ICT4Executive nr 14

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bridging the gap between technology & business

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. Alessandro Perego e Andrea Sianesi: Global Supply Chain, serve un nuovo approccio . Innovazione e cultura, le carte vincenti dell’Italia: intervista a Francesco Micheli . La sfida dei voli spaziali di Richard Branson, fondatore di Virgin Group . Sanità, dal digitale risparmi per 15 miliardi l’anno


5-6 Novembre 2013 MiCo Milano Congressi, Milano

10°

FESTEGGIAMO IL MANAGEMENT OGGI. PLASMIAMO LE IDEE DEL DOMANI.

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editoriale

Fermare la spirale negativa di

umberto bertelè presidente advisory board ict4executive

“La recessione peggiora, cala l’export. Industria in caduta da venti mesi”, titolava l’ennesimo articolo sulla crisi del Corriere della Sera dell’11 giugno, con un incipit altrettanto drammatico: “Il rischio di avvitamento dell’economia italiana è ormai vicino”. Il ridecollo, dunque, è ulteriormente rinviato e quello che è più grave è che nel frattempo sono molto numerose le imprese che chiudono per sempre, accanto a quelle che falliscono. Più chiusure significa più disoccupati da mantenere, un po’ da parte dello Stato e un po’ da parte delle famiglie di appartenenza. Più fallimenti non significa solamente più disoccupati, ma anche possibili effetti a catena sui fornitori e distruzione del capitale proprio delle banche, che - se non ripristinato con aumenti di capitale o annullamento dei dividendi - si traduce (a causa dei vincoli introdotti per evitare crac del sistema finanziario complessivo) in una ulteriore contrazione dei finanziamenti bancari all’economia, ovvero in un inasprimento del credit crunch. Più chiusure e più fallimenti non significa solamente per lo Stato dover mantenere più persone, ma anche riscuotere meno tasse dirette e indirette; significa, in presenza del vincolo del tre per cento al deficit dei conti pubblici, imporre nuove tasse o (con una soluzione migliore ma comunque recessiva nei suoi effetti di breve termine) ridurre la spesa. La spirale negativa così riparte e il rimbalzo appare più lontano. L’economia va male, perché va male la domanda interna, perché le banche prestano pochi soldi, perché la PA paga con il contagocce, perché anche l’export - unica fonte di consolazione - sente i contraccolpi di una crisi che (anche se in misura molto differenziata) si sta estendendo a gran parte dell’Europa. Paradossalmente rimane su livelli relativamente bassi lo spread, evidenziando una volta di più le stranezze della finanza: che sembra più affascinata dalla riduzione del deficit nei conti pubblici che non preoccupata dallo slittamento continuo del PIL e dal conseguente peggioramento continuo del rapporto fra debito e PIL. Una situazione chiaramente instabile, legata alla promessa di Mario Draghi (in discussione presso la corte costituzionale tedesca mentre scrivo) che la Banca Centrale Europea farà tutto il possibile per salvare l’euro, che richiede soluzioni forti per fermare la spirale negativa e invertirne il segno. Per fermare la spirale negativa occorrono però soldi. Occorre che l’Europa allenti il suo vincolo sul deficit, ma non basta. Occorre che i mercati finanziari internazionali, quelli cui attingiamo per coprire il nostro debito, si convincano che il debitore Italia si sta impegnando in una seria ristrutturazione, volta a correggere molti dei fattori negativi che affliggono la nostra economia e la nostra società: gli sprechi di danaro publico, che rendono la PA poco efficace ed efficiente rispetto a quello che ci costa; l’evasione fiscale, più oggetto di provvedimenti urlati demagogici (spesso depressivi per la domanda) che non di verifiche silenziose - ma molto più incisive - attraverso l’incrocio delle banche dati; l’eccesso di burocratismo e la faragginosità delle regole, che rappresentano un freno potente alle nuove iniziative e tengono lontani dall’Italia gli investimenti diretti esteri; i ritardi della giustizia civile, che conferiscono vantaggi impropri ai cattivi comportamenti; l’insufficiente attenzione alla diffusione delle tecnologie più innovative e alla nascita di nuove imprese. Una ristrutturazione che a mio avviso non deve essere valutata con l’ottica dei vantaggi a breve (i risparmi derivanti da una riduzione degli addetti nella PA sarebbero ad esempio in larga misura cancellati dalla crescita degli oneri pensionistici), ma che possa dimostrare al mondo - e ai mercati finanziari in particolare - che il Paese sta facendo sul serio. Una ristrutturazione che serve quindi non tanto per ridurre il deficit corrente (anche se qualche vantaggio lo si potrebbe ottenere), ma per guadagnare la fiducia necessaria a finanziarne uno più elevato, che permetta però di fermare la spirale negativa.

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cover story

Global Supply Chain, serve un nuovo approccio

di Alessandro Perego e Andrea Sianesi, Politecnico di Milano

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interviste

Advisory Board

Umberto Bertelè Presidente Advisory Board Giampio Bracchi Politecnico di Milano Carlo Alberto Carnevale Maffè Università Bocconi Maurizio Dècina Politecnico di Milano Giuliano Noci Politecnico di Milano Paolo Pasini SDA Bocconi Andrea Rangone Politecnico di Milano Francesco Sacco Università dell’Insubria - SDA Bocconi Gianluca Spina Dean - MIP

Enzo Bertolini CIO Ferrero Group Nunzio Calì Deputy CIO Fiat Group Automobiles e CIO Fiat Group Purchasing Gianluigi Castelli Executive Vice President ICT ENI Pierluigi Curcuruto COO Intesa Sanpaolo Milo Gusmeroli Vicedirettore Generale Banca Popolare di Sondrio Massimo Milanta Direttore Generale di UniCredit Business Integrated Solutions Alessandro Musumeci Direttore Centrale Sistemi Informativi Ferrovie dello Stato Filippo Passerini President, Global Business Services and CIO Procter & Gamble Mauro Viacava CIO Barilla Holding Nader Sabbaghian Amministratore Delegato BravoSolution Raffaello Balocco Segretario Advisory Board

Innovazione e cultura, le carte vincenti che l’Italia non gioca

Francesco Micheli a colloquio con Umberto Bertelè

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Virgin, il mondo non basta più: inizia l’era spaziale

Richard Branson, Presidente e Fondatore, Gruppo Virgin

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MSC Crociere prende il largo con i Social Media

David Arcifa, Corporate Social Media Manager, MSC Crociere

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Un sistema informativo più vicino alla produzione

Pierpaolo Crovetti, CIO, Brembo

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Big Data, la nuova sfida del Procurement

Gerri Cipollini, Business Director, BravoSolution

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Ancora poca ICT negli studi dei commercialisti

Paolo Catti e Claudio Rorato School of Management, Politecnico di Milano

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osservatorio

Sanità, dal Digitale un possibile risparmio di 15 miliardi l’anno di Mariano Corso e Chiara Sgarbossa Politecnico di Milano

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Il lato oscuro del Digitale

di Andrea Granelli, consulente e scrittore

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reportage

Big Data, la parola a chi li ha già analizzati

di Manuela Gianni

Le città e l’ambiente, una fusione fra il mondo fisico e quello digitale

intervista a Carlo Ratti, direttore Senseable City Lab MIT

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management

Collaborare conviene sempre

di Kofi Annan, ex Segretario dell’ONU e Premio Nobel per la Pace

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speciale “cloud”

In viaggio verso il Cloud: le sfide per i CIO

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speciale “mobile business”

Tutti i vantaggi della Business Mobility

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rubrica | ricerche e studi

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rubrica | nomine

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rubrica | who’s who cio

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Cov e r s tory

di

Global Supply Chain, serve un nuovo approccio

alessandro perego

school of management politecnico di milano

La corretta gestione della Supply Chain estesa, sempre più globalizzata e virtualizzata, si sta rivelando in molti casi una importante sorgente di vantaggio (o svantaggio) competitivo. In un contesto instabile e complesso come quello attuale, alle imprese è richiesto di far evolvere la strategia, sviluppando maggiore capacità di ascolto e reazione su quanto succede a valle e a monte della filiera logistico-produttiva

L’evoluzione che ha caratterizzato il contesto competitivo degli ultimi decenni – sempre più instabile e complesso – si è tradotta in una maggiore attenzione alla gestione delle attività esterne al sistema produttivo (a monte e a valle), spostando il focus dalla tradizionale gestione dell’organizzazione interna alla gestione dei processi nella cosiddetta Supply Chain estesa. Negli ultimi anni, in quasi tutti i settori industriali, si è assistito inoltre a un’estensione delle Supply Chain al di fuori dei confini nazionali o continentali. Sono oramai remoti i casi di aziende che non si approvvigionano su scala globale, oppure che non hanno sedi produttive decentrate e, soprattutto, che non distribuiscono i propri prodotti o erogano i propri servizi su scala internazionale. Le Supply Chain sono anche sempre più “virtualizzate” nel senso che il leader di filiera controlla direttamente una porzione sempre più limitata della “sua” Supply Chain. In questi casi, la profittabilità delle aziende leader di filiera dipende sempre più dalla loro capacità di ge| 6 |

