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BRIDGING THE GAP BETWEEN TECHNOLOGY & BUSINESS
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. Going digital, la mission di Procter&Gamble Intervista a Filippo Passerini, President - Global Business Services and CIO Worldwide . Fabio Sdogati La crisi dei debiti pubblici europei: quali prospettive . Barilla: pioniere nel Digital Marketing . Fatturazione Elettronica, un'opportunitĂ per il Sistema Paese
EDITORIALE
ANNIVERSARI: DIECI ANNI FA LO SCOPPIO DELLA BOLLA INTERNET di
UMBERTO BERTELÈ PRESIDENTE ADVISORY BOARD ICT4EXECUTIVE
Nell’estate di dieci anni fa si andava progressivamente sgonfiando, dopo il picco del 10 marzo, la bolla Internet. Le conseguenze macro e micro di quanto accadde allora sono tuttora molto presenti, ma di segno diverso. L’enorme immissione di liquidità per evitare una crisi “tipo 1929”, che fece seguito allo scoppio della bolla e fu ulteriormente ampliata dopo l’11 settembre, ha reso possibile la successiva bolla subprime con la conseguente crisi tuttora in atto. Mentre la pulizia che lo scoppio generò, portando all’eliminazione di imprese che non avevano ragione di esistere, ha creato le condizioni per la situazione di forte dinamicità attuale. Una situazione che vede Internet estremamente vitale nel generare business model nuovi, ma anche potenzialmente letale per diverse delle imprese che avevano avuto un ruolo dominante - anche nel passato recente - non solo nell’ICT, ma anche in settori adiacenti (quali l’elettronica di consumo) o molto più lontani (quali i media, l’entertainment e la pubblicità). I campioni di questa fase storica sono per universale riconoscimento due - Apple e Google - quasi irrilevanti al momento dello scoppio della bolla, anche se con storie molto diverse: nobile decaduta Apple, che nel 2000 stava a stento uscendo da una profonda crisi; quasi neonata Google, sorta due anni prima. Due campioni in rapporti estremamente amichevoli sino a poco tempo fa, quando c’era un nemico della forza di Microsoft da combattere; in rotta di collisione ora, dopo l’entrata di Google nel mobile con Android e quella di Apple nella pubblicità attraverso le apps. Di converso, c’è chi vede il proprio business model al tramonto e deve combattere per trovare nuovi punti di forza. Il passaggio dal desktop al portatile ha ad esempio messo in crisi sostanziale il business model di Dell e la sua posizione dominante nei pc. Il disfacimento in atto dell’idea stessa di pc - con la moltiplicazione degli smartphone, dei netbook, dei tablet, etc. e la possibilità di “prendere” il software dalla rete - sta minando lo storico monopolio di Microsoft. E l’impressionante evoluzione degli smartphone sembra stia confinando Nokia, nonostante la quota elevatissima tuttora detenuta, nella fascia meno remunerativa del mercato. È in caduta libera il business model dei giornali, che perdono copie e pubblicità. È a rischio quello delle televisioni, che vedono parte della loro audience trasferirsi ai social network. Sembrano svanire i sogni dei grandi operatori telecom di essere i protagonisti della rete. I giochi elettronici sono sempre più insidiati da quelli online. E si vendono persino meno orologi, perché l’ora può essere facilmente letta sui cellulari.
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COVER STORY
Going Digital, la mission di Procter & Gamble Andrea Rangone intervista Filippo Passerini, President Global Business Services and CIO worldwide
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MANAGEMENT
Dalla crisi del credito alla crisi dei debiti pubblici europei di Fabio Sdogati
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Innovare l’organizzazione con lo sguardo verso il futuro ADVISORY BOARD Umberto Bertelè Presidente Advisory Board Giampio Bracchi Politecnico di Milano Carlo Alberto Carnevale Maffè Università Bocconi Maurizio Dècina Politecnico di Milano Giuliano Noci Politecnico di Milano Andrea Rangone Politecnico di Milano Francesco Sacco Università dell’Insubria - SDA Bocconi Federico Barilli Direttore Assinform Alberto Felice De Toni Presidente Associazione Italiana Ingegneria Gestionale Stefano Pileri Presidente Confindustria Servizi Innovativi e Tecnologici Nunzio Calì Deputy CIO Fiat Group Automobiles e CIO Fiat Group Purchasing Gianluigi Castelli Executive Vice President ICT ENI Pierluigi Curcuruto COO Intesa Sanpaolo Milo Gusmeroli Vicedirettore Generale Banca Popolare di Sondrio Massimo Milanta Amministratore Delegato UniCredit Global Information Services Alessandro Musumeci Direttore Centrale Sistemi Informativi Ferrovie dello Stato Filippo Passerini President, Global Business Services and CIO Procter & Gamble Mauro Viacava CIO Barilla Holding Raffaello Balocco Segretario Advisory Board
di Vijay Govindarajan
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INTERVISTE
Il valore strategico della Supply Chain per Sony Salvatore Paparelli, Direttore Vendite Sony Italia
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Barilla pioniere nel Digital Marketing Eugenio Perrier, Brand Development & Innovation Director Barilla
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OSSERVATORIO
Fatturazione Elettronica in Italia, avanti piano di Alessandro Perego e Paolo Catti
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Se parte la caccia ai nuovi suffissi del Web di Marco Rapini
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SPECIALE “PUBBLICA AMMINISTRAZIONE”
Transizione al digitale, un’opportunità per l’Italia da cogliere subito di Pierfilippo Roggero, Presidente e AD Fujitsu T.S. Italia
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SPECIALE “CLOUD”
Cloud computing, flessibilità, risparmio e una nuova governance
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RUBRICA
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RICERCHE E STUDI
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RUBRICA
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NOMINE CEO & CIO
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COVER STORY
di
ANDREA RANGONE
COORDINATORE OSSERVATORI ICT&MANAGEMENT SCHOOL OF MANAGEMENT POLITECNICO DI MILANO
GOING DIGITAL, LA MISSION DI PROCTER & GAMBLE La tecnologia digitale come leva per la business tranformation, per ridurre i costi e rispondere con tempestività alle richieste del mercato. Il manager italiano, che dall’headquarter di Cincinnati guida una delle Business Unit della multinazionale, parla della strategia che punta a digitalizzare tutti i processi, citando numerosi esempi concreti: dall’utilizzo della realtà virtuale nello sviluppo di prodotto alla Business Intelligence in real time, fino ai social network per comunicare con i clienti
Già da diverso tempo la funzione IT di P&G è stata ribattezzata Information & Decision Solutions, un passaggio che evidenzia un utilizzo delle tecnologie ICT orientato alle esigenze del business, attraverso la gestione di informazioni e lo sviluppo di soluzioni. In cosa consiste e come si concretizza oggi la vostra strategia digitale? P&G è sul mercato da oltre 170 anni: siamo una delle più longeve compagnie al mondo. Per questo motivo tutte le nostre decisioni strategiche sono in un’ottica di sostenibilità di lungo periodo. Ogni giorno oltre 2 miliardi di consumatori in tutto il mondo usano un nostro prodotto e intendiamo raggiungere un altro miliardo di persone nei prossimi anni. In questo contesto, il ruolo delle tecnologie digitali è fondamentale: è importante sempre comprendere il valore dell’Information Technology per il business e quale tipo di trasformazione è possibile creare. Il nostro CEO, Bob McDonald, crede molto nel | 6 |
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ruolo strategico dell’IT. Crede che la tecnologia possa trasformare il modo di fare business e vuole che diventiamo un’organizzazione sempre più avanzata in questo senso. Recentemente ha dichiarato pubblicamente: “I want P&G to be the most technology-enabled company in the world. I want to digitize P&G from end to end”. Si tratta di un grande riconoscimento per tutte le persone che operano in questo ambito, ne siamo molto grati a Mr. McDonald, ed ovviamente ci pone una grossa responsabilità. Il nostro obiettivo, in questo processo, è quello di ridurre in modo significativo i tempi e i passaggi intermedi, creando un ambiente real time. Siamo focalizzati su tre aspetti: standardizzare sistemi, processi e informazioni, per semplificare il più possibile; automatizzare, per eliminare passaggi che non creano valore aggiunto; integrare fra loro i diversi sistemi, “orizzontalmente”, per rendere l’azienda digitale da un capo all’altro. Per noi com-
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Intervista a
FILIPPO PASSERINI PRESIDENT GLOBAL BUSINESS SERVICES AND CIO WORLDWIDE PROCTER & GAMBLE
Chi è Filippo Passerini Filippo Passerini, nato a Roma nel 1957, si laurea in Scienze Statistiche e Ricerca Operativa. Nel 1981 entra in Procter&Gamble dove avvia il suo prestigioso percorso professionale sempre all’interno del Gruppo, in linea con la filosofia di “promozione dall’interno” da sempre elemento strategico per P&G. Dopo i primi 7 anni in Italia si sposta prima in Turchia, poi in Inghilterra, successivamente in Sud America, poi negli Stati Uniti, con incarichi di responsabilità sempre crescente nell’ICT, che segnano di fatto il punto di non ritorno ad una carriera nazionale. Segue un periodo in Grecia, questa volta come Marketing Manager della Business Unit locale, per poi ritornare in USA nell’attuale incarico di President, Chief Information Officer & Global Business Services (GBS) di P&G, esempio lampante di come il nostro paese sia in grado di esportare nel mondo una classe manageriale di eccellenza. La GBS include i servizi condivisi per tutto il Gruppo, la contabilità, i sistemi di Human Resources, la parte di Facility Management, parte del Purchasing, e la funzione dei Sistemi Informativi, denominata Information Decisions Solutions (IDS). IDS lavora a stretto contatto con tutte le Business Unit e il suo ruolo va oltre i tradizionali aspetti dell’Information Technology (“hardware and software”). Il suo obiettivo è anche quello di guidare la definizione di nuove capabilities strategiche per il business, attraverso l’integrazione di informazioni, analytics e nuovi modelli di business. L’IDS trasforma lo sviluppo tecnologico in un vantaggio competitivo per l’azienda.
primere i tempi di innovazione sul mercato, velocizzare lo sviluppo e la commercializzazione dei nostri prodotti, è diventato di vitale importanza: negli ultimi anni infatti si è riscontrata una drastica accelerazione dell’innovazione. E non solo per noi, ma in tutti gli ambiti; basti pensare al settore automobilistico, a quello dell’elettronica, alla moda, industriale,.... La strategia digitale di Procter & Gamble è molto articolata, ma se ne possono individuare quattro componenti principali. La prima è rappresentata da strumenti dedicati a particolari aree di business, introdotti con lo scopo di velocizzare, ottimizzare e ridurre costi: le chiamerei “tecnologie verticali”. La seconda riguarda le soluzioni di Business Intelligence real time, che comprendono anche l’analisi del Web. La terza componente ha l’obiettivo di digitalizzare la Supply Chain, dalla ideazione del prodotto fino allo scaffale; la quarta e ultima componente riguarda i collaboratori e i
Filippo Passerini ha 15 riporti diretti con un totale di 7200 persone, più circa 4000 risorse esterne. Di queste, circa 3000 interni e 2000 esterni sono ICT. Nella propria carriera Filippo Passerini è sempre riuscito a coniugare le aspirazioni professionali con uno stile di vita fortemente orientato alla famiglia ed alle radici nazionali, basando il proprio successo non solo su un bagaglio di competenze elevate, ma anche su una capacità di motivare e coinvolgere persone, di creare e trasformare in valore le relazioni, di agire con intelligenza emotiva.
Il nostro CEO crede molto nel ruolo strategico dell’IT. Recentemente ha dichiarato: «I want P&G to be the most technology-enabled company in the world». È un grande riconoscimento per tutte le persone che operano in questo ambito www.ict4executive.it
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Abbiamo scelto strategicamente di focalizzarci sulla simulazione e sulla visualizzazione attraverso la realtà virtuale, ottenendo risultati notevoli: accelerazione del processo di lancio di prodotti sul mercato e riduzione di costi
nuovi strumenti per il “digital workplace”, che permettono di operare in tempo reale e in maniera più efficace. Ci può fare degli esempi concreti di utilizzo innovativo delle tecnologie in specifiche aree di business per velocizzare lo sviluppo dei prodotti e ridurre i costi? Da circa tre anni abbiamo scelto strategicamente di focalizzarci sulla simulazione e sulla visualizzazione attraverso la realtà virtuale, ottenendo risultati notevoli in termini sia di accelerazione del processo di lancio di prodotti sul mer-
cato sia di riduzione di costi. Abbiamo virtualizzato l’interazione coi consumatori nei focus group, i test che servono a studiare l’intenzione di acquisto del consumatore, le sue preferenze, come reagisce al packaging di un nuovo prodotto, al colore, o alla forma, dove il prodotto deve essere posizionato sullo scaffale e via dicendo. In passato, per ricevere questi feedback era necessario realizzare fisicamente il mock up da far vedere al consumatore, ma ci volevano alcune settimane, mentre per quello virtuale impieghiamo pochi giorni o a volte qualche ora. Ora l’80% delle iniziative le facciamo con questo metodo che è, oltre che più rapido, anche molto più economico. La simulazione viene anche utilizzata nell’ambito della produzione, per esempio per testare la capacità di un packaging di reggere l’impatto d’urto, oppure nella fase di sviluppo, per esempio per capire l’aderenza di un pannolino o la capacità di assorbenza. Questi test venivano prima fatti fisicamente o con dei complessi modelli matematici. Il metodo è utile anche nella creazione di una linea di produzione nuova: si può per esempio calcolare la velocità massima di una bottiglia
La strategia “Going Digital” di P&G sistemi, processi e informazioni, per semplificare per eliminare passaggi senza valore aggiunto i diversi sistemi, per rendere l’azienda digitale da un capo all’altro
Standardizzare: Automatizzare: Integrare:
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COVER STORY | GOING DIGITAL, LA MISSION DI PROCTER & GAMBLE
sulla linea prima che cada, o la stabilità. Questo approccio porta ad accellerare i tempi e ridurre i costi. Ci sono naturalmente molte aree di applicazione. Questo è pertanto un “viaggio” più che una “destinazione”. Quello che fa la differenza sono i modelli di business che si costruiscono sulla tecnologia. Operate in un contesto globale, con un elevatissimo numero di prodotti. Quali sono le metodologie e le soluzioni tecnologiche messe a punto per seguire l’andamento del business in tempo reale e intervenire tempestivamente? Per noi visualizzare l’informazione corretta è fondamentale per comprendere in tempo reale quello che facciamo. Non basta però sapere cosa sta succedendo al business, ma anche come è possibile intervenire: simulare i processi è ciò che oggi ci permette di agire in maniera molto più rapida rispetto al passato. Fino a pochi anni fa utilizzavamo una reportistica classica, con moltissimi dati numerici. Da qui ci stiamo spostando verso una soluzione di Business Intelligence in tempo reale con una visualizzazione basata su Cockpits. Questi hanno il vantaggio di unire “control charts”, “color coding” per evidenziare subito cosa necessita di un intervento, con possibilità di fare “drill down” e “alerts” automatici. In questo modo grandi quantità di dati vengono filtrati e presentati in maniera molto più inutitiva e rapida da analizzare. C’è poi anche il vantaggio di una distribuzione simultanea dell’informazione a tutte le persone che ne necessitano, a tutti i livelli. L’idea è di fare ora un altro passo avanti, ovvero di muoversi su modelli predittivi: invece di limitarsi ad analizzare il passato cerchiamo di prevedere quello che potrà avvenire, con analisi “what-if” . Veniamo ora agli strumenti di lavoro per i collaboratori e in particolare i cambiamenti introdotti dalle nuove generazioni di nativi digitali che stanno entrando nelle organizzazioni. Quale approccio adottate e quali soluzioni di collaborazione utilizzate in Procter&Gamble, considerando la grande dispersione del personale? Circa un terzo degli assunti sono ormai giovani che interagiscono da anni tramite social network, instant messaging e smartphone e portano con loro un modo di lavorare ormai consolidato. Questi strumenti stanno creando un cambiamento culturale, un modo diverso di collaborare che aiuta la velocità. C’è sempre più un’integrazione tra la vita lavorativa e quella privata. E mentre in precedenza al lavoro si avevano gli strumenti tecnolo-
Procter & Gamble nel mondo Procter & Gamble, fondata nel 1937, è una multinazionale che sviluppa produce, commercializza e distribuisce beni di largo consumo alimentari e per la cura della persona. Impiega circa 130.000 dipendenti e opera in 80 paesi, commercializzando oltre 300 marchi a 2 miliardi di clienti nel mondo, con un fatturato annuo di quasi 80 miliardi di dollari. Alcuni fra i marchi più noti sono Ariel, Braun, Dash, Gillette, Pantene, Olay, Pampers, Wella e Viakal. Dal 1956 il Gruppo P&G è presente anche in Italia, dove possiede tre stabilimenti di produzione e due centri tecnici di ricerca in cui lavorano circa 4000 persone. Gli stabilimenti sono a Pomezia (Roma), dove si producono detersivi in polvere e liquidi, a Gattatico (Reggio Emilia), stessa produzione, e a Campochiaro (Campobasso), dove si produce candeggina Ace. A Sambuceto (Chieti) e Pomezia ci sono i centri ricerche. Dal 1999 Procter & Gamble è strutturata in 4 Business Unit (BU): le Global Business Units (GBU), le Market Development Organizations (MDO), le Corporate Functions (CF) e i Global Business Services (GBS). Le GBU si occupano di ricerca, sviluppo, produzione e strategie di marketing dei prodotti; le MDO locali (tra cui quella italiana) gestiscono la struttura commerciale, rapporti con i clienti e comunicazioni con i consumatori locali; le CF offrono servizi specifici, principalmente di governance, formazione, sviluppo di competenze funzionali specifiche; GBS ha un ruolo trasversale nei servizi e nell’Information Technology. La funzione dei Sistemi Informativi, denominata Information Decisions Solutions (IDS) è incardinata nella struttura GBS e lavora a stretto contatto con tutte le Business Units. Il ruolo dell’IDS va oltre i tradizionali aspetti dell’Information Technology e il suo principale obiettivo è quello di guidare lo sviluppo di nuove business capabilities e business transformation.
gici migliori, ora accade il contrario: spesso a casa si hanno strumenti più potenti ed efficaci di quelli disponibili sul posto di lavoro. I comportamenti sono simili in tutti i giovani della stessa generazione e ceto sociale: oggi una persona francese di 30 anni di una certa classe sociale è molto più affine all’indonesiano, al giapponese, all’argentino dello stesso ceto sociale e della stessa età di
I social network sono diventati un canale molto importante, per tutti. Stiamo cercando di utilizzarli per parlare con i consumatori, per raccogliere input, per comunicare. I blog creano vere e proprie correnti di pensiero www.ict4executive.it
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COVER STORY | GOING DIGITAL, LA MISSION DI PROCTER & GAMBLE
quanto non siano due persone dello stesso Paese e della medesima età, ma appartenenti a classi sociali diverse. Uno strumento di collaborazione molto utilizzato in Procter & Gample è la videocomunicazione. Nella nostra organizzazione, nel processo di sviluppo di un prodotto sono coinvolte diverse funzioni, ad esempio il marketing in Asia, R&D negli Stati Uniti ed altre funzioni in Europa, che hanno grossa necessità di collaborare e di essere a continuo contatto: certo si può viaggiare, ma cerchiamo di comunicare attraverso la videoconferenza per velocizzare le decisioni e ridurre i tempi e le difficoltà che il viaggiare comporta. Abbiamo 85 videoconferenze ad altissima definizione nel mondo, siamo la compagnia al mondo che ne ha installate di più nel più breve tempo. Per ogni dollaro investito, abbiamo ottenuto 4 dollari di ritorno sull’investimento.
L’acquisizione di Gillette Nel gennaio 2005 P&G ha annunciato a Wall Street l’acquisizione di Gillette Company; in quel momento è cominciato il progetto più grande nell’industria CPG (Consumer Product Goods) destinato a segnare un benchmark importante e difficile da battere: completare l’integrazione di persone e processi di business nell’arco temporale di 15 mesi. Ecco i numeri del progetto di integrazione: 5 continenti, 13 nazioni (US, Canada, Puerto Rico, Dominican Republic, England, Ireland, Belgium, Netherlands, Luxemburg, Russia, China, Brazil e Ecuador), 43 Distribution Centers. Una complessità rappresentata da 16.000 nuovi codici prodotto, 12.000 clienti, 64.000 informazioni prezzo, 27.000 dipendenti, 9.300 trasferimenti di personale. Il tutto realizzato attraverso l’analisi e l’implementazione di 1.100 progetti. Durante questa integrazione l’IT della P&G ha giocato un ruolo di leadership in prima linea, espresso fondamentalmente attraverso la divisione GBS (Global Business Services), che ingloba al suo interno circa tutte le risorse IDS (Information & Decision Solutions: è questo il nome con cui da qualche anno la funzione IT si è ribattezzata in P&G) e professionisti di altre funzioni (Finance, HR, Purchases, ...). Tale leadership si è espressa non solo nell’integrazione dell’infrastruttura tecnologica e informatica di Gillette e nell’integrazione degli Shared Services, ma soprattutto nel ruolo di Project Management che i professionisti GBS hanno reso all’interno dei 15 business team globali che hanno eseguito il progetto di integrazione in tutti i suoi aspetti. Durante il corso dell’integrazione sono stati convertiti alla piattaforma SEWP (è così che si chiama in P&G il sistema operativo per l’end-user workstation) ben 14.500 personal computers, con un grado di soddisfazione finale di 4.3/5. Per quanto riguarda invece le re location di dipendenti, il grado di soddisfazione è stato di 4.5/5. Un record difficile da battere considerati gli aspetti emotivi ed umani di un progetto di integrazione.
