practice Leader of Execution per FranklinCovey

Rachel Botsman

800 93 94 36

/wobi.it

+ wobi.com/wbf-milano

wobi


editoriale

Innovazione inclusiva: a Davos 2017 i CEO si convertono al sociale. Ma un motivo c’è... Marc Benioff, CEO di Salesforce, ha parlato di rifugiati digitali, creati da un ritmo di sviluppo dell’AI-Artificial Intelligence molto al di là delle aspettative. Satya Nadella, CEO di Microsoft, ha sottolineato come tale ritmo tenda a mettere in crisi non solo i lavoratori low-skilled, ma sempre più anche i colletti bianchi. Meg Whitman, CEO di HP ed ex-aspirante al ruolo di Governatore della California, ha fatto un’affermazione simile, parlando del grande aiuto che l’innovazione tecnologica può dare – in tema di cambio del clima, salute e agricoltura – ma anche dei suoi effetti dirompenti sull’occupazione “regardless of the age and class of workers” e della necessità che il mondo delle imprese (insieme con quello accademico) si faccia carico del problema. Ginni Rometty, CEO di Ibm, più ottimistica sul tema dell’occupazione ma fortemente preoccupata dal rischio che la tecnologia provochi profonde disuguaglianze e porti alla concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi, ha parlato della necessità di definire nuovi principi e fissare norme etiche per l’AI. Un tema quest’ultimo affrontato anche da Satya Nadella, che si è posto il problema della destinazione del surplus creato dai breakthroughs in AI, ovvero dei cosiddetti dividendi dell’innovazione digitale: da non lasciare nelle mani di pochi, ma da impiegare a favore di una crescita inclusiva. di

umberto bertelè presidente advisory board digital4executive autore di “strategia”

@umbertobertele

Una serie di riflessioni, a Davos 2017, simili a quelle che sarebbero potute emergere da un discorso di Papa Francesco o dal congresso di un sindacato di sinistra, ma fatte dai capi di imprese - tra le più innovative e a maggiore capitalizzazione del mondo – con una spiccata tendenza a rompere le regole e con comportamenti che spesso rasentano i confini del lecito. Una conversione al sociale? Poco probabile. Piuttosto, come sostiene il Financial Times, il timore di essere qualificati – come avvenne per i banchieri con la grande crisi – come coloro che pur di prosperare non si curano assolutamente dei danni che possono arrecare agli altri. È una preoccupazione giustificata? Sicuramente sì, se si guarda ai terremoti politici che la combinazione fra globalizzazione e digitalizzazione sta provocando. È solo la caduta di immagine che preoccupa? Sicuramente no. La carne al fuoco è molta. Ci sono in ballo le accuse, a Apple ma non solo, di usare tutti i mezzi per sfuggire alle tasse. Ci sono le accuse, in primo luogo a Google, di ricorrere a pratiche monopolistiche e quelle, indirizzate anche a Facebook, di violare estesamente la privacy. Ci sono le accuse, a imprese quali Uber e Airbnb, di violare le leggi locali per rubare mercato ai tassisti piuttosto che agli albergatori. C’è il problema, sul tavolo di Trump, di una revisione del regime fiscale per far rientrare le enormi riserve detenute dalle maggiori società tecnologiche statunitensi all’estero. È giusto ritenere colpevoli le imprese per gli effetti della digital disruption sull’oc­ cupazione e sulla distribuzione del reddito? Mi sembra sia in atto una sorta di caccia agli untori, che si cerchino responsabili per un fenomeno che si è ripetuto più volte nella storia: l’emergere di innovazioni che, per la loro rilevanza e trasversalità, hanno un impatto radicale sul modo di vivere. Per un fenomeno molto positivo in prospettiva (come lo sono stati la nascita dei trasporti ferroviari o delle reti elettriche), ma nel brevemedio termine squilibrante, che richiede una trasformazione nell’organizzazione della società: con misure non facili però da individuare e da attuare, per la molteplicità degli attori coinvolti e per la difficoltà di valutazione della portata del fenomeno stesso. Difficoltà in larga misura legata alle incertezze sui tempi con cui le tecnologie già esistenti (che il McKinsey Global Institute ritiene in grado di cancellare la metà dei posti di lavoro statunitensi) si tradurranno in applicazioni concrete e sui ritmi di evoluzione – storicamente irregolari - dell’intelligenza artificiale. www.digital4executive.it

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2 8 | 2017

cover storyY

Innovation management, serve un nuovo approccio

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Recruiting e sviluppo interno: in cerca di nuove competenze

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Pronti a competere in un mondo data-driven? Privacy, aziende italiane in ritardo sul nuovo GDPR europeo

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Alessandra Luksch, Politecnico di Milano

Emanuele Madini, Associate Partner, P4I - Partners4Innovation

Gabriele Faggioli, Associate Partner, P4I - Partners4Innovation ManagementK

Anti-disciplina, l’approccio open a un’innovazione ormai sempre più «pop»

Joichi Ito, MIT Media Lab

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intervisteK

Ideal Standard: «Digitale decisivo per ripensare anche i business più tradizionali»

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Wind Tre, servizi innovativi per le imprese con l’Internet of Things

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Industria Telco, la visione di Accenture: «Far evolvere la rete è la chiave»

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Enterprise Services: trasporti e digitale, il 2017 è l’anno della Piattaforma Logistica Nazionale

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Top Consult: la gestione documentale cambia marcia

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Eugenio Cecchin, CEO

Sherif Rizkalla, B2B Marketing Director

Aurelio Nocerino, Managing Director

Lorenzo Greco, Direttore Commerciale

Pier Luigi Zaffagnini, CEO osservatorioK

Il Retail italiano a piccoli passi verso il digitale Valentina Pontiggia, Politecnico di Milano

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digital transformationK

Advisory Board Umberto Bertelè Presidente Advisory Board Mariano Corso Politecnico di Milano Carlo Alberto Carnevale Maffè Università Bocconi Maurizio Dècina Politecnico di Milano Giuliano Noci Politecnico di Milano Paolo Pasini SDA Bocconi Alessandro Perego Politecnico di Milano Francesco Sacco Università dell’Insubria - SDA Bocconi Raffaello Balocco Segretario Advisory Board

Retail - Autogrill: «Una digital factory per accelerare l’innovazione»

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HR - Formazione, solo un terzo delle aziende punta sul digitale

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Marketing - Data-driven marketing, per conoscere il cliente CRM e analytics sono solo il primo passo

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Procurement - RAI, gare telematiche per tutti gli acquisti. «Massima trasparenza ed efficienza»

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Procurement - MSC Crociere salpa verso il digitale: un modello innovativo per gestire acquisti e logistica

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Alessandro Preda, CEO Europe

Andrea Rangone, CEO, Digital 360

Lucio Lamberti, Politecnico di Milano Felice Ventura, Direttore Acquisti

Giorgio Zagami, Head of Corporate Procurement

Finance - CFO, l’evoluzione della specie: da “data cruncher” a motore del cambiamento 50 Vittorio Biassoni, Doppel Farmaceutici

Supply Chain - Logistica in Italia, il 40% è in outsourcing

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Manufacturing - Il percorso di Comau verso la Smart Factory

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Gino Marchet, Politecnico di Milano Flavio Bernocchi, Comau reportageK

Oracle: Digital Strategy per la direzione HR, come conquistare talenti e creare engagement Tesisquare: «Industria 4.0: la tecnologia è abilitante, ma la collaborazione è decisiva» Risorsa: un “tap” sul tablet, la rivoluzione digitale della forza vendita Almaviva: DevOps, IT e Business finalmente alla stessa velocità

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rubrica | ricerche e studi

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rubrica | nomine

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cov e r s tory

di

alessandra luksch

school of management politecnico di milano

Innovation management, serve un nuovo approccio Il digitale ha allargato i confini ben oltre la Direzione ICT, assumendo una rilevanza strategica nelle organizzazioni: sempre più spesso esiste un budget dedicato anche in altre aree aziendali, come emerge da una survey degli Osservatori del Politecnico di Milano. Un contesto che rende insufficiente il contributo proveniente dalle tradizionali fonti di innovazione e che vede affermarsi il paradigma dell’Open Innovation

Gestire l’innovazione digitale e renderla sempre più pervasiva e allineata alla strategia. Sarà questa la grande priorità di Chief Information Officer e Innovation manager per il 2017, un anno che vedrà le imprese affrontare un inesorabile percorso di cambiamento culturale, nei comportamenti del cliente, negli stili di leadership aziendali, nella velocità delle decisioni intesa in senso ampio. Ciò significa perseguire l’innovazione, in primis digitale, in modo agile e veloce, in un contesto che permane di risorse limitate. Le risorse umane, le competenze e il budget necessari per affrontare questa sfida, tuttavia, non saranno più solo all’interno delle direzioni ICT, ma dovranno essere in misura rilevante messe a disposizione da altre direzioni aziendali. Lungi dal costituire un segno di commoditizzazione o di perdita di ruolo delle direzioni ICT, è questo un segno concreto di come il digitale non sia più una leva specialistica di supporto, ma una componente | 6 |

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fondamentale e indistinguibile del business stesso e della sua evoluzione. Questo cambio di ruolo e di confini dell’innovazione digitale ha un impatto rilevante non solo sui sistemi di governance, ma anche sulle metodologie di progetto e sui modelli di sourcing: il processo di innovazione diventa sempre più agile, interattivo e aperto ad un ecosistema di attori esterni che va oltre i tradizionali fornitori di tecnologie e servizi ICT, allargandosi a comprendere startup, centri di ricerca, clienti guida e in qualche caso persino concorrenti. È il paradigma della cosiddetta Open Innovation, non più solo moda o appannaggio di poche imprese innovative, ma riferimento concreto anche in Italia per imprese consolidate di ogni settore economico. Ricorrere a fonti di innovazione esterne e non tradizionali appare quindi una leva essenziale, non solo per l’evoluzione del business, ma per la sopravvivenza stessa, in un contesto competitivo


c ov e r st o ry | In n ovat i o n ma n ag e me n t, se rv e un n uovo a p p ro c cio

messo sempre più sotto pressione da fenomeni di digital disruption. Di fronte all’incertezza e alla limitatezza delle risorse disponibili, l’approccio lean, tipico delle startup, diventa una chiave di lettura fondamentale per rivedere e snellire i processi interni di innovazione, spesso impaludati e resi costosi e inefficaci da burocrazia e contrapposizioni funzionali tipiche delle imprese consolidate. Per la gestione dell’innovazione, dunque, le startup diventano non solo un possibile fornitore, ma anche, paradossalmente, una guida metodologica ed un modello a cui ispirarsi per rendere i processi di innovazione più aperti e veloci e le persone più coinvolte e partecipi della trasformazione. Le priorità di investimento La Survey annuale degli Osservatori Digital Innovation della School of Management del Politecnico di Milano ha raccolto 205 risposte di Chief Information Officer e Chief Innovation Officer di aziende italiane e di Pubbliche amministrazioni per comprendere come evolve la gestione dell’innovazione digitale e dove sono orientati i budget dedicati a questi temi. Le principali aree di investimento identificate dai rispondenti sono sei. Al primo posto balza quest’anno il tema del consolidamento applicati-

vo, dello sviluppo e del rinnovamento dei sistemi ERP, scalando ben quattro posizioni rispetto allo scorso anno e ottenendo il 46% delle preferenze. Si tratta dell’evoluzione dell’Enterprise Application Governance, un processo rilevante per le imprese che impatta non solo sul portafoglio applicativo, ma anche sull’architettura e sulle metodologie e i processi interni alla direzione ICT. Al secondo posto si conferma l’ambito Business Intelligence, Big Data e Analytics, prioritario per il 39% delle aziende intervistate. A pari merito si trova l’ambito digitalizzazione e dematerializzazione. Seguono, distanziati, Sviluppo e Rinnovamento dei sistemi CRM (27%), e (entrambi al 22%) soluzioni di ecommerce, comprendendo anche soluzioni di mobile commerce, web social commerce, mobile payment e soluzioni di Mobile Business, con l’introduzione di device mobili (smartphone, tablet, wearable device) e mobile App verticali a supporto dei processi di Business (gestione delle note spesa, sales force automation, App per il personale on Field, ecc.). A fronte dell’entusiasmo e delle misure annunciate verso l’industria 4.0, cresce inoltre la previsione di investimenti in Smart Manufacturing e Internet of Things, che insieme raccolgono il 17% delle scelte, contro il limitato 7% raccolto per il 2016; indice, questo, di un timido ma auspicato risveglio del ricco tessuto manifatturiero nazionale.

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cover story | I nn ovat i on m anage m e nt, s e r v e u n n uovo a p p ro c c i o

Nel 2017 si stima per i budget ICT delle imprese italiane un tasso di crescita complessivo dello 0,6% circa. Aumenta leggermente la percentuale di investimenti in progetti di innovazione rispetto alla spesa corrente Budget ICT in aumento e non solo per il CIO In base dalle risposte della survey, è possibile stimare che il budget ICT per il 2017 avrà un tasso di crescita complessivo, in linea con il 2016, tra lo 0,5% e lo 0,6%. In particolare, il budget è previsto in aumento per oltre il 30% delle imprese interpellate. Il dato è incoraggiante, considerato che per anni abbiamo assistito a una riduzione e che l’inversione di tendenza si è avuta solo nel 2015. Nel 2016 aumenta leggermente, di due punti, anche la percentuale di investimenti in progetti di innovazione rispetto alla spesa corrente, pari al 66%. Interessante notare che nel 39% delle imprese intervistate, oltre al budget della Direzione ICT, è presente un budget dedicato all’Innovazione Digitale in altre Direzioni, che nell’8% dei casi è comparabile o superiore a quello della Direzione ICT. Non lo leggiamo come un segno di riduzione a commodity o di perdita di controllo delle direzioni ICT, ma come evidenza concreta di quanto il digitale non sia più inteso in azienda come elemento

tecnico-specialistico, ma come leva fondamentale e indistinguibile del business stesso e della sua evoluzione. Questo dato ci anticipa anche che, se da un lato è alta la consapevolezza del valore strategico dell’innovazione digitale presso le aziende, dall’altro si aprono nuove sfide per rivederne la governance e i possibili modelli organizzativi. Come evolve la Governance La principale sfida organizzativa per un’efficace gestione dell’innovazione digitale in azienda va ricondotta, per il 58% delle imprese intervistate, alla difficoltà di inquadrare processi e meccanismi di coordinamento e cooperazione tra direzioni per la gestione dei processi di innovazione. Purtroppo questo dato non presenta nulla di nuovo rispetto all’annoso tema dei freni e delle resistenze organizzative che tanta parte giocano nei processi di innovazione e cambiamento. In seconda battuta, per il 51% delle imprese scarseggiano le competenze digitali e i relativi meccanismi di scouting, assessment e sviluppo all’interno dell’or-

46%

Consolidamento applicativo, sviluppo e rinnovamento gestionali ERP Business Intelligence, Big Data e Analytics

39%

Digitalizzazione e Dematerializzazione

39% 27%

Sviluppo e rinnovo CRM Soluzioni eCommerce

22%

Mobile Business

22% 17%

Data Center, Information management, virtualizzazione Mobile e Web social Marketing

15% 13%

Sistemi Cloud

12%

Information Security, Compliance e Risk Management

9%

Internet of Things / Smart product

8%

Smart Manufacturing / Industry 4.0

6%

Smart working, Mobile Workspace, sistemi di Collaboration e Social Software

2%

Cognitive Computing, Machine Learning, Artificial Intelligence

0% | 8 |

Fonte: Politecnico di Milano, Survey CIO 2016

Le priorità di investimento per l’innovazione digitale nel 2017 per le imprese italiane

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10%

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30%

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50%


c ov e r st o ry | In n ovat i o n ma n ag e me n t, se rv e un n uovo a p p ro c cio

La “liquefazione delle competenze”: l’esempio del CIO Si assiste oggi a una “liquefazione” delle competenze digitali nell’organizzazione e a una ibridizzazione dei ruoli preposti al digitale che rende complesso il loro riconoscimento e la loro costruzione. Ne è un esempio paradigmatico il ruolo del Chief Information Officer, che abbiamo visto negli ultimi anni trasformarsi o sdoppiarsi in quello di Chief Innovation Officer. Si tratta di un ruolo in posizioni di vertice, spesso fuori dalla direzione ICT, preposto ad affiancare il processo di innovazione con un approccio indipendente dai sistemi e aperto a nuove fonti di innovazione, consapevole di quanto le conoscenze digitali non siano solo tecnologiche, ma anche di tipo relazionale e comportamentale (soft skills).

ganizzazione. La gestione dell’Innovazione Digitale è quindi ancora un processo faticoso e le cause sono principalmente interne alle organizzazioni. Non stupisce quindi come siano ancora limitate le risposte organizzative alla gestione dell’Innovazione Digitale. Competenze e collaborazione La maggior parte delle imprese adotta team dedicati a ogni specifico progetto di innovazione (40%) o si affida ad attività non strutturate e con gestione occasionale, in base alle richieste (31%). Nel 10% dei casi è presente un comitato innovazione interfunzionale che si riunisce periodicamente. Solo nel 19% dei casi esiste una direzione innovazione. Oltre a mancare competenze e ruoli deputati alla gestione dell’innovazione digitale, scarseggia anche la consapevolezza che il successo di quest’ultima dipende in primo luogo dalla presenza di un approccio

imprenditoriale e di una cultura del rischio e dell’errore, tipiche del vero “innovatore”. Due fattori ci sembrano essenziali quando si affronta un processo di riorganizzazione per l’innovazione. Il primo riguarda la necessità che il modello adottato garantisca il presidio delle competenze in termini di interdisciplinarietà, per garantire la disponibilità di un ampio spettro di competenze, non solo per la genesi dell’innovazione ma anche per la sua concreta fattibilità. Il secondo è la necessità di garantire la comunicazione tra le Line of Business per non perdere allineamento e opportunità. Inoltre, un’efficace governance implica necessariamente il superamento in azienda dei tipici silos funzionali che siamo abituati a conoscere, e prevede uno scambio continuo tra le Line of Business (LoB), e una crescita di cultura manageriale e imprenditoriale di tutta l’azienda. La strada è aperta, dunque, ma ancora lunga.

budget 2017 in innovazione digitale

È interamente nel budget della Direzione ICT

È presente anche in altre direzioni

Fonte: Politecnico di Milano, Survey CIO 2016

39% 61%

6% www.digital4executive.it

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cover story

Recruiting e sviluppo interno: in cerca di nuove competenze

di

Emanuele Madini

Per guidare l’azienda verso la trasformazione digitale è necessario investire nello sviluppo di nuove competenze e nuove figure professionali, nonché ripensare in chiave digitale le tradizionali soft skills, comuni e trasversali a diversi ruoli

Associate Partner p4i - partners4innovation

L’approccio all’introduzione di nuove competenze deve essere un approccio strategico, che parte dai livelli più alti dell’impresa che si interrogano su come la digitalizzazione impatti sul business model dell’azienda e sugli obiettivi strategici che intende raggiungere per rimanere competitivi nel loro mercato di riferimento. Mappare e analizzare le competenze digitali e i ruoli necessari a sostenere la strategia aziendale o la riorganizzazione di alcune direzioni aziendali è il punto di partenza per elaborare le nuove modalità di attraction, recruitment e sviluppo interno delle professionalità e per innovare i modelli di lavoro, creando nuove condizioni di flessibilità che aumentino la responsabilità e l’autonomia dei dipendenti nel raggiungimento dei propri obiettivi. L’introduzione e/o l’implementazione di nuove competenze è un percorso evolutivo che impatta sui processi e coinvolge le persone e in quanto tale risulta complesso. Per questo motivo bisogna adottare un approccio razionale e individuare puntualmente e specificatamente le modalità di ingaggio, gestione e sviluppo delle nuove competenze. A seguito di quanto emerso dall’analisi del business model, bisogna poi attivare una fase di scouting e definizione di competenze e job innovativi per poi procedere a una revisione delle job esistenti, rispetto a obiettivi, responsabilità e competenze. Sulla base del piano industriale è bene chiedersi quali sono per l’azienda le capabilities da sviluppare per garantire la competitività sul mercato ed essere | 10 |

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leader nel proprio settore. Queste attività devono andare di pari passi con il disegno di una organizzazione digital che sia in grado di accogliere le nuove figure professionali o di un piano di riorganizzazione di alcune strutture organizzative. Una volta definito il framework di competenze digitali distintive devono essere individuati e compresi i gap da colmare, ovvero capire quali competenze l’azienda ha già al suo interno, quali è necessario che introduca o costruisca, quali è bene attrarre dall’esterno. Le figure più ricercate Secondo la ricerca dell’Osservatorio HR Innovation Practice del Politecnico di Milano, le funzioni aziendali che necessitano maggiormente di introdurre nuovi ruoli e competenze digitali sono i Sistemi Informativi (78%) e il Marketing/Customer Care (63%). Per quanto riguarda i profili, il più richiesto dalle organizzazioni sarà quello del digital marketing manager, seguito dal social media recruiting - specialist che recluta personale attraverso i social media - e dal social media manager. Altre figure ricercate sono il technology marketing officer, il digital workspace manager, che gestisce gli spazi di lavoro in modo flessibile attraverso l’uso delle tecnologie digitali, e il digital learning specialist che ha il compito di progettare, gestire e monitorare percorsi e piattaforme per la formazione digitale.


cover story

Pronti a competere in un mondo data-driven? I Big Data non sono una moda: l’analisi dei dati è un ambito in pieno sviluppo, destinato a crescere di importanza. Per trarne vantaggio, le imprese devono incorporare gli analytics in una vision strategica e utilizzarli per prendere decisioni migliori, sostiene un’analisi di McKinsey Si parla da tempo di Big Data e Analytics, eppure l’analisi dei dati è ancora poco sfruttata rispetto al suo reale potenziale. E in futuro, il moltiplicarsi delle informazioni prodotte da device e interazioni tra persone, macchine e piattaforme spalancherà nuovi scenari di mercato man mano che le imprese impareranno a ottimizzare flussi, processi e applicazioni in funzione delle esigenze del proprio business e, soprattutto, dei propri clienti. Un report di McKinsey, intitolato “The age of analytics: Competing in a data-driven world”, rileva che l’enorme balzo evolutivo che hanno fatto negli ultimi anni strumenti, tecnologie e skill - ibridando settori e competenze - non ha avuto, nella maggioranza dei casi, un’adeguata risposta sul piano culturale e organizzativo. In particolare, rispetto alle previsioni del 2011 è stato trovato riscontro nei progressi registrati dal retail, il manifatturiero, il mondo sanitario e il settore pubblico europeo sono invece riusciti ad assorbire solo il 30% del valore potenziale stimato cinque anni fa. Mentre si sono aperte nuove, inaspettate, opportunità per player – e mercati – che all’epoca nemmeno esistevano. Le imprese che hanno già sviluppato capacità analitiche avanzate godono di indubbi vantaggi in un contesto che, basandosi sempre più sui network e sulle tecnologie digitali, tende a concentrare il valore nelle mani di chi si trova nei centri nevralgici delle reti che si stanno venendo a formare. Questo vale soprattutto per chi è riuscito ad avvantaggiarsi delle proprie economie di scala appli-

cando gli strumenti analitici e gli insight derivati dalla costruzione o dal potenziamento delle nuove linee di business, riuscendo a superare le difficoltà di implementazione dei sistemi legacy e avviando processi decisionali in logica data driven. Serve una trasformazione culturale Non si tratta di un movimento puramente tecnologico. Le cose devono cambiare anche sui piani culturale e organizzativo ed è forse in questi termini che molte imprese devono ancora compiere lo sforzo maggiore. La prima sfida riguarda l’inserimento delle metodologie ispirate dagli analytics nella visione strategica aziendale, a cui deve necessariamente seguire lo sviluppo di processi di business capaci di supportarla attraverso adeguate infrastrutture e con l’aiuto dei giusti talenti. Sono questi gli elementi che sono venuti a mancare a oggi nei board dei leader di mercato che ancora non hanno messo a frutto tutte le potenzialità offerte dall’analisi dei dati, col rischio di essere travolti dalla disruption anziché cavalcarla. Un gap che va colmato in fretta, in quanto si sta già affacciando sul mercato una nuova generazione di soluzioni digitali (machine-learning e deep-learning), la cui applicazione si estenderà a un numero ancora maggiore di industrie e categorie merceologiche, investendo anche settori fino a oggi impattati dal fenomeno in misura minore: dalla produzione alla logistica passando per le diagnosi mediche. www.digital4executive.it

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cover story

Privacy, aziende italiane in ritardo sul GDPR europeo: «Iniziate a lavorarci subito»

Gabriele Faggioli giurista ceo, p4i - partners4innovation

Solo il 27% conosce gli obblighi del regolamento che entrerà in vigore a maggio 2018 e solo il 9% ha avviato un progetto per adeguarsi, dice l’Osservatorio Security & Privacy del Politecnico di Milano. Tra i punti da affrontare Data Protection Officer, segregazione dei dati del cliente, Data Protection Impact Assessment

«Solo un’azienda italiana su 5 conosce nel dettaglio le implicazioni del General Data Protection Regulation, il nuovo regolamento europeo sulla protezione dei dati personali. E pochissime, il 9%, hanno già strutturato un progetto per adeguarsi. Mentre molte, ma non abbastanza, il 46%, hanno in corso un’analisi dei requisiti richiesti. I dati dell’Osservatorio Security & Privacy del Politecnico di Milano parlano chiaro: c’è ancora una grave mancanza di attenzione alla protezione dei dati personali delineato dal GDPR che sarà applicato tra poco più di un anno, da maggio 2018. Per poter realizzare le modifiche organizzative richieste dal regolamento occorre coinvolgere il management delle aziende, sfruttando il tempo a disposizione per compiere tutte le analisi necessarie e giungere preparati alla scadenza prefissata, evitando il rischio di illeciti e sanzioni di autorità amministrative». È l’allarme lanciato da Gabriele Faggioli, Responsabile scientifico dell’Osservatorio (nonché CEO di P4I e Presidente del Clusit): Osservatorio che ha svolto un’indagine a fine 2016 da cui emerge che la consapevolezza delle imprese italiane sul GDPR è ancora limitata: per il 23% le implicazioni non sono note in dettaglio nell’organizzazione, per il 22% lo sono solo nelle funzioni specialistiche, ma non ancora al top management. Solo il 15% ha un budget dedicato, il 35% dice che lo stanzierà a breve, e il 50% non lo stanzierà mai. Pochi anche i cambiamenti organizzativi: il 12% ha definito nuovi ruoli o un team di lavoro trasversale (9%); il 34% non ha ancora fatto cambiamenti ma ne farà nei prossimi 6 mesi; il 45% non ne farà neanche in futuro. | 12 |

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Tra le principali azioni già avviate vi sono assessment sui rischi privacy (42%), coinvolgimento di consulenti esterni (39%), definizione di responsabilità e owner di processo (26%), azioni informative verso Board e Top Management (25%), revisione profonda degli attuali sistemi di IT security (22%), ricerche e corsi di formazione (20%), definizione di nuovi processi decisionali e comportamentali (12%). Il messaggio quindi è che occorre un’accelerazione per farsi trovare pronti a maggio 2018, con molti punti su cui iniziare a lavorare subito. Uno è la figura obbligatoria del DPO (Data Protection Officer), responsabile unico della protezione dell’integrità e sicurezza dei dati personali in azienda. Una figura “ibrida”, con competenze sia legali che di sicurezza informatica. Un secondo è l’obbligo di segregare i dati di ciascun cliente rispetto a quelli di qualsiasi altro, con notevoli impatti soprattutto sulle aziende che ricorrono a servizi esterni che implicano appunto la gestione di dati sui clienti. Un terzo è l’obbligo di compilare un Data Protection Impact Assessment (DPIA), descrizione delle modalità con cui l’azienda verifica che i sistemi informativi e tutte le tecnologie che trattano i dati siano ”privacy proof”. È importante sottolineare che, al contrario di quanto pensano molti, il GDPR avrà riflessi rilevanti anche sulle PMI. Uno dei casi più eclatanti di data breach (40 milioni di carte di credito rubate, 165 milioni di dollari spesi in risarcimenti), quello del colosso del retail Target nel 2013, è nato da una vulnerabilità nei sistemi IT di un piccolissimo fornitore di servizi di condizionamento.