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stire ecosistemi complessi senza averne un controllo diretto. Tra i fattori principali alla base di questo cambio di prospettiva si possono citare: • l’evoluzione dei consumatori, sempre più esigenti e consapevoli, e la tendenza generale del mercato verso un sempre più marcato orientamento al cliente, che porta a competere sia sulla varietà offerta, sia su tempi di risposta, puntualità, frequenze di consegna; • la globalizzazione dei mercati, intesa in primo luogo come necessità di servire un mercato sempre più vasto, “globale”, ma in cui emergono particolarità locali che non possono essere trascurate; • la delocalizzazione produttiva e del mercato di fornitura, non solo con l’obiettivo di avvicinarsi al mercato di vendita ma anche come conseguenza della pressione sulla riduzione dei costi, che porta


c ov e r st o ry | G l o b a l S up p ly C h a i n , se rv e un n uovo a p p ro ccio

di

andrea sianesi

school of management politecnico di milano

a cercare materiali e manodopera a basso costo; • le scelte di outsourcing, che consistono nella delega di attività (spesso considerate non-core) per raggiungere diversi obiettivi: concentrarsi sulle attività più strategiche, appoggiarsi a società specializzate oppure ridurre i costi di prodotto; • la crescente incertezza che caratterizza – in parte come conseguenza dei fattori appena citati – sia la domanda del mercato che il fronte della fornitura, rendendo più ardue le attività di pianificazione. I problemi indotti dalla globalizzazione della Supply Chain richiedono un “approccio sistemico” alla gestione dell’intero flusso di informazioni, materiali e servizi, dalle materie prime provenienti dai fornitori, via via lungo le fabbriche e i magazzini, in cui la sequenza degli eventi ha come unico scopo quello di servire il cliente finale al meglio e al minor costo possibile per il sistema. Le tipologie di Supply Chain “globali” L’approccio sistemico richiede in primo luogo la definizione di una chiara strategia di Supply Chain e, per alcune aziende, le scelte fatte in questo ambito

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cover story | Glob al S u pply Chai n, s e r v e u n nu ovo a p p ro cci o

figura 1 - diversi modelli di supply chain: da “multinazionali” a “globali”

Area 1

Global Manufacturing

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Local Manufacturing

Area 2

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Area 3

Area 1

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Fonte: Politecnico di Milano

Make

Area 2

(P)

Area 3

(D) Hybrid Model

Source Local Sourcing

Global Sourcing

sono diventate la chiave per conseguire importanti vantaggi competitivi rispetto ai concorrenti. Tra i casi più famosi si possono citare Dell e Zara. • Dell si è guadagnata un ruolo di leader nell’industria dei computer portatili proprio proponendo un modello di Supply Chain innovativo (rispetto al periodo in cui l’ha introdotto): esso consiste nell’accorciare il lato più a valle della Supply Chain, eliminando i passaggi intermedi tra l’azienda e il consumatore (distribuzione e vendita al dettaglio); Dell acquisisce gli ordini direttamente dai clienti finali, assembla il prodotto secondo le specifiche richieste e spedisce al cliente il prodotto finito. In questo modo il cliente può scegliere i componenti più aggiornati, personalizzare il computer secondo le proprie esigenze, riceverlo in tempi molto più brevi ed ad un prezzo più conveniente rispetto all’acquisto nei punti di vendita tradizionali. • Zara nel suo momento di massimo successo si è imposta nel mondo dell’abbigliamento facendo della velocità il proprio fattore critico di successo. La sua Supply Chain è infatti molto reattiva rispetto alla domanda del mercato: i punti vendita sono dotati delle tecnologie per comunicare quotidianamente l’evoluzione del mercato alla sede centrale, il processo di sviluppo della collezione si svolge in tempi molto brevi, l’assorti| 8 |

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mento al dettaglio è definito sulla base dei dati di domanda raccolti dal singolo punto vendita, la produzione viene lanciata “al più tardi” ed è spesso localizzata in paesi geograficamente vicini alle zone di vendita in modo da ridurre al minimo i tempi di consegna. Dall’evidente differenza tra queste due aziende emerge un elemento importante: non solo è necessaria una strategia di Supply Chain, ma tale strategia non può seguire un modello generale valido per tutti; al contrario, occorre saper scegliere la corretta strategia di Supply Chain in relazione alle caratteristiche del prodotto realizzato e del mercato a cui ci si rivolge. Numerosi sono i possibili modelli di Supply Chain che soddisfano differenti strategie. Nella figura 1 sono rappresentate alcune delle combinazioni(1) ottenibili incrociando differenti dimensioni di globalizzazione: • è possibile ricorrere a fornitori che possono avere una focalizzazione locale o globale; • è possibile delocalizzare le fasi di produzione del prodotto piuttosto che non concentrarle in unico paese; • è possibile per ogni unità produttiva avere un mercato di sbocco locale (cioè limitato all’area geografica in cui sono realizzate le fasi produttive) o globale.


c ov e r st o ry | G l o b a l S up p ly C h a i n , se rv e un n uovo a p p ro ccio

Le strategie di Supply Chain: riduzione dei costi o sviluppo di nuovi mercati? Cosa spinge aziende, anche operanti nello stesso settore (ad esempio Candy, Indesit e Whirlpool), ad adottare “forme” di globalizzazioni differenti? L’idea che non esista un approccio generalmente valido in qualsiasi caso si poggia sulla considerazione che ogni Supply Chain deve affrontare le proprie specifiche priorità competitive, che risentono - oltre che di quanto indicato come linea guida nella più ampia strategia aziendale (ad esempio la ricerca di competizione attraverso una riduzione del costo piuttosto che non la ricerca di diversificazione dei mercati serviti) – anche delle caratteristiche strutturali del prodotto, delle esigenze del mercato di sbocco e dei vincoli strutturali, legati – per esempio – al mercato di fornitura, alle distanze, alle infrastrutture. Volendo fornire una chiave di lettura necessariamente semplificata delle differenti tipologie di Global Supply Chain, è possibile da un lato ricondursi alla motivazione strategica alla globalizzazione (ricerca di basso costo o sviluppo di nuovi mercati), dall’altra al contesto competitivo in cui la Supply Chain globalizzata si trova ad operare (semplificando: domanda esuberante rispetto alla capacità produttiva piuttosto che non situazioni di domanda alienata o anche insaturazione strutturale della capacità produttiva installata). La prima motivazione giustifica la tipologia di globalizzazione: la ricerca di bassi costi sposta l’attenzione sui processi di source e di make, che vengono configurati di conseguenza in accordo all’obiettivo del basso costo (localizzazione guidata dalla ricerca di economie di scala e di esperienza o di fattori produttivi a basso costo). La seconda sposta l’attenzione molto più sui processi di delivery (ricerca di reti distributive e canali di vendita efficaci). Ovviamente nella realtà questi fattori possono coesistere: la Cina ad esempio presenta numerosi casi di aziende italiane che hanno perseguito con successo entrambi gli obiettivi. Ad esempio, Ariston Thermo è riuscita a creare un sistema di fornitura locale competitivo utilizzato anche da stabilimenti di altri continenti e, nel contempo, a sviluppare in loco prodotti innovativi specificatamente destinati al mercato cinese; Fiat dopo anni di difficoltà ha rilanciato la sua presenza sul mercato cinese attraverso una joint venture industriale che produce vetture in Cina (Fiat Viaggio) basate su una piattaforma derivata dalla Giulietta, ma localizzate per i gusti del consumatore cinese e, nel contempo, distribuisce i prodotti dei vari brand del Gruppo (ad esempio Jeep) prodotti negli stabilimenti localizzati in Europa o nelle Americhe. Il contesto competitivo - inteso come rapporto tra domanda e capacità - influenza invece la configurazione strutturale della Supply Chain in termini di integrazione e scala delle varie unità produttive. Le scelte di

integrazione verticale e grande dimensione degli anni ’60 sono tipiche anche oggi delle economie in via di sviluppo e caratterizzano di fatto tutti i contesti in cui la domanda è strutturalmente superiore alla capacità produttiva. Questa configurazione ovviamente si coniuga con entrambe le motivazioni (costo e mercato) anche se normalmente ricorre più spesso nei casi di globalizzazione orientata alla ricerca di riduzione di costi (in sintesi: realizzazione di grandi impianti integrati in paesi a basso costo dei fattori produttivi). È evidente come questa situazione cambi drasticamente nel momento in cui la domanda si stabilizza su valori allineati o inferiori alla capacità e quindi diventa fondamentale identificare le prestazioni che permettano di “competere” al meglio e di conseguenza la topologia stessa della Supply Chain globalizzata assume forme differenti in funzione dell’obiettivo strategico generale (costo o mercato). Impianti di grande scala molto automatizzati e riduzione del livello di integrazione verticale attraverso l’outsourcing (in paesi a basso costo dei fattori di produzione) sono la configurazione tipica delle Supply Chain che competono sul costo, mentre la de-verticalizzazione con la contestuale ricerca di flessibilità attraverso la parcellizzazione della capacità produttiva (unità più piccole e flessibili, caratterizzate spesso da un minor livello di automazione) guidano la configurazione delle Supply Chain progettate per sviluppare nuovi mercati. Le strategie di Supply Chain Management: efficienza o agilità? Di fatto oggi le Supply Chain globalizzate sono spesso caratterizzate da una doppia variabilità: incertezza lato domanda e incertezza lato fornitura. L’incertezza lato domanda è enfatizzata da prodotti che, soprattutto nel caso di sviluppo di nuovi mercati, sono portatori di un contenuto di stile o di tecnologia che dà ai clienti una ragione in più – al di là della pura funzione a cui l’oggetto risponde – per acquistarli. Questi oggetti sono caratterizzati da una maggiore varietà rispetto ai prodotti “funzionali”, hanno un ciclo di vita relativamente breve e, di conseguenza, un rischio di obso-