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E come state vivendo il dilagare dei social network? Quale l’impatto nella comunicazione con i consumatori? Stiamo cercando di utilizzare al meglio questi strumenti, che sono una realtà. Più che contenere e controllarne o limitarne l’uso da parte delle nostre persone, stiamo quindi cercando di utilizzarli per parlare con i consumatori, per raccogliere input, per comunicare. Il notevole sviluppo dei social network negli ultimi anni ha fatto sì che questo nuovo canale sia diventato molto importante, per tutti. I blogs on line creano vere e proprie correnti di pensiero. La pervasività delle tecnologie digitali nell’organizzazione sta anche modificando i modelli organizzativi. Qual è la vostra esperienza? La storia famosa del pesce grande che mangia il pesce piccolo si è evoluta, nel tempo, nella storia del pesce veloce che mangia il pesce lento. Io penso che sia in corso una ulteriore evoluzione in questi ultimi anni: il pesce che riesce a stabilire un network con altri pesci ha un vantaggio rispetto ad un pesce che opera indipendentemente, per quanto grande e veloce possa essere. Ci sono aziende che hanno avuto difficoltà per la loro organizzazione monolitica che funzionava benissimo 15-20 anni, ma molto meno ora. Mentre oggi operare in network può dare molti vantaggi: innovazione, massa critica, skills... Per questo all’interno della mia organizzazione abbiamo creato una competenza specifica: le persone devono imparare a gestire un ambiente di interdipendenza e questo per noi è di grande importanza. Faccio un esempio concreto. Quando abbiamo integrato Gillette, un business di 11 miliardi di dollari e 29.000 persone, siamo riusciti a completare il progetto in 15 mesi, invece dei 3-4 anni che solitamente questi progetti richiedono. Date le notevoli sinergie risultanti dall’integrazione, questo ha creato molto valore. E non sarebbe stato possibile senza il contributo immediato di risorse dei nostri partners strategici.
MANAGEMENT
di
FABIO SDOGATI
PROFESSORE DI ECONOMIA INTERNAZIONALE POLITECNICO DI MILANO
DALLA CRISI DEL CREDITO ALLA CRISI DEI DEBITI PUBBLICI EUROPEI Le dure politiche di risanamento dei conti pubblici messe in atto dai governi non avranno effetti positivi sull’economia reale: la dimensione dei debiti sovrani è ormai talmente grande che il modo di pensare tradizionale appare inadeguato. Un’analisi “fuori dal coro” dello scenario economico attuale
LA TESI Obiettivo di questo breve saggio è presentare un’analisi della situazione economica mondiale corrente diversa da quella che, almeno apparentemente, sembrano aver adottato i governi dei paesi membri dell’Unione Europea. La tesi che si vuol sostenere è che le politiche di ‘risanamento dei conti pubblici’ di cui si discute ampiamente: a. sono basate su analisi errate della situazione corrente; b. produrranno un peggioramento sensibile delle condizioni economiche in Europa; c. avranno l’effetto di ristabilire flussi di finanziamento certo dei debiti privati e pubblici statunitensi – il cui governo non sembra gradire affatto l’idea del cosiddetto ‘risanamento’ dei propri conti. Incidentalmente: proprio questo sembra essere stato | 12 |
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il risultato del G20 di Toronto, tenutosi il 26 e 27 giugno scorsi. PREMESSA Quando chi scrive sosteneva, già nell’inverno 2007-2008, che la crisi che al tempo i più chiamavano ‘dei mutui subprime’ avrebbe generato effetti durissimi su crescita e occupazione in tutti i paesi ad alto reddito pro capite, veniva guardato con forte scetticismo(1). In fondo, si trattava di una voce fuori dal coro, un coro i cui cantori magnificavano la potenza ‘dei mercati’ e la loro capacità di restituire al mondo equilibrio e crescita in tempi rapidi. Venne poi la crisi del credito e, a seguire, la ‘Grande Recessione’, espressione molto usata nella pubblicistica anglosassone ma poco da noi dove, si sosteneva e si continua a sostenere, la disoccupazione misurata in percento delle forze di lavoro è più bassa che altrove, dove le banche hanno avuto il buonsenso di non detenere in portafoglio titoli tos-
MANAGEMENT | DALLA CRISI DEL DEBITO ALLA CRISI DEIMANAGEMENT DEBITI PUBBLICI | AAAAAAA EUROPEI
sici (ma nel suo pezzo di apertura del primo numero di questa rivista Umberto Bertelè ha sottoposto alla considerazione dei lettori anche un’altra ipotesi, che definisce ‘maligna’), dove la resilienza della famosa ‘piccola e media impresa’ mette tutti al riparo dagli scatafasci che colpiscono il resto del mondo. Emma Marcegaglia ha fatto giustizia di queste favole in libera circolazione nella sua relazione al recente congresso annuale di Confindustria, citando numeri veri, peraltro in gran parte di fonte governativa. Problema: chi ricorda come si è sviluppata questa crisi? E, non ricordandolo, come fa chi non ricorda ad identificare scenari di sviluppo (o sottosviluppo) dell’economia mondiale? LE ORIGINI LONTANE DELLA CRISI Le origini lontane della crisi hanno ormai una spiegazione ‘di consenso’, cioè largamente condivisa, sulla quale occorre spendere non più di poche parole. Sembra di poter dire che la coincidenza di quattro eventi sia alla base della crisi. • Il finanziamento crescente dei disavanzi correnti del governo statunitense da parte delle economie emergenti e della Cina in particolare (circa 19942007).
• La deregolamentazione del settore dell’intermediazione finanziaria mediante la progressiva eliminazione delle regole fissate nel 1933 mediante il Glass-Steagall Act (circa 1990-1999). • L’emergere di metodologie per la distribuzione e la valutazione del rischio del tutto nuove e largamente incomprese, e comunque non regolamentate, dal regolatore (circa fine anni ottanta). • La politica monetaria fortemente espansiva adottata a partire dalla cosiddetta ‘crisi delle dotcom’ e continuata per diversi anni per ragioni diverse (circa 2001-2007). Le difficoltà in cui si trovavano nella prima parte del 2007 tanto le banche commerciali che quelle di
A partire dalla seconda metà del 2009 l'economia mondiale cominciava a dare segnali di ripresa deboli ma incoraggianti. L'attacco ai debiti dei Paesi dell'area euro ha provocato un mutamento di rotta
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MANAGEMENT | DALLA CRISI DEL DEBITO ALLA CRISI DEI DEBITI PUBBLICI EUROPEI
investimento vennero poste all’attenzione del grande pubblico all’inizio di agosto di quell’anno, quando una grande banca annunciò pubblicamente che alcuni suoi fondi comuni di investimento trovavano difficoltà a far fronte ai rimborsi di quote richiesti dai loro sottoscrittori. La reazione delle autorità di politica economica fu repentina e, agli occhi di chi scrive, corretta. A reagire immediatamente fu la Banca Centrale Europea, seguita poche ore più tardi da quella statunitense: correttamente, ad una crisi di natura finanziaria e di liquidità si doveva reagire fornendo agli intermediari finanziari liquidità. Si poteva discutere, e si discusse, sulla quantità, sulle forme, sul costo: ma la sostanza dell’intervento non venne mai veramente messa in discussione se non, in maniera anche massiccia, negli Stati Uniti, dove si andava sviluppando un movimento d’opinione che riusciva a trovar udienza in Congresso e che sosteneva che ‘salvare le banche’ non era la sola strategia possibile, e che almeno un’altra ne esisteva: ‘salvare i mutuatari’ e, con loro, l’economia reale. Nella prima fase della crisi, quella cioè in cui, giusto o sbagliato che fosse, si scelse di salvare il sistema finanziario, la risposta della politica economica non poteva che essere di tipo (prevalentemente) monetario. Questo intervento prese inizialmente la forma di iniezioni di liquidità di dimensioni inaudite nel sistema bancario mondiale: erano poche le vestali dell’ortodossia monetaria che, di fronte al pericolo di un crollo puro e semplice del sistema bancario e finanziario, si preoccupavano dei potenziali effetti inflazionistici dell’espansione monetaria. Lo stesso Financial Times, tradizionalmente guardiano attento dell’ortodossia, abbandonava le posizioni
tradizionali. Del resto, sarà bene ripeterlo ancora, inflazione non se ne vedeva. Né se ne vede. Che la politica monetaria sarebbe stata sufficiente, forse, a salvare il sistema finanziario, era possibile; ma era chiaro a tutti che la Grande Recessione andava affrontata con i mezzi tipici della politica fiscale antirecessiva. Questo passaggio dalla politica monetaria avvenne gradualmente. Inizialmente, a partire dalla primavera del 2009, il mix di politica economica si veniva arricchendo con dosi crescenti di interventi dell’autorità fiscale. Ma si trattava di un intervento fiscale di tipo particolare, niente affatto mirato allo stimolo della domanda di beni e servizi, cioè ad una azione anticiclica di stampo ortodossamente Keynesiano. Piuttosto, si trattava di spesa pubblica per l’acquisto, il salvataggio, l’erogazione di sussidi a (e/o la nazionalizzazione di) imprese finanziarie in difficoltà che, per ragioni ancora largamente dibattute, vennero in parte ‘salvate’ ed in parte no. In quel periodo la coppia Bernanke (Banca Centrale) - Paulson (Tesoro) sembrava inseparabile; insieme, il presidente della Banca Centrale e il ministro del Tesoro venivano delineando misure sempre più originali, caratterizzate da interventi non ortodossi tanto del Tesoro che della Banca Centrale. Assistemmo a cose fino ad allora inimmaginabili: la vendita di Bear Sterns e di Merrill Lynch, il rifiuto delle autorità di politica economica statunitense di adottare la stessa soluzione per Lehman Brothers, la fine delle banche di investimento, la nazionalizzazione di AIG, l’acquisto da parte della Banca Centrale di titoli tossici.
PACCHETTI DI STIMOLO FISCALE IN RISPOSTA ALLA CRISI E DEFICIT PUBBLICI PER GLI ANNI 2009 E 2010 (IN % DEL PIL)
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C in a E g it to F in l an d i a F r an c ia G er m an ia U ru g u ay In d i a I t al i a G iap p on e M es s ic o N or v eg i a P ol o n ia P or t og a llo R u ss ia S in g ap o re S u d A fri ca S v ez ia T ail a n d ia R eg n oU n it o S t at iU n it i V iet n am
C il e
-15 A rg e n t in a B r as il e C an ad a
Fonte: Gallagher, Kevin P., et al, Survey of Stimulus and IMF Rescue Plans During the Global Financial Crisis; FMI; WEO Database, aprile 2010
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2008 stimolo fiscale
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saldo finanziario del settore pubblico 2009
saldo finanziario del settore pubblico 2010
MANAGEMENT | DALLA CRISI DEL DEBITO ALLA CRISI DEI DEBITI PUBBLICI EUROPEI
PREZZO DI UN EURO NELLE PRINCIPALI VALUTE DI RIFERIMENTO (GENNAIO 2009=100) 115
105
100
95
Dollaro
Ma le misure di natura (prevalentemente) monetaria mostravano un’efficacia drammaticamente bassa quanto al tentativo di fermare, se non invertire, il processo che stava costruendo la Grande Recessione. E nel novembre 2008 il Governo cinese, uno dei primi tra i governi G20, deliberava una spesa straordinaria di 586 miliardi di dollari, da finanziarsi in disavanzo e indirizzata in prevalenza al potenziamento delle infrastrutture. Nel febbraio 2009 il Congresso degli Stati uniti approvava un aumento del deficit federale per 787 miliardi di dollari, parte destinata alla riduzione del carico fiscale sulle famiglie e sulle imprese, parte destinata a finanziare spesa per la Sanità, le infrastrutture, le energie rinnovabili. Anche in questo caso, pochissimi coloro che se la sentivano di mantenere posizioni da ‘bilancio in pareggio’ che pure avevano mantenuto per anni. Di nuovo, il Financial Times titolava che prima o poi si sarebbe dovuto tornare a politiche di bilancio più tradizionali ma, please, non ancora, o si sarebbe rischiato di schiacciare la ripresa nascente. Sapevamo che lo stimolo fiscale cui quasi tutti i governi al mondo contribuirono per rallentare e, sperabilmente, bloccare la Grande Recessione, era di dimensioni nuove e inaudite. Di conseguenza, chi scrive riteneva che la ripresa ci sarebbe stata: lenta, ineguale, spumeggiante nei paesi emergenti e molto più debole in molti paesi ad alto reddito pro capite, senza inflazione, con tassi di disoccupazione ostinati e sostanzialmente fermi ai livelli del 2009 per molto tempo ancora. Ciò che non aveva previsto, invece, era l’attacco contro l’euro che si sarebbe scatenato a partire dall’autunno del 2009.
Sterlina
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Fonte: Elaborazione di dati della Banca d’Italia, Ufficio Italiano Cambi, giugno 2010
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LA CRISI DEI DEBITI SOVRANI Le prime due fasi della crisi si erano dunque svolte secondo copione: banche centrali e governi di tutto il mondo si erano impegnati in una battaglia senza precedenti per salvare le banche prima, e poi per ridare al sistema reale, quello della produzione, del consumo, degli investimenti, quegli stimoli che le banche avevano azzerato quando preferivano depositare in banca centrale la liquidità presa a prestito piuttosto che fornirla, con profitto, si intende, al sistema produttivo. Come diretta conseguenza di ciò, la dimensione dei disavanzi correnti di quasi tutti i paesi al mondo nel 2009 (e nel 2010, e nel 2011, e nel…) cresceva fino a livelli mai toccati prima. A mò di esempio: si ricorderà che nel 1992 il governo italiano esibiva un disavanzo corrente del 10,6% rispetto al prodotto interno lordo, e che questo numero veniva considerato il segno di un quasi-crollo: tanto è vero che la lira si svalutò in un batter d’occhi del 30% contro il marco tedesco, mentre il nostro governo (e, non capirò mai perché, il nostro paese) veniva additato al pubblico ludibrio. Oggi, quello stesso rapporto vale per il governo degli Stati Uniti.
Nel 1992 il governo italiano esibiva un disavanzo corrente del 10,6% rispetto al PIL, un numero che veniva considerato il segno di un quasi-crollo e che portò alla rapida svalutazione della lira. Oggi, quello stesso rapporto vale per gli Stati Uniti www.ict4executive.it
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MANAGEMENT | DALLA CRISI DEL DEBITO ALLA CRISI DEI DEBITI PUBBLICI EUROPEI
Le prime due fasi della crisi si erano svolte secondo copione: banche centrali e governi di tutto il mondo si erano impegnati in una battaglia senza precedenti per salvare le banche prima, e poi per ridare al sistema reale, quello della produzione, del consumo, degli investimenti, quegli stimoli che le banche avevano azzerato
Come ho argomentato già nel febbraio scorso2, la terza fase della crisi venne scatenata da una azione della famosa agenzia di valutazione Fitch la quale, il 22 ottobre 2009, declassava il debito sovrano greco. Feci notare a quel tempo che i tempi dell’operazione erano quanto mai sospetti: soltanto il 5 ottobre il presidente del governo uscente aveva ammesso la vittoria della controparte, e il nuovo governo non aveva avuto neanche il tempo di porre mano alla verifica dello stato
riteneva che lo sarebbero stati in un futuro non troppo lontano. L’uso del termine ‘dibattito’ è forse fuorviante: un ‘dibattito’ prevede una qualche sorta di equilibrio tra le voci in campo, se non per dimensione almeno per dignità dei dibattenti. La tesi che veniva imposta da media e professionisti di varie estrazioni è banalmente quella che le vestali dell’ortodossia erano venute sostenendo per decenni prima della crisi: un governo con un deficit corrente e/o un
PROIEZIONI PER I DEBITI PUBBLICI
Fonte: Cecchetti, S.G., Mohanty, M.S., and F. Zampolli (2010): “The future of public debt: prospect and implications”, BIS Working Paper 300.
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Piccolo aggiustamento graduale
dei conti pubblici. Da quel momento, il dibattito ha preso una direzione che ha dell’incredibile: quella della necessità che il Governo sovrano greco adottasse politiche fiscali disumanamente restrittive; che Irlanda, Italia, Portogallo e Spagna dovessero seguire rapidamente la stessa strategia, o perché i loro disavanzi correnti, o i loro debiti, erano ‘eccessivi,’ o perché si www.ict4executive.it
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Piccolo aggiustamento graduale con la spesa in funzione dell’età mantenuta costante
debito alto rispetto al prodotto interno lordo del paese che governa deve rapidamente ‘rimettere ordine’ nei propri conti, pena la perdita di credibilità del proprio ruolo di debitore e il dover sottostare a una domanda in caduta libera dei propri titoli di debito. In assenza di misure di risanamento efficaci e credibili, prezzi bassi per il debito sovrano, rendimenti cre-
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scenti, deficit secondario fuori controllo, necessità di ridurre il deficit primario, ergo tagli alla spesa e/o aumento del prelievo. Ma poi, perché proprio il governo greco? I grafici mostrano con chiarezza che il debito greco non presentava affatto caratteristiche diverse da quelli di tanti altri paesi. Chi scrive è tra coloro che approvarono la famosa manovra da 170.000 miliardi di lire adottata dal primo Governo Prodi, il cui scopo era ovviamente di creare le condizioni perché l’Italia potesse entrare a far parte dell’area euro. Scopo nobile, dunque, i cui benefici non è il caso di riassumere qui oggi, ma il cui costo non poteva essere, e non fu, nascosto: una recessione feroce. Ma applicare la stessa ricetta oggi sarebbe suicida, perché le condizioni sono cambiate drammaticamente e ciò cha andava bene 13 anni or sono oggi non va più bene. Provo ad illustrare sinteticamente il punto centrale della mia argomentazione.
Trovo la posizione assunta dai governi europei semplicemente sbalorditiva. Per almeno due ragioni. La prima è che non capisco per quale ragione occorra indurre una recessione durissima quando lo stato dell’economia è già di per sé assai problematico – e non perché i greci, gli italiani o chissà chi altro abbiano vissuto al di sopra dei propri mezzi, ma perché il sistema bancario e finanziario internazionale ha generato, e continua a generare, enormi
La terza fase della crisi venne scatenata dall’agenzia Fitch che, il 22 ottobre 2009, declassava il debito sovrano greco. Ma poi, perché proprio la Grecia? Il debito non presentava affatto caratteristiche diverse da quelli di tanti altri Paesi
Proiezioni per i deficit ed i debiti pubblici Bilancia fiscale
Austria Francia Germania Grecia Irlanda Italia Giappone Norvegia Portogallo Spagna Regno Unito Stati Uniti Asia Europa Centrale America Latina
2007 -0.7 -2.7 0.2 -4.0 0.2 -1.5 -2.5 0.2 -2.7 1.9 -2.7 -2.8 0.1 3.7 -1.5
2010 -5.5 -8.6 -5.3 -9.8 -12.2 -5.4 -8.2 -5.9 -7.6 -8.5 -13.3 -10.7 -3.5 -4.4 -2.4
2011 -5.8 -8.0 -4.6 -10.0 -11.6 -5.1 -9.4 -5.3 -7.8 -7.7 -12.5 -9.4 -3.6 -3.9 -2.0
Bilancia strutturale In percentuale sul PIL 2007 2010 2011 -1.4 -3.3 -3.6 -3.5 -6.8 -6.3 -0.8 -4.0 -3.7 -4.5 -6.9 -6.8 -1.3 -9.0 -9.0 -2.2 -2.6 -2.8 -3.4 -7.4 -9.0 -0.6 -3.6 -3.1 -2.8 -6.1 -6.8 1.6 -5.2 -4.5 -3.4 -10.5 -9.9 -3.1 -9.2 -8.2 ... ... ... ... ... ... ... ... ...
Debito pubblico 2007 62 70 65 104 28 112 167 52 71 42 47 62 37 23 41
2010 78 92 82 123 81 127 197 77 91 68 83 92 40 28 37
2011 82 99 85 130 93 130 204 82 97 74 94 100 41 29 35
Fonte: Cecchetti, S.G., Mohanty, M.S., and F. Zampolli (2010): “The future of public debt: prospect and implications”, BIS Working Paper 300. Data from IMF WEO and OECD Econimic Outlook.