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Eugenio Cecchin

Ideal Standard, «digitale decisivo per ripensare anche i business più tradizionali»

Amministratore Delegato Ideal Standard

«Grandi benefici, non solo di customer service e di visibilità nella value chain, ma anche di capillarità nella copertura di esigenze anche di nicchia e locali». L’Amministratore Delegato in Italia racconta gli impatti dell’innovazione tecnologica sulla multinazionale e su tutto il settore arredobagno, che in Italia vale 2,6 miliardi

«Le tecnologie digitali sono imprescindibili. Personalmente per esempio sono un fautore del “paperless”, uso evernote per tutto, dai memo alla compilazione della nota spese. Più in generale, sul piano del business, l’efficienza è una chiave di competitività decisiva, e l’efficienza oggi dipende in gran parte dall’adozione di tecnologie digitali, così come la collaborazione nell’ecosistema intorno all’azienda. Penso che la prossima frontiera in un business come il nostro sia integrare in una piattaforma digitale tutta la value chain del prodotto, dall’ideazione all’installazione e utilizzo, coinvolgendo produttore, installatore e utente finale». Queste parole di Eugenio Cecchin, Amministratore Delegato di Ideal Standard, sintetizzano chiaramente la sua visione della trasformazione digitale, che ci ha spiegato in questa intervista, approfondendone gli impatti sull’azienda che dirige, e sul relativo settore (sanitari e rubinetteria per il bagno), che in Italia vale 2,6 miliardi in termini di produzione. | 14 |

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Quali caratteristiche secondo lei definiscono meglio Ideal Standard oggi? Sicuramente il “made in Europe” e la qualità. Ideal Standard è una multinazionale europea: i 18 siti produttivi – di cui due in Italia - sono tutti nel nostro continente, e l’Italia è il terzo mercato in fatturato, e quindi molto strategico. Questo concetto di “made in Europe” è particolarmente importante, in un mercato dove la concorrenza proviene soprattutto da prodotti importati da paesi a basso costo del lavoro. Produrre in Europa quindi comporta costi più alti, ma Ideal Standard vive la qualità con “devozione”, la controlla direttamente lungo tutto il processo produttivo, e punta sulla sua massimizzazione come vantaggio competitivo, sia nei prodotti ceramici che nella rubinetteria, che in particolare è progettata e prodotta in Germania. In questo scenario, quali sono i principali sistemi informativi che supportano il business aziendale?


intervista | Ideal Standard, «digitale decisivo per ripensare anche i business più tradizionali»

«La prossima frontiera in un business come il nostro sarà integrare in una piattaforma digitale tutta la value chain del prodotto, dall’ideazione all’installazione e utilizzo, coinvolgendo produttore, installatore e utente finale»

Li raggrupperei in tre principali aree tematiche. C’è la parte ERP che è il “motore” dell’azienda, e comprende anche la parte di gestione e schedulazione della produzione, il CRM, e la reportistica, tutte soluzioni SAP. Secondo mondo è la produttività individuale e collaborazione (basata su soluzioni Microsoft). Poi il terzo ambito è la progettazione e produzione industriale, basata soprattutto su soluzioni PTC. Quali sono gli impatti più tangibili della digitalizzazione in un business così tradizionale come il vostro? Un esempio viene da un recentissimo progetto, una soluzione Cloud (basata su SAP HCP, Hana Cloud Platform, ndr) che dà informazioni sui prodotti presenti sul territorio: in quale negozio o showroom si trova un certo prodotto, quale distributore è in attesa di un ordine urgente, eccetera. L’esigenza era di rendere più fluido e veloce il processo di vendita, con integrazione delle fasi del ciclo dell’ordine fino alla logistica. L’applicazione permette di consultare su un’interfaccia molto intuitiva tutti i flussi informativi di gestione delle commesse, come engineering, procurement, contracting. È indirizzata quindi prima di tutto alla rete di vendita, ma la estenderemo anche a scenari B2B e B2C: architetti e tecnici potranno progettare e visualizzare in uno showroom virtuale un’ambientazione

mantenendo il controllo di costi sui capitolati ed eventuali criticità tecniche, e passare direttamente agli ordini senza passaggi intermedi. Come valutate i ritorni di soluzioni di questo genere? Di certo hanno molti vantaggi, anche se difficilmente quantificabili. Uno è la rapidità: parliamo di progetti della durata di 8-10 settimane. Poi il software-as-a-service risolve due grandi problemi che avevo da utente di sistemi “on premise”: la scalabilità e gli upgrade di versione periodici. Inoltre c’è la possibilità di sviluppare internamente anche applicazioni di nicchia che interessano solo a noi. Ma soprattutto c’è il costo-opportunità. Quanto ci rimetteremmo se non avessimo ora questa applicazione? A volte il “non cambiamento” comporta costi altissimi.

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Ideal Standard ha sede in Belgio e 18 siti produttivi in Europa, di cui 2 in Italia che è il terzo mercato in fatturato

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intervista | Ideal Standard, «digitale decisivo per ripensare anche i business più tradizionali»

Quali miglioramenti competitivi può portare il digitale nel breve periodo nel vostro settore? Me ne vengono in mente due: personalizzare il customer service, e poter “vedere” come produttore i livelli di stock presso i distributori e nei vari canali. Nel primo caso parliamo di sistemi che identificano il chiamante e permettono al customer service di rispondere in tempo reale e addirittura di proporre soluzioni e promozioni ad hoc, capire i problemi prima che vengano posti. Questo chiaramente può dare forti ritorni in termini di livello di soddisfazione e fidelizzazione del cliente. Nel secondo caso il digitale può aiutarci a “esportare” trasparenza e collaborazione oltre i confini aziendali, nella supply chain. Nel nostro settore oggi il problema è che non si sa mai dov’è il prodotto, e quindi quanto tempo ci vuole a farlo arrivare al cliente finale. Se riuscissimo a dare visibilità sullo stock complessivo disponibile, grazie all’integrazione informativa con i distributori e i vari canali, il cliente finale potrebbe, attraverso l’installatore (idraulico, impresa di costruzioni, ecc.), avere queste informazioni. Questo migliorerebbe non solo i livelli di servizio, ma anche l’efficienza nella filiera, nel senso che potrò produrre solo quello che serve, con risparmi su energia, materie prime, lavoro, minori sprechi e benefici anche per l’ambiente. Ideal Standard come abbiamo visto è una multinazionale. Quale autonomia ha la filiale italiana nel decidere dei progetti di digitalizzazione? Non sono il decisore finale, però gioco un ruolo di “influencer”, che a volte è il più interessante. Con le nuove tecnologie, come influencer posso sponsorizzare lo sviluppo di un’applicazione di nicchia, locale, e favorire una copertura delle esigenze molto più capillare di quella tradizionale, che prevede la richiesta dello sviluppo dalla multinazionale cliente alla multinazionale del software, con priorità stabilita dalla

“massa critica” delle richieste provenienti da tutto il mondo. Per esempio, qui in Italia abbiamo sviluppato una app per il controllo della qualità espositiva negli showroom, nata da un’esigenza tipicamente italiana. Con l’iter tradizionale questo sviluppo non sarebbe stato possibile. Invece con il nuovo approccio “bottom up”, con poche risorse siamo riusciti a sviluppare una app tarata sulla nostra esigenza, ma che è facilmente scalabile, e che ha avuto tale successo che è stata adottata anche in altri paesi. In questo periodo si parla molto di Industria 4.0, e specialmente di IoT (Internet of Things) nei settori manifatturieri. Quale sarà l’impatto sul vostro mercato? Nel nostro business non ha molto senso parlare di manutenzione predittiva, come in altri settori del manufacturing. Chiaramente è importante impegnarsi perché l’impianto produttivo non sprechi e non inquini, ma per quanto riguarda il materiale su cui lavoriamo, la ceramica, è “green” per definizione. È naturale e inerte, non contiene contaminanti, dura decenni, resiste ad altissime e basse temperature. Ha più senso invece parlare di IoT in termini di efficienza idrica. Il nostro settore si basa sulla risorsa più preziosa della Terra, l’acqua. L’IoT ci aiuterà a misurare esattamente l’uso dell’acqua, e attraverso questo “water metering”, a essere più efficienti come filiera e a preservare meglio l’ambiente. Noi abbiamo inventato una tecnologia di risciacquo, AquaBlade, che utilizza solo 2 litri d’acqua: meno della metà dei prodotti più efficienti sul mercato. Il produttore può arrivare al massimo qui. Il passo successivo è il rubinetto intelligente che decide quanta acqua far passare, la temperatura ottimale, eccetera. E quello ancora successivo è coordinarsi con il produttore della caldaia, il produttore delle tubazioni e così via, in modo da ottimizzare l’efficienza dell’intero impianto.

Un marchio con profonde radici in Italia «Ideal Standard ha profonde radici in Italia: molti sono convinti che sia un marchio italiano, e in effetti nasce dalla fusione di Ideal, che è in Italia dal 1909 e produceva caldaie e radiatori, e Standard che a Brescia produceva sanitari», ci spiega l’AD Eugenio Cecchin. Oggi in realtà Ideal Standard è una multinazionale con sede in Belgio e attività in tutta Europa, con 18 siti produttivi di cui due in Italia: Trichiana (Belluno) e Roccasecca (Frosinone), che fa capo a Bain Capital e Anchorage Capital. «I marchi multinazionali sono Ideal Standard e Jado, quelli locali sono Ceramica Dolomite (Italia), Porcher (Francia), Armitage Shanks (UK), Vidima (Est Europa), il fatturato è di circa 800 milioni di euro, di cui 100 in Italia, che è il terzo mercato per dimensioni, mentre la forza lavoro conta 9500 persone di cui 1300 in Italia».

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Copernico Torino, l’innovativo workplace pensato per i lavoratori 3.0

Un workplace innovativo di 12.000 metri quadri in cui convivono aziende internazionali, PMI, startup, professionisti e freelance. Apre a Torino la nuova sede di Copernico, la piattaforma dedicata allo smart working, in una struttura storica, la sede di L’Oréal in Corso Valdocco a due passi dalla stazione di Porta Susa. I tre piani della sede torinese ospitano uffici arredati, coworking, sale meeting, spazi eventi, oltre all’area più social composta dal club e dal café. Gli ambienti di lavoro sono stati disegnati per rispondere alle esigenze dei worksumer, i lavoratori 3.0 sempre più dinamici e alla ricerca di ambienti di lavoro, informali e flessibili, che favoriscono la produttività e il bilanciamento tra vita privata e professionale. «Copernico rappresenta un modo innovativo di concepire il mondo del lavoro, pensato per rispondere alle esigenze di un mercato e di un lavoratore in evoluzione, sempre più flessibile e sempre più in cerca di connessioni e di conoscenza», sottolinea Pietro Martani, Amministratore Delegato di Copernico Holding. «La nostra piattaforma si compone di tre dimensioni fondamentali per la creazioni di un ecosistema fertile in cui far crescere imprese e persone: quella spaziale, quella relazionale e quella culturale. Copernico rende fisiche le necessità di condividere non solo gli spazi e le risorse, ma soprattutto le esperienze all’interno di un sistema dinamico dove si sviluppano nuove idee che possono poi realizzarsi concretamente». Proprio con la volontà di replicare e continuare a sviluppare spazi innovativi dedicati allo smart working è stata aperta la nuova sede nel capoluogo sabaudo,

Apre nel capoluogo piemontese il nuovo hub della piattaforma Copernico. i tre piani della sede di L’orÈal ospitano Uffici, coworking, club, sale meeting e spazi eventi per un totale di 12 mila metri quadri. Obiettivo: creare Nuovi confini per chi lavora smart

Pietro Martani CEO di Copernico

che si connota come una città in fermento - è stata eletta seconda in Europa per capacità di innovare dalla Commissione Europea - e un punto di riferimento per imprese, università, centri di ricerca e istituzioni culturali. Inoltre, Torino sta promuovendo un modello di smart city legato a politiche e processi integrati per promuovere una serie di iniziative di open innovation, pubbliche e private. Copernico Torino nasce dopo il successo di Copernico Milano Centrale e Blend Tower, entrambi nel capoluogo lombardo, Science14 a Brussels e Clubhouse Brera, un membership club che ha sede a Milano all’interno dell’ex Teatro delle Erbe. L’operazione punta a contribuire, sulla scia di Copernico Milano Centrale, alla ridefinizione delle aree metropolitane: «La piattaforma Copernico vuole essere connessa al tessuto urbano e aprirsi alla città - conclude Martani -. Copernico Torino diventerà un crocevia tra la vivace e trafficata Corso Valdocco e Via Garibaldi, pedonale e più appartata, e rappresenterà la doppia anima torinese, rivolta al futuro e all’innovazione e allo stesso tempo elegante e misurata. Il cafè nel social floor al piano terra sarà la connessione con l’esterno e il luogo ideale per fare networking e sviluppare nuove idee e progetti per la città».

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anti-disciplina, l’approccio open a un’innovazione ormai sempre più «pop»

Joichi Ito Direttore del Media Lab al MIT di Boston

Nell’era Internet, il costo per realizzare qualcosa di nuovo
è diventato quasi nullo, la produzione non ha più bisogno di prototipi e non ci sono più barriere che separano le specializzazioni. La vision anticonvenzionale di Joichi Ito, che guida il MIT Media Lab, il laboratorio fondato da Negroponte, convinto del fatto che l’unico modo per far progredire la scienza sia rendere l’innovazione più “popolare”

Ribaltare le regole che governano la ricerca: condividere e “aprire” i laboratori anziché lavorare al chiuso, attivare un’intelligenza collettiva coinvolgendo Stati, Governi e la società in generale. Con un approccio che si chiama anti-disciplina, un metodo per abbattere le barriere che separano le specializzazioni. A sostenere che il progresso non può essere che “open” e pubblico è Joichi Ito, direttore del Media Lab del MIT (Massachusetts Institute of Technology di Boston), fondato 30 anni fa da Nicholas Negroponte. Il professore ha parlato alla platea del World Business Forum che si è tenuto lo scorso novembre a Milano. Il punto di partenza è che oggi «il costo dell’innovazione è praticamente prossimo allo zero, i ritmi sono accelerati e le modalità di innovare del passato, i brevetti e gli altri strumenti di protezione della proprietà intellettuale, sono ormai obsoleti. Ecco perché possiamo tutti essere inventori se crediamo in quel facciamo». Tutto diverso da quanto accadeva nell’era B.I. | 18 |

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(Before Internet): le cose si muovevano lentamente, secondo la Fisica newtoniana, in modo piuttosto prevedibile. «Il percorso era il medesimo per tutti: studiavi, diventavi un professionista e poi finivi per ripetere quello che avevi imparato per il resto della vita. Ma poi arrivò Internet, Google, Facebook e Yahoo. Gli studenti non
avevano titoli accademici prestigiosi, semplicemente realizzavano innovazione. Poi
raccoglievano il denaro, pensavano a un piano finanziario e magari dopo assumevano
qualche esperto in Business Administration. L’innovazione ha trovato altre sedi: i dormitori universitari, i garage, le startup, lontano dalle grandi istituzioni che avevano il potere, il denaro e l’autorità. Quando innovare costa meno cambia anche l’approccio al rischio: i fallimenti ad alto costo sono problematici, ma quelli a basso costo sono interessanti, apportano delle esperienze. Innovare richiede agilità: cambiare in fretta se le cose non funzionano. Bisogna provare e talvolta serve anche fallire: pensate a You-


m anagement - world of b us i ne s s i d e a s | ant i -d i s ci pl in a , L’ a p p ro c c io o p e n a un ’ in n ova z io n e o rma i se mp re p iù « p o p »

tube, prima di diventare il colosso tech che è oggi ha dovuto affrontare molte prove e fallimenti». Un esempio di innovazione pop Ito cita un esempio di come è stato possibile, coinvolgendo la popolazione, monitorare in modo puntuale in tutto il Giappone la qualità dell’aria e misurare le radiazioni a seguito del disastro nucleare di Fukushima, avvenuto nel marzo 2011. Grazie a un approccio open hardware frutto di un’iniziativa nata sul web, migliaia di volontari si sono costruiti in casa un contatore Geiger che hanno applicato all’automobile. Per mesi, i dati raccolti dalle macchine in movimento lungo strade e autostrade del Paese del Sol Levante hanno permesso di elaborare strategie “ad hoc” di bonifica delle aree maggiormente colpite, monitorando anche l’evolversi della situazione nel tempo. Il professore lo ha chiamato “the power of pull”, il potere propulsivo dell’innovazione che arriva dalla gente comune: un’innovazione di estrazione “pop”, che ha permesso di raccogliere in pochi mesi oltre 50 milioni di dati che, rilevati in modo tradizionale, mandando i tecnici a battere metro quadrato per metro quadrato il territorio nazionale, avrebbero richiesto decenni per essere acquisiti. La factory-in-a-box L’avvento di Internet ha permesso di ridurre drasticamente i costi delle comunicazioni, il modello open source quello dei software. E oggi, con le

stampanti 3D, si è ridotto anche quello della prototipizzazione e della produzione di piccoli lotti. Il contenimento dei costi porta allo sviluppo di un nuovo modo di sperimentare e cimentarsi, tipico delle startup software ma che può, oggi, essere benissimo trasferito anche alla produzione di sistemi hardware complessi. Un’innovazione che Ito definisce engineering-driven, basata sullo sviluppo collaborativo, che nasce dal basso, dai reparti più che dai laboratori. Un approccio che si contrappone a quello tradizionale (Ito lo addita come MBA-driven, ovvero guidato dai manager), che impone agli scienziati e agli innovatori di attendere il nulla osta (e i fondi) dei vertici dell’azienda per poter procedere con le sperimentazioni. C’è, quindi, un cambio sostanziale nel paradigma dell’innovazione: «La cosiddetta factory-in-a-box, la fabbrica compatta che permette a chiunque, con un piccolo gruzzolo, di avviare un’attività imprenditoriale, è una realtà in diversi Paesi come la Cina, il Giappone o la Silicon Valley americana. Una rivoluzione resa possibile dal fatto che il valore della fabbrica risiede non più nell’impianto produttivo e negli asset ma nelle persone che ci lavorano». Ito si riferisce a questi innovatori come a “nowist” (si traduce malamente in “adessisti”), esponenti di un’innovazione liquida e istantanea che non ha bisogno di grandi investimenti o complessi business plan. Se anche per l’hardware è possibile passare direttamente dall’idea al progetto, alla prototipizzazione, produzione e vendita, cercando solo in un momento successivo i finanziamenti utili per

Chi è Joichi Ito Joichi “Joi” Ito è riconosciuto nel mondo per essere uno dei più brillanti imprenditori, venture capitalist, attivista e promotore dello sviluppo personale e nazionale attuato attraverso la collaborazione sul web. Dal 2011 dirige il Media Lab del Massachusetts Institute of Technology di Boston (USA), dove sperimenta approcci radicalmente innovativi nell’insegnamento e nella diffusione delle scienze e della tecnologia. Figlio di scienziati e bambino prodigio, da Tokio, in Giappone, si è trasferito in Canada con la famiglia all’età di 3 anni e successivamente a Detroit (USA). A 13 anni il fondatore di Ovonics, società nella quale lavorava suo padre, gli offre un posto di lavoro in laboratorio, intravedendo in lui una curiosità e un’intelligenza fuori dal comune. Venture capitalist di successo, è stato tra i primi a investire in società come Twitter e Flickr. È una delle icone della sharing economy e siede nel board di numerose società attive nel mondo delle tecnologie digitali, da Sony Corporation a The New York Times Company. Inoltre, ha contribuito a creare e far crescere diversi progetti open source e Internet come ICANN, Mozilla Foundation e Open Source Initiative (OSI). La sua passione per la musica “garage” lo ha portato a lavorare anche come disk jockey nei locali di Chicago e a gestirne alcuni negli USA e in Giappone, paese col quale ha mantenuto sempre strettissimi legami. Da sempre piuttosto critico nei confronti dei metodi di insegnamento universitario, non ha mai conseguito una laurea. www.digital4executive.it

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Adafruit, un caso di successo Limor Fried, citata da Ito nel corso del suo intervento, è una ex studentessa del MIT (laureata in ingegneria elettronica) oggi a capo di una società (Adafruit Industries) con una cinquantina di dipendenti. La società deve la sua fortuna alla vendita di “kit fai da te” per costruire gadget elettronici. I kit includono una licenza open source, un insieme di componenti hardware, un invito ai clienti a modificare a loro piacimento i dispositivi elettronici in dotazione, per ottenere il prodotto finale di loro gradimento. Grazie ai contributi tecnologici ottenuti dai clienti, oggi la società produce anche sensori IoT, mini robot, schede madri e schede Wi-Fi, oltre a tutta una serie di gadget – rilevatori portatili di allergeni, pendenti per collane che si illuminano in relazione ai rumori dell’ambiente, solo per citarne un paio. La Fried è una

pioniera del movimento dei “maker”, che promuove la diffusione di un approccio di innovazione aperta e condivisa – sulla scorta di quanto avviene con la filosofia open source nel software – anche in ambito hardware e, in generale, in qualsiasi industry o settore. Il motto dei maker è “facciamolo insieme” ed è così che il movimento, presente in un centinaio di paesi, condivide informazioni e conoscenza, sfruttando Internet e alcuni luoghi fisici, che vengono chiamati Fab Lab. La fortuna di Adafruit Industries è legata al MintyBoost, un powerbank per ricaricare smartphone e altri device mobili i cui progetti sono stati condivisi da subito sul Web dalla Fried. Quello della Fried è uno dei primi esempi di “factory in a box”: per creare un nuovo business milionario le è bastato pochissimo spazio (e altrettanto denaro), un notebook e una stampante 3D.

una produzione su larga scala, allora cade di fatto qualsiasi barriera all’ingresso e si entra in una nuova epoca, quella della “permissionless innovation” che vede garage e cucine di casa sostituirsi ai laboratori. «Oggi, per esempio, l’area di Shenzen non è più la culla dell’innovazione in virtù dei bassi costi di lavoro ma per l’impegno, gli skill e le professionalità che si sono sviluppate nel tempo. In questa zona, infatti, gli operai che in passato lavoravano per le linee di produzione Apple o Samsung, costruendo telefoni cellulari venduti al costo di 9 euro l’uno, hanno via via affinato le proprie competenze e le hanno messe a frutto per avviare una nuova imprenditorialità, che fa leva su standard di qualità elevati e preparazione professionale. Un’imprenditorialità che non ha bisogno di fabbriche e uffici per affermarsi. Spesso sono sufficienti il garage o la cucina di casa, un notebook e una stampante 3D perché quel che conta è avere l’idea giusta». In queste “factory in a box” le aziende non sono solo a conduzione famigliare ma di dimensione domestica. La famiglia lavora nella propria sala da pranzo e il contributo del nucleo famigliare esteso a parenti e amici dà una spinta propulsiva a un’innovazione meno tecnologica e più “pop”, popolare, spinta dal basso e non guidata dai vertici dell’industria e della finanza. Lo stesso, dice Ito, deve avvenire all’interno delle università. Le “4 P” dell’apprendimento creativo «Una delle prime parole che ho imparato quando mi sono unito al Media Lab è stato anti-disciplinarità. Era, infatti, un requisito che spiccava nell’annuncio del bando di assunzione di un nuovo ricercatore. Si tratta di qualcosa di ben diverso dell’approccio multi-disciplinare o interdisciplinare che nei decen| 20 |

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ni recenti molte università hanno sperimentato con successo. Il lavoro interdisciplinare si ottiene quando si mettono persone provenienti da diverse discipline e con un diverso background, tecnico, scientifico, umanistico, psicologico… a lavorare insieme. Un progetto improntato all’anti-disciplinarità non si risolve nella pura somma delle competenze dei singoli, è qualcosa di completamente diverso, significa superare i rigidi confini delle discipline accademiche per abbracciare nuove modalità anticonvenzionali di creare innovazione. Solitamente, infatti, nell’ambito accademico tradizionale ci si confronta comunque tra esperti, luminari con una conoscenza approfondita di una certa materia, senza assumersi il rischio di un approccio meno convenzionale». Spesso, invece, sostiene Ito, quel che serve è la non-conoscenza, la non-specializzazione, la non-disciplina, unite a passione, magia e una certa dose di follia. Una formula che il direttore stesso ha racchiuso nella sua teoria delle “4 P dell’apprendimento creativo”: Projects (progetti, per imparare da chiunque possa dare un contributo, indipendentemente dalla sua estrazione), Peers (colleghi, perché nel campo dell’innovazione non esistono capi, si opera tutti allo stesso livello), Passion (passione) e Play (gioco, perché non deve essere la frenetica ricerca del risultato a guidare le scelte di chi innova, contano di più lo spirito anti convenzionale e il pensare fuori dagli schemi che non una rigida dipendenza dalle regole del laboratorio). Non si fa volutamente riferimento a competenze o specializzazioni: tutti possiamo, infatti, sfruttare la conoscenza condivisa per trasformare ciò che ci circonda e renderlo più simile a quel che ci serve o a come vorremmo che fosse, anche se non abbiamo un dottorato di ricerca.


Il punto di riferimento

per l’Aggiornamento Executive sull’Innovazione Digitale Gli Osservatori Digital Innovation della School of Management del Politecnico di Milano sono una fonte unica di informazioni, dati e conoscenza sui temi chiave dell’Innovazione Digitale.

I Percorsi di Aggiornamento Executive (Workshop e Webinar tenuti da analisti ed esperti degli Osservatori Digital Innovation)

permettono di stare al passo con i trend di innovazione e con le nuove teconologie digitali per essere sempre competitivi PERCORSO: eCommerce & Customer Experience Strategy Per la formulazione di una strategia vendita omnicanale, elemento determinante nella gestione dell’intera relazione con il cliente (dall'engagement al post-vendita)

PERCORSO: Mobile B2c Strategy Per conoscere i nuovi trend del Mobile e comprendere come sfruttare al meglio questo canale per raggiungere i propri obiettivi di business

PERCORSO: Startup & Innovation Per acquisire strumenti e modelli e conoscere normative per lo sviluppo di nuove iniziative digitali

per maggiori informazioni: www.osservatori.net/it_it/workshop/percorsi email: matteo.castiglioni@osservatori.net | telefono: +39 02 2399 9590 | cellulare: +39 392 3821952

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osservatorio di

Il Retail italiano a piccoli passi verso il digitale. Polimi: solo l’1% del fatturato per l’innovazione

manuela gianni

Valentina Pontiggia Osservatori Digital Innovation Politecnico di Milano

Dall’Osservatorio Innovazione Digitale nel Retail del Politecnico di Milano emerge un quadro con diverse luci e molte ombre: le iniziative ci sono, ma in generale si investe poco in ICT e senza un disegno strategico. Più presenti le tecnologie nel back end (CRM, Fatturazione elettronica, soluzioni per il magazzino...) piuttosto che quelle di front end (digital signage, pagamenti innovativi, chioschi...). Avanza l’omnicanalità

La maggioranza dei retailer presenti in Italia non considera prioritaria e strategica l’innovazione digitale. Lo confermano i nuovi dati dell’Osservatorio Innovazione Digitale nel Retail del Politecnico di Milano, che rileva come la spesa in digitale dei top retailer sia ancora esigua, inferiore nel 2016 a un punto percentuale del fatturato. Eppure qualcosa si muove. Se i numeri assoluti sono piccoli, la crescita è considerata interessante (dal 15% del totale degli investimenti annuali nel 2015 al 17% nel 2016) e sono diverse le iniziative in atto, come hanno testimoniato all’evento i manager di Autogrill, Ikea, Percassi, Carrefour e Gucci, tutti brand che, nella loro diversità, hanno avviato progetti di innovazione con una forte sponsorship e con un disegno strategico coerente. Si tratta di due requisiti fondamentali: per innovare, insomma, si devono attivare i CEO, i CMO, i Supply manager e gli altri top executive, senza lasciare l’IT isolata. | 22 |

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Le tecnologie ci sono: il problema è anzi quali scegliere. Forse è questo il vero motivo per cui, in un periodo certo non favorevole per il settore, si fanno sì dei passi avanti, ma piccoli: l’80% dei retailer intervistasti ha innovato e il 93% continuerà a farlo. A essere più interessato ai nuovi progetti è il back end, probabilmente con l’obiettivo di cercare di fare efficienza. Anche l’omnicanalità avanza, ma ancora uno su tre si dichiara refrattario o titubante. Più in dettaglio, i dati emergono da una survey sui top retailer italiani (i primi 300 retailer per fatturato, presenti in Italia con negozi fisici) che ha analizzato la maturità digitale attraverso lo studio del livello attuale di adozione e dell’intenzione di adozione futura delle tre principali categorie di innovazioni: nel back-end (processi di interazione retailer-fornitori o processi interni del retailer), nella customer experience in punto vendita e a supporto dell’omnicanalità.


osse rvat o rio | Il Re ta i l i ta l i a n o a p i c c o l i pa ssi v e r so i l di g i tal e

Il digitale per competere: PIÙ efficienza e migliore servizio al cliente «In un contesto di domanda complessivamente stagnante, il futuro dei retailer italiani è legato alla capacità di individuare target e strategie, muovendosi sul piano dell’efficienza e su quello della bontà del servizio ai clienti finali. Sono sostanzialmente gli stessi problemi che stanno affrontando i retailer tradizionali di tutte le economie avanzate, con la differenza – rispetto non solo agli Stati Uniti ma anche a molti Paesi europei – che la nostra distribuzione è estremamente frazionata e che le nostre imprese maggiori sono piccole – ha affermato Alessandro Perego, Direttore Scientifico degli Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano. - Sia l’efficienza sia la bontà del servizio offerto al cliente possono trarre notevoli giovamenti dalla digital transformation». Si investe più nel back end che nel negozio e online Valentina Pontiggia, Direttore dell’Osserva-

torio, ha presentato i risultati più nel dettaglio. «Abbiamo rilevato che nel back-end la diffusione delle diverse tecnologie è piuttosto soddisfacente: il 93% del campione ha adottato, infatti, almeno un’innovazione. Nel 2016 le priorità sono state CRM, fatturazione elettronica, ERP, business intelligence analytics e soluzioni per gestire il magazzino». Minore è invece la diffusione nel front-end e molto più variegate le soluzioni adottate: nel settore alimentare, ad esempio, si investe soprattutto per rendere più efficienti i percorsi seguiti dai visitatori in negozio e per fidelizzare i clienti con sistemi di loyalty e couponing; mentre in quello dell’abbigliamento si privilegiano le innovazioni che mirano in particolare a stupire (specchi e camerini smart, vetrine intelligenti...) e a trattenere i clienti in negozio (chioschi, totem e touch point). Cresce, con differenze molto rilevanti, l’omnicanalità: l’eCommerce è ormai sviluppato dall’80 per cento dei top retailer dell’Abbigliamento e solo dal 30 per cento dei top dell’Alimentare. Ma ora che è arrivato Amazon a portare la spesa a casa, è facile immaginare che ci sarà un’accelerazione.