Non esiste un approccio valido per tutti: anche aziende operanti nello stesso settore (ad esempio Candy, Indesit e Whirlpool), adottano “forme” di globalizzazione della Supply Chain differenti www.ict4executive.it

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cover story | Glob al S u pply Chai n, s e r v e u n nu ovo a p p ro cci o

lescenza maggiore; la domanda è variabile e difficile da prevedere; i margini sono più alti, così come è maggiore il costo di mantenimento a scorta. Nel contempo è spesso elevata anche l’incertezza lato fornitura: i processi dei fornitori sono spesso in evoluzione, quando non anche il proprio processo produttivo e la relativa tecnologia sono ancora in fase di sviluppo; l’affidabilità complessiva è bassa, perché spesso sono ancora in corso interventi di innovazione di processo. Ciò porta facilmente ad una situazione in cui il numero di potenziali fornitori è relativamente basso, i vincoli di capacità incidono su volumi e tempi, il rendimento variabile dei processi e la presenza di potenziali problemi qualitativi diventa un’ulteriore fonte di imprevedibilità. In condizioni di elevata incertezza deve conseguentemente cambiare l’approccio alla strategia di configurazione e gestione delle Supply Chain: da un approccio cosiddetto “lean” - orientato alla massima efficienza - ad approcci cosiddetti “responsive” o “agile” - orientati alla gestione del rischio grazie a elevata reattività e riconfigurabilità (figura 2). In questi approcci, le prassi gestionali non guardano tanto ai costi logistici, quanto a garantire ottime prestazioni di consegna (in termini di tempi e accuratezza), così come ad evitare le situazione di stock-out tanto quanto gli eccessi di produzione. Diventa fondamentale disporre di dati puntuali sull’andamento di vendite e avanzamenti di produzione e approvvigionamenti ed è necessario saper leggere tutti i segnali del mercato, per poter reagire prontamente ai cambiamenti. Le decisioni critiche non riguardano l’efficienza (minimizzazione dei costi), ma piuttosto l’efficacia del sistema: deve essere messa a disposizione capacità produttiva in eccesso, occorre scegliere il punto più adatto dove collocare le scorte di filiera, i fornitori devono essere selezionati in base alla loro reattività e flessibilità e si accettano ridondanze per minimizzare i rischi di mancata fornitura. In questa sfida un ruolo chiave è giocato dal grado di visibilità che il leader di filiera ha sulle principali in-

formazioni e prestazioni dell’ecosistema di cui è guida. Una recente indagine che abbiamo condotto al Politecnico di Milano interpellando i Direttori delle Operations/Supply Chain di importanti aziende multinazionali in vari settori ha evidenziato come vi sia una imbarazzante “opacità” nella conoscenza delle proprie Supply Chain. La “visibilità” sui fornitori o clienti di secondo livello - ossia quelli intermediati dal primo livello - è sostanzialmente nulla. Ma anche la visibilità su fornitori/ clienti di primo livello è spesso carente di informazioni “utili” e “fresche”. La visibilità sui propri partner di filiera - in Supply Chain globali e “virtualizzate” - è infatti un valore fondamentale, senza del quale la eccessiva dipendenza da terzi rende la gestione di impresa un gioco d’azzardo o, usando un’altra metafora, una guida senza controllo. Sintesi La nostra tesi di fondo è quindi chiara. La gestione della “propria” Supply Chain estesa è sempre più spesso una importante sorgente di vantaggio (o svantaggio) competitivo. La Supply Chain presenta sempre più caratteristiche di globalizzazione (in una delle forme presentate in figura 1), di virtualizzazione (o terziarizzazione) e di conseguente crescita dell’incertezza nella domanda o nei processi di produzione e approvvigionamento. Gli approcci alla strategia di configurazione e gestione della Supply Chain devono dunque evolvere dalla sola massimizzazione dell’efficienza alla considerazione dei profili di rischio che spostano l’attenzione verso modelli più orientati alla flessibilità e alla capacità di rapido adattamento. Cioè “meno modelli di ottimizzazione” in contesti statici e “un po’ più di visibilità” (capacità di ascolto e reazione) su quanto succede nella Supply Chain a valle e a monte. 1. Una ricerca in corso presso la School of Management del Politecnico di Milano ha in realtà evidenziato come le possibili articolazioni siano ben superiori

figura 2 - supply chain strategy

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LOW (standard products)

HIGH (innovative products)

LOW

Lean (efficient) Supply Chain

Responsive Supply Chain

HIGH

Risk hedging Supply Chain

Agile Supply Chain

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Fonte: Politecnico di Milano

Supply-side uncertainty

Demand-side uncertainty


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POLITECNICO DI MILANO

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Pietro coricelli innova i processi grazie al nuovo gestionale SAGE ERP X3

Pietro Coricelli S.p.A. produce olio di oliva dal 1939. Realtà umbra che ha saputo crescere ed espandersi, oggi commercializza i suoi prodotti in 150 Paesi del mondo. Negli ultimi anni il fatturato è passato dai 50 milioni di euro del 2008 ai 125 milioni del 2012, con prospettive di ulteriore miglioramento. Novità dell’offerta, struttura e metodi produttivi all’avanguardia hanno premiato la continua ricerca della massima qualità dei prodotti, che costituisce uno dei valori fondamentali di Coricelli. L’assortimento di olii è molto vasto e all’innovazione tecnologica si accompagna la cultura della tradizione e dell’amore per l’olio. Con Pierluigi Mattioli, Controller & CIO, parliamo dell’introduzione di Sage ERP X3 in azienda. Come commercializzate i vostri prodotti? Il 95% della produzione è venduta alla Grande Distribuzione Organizzata, sia italiana che internazionale, mentre il restante 5% va alla vendita al dettaglio, canale sul quale abbiamo un progetto di espansione. Per l’estero ci rivolgiamo principalmente a catene di distribuzione e facciamo “private label” per grandi importatori. Quali sono i motivi della scelta di Sage ERP X3? È stata fondamentale la flessibilità della soluzione Sage ERP X3 e la sua completezza relativamente alle aree funzionali che gestisce. Abbiamo ritenuto che fosse capace di supportarci nella crescita che abbiamo vissuto e che ha portato con sé una nuova organizzazione dell’azienda. Obiettivo primario è stata anche la

Il produttore umbro di olio d’oliva, che sta espandendo le proprie attività soprattutto all’estero, ha introdotto il nuovo ERp a supporto delle attività di amministrazione, logistica, produzione e vendite. Pierluigi Mattioli, controller & CIO, racconta i vantaggi ottenuti

capacità di strutturare e condividere internamente tutte le informazioni aziendali. L’inserimento di Sage ERP X3 ci ha permesso un lavoro graduale di ripensamento dei processi che si è tradotto in un vero e proprio passaggio culturale. Quanto ha pesato nella scelta l’offerta di Formula basata su Sage ERP X3 e specifica per le aziende che lavorano con la GDO? È stata un fattore determinante: poter gestire in modo completo la GDO italiana ed estera era essenziale. In Sage ERP X3, senza particolari personalizzazioni, abbiamo trovato le funzionalità adatte a gestire i nostri accordi con il trade organizzato. Va sottolineato che in Coricelli abbiamo una contrattualistica molto variegata e tipologie molto diverse di contributi da gestire. Tutte le casistiche sono però coperte da Sage ERP X3. Quali processi aziendali sono attualmente gestiti con Sage ERP X3? Gestiamo tutta l’azienda: amministrazione (ciclo attivo e passivo), logistica, produzione e vendite. Sage ERP X3 ha inoltre dimostrato forti capacità nell’interfacciarsi con altri prodotti quali un dipartimentale specifico per l’automazione di fabbrica, lo schedulatore di produzione a capacità finita ed il sistema di gestione delle paghe. Attualmente sono circa trenta le persone che in Coricelli utilizzano Sage ERP X3.

p er u lt er i o r i i n f o rm a zioni...

www.for mu la.i t

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I N TE R V IS TA

Innovazione e cultura, le carte vincenti che l’Italia non gioca

umberto bertelè School of Management Politecnico di Milano

Il finanziere Francesco Micheli dialoga con Umberto Bertelè ripercorrendo le tappe più significative della sua storia di imprenditore e innovatore, come la creazione di Fastweb, nel 2001, e di Genextra, attiva con successo nel campo delle biotecnologie. Convinto che servano decisioni radicali, Micheli non nasconde la preoccupazione per le sorti del Paese, con giudizi severi sul sistema bancario-finanziario e in generale sulla classe dirigente