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Dove sono le misure di risanamento del deficit cinese? E di quello statunitense? Non esiste un problema “del debito” inteso come male in sé. Esiste, piuttosto, un problema ‘dei debiti’, ciascun governo con il suo, percepito in modo diverso dal sistema bancario che finanzia quei debiti, e che da quei debiti deriva una parte importante dei propri profitti profitti a spese dell’apparato produttivo e dei risparmiatori. La seconda è che anche da parte di economisti di valore si è spesso accettata l’idea che la riduzione del disavanzo pubblico in rapporto al prodotto interno lordo farà guadagnare di reputazione ai governi in carica, quantomeno agli occhi di chi la reputazione la misura. La teoria a fondamento della difesa della recessione è agevolmente riassumibile. Dal lato della domanda di beni e servizi, la prospettiva di debiti pubblici in via di riduzione fa migliorare le aspettative di consumatori e imprese i quali, di conseguenza, attivano piani di spesa (per consumi e investimenti) che avevano congelato quando dovevano finanziare la spesa pubblica. Dal lato dell’offerta, le condizioni fiscali più stringenti fanno presumibilmente aumentare l’offerta di lavoro, con ciò inducendo una caduta dei salari, e forse anche di competenze imprenditoriali. Ovviamente, non vi è chi non veda gli effetti recessivi di queste politiche. Provo a spiegare perché questo punto di vista è errato al limite del ridicolo, cominciando con un esempio numerico applicato al caso del governo italiano, ma lo stesso identico modo di ragionare vale per tutti i governi al mondo. Supponiamo sia vero che nel 2009 in Italia il il valore del pil a prezzi correnti sia stato di 1520 milioni di euro, il deficit di 80,800 milioni di euro (5,3%del pil) e il debito di 1760 milioni (fonte: Ministero del Tesoro). La cosiddetta ‘manovra fiscale’ attualmente in discussione prevede una diminuzione del deficit corrente di circa 12 milioni/anno per due anni. Quesito: quanti anni servono per azzerare il debito a questa velocità? E soprattutto: visto che i governi di tutti i paesi dell’area euro sembrano condividere questa strategia, quale governo verrà premiato per primo e di più, quello che avrà generato la recessione più dura? A questo quesito ci si sente rispondere nei seguenti modi: • ‘Ma se mai si comincia, mai si finisce.’ • ‘Spesso basta un segnale.’ • ‘Si però se tutti facessero il loro sforzo…’ | 18 |
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Non ritengo di dover commentare. La tabella offre alla considerazione del lettore alcune proiezioni circa il valore futuro atteso di deficit, deficit depurato delle variazioni dovute al ciclo economico, e debiti totali dei governi dei paesi e aree geografiche riportati in prima colonna, in percento dei rispettivi pil. La lezione da trarsi da questo banale esempio numerico è semplice: la dimensione dei debiti sovrani è talmente grande che il nostro modo di pensare tradizionale non è più adeguato. Qual è esattamente il contributo che offre all’economia mondiale il Governo Merkel quando annuncia tagli alla spesa e maggior prelievo per un totale di 80 miliardi di euro? E a quanto ammonterebbe il ‘guadagno di efficienza’ che finalmente raggiungerà il notoriamente inefficiente governo tedesco mediante il taglio di 15.000 posti di lavoro nelle pubbliche amministrazioni? E quale il contributo del governo Cameron, con il taglio immediato di spese per ben 6 miliardi di sterline? I tassi di crescita previsti per i paesi della UE e dell’UEM in particolare non sono esaltanti. Per l’Italia, poi, la previsione di un tasso di crescita dello 0,6% (FMI, 21 aprile 2010) è già obsoleta, visto che si stima che il taglio di spese per 24 miliardi di euro avrà un effetto recessivo dell’ordine dello 0,6% del pil: ergo, crescita zero. Garantita. E non vi è ragione di ritenere che le politiche recessive adottate da tanti altri paesi avranno effetti altri da quelli desiderati. Una spiegazione più teorica delle ragioni per cui le politiche adottate dai governi saranno drammaticamente recessive è facilmente riassumibile. Se il governo nazionale riduce l’eccesso di spese sulle entrate, allora due cose debbono necessariamente verificarsi: la spesa privata deve aumentare e le esportazioni nette debbono aumentare. È un problema contabile, deve essere così. Ma da dove verrebbe la domanda di esportazioni in questa fase? Tutta dai paesi emergenti? O si immagina un deprezzamento
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dell’euro tale da rilanciare la competitività di prezzo delle esportazioni europee? Ne dubito: in un mondo in cui le catene produttive sono fortemente integrate a livello globale, un deprezzamento dell’euro si traduce anche necessariamente in costi crescenti per l’approvvigionamento di semilavorati e beni intermedi acquisiti all’estero. E la domanda interna, da che cosa attingerebbe vigore? Certamente non da tassi di interesse in caduta, essendo essi già bassi al punto che molti parlano di ‘trappola della liquidità’.
nuta dei redditi che consegue alle politiche recessive cosiddette ‘di risanamento.’ Queste politiche avranno, oltre agli effetti recessivi interni, anche effetti positivi importanti per il riequilibrio dell’economia mondiale: libereranno capitale finanziario fino ad ora assorbito dai governi europei e lo dirotteranno verso il finanziamento del debito Usa, vuoi per il finanziamento della estensione dell’assistenza sanitari, vuoi per il finanziamento della estensione della presenza militare Usa in Afghanistan.
Ma un quesito deve sorgere a questo punto nella mente di chi sta seguendo questi pensieri tanto minoritari: e dove sono le misure di risanamento del deficit cinese? E di quello statunitense? Come mai mancano all’appello delle vestali del bilancio in pareggio proprio i due paesi con i debiti maggiori al mondo? L’ipotesi con cui voglio avviare questa riflessione conclusiva è questa: che il ‘problema del debito’ non sia affatto un problema ‘del debito’, formulazione questa che offre la certezza che esista un problema in quanto tale, un male in sé, una cosa brutta, e brutta per tutti allo stesso modo e nello stesso senso. Esiste, piuttosto, un problema ‘dei debiti’, ciascun governo con il suo, con le sue caratteristiche, con le sue forze e i suoi punti deboli, in particolare ciascuno percepito in modo diverso dal sistema bancario che finanzia quei debiti, e che da quei debiti deriva una parte importante dei propri profitti. Oggi la somma dei debiti sovrani è grande quanto mai prima. Chi può finanziarla? La Cina e le altre economie emergenti che spesso accomuniamo alla Cina hanno fatto per molti anni la loro parte nel finanziamento del debito Usa (pubblico e privato) e continueranno certamente a farlo, ma appare probabile che non lo faranno a tassi crescenti, avendo cominciato a dedicare attenzione alla necessità di soddisfare la domanda dei residenti piuttosto che quella dei loro clienti esteri. L’Africa? Molto si è cominciato a parlare di Africa e delle sue potenzialità negli ultimi mesi, e pochi più di chi scrive vorrebbero vedere lo sviluppo sostenuto di cui alcuni parlano: ma, sperando che così sia, i governi africani saranno emettitori di debito, e non sottoscrittori. Gli Stati uniti? Tutta la storia post-Seconda Guerra Mondiale mostra che questo è un ruolo che nessuno ama negli Usa, non le imprese, non i consumatori, non il governo.
IN SINTESI A partire dalla seconda metà del 2009 l’economia mondiale cominciava a dare segnali di ripresa deboli ma incoraggianti. Ripresa discontinua, dai caratteri talvolta congiunturali e talvolta strutturali, in assenza totale di inflazione e di disoccupazione persistente, sbilanciatissima a favore delle economie emergenti da un lato e degli Stati Uniti dall’altro. Ma pur sempre ripresa. L’attacco ai debiti dei paesi dell’area euro e, quindi, all’euro stesso, hanno inferto alla dinamica prevista un mutamento di rotta non da poco. Le autorità di politica fiscale dei paesi dell’area hanno accettato di seguire politiche fiscali restrittive allo scopo di liberare capitale finanziario che, in principio, potrebbe andare a finanziare tanto la domanda di capitale pubblica che quella privata. Chi scrive ritiene che le politiche recessive adottate dai governi dei paesi dell’area euro beneficeranno imprese, consumatori e governo Usa nella misura in cui libereranno capitale finanziario che andrà ad alimentare le attività del paese consumatore di ultima istanza. In nome di quale Europa?
Non rimane, dunque, che la vecchia Europa, ricca abbastanza da poter sostenere quella caduta soste-
Infine, una breve nota sugli effetti che le politiche sopra descritte avranno sul settore di maggiore interesse per coloro cui questa rivista si rivolge prioritariamente. Gli anni a venire saranno anni caratterizzati da ristrutturazioni importanti tanto nel settore manifatturiero che in quello dei servizi. Fasi importanti di processi produttivi continueranno ad essere spostate nelle economie emergenti. Le imprese dovranno adottare piani di rilancio della produttività e di penetrazioni su mercati nuovi e sempre più differenziati. Agli occhi di chi scrive, nel quadro della recessione che i governanti europei stanno cercando di imporre all’economia, le prospettive per il settore ICT sono tutt’altro che negative.
1. Chi volesse seguire le posizioni di chi scrive sulle problematiche relative a crescita, commercio internazionale e crisi dei debiti sovrani può accedere liberamente a www.scenarieconomici.com 2. ‘Greece 2010 is not Italy 1992 (but the UK may very well be)’, www.scenarieconomici.com, 23 febbraio 2010. Questa tesi ha trovato la sua prima presentazione pubblica, al di fuori di un’aula universitaria, il 21 dicembre 2009. Si veda <http://www.youtube.com/watch?v=vrt3NtuRrxA> www.ict4executive.it
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MANAGEMENT
di
VIJAY GOVINDARAJAN
PROFESSOR OF INTERNATIONAL BUSINESS TUCK SCHOOL OF BUSINESS, DARTMOUTH COLLEGE
INNOVARE L’ORGANIZZAZIONE CON LO SGUARDO VERSO IL FUTURO Per affrontare i cambiamenti non lineari che caratterizzano lo scenario internazionale è fondamentale dimenticare il presente e avere progetti ambiziosi e di lungo periodo. La crescita eccezionale dei paesi emergenti richiede lo sviluppo di business plan che tengano in considerazione le profonde differenze nelle esigenze e abitudini dei consumatori, senza cercare di replicare modelli validi in Occidente
Provare a visualizzare il vostro piano strategico e a pensare ai progetti che avete per il futuro. È possibile inserire i progetti all’interno di tre scenari distinti. Il primo riguarda il presente. Il secondo ha lo scopo di dimenticare il presente per poter pensare al futuro, che inserisco in un terzo scenario. La maggior parte delle aziende si concentra sul presente. Ma, se parliamo di un piano strategico, dobbiamo pensare al futuro. Quando le organizzazioni pensano alle innovazioni e ai cambiamenti strategici da apportare, devono guardare al futuro. Il processo mentale relativo ai piani per il presente è diverso da quello relativo ai piani per il futuro.
quindici anni i cambiamenti avvenuti a livello internazionale sono stati di tipo non lineare, con la nascita di business innovativi. Nei prossimi quindici anni il cambiamento che si percepirà maggiormente riguarderà la distribuzione dei consumatori nei vari Paesi, che colpirà ed influenzerà ogni settore. I mercati dell’India e della Cina, secondo le stime dei principali analisti continueranno a registrare una crescita eccezionale. Tuttavia, è impensabile elaborare un business plan in un paese occidentale e volerlo esportare, senza alcuna modifica, in un paese emergente, in quanto i consumatori sono diversi e hanno esigenze diverse. L’ESPERIENZA DI FORD IN INDIA
A mio avviso, i progetti per il futuro, che inseriamo all’interno del secondo e del terzo scenario, possono essere percepiti come una risposta a cambiamenti non lineari, mentre i progetti per il presente sono una risposta a cambiamenti lineari nell’ambiente o nell’organizzazione. Negli ultimi | 20 |
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Un esempio calzante riguarda Ford. Agli inizi degli anni 90 la casa automobilistica ha deciso di fare il suo ingresso nel mercato indiano con un modello di auto già utilizzato in Occidente, trasferendolo nel subcontinente con alcuni adattamenti.
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Chi è Vijay Govindarajan Vijay Govindarajan è uno tra i maggiori esperti mondiali di strategia e innovazione e uno dei leader di maggior rilievo della nuova generazione, secondo Wall Street Journal e Business Week.
Ha così eliminato i finestrini automatizzati e altri optional ritenuti non necessari, per poter abbattere i costi. Così, invece di avere finestrini automatizzati per tutti e quattro i finestrini, le Ford che sono sbarcate in India ne avevano solo due. I manager di Ford non avevano però considerato che quanti in India possono permettersi di acquistare una macchina da 15.000 dollari appartengono alla fascia alta della popolazione ed esigono pertanto il massimo del comfort. Di conseguenza, il progetto di Ford in India agli inizi degli anni 90 è stato un fallimento, nonostante il tentativo della casa automobilistica americana di adattarsi al mercato del subcontinente. Nella migliore delle ipotesi avrebbe potuto vendere l’auto al 10% della popolazione. Ma se si vuole raggiungere il 90% del mercato bisogna pensare agli scenari per il futuro. L’idea intelligente è venuta a Tata che ha introdotto sul mercato indiano una macchina da due-
Professore di International Business e Founding Director del Center for Global Leadership alla Tuck School of Business del Dartmouth College, Govindarajan è anche Professor in Residence e Chief Innovation Consultant per General Electric. Boeing, Coca-Cola, Colgate, Deere, FedEx, Hewlett-Packard, IBM, J.P. Morgan Chase, Johnson & Johnson, New York Times, Procter & Gamble, Sony e Wal-Mart sono solo alcune delle società che lo hanno come consulente. Ha pubblicato sette libri, tra i quali il bestseller internazionale Ten Rules for Strategic Innovators, proclamato da Strategy & Business “il miglior libro di strategia del 2006” e inserito nella lista delle dieci letture raccomandate dal Wall Street Journal. I suoi articoli sono apparsi su Academy of Management Journal, Academy of Management Review, Strategic Management Journal, Harvard Business Review, California Management Review e MIT Sloan Management Review. Govindarajan ha conseguito un Dottorato e un MBA con lode alla Harvard Business School, dove è stato inserito nella Dean’s Honor List, la lista degli studenti più brillanti. Ha ricevuto il Chartered Accountancy Degree in India, dove è stato anche insignito della medaglia d’oro per aver ottenuto il primo posto nazionale. Il suo nome figura anche nelle liste di autorevoli pubblicazioni: Outstanding Faculty and Top Ten Business School Professor in Corporate Executive Education di Business Week - che lo indica come uno dei pensatori di management “superstar” dell’India -, Top Five Most Respected Executive Coach on Strategy di Forbes e Top 50 Management Thinker del The London Times.
Cavalli morti: così Govindarajan chiama le aree di business in declino, che non stanno cioè innovando, all’interno delle organizzazioni. Spesso queste aree esistono nonostante il buon andamento globale e nel lungo periodo possono portare l’azienda al fallimento
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Secondo la teoria della Reverse Innovation le multinazionali devono investire per sviluppare prodotti e soluzioni specificatamente per i paesi emergenti, per poi esportarli in un secondo momento nel mercato globale
Reverse Innovation, dai mercati emergenti al mercato globale La “Reverse Innovation” è, semplicemente, un’innovazione adottata per la prima volta in uno dei mercati emergenti. A differenza di quanto è finora accaduto, le imprese stanno iniziando a sviluppare i nuovi prodotti in paesi quali Cina e India, distribuendoli solo in un secondo momento su scala globale. Questo approccio, secondo la teoria di management formulata da Vijay Govindarajan, si diffonderà sempre più, poiché esiste un gap molto ampio tra i mercati emergenti e quelli dei paesi più sviluppati: le consistenti differenze non permettono infatti di continuare sulla strada di creare prodotti globali, concepiti secondo le esigenze e le caratteristiche della domanda dei paesi più sviluppati, da distribuire poi su scala mondiale. I paesi emergenti chiedono oggi soluzioni moderne e hi-tech, ma si accontentano di una qualità accettabile e pongono un forte focus sul prezzo. Secondo Govindarajan l’approccio fin qui adottato dalle aziende per operare sul mercato globale - sviluppando prodotti e innovazione nei propri headquarter in occidente, e quindi esportandoli – non funziona più. Considerati il crescente potenziale dei paesi emergenti e una maggiore maturità, le aziende si sono rese conto della necessità di creare prodotti differenziati, in un primo momento adattandoli e successivamente stabilendosi localmente con i propri stabilimenti. Oggi, però, i tassi di crescita dei mercati maturi subiscono un progressivo rallentamento, rendendoli quindi meno allettanti, mentre negli effervescenti mercati emergenti, come Cina e India, nascono potenziali concorrenti in grado di fronteggiare le aziende multinazionali con prodotti e soluzioni ad hoc. La teoria della Reverse Innovation prevede quindi che, per fronteggiare questo scenario, le grandi multinazionali inizino a pensare localmente, creando prodotti e soluzioni specificatamente per i paesi emergenti, da esportare in un secondo momento nel mercato globale. Condizione necessaria per l’attuazione di questo modello è un approccio orientato al mercato locale ed un’organizzazione decentrata, che conceda ampia autonomia decisionale alle divisioni locali. Tutte, o comunque la maggior parte, delle risorse e delle persone interessate devono inoltre essere basate e gestite localmente. I “Local Growth Team” devono avere responsabilità nell’allocazione delle risorse finanziarie necessarie alla loro attività, e poter decidere autonomamente quali prodotti sviluppare, come e dove venderli e con quali servizi. I prodotti sviluppati e testati localmente possono quindi essere modificati per il mercato globale, e ciò potrebbe richiedere di ideare nuovi ambiti di applicazione, di dar vita a mercati prima inesistenti o anche comportare l’erosione del mercato di prodotti a più alto margine di profitto.
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mila dollari che sono convinto diventerà presto un grande successo. Questo esempio fa comprendere l’errore che frequentemente ho rilevato nell’osservare il comportamento delle multinazionali europee o americane: la convinzione che i consumatori nei paesi esteri siano uguali a quelli dei loro paesi di origine. La mentalità e l’approccio di Ford si sono rivelati sbagliati. Quante persone in India guidavano una macchina agli inizi degli anni 90? Poche e senz’altro molto ricche. Probabilmente già possedevano una Rolls Royce e non avrebbero mai comprato una Ford. Tata invece con lo sviluppo di una macchina venduta a soli 2.000 dollari si è posta l’obiettivo ambizioso di convertire il popolo delle due ruote in India in quello delle quattro ruote. Il motivo per cui ritengo che non vadano sottovalutati i mercati emergenti è che è molto probabile che essi cambieranno nel prossimo fututo l’andamento e l’assetto della vostra azienda. Il consiglio, dunque, è quello di guardare ai progetti che avete intenzione di sviluppare nei prossimi mesi e di cercare di capire quanti riguardano il presente e quanti invece il futuro. Non bisogna fermarsi solo a pensare alle best practice, ovvero ai migliori esempi di business del passato, cercando di riprodurli, ma pensare alle “next practice”, ovvero alle soluzioni di business innovative. GRAMEEN BANK, UN’IDEA INNOVATIVA A questo proposito, l’esempio di Yunus, il noto professore del Bangladesh, è calzante. Nel 1983 si è verificata una carestia nel villaggio dove viveva Yunus; per questo, 166 persone si trovarono ad aver bisogno di 25 dollari per sopravvivere alla carestia, ma non potevano ottenere il prestito poiché, trattandosi di clienti considerati poco affidabili, la banca locale non glielo avrebbe concesso. Così Yunus decise di dare loro il denaro di cui avevano bisogno. Salvò le loro vite e ottenne
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Il successo di General Electric in Cina
il denaro indietro, applicando al prestito un tasso di interesse del 10%. In seguito, data la buona riuscita dell’iniziativa, decise di fondare una banca, chiamata Grameen Bank, la “banca dei poveri” che si comporta in modo opposto alle banche tradizionali. Si tratta di un grande successo: la Grameen Bank è stata l’unica banca a non aver richiesto un prestito al governo federale USA durante la crisi finanziaria. Il successo di Yunus si è così basato su una semplice idea, su una next practice, ovvero su un’idea innovativa. Il messaggio è molto semplice, ma questo non vuol dire sia facile da attuare: è importante agire e investire nel presente per costruire il futuro. È l’intento strategico che ci poniamo per il futuro a fare la differenza. Per poter implementare dei buoni progetti è importante costruire delle nuove competenze chiave ed è fondamentale che questi progetti siano ambiziosi. Non si tratta di avere degli obiettivi poco realistici, ma di avere dei grandi obiettivi. Ciò che ho imparato dai miei studi è che non bisogna focalizzarsi troppo sul presente, perché spesso nelle organizzazioni ci sono ciò che amo definire con l’espressione “cavalli morti”: aree di business o persone che non stanno crescendo e che non si stanno innovando, e che nel lungo periodo potrebbero portare l’azienda al fallimento.