Fonte: Politecnico di Milano

le innovazioni digitali nel front-end per i top retailer

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Autogrill, il CEO europeo: «Una digital factory per accelerare l’innovazione»

MANUELA GIANNI

Alessandro Preda CEO Europe Autogrill

Alessandro Preda racconta come e perché ha creato e dirige personalmente il team dedicato alla digital transformation. Obiettivo: estendere un percorso di innovazione partito già da tempo nel back office verso la Customer experience e il consolidamento del brand. Tra le iniziative già avviate, chioschi e Wi-Fi nei punti vendita e pagamenti da smartphone. «È fondamentale misurare i risultati»

Un percorso di trasformazione digitale nato nel back office, per fare efficienza, e poi esteso ad altri due ambiti: la customer experience, per rispondere a un mercato che cambia e, in seconda battuta, il branding, ovvero come usare il digitale per costruire e consolidare l’identità di Gruppo. E che è già a buon punto, con risultati concreti e visibili, misurati da KPI precisi: i pagamenti da smartphone e i chioschi nei punti vendita sono un esempio sotto gli occhi di tutti. Ne ha parlato Alessandro Preda, da settembre 2015 CEO Europe di Autogrill (4,3 miliardi di euro di fatturato) intervenendo a un convegno sull’innovazione nel retail organizzato dagli Osservatori del Politecnico di Milano. Icona del “made in Italy” e colosso mondiale nel Food & Beverage Gli italiani in viaggio raramente rinunciano al caffè in Autogrill, ma pochi sanno che il Gruppo, quota| 24 |

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to in Borsa dal 1997, è una multinazionale presente in 31 Paesi con oltre 57mila dipendenti, con il 70% del fatturato generato fuori dall’Italia. Solo nell’area gestita da Preda, per dare un’idea, vengono serviti ogni giorno 160 milioni di caffè. Autogrill è infatti il primo operatore al mondo nei servizi di ristorazione per chi viaggia, nonchè una delle più grandi imprese italiane (è controllata dalla finanziaria della famiglia Benetton, con Gilberto Presidente). Un primato del made in Italy, dunque, che nasce declinando nei vari Paesi la tradizione alimentare italiana, con un approccio glocal: un format che all’estero non era noto fino a poco tempo fa. Il modello di business punta a soddisfare le diverse abitudini alimentari e le tradizioni locali, fondendole con le componenti tipiche della ristorazione italiana. E se in Italia la maggior parte dei punti vendita sono sulle autostrade, nei mercati esteri il canale più importante sono gli aeroporti.


digital transformation - retail | Autogrill, il CEO europeo: «Una digital factory per accelerare l’innovazione»

«Oggi l’innovazione non è più IT-driven: se infatti prima era l’IT a fare da propulsore, ora sono le funzioni a “tirare”, evidenziando i fabbisogni di business»

Un cambiamento organizzativo per accelerare l’innovazione «La digitalizzazione dei processi di back office è stata avviata già da tempo. Nel mio ruolo precedente, quando ero capo dell’organizzazione del Gruppo e a me riportavano i Sistemi Informativi, per accelerare il processo decisi di spostare il team dedicato al processing amministrativo sotto la responsabilità dei Sistemi Informativi, il modo secondo me più furbo per accorciare la distanza fra la domanda e l’offerta, in modo da focalizzare gli Investimenti IT sui target di performance. Questo ci ha portato a centralizzare l’amministrazione di 5 Paesi (Italia, Francia, Spagna Svizzera, Germania), a gestire in digitale 550mila documenti di cui il 70% con flussi completamente elettronici». Anche tutto il processo di Procurement è stato rivisto e digitalizzato (in questa intervista i dettagli del progetto).

Un nuovo team guidato dal CEO Quando ha assunto il nuovo ruolo di CEO Europa, a settembre dell’anno scorso, Preda ha deciso di fare un altro passo avanti, assumendo la guida del progetto di digital transformation per «dare una direzione, una traiettoria all’organizzazione, per essere rapidi e agili nel far accadere le cose, e misurare i risultati». Sono stati aperti altri due fronti di digitalizzazione: la Customer Experience e il Branding, e creata una digital factory, un team di 4 persone. «Oggi l’innovazione non è più IT-driven: se infatti prima era l’IT a fare da propulsore, ora sono le funzioni a “tirare”, evidenziando i fabbisogni di business. Questo ha permesso di abbattere le barriere organizzative: ora la trasformazione sta avvenendo. Abbiamo deciso di cominciare dalla relazione con i clienti, e in particolare dai “pain points”, cioè quei momenti di interazione con il nostro business dove il cliente incontra difficoltà».

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CRM, pagamenti , Wi-Fi e chioschi self-service: quattro nuove iniziative per il digital traveller

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digital transformation - retail | Autogrill, il CEO europeo: «Una digital factory per accelerare l’innovazione»

«È molto importante misurare: le metriche servono a far capire all’organizzazione che un progetto è sano per il business e così si può progressivamente virare in quella direzione»

Customer Experience: quattro iniziative Per disegnare l’esperienza del digital traveller sono state avviate 4 iniziative. La prima riguarda il CRM, con l’obiettivo di conoscere meglio il cliente e creare servizi in linea con le esigenze. C’è poi l’importante area dei pagamenti innovativi: è stato avviato il primo pilot, prossimamente esteso in 50 locali, di servizio di pagamento proximity attraverso la App Autogrill, in collaborazione con PayPal. L’introduzione del servizio è prevista in modo graduale entro fine anno. «Con questo nuovo strumento abbiamo la capacità di rispondere tempestivamente alle esigenze e allo stile di viaggio del consumatore moderno - ha dichiarato Preda in occasione del lancio, a settembre -. Questo nuovo servizio si affianca a quelli ad elevato contenuto tecnologico già offerti come l’einvoicing, il self ticketing e i sistemi di fidelity per i clienti, con i quali la nostra azienda vuole cogliere appieno la sfida della digitalizzazione dei servizi per confrontarsi con successo in un mercato in costante evoluzione». Sempre in ambito in store, sono stati installati infatti installati primi chioschi self service, soluzione che ha avuto un successo superiore alle attese. «L’iniziativa ha richiesto un cambiamento organizzativo non banale – ha detto il manager – perché comporta nuovi processi e flussi nel locale e uno spostamento delle basi dati. Banalmente, il foto shooting di tutti i prodotti e la loro descrizione dettagliata, che non avevamo, è stata la prima barriera che abbiamo incontrato». Una quarta iniziativa è la copertura Wi-Fi, che ha un duplice obiettivo: offrire un servizio ai clienti e

«L’organizzazione ha bisogno di digerire l’innovazione tecnologica, capirla e farla propria. È meglio partire da singoli progetti dettagliati a livello IT, per poi arrivare a un piano molto strutturato con una roadmap che coinvolge tutta la struttura» | 26 |

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al contempo raccogliere informazioni sui clienti, ovvero in quanti sono venuti nel locale, come si sono comportati ecc. Digital transformation significa change management: i consigli «Un percorso articolato che alla fine è un processo di change management: non penso che la digitalizzazione sia tanto un problema di competenze. Serve piuttosto una definizione chiara degli obiettivi e una guida. Ed è molto importante misurare: le metriche servono a far capire all’organizzazione che un progetto è sano per il business e così si può progressivamente virare in quella direzione. Ad esempio, sappiamo che il 13% del fatturato del Bistrot di Piazza Duomo a Milano viene fatto con due chioschi, che diventeranno presto 4, e che a transazione media è di tre minuti». Inoltre, per accelerare l’innovazione, secondo il manager è fondamentale creare contaminazione e cercare competenze specifiche «on demand rispetto alle richieste. Ad esempio, il disegno dell’ergonomia di app e totem è stato fatto da uno startupper specializzato, inserito nel team IT». Un altro consiglio è quello di non mettere troppa carne al fuoco. «L’organizzazione ha bisogno di digerire l’innovazione tecnologica, capirla e farla propria. Non si possono avviare tanti progetti di trasformazione insieme. Noi siamo partiti da singoli progetti dettagliati a livello IT, per arrivare poi a un piano molto strutturato con una roadmap che coinvolge tutta l’organizzazione». E per il futuro? «La nostra sfida più grande oggi è veicolare il messaggio e portare tutta l’organizzazione nella direzione giusta».


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Guest Wi-Fi: come accelerare la trasformazione digitale nel Retail

La digitalizzazione sta trasformando radicalmente le abitudini di acquisto. I clienti, infatti, vogliono vivere in negozio la stessa esperienza che vivono online, ossia poter confrontare i prezzi, ricercare i prodotti, accedere a coupon e promozioni, o verificare le recensioni online. La nuova sfida che i retailer devono affrontare oggi, dunque, è quella di riuscire a offrire un’esperienza digitale accattivante anche in negozio. Il guest Wi-Fi, in quest’ottica, rappresenta una delle tecnologie abilitanti della digital transformation, poiché ha potenzialità enormi che vanno oltre la semplice connessione a Internet. «ll guest Wi-Fi permette di diminuire il gap tra negozio online e negozio fisico, accelerando la trasformazione digitale in modi che non erano nemmeno immaginabili in passato», dice Andrea Calcagno, CEO e Co-Founder di Cloud4Wi. Grazie al guest Wi-Fi, direttamente da terminale mobile, i retailer possono accogliere i clienti in negozio con un portale di benvenuto, in linea con la propria “immagine”, ingaggiarli esponendo nella vetrina digitale le ultime offerte, promuovendo i programmi di loyalty, incentivando l’utilizzo della mobile app, oppure coinvolgendoli in sondaggi mirati per conoscere i gusti e le preferenze della clientela. I retailer, inoltre, possono monitorare il flusso di clienti, fidelizzati o potenziali, all’interno del negozio e individuare le aree maggiormente visitate. Queste informazioni sono rilevabili anche se i clienti non si connettono alla rete Wi-Fi presente nel negozio ma hanno semplicemente attivato il modulo Wi-Fi sul proprio terminale. Quando, invece, si collegano alla rete del negozio i retai-

accogliere i clienti con un portale di benvenuto, ingaggiarli esponendo nella vetrina digitale le ultime offerte e promuovendo i programmi di loyalty tramite mobile. La nuova sfida per il retailer È offrire un’esperienza digitale accattivante, superando il gap tra negozio online e negozio fisico

Andrea Calcagno CEO & Co-Founder, Cloud4Wi

ler possono raccogliere, in conformità alla normativa vigente sulla tutela della privacy e dei dati personali, anche informazioni quali indirizzo email, numero di telefono, profilo social, in funzione del metodo di login utilizzato per l’accesso. Il guest Wi-Fi, dunque, può accelerare il processo di trasformazione digitale, anche ottimizzando gli investimenti già esistenti. La chiave di volta è, tuttavia, la piattaforma che abilita i servizi a valore aggiunto over guest Wi-Fi. Infatti, solo scegliendo la soluzione giusta i retailer possono offrire il guest Wi-Fi aumentando sia la customer satisfaction sia i ricavi. Volare, l’innovativa piattaforma per il guest Wi-Fi di Cloud4Wi, consente ai retailer di affrontare questa sfida, garantendo ai clienti presenti nei negozi una migliore mobile experience e una connessione a Internet facile da utilizzare. Inoltre, è un valido strumento di analisi che consente di avere un quadro dettaglieto del comportamento dei clienti e ingaggiare gli stessi attraverso l’utilizzo dei loro dispositivi mobili. Volare connette più di 55 milioni di utenti mobili in circa 15.000 location e in più di 80 Paesi. Tra i clienti ci sono Armani, Bulgari, Burger King, Chili’s, Clarks Shoes, Ermenegildo Zegna, Olive Garden, McDonalds, e Prada.

p er u lt er i o r i i n f o rma zioni...

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intervista

Maximo Ibarra

Wind Tre, servizi innovativi per le imprese con l’Internet of Things

ceo, Wind Tre

Si amplia verso le soluzioni basate sugli oggetti intelligenti la proposta per il mondo enterprise del gruppo guidato da Ibarra, che ha annunciato un piano di investimenti da 7 miliardi a supporto del merge. Ce ne parla Sherif Rizkalla, B2B Marketing Director: «L’Internet delle cose rappresenta l’avanguardia dell’innovazione. I benefici che ne derivano trasformeranno la relazione con i clienti e apriranno le porte a soluzioni che fino a ora non erano possibili»

«Comincia una grande sfida di mercato, un’importante fase di sviluppo per l’economia digitale in Italia. Vogliamo essere leader nella relazione con i clienti grazie alla qualità delle nostre infrastrutture, alla trasparenza delle nostre offerte e alla passione delle nostre persone». Parola di Maximo Ibarra, CEO della neonata Wind Tre, che accorpando le competenze, gli asset e le tecnologie di H3G e Wind Telecomunicazioni si configura oggi come la principale realtà tricolore nell’ambito delle TLC, con oltre 31 milioni di clienti nella telefonia mobile e 2,7 milioni nelle connessioni fisse. Il gruppo punterà sull’integrazione tra i due network e sullo sviluppo delle reti in fibra di nuova generazione grazie a sette miliardi di euro di investimenti in infrastrutture digitali e attraverso l’accordo quadro con Open Fiber per il potenziamento della banda ultralarga sul territorio nazionale. L’ambito di sviluppo, però, non è limitato al mondo consumer. E rispetto al settore enterprise, l’ambizione di Wind Tre è quella di diventare un partner di riferimento per le imprese che intendono generare valore | 28 |

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sfruttando i servizi innovativi implementabili tramite l’Internet of Things. Ibarra, pertanto, ha costituito uno specifico team di manager che avrà il compito di affrontare la transizione verso nuovi modelli di business, strategie di cross-fertilization a cavallo di diversi settori e digitalizzazione dei processi, anche all’interno dell’organizzazione. Nell’ambito della Direzione Business & Wholesale, guidata da Paolo Nanni, Sherif Rizkalla ricopre il ruolo di Direttore Business Marketing Wind Tre, occupandosi per l’appunto della nuova frontiera di servizi offerti alle imprese. Ed è proprio Rizkalla che spiega a Digital4Executive la nuova missione di Wind Tre rispetto all’IoT. «Siamo immersi nell’era della digital disruption e per una società di TLC come la nostra, che opera in prima linea, l’Internet delle cose rappresenta l’avanguardia dell’innovazione. I benefici che ne derivano trasformeranno la relazione con i clienti e apriranno le porte a soluzioni che fino a ora non erano possibili». Secondo Rizkalla, l’introduzione dell’IoT permetterà


intervista | Wind Tre, servizi innovativi per le imprese con l’Internet of Things

I vantaggi? «Abbattere investimenti, costi ed esposizione a rischi, migliorare l’efficienza operativa, scambiare informazioni in modo più coerente e sicuro, ottimizzare la gestione e la manutenzione degli asset e progettare nuovi servizi ‘customer centric’» di lavorare su tre dimensioni: integrazione di tecnologie, device e protocolli multi-standard; aggregazione di flussi di informazioni indipendenti; unificazione e ottimizzazione di processi operativi multi-dipartimentali. «Il risultato è la generazione di soluzioni sistemiche avanzate e flessibili che, grazie all’apprendimento cognitivo, possono essere adattate ai contesti più disparati: dall’Industria all’Energia passando per i Trasporti, l’Agricoltura, la Salute, il Welfare, la Sicurezza e la Salvaguardia ambientale sfruttando le opportunità offerte dagli oggetti connessi per attivare politiche di risparmio energetico». Del resto sono questi ultimi gli ambiti che stanno guidando l’espansione del mercato italiano. Le soluzioni di Smart Metering e Smart Asset Management nelle Utility hanno costituito, con 500 milioni di euro, il 25% del giro d’affari totale dell’Internet delle cose nel nostro Paese nel 2015 (fonte: Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano). Indubbiamente la forte crescita nelle Utility è trainata dagli obblighi normativi, che hanno portato ad avere a inizio 2016 un parco di 350 mila contatori gas installati per le utenze industriali e 1,2 milioni per le utenze residenziali. Ma i segnali positivi arrivano anche da altri settori: parliamo di Smart City, Smart Home, Smart Car e Industrial IoT. Pur a fronte di uno scenario applicativo ancora molto frammentato, si è inoltre assistito all’installazione delle prime reti in ottica Smart Urban Infrastructure (SUI) e all’avvio di progetti per la creazione di sistemi Smart Metering multiservizi. Ancora una volta, si tratta degli stessi vertical su cui ha deciso di focalizzarsi Wind Tre: Smart energy management, Smart factory, Smart manifacturing, Connected vehicles, Asset tracking, Supply chain control, Smart emergency & surveillance, Smart cities e Smart retail, con l’aggiunta delle soluzioni pensate per la Telemedicina e l’Agricoltura di precisione. «Le aziende che scelgono i nostri servizi», spiega Rizkalla, «possono abbattere investimenti, costi ed esposizione a rischi, migliorare l’efficienza operativa, scambiare informazioni in modo più coerente e sicuro, ottimizzare la gestione e la manutenzione degli asset e progettare nuovi servizi ‘customer centric’ che le guideranno verso nuovi mercati, facendo leva soprattutto su Business model innovativi in grado di abbattere i confini tradizionali dei singoli settori merceologici».

Non è un mistero che l’IoT stia generando un importante indotto sui fronti del potenziamento dei data warehouse e della revisione dei processi di data management, ponendo le basi per la corretta estrazione di valore dalle informazioni raccolte. «Wind Business offre già da tempo soluzioni chiavi in mano, modulari e integrabili, di smart data centre, Cloud, connettività fisso/mobile e servizi avanzati sviluppati con i migliori partner tecnologici», continua il manager. «Con la creazione di Wind Tre queste soluzioni saranno offerte a più aziende nazionali e saranno arricchite in innovazione». Il prossimo obiettivo è quello di integrare la componente dell’Internet of Things, declinata a 360 gradi sulle tre dimensioni di accesso, trasporto e applicazioni, in modo da rendere la proposizione in upselling ancor più completa. Ma non si tratta solo di una evoluzione dell’offerta. «Osservando la trasformazione dall’interno», chiosa Rizkalla, «stiamo puntando su una maggiore efficienza operativa che, unita a una gestione ottimizzata delle risorse, dei processi e degli analytics, si traduce per chi si affida a noi in una ‘empowered user experience’ e un ‘value for money 2.0’, determinati anche da una vision più olistica dei nostri clienti, in relazione sia ai profili aziendali sia a quelli consumer espressi nella quotidianità». Sherif Rizkalla B2B Marketing Director, Wind Tre

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intervista

Industria Telco, la visione di Accenture: «Far evolvere la rete è la chiave» Gli operatori di servizi di telefonia e connettività tradizionali si stanno trasformando in provider di servizi di comunicazione digitale integrata, svincolandosi dalla dipendenza dall’hardware per abbracciare una nuova rete digitale sostenuta dal cloud. E il mercato italiano sta vivendo il momento con grande vivacità. Ma la trasformazione strutturale delle reti deve andare di pari passo con quella del DNA delle aziende

L’impatto delle tecnologie digitali è forte in molti settori, ma è particolarmente dirompente su quello delle telecomunicazioni, dove sta rivoluzionando le tipologie di player, le infrastrutture su cui vengono erogati i servizi, i servizi stessi, e i modelli per proporli ad aziende e consumatori. Accenture è un osservatore privilegiato di questi grandi cambiamenti, di cui abbiamo parlato con Aurelio Nocerino, Managing Director Accenture Network Services. Che momento sta attraversando l’industria delle Telecomunicazioni in quest’epoca di Digital Disruption? L’industria delle telecomunicazioni sta attraversando una fase di profondo cambiamento in cui gli operatori si stanno progressivamente trasformando da provider di servizi di telefonia e connettività tradizionali, in provider di servizi di comunicazione digitale integrata. Il mercato italiano sta vivendo questo momento con grande vivacità: se da un lato l’ingresso di nuovi player | 30 |

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e la fusione tra due dei più importanti operatori hanno reso la sfida digitale più complessa, dall’altro si è aperto lo spazio per diventare più competitivi, differenziandosi dalla concorrenza e andando incontro alle esigenze di un consumatore digitale sempre più esigente. Quale ruolo assumono oggi le infrastrutture nei piani strategici dei nuovi operatori digitali? La capacità di far evolvere la propria infrastruttura di rete è l’elemento chiave per rispondere all’aumento della competitività e alla sfida lanciata ai player tradizionali dagli OTT (Over the Top) e da chi, a vario titolo, si affaccia sul mercato offrendo servizi di comunicazione al consumatore. La trasformazione strutturale delle reti a cui stiamo assistendo deve dunque andare di pari passo con la ristrutturazione del DNA delle aziende coinvolte. Come sta evolvendo la rete per soddisfare i bisogni sempre più digitali del consumatore iperconnesso?


intervista | industria telco, la visione di accenture

La direzione di trasformazione della rete avviene inevitabilmente in senso digitale. Le Telco si stanno progressivamente sganciando dalla dipendenza dalla componente hardware per abbracciare una nuova rete digitale sostenuta dal cloud che, in quest’ottica, si sta configurando sempre più come un fattore di business flessibile, in grado di rendere gli operatori del mercato più competitivi: da disrupted a disruptor. La nuova dimensione digitale dell’infrastruttura non solo migliora e rende più efficienti i servizi offerti, migliorandone qualità, prestazioni e velocità del time to market, ma contribuisce profondamente anche al cambiamento strutturale dell’organizzazione delle Telco. Attraverso la virtualizzazione delle funzioni di rete (NFV) e il software-defined networking (SDN), infatti, i digital service provider guadagnano flessibilità ed efficienza. Qual è la visione e il ruolo di Accenture in questa trasformazione digitale e cloud-based? Il punto di forza di Accenture sta nella capacità di saper anticipare l’innovazione. Questo avviene grazie alla nostra presenza capillare su tutti i settori di mercato a livello globale. Il nostro osservatorio ci consente, infatti, di conoscere le esigenze delle aziende e di essere in grado di offrire supporto nella definizione delle strategie di trasformazione digitale. In generale, per ottenere maggiore semplificazione, flessibilità ed efficienza, le aziende del settore stanno progressivamente virtualizzando le reti, smantellando le legacy e spostando i propri modelli operativi su modalità basate su soluzioni DevOps. Rispetto alle tecnologie specifiche, potremmo dire che Accenture si posiziona quasi agnosticamente, con l’obiettivo di supportare gli operatori a superare la fase di trasformazione senza incorrere in possibili vendor lock-in attraverso l’adozione di soluzioni che siano agilmente adattabili ai diversi contesti di mercato. Come entrano le nuove metodologie DevOps e Agile nell’implementazione di un’evoluzione di rete? Accenture vede in DevOps e Agile delle soluzioni ideali per supportare gli operatori nella gestione dell’imprevedibilità della domanda di mercato. Esse offrono, infatti, la possibilità di accelerare il processo “dal concept al mercato”, in modalità un tempo impensabili e inconiugabili con un metodo di lavoro “tradizionale”.

aurelio nocerino Managing Director accenture Network Services

Requisiti e soluzioni possono, però, evolversi soltanto attraverso dialogo ed automazione delle modalità di lavoro e di collaborazione tra team tecnologici e business oriented che, a loro volta, garantiscono un output molto più rapido, efficiente e in linea con le richieste del consumatore finale. Proprio a questo fine Accenture si posiziona come partner end-to-end di trasformazione per i CSP (Communication Service Provider), consentendo loro di passare da modelli di business tradizionali a fornitori di servizi digitali integrati. Questo processo di trasformazione comprende anche una riqualificazione delle skill nel settore? Il tema della trasformazione della workforce è cruciale a livello globale, e lo è ancor più in un settore, quello delle Telco, che punta a un approccio digitale a 360 gradi. I piani di re-skilling e di acquisizione di nuove competenze sono fondamentali in un contesto di mercato in cui si sta passando da una logica basata su investimenti CAPEX a un’ottica maggiormente OPEX, in linea con le tecnologie cloud. La trasformazione digitale, dunque, non riguarda soltanto le soluzioni di business ma deve mettere in discussione l’assetto aziendale nella sua complessità, andando a migliorare e rendere più competitiva tutta la workforce.

«DevOps e Agile sono soluzioni ideali per supportare gli operatori nella gestione dell’imprevedibilità della domanda di mercato. Offrono la possibilità di accelerare il processo “dal concept al mercato” in modalità impensabili con un metodo di lavoro “tradizionale”» www.digital4executive.it

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digital transformation - HR

Andrea Rangone CEO Digital360

Formazione, solo un terzo delle aziende punta sul digitale La ricerca di University2Business “Il Futuro è oggi: sei pronto?” fotografa le competenze digitali e imprenditoriali nel mercato del lavoro considerando il punto di vista degli studenti universitari e dei responsabili risorse umane. Andrea Rangone, CEO Digital360: «Sono ancora pochi gli HR manager che mettono in atto azioni concrete per diffondere una cultura digitale e imprenditoriale. E solo una piccola parte dei giovani si prepara per questa sfida»

Le competenze digitali? Tutti credono che siano oggi importanti nel mondo del lavoro, ma poi, nei fatti, pochi si attivano davvero. Non lo fanno gli studenti, che nella maggioranza dei casi (53%) si limitano a una conoscenza da semplici utilizzatori di Internet e social media. E nemmeno le aziende si sono ancora adeguatamente attrezzate: poco più del 30% dei Manager HR ha già realizzato un piano formativo ad hoc. Sono alcuni dei risultati della ricerca “Il Futuro è oggi: sei pronto?”, giunta alla seconda edizione, realizzata da University2Business, la società del gruppo Digital360 che punta a promuovere la cultura del digitale e dell’innovazione tra gli studenti universitari. Lo studio ha coinvolto un campione di 2628 studenti statisticamente significativo di tutta la popolazione universitaria e un panel di 168 HR manager delle principali imprese del Paese, con l’obiettivo di approfondire e confrontare la percezione degli studenti e dei responsabili del| 32 |

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le Risorse umane sui cambiamenti della trasformazione digitale nel mondo del lavoro, nell’economia e nella società. Ecco in dettaglio alcuni dei risultati emersi. Solo il 12% degli studenti gestisce un proprio blog o un sito web e appena il 9% sa cosa significa Seo/Sem, Social Network o Google Adwords. Appena una minoranza conosce le nuove professioni del digitale come il Social Media Specialist, il Data Scientist o il SEO Specialist. Quanto alle esperienze imprenditoriali, che spesso fanno il paio con le competenze digitali, l’11% ha avuto un’idea di business e un buon 12% ha già avviato o sta per avviare una startup. E nonostante il successo di AirBnb e Uber, la maggioranza degli universitari non conosce la “sharing economy”. Emerge anche un gap di genere: le studentesse hanno minori competenze digitali specifiche rispetto ai colleghi maschi, minori conoscenze di programmazione e minore propensione impren-


digital transformation - HR | Formazione, solo un terzo delle aziende punta sul digitale

ditoriale. E questo nonostante per il 52% degli studenti universitari italiani l’Innovazione Digitale sia il principale motore del cambiamento delle imprese, seguito dalla green economy (45%). Invece, il 69% degli HR Manager indica l’Innovazione digitale al primo posto - una percentuale ben superiore a quella degli studenti - seguita dagli “scenari macro-economici” (49%). Nei processi di recruiting, il 59% degli studenti pensa che le competenze digitali in un neolaureato siano “essenziali” o “molto importanti” per l’assunzione. Anche in questo caso, gli HR Manager sono più consapevoli, dando importanza nel 94% dei casi.

li sono valutate meno strategiche, con quasi la metà degli intervistati che le ritiene non importanti. È fondamentale però anche mappare e monitorare il livello di diffusione delle competenze digitali e imprenditoriali fra i dipendenti già presenti in azienda e su questo aspetto la situazione appare critica: solo il 20% degli HR Manager ha realizzato una mappa delle competenze digitali/ imprenditoriali per i ruoli manageriali. Anche sulla formazione, però, emerge un notevole ritardo. Escludendo i ruoli specialistici digitali, poco più del 30% dei Manager HR ha già realizzato un piano formativo ad hoc. Il resto del campione ha pensato di inserire nel piano formativo azioni per le competenze digitali o non ha alcuna azione specifica. Per le competenze imprenditoriali, la formazione è prevista in particolare per i ruoli manageriali/specialistici (su cui circa un terzo degli HR Manager non ha un piano formativo), ma solo il 15% ha programmi formativi per altri ruoli e per neoassunti. Le principali azioni attivate per sviluppare le competenze digitali o imprenditoriali nelle aziende italiane sono iniziative di sensibilizzazione tramite intranet o campagne di comunicazione, corsi di formazione spot, workshop di innovazione. In minor misura sono attivati scouting di Digital Champions/Intrapreneurs (20%) o percorsi formativi strutturati (20%).