Vale 535 milioni di dollari, il 68 per cento in più di un anno prima, la sua ultima creatura: la Intercept Pharmaceuticals filiata da Genextra e quotata al Nasdaq pochi mesi fa. Com’è nata l’idea di creare un’impresa che si occupasse di ricerca, in uno stadio di avanzamento delle conoscenze che sembrava ancora molto lontano da qualsiasi applicazione? Genextra è una società di ricerca tutta a capitale privato che opera in un settore dove di solito c’è lo Stato. Umberto Veronesi alla fine del ’99 mi parlò delle prospettive di sviluppo della genomica, quando stavo fondando Fastweb, e mi parve un’opportunità estremamente affascinante lanciare una nuova start up. Il Prof. Pier Giuseppe Pelicci, responsabile del suo istituto di ricerca, aveva appena realizzato un esperimento sensazionale, pubblicato su Nature, che dimostrava come un ratto cui era stato tolto il gene P66, l’unico negativo responsabile dell’impazzimento delle cellule che prelude alla fine della vita, sopravvivesse molto più a lungo, oltre il 25% della norma, ma soprattutto in ottima salute. Creai questa nuova start up, Genextra, alla fine | 14 |

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del 2003, partendo da questa ricerca che appassiona alcune delle più importanti società biotecnologiche nel mondo, finalizzata a individuare una molecola che potesse interdire l’azione di questo gene nefasto che ovviamente non può essere tolto a un bambino. Ma in parallelo Genextra mise subito in linea altre ricerche nel settore dell’aging, meno ambiziose, con tempi di ricerca più brevi e quindi prospettive economiche più realizzabili. Aderirono subito alla società alcuni imprenditori tra cui Diego Della Valle, Luca Di Montezemolo, Marco Tronchetti Provera, Massimo Mondardini; e anche Banca Popolare di Milano e soprattutto Banca Intesa, allora guidata da Corrado Passera; insieme a uno dei miei figli, Carlo, un ingegnere elettronico col quale già avevo lavorato ai tempi di Fastweb, creammo un piccolo team di grandi specialisti. Identificammo poi un amministratore delegato, il dottor Lorenzo Tallarigo, un medico italiano che aveva fatto una grande carriera in una big pharma americana e che, avendo giudicato il nostro progetto molto attraente, decise di rientrare in Italia e svilupparlo. E abbiamo anche acquisito la maggioranza di una società che opera


I NTE R V I S TA | I n n ova z io n e e c u lt u ra , l e c a rt e v in c e n t i c h e l’ I ta l ia n o n g ioca

francesco micheli finanziere e imprenditore

Fastweb). Lo fece con grande tempismo, e forse anche con un po’ di fortuna, appena prima che la “bolla Internet” scoppiasse: con una valorizzazione che rimane fra le più rilevanti della storia della Borsa italiana. E Genextra, d’altra parte, non è l’unica avventura innovativa che - come famiglia - state seguendo in questo momento. In che comparti operano le altre start up? Attualmente la nostra holding partecipa e sostiene una quindicina di iniziative a forte contenuto innovativo, da Bravofly, che è diventata in breve tempo uno dei principali operatori online nel settore del turismo, a Citynews, tra i primi 5 editori online italiani, a Banzai, protagonista nel mondo internet con numerosi marchi, a Musixmatch che offre, con una piattaforma molto efficace, uno dei maggiori cataloghi mondiali di testi di canzoni, legalmente con contratti di licenza.

Chi è Francesco Micheli

nel campo delle nanotecnologie, Tethis, spin-off dell’Università Statale di Milano. Lo scorso ottobre abbiamo quotato al Nasdaq il 23% di Intercept, la controllata americana con attività di ricerca in Italia, limitando l’offerta però ai soli investitori istituzionali: è stato un successo, la migliore performance del settore degli ultimi anni. La partecipazione si è diluita al 42% con una plusvalenza implicita attuale pari al doppio di quanto è stato investito in Genextra in otto anni. Il settore dell’aging è destinato a una sempre più forte crescita tenuto conto dell’allungamento della vita e dell’esigenza di assicurarne una buona qualità. L’umanità ha impiegato duemila anni per passare da un’età media di 25 anni ai 40 di fine ‘800, per poi raddoppiare agli oltre 80 di oggi in soli 100 anni, grazie allo straordinario sviluppo della scienza. L’obiettivo ora è di arricchire la “banca” della vita: se si vive più a lungo, si deve anche vivere meglio. Il richiamo a Fastweb ci ricorda che Francesco Micheli non è al suo primo IPO. Nel marzo 2000 quotò - insieme con Scaglia - e.Biscom (divenuta poi

Nella sua carriera di finanziere e imprenditore Francesco Micheli, dopo un’intensa attività nel settore del merchant banking e dell’asset management (lanciando diverse start up di successo), è stato tra i primi in Italia a individuare nell’alta tecnologia e nelle telecomunicazioni un settore dalle forti e strategiche possibilità di sviluppo creando nel 2001 Fastweb: così come oggi sta facendo nel campo delle biotecnologie e delle nanotecnologie attraverso Genextra - di cui è Presidente - la prima start up italiana a capitale interamente privato creata assieme a un team di scienziati presieduto dal Professor Umberto Veronesi. In parallelo a liceo classico e laurea in scienze politiche ha effettuato studi musicali: pianoforte e composizione. Fa parte del Consiglio di Amministrazione di diverse società tra cui Hines Italia Sgr, Longanesi, Artemide, Ospedale San Raffaele, Futurimpresa Sgr (Presidente), InBetween Sgr (Presidente) e di diverse Entità culturali o filantropiche tra cui Orchestra Filarmonica della Scala, Milano Musica, Fondazione Amici della Scala, Fondazione Teatro Parenti, Vidas, Fondazione per le Neuroscienze (Presidente), Fondazione Basso, Reset, Fondazione Mazzotta, fondazione CEN – Centro Europeo di Nanomedicina, O.C.I. Orchestra da Camera Italiana di Salvatore Accardo e Aspen Institute. Attraverso la Fondazione (che porta il nome del padre musicista e docente al Conservatorio di Milano per oltre 30 anni) ha lanciato il Concorso Pianistico Internazionale Umberto Micheli assieme a Maurizio Pollini e Enzo Restagno, già presieduto da Luciano Berio. È Presidente dell’Associazione per il Festival Internazionale della Musica di Milano che realizza il Festival “MITO TorinoMilano SettembreMusica”. www.ict4executive.it

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INTERVI STA | Innovaz i one e cu lt u r a, l e car t e v in c e n t i c h e l’ I ta l ia n o n g io c a

La creazione di nuove imprese, innovative anche quando non tecnologiche, rappresenta in questo momento una necessità per il nostro paese: per dare lavoro alle nuove generazioni, e non obbligarle a emigrare; per rimpiazzare le imprese ormai al termine del loro ciclo di vita, falcidiate dalla crisi. Non sembra esistere in Italia una capacità adeguata - da parte del sistema bancario-finanziario - di provvedere a questo bisogno. È una preoccupazione giusta? Viviamo un cambiamento epocale in ogni settore: politico, economico e finanziario. Per Fastweb ottenni, all’inizio, 800 miliardi di lire di finanziamento da Interbanca solo sulla base di un’idea, di un progetto: era solo 13 anni fa, oggi sarebbe impensabile. Tra l’altro “istruimmo” anche due analisti di quella banca, che diventarono i primi in Italia ad avere competenze tecniche per modelli avanzati nel campo delle telecomunicazioni: quando si parla di forte innovazione le banche non sempre possono essere attrezzate per valutarne i progetti. Ma il vero dramma di questo momento è che non ci sono soldi disponibili per finanziare nuove imprese. Le banche una volta facevano le banche, seguendo e conoscendo bene i clienti. Oggi guadagnano di più nel vendere prodotti che non conoscono: una delle principali cause della grande crisi che ancora viviamo è stata proprio la diffusione esplosiva di titoli tossici. Solo i computer “capiscono” la complessità di questi prodotti finanziari che essi stessi creano. È uno scenario molto negativo per lo sviluppo imprenditoriale. Ragazzi di talento in Italia ce ne sono, ma hanno difficoltà insuperabili nel trovare i fondi. Il sistema bancario preferisce depositare i propri mezzi alla BCE, ed è anche comprensibile. Per di più dal punto di vista della gestione bancaria, in un’epoca di tassi molto bassi resta poco margine per mantenere sistemi di filiali molto capillari e assai costosi ove, per giunta, si è sempre più allargata la distanza tra il vertice degli istituti e la periferia a discapito del mantenimento di un forte spirito d’impresa e, in pratica, della capacità di seguire con attenzione e da vicino la propria clientela. Se si aggiunge a questo la persistenza di “porte” molto strette per i giovani e il conseguente invecchiamento del management al potere ci si rende conto delle difficoltà a sostenere il sistema produttivo italiano più vivace, quello della piccola/media impresa. Oltretutto si vive in un Paese che, a livello macro, ha affrontato e peggiorato la crisi con una ossessiva pressione fiscale, al contrario di altri, come gli Stati Uniti, che hanno invece subito allargato la base monetaria per ridare vigore all’economia. Il giudizio sul nostro sistema bancario-finanziario mi sembra molto severo, ma credo sia importante ricordare che chi lo formula divenne noto al largo pubblico - nel 1985 – come “rottamatore” di un capitalismo italiano molto lontano dalle “regole | 16 |