Estratto dall’intervento di Vijay Govindarajan in occasione del World Business Forum 2009. Il World Business Forum riunisce annualmente i maggiori esperti mondiali di management e i leader del nostro tempo per riflettere sui temi strategici per il futuro del business. La settima edizione italiana si terrà il 27 e 28 ottobre a Milano: Al Gore, Paul Krugman, Don Tapscott, Nassim Taleb tra gli speaker più attesi. Tutti i dettagli su hsmglobal.com
La teoria della Reverse Innovation di Govindarajan è stata sviluppata studiando il caso della General Electric. L’azienda è, tra le sue attività, leader mondiale nel mercato delle macchine sanitarie per ecografie e, come tutte le grandi multinazionali americane, ha adottato fino ai primi anni 2000 un approccio strategico orientato a sviluppare prodotti nel proprio paese di origine, gli Stati Uniti, per poi distribuirli globalmente. Le macchine così sviluppate rappresentano il top di gamma per quanto riguarda la qualità e l’innovazione tecnologica introdotta, e trovano il loro naturale ambito di applicazione nelle moderne cliniche dei paesi occidentali. Il loro prezzo è ovviamente molto alto, a partire dai 100.000 dollari, insostenibile per i paesi in via di sviluppo come Cina e India: infatti le vendite del prodotto negli anni 90 erano del tutto marginali. Nel 2002 venne creata una specifica business unit per il mercato cinese con forti poteri decisionali, che decise di investire in ricerca per la creazione di un nuovo apparecchio per ecografie, molto più economico e che meglio si adattasse alle esigenze della domanda cinese, costituita da cliniche poco moderne situate in territori prevalentemente rurali. La nuova macchina venne dunque costruita intorno alle specifiche esigenze del mercato locale: facilità d’uso elevata, ingombro minimo ed un prezzo molto basso, intorno ai 30.000 dollari. Le vendite impennarono portando un mercato fino a quel momento marginale a raggiungere quote rilevanti. Nel 2007 i buoni risultati raggiunti spinsero l’azienda a proseguire su questa strada, elaborando un modello ancora più semplificato ed economico dell’apparecchio, venduto per circa 15.000 dollari. L’innovazione è poi progredita, fino a consentire di effettuare con un PC con prestazioni elevate, opportunatamente dotato di software ad hoc, analisi che un tempo richiedevano un’apparecchiatura dedicata, come quelle ostetriche e radiologiche. Questo prodotto viene prevalentemente utilizzato nelle cliniche rurali cinesi, ma trova oggi applicazione anche nei paesi sviluppati nelle unità mobili di soccorso degli ospedali. Il mercato di queste macchine portatili è cresciuto esponenzialmente portando il fatturato mondiale a crescere dai 4 milioni di dollari nel 2008 a 278 nel 2009. La GE conta oggi in Cina circa una dozzina di Local Team dedicati a progetti analoghi e, in un periodo di recessione globale, continua a crescere.
Il cambiamento più rilevante che avverrà nei prossimi quindici anni, in ogni settore di attività, riguarda la distribuzione dei consumatori nei vari paesi, con un ruolo prevalente di India e Cina www.ict4executive.it
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INTERVISTA di
MANUELA GIANNI
SALVATORE PAPARELLI DIRETTORE VENDITE AUDIO VIDEO E OPERATIONS DIRECTOR SONY ITALIA
IL VALORE STRATEGICO DELLA SUPPLY CHAIN PER SONY La vendita come parte integrante della logistica, a sua volta legata a doppio filo ai Sistemi Informativi. Solo così è possibile oggi operare con tempestività nel mercato Consumer Electronics, dove la velocità e il controllo preciso dei processi distributivi possono avere tanto valore quanto i prodotti
Salvatore Paparelli ha iniziato la sua carriera in Sony Italia nel 1989 nel Marketing. Nel 1997 si trasferisce presso l’Head Quarter di Sony Europa a Colonia, in Germania, e rientra in Italia sette anni dopo, per ricoprire la responsabilità di Operations Director, entrando anche a far parte del Consiglio di Amministrazione. In questa nuova posizione attiva una importante ed innovativa riorganizzazione e re-engineering dell’After Sales Service, della Logistica, della Supply Chain, dell’Information System e Order Processing. Da agosto 2009 assume anche l’incarico di Direttore Vendite della Divisione Audio Video. È Vice Presidente di Anie, Federazione Nazionale Imprese Elettrotecniche ed Elettroniche, che rappresenta 900 aziende operanti in Italia, e presidente di Ediel, una società nata due anni fa per coordinare e diffondere tra le imprese del settore l’adozione di un protocollo comune per la trasmissione elettronica dei dati tra industria e retailer. | 24 |
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Lo scopo è quello di creare una piattaforma elettronica condivisa per la gestione e la dematerializzazione documentale dell’intero ciclo dell’ordine, intervenendo, in tal modo, sulle inefficienze della filiera, ottimizzando e sveltendo i processi, riducendo costi ed errori, garantendo un servizio migliore al cliente. Un anno fa le è stato affidato l’incarico di Direttore Vendite della Divisione Audio Video, oltre a quello di responsabile Operations che già ricopriva da diversi anni. Quali sono in dettaglio le sue attuali responsabilità? Nel ruolo di direttore operations, sono responsabile del Procurement, ovvero degli ordini dei prodotti da tutte le fabbriche Sony del mondo, dei Trasporti, via gomma, mare e aria, del Warehousing, Order Processing, Logistica Distributiva, Customer Service e Sistemi Informativi: in pratica dell’80% dei costi aziendali. Questo ruolo, che ricopro da 5 anni, mi ha permesso di effettuare
INTERVISTA | IL VALORE STRATEGICO DELLA SUPPLY CHAIN PER SONY
un’operazione di reingeenering dell’azienda e di realizzare l’outsourcing strategico di alcuni processi. Dall’agosto dell’anno scorso sono diventato anche Direttore Vendite, ovvero riportano a me anche l’organizzazione interna di vendita e la rete di agenti, incarico che mi consente di gestire l’intera value chain. Questo perché oggi, in virtù dei cambiamenti avvenuti nel mercato Consumer Electronics, come in molti altri mercati, la vendita da sola non è più efficace se non fa parte della Supply Chain. Avere un controllo preciso della Supply Chain è fondamentale, perchè permette di lavorare in modo collaborativo con i clienti per mantenere un livello di stock più basso possibile; sappiamo esattamente quali prodotti arrivano e quando vengono consegnati ai nostri clienti, in base agli ordini che a loro volta derivano dalla domanda del mercato: è tutto collegato. Integrare la funzione vendita nel processo di gestione aziendale, sotto un unico controllo, permette anche di eliminare potenziali aree di conflitto, del tipo: “non si vende perchè la logistica non funziona, non sono arrivati i prodotti…”. Qual è la sua vision in tema di innovazione della Supply Chain attraverso l’ICT, in base alla sua esperienza nel mercato Consumer Electronics? Il mercato Consumer Electronic negli ultimi 10 anni ha subito dei cambiamenti sostanziali come non era mai successo nei precedenti 50 anni, passando da una situazione di maturità completa ad una revisione a 360 gradi di tutti gli elementi che compongono il Business Model: si sono modificati i comportamenti dei consumatori, i prodotti, le tecnologie, i siti produttivi, la distribuzione, i competitor, le dinamiche di gestione del business… tutto insomma. Oggi i consumatori non si limitano più a considerare l’hardware semplicemente come un oggetto da tenere in casa, ma come un dispositivo che deve essere collegato, che fa parte di una community, introducendo nel prodotto anche elementi intangibili di gestione dei contenuti. Questo cambiamento ha portato a radicali modifiche anche nella Supply Chain, che è legata al mondo ICT in modo diretto. Infatti, oggi la gestione e la vita del prodotto hanno dei tempi così veloci da dover considerare la Supply Chain non come marginale, ma come parte integrante del business. A volte una Supply Chain efficace ha
Sony in Italia e nel mondo Sony Italia commercializza sul territorio italiano prodotti di elettronica di consumo e professionali. Fa parte del gruppo Sony, che ha come Casa Madre Sony Corporation di Tokyo e come Headquarter europeo Sony Europe sita a Londra. Sony Italia impiega 248 dipendenti e si avvale di una struttura qualificata di oltre 160 punti di assistenza sul territorio nazionale che assicurano una presenza capillare nel nostro Paese; la sede centrale si trova a Cinisello Balsamo, alle porte di Milano, mentre a Roma c’è un ufficio dedicato al supporto di vendita alla clientela business. Le altre società del gruppo Sony in Italia sono le seguenti: Sony Computer Entertainment Italia (consolle per videogiochi PlayStation); Sony Ericsson Mobile Communications Italia (telefonia mobile); Sony Music Entertainment Italia (contenuti musicali); Sony Pictures Releasing (distribuzione cinematografica); Sony Pictures Home Entertainment (Home entertainment); Sony Pictures Television International (Vendita diritti televisivi e produzione fiction TV); Sony DADC (Italia) (Produzione/Replicazione supporti digitali Audio/Video/Dati).
tanto valore quanto il prodotto stesso. Ecco perché servono figure professionali con una visione d’insieme del business. Le funzioni Supply Chain e Operations devono avere la stessa dignità delle funzioni Vendita e Marketing. E i direttori Operations ormai sono spesso anche direttori dei Sistemi Informativi perché non esiste innovazione, soprattutto nella Supply Chain, che non passi dal settore ICT. È un passaggio importante che in Sony Italia abbiamo fatto, rendendo i sistemi informatici parte integrante del business. In un contesto sempre più complesso, quali sono le priorità per garantire una execution ottimale? Per gestire la complessità le diverse figure professionali devono lavorare con una abilità di team molto più forte rispetto al passato, per riuscire a garantire un flusso di merci corretto, con un sistema informatico che garantisca la fluidità del dato e del collegamento tra le varie divisioni. Modificare l’operato delle aziende da una gestione per funzione ad una per processi è un altro dei passaggi fondamentali all’interno delle aziende di elettronica di consumo, cosi come di molti mercati. In base all’esperienza che ho fatto in Italia e all’estero, posso dire che le aziende oggi devono assolutamente focalizzarsi sul loro Core Business, www.ict4executive.it
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INTERVISTA | IL VALORE STRATEGICO DELLA SUPPLY CHAIN PER SONY
Servono figure professionali con una visione d’insieme del business. I Direttori Operations ormai sono spesso anche Direttori dei Sistemi Informativi perché non esiste innovazione, soprattutto nella Supply Chain, che non passi dal settore ICT. È un passaggio importante, che in Sony Italia abbiamo fatto
ma che è sbagliato considerare solo come un centro di costo un’attività di importanza fondamentale per l’azienda come la logistica: è invece un’attività strategica. È anche vero che seguire l’innovazione nella logistica significa aggiornare i sistemi informativi con una velocità talmente elevata che è necessario un partner strategico. Cosa guida in Sony le scelte di sourcing, in particolare nella logistica e nella distribuzione? Già da qualche anno Sony Italia e Sony Europa hanno realizzato un outsourcing strategico che ha portato a una piena integrazione del nostro partner di logistica nei processi aziendali. In parallelo, i processi sono stati rivisti, trasformando l’azienda da un’organizzazione verticale, per funzioni, a una orizzontale gestita appunto per processi. L’outsourcing non va inteso come una soluzione per spostare un’attività altrove con l’unico scopo di spendere meno, ma come un’opportunità di delegare a uno specialista una parte del proprio core business, che è quello di gestire in modo efficace ed efficiente il processo di supply chain e logistica. Il tutto è stato possibile grazie a una integrazione completa di tutti i processi aziendali attraverso funzioni più snelle e collegate tra loro, gestite tramite i sistemi informatici. I silos dei sistemi informativi sono stati smontati per poi essere integrati in nuovi processi. Un cambiamento importante, che ci ha tenuti impegnati per circa un anno. | 26 |
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Qual è la genesi e lo stato attuale di diffusione del progetto Ediel, di cui lei si è fatto promotore? Non si possono migliorare all’infinito i processi interni dimenticando l’interazione con i partner esterni. Per questo, nel 2007 Sony Italia si è focalizzata sull’automazione dei processi di filiera, facendo emergere un’esigenza, condivisa dall’intero mercato Consumer Eletronics in Italia, di creare un’integrazione tra i sistemi informativi del mondo dell’industria e quelli della distribuzione, a partire dalla consapevolezza che soltanto coinvolgendo tutti gli attori si sarebbero raggiunti risultati di eccellenza operativa ed economica. Quest’idea nasceva anche grazie al lavoro fatto dal Politecnico di Milano attraverso l’Osservatorio Fatturazione Elettronica e Dematerializzazione, che aveva già portato avanti e monitorato diverse iniziative di integrazione e dematerializzazione dei documenti in uno stato molto avanzato. Ci siamo dunque basati su questi Business Model già studiati in precedenza dal Politecnico coinvolgendo le associazioni Aires per la distribuzione e Anie per l’industria. Si è così arrivati, tramite Indicod-ECR, alla definizione finale del protocollo di gestione per una soluzione Web EDI di dematerializzazione dei documenti - ordine, conferma di ordine, bolla di accompagnamento e fattura - che dà concretezza all’idea di integrazione digitale tra industria e distribuzione. È stato un passaggio importante perché ogni singola azienda non avrebbe mai raggiunto il grado di ottimizzazione completa se non avessimo integrato tutti gli stadi della filiera. L’assistenza dei prodotti è un aspetto particolarmente delicato da gestire, bilanciando l’esigenza di soddisfare i clienti e quella di contenere i costi. Come gestite questo delicato equilibrio? L’assistenza tecnica per Sony è sempre stata una pietra miliare: abbiamo basato buona parte della nostra strategia competitiva proprio sulla qualità del prodotto e contemporaneamente sull’assistenza capillare sul territorio proprio per dare un servizio di continuità il più efficiente possibile ai nostri clienti, in Italia come nel resto d’Europa. L’assistenza tecnica in Sony non è mai stata considerata un costo - anche se di fatto lo è - ma un investimento importante in quanto il consumatore è il fulcro sul quale costruiamo tutto il processo di servizio. Oggi con l’aumentare della quantità di prodotti il peso dell’assistenza post vendita diventa particolarmente sensibile - soprattutto nell’area Tv -, ma è altrettanto vero che se la qualità del prodotto è elevata l’incidenza rimane bassa.
INTERVISTA di
MANUELA GIANNI
EUGENIO PERRIER MULINO BIANCO BRAND DEVELOPMENT & INNOVATION DIRECTOR BARILLA
BARILLA PIONIERE NEL DIGITAL MARKETING Da tempo la multinazionale italiana ha iniziato a sperimentare i canali Internet e Mobile per promuovere i propri brand, dando vita a progetti di comunicazione innovativi e coraggiosi. Per avvicinarsi ai clienti e coinvolgerli, creando un rapporto più diretto
Coinvolgere sempre di più le persone e avvicinarsi a loro. In altre parole, creare un rapporto diretto, uno a uno, con i propri clienti. È questo il vero valore del Marketing Digitale secondo Eugenio Perrier di Barilla, azienda che in Italia è stata fra le prime a cimentarsi sul terreno dell’Enterprise 2.0 e prima ancora del Marketing attraverso il cellulare. Nell’arco di un decennio l’avvento del digitale ha cambiato il modo di fare marketing in azienda, in particolare nella relazione coi consumatori. Nella sua esperienza personale, come è cambiato il ruolo del Marketing Manager? L’osservazione più interessante – e per certi versi sorprendente – è che l’avvento del digitale sta rendendo necessaria una maggiore umanizzazione del ruolo del Marketing Manager. Con gli strumenti oggi disponibili, il rapporto uno ad uno con i consumatori non è più una chimera, ma una realtà che va gestita ed alimentata ogni giorno. E
questo rapporto maggiormente diretto lo si riesce ad alimentare solo con un approccio di comunicazione trasparente, onesto. L’importanza dei mezzi di comunicazione innovativi è percepita dal top management? Nella nostra esperienza, l’importanza di questi mezzi è sentita moltissimo dal top management, che è il primo promotore dell’adozione di una strategia di comunicazione più moderna. Certo, magari non è tecnicamente preparato a gestirla, ma per quello ci si deve dotare delle necessarie competenze. Come è nato e si è sviluppato l’approccio di Barilla verso Internet e cellulare? Direi che si è sviluppato per gradi. Ad un iniziale periodo di curiosa osservazione, che però faticava a trovare traduzione in una efficace strategia digitale, è succeduta una maggiore determinazione ed acquisizione di consapevolezza, che ha portato www.ict4executive.it
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INTERVISTA | BARILLA PIONIERE NEL DIGITAL MARKETING
in modo progressivo ma costante e convinto a sperimentare e poi ad adottare delle soluzioni innovative e coraggiose, come per esempio il caso de “Il Mulino che Vorrei”. Attraverso “Il Mulino che vorrei” Barillla ha saputo costruire una propria community e instaurare un dialogo coi consumatori in chiave Enterprise 2.0. A un anno dal lancio, quali i risultati e gli sviluppi previsti per questa iniziativa pionieristica in Italia? Il Mulino che Vorrei è una straordinaria avventura, che finora ha portato oltre 200mila persone ad entrare in contatto diretto con la marca, proponendo oltre 3.000 idee di prodotto, comunicazione, promozione e via dicendo. A questi vanno aggiunti alcuni milioni di contatti attivati attraverso il social network su cui la piattaforma ha lavorato. Un grande lavoro di “umanizzazione” della marca che ha portato un forte avvicinamento alle persone, permettendoci di entrare ancora una volta nelle loro vite, con il loro permesso naturalmente.In questo momento, l’impegno principale è quello di riuscire a mantenere fede alla promessa fatta e quindi riuscire a realizzare le prime idee proposte dagli utenti. Quanto del budget pubblicitario viene destinato ai new media? La logica seguita è quella di destare l’interesse di consumatori sempre più critici e competenti o si tratta ancora di
Nel Mulino che Vorrei, il primo progetto italiano di co-generazione delle idee A marzo 2009 Barilla ha dato vita a “Nel Mulino che vorrei” (www.nelmulinochevorrei.it), che può essere considerato il primo progetto italiano di co-generazione delle idee. Si tratta di una piattaforma di innovazione partecipativa aperta a tutti e che consente agli iscritti di comunicare con il brand per contribuire al suo miglioramento e alla sua crescita. L’utente infatti, sia esso un esperto o un semplice consumatore, è invitato a partecipare esprimendo un’idea su come vorrebbe il prodotto, il packaging, le promozioni oppure l’impegno corporate su tematiche ambientali o di responsabilità sociale. Le idee sono quindi condivise, votate dalla community e infine sottoposte ad un’attenta analisi di fattibilità. Se l’esito è positivo, Mulino Bianco si impegna a realizzarle; in caso contrario saranno pubblicamente spiegate le motivazioni della mancata realizzazione. Si tratta di un caso particolarmente significativo, dal momento che partendo dalle idee e dai bisogni espressi dai consumatori si arriva pienamente all’interno del processo di innovazione aziendale. L’avvio dell’iniziativa è stato supportato da una campagna pubblicitaria tv e dalla diffusione di contenuti su un mix di canali eterogenei, in grado di alimentare un traffico che valorizzi in modo indiretto e naturale un messaggio forte. A oggi il Mulino che Vorrei ha portato oltre 200mila persone ad entrare in contatto diretto con la marca, proponendo oltre 3.000 idee di prodotto, comunicazione, promozione, etc. I contatti attivati attraverso il social network sono alcuni milioni. | 28 |
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INTERVISTA | BARILLA PIONIERE NEL DIGITAL MARKETING
sperimentazioni, o addirittura di “mode” da seguire? Come da nostro costume, non rilasciamo indicazioni relative alla ripartizione dei nostri investimenti. Però è certamente una quota in crescita, lo si può capire anche solo osservando il numero ed il tipo di iniziative che stiamo portando on line. La logica è quella di trovare, per ogni brand, la propria personale impronta e attraverso questa coinvolgere sempre di più le persone ed avvicinarsi
iPasta, la nuova applicazione per iPhone, è un primo interessante esempio di utilizzo del Mobile in modo coerente ai valori di una marca. Ci crediamo molto, e non è che l’inizio
Le iniziative di Mobile Marketing La notorietà e la reputazione di cui gode il marchio Barilla a livello nazionale e internazionale sono il frutto di un’attività di marketing e comunicazione ben congegnata e da sempre attenta alle novità disponibili per coinvolgere i propri consumatori. Già da alcuni anni la società ha colto la sfida del canale Mobile come mezzo pubblicitario, sperimentando diversi approcci. Una delle prime iniziative fu la campagna “Top of the Drops” realizzata nel 2007 per i biscotti “Gocciole”. Ai clienti venivano offerti contenuti per il cellulare, come suonerie, brani musicali e wallpaper, redimibili utlizzando i codici apposti sulle confezioni dei prodotti. Particolarmente innovativa fu la decisione di utilizzare codici differenziati a seconda del target di riferimento per accedere ad un diverso tipo di contenuti. Anche la campagna Ringo Games, sempre del 2007 e indirizzata ad un pubblico giovane, permetteva ai consumatori di scaricare una collection di giochi brandizzati utilizzando i codici apposti sulle confezioni dei prodotti. Di recente Barilla ha fatto il suo debutto anche nel mondo degli smartphone, sviluppando iPasta, un’applicazione “ricettario” per iPhone pensata per aiutare gli utenti con una serie di funzioni a sfondo culinario. La tecnologia GPS integrata nell’iPhone permette di ottenere informazioni sulla tradizione culinaria locale in base alla propria posizione, ottenendo un elenco dei piatti tipici. Altre funzioni permettono, inoltre, di utilizzare l’applicazione durante la spesa al supermercato o in cucina: è infatti possibile visualizzare un elenco di ricette e degli ingredienti necessari per prepararli o elaborare una ricetta a partire dall’elenco degli ingredienti a disposizione in casa.
a loro. Non per moda, ma per convinzione e perché la gente adesso non la si può più tenere distante. Quali sono secondo lei le principali barriere nell’adozione degli strumenti digitali come strumenti di marketing e comunicazione aziendale? Personalmente credo che sia solo un problema di sviluppo di una cultura di marketing nuova, attraverso la quale si possa riuscire a vedere il potenziale del digitale non per l’aspetto tecnico spesso ostico per chi fa marketing - ma per quello sociologico, quindi come strumento potente che permette di avvicinarsi ai propri clienti reali e potenziali. Una ricerca del Reputation Institute ha recentemente premiato Barilla riconoscendola come l’azienda italiana che gode della migliore reputazione nel mondo. Quali sono le armi vincenti della sua azienda in termini di innovazione e comunicazione?