Il punto di vista degli HR manager Il 66% degli HR Manager evidenzia un impatto della trasformazione digitale sulla propria azienda nei prossimi 3 anni ben superiore a quello che si è verificato nell’ultimo triennio. In questa transizione, il 91% si attende un incremento del contributo al cambiamento da parte della funzione HR, consci che per gestire la trasformazione digitale, è necessario avere in azienda competenze adeguate o attrarle dall’esterno. Nella ricerca di nuovi profili senior con 3/5 anni di esperienza lavorativa, le competenze digitali sono fondamentali o molto importanti per l’81% degli HR manager, mentre quelle imprenditoria-

LE INIZIATIVE PER LO SVILUPPO DI COMPETENZE DIGITALI Quali sono le principali iniziative che la Direzione HR della sua organizzazione ha avviato o intende avviare per sviluppare competenze digitali e/o imprenditoriali?

Corsi di formazione spot

50,6%

Percorsi articolati e lunghi di formazione (academy)

19,6%

Workshop di innovazione sul digitale per sviluppare concept e nuove idee

48,8%

Iniziative di comunicazione e sensibilizzazione allargati a tutta l’azienda (Intranet, corner point in azienda,

53,0%

campagne di comunicazione, eventi interni all’azienda, video pillole)

Scouting di Digital Champions interni/Entrepreneurs all’azienda affinché diventino promotori della cultura digitale/imprenditoriale

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Altro

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reportage di

paola capoferro ronchetta

Digital Strategy per la direzione HR: come conquistare talenti e creare engagement I manager di nove realtà primarie del panorama economico italiano si sono confrontati sulle sfide che le aziende devono affrontare oggi per definire una People Strategy efficace, in occasione di un incontro a porte chiuse organizzato da Digital4Executive. Obiettivo: innovare i modelli di gestione e sviluppo delle persone per supportare la digital transformation

In un mondo sempre più tecnologico, anche per le direzioni HR è necessario cambiare passo. Il loro ruolo oggi è cruciale: per supportare e accelerare la Digital Transformation, alle imprese occorre una nuova People Strategy che fondi le proprie radici su cultura e strumenti digitali, in grado di coinvolgere attivamente tutto il capitale umano. Una sfida che gli HR Manager possono affrontare solo mettendo in campo nuovi approcci e soluzioni che da un lato fanno leva sulle tecnologie di ultima generazione - Mobile, social network, cloud, analytics, intelligenza artificiale - e dall’altra valorizzano il talento e rafforzano l’engagement delle persone, creando esperienze positive nel nuovo contesto di work and life integration. Ma come affrontare questo impegnativo percorso? In che modo le direzioni HR possono essere più efficienti nelle attività ordinarie e più efficaci nel creare engagement con i dipendenti? Quali nuove soluzioni e funzionalità aiutano le aziende | 34 |

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a trovare e trattenere i talenti? Su questi temi si sono confrontati i manager di importanti aziende italiane - fra cui NH Hotel Group, Fujitsu Technology Solutions, GE Power, Benetton Group, Rina, Assimoco, QC Terme e Findomestic Banca -, nel corso di un incontro organizzato da Digital4Executive, in collaborazione con Oracle. Secondo Melanie Hache, HCM Strategy Director South Europe di Oracle, «la tecnologia non è più il punto di partenza, ma è il mezzo che consente di adattarsi a un contesto digitale in divenire ed evitare di incorrere in un digital gap interno. La direzione HR è chiamata quindi a un ruolo inclusivo: la digital transformation e lo smart working devono coinvolgere tutti e non solo un’elite, portando così avanti i principi di trasparenza, semplificazione e motivazione che dovrebbero guidare tutte le aziende». Secondo una ricerca condotta da Oracle – che oggi in ambito HR conta 6.000 clienti nel Cloud e 13.000 totali, con nomi come Axà, Cre-


re po rtag e | Dig ita l St rat e g y p e r l a d ire z io n e HR

dem, Macy’s, Saipem – solo il 37% dei dipendenti che non fanno parte dell’area dirigenziale si dice orgoglioso di lavorare per la sua organizzazione, appena il 22% sente che l’azienda si occupa del suo benessere generale; ancora, solo per il 25% apprendimento e formazione seguono un piano di sviluppo ben definito, rispetto a quanto accade per dirigenti e direttori, la cui percentuale sale oltre il 60%. «Per questo è fondamentale garantire ai dipendenti un feedback continuo e dare loro una prospettiva, contando anche su strumenti innovativi per i sistemi di rating e le sessioni di coaching. Inoltre, le direzioni HR devono ripensare i processi in chiave people-centric e coinvolgere direttamente il business, e approcciare le persone anche a livello emozionale come si fa in ambito B2C, con una user experience simile a quella offerta ai clienti in ambito retail». Per Emanuele Madini, Associate Partner della società di Advisory P4I – Partners4Innovation, ed

esperto di HR Digital Transformation, gli elementi cardine di una nuova strategia che ponga le persone al centro sono cinque. «Per ripensare profondamente processi e modelli di organizzazione del lavoro, rendendoli adeguati alle nuove esigenze di un mondo digitale, si deve partire dalle competenze, per comprendere quali profili è necessario avere in azienda, e dal ridisegno dei processi, ricorrendo anche al supporto di strumenti come Big Data e Analytics che permettono migliorare le attività di acquisizione, sviluppo, retention dei talenti, e offrono al business un maggior supporto decisionale attraverso l’utilizzo di analisi predittive e comparative», ha sottolineato Madini. Non si devono però dimenticare le iniziative di Smart Working, che permettono alle persone di bilanciare vita privata e lavorativa, e di valorizzare le capacità e caratteristiche personali, abbattendo i tradizionali vincoli legati a luogo e orario. Il quarto punto riguarda l’Employer Branding & Talent Scouting, che oggi possono contare su pratiche innovative come il video-recruitment per le fasi di selezione, il Social Employer Branding per veicolare in modo mirato informazioni sull’azienda, le Virtual Job Fair per raccogliere un numero elevato di CV dei profili più ricercati di persone dislocate in diverse zone geografiche, l’Early-Hiring Contest per identificare futuri talenti tra studenti non ancora inseriti nel mercato del lavoro. Ultimo punto è il Digital Culture Empowerment, ovvero «lo sviluppo e diffusione di nuove digital soft skills e di nuove competenze per abilitare l’innovazione in azienda, che può puntare ad esempio sull’identificazione e la valorizzazione di “digital champions” interni, che mettono a disposizione dei colleghi la propria competenza ed energia positiva, o su Percorsi di empowerment & engagement realizzati tramite Innovation Lab». La trasformazione digitale è quindi ormai una realtà con cui la Direzione risorse umane deve fare i conti quotidianamente e oggi le realtà aziendali del nostro Paese stanno cercando di trovare il proprio personale modo di affrontarla. Per esempio, per GE, uno dei temi principali è oggi quello del Performance Management, come ha raccontato Alessandro Marconcini, HR Manager di GE Power. «Con l’obiettivo di semplificare e promuovere un dialogo continuo tra manager e risorwww.digital4executive.it

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reportage | Di gital S t r at e gy pe r l a d i r e z i one H R Da sinistra: Melanie Hache, HCM Strategy Director South Europe di Oracle, e Alessandro Marconcini, HR Manager di GE Power

se, abbiamo deciso di eliminare il sistema di rating: oggi le persone non ricevono un voto a fine anno. Abbiamo implementato un sistema di Performance Development che consente a manager e risorsa di dialogare costantemente sulle priorità di business e sugli sviluppi di carriera e consente inoltre di dare il feedback ai manager. Altro aspetto che regola è il dialogo con i peers, che possono scambiarsi feedback reciproci, senza dover necessariamente far riferimento dalla figura del manager: questo nell’ottica di spingere sull’empowerment delle persone e sulla loro responsabilizzazione, per renderle fiduciose in se stesse e “accountable” sui risultati. In questo caso la Direzione HR riveste una funzione di facilitatore di interazione e non di ‘watchdog’ di processo: sono le risorse stesse che gestiscono i rapporti. Il punto di forza della rivoluzione digital è che rende il rapporto più umano, liberando le Direzioni HR dalle incombenze procedurali in modo da concentrarsi sugli aspetti di coaching e di sviluppo che sono fondamentali per l’organizzazione». Riuscire a coinvolgere su più livelli tutte le risorse umane: è questa secondo il Responsabile risorse umane di QC Terme Spas and Resorts, Paolo Petroli, la vera sfida che dovranno affrontare le Direzioni HR. Non basta, infatti, individuare e coinvolgere i talenti, è fondamentale riuscire a motivare anche

Da sinistra: Paolo Petroli, Responsabile risorse umane di QC Terme Spas and Resorts, e Tommaso Meacci, HR Business Partner di Benetton Group

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il resto dei dipendenti perché svolgono comunque attività fondamentali per il successo del business. Ne è un esempio il front office, che non ha l’importanza strategica del manager, ma è il biglietto da visita dell’azienda: bisogna rendere smart anche il lavoro di chi non rientra nell’accezione tradizionale di “talento”. Secondo Tommaso Meacci, HR Business Partner di Benetton Group, «partire da una corporate balanced scorecard può servire per individuare le aree su cui l’azienda deve investire su temi digital aiutando a costruire così una mappa degli obiettivi. In questo modo è più facile per i manager capire cosa osservare nelle loro persone e individuare i talenti digital nascosti: è fondamentale che i manager captino i segnali e imparino ad ascoltare le risorse. Particolare attenzione va, poi, rivolta ai millennials, risorse sempre più strategiche che tutti quelli come noi, che fanno parte del mondo retail, dovremmo osservare e conoscere per conquistarli anche come clienti, ad esempio tramite una user experiece moderna e coinvolgente adottando tecniche innovative e digitali». Concordando con quanto emerso nel corso dell’incontro, Alessandro Magrini, Human Resources Director presso Fujitsu Technology Solutions, ha sottolineato come oggi la tecnologia sia arrivata a un


re po rtag e | Dig ita l St rat e g y p e r l a d ire z io n e HR Da sinistra: Alessandro Magrini, Human Resources Director presso Fujitsu Technology Solutions, e Tiziano Merlini, Responsabile Risorse Umane e Servizi Generali della società di assicurazione Assimoco

grado di maturità tale da supportare pienamente le esigenze di business, ma il vero punto di snodo è capire come utilizzarla per concentrarsi sulla gestione delle persone. «Se da un lato si deve fare i conti con una realtà che vede le persone interagire dai quattro angoli del mondo e una crescente mole di dati da gestire, dall’altro è necessario sensibilizzare i manager, che sono i primi valutatori, anche attraverso delle sezioni di coaching mirate». Lavorare sui manager è importante anche per Tiziano Merlini, il Responsabile Risorse Umane e Servizi Generali della società di assicurazione Assimoco. «Si devono valorizzare le persone in quanto individui senza più distinzioni tra lavoro e vita privata. Tutto questo consente alle persone di essere preparate ai cambiamenti al di là dello strumento tecnologico utilizzato». «Il nostro obiettivo è mettere il dipendente al centro e i processi a suo servizio», ha sottolineato Francesca Tavanti, della Direzione HR di Findomestic Banca. «Per questo andremo nella direzione del digitale, innanzitutto dando priorità al coinvolgimento continuo del dipendente con un sistema di feedback continui, per dare un senso di trasparenza e dimostrare di essere sempre presenti, sia per i manager di prima linea che per quelli superiori. Per quanto riguarda la gestione dei talenti, abbiamo a

livello locale e centrale (Findomestic Banca fa parte del gruppo internazionale BNP Paribas, ndr) delle strutture preposte a questa attività nell’abito delle direzioni HR». Ripensare i modelli: è questo il leit motiv degli ultimi mesi per Rina, azienda B2B nata come Registro italiano navale che fa classificazione navale e certificazione oggi presente al 50% in Italia e al 50% all’estero, che si trova in una vera e propria fase di rivoluzione aziendale. Lo ha raccontato la Recruiting and Development Specialist, Giada Melito, sottolineando come il principale lavoro riguardi l’employer branding, la gestione dei talenti, la performance evaluation, e la costruzione di sistemi di feedback continui. Contemporaneamente la Direzione HR sta definendo dei piani di formazione per i propri manager. Infine ci sono poi realtà ancora alla ricerca di un modello da seguire. «A noi serve una bussola per navigare in questo mare ancora poco esplorato», ha raccontato Fabio Comba, HR Director Italy di NH Hotel Group. «Al di là del grado di maturità delle diverse esperienze vedo che l’avventura è comune e che c’è molta voglia di innovare, poche ricette prefabbricate, e la tecnologia come abilitatore. La cosa importante è fare sì che raccolti gli stimoli si riesca a traghettare in modo efficace il proprio business nell’era digitale». Da sinistra: Francesca Tavanti, Direzione HR di Findomestic Banca, e Giada Melito, Recruiting and Development Specialist di Rina; a lato, Fabio Comba HR Director Italy di NH Hotel Group

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digital transformation - marketing di

domenico Aliperto

Data-driven marketing, per conoscere il cliente CRM e analytics sono solo il primo passo Non basta studiare le interazioni tra consumatori e brand, bisogna anche riuscire a contestualizzarle, soddisfacendo l’individuo e cogliendo il “customer life time value” per l’azienda. Lo spiega Lucio Lamberti, docente al Politecnico di Milano: «Arricchendo i dati si trasformano le assunzioni di business informali in decisioni formali»

Per gli ingegneri e per gli altri profili tecnici che in azienda collaborano all’identificazione di nuove strategie di marketing è l’avverarsi di un sogno: l’approccio data-driven antepone alla creatività a briglia sciolta - e soprattutto alle decisioni di pancia tipiche di questi processi - l’analisi delle informazioni per avvalorare le assunzioni del business. Questo tuttavia non significa che gli analytics siano una panacea, né tanto meno che i dati in sé siano sempre e comunque affidabili. Anche laddove contestualizzati e incrociati con fonti differenti, se non vengono opportunamente verificati attraverso il continuo riscontro con il mercato e con la rilevanza che hanno per il consumatore rischiano di essere ambigui. «O addirittura dannosi. Si possono compiere passi falsi, deleteri sul piano reputazionale, persino sfruttando questo tipo di approccio», conferma Lucio Lamberti, Professore Associato di Multichannel Customer Strategy del Politecnico di Milano e membro di Ph.e.e.l., il | 38 |

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nuovo laboratorio dell’ateneo dedicato al biomarketing. Lamberti ha tenuto una relazione sul tema in occasione del workshop «B2C Process Transformation» organizzato dalla Digital Transformation Academy, il progetto di formazione e condivisione di best practice che la School of Management del Politecnico rivolge alla community dell’innovazione digitale. Alla ricerca del vero customer life time value Big e small data, omnichannel e specialmente intimacy. Sono queste per Lamberti le parole d’ordine del marketing digitale in un mondo che è sempre più connesso e che vedrà, entro il 2020, ciascun utente alle prese con una media di quaranta device connessi che rappresenteranno il punto di contatto tra la realtà fisica e la propria vita digitale. «Le tre V dei big data – volume, varietà, velocità – im-


digital transformation - marketing | Data-driven marketing, crm e analytics per conoscere il cliente

Big e small data, omnichannel e intimacy. Sono queste le parole d’ordine del marketing digitale, in un mondo che è sempre più connesso. Serve una capacità di risposta rapida alle sollecitazioni che arrivano dalle varie piattaforme pongono alle organizzazioni che intendono sfruttare questi nuovi asset intangibili una capacità di risposta rapida alle sollecitazioni che arrivano dalle varie piattaforme. Oramai basta poco, soprattutto sui social media, per trasformare un consumatore insoddisfatto in una vera emergenza». Le gaffes sono in agguato Evitare gaffes e prevenire situazioni potenzialmente rischiose significa imparare a conoscere davvero, e non solo statisticamente, i clienti. Più facile a dirsi che a farsi, visto che si tratta di capire cosa è rilevante per il singolo individuo in un dato momento. Lamberti cita un caso piuttosto emblematico: «Una grande insegna della GDO americana si sentiva così sicura delle informazioni messe a disposizione dal proprio CRM che, nel momento in cui il sistema rilevava una serie ripetuta di acquisti di determinate referenze da parte delle clienti di sesso femminile, generava una notifica che a sua volta attivava un’azione promozionale: secondo la piattaforma, infatti, la possibilità che quelle donne fossero in dolce attesa era altissima, e per premiarle il supermercato inviava loro, direttamente a casa, dei pannolini in omaggio. Solo che in alcuni casi le clienti non erano mai state incinte. O addirittura avevano perso il bambino...» Questo non vuol dire che non ci si debba affidare alle assunzioni del Customer Relationship Management, ma che bisogna, dopo averle individuate, corroborarle con ulteriori dati che arrivano anche dalle interazioni degli utenti con i propri device e con il contesto in cui si inseriscono. «È necessario avviare processi di data mapping e data setting per procedere poi con operazioni di data fusion, mettendo a fattor comune il budget destinato alle ricerche di mercato e il CRM. Attraverso questi percorsi», continua Lamberti, «si sostanziano le strategie e si trasformano le assunzioni di business informali in decisioni formali. Dando al cliente ciò che si aspetta davvero, il suo livello di soddisfazione aumenta e di conseguenza cresce anche il customer life time value per l’azienda».

Il cliente ha sempre ragione? Sì, se porta valore Lamberti cita un altro esempio, stavolta dal mondo dell’automotive. «Parliamo di un costruttore specializzato nell’alto di gamma. Il marketing aveva riscontrato che in alcuni casi i clienti che passavano dal modello entry level, un otto cilindri, alla vettura di fascia superiore, un 12 cilindri, dopo l’upgrade abbandonavano il marchio». Al marketing pareva un chiaro problema di prodotto non performante. Agli ingegneri che avevano progettato la 12 cilindri, non risultava. Per risolvere il mistero sono servite una piattaforma machine learning e l’integrazione dei dati ottenuti dai sistemi di telemetria delle vetture in questione. «È emerso che i clienti insoddisfatti si contraddistinguevano per una guida con angoli di sterzo più accentuati e un piede pesante rispetto alla media. In una parola, non sapevano gestire una vettura più potente e la frustrazione degenerava nell’abbandono. La casa automobilistica ha così predisposto una contromisura ad hoc, offrendo un corso di guida sportiva a chiunque acquistasse una supercar a 12 cilindri». Ma il data-driven marketing non va usato solo per rendere effettiva l’affermazione che il cliente ha sempre ragione. In molti casi non ha senso, dal punto di vista del business, mantenere rapporti con chi è attitudinalmente infedele. «A quel punto la domanda da porsi diventa: è giusto acquisire tali prospect?», rilancia Lamberti. «La risposta è sì, se siamo in grado di stimare che quell’acquisizione sarà in grado di generare ritorni per l’impresa. E per fare ciò è necessario sviluppare sistemi predittivi del customer lifetime value, naturalmente adattivi e dinamici, in grado di modificare le previsioni sulla base dei comportamenti dei clienti. È il grande passo verso un lean marketing, ovvero un marketing in cui tutte le risorse sono veicolate a creare valore per il cliente che è in grado di riconoscere e restituire tale valore. A prescindere dall’approccio adottato», conclude Lamberti, «per conoscere il cliente servono big e small data, purché siano smart data, ovvero capaci di fornire grandi informazioni. E perché questo avvenga è fondamentale che si realizzi una partnership sempre più stretta tra CIO e CMO». www.digital4executive.it

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digital transformation - procurement di

RAI, gare telematiche per tutti gli acquisti. «Massima trasparenza ed efficienza»

manuela gianni

intervista a

Felice Ventura

Direttore Acquisti rai

Dalla carta al digitale in un anno. Felice Ventura parla del progetto che ha digitalizzato il processo di assegnazione delle gare d’appalto grazie a una soluzione fornita da BravoSolution, che assicura l’interfacciamento automatico con i sistemi Anac. «L’eProcurement agevola il lavoro, garantisce trasparenza e offre vantaggi in termini di tempi e costi. Tornare indietro sarebbe ora impossibile»

Dallo scorso settembre le procedure di affidamento di lavori, servizi e forniture RAI vengono effettuate attraverso una piattaforma telematica che assicura trasparenza nell’assegnazione dei contratti e piena tracciabilità documentale e delle decisioni adottate. Migliaia di fogli, buste e voluminosi faldoni sono così spariti dagli uffici dell’emittente: le comunicazioni con i fornitori avvengono online, attraverso un sistema web. È il risultato di un progetto guidato da Felice Ventura, Direttore Acquisti RAI, e realizzato in tempi brevissimi: sono state già assegnate con la nuova procedura digitalizzata oltre 650 gare, per un valore economico complessivo di 150 milioni di euro e il coinvolgimento di oltre 3mila fornitori. Va ricordato che la RAI è un organismo di diritto pubblico, pertanto tutti gli acquisti vanno obbligatoriamente effettuati tramite gara d’appalto, che nei casi in cui vengano superate le soglie previste sono di respiro europeo. | 40 |

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Dott. Ventura, quali sono state le tappe della digitalizzazione del processo di acquisto? Credo moltissimo nell’eProcurement e questo è stato il primo progetto strategico che ho avviato dopo la mia nomina. A luglio 2015 abbiamo pubblicato un bando europeo e a dicembre l’appalto è stato aggiudicato a BravoSolution, società leader del settore. Tre mesi dopo, a marzo 2016 abbiamo lanciato le prime gare telematiche. La RAI è una stazione appaltante che muove numeri rilevanti, con circa 10mila contratti all’anno e uno spettro di classi merceologiche unico e vastissimo. In una macchina così complessa ogni cambiamento è un grande rischio. Siamo molto soddisfatti del risultato. A settembre, sei mesi dopo la prima gara, abbiamo effettuato lo switch off e oggi la procedura di affidamento, salvo motivate eccezioni, non può che svolgersi su piattaforma telematica. Un cambiamento importante, che si è sovrapposto con l’entrata in vigore del


digital transformation - procurement | RAI, gare telematiche per tutti gli acquisti

«Non dobbiamo più gestire la documentazione di gara, migliaia di plichi voluminosissimi e delicati da proteggere, e abbiamo il controllo assoluto di ogni procedura, perché la piattaforma traccia qualsiasi intervento»

nuovo codice degli appalti pubblici e che ci ha obbligato a modificare i nostri standard di gara. È stato un anno di tempesta perfetta! Quali vantaggi, a distanza di un anno, avete riscontrato? I vantaggi sono stati immediati e molto visibili, anche per tutti i colleghi della direzione, ai quali va il mio sentito ringraziamento per lo sforzo profuso. Innanzitutto non dobbiamo più gestire la documentazione di gara, migliaia di plichi voluminosissimi e delicati da proteggere. Considerato che per alcune procedure di gara sono pervenute oltre 500 offerte, avevamo difficoltà, anche dal punto di vista logistico, a gestire la mole documentale. Oltre a ciò, la direzione utilizzava internamente circa 8 milioni di fogli di carta all’anno. Tutto questo è sparito. Oggi i documenti sono conservati nel data base digitale e sono sempre disponibili. Inoltre, abbiamo il controllo assoluto di ogni procedura, perché la piattaforma traccia qualsiasi

intervento, oltre a consentire un’interlocuzione con i partecipanti immediata e diretta. Tutto questo porta un’ottimizzazione dei tempi e dei costi e mette a disposizione dell’azienda uno strumento per monitorare il processo di acquisto. In più, disponiamo di dati aggregati che a livello cartaceo sarebbe difficile ottenere: un cruscotto per fare analisi, comprendere i fenomeni e fare previsioni. Come hanno reagito i fornitori? Avevamo molte incertezze, sapendo che entrambe le facce della medaglia sono importanti per il successo, la stazione appaltante da un lato e il mercato dall’altro. Abbiamo iniziato ad avvisarli per tempo, per dare modo a tutti i fornitori interessati di farsi trovare pronti, con campagne stampa e sul sito istituzionale. In seguito abbiamo effettuato campagne mirate su tutti i fornitori iscritti all’albo e attivato un numero verde per il supporto. Oggi abbiamo 3mila operatori economici registrati,

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A oggi RAI ha assegnato con la nuova procedura digitalizzata oltre 650 gare, per un valore economico complessivo di 150 milioni di euro e il coinvolgimento di oltre 3mila fornitori

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digital transformation - procurement | RAI, gare telematiche per tutti gli acquisti

«La tecnologia è importante, ma la componente umana è fondamentale. Abbiamo realizzato un impegnativo piano di formazione, molto puntuale: tutti i colleghi hanno dato il loro contributo positivo»

quindi possiamo dire che è stato un successo anche lato mercato. I dubbi maggiori riguardavano i segmenti più di nicchia, quelli legati al mondo televisivo, dove abbiamo un parco fornitori fatto di PMI. Ma hanno capito che era una strada di non ritorno, vedendo la grande determinazione che c’era dietro questo progetto, e si sono attrezzate in tempi brevi della dotazione necessaria per interagire con noi. La quotidianità della direzione acquisti è cambiata. Come avete gestito il Change management? È stata la parte più importante del progetto, un passaggio sicuramente difficoltoso ma che abbiamo ben congegnato. La tecnologia è importante, ma la componente umana è fondamentale. Abbiamo realizzato un impegnativo piano di formazione, molto puntuale, prima coinvolgendo solo alcuni referenti, scelti fra quelli che avevano maggiore dimestichezza con le tecnologie, poi tutti gli altri. Sono state coinvolte le diverse sedi, Roma, Milano, Napoli e Torino, e tutti i colleghi hanno dato il loro contributo positivo. Già la scorsa estate, dopo pochi mesi dall’implementazione, abbiamo potuto utilizzare la piattaforma in modo massivo: luglio e agosto per noi sono mesi impegnativi perché svolgiamo le procedure di acquisto necessarie per consentire la messa in onda del palinsesto autunnale. Il top management vi ha supportato? C’è stato un grande supporto da parte dei vertici aziendali. L’utilizzo della piattaforma comporta, infatti, un innalzamento di sicurezza, trasparenza e tracciabilità interna delle procedure, e migliora la capacità di presentare all’esterno il nostro operato. Cosa ha comportato l’avvio del nuovo codice degli appalti? Oltre a modificare i processi interni, abbiamo dovuto in parallelo modificare gli standard di gara per allinearli al nuovo codice. La difficoltà che incontriamo, come tutte le stazioni appaltanti, è quella di adeguarci man mano che vengono pub| 42 |

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blicati gli atti attuativi. La piattaforma ci garantisce standard e uniformità nella stesura degli atti di gara e offre funzionalità per l’interfacciamento automatico con i sistemi Anac (Autorità Anticorruzione). L’eProcurement è anche un’opportunità per far salire a bordo nuove aziende. Prevedete un ampliamento del parco fornitori? Lo stiamo già registrando. La piattaforma permette di entrare in contatto con nuove realtà che prima non conoscevamo. Ci fa molto piacere: più fornitori abilitati abbiamo al Portale Acquisti, maggiore partecipazione ci sarà alle procedure di acquisto. Ora stiamo anche implementando il modulo che permette di registrarsi all’albo fornitori online. Quali saranno i prossimi passi? Il nostro è un percorso di miglioramento continuo. Ora stiamo ultimando l’integrazione con i sistemi Anac per gestire al meglio i CIG (Codice Identificativo di Gara), che in RAI sono oltre 20 mila all’anno. Inoltre, come dicevo, stiamo lavorando alla digitalizzazione dell’albo fornitori, che completeremo nel 2017, e all’introduzione di un sistema di Vendor Rating. Attualmente l’albo è in parte cartaceo e in parte su sistemi interni aziendali. Questo è un altro passaggio fondamentale: ci darà la possibilità di agganciare il vendor rating. Quando avremo lo storico potremo valutare punti di forza e debolezza dei fornitori. Che consigli si sente di dare a un responsabile acquisti della PA, dopo questa esperienza? Gli acquisti nella PA comportano grandi responsabilità e richiedono molto scrupolo. Il digitale garantisce trasparenza, anche se l’integrità delle persone è indispensabile e resta il nucleo centrale. Mi sento quindi di incoraggiare e dare fiducia a chi avesse il dubbio che si tratta di un percorso troppo complesso. L’eProcurement agevola il lavoro, dà trasparenza verso operatori e mercato e vantaggi in termini di tempi e costi. Tornare indietro sarebbe ora impossibile.