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del gioco” dei paesi più evoluti. Lo fece abbattendo – con una scalata allora innovativa per il nostro paese - uno dei templi di questo capitalismo, la Bi-Invest della famiglia Bonomi. So che il giudizio di Francesco Micheli è altrettanto severo nei confronti dell’intera classe dirigente italiana. È vero? Sì, credo che il grande problema di oggi sia proprio la forte crisi della classe dirigente, che non è stata in grado di rinnovarsi e adeguarsi. Vivere da giovani in un mondo così spinge ad andare fuori dal paese: a inizio ‘900 era più facile di adesso salire la scala sociale, vi erano più opportunità per tutti. Se è così a Milano, figuriamoci al sud. Si parla spesso di classe politica inadeguata, ma la realtà è che questa si può cambiare con un blitz: pensiamo a quanti spostamenti repentini abbiamo visto negli ultimi tempi. Per il ricambio della classe dirigente invece ci vuole tempo, così come ce ne vuole per portare l’università italiana al livello delle prime al mondo che corrono più veloci. Si è perso lo spirito d’impresa, quel sacro fuoco che il capo riusciva a trasmettere anche all’ultimo dipendente. Un capo distratto e depresso per la crisi, che magari si vanta di non usare un computer, semina vento. Possiamo chiudere con qualche proposta costruttiva, con qualche parola di maggiore speranza sul nostro futuro? Io sono sempre stato un grande ottimista e assieme ai miei continuiamo a fare tante cose, ma oggi è diventato difficilissimo. Il contesto gioca contro: troppa burocrazia, troppe regole sciocche che annullano l’efficacia di quelle serie e indispensabili. La competitività in dieci anni è scesa pesantemente con un costo del lavoro cresciuto del 40% rispetto al 5,3% della Germania e al 30% della Spagna. La produttività è calata del 2,8%, con una disoccupazione del 12% e per i giovani del 38,9%. Il sistema bancario dovrebbe affrontare aumenti di capitale per 18 miliardi, stando alle aspettative europee. Il Pil peggiora di nuovo e mi aspetto che a fine anno sarà attorno al -3%, ovviamente il record negativo nel G7. Tra IVA, Tarsu, Imu e altri balzelli siamo a un total tax rate del 68,3% che destiniamo al nostro azionista di maggioranza che è lo Stato. Che peraltro dovrebbe essere il nostro servitore: lo strapaghiamo ma ci rende servizi sempre più modesti; è come se pagassimo 5 domestici per avere il servizio di uno. Anzi ci sottopone alle vessazioni della sua costosissima burocrazia. E non stupisce che la gente non ne possa più e vada a votare chi grida più forte. La lentezza della giustizia, i tempi e la pluralità di agenzie e tribunali di diverso livello allontanano gli investitori stranieri. Ai tempi della caduta dell’impero Romano, Goti, Visigoti, Franchi e Cimbri volevano venire da noi ed essere assimilati: oggi non arriva nessuno - forse se mi passa la battuta - temono i “timbri”: il costo della burocrazia è quasi del 5% del PIL. Ormai siamo un Paese di transito e molti giovani, e non solo, se ne vogliono andare.


I NTE R V I S TA | I n n ova z io n e e c u lt u ra , l e c a rt e v in c e n t i c h e l’ I ta l ia n o n g ioca

Alcune delle start up innovative finanziate da Micheli Associati Micheli Associati è la holding della famiglia Micheli che si occupa di investimenti con particolare enfasi su società dal contenuto innovativo. Fra la quindicina di partecipate della Micheli Associati, oltre alla già citata Genextra, ricordiamo:

2spaghi.it, Crocierissime.it, Bravocroisieres.fr, Vivigratis.it e Prezzibenzina.it.

Musixmatch: partendo dal dato di fatto che i testi delle canzoni sono fra gli argomenti costantemente più cercati in rete, la società ha sviluppato una piattaforma molto avanzata che mette a disposizione degli utenti su ogni tipo di device uno dei più grandi cataloghi al mondo di testi di canzoni. Il tutto in maniera assolutamente legale essendo i contenuti forniti in licenza dai maggiori Music Publisher.

Citynews: l’azienda ha sviluppato una piattaforma di informazione locale su Internet ed è presente in 37 tra le principali città italiane. Il network di Citynews registra 16 milioni di visite e 50 milioni di pagine viste al mese, conta oltre 315 mila iscritti, produce più di 700 news al giorno ed è ormai stabilmente nella Top 5 degli editori online a livello nazionale (dati Audiweb). Citynews rappresenta, inoltre, il più interessante esempio di citizen journalism in Italia; oltre il 15% delle notizie nascono dalle segnalazioni degli utenti o vengono arricchite grazie ai loro contributi.

Gruppo Bravofly Rumbo: è uno dei principali operatori online nel settore del turismo e del tempo libero in Europa. In costante crescita dal 2004, anno della sua fondazione, il gruppo è oggi leader di mercato in Spagna e Italia, con una forte espansione in Francia e una solida presenza in più di 30 Paesi, dalla Russia al Sud America. Attualmente oltre 19 milioni di utenti al mese si affidano ai suoi siti: Bravofly. com, disponibile in 15 lingue, Volagratis.com, Rumbo. es, Viajar.com, Viaggiagratis.com, Viaggiare.it, Hotelyo.it,

Banzai: società italiana protagonista del mercato Internet e focalizzata sui settori media ed e-commerce. Fondata nel 2008 da Paolo Ainio, uno dei pionieri di Internet in Italia, conta su oltre 370 collaboratori, con un fatturato complessivo di oltre 130 milioni nel 2012, 15 milioni di utenti internet mensili e oltre 8 milioni di utenti registrati ai propri siti. Fra i marchi di Banzai ricordiamo, nel mondo e-commerce, ePrice e SaldiPrivati e, nel mondo media, Liquida, PianetaDonna, GialloZafferano e Studenti.it.

Che il nostro mercato di Borsa sia calato del 5,7% dall’inizio dell’anno, peggio della Spagna, rispetto alla crescita del 10% di New York e del 2,4% della Germania non deve stupire. Solo le imprese proiettate sull’estero sono in grado di crescere, anche in maniera sensibile. Le altre pagano tutte il prezzo di aver troppo aumentato la capacità produttiva nel periodo pre-crisi: i capannoni industriali sono oggi la vera sofferenza immobiliare delle banche. Cosa si può fare? Servono decisioni radicali, non sciocchezze come il limitare a pochi euro i contanti in tasca, quando si sa bene che la grande evasione fiscale usa ben altri canali. Si deve avere finalmente il coraggio politico di ridurre gli sprechi, disciplina nella quale deteniamo medaglie olimpiche: l’obbiettivo è un centinaio di miliardi all’anno e, se si vuole, si può affrontare. All’estero abbiamo ancora un’immagine paese molto positiva. Malgrado tutto continuiamo a essere “simpatici” e interessanti per molte nostre caratteristiche positive piuttosto uniche che ci contraddistinguono e per un insieme di fattori: paesaggio, clima, natura, cibo, patrimonio artistico, musica, scienza e, diciamo pure, grande “solarità”. Investiamo su questi valori invece di relegarli all’ultimo posto nella scala delle priorità del Governo e di conseguenza nella allocazione delle risorse disponibili: oggi destiniamo una quota percentuale del PIL molto inferiore all’1% a ricerca e beni culturali, siamo fanalino di coda rispetto agli altri che dedicano finanziamenti due o tre volte maggiori in termini percentuali ma con valo-

ri assoluti ben più elevati perché rapportati a G.N.P. di ben altra dimensione rispetto al nostro. Purtroppo, non abbiamo infrastrutture valide per sfruttare il patrimonio che deteniamo. Faccio un esempio: a Londra si è appena chiusa una magnifica mostra su Pompei con un successo di pubblico unico. Ma se un turista poi viene a Pompei trova la casbah ma non un albergo degno, e deve tornare a Napoli per dormire. Perfino ad Angkor, in Cambogia, dopo Pol Pot hanno immediatamente costruito una serie di alberghi validi ed efficienti. I nostri musei, salvo eccezioni, sono vuoti: sono rimaste troppe istituzioni polverose, devono essere reinventati, serve una trasformazione come quella che fu fatta qualche anno fa alle Poste Italiane. Analoga la situazione dei nostri teatri lirici, in forte crisi, più che per i tagli a causa di gestioni inaccettabili: un teatro come la Scala costa a tutti noi 130 milioni di euro all’anno e la difficoltà non sta nei ricavi che sono esuberanti ma nei costi. Il Ministero della Cultura dovrebbe avere la stessa dignità di quello dell’Economia, invece è sempre considerato l’ultima ruota del carro. La gestione dei beni culturali è medievale, con una burocrazia molto potente e altrettanto strabica, specie quando deve decidere chi finanziare. Anche se è esagerato dire che abbiamo il patrimonio artistico più grande del mondo, abbiamo comunque valori enormi e soprattutto un valore di posizione unico. Come diceva Flaiano, “basta con le politiche di inaugurazioni, pensiamo a quelle di manutenzione”. www.ict4executive.it