Credere sempre che ci possa essere una soluzione migliore, che non è ancora stata trovata e sperimentata. E provare a raggiungerla con professionalità e serietà. Siete da poco sbarcati sull’App store con l’applicativo iPasta. È la prova che credete che il Mobile potrà giocare un ruolo importante nel futuro nel marketing aziendale? iPasta è un primo interessante esempio, sviluppato dei colleghi della Pasta, di utilizzo del Mobile in modo coerente a quelli che sono i valori di una marca. È certamente la dimostrazione che ci crediamo molto, e non è che l’inizio.
OSSERVATORIO
di e
ALESSANDRO PEREGO (SOTTO) PAOLO CATTI (A DESTRA)
SCHOOL OF MANAGEMENT POLITECNICO DI MILANO
FATTURAZIONE ELETTRONICA IN ITALIA, AVANTI PIANO Nelle imprese del nostro Paese c’è ancora molta confusione sulle soluzioni disponibili, scarsa percezione dei notevoli risparmi ottenibili e timore nell’affrontare i cambiamenti. Una ricerca del Politecnico di Milano fa chiarezza sui modelli applicabili e “misura” i benefici potenziali della dematerializzazione dei documenti, sia nelle “comunità” già esistenti sia nelle filiere che hanno, a oggi, assai poco adottato queste soluzioni
Il tema della Fatturazione Elettronica è un argomento “caldo” ormai da alcuni anni, capace di attrarre un fortissimo interesse da parte di una molteplicità di attori (imprese, banche, PA, associazioni di filiera, professionisti) appartenenti a “mondi” anche molto distanti. Ciò nonostante, c’è ancora molta confusione in merito all’ambito di analisi e ai modelli implementativi, come è emerso anche dalla quarta edizione, presentata di recente, della Ricerca dell’Osservatorio Fatturazione Elettronica e Dematerializzazione della School of Management del Politecnico di Milano (www.osservatori.net). Il segno più evidente di questa confusione è che si presentano dati di diffusione, benefici, criticità e ricette, senza precisare adeguatamente a quale modello di Fatturazione Elettronica si stia facendo riferimento. Dalle nostre analisi sul campo, per contro, emerge chiaramente che l’applicazione dei principi della Fatturazione Elettronica si declina concretamente in modelli attuativi assai diversi tra loro: la Conservazione So| 30 |
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stitutiva delle fatture o di altri documenti, la Fatturazione Elettronica “pura” a norma di legge, la Veicolazione Elettronica delle fatture e di altri documenti del ciclo dell’ordine (in formato strutturato o non strutturato). TRE MODELLI PROFONDAMENTE DIVERSI Nel primo modello si ricercano essenzialmente benefici legati alla dematerializzazione dei documenti “fattura” – e, per estensione logica, anche di altri documenti – che grazie alla normativa del 2004 (con le successive integrazioni) possono essere conservati in formato digitale senza necessità di archiviare l’originale cartaceo. La sorgente dei benefici è prevalentemente una riduzione dei costi di conservazione fisica dei documenti e reperimento degli stessi in caso di necessità. L’approccio è poco o per nulla orientato a considerare la fattura – o gli altri documenti contabili – come parte di un processo commerciale. E questo ne
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interscambio documentale tra partner di business), idealmente dalla stipula dei contratti alla chiusura dei pagamenti. Ai benefici legati all’automazione del processo si aggiungono, in questo caso, i benefici legati al miglioramento della qualità e, quindi, alla riduzione dei costi di gestione delle inaccuratezze. In valore assoluto, i benefici netti possono valere diverse decine di euro per ciclo documentale (da 25 fino anche a 65 euro), in funzione del settore e del grado di copertura del ciclo. Pur nell’alveo di un unico macro-tema - la Fatturazione Elettronica - non si può non riconoscere che questi tre approcci - o classi di modelli - sono tra loro profondamente diversi (si veda la figura a pagina seguente).
Il caso Festo: gestione elettronica delle fatture cross-border rappresenta, da un lato, un sostanziale punto di forza rispetto a modelli più complessi – benefici conseguibili “facilmente”, anche senza particolari modifiche al processo – e, dall’altro, il principale limite: benefici netti che, al più, possono valere 12 euro per fattura (o altro documento equivalente di pari “ingombro”). Nel caso dei modelli di Fatturazione Elettronica “pura” a norma di legge – caratterizzati dal fatto che la fattura nasce, viene trasmessa, ricevuta e conservata esclusivamente in formato elettronico – subentra, invece, per quanto limitatamente, la prospettiva di processo. I benefici – tra i 5 e i 10 euro per fattura – sono, infatti, strettamente dipendenti dalla qualità dell’interazione con i propri partner di filiera, siano essi clienti o fornitori. Il terzo modello comporta un’estensione delle logiche della Fatturazione Elettronica pura all’intero ciclo commerciale (in particolare il concetto di
Festo SpA – la controllata italiana di Festo AG&Co Kg, azienda tedesca che produce componenti pneumatici ed elettrici oltre a sistemi completi per l’automazione industriale – ha avviato nel 2009, su spinta dell’Amministrazione, un progetto di Conservazione Sostitutiva, motivato da tre principali obiettivi: eliminare la necessità di stampare i documenti, liberare spazio in azienda e conservare i documenti fiscali in modo più sicuro rispetto a quanto consentito dai metodi tradizionali. La società italiana è il principale ramo commerciale europeo di Festo, il cui Gruppo conta oggi ben 57 consociate in tutto il mondo e occupa circa 13.500 dipendenti. Gli oltre 300.000 clienti di Festo sono principalmente i costruttori di macchine industriali e le Grandi Imprese. La Conservazione Sostitutiva, per Festo SpA, riguarda i registri contabili, tutte le fatture attive e le fatture passive ricevute dalla casamadre tedesca, che con circa 50 fatture al giorno è il principale fornitore di Festo SpA. Per poterle conservare senza procedere alla stampa, Festo SpA ha chiesto alla casamadre l’attivazione di un rapporto di “fatturazione elettronica”. Di fatto viene effettuata la Conservazione Sostitutiva di fatture emesse da Festo AG&Co Kg direttamente sul gestionale (in comune con Festo SpA), che vengono gestite in Italia, nel sistema di Conservazione Sostitutiva, apponendo due firme digitali: una di Festo AG&Co Kg (che ha dato un’apposita delega) e una di Festo SpA: le numerose fatture di Festo AG&Co Kg non vengono dunque mai materializzate. www.ict4executive.it
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La reale partenza dell’obbligo di Fatturazione Elettronica nei confronti della Pubblica Amministrazione costituirebbe un “irresistibile” fattore di spinta e, forse, anche l’occasione per rivedere alcune “spigolosità” della normativa italiana che ancora richiedono di essere “limate”
LA DIFFUSIONE ATTUALE A fronte dei benefici illustrati, qual è l’attuale grado di diffusione della Fatturazione Elettronica – nelle tre diverse accezioni introdotte – in Italia? Sono poche unità le aziende in Italia che già hanno sviluppato o stanno per implementare modelli di Fatturazione Elettronica “pura” a norma di legge che comprendono accordo tra le parti, scambio di fatture firmate digitalmente e conservazione a norma delle fatture in solo formato digitale (si veda il caso Novartis per un esempio in questo senso). Sono, invece, molte le imprese che “si fermano” alla sola Conservazione Sostitutiva e ancor di più quelle che partecipano a sistemi di interscambio di fatture in formato elettronico senza però aggiungere la componente di Conservazione Sostitutiva: una situazione, quest’ultima, concettualmente “a un passo” dalla Fatturazione Elettronica a norma di legge. I motivi di questo “paradosso” vanno ricercati, da un lato, nel reale salto culturale che distingue i modelli che prevedono la Veicolazione Elettronica delle fatture – e necessitano di un accordo con soggetti esterni all’organizzazione – dal modello più elementare di sola Conservazione Sostitutiva (gestibile semplicemente all’interno di ciascuna singola organizzazione). Dall’altro lato, alcuni requisiti procedurali previsti dalla legge italiana per attuare il modello della Fatturazione Elettronica “pura” – per esempio, l’obbligo di portare in conservazione le fatture entro 15 giorni dal ricevimento (o dall’emissione) – costituiscono un fattore di inibizione verso quelle organizzazioni che già attuano modelli di Veicolazione Elettronica delle fatture avendo in essere una qualche forma di accordo tra le parti (o col provider). Ovviamente, la reale partenza dell’obbligo di Fatturazione Elettronica nei confronti della PA costituirebbe un “irresistibile” fattore di spinta e, forse, anche l’occasione per rivedere alcune “spigolosità” della normativa italiana che ancora richiedono di essere “limate”. Sono alcune migliaia – tra 2.000 e 3.000 – le imprese che hanno adottato o stanno applicando mo| 32 |
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delli di Conservazione Sostitutiva di fatture o di altri documenti a valenza fiscale o civilistica, quali scritture contabili, contratti, documenti di trasporto. La dinamica è molto sostenuta in termini di tassi percentuali di crescita anno su anno, anche se il livello di adozione in assoluto è ancora limitato. Le soluzioni di Conservazione Sostitutiva delle fatture sono spesso parte di progetti di gestione documentale e frequentemente ne costituiscono una estensione. Con l’esclusione di qualche eccezione, non includono invece modelli di Fatturazione Elettronica “pura” a norma di legge. Al più, in numerosi casi, comprendono funzionalità di veicolazione (o ricezione) multicanale, ma sempre con la prospettiva di soluzioni “interne” volte alla gestione della complessità esterna (percepita ancora come “meramente esogena” rispetto ai confini dell’impresa). I principali fattori di freno/inibizione sono riconducibili a una generale percezione di “discrezionalità” della spesa (non ha elevata priorità se non nella testa dell’owner interno, spesso un middle manager) e a una difficoltà di misura della redditività dell’investimento. Lo scambio di fatture su reti EDI – gestite da associazioni di filiera o create da grandi imprese – è uno dei fenomeni più interessanti, per numero di imprese coinvolte e per prossimità alla Fatturazione Elettronica “pura” a norma di legge (si veda, a questo proposito, l’esperienza di fatturazione elettronica cross-border con la casamadre descritta nel caso Festo). Sono, nel complesso, diverse decine di migliaia in vari settori le imprese che con modelli diversi – dalle relazioni bilaterali guidate da un’azienda leader di filiera alle reti intermediate da un’associazione di filiera o da uno o più provider di servizi EDI – scambiano in formato elettronico le fatture o alcuni dei documenti del ciclo dell’ordine propedeutici a un futuro scambio elettronico anche delle fatture (si veda, per esempio, il caso Scame Parre). La dinamica di crescita è sostenuta, sia grazie alla continua estensione delle comunità EDI sia in virtù dell’azione di alcune imprese medio-grandi. Il valore scambiato “in formato elettronico” attraverso questi modelli ammonta complessivamente a circa 150-200 miliardi di euro, tra il 5% e il 7% del valore complessivo degli scambi B2b (pari a circa 3.000 miliardi di euro). È quindi evidente il potenziale di crescita, sia all’interno delle “comunità” già esistenti sia attraverso l’estensione di questi modelli a filiere che li hanno, a oggi, assai poco adottati. I PRINCIPALI FATTORI DI INIBIZIONE Analizziamo, dunque, quali sono i principali fattori di inibizione segnalati dai “non utenti”, guardando in particolare coloro che – negli ultimi 2-3
OSSERVATORIO | FATTURAZIONE ELETTRONICA IN ITALIA, AVANTI PIANO
I DIVERSI APPROCCI AI MODELLI DI FATTURAZIONE ELETTRONICA
AUTOMATIZZARE LO SCAMBIO DOCUMENTALE (E LE RICONCILIAZIONI)
INTEGRAZIONE DEL CICLO ORDINE-PAGAMENTI
FATTURAZIONE ELETTRONICA
CONSERVAZIONE SOSTITUTIVA
ELIMINARE GLI ARCHIVI
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Il caso Novartis: Fatturazione Elettronica a norma di legge Novartis è una multinazionale svizzera attiva nella produzione di farmaci, presente in Italia con tre divisioni e tre siti produttivi in cui si realizzano farmaci, vaccini e principi attivi. Il Fatturato di Novartis in Italia, escludendo la quota di fatture intragruppo, si ripartisce in maniera pressoché equa tra clienti ospedalieri (leggermente predominanti) e distributori. Una quota meno rilevante delle vendite avviene verso le farmacie. Novartis, storicamente molto interessata al tema dell’integrazione, è tra i produttori-pilota che hanno avviato lo scambio di fatture elettroniche a norma con alcuni distributori del farmaco. Attraverso il provider individuato dal Consorzio di filiera, Novartis gestisce tutta la propria fatturazione attiva, secondo una soluzione multicanale che consente anche l’invio di fatture elettroniche a norma. Attualmente questo tipo di relazione è instaurata solo verso un paio di clienti, cui Novartis invia circa il 4% delle proprie fatture attive, ma negli obiettivi dell’azienda vi è una decisa estensione dell’utilizzo della Fatturazione Elettronica: a tutti i clienti, che al momento si dimostrano poco interessati, è stata inviata una comunicazione specifica, con l’obiettivo di fare cogliere le opportunità offerte dal nuovo sistema. Nel contempo, l’azienda ha cercato di garantirsi la possibilità, tramite opportuni software di traduzione, di integrarsi con i clienti in base alle loro specifiche necessità. Un ulteriore sviluppo futuro, secondo Novartis, sarà l’integrazione della fatturazione con la gestione degli incassi, oggi gestita come un processo a sé e per questo molto onerosa.
anni – hanno in qualche misura partecipato al dibattito sul tema. Le motivazioni che inducono un’organizzazione, pubblica o privata, a scegliere di non adottare la Fatturazione Elettronica sono eterogenee, ma essenzialmente riconducibili a 5 principali categorie (riportate nell’ordine di rilevanza emerso dalla Ricerca): • la necessità di investire nel change management; • la scarsa percezione dei benefici conseguibili; • la percezione di poca chiarezza nella normativa; • il timore che i costi o gli investimenti da sostenere siano eccessivi; • la consapevolezza di non disporre delle competenze necessarie.
I ricercatori del Politecnico di Milano hanno sviluppato uno strumento che consente la valutazione dei benefici, utilizzabile in modalità autonoma da parte delle imprese per una prima stima affidabile del ritorno dell’investimento | 34 |
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La difficoltà nella gestione del cambiamento – di processo, organizzativo, culturale, relazionale – risulta il primo degli ostacoli che bloccano l’adozione di queste soluzioni. Per vincere l’inerzia al cambiamento e per supportare le organizzazioni nel gestire il cambiamento – senza nulla togliere alla responsabilità individuale di ciascuna impresa – sono necessarie quelle azioni di sistema che possono costituire uno “shock positivo”. E i soggetti in grado di giocare un ruolo in tal senso sono, in ordine di importanza, il Legislatore e la PA, le grandi imprese e le associazioni di imprese, le Banche e i Commercialisti. La seconda barriera generalmente evidenziata è la scarsa o difficile comprensione dei benefici della Fatturazione Elettronica. È opportuno sottolineare, tuttavia, come la maggior parte delle aziende che evidenziano questa barriera abbia contemporaneamente dichiarato di non aver effettuato valutazioni puntuali sui benefici potenziali. Si tratta, dunque, di un ostacolo facilmente superabile, anche alla luce dei più che evidenti benefici misurati e dimostrati nel tempo dall’attività dell’Osservatorio e dai numerosi casi di successo esistenti nel nostro Paese. In ogni caso – data la persistenza di questo fattore di inibizione – abbiamo sviluppato uno strumento interattivo ad hoc che consente la valutazione dei benefici, utilizzabile in modalità autonoma da parte delle imprese che volessero ottenere una prima stima affidabile del ritorno dell’investimento in questi progetti. La normativa su Fatturazione Elettronica, Conservazione Sostitutiva e Digitalizzazione di documenti e processi costituisce senza dubbio un’importante cornice per regolare e favorire la diffusione di queste soluzioni. Vale però la pena ricordare che i primi esempi di veicolazione elettronica di ordini e fatture risalgono a oltre 40 anni fa, nati dall’esigenza di soggetti privati di rendere più efficienti ed efficaci i processi in filiere complesse multi-attore (nei trasporti internazionali o nel settore automobilistico, per citare due antesignani per eccellenza). Rimane dunque importante verificare che il quadro normativo evolva nella direzione da molti auspicata dell’omogeneizzazione a
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In Italia vi sono almeno 50 validi provider di servizi, nelle varie declinazioni. La modalità “full outsourcing” rende queste soluzioni del tutto alla portata delle PMI
livello europeo e dell’eliminazione di inutili “orpelli”, ma è dannoso affrontare il tema senza considerare la “prospettiva del valore”, il “sano” punto di vista delle organizzazioni utenti. Il confronto tra il Legislatore – a livello europeo o nazionale – e le comunità di imprese che già oggi adottano modelli di Fatturazione Elettronica appare decisivo al riguardo. Allo stesso modo, continua a essere oggetto di eccessiva preoccupazione il tema degli standard. Sono assolutamente graditi progetti volti a favorire la riunificazione di standard e l’interoperabilità, ma i fattori di inibizione sono altri. Le barriere di tipo tecnico e tecnologico – difficoltà e costi di implementazione – si sono significativamente abbassate negli ultimi 5 anni, al punto da non costituire più un reale fattore di freno: in Italia vi sono, infatti, almeno 50 validi provider di servizi e soluzioni di Fatturazione Elettronica, nelle varie declinazioni. La forte competizione in atto sul servizio e sui prezzi rende il fattore “investimenti e costi correnti” decisamente meno importante rispetto alla corretta stima dei benefici e all’accurata definizione del percorso di implementazione. La possibilità di usufruire di servizi in “full outsourcing” rende, inoltre, queste soluzioni del tutto alla portata delle PMI. LE AZIONI PER STIMOLARE L’ADOZIONE Volendo sintetizzare, in conclusione, quanto emerso chiaramente dalle ormai pluriennali Ricerche dell’Osservatorio, le azioni di spinta che potrebbero – in concreto – muovere le imprese italiane verso una diffusa adozione sono essenzialmente quattro. • La diffusione della Fatturazione Elettronica – in particolare verso le PMI al di fuori delle comunità EDI – passerà attraverso l’obbligo di Fatturazione Elettronica nei confronti della PA e l’azione culturale e operativa di soggetti aggregatori come le Associazioni, le Banche, i fornitori di sistemi ERP e gli operatori ICT in generale, i Commercialisti. • Il Legislatore e la Pubblica Amministrazione hanno un ruolo importante di supporto alla diffu-
sione. In assenza di un loro intervento puntuale (leggasi Decreto) il mercato – sia lato domanda sia lato offerta – sta crescendo largamente al di sotto delle proprie potenzialità. • Il sistema bancario deve ancora trovare la giusta “posizione in campo”: dovrebbe, a nostro avviso, privilegiare maggiormente il ruolo di attore chiave del ciclo fatturazione-pagamento piuttosto che quello di puro provider di servizi di Fatturazione Elettronica. • I Commercialisti iniziano a dimostrare attenzione al fenomeno, sia come utenti diretti – oltre il 10% degli oltre 500 Studi che abbiamo analizzato utilizza soluzioni di Conservazione Sostitutiva – che come sponsor della Fatturazione Elettronica verso i propri clienti – quasi il 30% promuove attivamente soluzioni di dematerializzazione.