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digital transformation - procurement di

manuela gianni

MSC Crociere salpa verso il digitale: un modello innovativo per gestire procurement e logistica Rifornire una nave da crociera è una sfida particolarmente complessa, che coinvolge centinaia di fornitori a livello globale. Per ottimizzare il processo, la compagnia si è dotata di una piattaforma digitale, fornita dall’italiana Niuma, in grado di supportare in tutte le fasi le attività di Procurement e Supply Chain. Ce ne parla Giorgio Zagami, Head of Corporate Procurement and Logistics

Un grande albergo, ristoranti, negozi, teatri, palestre, piscine: ogni nave da crociera è tutto questo, un fantastico villaggio vacanze che può ospitare più di 5mila passeggeri e 3mila persone di equipaggio, e che ogni giorno si sposta in un posto diverso. Un business speciale, molto complesso e globale, in grande espansione ormai da qualche anno: i crocieristi sono in forte aumento e le offerte si moltiplicano, con rotte che si snodano in tutti i mari del globo, puntando verso destinazioni sempre più esclusive ed esotiche. Per poter salpare, una nave da crociera richiede enormi fabbisogni e puntuali approvvigionamenti: cibo e bevande, le merci per i negozi, articoli tecnici e molto altro. Si tratta di grandi volumi di acquisti che spaziano nelle più svariate categorie merceologiche, coinvolgendo migliaia di fornitori. «La funzione Procurement si muove in un contesto globale: abbiamo fornitori in tutto il mondo e in qualunque categoria, dal grande operatore multinazionale al negozio locale», spiega Giorgio Zagami, Head of | 44 |

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Corporate Procurement and Logistics di MSC Crociere, la più grande compagnia di crociere a capitale privato al mondo (il proprietario è l’armatore Aponte), parte del Gruppo MSC, che ha oltre 66mila dipendenti. Molti degli acquisti di MSC sono locali, ovvero avvengono nel Paese dove si trova la nave in quel momento. «E questo sia per migliorare l’efficienza della Supply Chain, sia per rispondere alle aspettative dei clienti: le crociere in Medio Oriente sono declinate con un gusto mediorientale. Inoltre ci colleghiamo con le economie locali contribuendo al loro sviluppo». Il Procurement di Gruppo si articola in diverse società, dipartimenti e strutture, che insieme ne compongono l’operatività. L’organizzazione è a matrice: l’headquarter e parte delle attività sono a Ginevra, ma nelle diverse società del Gruppo, che hanno sede a Genova, Sorrento, Napoli e Londra, esiste un team dedicato che riporta funzionalmente a Zagami. Il Procurement si occupa anche di molte attività durante la costruzione della nave, che dura circa 3 anni.


digital transformation - procurement | MSC Crociere salpa verso il digitale

Tre anni fa MSC Crociere ha avviato un innovativo progetto di digitalizzazione del processo globale di Procurement con l’obiettivo di renderlo «più efficace, più efficiente e più lean, diretto, costruendo una relazione sicura e governata con il mondo esterno in tutte le fasi della Supply Chain», spiega il manager. Sono state automatizzate tutte le attività che hanno carattere transazionale, come lo scambio di specifiche, test di prodotti, prezzi, e le attività di fornitura del day by day, mettendo a disposizione dei fornitori una soluzione di facile utilizzo. «Stiamo costruendo un modello di gestione molto all’avanguardia nell’ambito delle crociere. Ora possiamo concentraci sulle porzioni a più alto valore aggiunto del processo, ovvero la conoscenza reciproca: comprendere l’expertise del fornitore, il suo punto di forza, e di cosa ha bisogno per costruire una relazione sostenibile nel lungo periodo. Inoltre un processo di Procurement governato è più trasparente ed etico». Alla base c’è una piattaforma web based, in continua fase di evoluzione e ampliamento, che consente a tutte le divisioni MSC Crociere di gestire i processi di acquisto in modo efficace e autonomo attraverso l’interazione online tra cliente e fornitori. I processi gestiti online includono la registrazione dei Fornitori, la gestione delle gare e delle attività post aggiudicazione, la gestione del contratto di fornitura e degli ordini. Oggi dunque le attività di qualifica dei fornitori, l’assegnazione degli appalti e tutto il flusso dei documenti legati alla relazione contrattuale passa tramite un portale online. Lo scambio di documentazione, in particolare va oltre la gestione dell’ordine e include ad esempio gli aspetti relativi alle operazioni doganali e ai dati logistici. «Dopo un’analisi interna, abbiamo cercato un partner per sviluppare la soluzione e abbiamo scelto la piattaforma della società italiana Niuma, che oltre a

garantire esperienza e solidità si è dimostrata flessibile nell’adattarsi alle nostre particolari esigenze. In partnership con Niuma stiamo inoltre facendo un grande sforzo per aiutare i nostri fornitori nel costruire la relazione digitale: il sistema è molto user friendly e mettiamo a disposizione un help desk dedicato». Non c’è dubbio che il primo vantaggio tangibile della soluzione sia per MSC quello di ottimizzare le spese rendendo più trasparente il processo. Ma non c’è solo questo nella vision di Zagami. «Oltre al risparmio, c’è un’altra faccia dell’efficienza: la digitalizzazione di un’attività così complessa ci ha permesso di far partecipare più fornitori, di eliminare i colli di bottiglia. Il mercato delle crociere, come altri, oggi deve vivere di innovazione. Crediamo che il ruolo del Procurement strategico sia quello di costruire un’interfaccia tra la propria azienda e il resto del mondo esterno, il più ampia possibile, per essere più permeabili». Il team di Procurement non ha avuto alcuna difficoltà nell’uso del nuovo sistema. «Se il cambiamento è condiviso e i processi di innovazione sono costruiti insieme alle persone, queste ne diventano i punti di forza. Ci siamo riusciti, anche grazie al fatto che in MSC il clima aziendale è molto positivo». Quali saranno gli sviluppi futuri del progetto? «In due direzioni», risponde il manager. La prima è verso «una maggiore integrazione con i fornitori, per aumentare la qualità della relazione. Non tutti i fornitori sono pronti per gestire questo processo, né in Italia né nel resto del mondo, ma non vogliamo perdere l’opportunità di farli salire a bordo. In secondo luogo puntiamo ad allargare il ciclo, migliorando l’operazione di qualifica integrata nel sistema. Vogliamo arrivare a condividere il monitoraggio delle performance con i fornitori stessi, in modo trasparente. Credo che questo permetterebbe loro di migliorarsi», conclude Zagami.

Giorgio Zagami Head of Corporate Procurement and Logistics di MSC Crociere

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reportage di

Daniele Lazzarin

Giovanni Miragliotta

«Industria 4.0: la tecnologia è abilitante, ma la collaborazione è decisiva»

direttore Osservatorio industria 4.0 politecnico di milano

Il valore aggiunto delle soluzioni IoT, Big Data, Cloud, Advanced Automation e stampa 3D sta nell’usarle insieme. «Questi investimenti si ripagano solo se si pensa la fabbrica come parte di un ecosistema». Se n’è parlato in un workshop sulla quarta rivoluzione industriale nel manifatturiero, condotto da Giovanni Miragliotta, Direttore dell’Osservatorio Industria 4.0 del Politecnico di Milano

La digitalizzazione dei processi nelle aziende private e pubbliche porta certamente benefici, e valutarne gli impatti strategici è tanto difficile quanto necessario. Per questo TESISQUARE qualche mese fa ha dato il via a Digital Performance Lab (DPL), un percorso di workshop trimestrali che coinvolge clienti, esperti accademici e operatori del settore ICT, con il supporto della società di consulenza e coaching P4iPartners4Innovations. Dopo un primo incontro di impostazione in maggio, e un secondo dedicato al supply chain finance in settembre, il terzo evento si è tenuto a novembre nella sede TESISQUARE ad Assago (Milano), anche per segnare un momento di svolta della società piemontese, con il recente ampliamento degli uffici di Milano e Torino, e la nomina del direttore generale Andrea Pifferi. Il DPL di Assago, oltre a riprendere i temi dei due precedenti, si è incentrato sullo Smart Manufacturing, con un workshop condotto da Giovanni Mi| 46 |

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ragliotta, Direttore dell’Osservatorio Industria 4.0 del Politecnico di Milano, e animato dagli interventi di clienti e addetti ai lavori dell’ICT. Internet Of things nell’industria, RFID ha aperto la strada Ora che il Governo ha annunciato un piano “Industria 4.0”, questa espressione sta prevalendo su “Smart Manufacturing”, ma il concetto è lo stesso: l’interazione di alcune tecnologie digitali di profondo impatto sui processi manifatturieri. Quelle studiate dall’Osservatorio Industria 4.0 sono Internet of Things (IoT), Big Data, Cloud Computing, Advanced Automation, Advanced HMI (Human Machine Interface), e Additive Manufacturing (stampa 3D nell’industria). «A proposito di IoT, nel manufacturing la tecnologia RFID ha aperto la strada, e ha permesso di definire il modello di funzionamento della supply chain distribuita. Per far bene la quarta rivoluzione


r e p or tage | «I nd u s t r i a 4 .0: l a t e c n o l o g i a è a b i l i ta n t e , ma l a c o l l a b o ra z i o n e è de c i si va »

industriale bisogna aver prima organizzato l’azienda per processi, supportandoli con i sistemi informativi», ha detto Miragliotta. «Con le piattaforme digitali di collaborazione si possono sincronizzare i flussi di beni fisici e quelli informativi, e analizzando questi ultimi si possono ridisegnare e tracciare processi singoli come il procurement o interi cicli come l’orderto-cash. E grazie al Cloud, si possono focalizzare gli investimenti su singoli aspetti dell’infrastruttura tecnologica, e comprare gli altri come servizi». La buona notizia? C’è tempo per tutti Ma la tecnologia da sola non basta a risolvere un processo se questo è disegnato male. E l’informatizzazione dei processi, sottolinea Miragliotta, è ancora in corso: «Per preparare il terreno a Industria 4.0 ci vorranno anni, ma d’altra parte nella seconda rivoluzione industriale ce ne sono voluti 30 perché l’uso dell’energia elettrica si traducesse in aumenti di produttività nelle fabbriche: insomma, c’è tempo per tutti». Quel che invece distingue questa rivoluzione industriale dalle precedenti è che il vero valore delle tecnologie di Industria 4.0 si ottiene quando si usano tutte insieme. «Per esempio: è matura la realtà aumentata per fare manutenzione in remoto? A volte sì, a volte no: dipende dal contesto. Ma se si integra la manutenzione in una piattaforma collaborativa che mette insieme gli specialisti del ciclo di vita del prodotto, dai progettisti al post-vendita, si crea un corto circuito per cui i problemi nell’uso del prodotto, acquisiti attraverso i dati sul campo, possono essere input immediati per modificarne il disegno». Per concretizzare le enormi opportunità del digitale, quindi, è decisiva la collaborazione, tra le varie parti dell’azienda, e tra questa e i partner. Concetto totalmente confermato dai partecipanti al workshop. «L’ottimizzazione dei processi va estesa all’intera supply chain, dai fornitori al retail. I miei investimenti RFID servono poco se lavoro con operatori logistici non attrezzati per tracciare il prodotto: i dati devono essere condivisi su tutta la catena», ha detto un manager del settore consumer electronics. «Anche perché i canali si sono moltiplicati – ha aggiunto un manager del settore prodotti medicali -. Noi ora ci rivolgiamo a ospedali, farmacie, GDO e anche aziende: tutto questo va orchestrato, altrimenti mi trovo il magazzino pieno di scorte. Ma per farlo, devo avere la collaborazione del canale».

Il caso di un colosso mondiale ICT In effetti le piattaforme di scambio dati con i fornitori e clienti più importanti, ha ripreso Miragliotta, permettono a molti capofiliera di tirare le fila di vendite e giacenze in tutti i canali, e adattare dinamicamente i livelli di produzione. Tutto questo solo pochi anni fa avrebbe richiesto enormi risorse. «Un esempio viene da un colosso mondiale dell’ICT, che ha quasi concluso un percorso di trasformazione del manufacturing, basato su un “nucleo” di dati strategici (impianti, partner, distinte base, cicli di produzione), in un cloud interno accessibile da alcune applicazioni tenute “in casa” per esigenze di strategicità, tempi di reazione e sicurezza». Il tutto si integra con piattaforme di collaborazione cloud che aprono il sistema all’esterno e toccano tutti gli ambiti manifatturieri, dalla gestione dei fornitori di componenti a quella dei logistic partner. «Stesso discorso per vendite

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reportage | «I ndu s t r i a 4 .0 : l a t e cnol ogi a è ab i l i ta n t e , ma l a c o l l a b o ra z i o n e è de c i si va »

È importante installare i sensori, sperimentare in vari ambiti, raccogliere dati. Ma il punto chiave è come interpretarli e trovare il modello matematico giusto, per esempio per abilitare la manutenzione predittiva

e canali: non ha più senso sviluppare internamente, meglio usare soluzioni in cloud, che ormai sono più avanzate e possono ampliare la collaborazione oltre i limiti tradizionali, per esempio per recepire i feedback dei social network nella progettazione». «installare sensori e accumulare dati non basta» Nel percorso verso Industria 4.0 insomma occorre pensarsi sempre come parte di un ecosistema: «Un produttore di filo per tessuti, materia prima critica per diversi settori, dev’essere in grado di rispettare i lead time di una lunga catena, controllando la fabbrica a tal punto da dare date di consegna affidabili. Se non ci riesce, deve riempirsi di scorte per affrontare ogni evenienza. Questo va superato. Se guardo la fabbrica come una cosa a sé rispetto alla supply chain, non riesco a giustificare un investimento Industria 4.0». Ma siamo solo all’inizio. «Spesso non si lavora ancora per processi, e già far passare il concetto di collaborazione interna è difficile: con i partner è ancora più complesso», ha commentato una con-

sulente specialista di supply chain nel largo consumo. Ma Miragliotta è ottimista: «Abbiamo davanti un lavoro gigantesco e complesso. I più bravi ne stanno approfittando per cambiare il modello competitivo, partendo da cosa il cliente vuole davvero: per esempio nell’automotive dopo decenni l’elemento chiave non è più il possesso del mezzo ma i servizi di spostamento». E i dati? I Big Data sono una delle tecnologie chiave di Industria 4.0, e l’Industrial IoT porterà moltissimi dati. Ma il punto è come analizzarli ottenendone valore. Come spiega il CIO di un produttore multinazionale di impianti di process automation, «abbiamo messo i sensori e stiamo sperimentando in vari ambiti, stiamo raccogliendo dati, ma il punto chiave è come interpretarli e trovare il modello matematico giusto, per esempio per abilitare la manutenzione predittiva. Non basta mettere reti di sensori, estrarne i dati, analizzarli. Il vero salto di qualità lo avremo quando i prodotti avranno sensori integrati e nasceranno ingegnerizzati per raccogliere dati, riducendo anche l’impegno delle aziende produttrici e utenti su storage e connettività».

Un percorso per “esplorare” la digitalizzazione nel business «Progettando la giornata del ventennale di Tesisquare, l’anno scorso, abbiamo pensato di confrontarci con clienti, esperti accademici e operatori del settore ICT attraverso una serie di eventi sui temi oggi più sentiti nel nostro campo d’azione, come supply chain finance, digital factory, multicanalità nel Retail, collaborazione nelle supply chain complesse». Così Giuseppe Pacotto, CEO della società, spiega l’idea alla base di Digital Performance Lab (DPL), un percorso di workshop trimestrali avviato l’anno scorso con tre appuntamenti rispettivamente su metodi e strumenti di misura dei benefici dell’innovazione digitale, Supply Chain Finance, e appunto Industria 4.0. «L’obiettivo è discutere gli effetti della digitalizzazione sul business, divulgando casi di successo, e distinguendo le vere innovazioni dai semplici “rebranding” di tecnologie già disponibili da anni, e le vere best practice dai falsi miti». Il DPL proseguirà anche nel 2017: il prossimo incontro, “Innovazione nel retail: dall’omnicanalità al neuromarketing”, si terrà il prossimo 15 febbraio presso Eataly a Milano.

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CBILL: uno strumento per la digitalizzazione dei pagamenti

La digitalizzazione dei pagamenti rappresenta uno degli obiettivi primari nel processo di ammodernamento del nostro Paese. Le imprese bancarie italiane, che lavorano da tempo in questa direzione, stanno investendo fortemente nella digitalizzazione ed offerta di strumenti di pagamento innovativi. Uno di questi è CBILL, il servizio realizzato dal Consorzio CBI e offerto in modalità competitiva dagli Istituti Finanziari Consorziati, che consente il pagamento on line in modalità multicanale e multibanca di utenze domestiche, ticket sanitari, multe, tributi, tasse ed altro ancora. Il servizio, lanciato il 1° luglio 2014, ha registrato un immediato successo: 478 Istituti attivi e oltre 4 milioni e 200 mila operazioni di pagamento effettuate, per un controvalore complessivo di oltre 900 milioni di Euro. Ad oggi hanno aderito circa 450 fatturatori tra privati e Pubblica Amministrazione (dati al 30 novembre 2016). Il servizio CBILL infatti è già applicabile anche al pagamento dei servizi offerti dalla Pubblica Amministrazione tramite il Nodo PagoPA dell’AgID. Ciò consentirà l’efficientamento del colloquio tra imprese bancarie e Pubblica Amministrazione, nonché la disponibilità per i cittadini di servizi di pagamento più efficaci ed evoluti. I vantaggi risultano molteplici. Innanzitutto, mentre con gli altri servizi di pagamento online i clienti possono pagare online solo i bollettini delle aziende o delle PA che hanno sottoscritto specifici accordi con il proprio Istituto di credito, con CBILL basta collegarsi al proprio Internet banking per consultare e pagare bollettini e conti spesa di qualsiasi azienda e PA che lo abbia adottato. CBILL inoltre consente il calcolo automatico dell’im-

realizzato dal Consorzio CBI e offerto in modalità competitiva dagli Istituti Finanziari Consorziati, il servizio consente il pagamento on line di utenze domestiche, ticket sanitari, multe, tributi e tasse in modalità multicanale e multibanca

Liliana Fratini Passi Direttore Generale Consorzio CBI

porto dovuto, anche dopo la scadenza del bollettino, funzionale, ad esempio, a chiudere la propria posizione debitoria relativa a un avviso di pagamento emesso da Equitalia (avvisi e cartelle di pagamento in caso di tributi, contributi e tasse non pagate). Il cittadino può quindi beneficiare di un servizio “intelligente” che gli consente in tutta autonomia di visualizzare e saldare l’esatto importo che risulta dovuto alla data dell’operazione. Numerosi anche i vantaggi per i fatturatori che con CBILL garantiscono maggiore valore all’utente, con una nuova modalità di pagamento semplice, veloce e sicura, migliorando anche la tempestività e la trasparenza delle informazioni erogate ai cittadini. E ancora, semplificazione dei processi di riconciliazione contabile, riduzione degli errori, riduzione dei tempi di riscossione, possibilità di raggiungimento di un maggior numero di utenti online e, infine, di personalizzazione del servizio in funzione delle proprie specifiche esigenze. Inoltre, con la completa digitalizzazione dei bollettini, CBILL consente di diminuire i costi di stampa e contribuisce alle politiche di sostenibilità ambientale, riducendo ogni anno il consumo di carta di circa 12.600 tonnellate e le emissioni di anidride carbonica derivanti da produzione e invio delle bollette di circa 21.420 tonnellate.

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daniele lazzarin

Vittorio Biassoni

CFO, l’evoluzione della specie: da “data cruncher” a motore del cambiamento

responsabile Finance, Controlling e IT Doppel Farmaceutici

Il ruolo del Chief Financial Officer è diventato sempre più strategico negli ultimi anni: lo dimostra per esempio il ruolo primario che ha nelle “due diligence”. È il manager con la più ampia visione d’insieme in azienda, sia del business sia delle tecnologie. «Abbiamo tempi molto compressi e dobbiamo sempre sapere cosa sta succedendo: il digitale deve permetterci di essere veloci, e deve darci visibilità»

«Ho una lunga esperienza. Ho iniziato come controller, poi mi sono specializzato in amministrazione, bilancio e fisco, fino a diventare CFO. Ho sempre lavorato nel settore farmaceutico tranne una breve parentesi in Sisal, ho visto una continua evoluzione del ruolo del Chief Financial Officer negli ultimi decenni: da “capo contabile”, “data cruncher”, certificatore dei dati contabili, oggi ha un ruolo molto strategico. Ha perso un po’ di “technicalities” e deve capire molto più di business. Prima analizzavamo i dati e li consegnavamo, oggi li analizziamo insieme agli altri manager responsabili di business line e all’Amministratore Delegato, partecipando direttamente al processo di decisione strategica». L’intervento di Vittorio | 50 |

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Biassoni, Chief Financial Officer e CIO di Doppel Farmaceutici, ha riscosso grande interesse al convegno “Finance 4.0 – Come trasformare le sfide in opportunità” all’Università Cattolica di Milano, ed è un’altra conferma “dal campo” dell’evoluzione del ruolo del CFO nell’era digitale, certificata sia dalle analisi dei principali osservatori internazionali dell’area Finance aziendale, sia da altre testimonianze di CFO italiani. A margine del convegno, abbiamo approfondito con Biassoni questi temi e il loro impatto sulla quotidianltà del suo lavoro. In carriera Vittorio Biassoni è stato Finance e Administration Director in Schwarz Farma e Gruppo Formenti-Grunenthal, e Controller in Ciba-Geigy, Plasmon e Sisal, Dal 2013 è in Doppel, azienda nata nel 1995 dall’imprenditoria privata come spinoff di una multinazionale farmaceutica, e un anno fa acquisita da un fondo inglese, che ha dato il via a una “seconda fase” della storia dell’azienda. Inoltre è vicepresidente Andaf


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«Se mi chiedono di finanziare una nuova linea di produzione, devo capire perché serve. Se una linea ha problemi di rendimenti e rischia di creare una criticità con un cliente, devo poter capire cosa succede in stabilimento»

(Associazione Nazionale Direttori Amministrativi e Finanziari) per la Lombardia. Può raccontare qualche dettaglio sulla azienda per cui lavora? Doppel produce farmaceutici per conto terzi: siamo ciò che si definisce una CDMO (Contract Development and Manufacturing Organization). Abbiamo 100 clienti, tra cui grandi multinazionali come Bayer, Sanofi, Pfizer, Glaxo, a cui offriamo un full service fino al confezionamento, ma esclusa la distribuzione. Produciamo quasi 100 milioni di unità all’anno in due stabilimenti, a Rozzano (Milano) e Cortemaggiore (Piacenza), con fatturato intorno a 85 milioni di euro e circa 500 persone, in gran parte in produzione: la funzione Finance ne comprende sette.

elaborazione dati. Poi si evolve ed esce dalla direzione amministrativa, ma oggi lo vedo di nuovo insieme al CFO, che come ho detto ha un ruolo molto più strategico, focalizzato su tutti i fattori critici di successo dell’azienda: è assolutamente

Come si evidenzia l’evoluzione del ruolo del CFO in questo contesto? Una prova è il ruolo che ho avuto in questa acquisizione. Durante la “due diligence” sono stato interpellato da tutti gli specialisti mandati dall’acquirente: dai legali agli ingegneri dell’ambiente, della produzione e della qualità, oltre ovviamente alla parte Finance. Ma è una situazione generale: oggi un compratore si rivolge al CFO dell’azienda che sta valutando perché è quello che ha la più ampia visione d’insieme, e che conosce più profondamente il business. Il CFO è un protagonista chiave del cambiamento aziendale, in un certo senso ne è il motore, perché vede l’investimento sia dal punto di vista finanziario, sia da quello del business. Se mi chiedono di finanziare una nuova linea di produzione, devo capire perché serve. Se una linea ha problemi di rendimenti e rischia di creare una criticità con un cliente, devo poter capire cosa succede in stabilimento. Come vede l’evoluzione del rapporto tra CFO e CIO? L’IT nasce storicamente nella direzione amministrativa, con compiti per la maggior parte di www.digital4executive.it

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«Sono disposto a rinunciare a un pochino di analiticità, a favore di una maggior tempestività. Devo poter rispondere velocemente se mi chiedono quale costo ha un certo stabilimento, o quanto rende un certo cliente o prodotto»

cruciale che abbia nella propria sfera d’azione il motore delle tecnologie. Il CFO può guidare nel modo migliore il contributo del CIO, che si è un po’ impoverito rispetto al momento d’oro in cui aveva il “potere assoluto dei dati”, e oggi non è in grado secondo me di interpretare la complessità crescente del business. È per questo che lei ricopre anche la carica di CIO in Doppel? L’azienda ha scelto di avere un IT manager, e non un CIO, perché ritiene che il CFO debba sapere di tecnologia. Senza esagerare ovviamente: in passato ho anche cercato di scrivere codice. Questo è eccessivo, però uno nel mio ruolo deve saper capire di tecnologia, oltre che di business. L’IT manager ha un ambito soprattutto operativo, nell’implementazione, e segue la parte più tecnica delle tecnologie, quella della manutenzione, del networking. Quale supporto possono dare le tecnologie digitali al suo lavoro? Hanno grande utilità e grandissime potenzialità, sia per il modello di business di Doppel che per me come CFO in particolare. Doppel è una società terzista, e i terzisti devono saper fare le cose molto bene, con alti livelli di qualità e in tempi veloci. Ma devono anche saper cambiare, e quindi capire, e rispondere, in tempi rapidi. Gli ordini dei nostri clienti non superano i 90 giorni come tempi di consegna. Sono tempi molto compressi, dobbiamo avere sempre la visibilità di ciò che succede. Non possiamo trovarci con le linee vuote perché all’improvviso realizziamo che non abbiamo ordini. La tecnologia ci deve supportare in tutto questo, nel senso che deve | 52 |

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darci questa visibilità e deve permetterci di essere così veloci. E questo si riflette anche sull’area Finance e sul CFO. Sono disposto a rinunciare a un pochino di analiticità, a favore di una maggior tempestività. Devo poter rispondere velocemente se mi chiedono quale costo ha un certo stabilimento, quanto rende un certo cliente, quanto rende la ricerca, o un prodotto. I conti economici prima erano semestrali, ma in vista dell’acquisizione siamo passati a una base mensile: questo è stato cruciale durante la due diligence. Siamo arrivati a mettere a punto un sistema di balanced scorecard. Contrariamente alle convinzioni di molti, si può fare anche per una media azienda. Un adeguato sistema di dashboarding direzionale supporta il nuovo ruolo del CFO, ma è importante anche definire un modello di controllo che consenta una tempestiva e corretta presa di decisioni. Il controllo non è una cosa del Finance, è una cosa che riguarda tutta l’azienda. A proposito di visibilità, quali sono le tecnologie più utili secondo il suo punto di vista? Proprio per arrivare a una visione globale di tutti i processi abbiamo scelto di adottare un sistema ERP potenziato con tecnologia in-memory. Io vengo da un ERP transazionale classico, e posso dire che questo è un vero cambio di marcia. Già a fine anni ‘90 avevamo la business intelligence, ma oggi è alta tecnologia, molto più solida. Un potente motore di “consegna” dell’informazione in tempo reale. Le scorecard sono pur sempre degli indicatori. Occorre capire cosa li determina, e velocemente. Prendiamo l’andamento delle rese di una linea di produzione. Se questo indice inizia ad andare male, scoprirlo dopo un mese non serve a niente: da un lato abbiamo avuto linee inefficienti, dall’altro non abbiamo consegnato al cliente nei tempi previsti.