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I N TE R V IS TA di

manuela gianni

Richard Branson fondatore e presidente Gruppo Virgin

Virgin, il mondo non basta più: inizia l’era spaziale Sir Richard Branson, il fondatore della mitica casa discografica degli Anni 70 e della compagnia aerea che ha sfidato British Airways, oltre che di numerose altre aziende che oggi fanno parte del Gruppo multinazionale, racconta la sua storia e la filosofia imprenditoriale, mentre prepara il lancio di Virgin Galactic, la prima società commerciale a offrire voli per lo spazio

Giubbotto di pelle, sorriso smagliante e battuta pronta, a 62 anni sir Richard Branson, patron del Gruppo Virgin, mostra ancora l’entusiasmo contagioso di chi adora l’avventura e le grandi sfide. Ha iniziato a fare l’imprenditore quando ancora andava a scuola, a 16 anni, lanciando una rivista per studenti; poi è stata la volta della Virgin Music, mitica casa discografica delle più note rock band degli anni 70 (fra cui i Rolling Stones e i Sex Pistols). In seguito, non ancora trentenne, ha fondato la compagnia aerea Virgin Airlines, e da allora non si è mai fermato. Con il marchio Virgin, e mettendoci sempre la faccia, ha lanciato centinaia di società nei campi più disparati, creando un gruppo che oggi impiega 50mila persone in 34 paesi. Non tutte le iniziative hanno avuto successo, naturalmente, e ci sono stati momenti difficili, come la necessaria vendita della Virgin Music alla EMI per far fronte a problemi finanziari. Ma Branson non è tipo da farsi abbattere dai fallimenti: a un’idea che non sfonda ne fa seguire un’altra, ancora più ambiziosa. | 18 |

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L’ultima punta davvero in alto: si chiama Virgin Galactic e vuole essere la prima società al mondo a offrire voli commerciali per lo spazio. Ne ha parlato lo scorso aprile a Las Vegas, intervenendo come keynote speaker al CA World 2013, dove di fronte a una platea di 5mila delegati ha ripercorso le tappe più significative della sua storia imprenditoriale e ha presentato Virgin Galactic, la nuova avventura che prenderà il via il prossimo anno. Puntare sempre all’eccellenza Quando già aveva portato al successo la casa discografica Virgin, Branson decise di creare una compagnia aerea un giorno che l’American Airlines cancellò il suo volo da Portorico per i Caraibi per mancanza di un numero sufficiente di passeggeri. «Tornato in Inghilterra pensai che le compagnie aeree trattano male i passeggeri e decisi di comprare un 747 usato», racconta. Una compagnia con un solo aereo che sfidava giganti come


I N T E RV ISTA | v irg in , il mo n do n o n b a sta p iù: in iz ia l’ e ra spa z ial e

la TWA e la Pan Am che allora ne avevano 300: una scommessa vinta, dato che oggi la Virgin Atlantic è la seconda compagnia a lungo raggio britannica, mentre quei giganti non esistono più, sono falliti. Qual è la lezione? Secondo Branson, «significa che l’eccellenza viene sempre premiata: la migliore compagnia, come il migliore hotel, o la migliore azienda in ogni settore, in genere sopravvivono. È possibile se la qualità offerta è superiore, se le persone che ci lavorano sono motivate e orgogliose di quello che fanno, se sorridono ai clienti, che a loro volta sono contenti. Io sono sempre attento a migliorare quello che facciamo». Branson ha ricordato anche l’avventura della Virgin Cola, che per un anno e mezzo in UK ha venduto più della Coca Cola e della Pepsi, «ma poi decisero di farla sparire dagli scaffali e l’hanno fatto. Anche la British Airways ha cercato di farci sparire, ma non ci sono riusciti. La differenza è che con la Cola potevamo solo competere sul prezzo, mentre con Virgin Atlantic abbiamo potuto puntare sulla qualità, e i clienti sono rimasti con noi». Gestire i rischi e i fallimenti Come ogni grande imprenditore, Branson sa che per avere successo è necessario rischiare. E non solo nel business, ma anche nella vita: sono note le sue avventure nell’oceano in barca a vela (nel 1986 ha battuto il record di velocità nell’attraversare l’Atlantico) e in mongolfiera (il primo a sorvolare l’Atlantico, nell’87, e il Pacifico, nel ’91). «Credo che per un imprenditore sia necessario prendere rischi grandi e calcolati, e considerare l’ipotesi che le cose vadano male, anche malissimo, in modo da evitare il peggio. Io amo le avventure, ma ho sempre fatto in modo di tornare a raccontare come è andata. La stessa cosa faccio nel business. E se tutto va male, si ricomincia da capo». Per ridurre il rischio, l’approccio strategico adottato dal Gruppo Virgin è quello di costruire i nuovi business da zero, e questo secondo Branson permette di essere più veloci nel comprendere la reazione delle persone, e contenere i danni in caso di insuccesso. «Non abbiamo mai fatto acquisizioni, che spesso si rivelano clamorosamente sbagliate», ha sottolineato. Imparare facendo, la migliore scuola Branson non ha mai avuto un buon rapporto con la scuola, che ha abbandonato a 16 anni, dopo il successo

Chi è Richard Branson Negli Anni 70, a 20 anni, Sir Richard Branson fonda Virgin, inizialmente un negozio di dischi per corrispondenza, divenuto poi uno studio di registrazione e in seguito la famosa casa discografica. Oggi è Presidente del Gruppo Virgin, diventato uno dei più noti brand a livello mondiale, presente con le sue attività diversificate in tutto il mondo. Nel 1999 ha ricevuto dalla Regina d’Inghilterra il titolo di cavaliere (Sir) per i suoi meriti imprenditoriali. Spirito avventuroso, ha tentato di battere numerosi record. Nel 1986 con la sua barca a vela è stato il più veloce di tutti i tempi ad attraversare l’Oceano Atlantico. L’anno dopo è stata la volta della traversata dello stesso Oceano in mongolfiera. Nel 2004 è stato il più veloce ad attraversare la Manica con un mezzo anfibio e lo stesso anno il più anziano a compiere lo stesso tratto in kitesurf. Nel 2004 ha fondato Virgin Unite, organizzazione non profit che affronta i grandi problemi dell’umanità facendo leva soprattutto sulle persone che lavorano nel Gruppo Virgin. Nel 2004 ha riunito Nelson Mandela, Graça Machel and Desmond Tutu per formare The Elders, un gruppo di leader indipendenti che lavorano per trovare soluzioni sostenibili per le grandi emergenze globali. Nel 2010 ha lanciato la Carbon War Room, iniziativa che punta a raccogliere capitali e competenze per sviluppare l’innovazione e lo spirito imprenditoriale per affrontare il cambiamento climatico. Ha anche fondato in Sud Africa e in Giamaica i Branson Centers of Entrepreneurship.

della sua prima avventura imprenditoriale: il giornale pacifista “Student”, lanciato in piena guerra del Vietnam, distribuito gratuitamente in 50mila copie e finanziato con la pubblicità, da lui venduta per coprire i costi di stampa. «Sono diventando imprenditore seguendo questa passione – ha raccontato –. La mia famiglia era convinta che non avrei avuto molte chance se lasciavo la scuola, ma hanno apprezzato il fatto che sapessi esattamente cosa volevo fare già a 15 anni. Considerato come sono andate le cose, è stata la migliore educazione che potessi avere. Del resto, io sono molto curioso, ho passato la vita a imparare nuove cose». Per questo, oggi Branson finanzia - attraverso una delle sue molteplici attività filantropiche - i ragazzi che aspirano a diventare imprenditori, ma il consiglio per loro è di continuare gli studi, perchè «Il diploma è una sorta di assicurazione, in caso l’impressa fallisse». Oltre al coraggio, per avere successo secondo www.ict4executive.it

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INTERVI STA | Vi rgi n, i l m ond o non b as ta pi ù : i ni z ia l’ e ra spa z ia l e

l’imprenditore è fondamentale avere i collaboratori giusti e mantenere la mente sgombra: «Quando si fa impresa bisogna cercare persone più brave di noi e delegare, liberare tempo e cercare di avere una veduta ampia. Oltre che coltivare una vita personale e mantenersi in salute», ha detto. tecnici e ingegneri cambiano il mondo Anche l’innovazione è un ingrediente determinante nella ricetta del successo di Virgin, soprattutto oggi che la nuova sfida è quella di vendere biglietti di andata e ritorno per lo spazio. «Tecnici e ingegneri oggi non sono apprezzati come dovrebbero: possono veramente trasformare il mondo. Penso a persone come Larry Page di Google e a tutte le cose incredibili che sono state sviluppate qui negli USA negli ultimi 15 anni: sono sicuro che nei prossimi 15 anni ci sarà un’altra rivoluzione simile». L’innovazione più importante, per Branson, è oggi quella che aiuta a salvaguardare il nostro pia-

Virgin Group Il Gruppo Virgin, con sede a Londra e quotato in Borsa, conta 400 società in 34 paesi, con un fatturato complessivo (nel 2011) di 21 miliardi di dollari e 50mila dipendenti. Le società nascono spesso da partnership, ma fanno sempre leva sulla notorietà del marchio e sulla reputazione personale del fondatore e proprietario Sir Richard Branson. L’approccio prevede che le società gestiscano il proprio business in autonomia, ma si supportino reciprocamente e condividano i valori fondanti. Il Gruppo è attivo nel trasporto aereo (con Virgin Atlantic, Australia e America) e ferroviario, nell’intrattenimento e nell’hospitality, nella radio (Virgin Radio), nelle telecomunicazioni (Virgin Mobile), nella salute e benessere, nella finanza, nelle vacanze, nel turismo spaziale (Virgin Galactic) e nell’energia pulita. Si occupa anche di palestre (Virgin Active), casino online, viaggi in mongolfiera, editoria, voucher per regali, produzioni televisive, imballaggi, festival musicali, Internet, gare di Formula 1 e molto altro. L’attività filantropica è portata avanti da Virgin Unite. Virgin Galactic, posseduta da Branson e Aabar Investments PJS (con sede ad Abu Dhabi) è la società che offrirà nei prossimi mesi voli spaziali suborbitali per il mercato commerciale, con navicelle progettate e costruite ad hoc. In Italia è molto presente Virgin Active, sbarcata nel 2004 e che oggi gestisce 25 centri fitness, ciascuno con una superficie minima di 4.500 metri quadrati.