Il caso Scame Parre: gestione integrata del Ciclo dell’Ordine Scame Parre, fondata in provincia di Bergamo nel 1963, è un importante produttore di materiale elettrico che oggi gestisce, nel mondo, un Gruppo di 15 società partecipate e collegate. Scame Parre produce oltre 10.000 articoli che coprono una varia gamma di componenti e sistemi per impianti elettrici destinati al settore civile, terziario e industriale, esportati in oltre 80 Paesi distribuiti nei 5 continenti. Fin dai primi anni ’90, Scame Parre ha collaborato attivamente alla definizione e alla diffusione dello standard EDI di filiera. Oggi l'utilizzo dell'EDI nella relazione con i distributori è molto forte presso Scame Parre: il 42% delle righe d’ordine, il 40% delle conferme d’ordine (inviate esclusivamente a chi emette ordini via EDI), circa il 50% degli avvisi di spedizione e il 70% delle fatture (cioè tutte le fatture indirizzate ai consorzi d’acquisto e ai grandi grossisti) sono trasmessi via EDI. Scame Parre, inoltre, ha interfacciato il proprio gestionale con i vari software di remote banking delle banche di cui è cliente, riuscendo a integrare, parzialmente, anche l'attività di verifica dello stato dei pagamenti. L'attenzione dell'azienda verso il tema dell'Integrazione del Ciclo dell'Ordine è molto forte e Scame Parre cerca di favorirne la diffusione presso i propri clienti: per cercare di incrementare il numero di ordini ricevuti in modalità elettronica, l’azienda offre consegne in tempi più rapidi ai clienti che utilizzano questa soluzione.
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SPECIALE ”PUBBLICA AMMINISTRAZIONE”
TRANSIZIONE AL DIGITALE, UN’OPPORTUNITÀ PER L’ITALIA DA COGLIERE SUBITO
PIERFILIPPO ROGGERO PRESIDENTE E AMMINISTRATORE DELEGATO FUJITSU TECHNOLOGY SOLUTIONS ITALIA
Il nostro Paese dimostra di non avere il coraggio di introdurre strumenti innovativi, come la Fatturazione Elettronica, che potrebbero portare risparmi stimati in decine di miliardi di euro, semplificare i rapporti della PA con imprese e cittadini e ridurre l’evasione fiscale. Parla Pierfilippo Roggero, Presidente e Amministratore Delegato di Fujitsu Technology Solutions Italia
C’è una grande opportunità per il Paese, in termini di aumento di competitività e snellimento della burocrazia. È il passaggio al digitale – abbandonando la carta e le spedizioni postali - nel ciclo ordine-pagamenti, in grado di semplificare i procedimenti della Pubblica Amministrazione nei rapporti con privati e imprese, ridurre i costi e aumentare la trasparenza. Basterebbe una spinta decisa, da parte del Governo, verso questi processi, in grado anche di minimizzare l’evasione, e garantire alle imprese il credito certo. Ma ciò non sta accadendo, malgrado le evidenze di analisi e studi realizzati da Istituzioni, Università e Associazioni. Uno per tutti l'Osservatorio “Fatturazione Elettronica e Dematerializzazione” della School of Management del Politecnico di Milano, che stima il risparmio dall’adozione di logiche di dematerializzazione, solo per la fase di fatturazione, intorno ai 10 miliardi di euro, che arrivano a 60 miliardi di euro nel caso l’adozione di fatturazione elettronica fosse estesa all’intero ciclo ordine pagamento. Inoltre, a seconda del modello adottato, l’impatto atteso solo in | 36 |
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ambito PA potrebbe essere compreso tra i 300 milioni e i 2 miliardi di euro di risparmio; se si guardano le piccole medie imprese, il valore potenziale della fatturazione elettronica è stimato tra 1 e 3 punti di margine a seconda del settore, delle dimensioni dell’azienda e modello implementato. Pierfilippo Roggero, Presidente e Amministratore Delegato di Fujitsu Technology Solutions Italia, filiale italiana del Gruppo Fujitsu, uno dei maggiori provider di soluzioni ICT professionali per il mercato globale, con circa 170.000 dipendenti operativi su clienti provenienti da 70 Paesi e un fatturato consolidato di circa 50 miliardi di dollari nel 2010, è impegnato da tempo e in prima persona su questo tema, convinto che l’opportunità vada colta subito, come già sta avvenendo in altri Paesi. «Da oltre un anno – afferma il manager – sono impegnato, spendendomi anche in prima persona all’interno dei tavoli di lavoro, per stimolare un dibattito che possa orientare il nostro Paese verso la semplificazione della burocrazia e dei suoi costi, illustrando
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a soggetti istituzionali, esponenti dell’una e dell’altra area politica, i benefici che la riduzione dei costi della burocrazia e dell’economia sommersa porterebbe al sistema Italia a mezzo della tracciabilità e non solo dei pagamenti. Ma ancora una volta il nostro Paese sembra non sentirci». Roggero sottolinea lo scarso interesse riscontrato verso l’esigenza di avviare – nei fatti e non a parole - un radicale processo di trasformazione della Pubblica Amministrazione e di semplificazione tra pubblico e privato, trovando le risorse necessarie per rilanciare iniziative di sviluppo nazionale. «L’Italia dimostra di non avere il coraggio necessario di intervenire con decisione e di introdurre strumenti che possono portare – dati alla mano - benefici stimati in qualche decina di miliardi di euro, ovvero dai 2 ai 3 punti di PIL. Forse perché intimoriti da qualche forte lobby, o non convinti, nonostante studi provati, dei reali benefici o dubbiosi sul consenso che avrebbe generato, ancora una volta l’Italia si trova non allineata con altri importanti Paesi dell’Unione Europea che hanno introdotto la fatturazione elettronica come fondamentale per gestire tutte le transazioni tra aziende pubbliche e private. Nonostante i proclami, la manovra economica appena varata non prevede alcuna norma sulla fatturazione elettronica vera e propria, quella reale. L’unica disposizione rilevante prevede che l’Agenzia delle entrate definisca le modalità per comunicare al fisco le fatture di importo superiore ai 3.000 euro: non quindi una fattura elettronica, ma una misura di tracciabilità per l’Iva». Va ricordato che la Finanziaria 2008 aveva introdotto l’obbligo per i fornitori della PA di inviare fatture elettroniche “pure” a norma di legge; ma tutto giace nell’oblio ancora oggi, perché il Ministero dell’Economia non ha mai emanato il decreto attuativo che rende efficace questa disposizione. La presenza della norma sulla tracciabilità delle fatture nella manovra economica ha indubbiamente contribuito a generare interesse e fermento sul tema. «Ora ci auguriamo – riprende Roggero - che il gruppo di lavoro congiunto del Ministero dell’Economia e del Ministero per la Pubblica Amministrazione e Innovazione riesca al più presto a sbloccare questa impasse, emanando il decreto attuativo che introdurrà in Italia l’obbligo di fatturazione elettronica verso la PA, uno strumento indispensabile per rilanciare il nostro Paese, un catalizzatore importante per lo svi-
Convegno: “Una nuova governance per l’innovazione in Italia” Lunedì 20 settembre 2010, ore 14.30 - Aula Rogers del Politecnico di Milano, Campus Leonardo, Via Ampère 2, Milano La semplificazione dei procedimenti della Pubblica Amministrazione, nei rapporti con privati e imprese, rappresenta una delle sfide più impegnative nella vita di ogni Governo moderno, così come lo sviluppo di un Sistema Sanitario in linea con i reali bisogni e le aspettative dei cittadini. Per questo motivo Pierfilippo Roggero, Presidente e Amministratore Delegato di Fujitsu Technology Solutions Italia, ha deciso di promuovere insieme agli Osservatori della School of Management del Politecnico di Milano, un incontro sul tema, intitolato “Una nuova governance per l’innovazione in Italia”. Rappresentanti del mondo istituzionale e del mondo delle imprese cercheranno di dimostrare in concreto come la riduzione della burocrazia e la reingegnerizzazione dei processi possano portare a rivoluzioni per il cittadino e per l’impresa, a costo zero per il Paese Italia. Le analisi degli Osservatori daranno la possibilità di fornire alcune indicazioni sullo stato dell’arte nel nostro Paese, attuando un confronto con alcuni benchmark internazionali basati su esperienze più avanzate, razionalizzando la realtà che si osserva per tratteggiare utili linee guida. Seguirà una tavola rotonda sul tema “Innovare l’innovazione”, in cui esponenti delle istituzioni come Davide Giacalone, Presidente dell’Agenzia Nazionale per l’Innovazione, Renzo Turatto, Capo del Dipartimento per l’Innovazione della Presidenza del Consiglio, Antonio Cianci, Consigliere per l’Innovazione del Ministro per la PA, si confronteranno con istituzioni, società pubbliche e tutti i soggetti che oggi partecipano alla definizione delle regole e all’attuazione dell’innovazione nel nostro Paese. La partecipazione è gratuita, previa registrazione obbligatoria. Per iscriversi www.osservatori.net/convegno-innovazione-PA
luppo del sistemi elettronici di fatturazione e gestione di ordini e incassi, come dimostra la recente esperienza del governo spagnolo». E conclude: «Siamo certi che, se il Presidente Berlusconi e tutto il Governo avessero reale evidenza dei benefici della Fatturazione Elettronica, sarebbero i primi ad impegnarsi a supportarne la diffusione, così come siamo convinti che anche l’opposizione sarebbe spontaneamente sostenitrice e favorevole all’avvio e alla realizzazione di questa trasformazione, che non può essere né di destra né di sinistra, ma di chi come noi vuole una reale trasformazione del Paese, fatta di cose concrete che portino vantaggi alle imprese, e migliorino la qualità della vita dei cittadini». www.ict4executive.it
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UNA STRATEGIA VINCENTE PER LA GESTIONE DEI PROCESSI DI BUSINESS
Negli ultimi due anni, il sistema economico internazionale ha spinto le aziende ad adottare politiche estreme di cost cutting. Queste hanno coinvolto tutte le aree funzionali e le divisioni aziendali, inclusi i sistemi informativi. Secondo una logica che potrebbe definirsi “darwiniana”, sono state escluse dal mercato una parte delle imprese meno sane. Ad oggi, gran parte delle imprese ha tagliato il tagliabile e lo spazio per ridurre i costi ulteriormente è molto ristretto. Per risparmiare ancora, la soluzione principale verso cui tendere è quella di migliorare l’organizzazione. Ad una politica di cost cutting si sta quindi sostituendo una politica di optimization; si passa cioè da un approccio quantitativo (“fare le stesse cose riducendo i costi”, ovvero stesso output, minori input) ad uno quali-quantitativo (“fare le cose meglio con meno risorse”, ovvero output maggiori/migliori, minori input). Una recente analisi effettuata da CST Consulting sull’andamento economico di Clienti medio-grandi e grandi ha prodotto risultati di rilievo nell’ambito della gestione delle informazioni aziendali. Lo studio è stato realizzato da analisti CST Consulting che hanno maturato una esperienza media di 15 anni su progetti di Business Process Reengineering (BPR), ERP, Enterprise Content Management (ECM), Business Intelligence & Corporate Performance Management (BI&CPM). Gli analisti CST Consulting hanno esaminato in profondità la relazione che intercorre tra strategie di “back-end” (scelta della tecnologia, modalità di gestione delle informazioni, modalità di gestione dei processi) e risultati di “front-end” (vantaggio competitivo, risultati operativi, market share, time to market, rapidità di adattamento al cambiamento). È emerso che tutte le imprese che ottengono performance di eccellenza sono caratterizzate da rapidità di reazione e raggiungono una posizione di leadership | 38 |
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UNA SURVEY SU IMPRESE LEADER REALIZZATA DA CST CONSULTING METTE IN LUCE GLI STEP FONDAMENTALI PER OTTENERE CONCRETI VANTAGGI ECONOMICI ALLINEANDO TECNOLOGIE, INFORMAZIONI E PROCESSI
di mercato se hanno implementato una coerente strategia di “back-end” step-by-step. Qual è questa strategia e come raggiungere questi risultati? Questi gli step principali. 1. Gestire dati strutturati; 2. Analizzare i processi; 3. Gestire i dati non strutturati; 4. Integrare dati strutturati e dati non strutturati; 5. Gestire i processi; 6. Analizzare dati strutturati e non strutturati. Ciò che si intende mettere in luce in questa sede è come attuare concretamente una strategia vincente di ECM e Business Process Management (BPM). Si dà quindi come assunto che le aziende si siano già dotate di strumenti in grado di gestire le transazioni di business (tramite un sistema ERP), così come emerso dalla imprese intervistate. BUSINESS PROCESS REENGINEERING Il primo passo, fondamentale per la buona riuscita di un progetto ECM, è quello di analizzare i processi di business, mapparli ed ottimizzarli, se necessario. Comprendere pienamente quali sono le procedure tramite cui le risorse aziendali (persone, sistemi, ecc.) conducono all’erogazione di un servizio o alla fornitura di un prodotto significa infatti gettare le basi per rendere snelli ed efficaci i flussi di informazioni ed i processi decisionali. GESTIRE DATI NON STRUTTURATI Come sottolineato a più riprese dai maggiori analisti di mercato, circa l’80% delle informazioni aziendali sono di tipo non strutturato (documenti, email, fax, ecc.). Questo step implica quindi la comprensione di quali documenti/contenuti sono associati a quali processi ed in che modo. Le aziende leader analizzate sostengono di aver già risparmiato ampiamente,
implementando un sistema ECM centralizzato (repository unico), seguendo una metodologia progettuale smooth (l’opposto di un approccio big bang, per intenderci). Inoltre, nell’ottica dell’adozione di una strategia di optimization successiva, le imprese si sono impegnate ad analizzare i processi documentali, oltre ad acquisire, indicizzare e classificare (spesso in modo automatico) i contenuti aziendali. INTEGRARE DATI STRUTTURATI E NON STRUTTURATI Integrare informazioni strutturate ed informazioni non strutturate significa creare un legame tra dati (ad es. RDBMS) e contenuti di business. Ad esempio, le aziende leader analizzate hanno ben identificato la differenza tra liquidare una fattura passiva tramite ERP (gestione transazionale) e poterla invece acquisire, indicizzare, classificare, ricercare/consultare da SAP ed eventualmente approvare da web. Questa integrazione ha permesso inoltre di raggiungere un risultato importante: abilitare i business manager a prendere decisioni rapide e corrette, basate su informazioni accurate e complete ed avere sotto mano le informazioni chiave nel momento e nel luogo in cui serve. GESTIRE I PROCESSI Ciò che ha consentito alle aziende di adottare una strategia di optimization è la gestione e l’automazione dei processi di business (BPM). Luciano Balzarini, CEO di CST Consulting, afferma che BPM significa “…cucire i documenti e i contenuti intorno ai processi. Non sono i documenti che devono muovere l’azienda, ma i processi e le logiche di business. Il documento è solo un contorno”. Quanto emerge è che il sistema documentale è inteso come una commodity, uno strumento per l’attuazione dei processi e che l’assioma di fondo individua una business entity da gestire, non un documento. Come emerso dall’”Osservatorio Fatturazione Elettronica e Dematerializzazione” del Politecnico di Milano, le soluzioni di conservazione sostitutiva delle fatture (documenti contabili e fiscali, più in generale) e fatturazione elettronica sono spesso una componente di progetti di gestione documentale allargata. La conditio sine qua non per cui queste soluzioni abbiano un ritorno sull’investimento è quindi quella di pensarle in un quadro più ampio che tenga sempre presente l’obiettivo dell’optimization. La mera riduzione dei costi sarà quindi effetto e non causa dell’implementazione di questo tipo di soluzioni. Le aziende prese in esame utilizzano più di un sistema IT per gestire un interno processo di business. All’interno di questi sistemi le informazioni processate
sono spesso in eccesso o addirittura ridondanti. Per applicare con successo una strategia di optimization, le imprese hanno quindi tenuto in considerazione la sostanziale differenza tra applicazioni e contenuti, combinando workflow applicativi e workflow contentcentric (poiché questi hanno requisiti funzionali radicalmente differenti). ANALIZZARE DATI STRUTTURATI E NON STRUTTURATI L’implementazione di un Datawarehouse/Datamart che contenga informazioni accurate, veritiere e complete è un altro step che le aziende leader intervistate hanno identificato come fondamentale per prendere decisioni migliori. Sulla base dello studio effettuato, i risultati di “front-end” sono migliori quando le soluzioni di BI&CPM sono utilizzate non solo per realizzare forecast e budget (ciclo tipico di pianificazione controllo e analisi), ma anche per realizzare analisi real-time sui processi core business. Questo aiuta le aziende a capire chiaramente dove e perché determinati processi non funzionano e come intraprendere azioni correttive. Soluzioni di reporting, analisi, dashboarding e scorecard sono quindi implementate non solo per dati strutturati, ma anche per dati non strutturati e processi. CONCLUSIONI Le leading companies hanno allineato gli elementi del “back-end” (tecnologie, informazioni, processi di business). Ciò le aiuta a reagire rapidamente ai mutamenti di mercato, prendere decisioni migliori al momento giusto, guadagnare terreno sui concorrenti e raggiungere risultati economici performanti. Seguire la strategia descritta crea quindi un coefficiente di correlazione positivo con i risultati di “front-end”.
CST Consulting è una azienda di Consulenza IT, System Integration & Technology e Servizi alle Imprese, focalizzata nella progettazione, sviluppo e gestione di soluzioni altamente innovative per governare al meglio informazioni e processi aziendali. Combinando l’esperienza di più di 110 professionisti dotati di competenze uniche con la conoscenza dei vari settori di mercato, CST Consulting aiuta le imprese in ambito SAP ed Enterprise Content Management. CST Consulting controlla il 100% di CST Servizi, azienda nata con l’obiettivo di dare una risposta concreta ed efficace alle esigenze di imaging e document outsourcing, conservazione sostitutiva, fatturazione elettronica e business process outsourcing. CST Consulting è partner SAP, IBM, Adobe, Kofax, CA e Actalis.
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CAM AUMENTA L’EFFICIENZA CON LA FATTURAZIONE ATTIVA TELEMATICA
CAM, azienda nata a Chioggia (Ve) nel 1969 da un’associazione di molluschicoltori, ha l’obiettivo di acquistare, allevare, selezionare, lavorare e commercializzare all’ingrosso e al minuto molluschi, crostacei e pesce fresco o congelato. Oggi è presente in tutti i mercati ittici d’Italia, riforniti quotidianamente tramite una rete di trasporti specializzati, acquistando i prodotti in tutta Europa, Africa e America. I clienti principali si dividono in due categorie: i grossisti e la Grande Distribuzione Organizzata; a questi si devono aggiungere anche diversi clienti Ho.Re.Ca. (Hotel Ristoranti e Catering. CAM, che impiega circa 70 dipendenti, ha un fatturato 2009 che si attesta attorno ai 55 milioni di Euro. L’APPLICAZIONE L’azienda ha deciso di implementare un sistema di fatturazione elettronica procedendo per piccoli passi, iniziando dal ciclo attivo. L’obiettivo di questa scelta è quello di non stravolgere le abitudini aziendali e quelle dei clienti, dal momento che il settore in cui opera è ancora fortemente caratterizzato da processi cartacei. L’unica eccezione è rappresentata dalla Grande Distribuzione Organizzata (GDO). CAM ha scelto Easy Fattura di Intesa Sanpaolo per lo sviluppo della soluzione di fatturazione attiva telematica. Questo porterà all’esternalizzazione dell’attività di produzione, stampa e spedizione delle fatture per alcuni clienti. L’azienda invierà al provider del servizio di fatturazione – Intesa Sanpaolo - alcuni file, generati dal proprio sistema informativo, contenenti i dati relativi alle fatture da preparare, creati sulla base delle inPE R U LT ER I O R I I N F O RM A ZIONI . . .
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LA SOCIETÀ VENETA, PRESENTE IN TUTTI I MERCATI ITTICI D’ITALIA, HA SCELTO IL SERVIZIO EASY FATTURA DI INTESA SANPAOLO PER GESTIRE CIRCA 100MILA DOCUMENTI ALL’ANNO
formazioni inserite nel sistema gestionale aziendale. La banca provvederà quindi a tradurli in fatture, occupandosi della stampa e della spedizione dei documenti. Inoltre, il servizio prevede che ciascun cliente di CAM possa scegliere di ricevere la fattura in formato digitale (PDF) via e-mail o in formato cartaceo per posta. In una prima fase di implementazione i documenti di trasporto verranno mantenuti cartacei e verranno inviati dall’azienda al provider affinché vengano allegate alle rispettive fatture. L’azienda ha deciso di affidarsi a Intesa Sanpaolo anche per la gestione dell’archiviazione e conservazione sostitutiva dei documenti, nel rispetto della normativa vigente. L’azienda mira a ridurre sempre più la componente cartacea degli ordini ricevuti, aggiungendo, compatibilmente con le evoluzioni del sistema, anche la gestione elettronica dei documenti di consegna. I BENEFICI CAM ritiene di ottenere benefici significativi dall’adozione di soluzioni di fatturazione elettronica e conservazione sostitutiva: basti pensare che il volume di fatture attive scambiate si aggira attorno ai 100.000 fogli all’anno. L’archiviazione e conservazione sostitutiva di questi documenti comporterà anche benefici in termini di gestione delle spazio attualmente richiesto dall’archivio fisico della documentazione contabile. A fronte di questi benefici CAM sta incontrando alcune difficoltà nell’introduzione di queste soluzioni, principalmente legate all’integrazione dei propri sistemi aziendali e alla necessità di gestione del cambiamento per vincere alcune resistenze degli operatori.