Il punto di riferimento

per l’aggiornamento professionale sull’Innovazione Digitale Gli Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano sono una fonte unica di informazioni, dati e conoscenza sui temi chiave dell’Innovazione Digitale. Attraverso una piattaforma multimediale e interattiva, WWW.OSSERVATORI.NET, è possibile accedere al know-how e agli eventi sui temi chiave dell’Innovazione Digitale per essere costantemente aggiornati in qualsiasi luogo e con qualsiasi dispositivo. Gli Osservatori elaborano strategie e modelli per molteplici ambiti b2c, b2b e PA: finance, insurance, export, gioco online, risorse umane, sanità, beni e attività culturali, retail, turismo, media, banking, agrifood, manufacturing, supply chain finance. Scopri l’abbonamento che fa per te – Full Premium Pass o Premium Pass – e le tutte le offerte riservate alle aziende

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digital transformation - supply chain di

Daniele Lazzarin

Logistica in Italia, il 40% è in outsourcing. Polimi: «La sfida è l’omnicanalità, il digitale è decisivo» Crescono ancora (+1,2%) i servizi di gestione conto terzi di trasporto e stoccaggio, e migliorano i dati economici delle aziende del settore. Sale anche la complessità, soprattutto per il fattore eCommerce, sottolinea il report 2016 dell’Osservatorio Contract Logistics del Politecnico di Milano, che approfondisce i servizi “ultimo miglio” nelle città, l’evoluzione delle reti distributive, e le 8 tecnologie più interessanti per i direttori logistici

«Siamo oltre 1000 persone, oggi la logistica italiana è tutta qui». Così Gino Marchet ha aperto il convegno di presentazione del report 2016 dell’Osservatorio Contract Logistics del Politecnico di Milano, di cui è Direttore Scientifico. «Tra partner, sponsor e aziende utenti nel “Comitato Guida”, questo Osservatorio è ormai una comunità di riferimento per tutto il mercato logistico italiano». Come di consueto il report ha aggiornato i numeri del mercato, e ne ha approfondito con un approccio molto concreto i trend più attuali. Riguardo ai dati, il 2016 conferma la crescita in Italia della Contract Logistics (o logistica in outsourcing, o ancora logistica conto terzi), che raggiunge 79,8 miliardi di euro di fatturato, con un +1,2% che segue il +2,6% del 2015 e il +1,4% nel 2014, sostenuta dall’aumento del traffico merci, delle vendite all’estero, e da una tiepida ripresa del PIL. Per la prima volta la logistica in outsourcing ha superato la soglia del 40% dell’intero mercato. Su | 54 |

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un valore complessivo della logistica in Italia di 109 miliardi, il fatturato degli operatori che offrono servizi conto terzi, al netto del valore del subappalto, è infatti di 43,5 miliardi. Altro dato positivo è lo stop del calo del numero di aziende: nel 2014 gli operatori del settore erano poco oltre 97mila tra autotrasportatori, corrieri, gestori di magazzino, operatori logistici, spedizionieri, gestori di interporti/terminal intermodali e operatori del trasporto ferroviario/combinato strada-rotaia, con un leggerissimo calo solo della parte “padroncini”. Inoltre migliorano anche le prestazioni economiche dei top player: l’indice medio EBITDA/fatturato infatti sale dal 3,5% al 4,3%. le tecnologie industria 4.0 impattano sulla logistica «L’elemento di sintesi di questo report è la crescente complessità della Contract Logistics, per


d i gi ta l tr a ns f or m atio n - su pply cha in | L o g ist ic a in I ta l ia , il 40% è in o ut so urc ing

molti motivi: aumento della gamma, frammentazione degli ordini, disomogeneità delle richieste dei consumatori e dei punti vendita, e su diversi di questi fattori incide la crescita delle consegne eCommerce», ha detto Marchet. «Rispetto a questa complessità un supporto sempre più prezioso è il digitale: buona parte delle tecnologie di Industria 4.0, tema di cui si sta parlando molto, impatta direttamente su efficienza ed efficacia dei processi logistici, e le nostre ricerche confermano l’interesse di aziende committenti e fornitori di servizi logistici a investire in esse».

Gino Marchet Direttore Scientifico dell’Osservatorio Contract Logistics del Politecnico di Milano

“Ultimo miglio”: crescono consegne “green” e servizi innovativi In questo quadro, l’Osservatorio ha approfondito alcuni temi molto attuali: il forte sviluppo di servizi di logistica urbana/locale, l’evoluzione dei network distributivi, la diffusione delle tecnologie digitali ritenute più interessanti dai direttori della logistica, in termini di sostenibilità dei costi rispetto ai benefici. E infine l’evoluzione da multicanalità (affiancamento del canale online a quelli esistenti) a omnicanalità, che è invece l’integrazione completa dei canali, in modo da dare al consumatore un’esperienza d’acquisto il più possibile uniforme. Andando più in dettaglio sui temi approfondi-

ti, per la distribuzione dell’ultimo miglio in ambito urbano si stanno diffondendo iniziative “green” – consegne con biciclette o veicoli elettrici -, spesso abbinate a servizi innovativi, come la distribuzione dei prodotti in una rete di negozi, l’installazione dei prodotti, la consegna in momenti particolari (sera, weekend), la specializzazione su particolari tipologie di prodotti, per esempio quelli di grande peso/

soluzioni per la supply chain Smart glass

Occhiali dotati di lenti a realtà aumentata che possono essere utilizzati sia in ambito trasporto sia all’interno dei centri distributivi

Workflow scheduling

Modulo aggiuntivo del WMS per la gestione ottimale delle risorse all’interno dei centri distributivi (ad esempio bilanciamento dei carichi di lavoro tra le aree e assegnazione delle attività agli addetti)

Load building

Modulo aggiuntivo del TMS (o WMS) che calcola l’ingombro volumetrico degli ordini, favorendo l’integrazione tra la pianificazione dei viaggi (svolta tipicamente dal TMS) e la pianificazione delle attività di allestimento ordini (svolta dal WMS)

RFId

Sistemi RFId (Radio Frequency Identification) che sono inseriti sulla singola unità di movimentazione per rendere più efficienti le attività di ricevimento o spedizione oppure sono inseriti a terra e/o a scaffale per ottimizzare le attività dei carrelli in fase di stoccaggio o prelievo

Sensoristica

Sensoristica all’interno dei centri distributivi (esempi: sensori di pesatura, sensori per il monitoraggio delle condizioni dei prodotti e delle prestazioni dei veicoli, geolocalizzazione dei mezzi e rilevatori della presenza di persone/mezzi)

Dematerializzazione e digitalizzazione documentale per il trasporto

Flusso dati elettronico e conservazione digitale dei documenti in parallelo (o in alternativa) alla modalità cartacea

Piattaforme collaborative

Piattaforme che consentono lo scambio di informazioni (fatture, ordini, DDT, prenotazione slot di consegna, …) secondo relazioni ‘‘molti a molti’’

Logistics APP

Applicazioni per mobile device (ad esempio smartphone e tablet), integrate con TMS e/o piattaforme collaborative, che supportano la relazione con i vettori (conferma real-time della consegna della merce, georeferenziazione dei mezzi, gestione dei contenziosi grazie alla prova visiva dello stato della merce, gestone dei pagamenti on delivery, ecc.) www.digital4executive.it

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di gi tal transfor m ati on - s up p ly c h a i n | L ogi s t ic a in I ta l ia , il 40% è in o ut so urc in g

«Milano, Roma, Torino, Napoli e Bergamo rappresentano da sole il 25% dell’eCommerce italiano: alcuni operatori logistici stanno aprendo in queste città degli “hub” dedicati soltanto alla distribuzione dei prodotti venduti online»

volume. Emerge poi un’espansione complessiva dei network distributivi. I corrieri allargano la rete interna aprendo nuove filiali di proprietà (stimando una crescita media del 5% nei prossimi 4 anni). Per gli operatori logistici il numero medio di Transit Point per azienda aumenta da 15 a 17 nei prossimi 4 anni, principalmente ricorrendo a punti di terzi. «Gli operatori logistici segnalano un calo dei volumi distribuiti negli ultimi anni, dovuto anche a un aumento delle consegne dirette – ha detto Marco Melacini, Direttore dell’Osservatorio Contract Logistics -. Per questo stanno concentrando i Transit Point di proprietà nelle aree con maggiori volumi di distribuzione - Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna, Lazio - integrandoli spesso in piattaforme di stoccaggio. Dove non c’è una massa critica, si cercano economie di scala accorpando i volumi di più operatori: per questo si stanno affermando player molto forti a livello locale, e si stringono alleanze per creare reti nazionali». Tecnologie digitali, dagli “smart glasses” alle Logistics App Quanto al digitale, la ricerca ha misurato il grado di interesse per 8 tecnologie innovative: Smart glasses, Workflow scheduling, Load building (tecnologia ottica per calcolare volume e peso delle spedizioni, e ottimizzare così il carico dei mezzi di trasporto), RFId, Sensoristica, digitalizzazione documentale per il trasporto, Piattaforme collaborative, e Logistics App. L’attenzione si sta concentrando sulla visibilità dell’intero processo di distribuzione, una sfida storica della logistica, oggi resa possibile da tecnologie che permettono più tempestività per il 50% dei rispondenti e tracciabilità delle informazioni per il 24%, oltre a migliorare efficienza (50%) e qualità (27%) del processo di distribuzione. Senza tralasciare i benefici per l’immagine aziendale (29% per le Logistics App) e la conformità normativa (15% per la digitalizzazione documentale). Le piattaforme collaborative “mobile” (e più in generale i mobile device) invece sono le tecnologie più promettenti per lo scambio di informazioni in tempo reale. Ma cresce l’interesse anche per solu| 56 |

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zioni che estendono il ruolo del sistema di gestione del magazzino (WMS) alla pianificazione, controllo e ottimizzazione, fino all’integrazione con il TMS (sistema di gestione dei trasporti). Omnicanalità, focus sui settori GDO, Alimentare, e Retailer No Food Infine l’omnicanalità. «Dalla nostra indagine – dice Damiano Frosi, Ricercatore senior dell’Osservatorio Contract Logistics - emerge un mondo ancora in costruzione su questo fronte, in cui gli operatori sono alla ricerca di sinergie in tutte le fasi del processo, dalla gestione di scorte e magazzino fino alla distribuzione, utilizzando tutte le leve a disposizione: tecnologia, processi e persone». Dato che la configurazione del modello logistico risente delle peculiarità degli specifici settori, l’Osservatorio ne ha studiati tre: produttori alimentari, GDO e retailer No Food. I produttori del settore alimentare spesso percepiscono il canale eCommerce B2C come strumento per rafforzare il brand, integrare la gamma e aumentare le vendite del canale tradizionale, ma dal punto di vista logistico il canale tradizionale e l’eCommerce B2c risultano ancora separati. Nella GDO diverse grandi insegne hanno attivato il canale eCommerce B2c in risposta all’ingresso di nuovi competitor, cosa che sul piano logistico comporta il coinvolgimento del punto vendita per l’attività di picking e in alcuni casi la ricerca di sinergie tra canali in fase di distribuzione. Tra i Retailer No Food invece l’eCommerce B2c è ormai ampiamente diffuso con volumi di vendita in crescita continua, e nella logistica si osserva una forte ricerca di sinergie tra i diversi canali. I volumi di vendita online, però, spesso non sono ancora sufficienti a giustificare economicamente un network di distribuzione dedicato. Per questo alcuni fornitori stanno sviluppando reti ad hoc nelle aree geografiche a maggior intensità di vendite di eCommerce B2C: «Milano, Roma, Torino, Napoli e Bergamo rappresentano da sole il 25% dell’eCommerce italiano: alcuni operatori stanno aprendo hub in queste città per fare distribuzione dedicata di vendite online», ha sottolineato Melacini.


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daniele lazzarin

Flavio Bernocchi chief information officer comau

Il percorso di Comau verso la Smart Factory Un progetto per “chiudere il cerchio” nella gestione di produzione e supply chain, e completare il sistema ERP/PLM in consolidamento in tutto il mondo. «In un sistema ben ingegnerizzato basta un ritardo del componente più piccolo per creare una criticità: ci serviva un sistema per gestire online le relazioni con tutti i fornitori»

Uno strumento per “chiudere il cerchio” nella gestione di produzione e supply chain, e completare il sistema ERP/PLM in consolidamento in tutte le filiali nel mondo. Questo in poche parole è il progetto in corso in Comau, società del Gruppo Fiat Chrysler tra i leader mondiali dell’automazi0ne industriale, per implementare un sistema SRM (Supplier Relationship Management): «L’obiettivo – ci spiega il CIO Flavio Bernocchi - è migliorare collaborazione e condivisione di informazioni con i fornitori, pianificazione degli acquisti di materiali e prodotti, e gestione del conto lavoro. E di conseguenza sia i tempi di consegna sia la qualità dei prodotti. È una tappa importante nel percorso che Comau sta facendo verso Industria 4.0, la smart factory, e la distribuzione digitale della conoscenza nella supply chain integrata». Comau (che nasce nel 1973 come Consorzio Macchine Utensili) ha sede a Grugliasco (Torino) ed è presente in 17 paesi in tutto il mondo,

con 33 location, di cui 5 centri di innovazione e 15 stabilimenti, con 12.600 persone. Il fatturato ha sfiorato nel 2015 i due miliardi di euro: sempre in crescita negli ultimi anni, proviene da tutte le 4 regioni mondiali, dal 38% dell’EMEA al 13% dell’Asia-Pacifico, «ed è “captive” solo per circa il 25-30%: per il resto lavoriamo con tutti i principali costruttori auto, da Ford a GM, Mercedes e Tesla, e con diversi altri settori manifatturieri». «Un discorso di time-to-market, ma anche di qualità» Il gruppo in sintesi fa prodotti (come i robot industriali), e sistemi di automazione industriale, progettando e realizzando su commessa linee di produzione da installare negli stabilimenti dei suoi clienti, con frequenti modifiche di specifiche e disegni. In una realtà del genere, sottolinea Bernocchi, il fatto di essere sempre allineati con www.digital4executive.it

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digital transformation - Manufacturing | Il percorso di Comau verso la smart factory

i fornitori sull’ultima versione di un disegno, con un workflow che assicura risposte immediate, è fondamentale per la pianificazione, soprattutto nelle grandi commesse. «In un sistema ben ingegnerizzato basta che un solo fornitore ritardi, e anche il componente più piccolo diventa critico: ci serviva un sistema SRM per portare online tutti i fornitori». È un discorso di time-to-market, ma anche di controllo della qualità. «Quasi sempre prima di portare la linea al cliente la testiamo in casa, perché occorre essere sicuri che tutto funzioni già prima. Raramente ormai i clienti partono da zero, con uno stabilimento vuoto. In una fabbrica automotive quando si dismette un modello, si smonta la relativa linea e si monta quella del nuovo modello: i tempi a disposizione sono brevi». Il progetto tocca molti paesi in cui è presente Comau (USA, Messico, Italia, Romania, Brasile, Argentina, UK, Germania, Francia, Cina, India e Polonia), e prevede due fasi. La prima, che come vedremo si concentra sulle funzioni base del sistema, si concluderà per la regione EMEA ad aprile 2017, e per tutto il mondo a metà 2018. Poi inizierà la seconda fase, incentrata su funzioni più avanzate, soprattutto di analytics. Nella fase iniziale sono coinvolti 200 fornitori per ogni region, circa un terzo del parco fornitori Comau. «Poi estenderemo anche ai più piccoli. Sono esclusi i fornitori più grandi, che integreremo direttamente con un portale, più avanti». Un approccio di supply chain management esteso Il sistema, precisa Bernocchi, è pensato per essere “pervasivo”: «L’approccio è di supply chain management esteso, dato che arriviamo anche al warehouse management e al manufacturing». Già dalla fase 1 quindi sono coinvolti tutti i processi operativi: dall’order management, con RFQ verso i fornitori e tutto ciò che è correlato, emissione dell’ordine integrato con SAP, e così via, alla gestione del follow-up, cioè dei workflow di riprogrammazione necessari in caso di modifiche

«Nella seconda fase l’obiettivo sarà definire in dettaglio la “qualità” del fornitore. Avremo molti indici su tempi, costi e altre variabili, da integrare con dati ERP e valutazioni qualitative, per avere uno scoring sempre più preciso» | 58 |

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(«spesso i fornitori sono in conto lavoro, quindi è complicato chiudere il giro»). Poi ci sono funzioni di document exchange («soprattutto disegni dal PLM, in modo che i fornitori siano sempre allineati con l’ultima versione»), e di “delivery enhancement”, come l’advanced shipping, che quando arriva un componente ne accelera l’inserimento nei sistemi informativi aziendali. Nei piani di Comau il SRM, basato su tecnologie dell’italiana Tesisquare, completa insomma una piattaforma con tre vertici, di cui gli altri due sono il sistema ERP (SAP) e il PLM (Enovia di Dassault Systemes). «Il SRM dev’essere strettamente integrato con il PLM per la gestione di disegni e distinte, e con l’ERP per la pianificazione dei materiali, l’entrata merci, la logistica e il manufacturing». La fase 2 invece introdurrà funzionalità di dashboard di analisi (Supplier Scorecard, Ranking, Payment & Contract, Qualification Process). «Abbiamo già possibilità di analisi a livello strategico nei sistemi di business intelligence, ma avevamo bisogno anche di un livello operativo quotidiano. Questo costituisce la seconda fase perché preferiamo prima acquisire familiarità con il sistema e usare i suoi standard, invece di impostare tutto solo in base alla teoria». L’obiettivo qui sarà definire in dettaglio la “qualità” del fornitore in senso lato. «Avremo molti indicatori su tempi, costi e altre variabili, da integrare con i dati ERP sulla qualità dei componenti, e con valutazioni qualitative del follow-up, per avere uno scoring dei fornitori sempre più preciso, e in futuro automatizzare alcune azioni come per esempio il “blocco” di un fornitore che scende sotto certi valori di soglia, ovviamente con tutte le attenzioni del caso». Quanto alla scelta della tecnologia, «soprattutto per le commesse, che sono le più complesse in termini di supply chain, la gestione solo su ERP e PLM non bastava. Così abbiamo cercato una soluzione che offrisse soprattutto funzionalità di supply chain management sulle commesse rispondenti ai nostri requisiti, più che referenze internazionali: nella gara ha prevalso Tesisquare». Nella software selection sono state valutate


digital transformation - Manufacturing | Il percorso di Comau verso la smart factory

«Abbiamo valutato anche soluzioni “pure cloud”, ma la condivisione di file molto pesanti come i disegni 3D può diventare complicata se i server sono in altri continenti. I tempi di latenza sarebbero troppo lunghi per noi»

anche soluzioni “pure cloud”, «ma la condivisione di file molto pesanti come i disegni 3D può diventare complicata se i server sono lontani, per esempio in California. I tempi di latenza sarebbero troppo lunghi: tendendo verso la Digital Factory, queste informazioni saranno sempre più pesanti, presto stamperemo anche in 3D, per cui questo è un elemento critico». I fronti d’investimento: IOT, big data, wearable e cloud Comau sta gestendo il progetto direttamente, insieme a Tesisquare. Lo staff IT nella multinazionale torinese conta circa 100 persone in tutto il mondo: «In questo momento, a parte il SRM, stiamo lavorando per completare i roll-out del consolidamento del GPS, Global Process System, che integra ERP e PLM, e stiamo portando avanti alcuni componenti di Digital Factory, tipicamente di IoT (Internet of Things) per le linee di produzio-

ne e per prodotti come gli AGV wireless, carrelli robotizzati che “capiscono” l’ambiente circostante e sono totalmente controllabili da remoto». I driver di investimento più rilevanti, conclude Bernocchi, sono l’IoT, soprattutto sensoristica per i robot, e poi analytics e Big Data per elaborare questi dati. L’obiettivo è definire un modello di manutenzione predittiva. «Anche i wearable sono un fronte molto attivo di investimenti: per gli addetti di stabilimento, dopo un primo test negativo sugli occhiali - per ora percepiti come troppo invasivi - stiamo sperimentando “orologi” con input basici per il controllo qualità sulle linee, e “guanti” che informano sulle operazioni da fare. Ma siamo solo all’inizio. Quanto al Cloud, stiamo cercando di capire, man mano che le varie soluzioni maturano, cosa possiamo portare fuori dai nostri data center, dati e applicazioni, visto che l’evoluzione tecnologica va in questa direzione, compatibilmente con le esigenze di latenza zero e la sensibilità di alcuni tipi di dati dei clienti».

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intervista

Trasporti e digitale: il 2017 è l’anno della Piattaforma Logistica Nazionale Sta per andare a regime un Intelligent Transport System che mette in rete tutti i nodi logistici in Italia (porti, interporti, centri merce ferroviari, operatori privati) con i vettori (autotrasporto e imprese ferroviarie). Ce ne parla Enterprise Services: «La PLN registrerà i flussi delle merci in transito su tutto il territorio e traccerà tutti i mezzi che le trasportano, con benefici di efficienza e sicurezza per i singoli nodi logistici, i vettori e l’intero sistema Paese»

Presto tutti gli snodi di interscambio italiano (porti, interporti, centri merce ferroviari, operatori privati) saranno in rete e dialogheranno tra loro e con i mezzi sul territorio grazie a un Intelligent Transport System, la Piattaforma Logistica Nazionale (PLN), che sta per andare a regime, come ha detto recentemente il Sottosegretario ai Trasporti Simona Vicari. A Lorenzo Greco, a capo del Promotore PLN e Direttore Commerciale Enterprise Services Italia, abbiamo chiesto di parlarcene in dettaglio. Cos’è la PLN e quali sono i suoi obiettivi? La PLN è l’insieme di sistemi, applicazioni e basi dati che permettono di connettere in modo imparziale e sicuro gli attori della logistica, sincronizzando le attività di trasporto tramite un linguaggio comune digitale. La PLN punta a ridurre e rendere più affidabili i tempi d’attraversamento della catena logistica italiana, oggi nell’ordine di 18 giorni, tra i più alti al mondo, a causa di scarso coordinamento | 60 |

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degli attori, alta variabilità e ampie zone d’ombra e inefficienza. L’efficientamento della logistica è un obiettivo chiave del Piano Strategico Nazionale della Portualità e della Logistica, di cui la PLN è strumento attuativo. In quest’ottica la scelta di assegnare a un soggetto privato il ruolo di Gestore della Piattaforma, ovvero dell’operatività e sviluppo futuro dei servizi, appare la scelta più indicata per trasformare la catena logistica ottenendo sincronizzazione, affidabilità, trasparenza delle procedure e riduzione degli sprechi. Le tecnologie saranno sempre aperte e scelte in base alle necessità degli utenti. Nella progettazione i principi ispiratori sono stati digital first, uso di tecnologie open e standard, logica once, cioè servizi a risposta singola garantita. E siamo già al lavoro per adottare soluzioni Internet of Things e di Intelligenza Artificiale. La piattaforma sarà di tipo open: ci aspettiamo che operatori di mercato, software vendor, specialisti di logistica e chiunque abbia necessità di integrare i suoi processi con i


i nte r v i s ta | T r as por t i e dig ita l e : il 2 01 7 è l’ a n n o de l l a P iatta f o rma L o g ist ic a N a z io n a le

contenuti della Piattaforma, ne usufruisca. Questo avverrà in modo controllato e certificato attraverso standard e logiche API as a service per garantire sicurezza e integrità delle informazioni.