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neta: «La Terra è meravigliosa, siamo molto fortunati, ma ogni giorno immettiamo nell’aria troppa CO2: avere energia pulita avrebbe un impatto decisivo. Stiamo investendo per avere carburanti innovativi». La responsabilità sociale Convinto che il business possa agire come forza positiva per risolvere i grandi problemi che affliggono l’umanità - dal cambiamento climatico alla povertà - Branson è da anni impegnato in attività non profit attraverso la sua associazione Virgin Unite. «I problemi non possono essere solo dei politici: sono anche dei business leader con me, esseri umani che vivono sulla Terra, con dei figli. Se tutti si facessero carico dei problemi, utilizzando la loro capacità imprenditoriale, potremmo risolverli: è un’enorme soddisfazione personale, è positivo per tutte le persone che lavorano in azienda e può realmente fare la differenza. Io non credo nella distruzione del business per risolvere i problemi. Io credo nell’opportunità di trovare soluzioni nuove che possano evitare i danni, grazie al lavoro di ricerca di tecnici e ingegneri». In volo per lo spazio Il sogno più grande di Branson si deve ancora realizzare: un viaggio nella spazio sulla navicella spaziale di Virgin Galactic, per guardare la Terra da lassù e sperimentare l’assenza di gravità. Sarà lui, insieme a moglie e figli, il primo a salire a bordo, l’anno prossimo, quando il servizio sarà inaugurato. L’aeroporto spaziale è già pronto, nel deserto del New Mexico (disegnato dall’architetto britannico Norman Foster), e per lavorare al progetto sono stati reclutati i migliori ingegneri aerospaziali del mondo. Da tempo Branson aveva espresso il desiderio di volare nello spazio e un giorno, ha raccontato, ricevette un invito da parte del presidente Gorbaciov che gli propose un viaggio su una nave spaziale russa, a una condizione però: «Voleva 60 milioni di dollari e pensai che non potevo sprecare così tanti soldi. Decisi di rendere questi viaggi accessibili, se non a tutti, almeno a molti. Ho iniziato a parlare con tecnici e ingegneri a un certo punto tutto questo è diventato possibile. La Nasa e i russi hanno lavorato ai programmi spaziali per 50 anni e solo 500 persone finora sono andate nello spazio. Il motivo è che sono stati i governi a mandare avanti i progetti. Un’azienda privata come Virgin Galactic manderà nello spazio moltissime persone: i primi voli costeranno circa 200mila dollari, ma nel tempo i prezzi scenderanno. Del resto i primi voli di linea transoceanici, negli anni 20, costavano 250mila dollari». Il volo sperimentale si è tenuto a maggio, superando la barriera del suono: il progetto è quindi entrato nella fase finale del collaudo.


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I N TE R V IS TA di

Luigi Ferro

David Arcifa Corporate Social Media Manager MSC Crociere

MSC Crociere prende il largo con i Social Media La strategia della società per il posizionamento del brand ha previsto azioni di Social Media Marketing che spaziano sui principali canali con formati innovativi, inclusa un’attività di video crowdsourcing che ha coinvolto i fan nella scelta finale. Al recente varo della nuova nave MSC Preziosa, festeggiato con un grande evento a Genova, si è accompagnata una importante attività on line

Un lavoro preparatorio sui Social Media, poi lo spot televisivo e infine il riposizionamento della marca e il varo della nuova nave MSC Preziosa. È il percorso di MSC Crociere che nella strategia di comunicazione ha lasciato ampio spazio ai New Media. «Abbiamo effettuato un mix di investimenti Marketing: circa il 70% sui mezzi tradizionali e il restante 30% nel digitale - ha spiegato il Corporate Social Media Manager David Arcifa -. Siamo partiti da Facebook arrivando poi a Twitter, Google+, Youtube e Instagram. Nei principali Paesi europei la pianificazione ha previsto spot in Tv, ma con un supporto digitale fondamentale, a livello di keyword, piano editoriale e di investimenti media per YouTube. Su Facebook la pianificazione media è ancora molto contenuta come budget, ma i risultati che stiamo ottenendo sono notevoli: investiamo soprattutto con nuovi formati. Per esempio, in Italia abbiamo utilizzato un formato che chiamiamo “log out experience”, ottenendo tassi di | 22 |

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partecipazione molto interessanti: in pratica, al log out l’utente trova un video cliccabile». Un concorso online tra videomaker Lo spot televisivo ha trasmesso il concetto “che la vita va misurata in momenti e non in minuti”, esaltando i valori del vivere mediterraneo: un concetto ripreso anche come tema di un concorso, realizzato in collaborazione con Userfarm.com, che ha visto la partecipazione di oltre una cinquantina di video. Nata circa tre anni da TheBlogTv, Userfarm è una società che aggrega su una piattaforma online una community internazionale di circa cinquantamila creativi. È possibile quindi effettuare la richiesta di video con un brief, settando il livello qualitativo e di stile che si vuole ottenere. «Ingaggiare videomaker online ci ha permesso di raggiungere risultati di qualità - racconta Arcifa -. Abbiamo preparato un brief con una call a livello globale sul tema “momenti unici in stile di vita mediterraneo”.


IN T E RV ISTA | MSC C ro c ie re p re n de il l a rg o c o n i So c ia l Me dia

Il 27 febbraio abbiamo lanciato il progetto, ricevendo 54 video di eccellente qualità». Fra questi MSC ha selezionato dieci video e li ha sottoposti ai fan, che li hanno votati: ha trionfato Luciano Andres Gallo, un videomaker argentino, autore del video “Momenti, non minuti». Con il lavoro degli altri nove videomaker selezionati sarà creato un mashup video che sarà veicolato online, con la speranza che diventi virale. Facebook, Twitter e Youtube Sul Web è stato realizzato un piano editoriale, e sono state avviate attività specifiche per ogni canale social, con l’obiettivo di ingaggiare le persone. Facebook, in particolare, a fine 2012 aveva raggiunto il milione di fan a livello globale. «Abbiamo un’unica presenza Facebook divisa per Paesi, con pagine in lingua e piano editoriale dedicato, con foto, video e testi», spiega Arcifa. Un po’ in ritardo rispetto a Facebook è arrivato Twitter, dove i follower sono oggi oltre cinquantamila. «Per il nostro nuovo posizionamento è stato utile anticipare lo spot su Twitter invitando le persone ad andare a scoprirlo sul canale YouTube». Google+ è stato invece utilizzato soprattutto per i riflessi sul motore di ricerca. «Ha dato un contributo importante al lancio del nuovo spot», sottolinea Arcifa. Su YouTube, MSC era già presente, ma in occasione del nuovo spot è stato lanciato un brand channel diviso per Paese che ha totalizzato quasi quattro milioni di visualizzazioni. «YouTube si è dimostrato fondamentale per veicolare contenuti video che non riusciamo a mandare in onda in tv: il “dietro le quinte” del nostro spot e il “brand manifesto”, ovvero un video che permette di capire cosa c’è dietro MSC Crociere, ma anche tutte le informazioni relative alla sicurezza».

Chi è David Arcifa David Arcifa, laureato in Scienze della Comunicazione a Milano e con un Master in Comunicazione per le Relazioni Internazionali, ha iniziato la sua carriera nel 2007 presso la Rai Corporation a New York. Per Nestlé Purina ha poi seguito le relazioni esterne prima di dedicarsi al Digital Marketing e Crm. Dall’agosto 2012 lavora nel quartier generale di MSC Crociere a Ginevra, dove ricopre il ruolo di Corporate Social Media Manager. Da Ginevra segue la strategia sui social media di oltre 30 mercati con l’obiettivo di aumentare la presenza del brand ed incrementare la relazione con il consumatore. È inoltre stato relatore di Digital Marketing presso alcune Università italiane, tra cui l’Università Cattolica di Milano e l’Istituto Europeo di Design.