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I MOLTEPLICI BENEFICI OTTENUTI DA METEL CON LA DIGITALIZZAZIONE DEL CICLO DELL’ORDINE FRA PRODUTTORI E DISTRIBUTORI E I PROGETTI DI CRESCITA PER IL FUTURO
GIORGIO CASANOVA Direttore Commerciale Metel
L’INTEGRAZIONE DELLA FILIERA DEL MATERIALE ELETTRICO
Metel nasce nel 1993 nell'ambito della Federazione Nazionale dei Grossisti. L'idea nacque dalle esigenze di alcuni distributori illuminati che ricercavano un linguaggio comune che legasse produttori e distributori di materiale elettrico. A distanza di pochi anni, Metel venne compartecipata dalla Federazione dei produttori (ANIE) e dalla Federazione degli agenti (ARAME). Giorgio Casanova, Direttore Commerciale, spiega in questa intervista gli obiettivi e il lavoro fin qui svolto da Metel. Per completare la supply chain del materiale elettrico mancano gli installatori: perché non sono stati coinvolti? È una riflessione che stiamo facendo al nostro interno e non escludo che uno dei prossimi passi possa essere quello di completare l’intero percorso del componente elettrico (dal produttore al consumatore finale). Ci potranno essere alcuni problemi per l’estrema frammentazione delle imprese di installazione, per la loro dimensione spesso minuscola e per l’inadeguatezza dei sistemi ICT, ma supereremo queste difficoltà. Quindi è un sistema tecnologicamente complesso? Il nostro sistema si basa su una piattaforma informatica del tipo web-EDI specificatamente dedicata al nostro settore. La sua costruzione è stata complessa e non priva di ostacoli, ma l’attenzione che abbiamo posto verso coloro che dovevano utilizzarla ci ha sempre fatto trovare soluzioni user friendly. Siamo in grado di offrire servizi strategici fortemente innovativi non solo per la logistica ma anche per altre funzioni aziendali come ad esempio il marketing. Oltre 300 dei nostri utenti sono già passati al nuovo sistema con un volume di traffico di oltre
6.000.000 documenti/anno. Ogni giorno vengono effettuate 25.000 transazioni con picchi sino a 65.000. Quali sono i vantaggi che Metel ha indotto nella filiera? Credo che i vantaggi siano molteplici. Innanzitutto una forte riduzione dei costi per tutti gli attori (produttori, distributori, agenti), una maggiore qualità dell’informazione trattata (no errori), una rapidità nell’esecuzione dell’intero processo logistico (dall’ordine, alla conferma, alla ddt, alla fatturazione elettronica) a beneficio del cliente finale. Un vantaggio che spesso non consideriamo è quello di disporre di un solo linguaggio per tutti gli interlocutori e ciò riduce in misura considerevole i conflitti che possono generarsi tra due soggetti che negoziano. È un sistema esportabile in altri settori? Senz’altro e lo stiamo già facendo. In questi ultimi mesi alcuni operatori della filiera delle ferramenta stanno sperimentando i nostri applicativi e i primi risultati sono molto entusiasmanti. Per contiguità credo potrebbe essere assunto anche dalla filiera del termoidraulico e dell’elettronica di largo consumo. La nostra tecnologia è di tipo pervasivo in grado di adattarsi a molteplici situazioni.
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OSSERVATORIO di
MARCO RAPINI
STUDIO LEGALE RAPINI E SEYSSEL
SE PARTE LA CACCIA AI NUOVI SUFFISSI DEL WEB Si fa strada l’ipotesi di ampliare la possibilità di scelta dei Top Level Domain: non solo gli attuali .com, .org o .it, ma nuove categorie come .eco fino all’uso del brand aziendale. Una prospettiva che, in assenza di un rigido controllo sulle procedure di assegnazione, fa presagire il rischio di un “assalto alla diligenza” con importanti conseguenze per gli utenti
È di poche settimane fa la notizia che un gruppo imprenditoriale americano sostenuto da Al Gore ha annunciato di essere prossimo alla registrazione di un nuovo nome di dominio “verde” con suffisso .eco. Di per sé la cosa è quasi passata inosservata, salvo lo spunto giornalistico (Financial Times) per raccontare che il dot.eco era già stato oggetto di richiesta (precedente) da parte di due giovani imprenditori canadesi del settore che, non appena scoperto che anche l’ex vicepresidente USA coltivava il medesimo progetto, hanno prontamente battuto in ritirata consapevoli che la probabile asta per il quel Top Level Domain (TLD, o dominio di primo livello) avrebbe un vincitore già scritto. Apparentemente siamo di fronte a una non notizia, che invece sottende scenari piuttosto complessi nel mondo del Web. Mondo che, a differenza di quanti continuano a definirlo autostrada virtuale, io preferisco accostare all’immagine della prateria. Non vi è alcuna pretesa romantica in tale distin| 42 |
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guo: osservo soltanto che nelle autostrade (di solito) esistono, corsie, segnaletica, limiti e regole e qualcuno che dovrebbe farle rispettare; nelle praterie tutto è libero anzi, se gli assalti alla diligenza sono oramai un retaggio dei vecchi western, il web è l’unico mondo in cui le diligenze (degli utenti/navigatori) si assaltano ancora con grandi profitti. L’apertura di nuovi slot di TLD ne potrebbe essere, per alcuni versi, un’ennesima conferma. 90 MILIONI DI NOMI .COM Se partiamo dal caso concreto, non vi sarebbe nulla di criticabile (tutt’altro) se le Naming Authorities “aprissero” i DNS a nuove categorie di suffissi, soprattutto ove quest’ultimi rappresentino realtà non commerciali (come, di principio, gli attuali dot.org). Ad oggi esistono 21 TLD generici (.com il più popolare) e 255 di natura geografica (.uk ad esempio). Nella realtà l’ampliamento di TLD non solo a tematiche socio-politiche o geografi-
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che, ma anche a nuove macro aree commerciali dischiude scenari molto interessanti ma altrettanto delicati. Per inquadrare meglio il problema nelle sue dimensioni economiche guardiamo a Verisign Inc. che detiene i dot-com e dot-net. La società addebita circa 7 US$ per ogni nuova registrazione ed alla fine del 2009 (dati FT) erano circa 90 milioni i dot-com names sul mercato. Inquadrate le dimensioni del business possiamo tornare ai nostri nuovi suffissi ed immaginare quale visibilità sul mercato possa introdursi attraverso l’assegnazione di un TLD strategico, quale ad esempio .eco. Immaginiamo due ipotesi contrapposte di nuovi TLD: business e (in apparenza) - no-profit. La giapponese Canon ha annunciato l’introduzione a breve del TLD .canon per meglio individuare tutti i siti e/o le pagine web che conterranno informazioni generate direttamente dal titolare del relativo marchio. In questo caso è la stessa azienda che con un’unica operazione sarà in grado di implementare ed ottimizzare le proprie politiche di web-marketing ed allo stesso tempo prevenire ogni tipo di cybersquattering, potendo controllare di fatto tutte le informazioni presenti sul web che contengano o utilizzino illecitamente il proprio brand. Il vantaggio è evidente anche per il consumatore (ma anche
per ipotesi di b2b): in linea di principio qualsiasi indirizzo .canon sarà per definizione affidabile e le informazioni ivi contenute di sicura provenienza. Veniamo invece al caso no-profit. Top Level Domain Holdings (la società che annovera Al Gore tra i suoi promotori) ha di principio dichiarato che il 50% dei propri profitti futuri andrà devoluto ad iniziative di natura ambientale, ma tuttavia la società è a tutti gli effetti nata per generare profitti ed altresì quotata alla
Borsa di Londra. Ora, immaginiamo quanti gruppi di interesse (di qualsiasi tipo) abbiano una potenziale aspettativa di “aggregarsi” al dot-eco: dal WWF o Greenpeace al costruttore di impianti eolici, il “filo verde” si tende molto, ma entrambi possono considerarsi eligible per tale suffisso. QUALI REGOLE PER L’ASSEGNAZIONE Ad una prima analisi credo si possano individuare due problematiche generali: le norme ed il controllo sulle procedure di assegnazione dei futuri DNS di alcune specifiche categorie e le conseguenze per gli utenti. Come è noto esistono regole per l’assegnazione dei Domain Names e procedure per la registrazione degli stessi per categorie omogenee (in Italia la Naming Authority [NA] ha stabilito il regolamento di registrazione adottato dalla Registration Authority [RA] responsabile dell’assegnazione dei nomi aventi il TLD .it). Alcune regole sono omogenee, ma poiché di fatto il mondo del web, per ciò che attiene ai DNS è tuttora controllato dagli USA, ed in particolare dall’ICANN (Internet Corporation for assigned Names and Numbers), è oltre oceano che dobbiamo guardare. Una volta che (negli USA) l’ICANN avrà assegnato il TLD
.eco attraverso la sua rigida e costosa procedura, che comporta l’assoggettamento a regole di comportamento e compliance anche successive all’assegnazione (ma comunque permeate dal tipo pragmatismo economico statunitense), quale sarà il futuro delle successive registrazioni? Prevarrà il no profit o il business? Se i propositi di TLD Holdings sono seri, personalmente mi augurerei la combinazione delle due www.ict4executive.it
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Il produttore di un nuovo carburante ecologico si “meriterà” il .eco alla stregua di un movimento ambientalista? Cresce l’esigenza di filtri e procedure anti abuso, a tutela non solo degli utenti in generale, ma dello stesso web
cose. Un gruppo che genera profitti sulla registrazione di Domain names caratterizzati dal concetto “eco” e devolve parte di essi a coloro che, a diverso titolo, condividono la stessa “idea” che ha reso possibile la realizzazione di tale TLD, credo meriti attenzione e rispetto, almeno in linea di principio. Non possiamo però fingere di non vedere le gigantesche prospettive di puro business che tutto ciò comporta. È difficile, anche per i più “puri” non vedere un dot.eco come una fantastica killer application dalle infinite possibilità di sfruttamento e che con l’ecologis hanno ben poco da spartire. È immaginabile un controllo di merito su usi ed abusi di tale TLD? Sia chiaro, lo stesso problema si porrà per altri prossimi nuovi domini, quali dot.news, dot.sport, dot-movies eccetera, ma .eco è accezione talmente di moda (anzi trendy e sexy per parlare come nel mondo del marketing e della comunicazione) da suscitare un’attenzione maggiore. L’argomento merita ben altri approfondimenti, ma per ovvie ragioni di spazio, limitiamoci a questo commento superficiale e passiamo invece ad analizzare la prospettiva dell’utente/navigatore. I RISCHI PER GLI UTENTI Precedenza agli aspetti positivi: i nuovi TLD consentiranno agli utenti del web una maggiore facilità di accesso alle tematiche desiderate e, soprattutto nei casi di TLD branded (quali il .canon ad esempio), saranno una sorta di “Denominazione di origine controllata” delle informazioni commerciali, il cui livello di accuratezza e veridicità sarà direttamente riconducibile al titolare del brand. Per converso, la massificazione dei TLD tematici genereranno con ogni probabilità una vera esplosione delle attività di indicizzazione, listing, web-marketing e quant’altro, con il risultato di intensificare il bombardamento sull’utente, che a sua insaputa sarà ulteriormente profilato, con crescente sofisticazione a vantaggio dei grandi operatori commerciali sul web. | 44 |
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Se quanto sopra può essere considerato un modesto aspetto deteriore strettamente collegato al proliferare dei nuovi TLD, ma in fin dei conti di limitato impatto pratico, un maggior rilievo credo debba essere attribuito a un potenziale abuso che alcuni TLD tematici possono determinare. Riprendiamo il caso del dot-eco (ma potrebbe essere dot.green, dot.health, dot.peace, dot.wildlife e così all’infinito). La prima reazione del surfer medio sarà quella di interpretare tali TLD come Domain Name di enti o gruppi no profit, comunità o movimenti di opinione, dunque più affidabili (magari orientati ideologicamente, ma liberi da logiche commerciali). Sarà veramente così? Il produttore di un nuovo carburante ecologico si “meriterà” il .eco alla stregua di un movimento ambientalista? Il costruttore di abitazioni in Classe A (o di elettrodomestici) potrebbe sviluppare una politica di web-marketing improntata sull’ecologia e rispetto dell’ambiente ed attraverso il proprio .eco ed “accreditarsi” presso la nuova potenziale clientela in via preferenziale rispetto ad un “banale” concorrente .com. Allo stato attuale non esiste rimedio, ma solo l’auspicio di una maggiore coscienza da parte di tutte le Autorità di controllo, nazionali ma soprattutto internazionali, che mai come oggi cresce l’esigenza di filtri e procedure anti abuso a livello di vertice (quali sono appunto i TLD), a tutela non solo degli utenti in generale, ma dello stesso web, e dove la sicurezza della navigazione sia strettamente correlata ai concetti di affidabilità e credibilità degli operatori che rendono possibile la navigazione stessa. Sono convinto che per i più, tutto quanto detto sin qui sia la normalità, della quale non stupirsi o preoccuparsi, ma anzi assuefarsi affinando ancor di più i propri strumenti di difesa (socio/psicologici ed informatici). È possibile, anzi probabile che non esistano altre soluzioni, e dunque in una darwininana visione del web, solo chi (il navigatore) sopravvive si evolve, ma allora continueremo a vivere nella prateria.
SPECIALE “CLOUD”
CLOUD COMPUTING, FLESSIBILITÀ, RISPARMIO E UNA NUOVA GOVERNANCE La promessa del nuovo paradigma è un “Sistema Informativo 2.0” nel quale è possibile integrare e ricombinare velocemente servizi e applicazioni, attingendo alle risorse “nella nuvola”. Ma la transizione non è facile: richiede la gestione di un’architettura composita, in grado di sfruttare in modo opportuno tecnologie e modelli di offerta di nuova concezione senza perdere coerenza interna
A fronte dei profondi cambiamenti in atto nei modelli organizzativi, nei processi e negli strumenti utilizzati dalle persone, anche i Sistemi Informativi aziendali stanno progressivamente evolvendo. Alle Direzioni ICT vengono infatti poste nuove e pressanti richieste: maggiore flessibilità e adattabilità dei sistemi, tempi di risposta al business sempre più stretti, capacità di supportare processi organizzativi spesso variabili e destrutturati. Troppo spesso, però, dovendo fare i conti con infrastrutture e sistemi rigidi e non integrati, le Direzioni ICT finiscono per essere considerate un vincolo al cambiamento, oltre che un pesante centro di costo. L’emergere delle architetture orientate ai servizi, il paradigma del Cloud Computing e l’offerta di risorse ICT “as a Service” offrono oggi l’opportunità di andare verso un Sistema Informativo realmente diverso, nel quale è possibile integrare e ricombinare velocemente servizi e applicazioni, offrendo alle organizzazioni la possibilità di creare ambienti dinamici e personalizzati. | 46 |
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Il Cloud Computing si riferisce in particolare a un insieme di tecnologie in grado di garantire flessibilità all’infrastruttura informatica e al contempo contenere i costi di gestione della stessa. Al momento, la preferenza per le aziende è quella di dotarsi di infrastrutture cloud interne (private cloud) piuttosto che affidarsi a fornitori esterni di servizi simili, per avvantaggiarsi della flessibilità offerta da tecniche di virtualizzazione “spinta” su un numero elevato di server, senza però rinunciare a governare direttamente aspetti ritenuti critici quali la sicurezza e l’affidabilità complessiva dell’infrastruttura. A livello mondiale i servizi Cloud si stanno diffondendo rapidamente. Secondo Gartner quest’anno il mercato crescerà del 16,6% e il trend positivo continuerà per i prossimi cinque anni, comprendendo nell’analisi diversi aspetti: Software as a Service (SaaS), Platform as a Service (PaaS), e Infrastructure as a service (IaaS). Le motivazioni che spingono l’adozione di soluzioni di cloud computing sono prevalentemente la continuità di servizio, grazie alla maggiore affidabilità offerta da un’infrastruttura a elevata ridondanza e
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servando i tempi e i costi di uno sviluppo ad hoc alle sole applicazioni realmente distintive. L’architettura interna diventa a questo punto il collante in grado di integrare a vari livelli e rendere coerenti questi due mondi. Analogamente, l’infrastruttura su cui si poggia il Sistema Informativo può essere resa maggiormente flessibile, facendo ricorso ad approcci di virtualizzazione o di Cloud Computing sia interni che esterni. Coerentemente con quanto avviene a livello di organizzazione e strumenti, anche la governance del Sistema Informativo sta cambiando. La figura classica del “CIO muratore”, che costruisce, impone e gestisce spazi di lavoro, strumenti e infrastrutture, viene sempre più spesso messa in crisi: sono gli utenti stessi che, riappropriandosi del controllo dei propri processi, decidono di progettare e gestire in autonomia parte dei propri sistemi (comprandoli, ad esempio, secondo una modalità as-a-Service). Mentre in un sistema di governance tradizionale, alla Direzione Sistemi informativi spetta in toto la definizione di regole e standard, l’analisi e l’interpretazione delle esigenze degli utenti e lo sviluppo di applicazioni e sistemi comuni che vengano incontro alle esigenze della maggioranza degli utenti, in una Governance 2.0, alla Direzione ICT compete definire l’architettura e le regole generali l’efficienza di gestione ottenibile mediante il consolidamento infrastrutturale su una “nuvola” di server virtualizzati. In misura minore, ma comunque rilevanti, i benefici in termini di velocità di attivazione di nuovi servizi (non solo in produzione, ma ancor più frequentemente per la predisposizione di ambienti di staging e testing) e flessibilità di gestione delle variazioni nel carico di elaborazione richiesto dagli utenti.