Lorenzo Greco Promotore della PLN e Direttore Commerciale Enterprise Services Italia

Quali sono i servizi principali offerti dalla PLN? Al momento i servizi attivi sono quelli sviluppati da UIRnet (il soggetto attuatore unico del Ministero delle Infrastrutture e Trasporti, partecipato dai principali attori del sistema logistico italiano, ndr). L’obiettivo è migliorare, industrializzare e commercializzare rapidamente quanto realizzato finora. La gamma di servizi che a breve saranno disponibili va dal Port Community System al sistema di supporto degli Interporti (Freight Village System) alla Card di accesso unificato per tutti i Porti e Interporti Italiani, fino ai servizi di tracciatura delle Merci Pericolose. A quali tipi di operatori si rivolge la PLN? I servizi per la Logistica Digitale offerti dalla PLN vanno a servire due grandi categorie della logistica: nodi e vettori. Nei nodi logistici ci sono Porti, Interporti e Piattaforme Logistiche. Tra i vettori ci sono le aziende dell’autotrasporto e le imprese di trasporto ferroviario. E poi ci sono servizi istituzionali per il livello centrale del Ministero delle Infrastrutture e Trasporti quali i servizi per Safety e Security e servizi di Executive Dashboard per dare in real time l’andamento dei traffici merci in import ed export dall’Italia. Per i nodi logistici, in particolare quelli pubblici, i benefici sono semplificazione, automazione e maggior controllo delle operazioni con l’adozione di sistemi evoluti come Port Community System e Freight Village System. Ciò permetterà loro di recuperare i gap tecnologici e di mercato con i principali porti europei. Per chi trasporta merci, i benefici saranno l’accesso a dati e informazioni non disponibili ai singoli e servizi per ridurre tempi e costi delle loro attività come l’appuntamento intermodale e la card di accesso unificato ai nodi logistici. La PLN registrerà i flussi delle merci in transito su tutto il territorio e traccerà tutti i mezzi che le trasportano anche con applicazioni specifiche per i centri urbani (Smart City e Logistics). Questo permetterà di innalzare il livello di sicurezza del Paese e contrastare più efficacemente attentati terroristici. Chi sta realizzando la PLN? Qual è il ruolo di Enterprise Services? La PLN è già stata realizzata da Uirnet, su incarico del Ministero delle Infrastrutture e Trasporti, ed è operativa in fase sperimentale. Enterprise Services è attualmente il gestore temporaneo della Piattaforma, e ha curato il trasferimento presso i sistemi cloud del CED della Motorizzazione Civile e una pri-

ma fase di evoluzione della piattaforma. Allo stesso tempo Enterprise Services ha partecipato in RTI con Vitrociset e Fai Service alla gara europea bandita da UIRNet per la concessione ventennale per lo sviluppo e la gestione della Piattaforma Logistica Digitale. La gara - che s’avvia a conclusione – era articolata in 3 fasi: selezione del promotore, sviluppo di progetto e piano economico finanziario, e gara per la gestione. Nel ruolo di Promotore della PLN abbiamo tra l’altro definito il progetto di evoluzione e gestione e il Piano Economico Finanziario. In linea con la direttiva del Ministero di realizzare infrastrutture utili, condivise e digitali, Enterprise Services ha coinvolto in modo diretto e indiretto i principali stakeholder e protagonisti della Logistica italiana. Qual è lo stato d’avanzamento della PLN? Entro fine gennaio 2017 firmeremo la Concessione e diventeremo a tutti gli effetti Gestori definitivi della Piattaforma. Siamo già partiti con la presa in carico verso il nuovo modello di gestione e stiamo avviando il primo assessment sui porti italiani per fotografare lo stato attuale della digitalizzazione, ma soprattutto per raccogliere i requisiti del PCS nazionale di nuova generazione. Inoltre stiamo prendendo in carico le operazioni del sistema e-port per il Porto di Genova. Possiamo dire che il 2017 è l’anno della Piattaforma Logistica Nazionale, ma soprattutto della Logistica Digitale. La partnership pubblico-privato che si stabilirà con la firma della Concessione porterà il soggetto privato a realizzare ingenti investimenti in Italia per lo sviluppo di knowhow e soluzioni specifiche nel campo della logistica con benefici sul bilancio pubblico.lo sviluppo di know-how e soluzioni specifiche nei prossimi anni, senza aggravi sul bilancio pubblico. www.digital4executive.it

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reportage di

Annalisa Casali

Un “tap” sul tablet: la rivoluzione digitale della forza vendita Un panel di eccellenze – Lavazza, Bolton, Lindt e Recarlo – si è confrontato sul tema della Mobility Enterprise nel corso di un evento organizzato a Milano dalla software house torinese Risorsa, specialista delle soluzioni di Sales Force Automation. Ecco le loro storie e i vantaggi per l’organizzazione e per i clienti

«Dalla carta alla Mobility Enterprise» è il nome dell’evento organizzato a Milano dalla software house torinese Risorsa, che ha radunato sul palco un panel di utenti di primo piano in ambito retail, GDO e lusso. Tutti hanno portato la loro testimonianza su come sono riusciti a migliorare la conoscenza del cliente e guadagnare in efficienza implementando una strategia di mobility a 360 gradi sulla forza vendita. I numeri sono diversi ma i benefici simili per tutti: un ciclo dell’ordine più snello e preciso, una miglior gestione delle relazioni con le catene distributive e i punti vendita multimarca, agenti e rappresentanti più contenti del proprio operato. «È un grande momento di cambiamento per le imprese - ha esordito il fondatore di Risorsa, Giorgio Maffei - favorito dalla trasformazione digitale. Chi opera con una forza vendita sta assistendo all’evoluzione del ruolo del venditore, dalla figura del piazzista a quella del consulente. Anche le aziende più piccole si stanno affacciando al cambiamento: le so| 62 |

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luzioni cloud hanno reso disponibili a queste realtà strumenti sofisticati, fino a poco tempo fa appannaggio esclusivo dell’enterprise». Un organico di 140 persone con headquarter a Torino e un fatturato di 17 milioni di euro, il Gruppo Risorsa ha un’expertise riconosciuta sulla Sales Force Automation in particolare nei mercati luxury, food & beverage, pharma e cosmesi. «Oltre 15.000 venditori utilizzano le nostre applicazioni - ha commentato il Responsabile Marketing, Federico Maffei -. Ecco perché abbiamo chiamato a testimoniare alcune eccellenze italiane, aziende note in tutto il mondo che hanno deciso di rivoluzionare il modo di lavorare dei propri operatori commerciali utilizzando il software Risorsa». Recarlo: la mobility che migliora lo storytelling A confermare la validità di una soluzione che abilita una miglior produttività della forza vendi-


r e p or tage | U n “ta p ” su l ta b l e t: l a rivo l u z io n e dig ita l e de l l a f o rz a v e n dita

ta è intervenuto anche un esponente dell’universo luxury. Paolo Re, Vice Presidente di Recarlo, gioielleria della tradizione valenzana fondata dal padre Carlo, ha spiegato di aver dotato di nuovi strumenti (iPad di proprietà dell’azienda con precaricato il software Risorsa) la rete di vendita. L’azienda ha dapprima lavorato al miglioramento del catalogo multimediale, utile per far apprezzare il design, i volumi e i materiali, ma che permette anche di comunicare meglio la tradizione di Recarlo e i valori del brand, in ottica storytelling. Lo scorso giugno è stato, poi, introdotto il software Risorsa: «Volevamo cambiare il ruolo del venditore, che nelle nostre intenzioni doveva diventare un vero e proprio consulente del gioiello Recarlo e crediamo di esserci riusciti. Sicuramente la nostra immagine ne è uscita rafforzata», ha ammesso Re. Bolton Group Services: gestione da un’unica console Il Gruppo Bolton, con oltre 60 anni di storia, è un Gruppo internazionale in rapida crescita e vanta un portafoglio di marchi prestigiosi, disponibili in 125 Paesi. Il Gruppo Bolton fabbrica e commercializza prodotti di marca di alta qualità nelle categorie Alimentari, Cura della Casa, Adesivi, Cura della Persona e Cosmetica, attraverso una varietà di canali che comprendono la grande distribuzione, le profumerie, le farmacie e i negozi fai da te. I marchi più noti del Gruppo in Italia sono Rio Mare, Palmera, Manzotin, Omino Bianco, WC Net, Smac, UHU, Bostik, Neutro Roberts, Borotalco, Chilly, Brioschi, Collistar e Somatoline. Gianluca Ceruti, dal 2008 è ICT Director in Bolton Group Services, società a cui fanno capo anche le attività di Information Technology. La società si rivolge a un mercato parecchio

complesso: dalla GDO alla farmacia. Essendo un gruppo così eterogeneo, le diverse business unit hanno differenti priorità ed esigenze sul fronte SFA. «Prima dell’adozione delle piattaforma “Salesware” di Risorsa, avevamo al nostro interno parecchie soluzioni “disomogenee” - ha spiegato l’ICT Director. Quello che mancava era il collante, un layer comune che permettesse di supportare i processi di vendita in modo integrato, assicurando che le informazioni raccolte dal rappresentante nel punto vendita siano immediatamente fruibili da qualsiasi persona all’interno dell’azienda». La scelta di Bolton è stata quella di fornire i dipendenti della forza vendita con iPad di proprietà. Il software Risorsa è stato introdotto su circa 500 iPad parallelamente all’implementazione di Salesware nelle differenti aziende, come un vero “ERP” delle vendite, che ha permesso di integrare tutti i processi di backoffice con le attività svolte nel punto vendita. La soluzione è stata estesa due anni fa anche alle Società francesi del Gruppo «con il beneficio aggiuntivo di essere riusciti a gestire diversi mercati paesi, canali e clienti da un’unica console», ha commentato l’ICT Director. Nei mesi scorsi, poi, è stata la volta della succursale in Grecia ed è ormai prossima all’avvio la società spagnola, mentre sono in corso ulteriori verifiche per estendere la soluzione anche ad altre società Bolton a livello Internazionale, con l’idea di sfruttare anche le competenze del partner iberico di Risorsa, Vincle. Lindt: misurare per migliorare Obiettivo del progetto SFA di Lindt, il noto “maitre chocolatier”, era di misurare la qualità percepita e lo scostamento rispetto alla top quality su entrambi i canali di vendita: GDO e pasticcerie. I tablet sono stati messi a disposizione

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Due momenti dell’evento: la tavola rotonda e l’intervento di Giorgio Maffei, Presidente di Risorsa

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reportage | Un “ tap” s u l tab l e t: l a r i vol u z i one dig ita l e de l l a f o rz a v e n dita

«Stiamo assistendo all’evoluzione del ruolo del venditore: dalla storica figura del piazzista a quella del consulente. Anche le aziende più piccole si stanno affacciando al cambiamento grazie al Cloud»

della forza vendita, con un progetto, battezzato internamente BEST (Being in Every Supermarket on Time), che ha già mostrato i suoi benefici. «Per noi - ha chiarito Stefano Turati, Trade Marketing Manager di Lindt & Sprungli - la mobility ha valore se crea efficienza nello scambio di informazioni da e verso il punto vendita, segnalando in tempo reale i problemi, come la probabile rottura dello stock di un prodotto. Questa soluzione ci permette di intervenire in modo proattivo, riducendo al minimo le frizioni con i gestori del punto vendita». Il mantra che Turati cita a più riprese è “Misurare per migliorarci”. La soluzione adottata ha permesso, infatti, a Lindt di avere accesso a una miriade di dati già categorizzati - foto, dati sul merchandising … - che prima, invece, dovevano essere estrapolati manualmente dalle relazioni dei venditori. Lavazza: obiettivo Perfect Store Un panel davvero eterogeneo quello che è salito sul palco dell’evento, a testimonianza del fatto che la SFA coinvolge una pluralità di attori diversi all’interno dell’organigramma aziendale. Guido Civati, Project Management Manager di Lavazza, ha illustrato con entusiasmo i plus dei

progetti in ambito SFA, avviati alcuni anni fa e culminati nel 2014 con la revisione della strategia (e della tecnologia) mobile a supporto delle attività del personale di vendita. I tablet, acquistati da Lavazza ed equipaggiati con il software Risorsa, sono concessi in comodato d’uso a dipendenti e agenti che operano su una duplice tipologia di clienti (GDO e Food Service, cioè bar e ristoranti). «La necessità di essere più moderni - ha illustrato il manager - nel nostro caso ha fatto il paio con l’introduzione di obiettivi nuovi sul cliente finale del retail, ovvero l’utenza domestica. Volevamo raccogliere una informazione dettagliata sui luoghi, dove i nostri consumatori acquistano il caffè per sviluppare una strategia condivisa con i nostri partner della distribuzione». Il software Risorsa permette anche di raccogliere informazioni fotografiche, elaborabili successivamente con sistemi di ricerca automatica, segnalare nuovi prodotti o nuove promozioni attive nei punti vendita. Inoltre, può raccogliere gli ordini, riducendo nettamente il margine di errore. Nei prossimi mesi la sfida da cogliere sarà quella dell’internazionalizzazione, con l’estensione del progetto di Sales Force Automation Food Service ad alcune consociate all’estero.

Il trinomio della mobile enterprise Per una efficace Mobile strategy bisogna lavorare sui tre elementi fondamentali, tutti egualmente importanti - ha spiegato all’evento Paolo Catti, Associate Partner di P4I, per 12 anni Direttore dell’Osservatorio Mobile Enterprise del Politecnico di Milano. L’hardware, anzitutto, ovvero i dispositivi. «In passato molti progetti sono falliti a causa dell’inadeguatezza dei device, come palmari poco o per nulla intuitivi», ha detto. Poi, ma non meno importanti, le applicazioni: prima erano “business application”, oggi sono vere e proprie mobile app applicate ai processi, con logiche di sviluppo, aggiornamento e gestione molto diverse da quelle tradizionali. Infine, il terzo elemento chiave | 64 |

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è l’Enterprise mobility management platform, una console centralizzata che permette all’azienda di prendere in carico tutti gli aspetti legati alla sicurezza e all’integrazione dei dati provenienti dai device senza fili all’interno dell’ERP aziendale. Intuitività e semplicità sono elementi cardine dei modelli “Mobile”: nati nel mondo consumer, se ben applicati ai processi di business, quindi in ambito Enterprise e per esempio a supporto della forza vendita, i risultati che si possono ottenere sono realmente eccezionali: tempi di ripagamento dell’investimento rapidissimi, gradi di adozione “bulgari” e costi di change management limitatissimi.


INSIEME. PER DARE PIĂ™ FORZA AL DIGITALE

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Direttore Digital4Trade

Presidente FPA

CEO Digital 360


intervista

Pier Luigi Zaffagnini

2017: con XML, workflow e firma europea la gestione documentale cambia marcia

Amministratore Delegato Top Consult

Evoluzioni normative e nuove sfide applicative ribadiscono il ruolo essenziale dei documenti nei processi aziendali, nel continuo percorso verso un lavoro “senza carta e senza penna”. «Oggi non può esistere un sistema informativo che non abbia al suo interno, come asset fondamentale, un sistema documentale completo». L’AD di Top Consult racconta la strategia dell’anno appena iniziato

Il 2017 sarà per Top Consult un anno importante. Sarà, infatti, l’anno in cui spegnerà 30 candeline con la soddisfazione di aver portato avanti «un’impresa nell’impresa, ovvero occuparsi per tanto tempo di gestione documentale riuscendo a portare in questo ambito il nostro personale contributo», racconta Pier Luigi Zaffagnini, l’Amministratore Delegato di Top Consult. Anni caratterizzati da un sostanziale cambiamento della natura dei documenti che da cartacei sono diventati file pdf, fino ad arrivare al recente xml, il formato ‘machine readable’ salito alla ribalta con l’entrata in vigore il 31 marzo 2015 dell’obbligo di fatturazione elettronica verso la PA e riproposto ora anche per la fatturazione elettronica in ambito B2B. Secondo l’AD di Top Consult, il 2017 sarà l’anno per affrontare nuove sfide, affinché lo slogan “vi faremo lavorare senza carta e senza penna” si rinnovi, rispondendo contestualmente agli impulsi normativi e alle più attuali esigenze aziendali. | 66 |

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XML, una nuova marcia per la gestione documentale «Il tema portante che guiderà la nostra evoluzione riguarda il modo di intendere la gestione documentale: il nostro obiettivo sarà aiutare le aziende a comprendere che i sistemi documentali ormai sono un asset indispensabile per il sistema informativo e che progettarlo con solo un software gestionale o un ERP non è più sufficiente. Negli ultimi 30 anni con sistema documentale si è sempre fatto riferimento all’utilizzo di un software applicativo in grado di gestire i documenti, che in prima battuta erano cartacei – in questo caso l’imputazione a sistema avveniva con la scannerizzazione – per poi cedere il passo al formato pdf, che prevede invece l’estrazione dei dati per automatizzare il processo in sé semplice di data entry. Adesso con l’entrata in scena dell’xml il salto che può fare un sistema informativo aziendale è notevole, in quanto la fattura, che è il documento


intervista | 2017: con XML, workflow e firma europea la gestionE documentale cambia marcia

«Il tema portante che guiderà la nostra evoluzione riguarda il modo di intendere la gestione documentale: il nostro obiettivo sarà aiutare le aziende a comprendere che i sistemi documentali ormai sono un asset indispensabile per il sistema informativo»

principe di tutti i flussi aziendali, non può più essere gestito direttamente dall’utente come accadeva in passato, perché la natura stessa dell’xml lo rende difficilmente lavorabile dall’uomo che non riesce a leggerne i dati». È quindi fondamentale che le aziende adottino un software documentale, come TopMedia Social NED, che abbia tra le sue caratteristiche enterprise la sicurezza e il load balancing, nonché la capacità di gestire i flussi, le firme elettroniche e i documenti firmati digitalmente che la legge italiana obbliga a conservare. Tutto diventa molto più semplice se il software gestionale è integrato con la gestione documentale. Workflow Collaborativo, un modo per superare le rigidità Secondo la strategia 2017 di Top Consult, un altro punto su cui le aziende dovranno lavorare è il workflow che deve diventare collaborativo: per gestire il flusso documentale e di processo in modo efficiente è necessario mandare in pensione la posta elettronica e puntare su applicazioni software di collaboration. «Per questo abbiamo sviluppato delle soluzioni che si basano sul concetto dell’utente “collaborativo”, che può utilizzare anche in azienda strumenti molto simili a quelli social con cui interagisce nella sua vita privata. Ne sono un esempio i gruppi di lavoro, la bacheca, le notifiche», sottolinea Zaffagnini. In questo modo è possibile tenere traccia di tutti i processi, eliminando i passaggi poco controllabili che li rendono inefficienti. Con il Groupware di Top Consult si crea un social network aziendale protetto, dove si possono formare team di lavoro temporanei che usano per i processi non strutturati un ambiente di Authoring e condivisione di documenti, comunicando tramite l’interfaccia “Bacheca”, che traccia le attività, note e chat di tutti i partecipanti. I moduli di Collaboration possono inoltre supportare i processi già strutturati nel gestionale o ERP. Per esempio il ciclo passivo, che nel sistema informativo parte dall’input dell’ordine, ma presuppone attività precedenti – Richiesta D’Acquisto (RDA), selezione

dei fornitori, ecc. – che spesso sono gestite in modo informale, con telefonate o email. Altre situazioni di inefficienza accadono nei workflow o nella gestione delle pratiche di tipo tradizionale. Tipico caso è quello del manager che, avendo un dubbio nell’approvazione di un acquisto, chiama il buyer al telefono o gli scrive una mail: questo passaggio decisivo, quindi, non è tracciato nel sistema. Con le soluzioni Pratiche Collaborative e Workflow Collaborativo invece l’utente gestisce in forma collaborativa i passaggi di pratiche, attività e informazioni attraverso flussi formalizzati: da una parte l’utente rimane collegato ai colleghi coinvolti nei suoi stessi progetti, e quindi aggiornato in tempo reale. Dall’altra il sistema traccia tutto: passaggi, interventi, attività, con i relativi tempi e documenti associati. FIRMA ELETTRONICA EUROPEA, le indicazioni del regolamento eIDAS Secondo l’AD di Top Consult un terzo aspetto su cui si dovrà porre attenzione nel 2017 è la firma elettronica europea. Il primo luglio 2016 è entrato in vigore il Regolamento eIDAS, che contribuisce alla realizzazione di un mercato unico digitale creando le condizioni adatte per il riconoscimento reciproco transfrontaliero di funzioni essenziali come l’identificazione elettronica, la gestione dei documenti elettronici e delle firme elettroniche e i servizi elettronici di recapito, nonché per l’interoperabilità dei servizi di eGovernment in tutta l’Unione europea. Il regolamento eiDAS ha equiparato la firma elettronica avanzata alla firma digitale qualificata, dandole lo stesso valore probatorio di legge. «Le funzioni di TopMedia Social NED gestiscono qualsiasi tipo di firma elettronica a norma di legge nei processi documentali: non solo le firme digitali applicate in modo automatico dal software a grandi quantità di documenti (ad esempio per la conservazione digitale) ma anche le firme elettroniche interattive applicate dal firmatario su un singolo documento; l’utente può firmare in modo interattivo da PC, Web o Mobile con un unico certificato di firma», conclude Zaffagnini. www.digital4executive.it

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speciale “formazione”

PRES Formazione porta l’esperienza in aula. E l’offerta si amplia: dall’ICT alle soft skill

L’innovazione tecnologica avanza con passo sempre più rapido. Nuove tecnologie, nuove release di prodotto, nuove metodologie per gestire i progetti richiedono a chi si occupa di ICT un costante aggiornamento del proprio bagaglio di competenze, che diventa obsoleto sempre più in fretta. Ecco perché la formazione del proprio personale è una priorità strategica, come conferma Matteo Masera, Direttore Commerciale di PRES, system integrator con più 25 anni di esperienza nella gestione di progetti ICT complessi. PRES opera attraverso due divisioni, una dedicata alla consulenza e l’altra alla formazione, e propone percorsi formativi ufficiali che permettono ai professionisti di aggiornare le proprie competenze e di ottenere anche le certificazioni dei principali vendor ICT, come Cisco, Oracle, Microsoft e IBM. PRES è fra i più importanti centri di formazione in Italia. Qual è il bilancio dell’ultimo anno? La formazione in PRES ha registrato una fortissima crescita in questi anni, pur operando in un mercato che ha vissuto in passato fasi di contrazione. Sono oltre 1.000 le proposte nel nuovo catalogo PRES 2017. I nostri collaboratori sono sia formatori certificati sia consulenti: uniscono quindi l’esperienza empirica, cioè la capacità di supportare le aziende nello sviluppo di progetti ICT, all’attività di formazione, che garantisce che le loro competenze siano costantemente aggiornate. I clienti ci riconoscono un indubbio valore aggiunto sia in ambito formativo che consulenziale.

per u lt eriori i n f orma zioni...

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Oltre 1000 corsi a catalogo, percorsi formativi su misura per i clienti, sale attrezzate e laboratori specializzati nelle sedi di Milano, Roma e Torino: il system integrator arricchisce le proposte per rispondere alle crescenti richieste di competenze digitali

Matteo Masera Direttore Commerciale PRES

Come si articola l’offerta di corsi? Cisco, Oracle, Microsoft e IBM sono i pilastri della nostra offerta tecnica. In quanto formazione ufficiale, i contenuti, i laboratori e i manuali sono costantemente aggiornati dai vendor, assicurando la massima qualità all’esperienza formativa. Negli ultimi anni abbiamo progressivamente ampliato la nostra offerta, arricchendola di corsi di formazione manageriali, sulle metodologie di lavoro e sulle soft skill; corsi di Project Management, Agile Development, ITIL e Change Management, per citarne alcuni. Recentemente abbiamo introdotto corsi di inglese, soprattutto di taglio business. Quali ragioni vi hanno spinto ad allargare il perimetro dell’offerta formativa? Rispetto al passato, il nostro interlocutore è cambiato. Le persone coinvolte nei progetti di innovazione digitale all’interno delle aziende non appartengono più


speciale “formazione”

«I nostri docenti sono sia formatori certificati sia consulenti, uniscono quindi l’esperienza empirica, cioè la capacità di supportare le aziende nello sviluppo di progetti ICT, all’attività di formazione»

unicamente all’IT, ma anche alle altre linee di business. Allo stesso tempo, alle figure IT sono sempre più richieste competenze e capacità manageriali, relazionali e di comunicazione. La strategia di ampliamento della nostra offerta è stata una risposta alle nuove necessità dei clienti, che ci chiedono di formare persone che abbiano un approccio olistico ai processi di trasformazione digitale che sempre più sono chiamati ad affrontare. Qual è l’andamento di mercato e chi sono i vostri clienti per la formazione? Per alcuni anni il mercato ha visto una contrazione degli investimenti in ambito formativo, ma l’ormai improcrastinabile rivoluzione digitale ha reso necessarie un sostanziale upgrade e un significativo ampliamento delle competenze del proprio personale. I nostri clienti sono le aziende che scelgono di investire sulle persone per rimanere protagonisti nelle trasformazioni digitali che affrontano i loro mercati. Ovviamente i clienti principali restano per noi le organizzazione che vedono coinvolta una popolazione ampia in questi processi di trasformazione ed innovazione. Quali modalità di erogazione dei corsi utilizzate? Offriamo formazione tradizionale in aula nelle nostre sedi di Milano, Torino, Roma e presso i nostri clienti, ma anche soluzioni a distanza, come e-learning o virtual classroom. L’e-learning consente di seguire moduli formativi dove e quando si vuole. La virtual classroom permette ai partecipanti di seguire corsi “in diretta” dall’ufficio o da casa, senza perdere i vantaggi dell’interazione con i docenti e gli altri partecipanti Sempre più spesso sviluppiamo per i nostri clienti soluzioni personalizzate di tipo blended, capaci cioè di coniugare i benefici dell’aula ai vantaggi degli strumenti formativi digitali. PRES è anche testing center Pearson Vue, qualifica che permette la certificazione delle competenze apprese. Perché sono richieste le certificazioni e quanto durano?

PRES è testing center Pearson Vue ed offre la possibilità di certificare le proprie competenze nelle sedi di Milano, Torino e Roma. I percorsi di certificazione sono stabiliti dai Vendor, di cui noi siamo centro di formazione ufficiale, e solitamente hanno una durata compresa tra i due e i tre anni. Certificare le proprie competenze significa valorizzare il proprio profilo professionale e consente alle aziende di partecipare a gare pubbliche e private, che sempre più spesso richiedono personale certificato. Quali voucher formativi è possibile utilizzare in PRES? Si possono redimere i voucher formativi dei principali vendor ed usufruire della massima semplicità amministrativa: ad esempio i Cisco Learning Credit, i Microsoft Training Voucher, i VMware Credit e gli IBM STG Class Voucher. È possibile avvalersi di formazione finanziata dai Fondi Interprofessionali? Le organizzazioni possono usufruire della formazione finanziata dai Fondi Interprofessionali per investire sulle competenze del proprio personale. Noi aiutiamo i clienti a conoscere i benefici della formazione finanziata e ad accedere ai finanziamenti per i piani formativi, accompagnandole in ogni fase del processo.

Scarica il catalogo PREs Formazione

w ww. p r e sfo r m az i o n e . i t /cat al o g o | 69 |


reportage di

patrizia licata

Nunzio Calì Vice Direttore Generale Direzione Operations IT Almaviva

DevOps, IT e Business finalmente alla stessa velocità All’evento DevOps Day, Almaviva con i suoi partner ha fatto il punto sulla nuova metodologia che spezza le barriere tra sviluppo e operations dando alle aziende capacità di erogazione continua, velocità nel time to market e focus rinnovato su sicurezza e personalizzazione del prodotto

Processi, cultura, qualità, persone: fili rossi con cui tessere la trama del nuovo approccio DevOps. Almaviva, in collaborazione con CA Technologies, Cisco, IBM, OutSystems e Red Hat, ha fatto il punto sulla metodologia del futuro per integrare sviluppo e operations in occasione dell’evento DevOps Day di Roma. L’incontro tra Development e Operations, sintetizzato nella sigla DevOps, si traduce in agilità operativa e continuità dell’erogazione. Le aziende, facendo collaborare fruttuosamente team finora separati, ottengono quella capacità di arrivare al mercato in tempi rapidi e in modalità flessibili e ondemand che sono oggi irrinunciabili per sopravvivere allo “tsunami” digitale. DevOps, “un futuro già presente” «La metodologia DevOps è il futuro che è già presente, per questo era importante farsi promotori di | 70 |

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un’occasione di confronto tra esperti e operatori del settore», ha detto Nunzio Calì, Vice Direttore Generale Direzione Operations IT Almaviva. «L’obiettivo è abilitare, accelerare le performance attraverso l’integrazione dei processi di sviluppo delle applicazioni e delle operations, mettere l’intera filiera IT al servizio del business per le aziende e la PA». Questa metodologia di sviluppo del software sfrutta le logiche della condivisione per attività di progettazione, testing e rilascio delle soluzioni applicative, sia in ambienti tradizionali che cloud. «DevOps è l’abilitatore del nuovo modo di fare IT», ha continuato Calì, «un ambito in cui Almaviva, con la piattaforma AlmaToolBox, ha una presenza di rilievo e in crescita costante». AlmaToolBox, disponibile on premise o in modalità Paas, è un mix, completo ma modulare, di metodologie, strumenti IT e interventi di Change management sulle organizzazioni per l’integrazione in ambito DevOps.


r e po rtag e | De vO p s, IT e B usi n e ss f i n a l me n t e a l l a st e ssa v e l o c ità

Integrazione e automazione Cuore della digital transformation per le imprese, il DevOps si fonda su strumenti come l’integrazione, il testing e l’implementazione automatizzati. Lo sviluppo tecnologico si mette immediatamente al servizio degli obiettivi strategici, senza però sacrificare le esigenze di sicurezza, stabilità e affidabilità di sistemi e applicazioni. «DevOps è la soluzione per rendere la filiera IT completamente seamless e funzionale tanto al business quanto agli utenti finali», ha ribadito Giuseppe Conigliaro, Responsabile Software Engineering & Technology Innovation, Almaviva. Mentalità collaborativa Elementi cardine del paradigma DevOps sono il cambio di mentalità, oltre che di passo di marcia, e la collaborazione tra team, che coinvolge i dipartimenti sviluppo e operations dell’azienda, partner, fornitori e utenti finali, che partecipano alla costruzione del prodotto in fase di progettazione, testing e rilascio. Si tratta di un modello “collaborativo”, snello e più trasparente. DevOps è anche un nuovo modo di gestire la domanda: le organizzazioni sono possono erogare i prodotti che il mercato chiede, «grazie alla capacità di recepire gli input dell’utente per costruire la soluzione specifica alle esigenze», ha sottolineato Antonio Parisi, Responsabile SW Governance, Almaviva, intervenendo al DevOps Day. «Per questo AlmaToolBox è non solo tecnologia, ma strategia». Impatto strategico «DevOps rientra tra le metodologie dall’impatto strategico», ha ribadito Stefano Mainetti, CEO PoliHUB Politecnico di Milano. «Far parlare Development e Operations evita colli di bottiglia nel momento della delivery. Nel business veloce, prevedere ex ante che cosa vuole il cliente non è possibile; occorre lavorare in modo iterativo, con rilasci incrementali». Le aziende che hanno già implementato la metodologia del DevOps registrano risultati molto significativi, misurati dallo stesso Politecnico di Milano: producono 200 volte più release, diminuiscono di tre volte il livello di failure, recuperano il 50% del tempo impiegato su problemi di sicurezza. In nome della app economy Tra i grandi vantaggi del DevOps c’è anche l’abbattimento dei costi, dei tempi e degli sprechi (overproduction), grazie alle procedure automatizzate che rendono veloce e efficiente il test e il rilascio e potenziano la capacità di anticipare gli errori e di correggerli tempestivamente. Per questi risultati, le

soluzioni software e cloud di AlmaToolBox si avvalgono anche dell’apporto di prodotti e servizi di partner, come RedHat, CA Technologies, Outsystems, Ibm, Cisco, che hanno l’obiettivo di fornire strumenti tecnologici per permettere alle aziende di erogare senza soluzione di continuità, abbracciare la app economy e servire ogni tipo di piattaforma mobile. “Velocità si unisce a qualità e sicurezza” «Tecnologie, processi, persone, è questa la formula vincente per implementare il DevOps», ha dichiarato Antonio Leo, Manager Alliance Channel & Territory Leader di Red Hat. «Da sempre facciamo sviluppo coinvolgendo la community. Per noi è importante che le organizzazioni misurino le performance in modo rigoroso con i Kpi, ma anche che non sottovalutino il cambiamento culturale: la tecnologia da sola non basta». «Oggi il business si fa erogando applicazioni velocemente, riducendo il time to market», ha ribadito Fabrizio Tittarelli, CTO Italy di CA Technologies. «Le organizzazioni non hanno il lusso del tempo, si compete sulla velocità, le app devono essere innovative, e garantire la customer experience e la privacy». «DevOps è sì una strategia a tutto tondo, ma fondata su alcune tecnologie chiave», ha sottolineato Francesco Campana, Regional Manager Continental Europe di OutSystems. Nata in Portogallo, questa azienda sta portando in Italia il nuovo metodo del low-code development che aiuta a rendere ogni servizio disponibile come app, su qualunque device. «DevOps è l’autostrada per velocizzare la produzione e abbattere i muri che separano la decisione, lo sviluppo e la delivery», secondo Ferdinando Gorga, Bluemix Evangelist & DevOps Consultant di IBM. «Dalle piattaforme mainframe al mobile il contesto è di continuous development e delivery». Per questo proponiamo prodotti cloud native in cui le Ops sono così automatizzate e efficienti da diventare “invisibili”. A tutto si integra la sicurezza“by design”. Alla base di soluzioni per la app economy c’è anche il policy-driven datacenter della strategia Cisco, ha ricordato Luca Mattii,
Data Center & Virtualization Sales di Cisco Italia: «L’integrazione a livello di database permette di accedere a tutti i dati, indipendentemente da dove si trovino. I dati sono il nuovo petrolio e anche la data virtualization si mette al servizio della velocità». Velocità come parola chiave del DevOps e della digital transformation, ma non da sola, ha concluso Francesco Barbieri, CIO Direzione Operations di Almaviva: occorre coniugarla con l’attenzione alla qualità, alla sicurezza e a un testing severo ma altrettanto agile. www.digital4executive.it