Le diverse funzioni, ed entro certi vincoli gli utenti stessi, sono libere di creare ambienti personalizzati componendo servizi interni con risorse e servizi provenienti dall’esterno
Tuttavia, la transizione verso questo “Sistema Informativo 2.0” non è né facile né naturale, perchè richiede la gestione di un’architettura composita, in grado di integrare e sfruttare in modo opportuno le nuove tecnologie e i nuovi modelli di offerta senza perdere coerenza interna. Innanzitutto occorre cominciare un percorso di scomposizione delle applicazioni interne, di modo da poterle integrare in modo flessibile all’interno di architetture orientate ai servizi. Occorre poi valutare la possibilità di ricorrere a risorse e applicativi esterni, secondo le logiche “as a Service”, per dare risposte rapide ed efficaci alle Line of Business, ri-
di utilizzo, sviluppare infrastrutture, proporre servizi e applicazioni, siano esse interne o esterne, lasciando però libere le diverse funzioni, ed entro certi vincoli gli utenti stessi, di creare ambienti personalizzati che compongano servizi interni con risorse e servizi provenienti dall’esterno dell’organizzazione. La visione è quella di un CIO “urbanista” che, definendo regole e standard, crei una sorta di “piano regolatore” che ponga le basi per uno sviluppo dinamico e decentrato, ma al tempo stesso coerente, delle iniziative di innovazione basate sull’ICT. www.ict4executive.it
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Quali sono i principali vantaggi che l’adozione di tecnologie di cloud computing può portare alle PMI? Il cloud computing permette di aumentare significativamente il portafoglio di soluzioni infrastrutturali, di piattaforma e le applicazioni informatiche che l’azienda può adottare senza richiedere considerevoli investimenti anticipati. Non a caso la propensione all’investimento in soluzioni IT ha dato segnali di contrazione sulle soluzioni basate su tecnologie fisiche, mentre le dichiarazioni di interesse e la propensione di acquisto sulle soluzioni cloud e virtuali a costi variabili sono cresciute significativamente e presentano proiezioni di crescita potenziale decisamente interessanti. L’offerta di servizi “in the cloud” per le PMI di Telecom Italia, attraverso il portafoglio d’offerta dedicato Impresa Semplice, è stata strutturata per coprire tutte le componenti del modello “as a service”, ad iniziare dalla componente infrastrutturale per proseguire verso le piattaforme e quindi le applicazioni informatiche. Il livello IaaS – Infrastructure as a Service – è quello più direttamente correlabile con la virtualizzazione delle componenti fisiche dell’informatica, come i server, lo storage, le CPU o la banda internet e vpn. Sono quelle stesse componenti che, nelle soluzioni fisiche classiche, vincolano le scelte tecnologiche ad ingenti investimenti ed immobilizzazione di capitali e che limitano la scalabilità di prestazioni se non a fronte di ulteriori impegni economici. In questo caso la scelta di Telecom Italia è stata quella di privilegiare da subito la flessibilità e l’adattabilità delle infrastrutture virtuali alle esigenze informatiche di ogni singolo cliente ed in ogni fase del ciclo di vita del suo fabbisogno informatico. Attraverso la costruzione virtuale dell’infrastruttura il cliente può variare in tempo reale tutti i parametri tecnologici di | 48 |
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VANTAGGI E PROSPETTIVE DELLE TECNOLOGIE CHE PERMETTONO ANCHE ALLE PICCOLE E MEDIE IMPRESE DI DOTARSI DI RISORSE IT IN BASE ALLE EFFETTIVE NECESSITÀ
MARCO PARISI responsabile IT Services Marketing Business, Telecom Italia
DA TELECOM ITALIA IL CLOUD “SU MISURA” PER LE PMI
riferimento come dimensione della RAM e dello storage, il numero delle CPU o la banda garantita di accesso, adattando senza interruzione di servizio l’infrastruttura al fabbisogno informatico anche per brevi periodi di tempo sia incrementando le risorse che riducendole. In altri termini le soluzioni IaaS “in the cloud” ad elevata flessibilità – come Ospit@ Virtuale di Impresa Semplice - non appesantiscono lo stato patrimoniale delle aziende clienti con immobilizzazioni materiali dovute agli investimenti fissi in conto capitale, ma permettono di modulare la spesa e adattarla alle effettive necessità informatiche del momento come un semplice costo operativo. Oltre al fattore economico, quali sono gli elementi che possono favorire l’adozione di tecnologie cloud da parte delle PMI? Oltre alla capacità di offrire livelli di servizio di eccellenza e di poter fare leva su elevate economie di scala e di apprendimento, esclusiva di grandi ope-
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ratori che, come Telecom Italia, per proprie esigenze si sono già dotati di soluzioni “in the Cloud” di dimensione e complessità rilevanti, esiste un ulteriore fattore da considerare opportunamente. In passato l’offerta commerciale era orientata all’outsourcing complessivo dei servizi IT in cui il cliente cedeva in modo esclusivo l’intero ciclo di vita e le infrastrutture IT ad un soggetto esterno in cambio di livelli di servizio definiti contrattualmente. Questo approccio ha avuto e tuttora ha grande successo presso le medie e grandi imprese, viceversa le sorti dell’outsourcing sono state meno rilevanti per le PMI e le microimprese. Le cause sono radicate nella sostanziale differenza di gestione delle tematiche ICT nelle grandi imprese rispetto a quelle più piccole. Le prime dotate di una struttura ICT interna all’azienda, le ultime già abituate ad affidarsi a professionisti, software house o system integrator locali. La soluzione Ospit@ Virtuale tiene conto di queste differenze ed è in grado di mantenere vivo il rapporto fiduciario tra piccola e media impresa e fornitore locale di servizi ICT separando nettamente i ruoli dell’utilizzatore finale da quelli del gestore ed amministratore del sistema stesso. Riconosciamo di fatto al cliente il primo ruolo ed al partner IT locale il secondo. Come vede in prospettiva il rapporto tra PMI e cloud computing? Certamente le soluzioni “fisiche” di tipo classico manterranno un ruolo importante nel mercato ancora per un certo tempo e non è ipotizzabile al momento un completo spostamento verso soluzioni di virtualizzazione. Per quanto riguarda le potenzialità dell’offerta “in the Cloud” per le PMI italiane, lo sviluppo del mercato è influenzato significativamente dalla capacità dei Carrier e dei Service Provider nazionali. La condizione è di riuscire a sviluppare una cooperazione tra i differenti “attori dell’ICT”, tra quelli, cioè, in grado di offrire applicazioni informatiche basate su standard e gli altri attori locali che godono del rapporto fiduciario con la PMI. Infine, la facilità di
Il servizio Ospit@ Virtuale È un innovativo servizio di hosting che consente ai clienti di accedere al proprio server virtuale attraverso un’interfaccia Web da qualsiasi PC dotato di connessione a larga banda (xDSL), garantendo la fruibilità dei dati e delle applicazioni aziendali anche in mobilità e in modo semplice e sicuro. Ospit@ Virtuale offre le stesse funzionalità e prestazioni dei server dedicati e può essere amministrato direttamente dal cliente attraverso un sito Web appositamente realizzato per questa finalità. Il servizio permette alle imprese di utilizzare i software e i sistemi operativi più avanzati senza dover sostenere i costi dell’acquisto e della manutenzione dei server: questi, infatti, vengono “virtualizzati” nei Data Center di Telecom Italia, utilizzando tecnologie in grado di fornire in tempo reale la capacità elaborativa richiesta dalle applicazioni, grazie alla condivisione, in massima sicurezza, delle risorse informatiche di piattaforme potenti ed affidabili. Le soluzioni di Ospit@ Virtuale si caratterizzano per la velocità di attivazione (entro 3 giorni) e per l’estrema flessibilità, adattandosi alle esigenze IT delle aziende. È possibile attivare il servizio dopo averlo provato per un periodo di tempo oppure utilizzarlo solo per il tempo in cui il server è necessario. In ogni momento il cliente può variare la quantità e la tipologia di risorse informatiche (RAM, CPU, spazio disco, banda Internet, ecc.) in base all’effettiva necessità semplicemente rivolgendosi al Servizio Clienti. I prezzi sono quindi proporzionati alle risorse effettivamente impegnate e alla durata dell’impegno.
utilizzo e la rapidità di apprendimento, sia per chi deve utilizzare le soluzioni “in the cloud” sia per chi deve gestirle ed amministrarle, rappresentano un ulteriore importante fattore che può influenzare l’adozione da parte del cliente finale e quindi determinante per la crescita dell’intero sistema della domanda IT di Cloud Computing delle PMI e delle microimprese. www.ict4executive.it
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SPECIALE “CLOUD”
LA SOCIETÀ HA SVILUPPATO UN INNOVATIVO STRUMENTO CHE CONSENTE ALLE IMPRESE DI ESPLORARE LE POTENZIALITÀ DEL CLOUD, DALLA VALUTAZIONE INIZIALE DEI BENEFICI FINO ALL’AVVIO DEI PROGETTI, RIDUCENDO I RISCHI
Il Cloud Computing consente di dare flessibilità alle infrastrutture, hardware e sofware, esistenti. Esso può dare da subito benefici tangibili, in termini di riduzione dei costi, elasticità, scalabilità e velocità. Tutto questo può sembrare troppo bello per essere vero. E in realtà prima di adottare il Cloud Computing le organizzazioni, imprese ed enti governativi, devono affrontare e risolvere problemi cruciali e tutt’altro che semplici. Per aiutare i suoi Clienti ad affrontare questi problemi Accenture ha sviluppato il Cloud Computing Accelerator, uno strumento che consente alle aziende di esplorare le potenzialità del Cloud Computing dalla valutazione iniziale fino all’avvio dei progetti pilota. Praticamente tutte le aziende sono interessate alle possibilità offerte dal Cloud Computing. Esse vorrebbero seguire un processo di sperimentazione strutturato, ed evitare almeno gli errori più frequenti, di muoversi troppo velocemente e fare scelte sbagliate e difficilmente reversibili, oppure di procedere e con eccessiva lentezza rispetto alla concorrenza e rimanere indietro. In sole quattro settimane (o anche meno se si ha un’idea preliminare di quali applicazioni sono più adatte per questo approccio) il metodo e gli strumenti del Cloud Computing Accelerator di Accenture consente di rispondere a domande quali: • Quali sono i rischi e le opportunità ? • Da dove cominciare? • Le riduzioni di costo saranno reali e rapide? • Quali applicazioni possono essere spostate sul Cloud? • Quali sono i vincoli normativi? • Quali spostamenti sul Cloud daranno i maggiori benefici? • La mia infrastruttura applicativa è pronta?
GIORGIO DI PAOLO Responsabile IT Strategy Accenture Igem (Italia, Grecia, Europa dell’Est, Russia, Medio Oriente)
IL CLOUD COMPUTING ACCELERATOR DI ACCENTURE
Il Cloud Computing Accelerator di Accenture è un metodo innovativo per rispondere a queste domande rapidamente e attraverso un approccio definito, elaborato in decine di esperienze con Clienti di ogni settore, e reso ancora più veloce e preciso dall’utilizzo di strumenti proprietari come il Cloud Computing Assessment Tool. L’analisi che si ottiene identifica rapidamente le opportunità effettivamente presenti, quantifica benefici, costi e rischi, alla luce delle offerte di mercato più appropriate, da Amazon a Google ad Azur di Microsoft. Tutte le organizzazioni oggi sono alle prese con condizioni di mercato difficili, e spesso esitano, e con ragione, di fronte a rischi che paiono non giustificati. Ma il Cloud Computing può essere una modalità molto potente di approfittare di alcune importanti tendenze strutturali dell’IT, la commoditizzazione dell’hardware, i costi sempre minori della banda di TLC, la SOA e il Software as a Service, la virtualizzazione dei server, e, in generale, le economie di scala tipiche del mondo gloabalizzato. Il Cloud Computing Accelerator di Accenture è il modo per valutarlo rapidamente e con precisione, per poi arrivarci prima, meglio, con maggiori benefici, minimizzando i costi ed evitando rischi inutili.
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RUBRICA | RICERCHE E STUDI NELLA DICHIARAZIONE DI AMSTERDAM LA VIA DIGITALE PER LA RIPRESA ECONOMICA IN EUROPA Durante la cerimonia di chiusura del 17imo Congresso Mondiale sull’IT (World Congress on IT WCIT 2010) organizzato dalla World Information Technology and Service Alliance (WITSA) il Ministro olandese per gli Affari Economici, Maria van der Hoeven, ha presentato la Dichiarazione di Amsterdan, che contiene, come evidenziato nello stesso sottotitolo, la “strada digitale” per la ripresa. Secondo la Dichiarazione è necessario sfruttare l’ICT
per stimolare la crescita economica e risolvere le principali sfide sociali, quali il cambiamento climatico, la sanità e la qualità della vita; in quest’ottica la Dichiarazione fornisce un forte supporto allo sviluppo delle ICT come fattore abilitante per la ripresa economica globale. Il Ministro ha affermato come sia importante dare seguito alla Dichiarazione di Amsterdam con azioni mirate; per fare questo è stato istituito un sito web (doa.wcit2010.org) che con-
tiene un forum per raccogliere il più ampio numero di stakeholder: sono già 70 i progetti presentati, provenienti da tutto il mondo. La Dichiarazione di Amsterdam, supportata anche dalla Commissione Europea, dalla Presidenza Spagnola dell’UE, dal Ministero per gli Affari Economici Olandese e dalla Città di Amsterdam, insieme alla sua Call for Action, rappresentano un primo passo verso l’implementazione della Dichiarazione di Granada e dell’Agenda Digitale Europea.
......................................... ......................................... ......................................... ......................................... ......................................... ......................................... POLITECNICO DI MILANO: MOBILE INTERNET IN ITALIA IN CRESCITA DEL 17% NEL 2009 del 3%, trainati al ribasso dai servizi tradizionali. Nel mercato del Mobile Internet si è innescato un circolo virtuoso: le tariffe sono diventate più accessibili (+68% di ricavi da Tariffe Flat nel 2009); sono stati fatti notevoli investimenti in comunicazione e siglati accordi tra gli operatori di telefonia e i principali brand del Web (social network, in particolare); è cresciuta la disponibilità di smartphone con una buona capacità di navigazione. Questi fattori spingono un numero crescente di utenti verso il Mobile Internet (abbiamo già superato i 10 milioni di utenti unici al mese), inducendo a loro volta un numero sempre maggiore di Content provider (Web Company, Media Company, ecc.) a sviluppare un’offerta di contenuti ottimizzata per la fruizione in mobilità.
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ASSINFORM REGISTRA DEBOLI SEGNALI DI RIPRESA DAL MONDO IT. MA CALA L’OCCUPAZIONE Dopo il pesante calo fatto registrare dalla domanda IT nel 2009 (-8,1%), finalmente si può intravedere un’inversione di marcia: nel primo trimestre 2010, nonostante un decremento della domanda del 2,9%, si segnala infatti un recupero di quattro punti percentuali rispetto allo stesso periodo del 2009. La spinta maggiore deriva da investimenti in nuovi progetti IT da parte di aziende manifatturiere e dei servizi, prevalentemente di medie dimensioni. Questi dati evidenziano un cambio radicale di strategia: numerose aziende italiane considerano l’IT oramai non solo come un mezzo per ridurre i costi aziendali, ma come una leva strategica per riavviare e consolidare il percorso di crescita. Purtroppo non sono presenti solo segnali positivi:
emerge infatti un peggioramento dell’occupazione del settore IT, soprattutto per consulenti e lavoratori indipendenti, una riduzione degli investimenti IT della Pubblica Amministrazione e un inasprimento del gap tecnologico con l’estero. Secondo Paolo Angelucci, Presidente di Assinform, «bisogna essere consapevoli che l’accelerazione può avenire solo dagli investimenti in Information Technology» che mirano a sviluppare le capacità di business delle imprese; allo stesso modo «gli investimenti IT sono cruciali anche per lo Stato», in quanto rappresentano una leva «indispensabile per tenere sotto controllo la stessa spesa pubblica, migliorare l’efficienza della PA e sviluppare i nuovi servizi digitali per imprese e cittadini».
LA CRESCITA DEL MERCATO MOBILE INTERNET IN ITALIA Min €
Tot.334 Min €
+17%
Tot.392 Min €
450 400 350 300
261
250 200
256
+2%
78
+68%
150 Fonte : Politecnico di Milano
Dilaga in Italia l’utilizzo del broadband wireless, mentre un’ondata di innovazioni in ambito Mobile, sia a livello di modelli di business sia di soluzioni tecnologiche, continua a scompigliare le carte nel mercato. Da una nuova ricerca dell'Osservatorio Mobile Content & Internet della School of Management del Politecnico di Milano (in collaborazione con l'ICT Institute e il MEF - Mobile Entertainment Fo-rum) emerge che, nel 2009, i ricavi degli operatori derivanti da servizi di connettività mobile a banda larga relativi ai telefonini, il cosiddetto Mobile Internet, sono cresciuti del 17%, (si veda il grafico in basso) mentre quelli delle Internet Key e Connect Card per notebook e netbook del 26%. Un risultato notevole, se si considera che nel complesso i ricavi sono diminuiti
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100 50
131
0
2008 Tariffa a consumo
2009 Tariffa Flat
RUBRICA | RICERCHE E STUDI
LE AZIENDE E LA PRIVACY DEI DATI PERSONALI DEI CONSUMATORI, UN RAPPORTO DIFFICILE. UNA SURVEY DI ACCENTURE Accenture ha pubblicato i risultati di uno studio di rilevanza internazionale che, indagando su come consumatori e aziende si relazionano al tema della tutela dei dati personali, ha fatto emergere il profilo di una situazione critica. Le esigenze del mercato, infatti, portano le aziende ad accumulare un numero crescente di informazioni circa i loro consumatori, ma è anche vero che le stesse aziende dovrebbero garantire un utilizzo ragionevole dai dati in loro possesso ed una protezione da eventuali perdite ed incursioni di terzi nei propri database. I risultati della survey non sono infatti dei più incoraggianti: il 58% dei rispondenti sul versante aziende dichiara di aver perso dati sensibili negli ultimi due anni ed una percentuale analoga riconosce nella perdita di dati personali un problema ricorrente. E ciò nonostante nonostante il 73% ritenga di disporre di politiche adeguate per la tutela dei dati personali.
L’analisi sui consumatori fa emergere che il 70% di essi (86% in Italia) considera importante la privacy dei propri dati personali, ma solo circa la metà si definisce soddisfatto delle attuali politiche di tutela adottate da istituzioni ed aziende, rivelando una generale mancanza di fiducia. Dalla survey emerge inoltre la situazione paradossale per cui, sebbene l’80% delle aziende riconosca come un proprio dovere garantire la protezione delle informazioni personali dei consumatori, se interrogati nello specifico sulle pratiche adottate per perseguire questo intento risultano incoerenti e impreparate. Commentando i risultati della ricerca un portavoce di Accenture ha affermato che lo studio sottolinea l’importanza di assumere un approccio a 360° relativamente alla riservatezza e alla tutela dei dati, che colmi il divario tra strategia aziendale, gestione del rischio, relazioni di conformità e sicurezza informatica.
GARTNER: RAZIONALIZZARE IL RICORSO AL SOFTWARE AS A SERVICE Il fenomeno del Software as a Service (Saas) continua a crescere e giocherà sicuramente un ruolo nel futuro dell’IT, ma non ne sarà il protagonista, come era stato inizialmente previsto. Questo è quanto emerso da un recente studio di Gartner, che ha analizzato le best practice in questo campo. Il SaaS ha dato nuova energia al mercato del software, aggiungendo nuove opportunità di scelta per gli utenti e fornendo, in specifiche situazioni, una maggiore velocità di deployment e configurazione delle soluzioni meno complesse.
Secondo Gartner, il SaaS ha cambiato il ruolo dell’IT: non più implementatore delle sue stesse operations ma sempre più “analista” delle operations del fornitore. Tuttavia, molte delle cattive abitudini del mondo tradizionale si stanno trasferendo al SaaS: tra tutte gli analisti segnalano il fenomeno del cosiddetto “Shelfware”, ovvero un software acquistato per capriccio o in accordo con scelte corporate, ma non richiesto per un uso specifico; nel mondo SaaS, “Shelfware as a Service” indica una sottoscrizione che non viene utilizzata da nessun
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* Con Media si intende l’offerta di contenuti non esclusivamente pubblicitari in modalità continua: Stampa, Radio, Tv, Outdoor Tv e Web e Mobile, nelle loro componenti riconducibili al concetto di Media.
LA DINAMICA DEL MERCATO DEI MEDIA IN ITALIA* Min €
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utente. Questo capita molto spesso nelle grandi organizzazioni, a valle di riduzioni nell’organico o per sovra-sottoscrizioni volte a raggiungere sconti maggiori. L’analisi contiene anche delle raccomandazioni per le aziende che vogliono ricorrere a soluzioni di SaaS, che spaziano da valutazioni economiche (ad esempio l’impossibilità di considerarle asset aziendali) fino alla necessità di predisporre un modello di governance e una roadmap di sviluppo e integrazione con le altre soluzioni adottate a livello aziendale.
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RUBRICA | NOMINE CEO & CIO MARIA ELENA CAPPELLO AMMINISTRATORE DELEGATO NOKIA SIEMENS NETWORKS ITALIA
Maria Elena Cappello è stata nominata Amministratore Delegato di Nokia Siemens Networks Italia SpA, carica che coniugherà con il ruolo di Country Director. In aggiunta a queste nomine, Maria Elena Cappello continuerà a dirigere la funzione di Strategy and Business Development Europa in Nokia Siemens Networks. Laureata in Ingegneria delle Telecomunicazioni all’Uni-
GIULIETTA LEMMI AMMINISTRATORE DELEGATO WOLTERS KLUWER ITALIA chi a sempre crescente responsabilità. Subito dopo la laurea è entrata in Italtel dove si è occupata di sviluppo delle reti trasmissive a lunga distanza; successivamente, in EMC Italia ha diretto il settore vendite Telecom, mentre in Compaq/ HP ha assunto la responsabilità dei Global Services EMEA, entrando poi in Pirelli Broadband Solutions con il ruolo di Senior Vice President per il settore vendite. Da imprenditore ha inoltre fondato e sviluppato una società di software attiva a livello europeo. Nel 2007 entra in Nokia Siemens Networks dove le viene affidata la responsabilità dello Strategy and Business Development europeo. Maria Elena Cappello è membro del Comitato Esecutivo della Global Mobile Supplier Association (GSA) con sede a Zurigo nella quale ricopre la carica di Vice Presidente. Grande appassionata di sport, pratica con passione ed abilità lo sci e la vela.
versità di Pavia, Maria Elena Cappello ha conseguito un Master in Marketing Strategico presso il Babson College in Massachusetts, USA, ed uno in Management alla SDA Bocconi di Milano. In oltre quindici anni la sua carriera si è sviluppata tutta nel settore Telecomunicazioni e IT, dove ha maturato rilevanti esperienze manageriali grazie ad incari-
Da maggio Giulietta Lemmi è il nuovo Amministratore Delegato di Wolters Kluwer Italia, società specializzata nell’editoria, nei servizi informativi e nel software per professionisti, aziende e Pubblica Amministrazione. 48 anni, lucchese di origine e milanese di adozione, dopo avere conseguito la laurea in Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Pavia e aver svolto un periodo di tirocinio presso uno dei più prestigiosi studi legali associati milanesi, Giulietta Lemmi nel 1990 entra in IPSOA con il ruolo di Responsabile Business Development dell’area giuridica.
Nel 1991, a seguito dell’acquisizione di IPSOA da parte del Gruppo multinazionale Wolters Kluwer, viene nominata dapprima Responsabile dell’Area di Business Legale, poi di quella Fiscale, fino ad assumere nel 2000 la carica di Direttore Editoriale. Nel 2005, dopo l’acquisizione di De Agostini Professionale e UTET Professionale, viene nominata Direttore Generale dei due nuovi brand, dei quali ha coordinato con successo l’integrazione e lo sviluppo all’interno del Gruppo, fino alla nomina, nel 2008 di Direttore Generale Editoria di Wolters Kluwer Italia.
formation Officer e membro del consiglio d’amministrazione dell’azienda. Dopo gli esordi in Banca Commerciale Italiana in qualità di operatore del Centro Elaborazione Dati, Luminoso dopo l’aquisizione viene nominato responsabile dell’uf-
ficio di progettazione e realizzazione tecnologiche del Gruppo Intesa Sanpaolo realizzando iniziative di ampio respiro. Nel 2009 diventa responsabile dell’ufficio architetture ICT del Gruppo Intesa Sanpaolo.
LUCA LUMINOSO CIO, MEDIAMARKET A maggio 2010 Luca Luminoso è entrato a far parte della squadra di Mediamarket, la catena retail di elettronica di consumo presente in Italia con i marchi Media World, Saturn e Media World Compra On Line, in qualità di Chief In-
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