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Prossime presentazioni dei risultati delle Ricerche LA SCHOOL OF MANAGEMENT

La School of Management del Politecnico di Milano, con oltre 240 docenti, e circa 80 fra dottorandi e collaboratori alla ricerca, dal 2003 accoglie le molteplici attività di ricerca, formazione e alta consulenza, nei campi del management, dell’economia e dell’industrial engineering che il Politecnico porta avanti attraverso le sue diverse strutture interne e consortili. Fanno parte della Scuola il Dipartimento di Ingegneria Gestionale, le Lauree e il PhD Program di Ingegneria Gestionale e il MIP, la business school del Politecnico di Milano. La School of Management ha ricevuto nel 2007 l’accreditamento EQUIS. Dal 2009 è nella classifica del Financial Times delle migliori Business School d’Europa. 9 FEBBRAIO 2017

Università degli Studi di Milano-Bicocca Aula Magna (Edificio U6) Piazza dell'Ateneo Nuovo, 1 20126 Milano

GLI OSSERVATORI DIGITAL INNOVATION Gli Osservatori Digital Innovation della School of Management del Politecnico di Milano (www.osservatori.net) vogliono offrire una fotografia accurata e continuamente aggiornata sugli impatti che le tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT) hanno in Italia su imprese, pubbliche amministrazioni, filiere, mercati, ecc. Gli Osservatori sono ormai molteplici e affrontano in particolare tutte le tematiche più innovative nell’ambito delle ICT, classificate secondo 3 macro categorie. 1) Digital Transformation: Agenda Digitale Digital Transformation Academy Startup Hi-tech Startup Intelligence; 2) Digital Solutions: Big Data Analytics & Business Intelligence Cloud & ICT as a Service eCommerce B2c Enterprise Application Governance Fatturazione Elettronica e Dematerializzazione Gestione Progettazione e PLM (GeCo) Hubility/Multicanalità Information Security & Privacy Internet of Things Mobile B2c Strategy Mobile Payment & Commerce Smart Working; 3) Verticals: Cloud nella PA Contract Logistics Digital Finance Digital Insurance eGovernment Export Gioco Online HR Innovation Practice Industria 4.0 Innovazione Digitale in Sanità Innovazione Digitale nei Beni e Attività Culturali Innovazione Digitale nel Retail Innovazione Digitale nel Turismo Internet Media Mobile Banking Professionisti e Innovazione Digitale Smart AgriFood; Supply Chain Finance; Supply Chain Finance. OSSERVATORIO MOBILE B2C STRATEGY Convegno di presentazione dei risultati della Ricerca 2016-2017 La pervasività del Mobile è un dato incontrovertibile anche in Italia. Lo dicono i numeri sui consumatori: sono oltre 25 milioni gli italiani che navigano mensilmente dai propri dispositivi mobile; più del 60% del tempo speso dagli utenti online è da Smartphone; nel 2016 il 17% della spesa in eCommerce degli italiani proviene dallo Smartphone. Durante il Convegno dell’Osservatorio Mobile B2c Strategy verrà discusso l’impatto di tali dinamiche sulle aziende italiane. In particolare, verranno presentati i risultati sulla mappatura delle imprese nell’approccio al Mobile per gestire la relazione con i propri consumatori e le dinamiche del mercato del Mobile Advertising. Seguiranno alcune tavole rotonde con i principali protagonisti del settore che racconteranno le migliori esperienze nell’ambito. Per maggiori informazioni:

www.osservatori.net/it_it/convegni/convegno-di-presentazione-dei-risultati-della-ricerca-dell-osservatorio-mobile-b2c-strategy

23 FEBBRAIO 2017

Politecnico di Milano – Campus Bovisa Aula Magna Carassa-Dadda (Edificio BL28) Via Lambruschini, 4 20156, Milano

OSSERVATORIO INTERNET OF THINGS Convegno di presentazione dei risultati della Ricerca 2016-2017 La Smart Home si propone sempre più come fulcro del nuovo ecosistema dell’Internet of Things, sia per la centralità della casa nella vita di ogni individuo, con un potenziale enorme in termini di diffusione di oggetti e servizi, sia per il legame con alcuni dei settori di punta del Made in Italy. Il Convegno di presentazione dei risultati della Ricerca sarà l'occasione per approfondire i seguenti temi: il valore del mercato Smart Home in Italia; il ruolo giocato dalle startup Smart Home nel processo di innovazione; le principali evoluzioni dello scenario competitivo in Italia e all'estero e il ruolo giocato dagli OTT (Over-The-Top); l'evoluzione dei canali tradizionali e di quelli più moderni; le principali novità tecnologiche; la prospettiva dei consumatori e l'interesse verso prodotti e servizi IoT per la casa; le strategie di valorizzazione dei dati e la loro trasformazione in conoscenza e opportunità di business; l'impatto di tematiche quali normativa, privacy e Cyber Security sul futuro della casa connessa. Per maggiori informazioni:

www.osservatori.net/it_it/convegni/smart-home-l-internet-of-things-entra-dalla-porta-di-casa 23 MARZO 2017

Politecnico di Milano – Campus Bovisa Aula Magna Carassa-Dadda (Edificio BL28) Via Lambruschini, 4 20156, Milano

OSSERVATORI SUPPLY CHAIN FINANCE Convegno di presentazione dei risultati della Ricerca 2016-2017 La Ricerca 2016-2017 si è articolata su quattro principali filoni: mercato del Supply Chain Finance; valutazione del merito creditizio; costi e benefici; profilazione finanziaria della supply chain. Accanto a questi filoni centrali, sono stati affrontati anche quattro macro-temi trasversali: gli ambiti specifici di interesse per PMI; il ruolo innovativo delle startup; aspetti legislativi-normativi quali il pegno non possessorio per l’abilitazione dell’Inventory Finance; il contesto internazionale di player e soluzioni; la tecnologia (e.g. Blockchain, Big Data, API) come fattore abilitante. La Ricerca è stata condotta con il supporto di una Community di oltre 80 Manager di imprese produttive/distributive di diversa estrazione (Finanza, Logistica & Supply Chain, Acquisti e ICT) e di provider finanziari, d’informazioni e tecnologici che ha discusso e commentato i contributi condivisi dal Team durante tutto l’anno. Per maggiori informazioni:

www.osservatori.net/it_it/convegni/convegno-di-presentazione-dei-risultati-della-ricerca-dell-osservatorio-supply-chain-finance Informazioni aggiornate al 17 gennaio 2017 - Per dettagli completi visitare il sito web: www.osservatori.net


rubrica | ricerche e studi a cura di

paola capoferro ronchetta

PMI italiane e Business Intelligence, solo una su 3 investe: spesi 120 milioni di euro nel 2016 Solo il 13% del mercato Analytics è ricollegabile a progetti di imprese sotto i 250 addetti. Le più attive sono nelle regioni del Nord-Est e nei settori finance e GDO. I software avanzati e integrati con il gestionale aziendale sono quasi tre volte più diffusi dei fogli elettronici. Una ricerca del Politecnico di Milano In Italia il mercato “analytics”, che comprende Business Intelligence e Big Data, nel 2016 è cresciuto del 15% raggiungendo il valore di 905 milioni di euro. In questo totale, la componente Business Intelligence (progetti per l’analisi di dati “tradizionali”, per lo più originati da sistemi transazionali e conservati in database relazionali) è salita del 9% a 722 milioni. Molto di più è cresciuta la componente Big Data (iniziative caratterizzate da volumi di dati grandi e/o in forte crescita, e/o analisi real-time, e/o dati di provenienza o formato eterogenei), che con un aumento del 44% ha raggiunto 183 milioni di euro. Sono dati del report 2016 dell’Osservatorio Big Data Analytics e Business Intelligence del Politecnico di Milano, che specifica come gran parte di questo mercato sia oggi trainato dalle grandi imprese (con almeno 250 addetti), che originano l’87% della spesa complessiva. Gli investimenti delle piccole e medie imprese (tra 10 e 249 addetti) rappresentano solo il restante 13%, cioè 120 milioni di euro. Nel report, l’Osservatorio ha dedicato un approfondimento alle PMI. Un’indagine su 803 imprese tra 10 e 249 addetti, segmentate per classe dimensionale, settore d’industria (banche e assicurazioni, GDO, manifatturiero, PA e Sanità, Servizi,

TLC e media, Utility) e regione (Nord-Est, Nord-Ovest, Centro, Sud-Isole) fa il punto sulla maturità dei progetti di analytics in queste realtà così significative e caratteristiche dell’economia italiana. Il responso, come anticipato, è che il ruolo delle piccole e medie imprese nel mercato analytics è ancora marginale: il peso del 13% è molto basso, se si pensa che le PMI rappresentano il 98% delle imprese italiane. In effetti mentre per le grandi imprese l’Osservatorio rileva un’adozione ormai consolidata delle soluzioni analytics (il report comprende anche un’altra indagine su 149 imprese con almeno 250 addetti), solo una PMI su 3 ha dedicato parte del Budget ICT 2016 a tali soluzioni (34%). Rispetto a questa media, le PMI del NordEst mostrano un’adozione più alta (39%), seguite da quelle del centro (35%), del Sud e Isole (31%) e da quelle nel Nord-Ovest (30%), sorprendentemente in coda. Quanto ai settori, le PMI bancarie e assicurative (55%), e della GDO (47%) sono nettamente più attive sugli analytics, seguite da PA e Sanità (39%), manifatturiero (34%), TLC e media (28%), Utility (24%) e Servizi (23%). L’Osservatorio distingue poi 4 tipi di analisi dei dati: “descriptive analytics” (strumenti per descrivere situazione attuale e passata di processi o aree fun-

zionali), “predictive analytics” (strumenti avanzati per capire cosa potrebbe accadere nel futuro), “prescriptive analytics” (tool avanzati che propongono soluzioni operative o strategiche sulla base delle analisi fatte) e “automated analytics” (tool capaci di implementare da soli le azioni più consigliabili in base alle analisi fatte). Dall’indagine emerge che il 26% delle PMI adotta modelli di descriptive analytics, con percentuale più alta nelle medie imprese (31%), che nelle piccole (25%). L’uso di modelli di predictive analytics è invece ancora limitato a poche PMI (16%) - media del 15% nelle piccole imprese e del 33% nelle medie - mentre prescriptive e automated analytics sono ancora concetti poco conosciuti e diffusi. Approfondendo l’analisi sulle sole PMI che utilizzano soluzioni di analytics, 4 su 10 (41%) sono dotate in questo campo di software avanzati, totalmente integrati con i sistemi transazionali, e un altro 41% ha software di visualizzazione e analisi dei dati dedicati, anche se solo parzialmente integrati con i sistemi informativi dell’impresa. Quanto al restante 18%, il 15% tratta i dati con software generalisti (per esempio fogli elettronici), e il 3% non ha software dedicati, e affida l’analisi dei dati a strutture esterne all’azienda.

Esistono software avanzati per l’analisi dei dati, completamente integrati con i sistemi gestionali e transazionali dell’azienda

41%

Esistono software di visualizzazione e analisi dei dati, solo parzialmente integrati con i sistemi gestionali e transnazionali dell’azienda

41%

Esistono software generalisti (es. foglio elettronico) per l’analisi dei dati

Fonte: Politecnico di Milano

gli strumenti di analytics utilizzati dalle piccole e medie imprese

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Non esistono internamente software dedicati all’analisi dei dati, che è affidata a strutture esterne

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RUBRICA | ri cerch e e s t u d i

BCG: Apple È l’azienda più innovativa, arretrano le europee. «Vince chi si trasforma con il digitale» Lo studio “The Most Innovative Companies” di Boston Consulting Group conferma al primo posto la casa dei Mac e degli iPhone, seguita da Google, Tesla, Microsoft e Amazon. In grande ascesa Netflix e Facebook. Airbnb e Uber per la prima volta in classifica. Anche Samsung e IBM nella Top 10, dove l’unica realtà “old economy” è Toyota. La lista delle prime 50

La trasformazione digitale incide nel modo più dirompente sulla nuova edizione dello studio “The Most Innovative Companies” pubblicato da BCG (Boston Consulting Group), che conferma ancora al primo posto Apple, per il dodicesimo anno consecutivo, seguita da Google e dalla paladina delle auto elettriche: Tesla. Microsoft è stabile al quarto posto, seguita da Amazon, che scala 4 posizioni e entra nella Top 5. In grande ascesa Netflix e Facebook, che irrompono nella Top 10 guadagnando rispettivamente 15 e 19 posti, mentre due tipici alfieri della rivoluzione digitale - Airbnb e Uber entrano in classifica per la prima volta piazzandosi subito rispettivamente al 17° e 21° posto. Nelle prime dieci ci sono anche due colossi storici dell’hi-tech, Samsung e IBM, mentre l’unico rappresentante della “old economy” è Toyota (ottava), seguita appena fuori dalla Top 10 da Bayer (undicesima) e Southwest Airlines (dodicesima).

le 50 compagnie più innovative del mondo 1. Apple 2. Google 3. Tesla 4. Microsoft 5. Amazon 6. Netflix 7. Samsung Group 8. Toyota 9. Facebook 10. IBM 11. Bayer 12. Southwest Airlines 13. Hewlett-Packard 14. BMW 15. General Electric 16. Daimler 17. Uber

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18. Dupont 19. Dow Chemical Company 20. BASF 21. Airbnb 22. Under Armour 23. Gilead Sciences 24. Regeneron Pharmaceuticals 25. Cisco System 26. Pfizer 27. General Motors 28. JP Morgan Chase 29. Johnson & Johnson 30. AXA 31. Nike 32. Expedia 33. Allianz

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34. SpaceX 35. Xiaomi 36. The Walt Disney Company 37. Hilton 38. Renault 39. NTT Docomo 40. Intel 41. Marriott International 42. 3M 43. Dell 44. Orange 45. Siemens 46. Huawei 47. Bristol-Myers Squibb 48. Honda 49. BT Group 50. Procter & Gamble


Viaggi/Turismo e Abbigliamento si segnalano quest’anno come due dei settori più dinamici, il primo trascinato da Expedia, Airbnb e Uber, e il secondo da Nike e Under Armour, che si identificano sempre più con il concetto di “digital fitness company”. Bene anche l’automotive. Per BCG circa il 58% dei consumatori è già disposto a provare una vettura senza conducente, e la ricerca e l’elaborazione di progetti che guardano a un nuovo concetto di mobilità sono alla base dei risultati di società come Tesla, BMW (14esima) e Daimler (16esima). La ricerca è stata condotta a livello globale, intervistando più di 1.500 capi d’azienda di diversi settori, e combinando le loro risposte con i risultati finanziari delle società (fatturato, utili, spesa in ricerca e sviluppo, crescita di valore dell’azione e dividendi) negli ultimi tre anni, cioè nel periodo 2014-2016. Quella di questa edizione, sottolinea BCG, è una classifica geograficamente molto variegata, con 34 società statunitensi, 10 europee, 6 asiatiche. Nessuna realtà italiana è presente, ma questa purtroppo non è una novità. Impressionante l’aumento del peso degli USA, che sale dal 44% del 2013 al 68% di oggi. Per gli autori del report – Michael Ringer, Andrew Taylor e Hadi Zablit, senior partner e managing director di BCG rispettivamente a Boston, Chicago e Parigi – i risultati della ricerca mostrano che la velocità del cambiamento e l’impatto che le nuove tecnologie stanno avendo anche su settori tradizionali rendono cruciale per le aziende la capacità di trovare il bilancio ottimale tra l’innovazione generata all’interno e quella proveniente da fuori. «Le aziende in classifica sono capaci di scandagliare, captare ed elaborare con efficienza i segnali innovativi che giungono da mondi diversi e veloci nel portarli al proprio interno».

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RUBRICA | ri cerch e e s t u d i

Alimentari e Vino, raddoppia la spesa su smartphone degli italiani: 100 milioni di euro nel 2016 Nel nostro paese il mercato eCommerce nel Food&Grocery ha toccato i 575 milioni, crescendo del 30%: un euro su 4 è speso da dispositivi mobili, nel “fresco”, nell’enogastronomia e nella ristorazione. I dati dell’Osservatorio eCommerce B2C del Politecnico di Milano Nel 2016 in Italia il mercato eCommerce di cibo, vino e alimentari in genere (Food & Grocery), ossia l’acquistato da consumatori italiani su siti sia italiani sia stranieri, è arrivato a 575 milioni di euro, crescendo del 30% rispetto al 2015. Una crescita notevole, ma nonostante questo, in valore assoluto il Food&Grocery incide ancora marginalmente (3%) sul totale del mercato eCommerce B2c italiano, che nel 2016 ha quasi toccato i 20 miliardi di euro. Continua quindi la situazione anomala di questo settore, uno dei più importanti in assoluto per il Made in Italy e l’economia italiana. In effetti l’eCommerce rappresenta soltanto lo 0,35% del totale degli acquisti di alimentari degli italiani, mentre nel Regno Unito questa percentuale è dell’8%, in Francia del 6%, e in USA del 2%. Il momento è però propizio per vedere un vero cambio di marcia, visto che l’offerta è finalmente decollata, ma approfondiremo questo punto più avanti. Tornando ai 575 milioni che costituiscono il mercato 2016, la componente principale – in termini di valore degli acquisti – è l’Alimentare (90% del comparto), per un valore di 519 milioni di euro, in crescita del 27% rispetto al 2015. La componente Health&Care, legata a prodotti principalmente acquistati nei supermercati online (Esselunga, Carrefour, Coop), sui siti dei produttori (Henkel, Kimberly Clarks, Unilever) e sui marketplace (Amazon, eBay), pesa per il restante 10%

del comparto e vale 56 milioni di euro, in crescita del 79%. L’Alimentare è composto per oltre il 90% dall’acquisto di prodotti Food e per meno del 10% dal Wine. In particolare, nel Food il 60% della domanda si riferisce all’acquisto di prodotti “secchi” (ossia confezionati, incluso il caffè), il 31% ai “freschi” (prodotti a temperatura controllata, incluso il cibo pronto), il 7% alle bevande e il restante 2% ai surgelati. Nel 2016 gli acquisti via Smartphone nel Food&Grocery sono raddoppiati raggiungendo quota 100 milioni di euro, pari al 17% del totale eCommerce del comparto. Gli acquisti via Smartphone sono diffusi in tutti i principali ambiti (Grocery, Enogastronomia e Ristorazione). Nel Grocery lo Smartphone è utilizzato sia per acquisti d’urgenza, quando viene a mancare il tempo di andare a fare la spesa, sia per maggiore comodità nello sfruttare i tempi morti (viaggi, attese) durante la giornata. Nell’Enogastronomia gli acquisti si riferiscono prevalentemente alle capsule del caffè, facilmente riordinabili su Smartphone, mentre nella Ristorazione lo Smartphone è molto comodo per ordinare il pasto quando si è ancora in viaggio prima di arrivare a casa. Aggiungendo gli acquisti da Tablet, la penetrazione sale al 25% della spesa online totale in Food&Grocery. «Il Food&Grocery è uno dei settori che suscita oggi più interesse nel panorama

Nel Food, un settore di punta del Made in Italy, l’eCommerce rappresenta solo lo 0,35% del totale degli acquisti di alimentari degli italiani, contro l’8% del Regno Unito e il 6% della Francia. Qualcosa però sta cambiando: l’offerta è finalmente decollata | 76 |

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eCommerce B2c in Italia sia per l’enorme potenziale ancora inespresso, sia per il fermento mostrato dall’offerta negli ultimi due anni», commenta Alessandro Perego, Direttore Scientifico Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano. Il settore, sottolinea Perego, storicamente mostra una penetrazione di eCommerce significativamente inferiore rispetto a quella di altri comparti – Abbigliamento (5%), Informatica ed elettronica di consumo (16%) e Turismo (29%) – e rispetto ai valori registrati nello stesso settore in altri Paesi dove l’eCommerce B2c è più evoluto (Francia, UK, USA). «La scarsa diffusione dell’online nel settore è prevalentemente riconducibile, a nostro avviso, alla carenza di offerta che per lungo tempo ha caratterizzato il mercato italiano. Soprattutto nel comparto Grocery le iniziative online dei supermercati sono state poche e, in molti casi, con progetti sperimentali a copertura limitata del territorio. Negli ultimi anni però qualcosa è cambiato e c’è stata una proliferazione di iniziative online, sia da parte dei retailer tradizionali sia da parte di Dot Com “pure player” (anche startup). L’aumento dell’offerta si è osservato indistintamente in tutti gli ambiti, dai prodotti da supermercato a quelli gastronomici, dal vino al cibo pronto. Riteniamo pertanto che finalmente siano state gettate le basi per uno sviluppo strutturato dell’eCommerce nel settore».


RU B |RICA | n o mine rubrica nomin e

Emanuele Baldi Country General Manager e Amministratore Delegato, Lenovo Italia Cambio della guardia al vertice di Lenovo Italia. Emanuele Baldi è il nuovo Country General Manager e Amministratore Delegato della multinazionale in Italia, come successore di Mirko Poggi. Inoltre, è Territory Manager per Italia e Israele, secondo la nuova organizzazione Lenovo dell’area EMEA (Europa, Medio Oriente e Africa) e risponde direttamente al Vice-President EMEA (e LATAM – America Latina), l’italiano Luca Rossi. Il nuovo Amministratore Delegato è un volto noto agli operatori del canale italiano: è, infatti, reduce da un’esperienza di

quattro anni in Fujitsu Technology Solutions, dove ha ricoperto la carica di Direttore Commerciale, Prodotti e Canali. In precedenza è stato B2B Sales Director in Ingram Micro, e per un anno Western & Central Europe Sales Director in Logicom. In precedenza ha lavorato sedici anni in Intel, dove in ultima battuta ha ricoperto il ruolo di Western and Eastern Europe Sales Director, con la responsabilità diretta di Italia e Israele, oltre a Francia, Iberia, Grecia ed Europa dell’Est. Laureato in informatica e con esperienza di project management nei settori IT

e telecomunicazioni, Baldi ha compiuto studi di business administration all’Insead di Fontainebleau e ha pubblicato tre libri specialistici in Information Technology con Jackson e Mondadori.

Mario Federico Amministratore Delegato, McDonald’s Italia

Cambio al vertice per McDonald’s Italia. Mario Federico è il nuovo Amministratore Delegato della sede italiana dell’azienda, che conta sul territorio nazionale 540 ristoranti e 20.000 dipendenti. Originario della provincia di Salerno,

classe 1963, sposato e padre di due figlie, Federico ha iniziato il suo percorso in McDonald’s nel 1999, ricoprendo nel corso degli anni ruoli di crescente responsabilità in Germania, Italia (dal 2003 al 2007), Spagna e Svizzera dove è sta-

to Amministratore Delegato dal 2009 al 2013. In seguito è stato Chief Restaurant Officer per McDonald’s Europe e Restaurant Solutions Group Officer per il segmento High Growth Markets che include anche l’Italia.

Elena David Amministratore Delegato, Valtur

Elena David è il nuovo Amministratore Delegato di Valtur. Lascia così la catena alberghiera UNA Hotels & Resorts, di cui

è stata alla guida dal 2000 a oggi, contribuendo anche al suo lancio. Laureata in Economia e Commercio presso l’Università di Firenze, master honoris causa in Economia e Gestione del Turismo presso l’Università Ca’ Foscari Venezia e Ciset (Centro Internazionale di Studi sull’Economia Turistica), David ha un interessante bagaglio di esperienze professionali nel settore dell’hospitality. La sua carriera è iniziata nel 1990 in Starhotels, in cui ha ricoperto da ulti-

ma la carica di Direttore Generale. Alla continua ricerca di nuove opportunità di crescita per l’intero settore turistico italiano, offre un contributo concreto allo sviluppo della “cultura del turismo”, attraverso incarichi istituzionali nel settore dell’ospitalità: dal 2008 al 2012 è stata Presidente di Confindustria AICA - oggi è membro del CD dell’Associazione - dal 2012 al 2016 è stata Vice Presidente di Federturismo, ed è Presidente di AICEO (Associazione Italiana CEO).

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RUBRICA | nomine

Michele Perrino Amministratore Delegato, Medtronic Italia Medtronic Italia, azienda che fornisce tecnologie, servizi e soluzioni mediche, ha nominato Michele Perrino nuovo Amministratore Delegato. Il manager prende così il posto di Luciano Frattini, che ha guidato l’azienda negli ultimi sei anni. Classe 1970, laureato in Economia e Commercio e con successiva specializzazione in Finanza Pubblica Internazionale presso l’Università degli Studi di Bari e Santander (Spagna), Perrino ha maturato

la sua ventennale carriera professionale presso aziende multinazionali operanti nel settore biomedicale, ricoprendo ruoli di Top Management e consolidando reputazione e conoscenza dei mercati internazionali. Dopo nove anni trascorsi in Italia con Ethicon Endo-Surgery e Cordis, entrambe società del gruppo Johnson & Johnson Medical, nel 2007 si trasferisce a Bruxelles per lavorare in Volcano Corporation, azien-

da leader nell’imaging e fisiologia intravascolare. Negli otto anni di permanenza in questa realtà da Sales Director EMEAI (Europa, Medio Oriente, Africa, India) raggiunge il ruolo di General Manager EMEAI, per poi diventarne President International nel 2012. Membro dell’Executive Team dal 2009 ha contribuito a traghettare la Corporation nel processo di integrazione con Philips HealthCare, completato nel 2015.

Michele Piemontese Amministratore Delegato, Faber-Castell Italia Faber-Castell Italia annuncia la nomina di Michele Piemontese ad Amministratore Delegato della filiale italiana dell’azienda tedesca. Napoletano, classe 1972, Piemontese è responsabile della gestione strategica con l’obiettivo di mettere al servizio del nuovo ruolo la propria esperienza, approfondita e trasversale, maturata al top management di aziende di respiro internazionale. Dopo il conseguimento della Laurea in

Economia del Commercio Internazionale e dei Mercati Valutari, nel 1999 entra in Philips, dove ricopre nel corso degli anni incarichi di crescente responsabilità in ambito Vendite e Marketing in diverse aree di business. Nel 2012, in qualità di General Manager della divisione Lifestyle Entertainment, è chiamato da Philips a guidare lo spin-off del comparto Home Cinema & Home Video, Audio & Multimedia, Headphones,

Dect, Accessories, da cui nasce Gibson Innovations di cui Piemontese è stato Amministratore Delegato per il cluster Italia, Israele, Grecia, Malta e Cipro.

digital4EXECUTIVE

hanno collaborato

progetto grafico

Domenico Aliperto, Annalisa Casali, Patrizia Licata

Stefano Mandato

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mara.perego@digital4.biz - erika.lovisetto@digital4.biz

ADM Studio Sas - Cologno Monzese (MI)

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Paola Capoferro Ronchetta, Daniele Lazzarin

Illustrazioni di Fabio Margarita

Pagani - Passirano (BS)

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Direttore responsabile Manuela Gianni (redazione@digital4.biz)

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