95mila partite. Il premio era la crociera o la partecipazione all’evento organizzato per il varo a Genova. Il gioco è stato proposto anche una settimana prima dell’evento, una due-giorni a cui hanno partecipato tremila persone. Inoltre, sono stati realizzati brevi video, da 30 a 45 secondi, che documentano il primo viaggio della nave dal cantiere a Genova e sono stati pubblicati su Facebook: l’impatto virale è stato fortissimo. «I fan sono aumentati del 5% e l’engagement rate dell’8% - specifica il manager -. È stato organizzato un “live twitting” del varo che ha portato un incremento del 15% di follower». Per la comunicazione è stata sfruttata anche la presenza a Genova di tre navi del gruppo MSC: la sera

Il varo “social” della nave Preziosa Il battesimo della nuova nave MSC Preziosa è stato trasformato in un momento aperto a tutti grazie all’utilizzo dei Social Media. «Abbiamo deciso di utilizzare i nostri canali, aggiungendo un obiettivo molto sfidante che era quello di coinvolgere le reti di blogger e “influencer” e, le community che parlano di crociere, che sono molto attive in rete. Siamo partiti da Facebook, con un social game che permetteva di selezionare la nave e gli amici con i quali fare una crociera», spiega Arcifa. Il gioco aveva un arco temporale di un mese e mezzo durante il quale sono state effettuate circa

«Abbiamo effettuato un mix di investimenti Marketing: circa il 70% sui mezzi tradizionali e il restante 30% nel digitale. Siamo partiti da Facebook arrivando poi a Twitter, Google+, YouTube e Instagram. Per lo spot in Tv, il supporto digitale è fondamentale» www.ict4executive.it

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INTERVI STA | MSC C r oci e r e pr e nd e i l l ar go con i So c ia l Me dia

è stato organizzato un gioco di luci che ha coinvolto anche i passeggeri a bordo. Instagram è un altro dei canali utilizzati. La strategia ha previsto hashtag dedicati, coprendo alcuni eventi durante l’anno. Ora la società sta definendo alcune attività da svolgere a bordo delle navi e intende sviluppare l’area degli user generated content. Un ruolo importante è stato giocato anche dai blogger. Ne sono stati ingaggiati tre a livello internazionale che hanno partecipato al varo e alla crociera, documentando la vita a bordo, gli aspetti relativi al cibo, la Spa (l’area benessere) e lo stile di vita mediterraneo. Secondo Arcifa uno degli aspetti da tenere in considerazione è la crescita del canale Mobile. «Su Facebook è fondamentale presidiare il Mobile. In Italia c’è una fascia di piú di dieci milioni di utenti che ha una

sovrapposizione dell’utilizzo di Facebook fra Mobile e desktop. Abbiamo iniziato a veicolare alcune tab (landing page) visibili anche da Mobile, che consentono di trovare la crociera preferita». In UK invece si sta pensando di pianificare campagne solo sul Mobile. La valutazione dei risultati della strategia sui Social Media non si basa solo sul numero di fan nel suo complesso, ma sul coinvolgimento. Ad esempio, c’è una particolare attenzione al target femminile che è il vero decision maker per le crociere. Altro Kpi è l’”engagement rate”. «Valutiamo la viralità delle nostre iniziative misurando quante storie, like, comment, share sono stati generati. Non appena vediamo che alcuni post iniziano ad riscuotere un interesse minore approcciamo il media con l’obiettivo di aumentare l’engagement», conclude Arcifa.

MSC Crociere Leader nei mercati crocieristici del Mediterraneo, Sud Africa e Brasile, MSC Crociere (Mediterranean Shipping Company), è una società italiana presente con i suoi uffici in 45 Paesi per un totale di 15.500 dipendenti. Fondatore e proprietario di MSC è l’armatore Gianluigi Aponte. Nel 2012 il fatturato è stato di 23 miliardi di dollari, di cui 14 nel settore cargo. La flotta di 12 navi di MSC Crociere è il frutto di sei miliardi di euro di investimenti a partire dal 2003 e permette di trasportare oltre 1,6 milioni di passeggeri. Nord Europa, Oceano Atlantico, Caraibi, Antille francesi, Africa Meridonale sono alcune delle aree di navigazione di MSC, che affonda le sue radici nell’area del Mediterraneo e nei valori di autenticità, umanità e calore. Il cibo è uno degli aspetti principali della vita di bordo, tanto che la società ha recentemente stretto un accordo con Eataly, la catena creata da Oscar Farinetti, per l’apertura di due locali a bordo della nuova nave Preziosa. Il primo rispecchia il concept dei negozi “di terra”, dove i passeggeri possono mangiare acquistare e sperimentare 18 piatti, mentre il secondo, aperto solo la sera, è dedicato a chi cerca un menu degustazione con ingredienti dei Presìdi Slow Food.

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S S E R VAT O R I . N E T

ict & management

Startup Boosting

MISSIONE

Giocare un ruolo sempre più attivo nello stimolare la nascita e lo sviluppo di nuove avventure imprenditoriali in ambito digitale in Italia: è questo l’obiettivo che gli Osservatori ICT & Management si pongono nella convinzione che ciò rappresenti un ingrediente fondamentale per il rilancio della nostra economia. Per questo motivo nasce il progetto Startup Boosting che intende identificare le idee di business e i progetti imprenditoriali più innovativi nei diversi settori digitali, che saranno supportati e seguiti nel loro sviluppo. CHI PUÒ PARTECIPARE

AMBITI DI APPLICAZIONE

Possono partecipare: • persone fisiche (singole o in gruppo) in possesso di un’idea di business fortemente innovativa; • aziende in fase di startup e con elevato potenziale di crescita; • imprese anche già avviate che abbiano sviluppato innovative idee di business.

MOBILE APPS FA C E B O O K E C O S Y S T E M E-COMMERCE B2C MOBILE MARKETING & SERVICE SOCIAL MEDIA & WEB 2.0

COSA OFFRE

I candidati che supereranno il processo di valutazione: • saranno supportati nella messa a punto del progetto imprenditoriale, con l’obiettivo di accelerarne lo sviluppo e il raggiungimento degli obiettivi di business; • avranno la possibilità di frequentare gratuitamente un percorso di alta formazione presso il MIP – la Business School del Politecnico di Milano – finalizzato ad accrescere le competenze e l’empowerment del gruppo imprenditoriale; • saranno supportati nella ricerca dei capitali di rischio necessari.

ICT SECURITY D I G I TA L M E D I A & T V N F C & M O B I L E PAY M E N T ICT IN SANITÀ CLOUD COMPUTING & ICT AS A SERVICE FAT T U R A Z I O N E E L E T T R O N I C A E D E M AT E R I A L I Z Z A Z I O N E

MODALITÀ DI PARTECIPAZIONE

• La partecipazione è gratuita. • Per iscriversi compilare il Form di registrazione sul sito www.startupboosting.com che include una breve descrizione del progetto imprenditoriale, in cui vengono messi in evidenza: prodotti/servizi innovativi erogati, mercato target, principali concorrenti, fatturato previsto e investimenti stimati (anche solo in modo approssimato). • Ogni mese vengono valutate le proposte pervenute.

GIOCO ONLINE

MOBILE BUSINESS

ENTERPRISE 2.0

AUGMENTED REALITY

U N I F I E D C O M M U N I C AT I O N & C O L L A B O R AT I O N E - P R O C U R E M E N T & E - S U P P LY C H A I N

www.osservatori.net

BUSINESS INTELLIGENCE AND ANALYTICS SEMANTIC WEB E-GOVERNMENT

INTERNET OF THINGS D I G I TA L M A R K E T I N G


I N TE R V IS TA di

Daniele Lazzarin

Pierpaolo Crovetti

Un sistema informativo più vicino alla produzione

cio brembo

Il CIO Pierpaolo Crovetti racconta l’innovazione di Brembo, la multinazionale italiana leader nei sistemi frenanti che negli ultimi anni è costantemente cresciuta sia in termini di presenza globale sia di vendite. Un progetto incentrato su un unico ERP e un unico data base, nato dall’esigenza di governare in modo coordinato i processi di vendita e Supply Chain, e di integrare il mondo gestionale al controllo delle linee di fabbrica nei diversi siti

Per avere un’idea della dimensione globale di Brembo basta scorrere l’elenco dei clienti che montano i suoi sistemi frenanti: BMW, Volkswagen, Toyota, Fiat, GM, Ford, PSA, Renault Nissan, Ferrari, Lotus, McLaren, Porsche e nelle moto Ducati, Harley-Davidson, Triumph e Yamaha. Il gruppo di Stezzano, fondato dall’attuale Presidente Alberto Bombassei negli anni 60, è certamente uno dei marchi del made in Italy più in ascesa a livello internazionale, citato come esempio di ‘multinazionale tascabile’, e incarnazione delle eccellenze italiane nella meccanica, in particolare nei componenti per auto e moto sia di serie che da competizione. Per gestire la crescita e l’espansione all’estero, e quindi la competizione sul mercato globale, il gruppo ha dovuto ovviamente adeguare processi e organizzazione trasformandosi da struttura ‘multi-locale’ a multinazionale vera e propria. E in questo passaggio, ci spiega Pierpaolo Crovetti, CIO di Brembo, il sistema | 26 |

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informativo ha avuto un ruolo fondamentale. «Siamo in un mercato, quello dell’automotive, che è caratterizzato da margini sempre più contratti. Per questo nelle nostre fabbriche di tutto il mondo la priorità massima è l’ottimizzazione continua della competitività dei prodotti, e in quest’ottica l’ICT sa giocando un ruolo importante in termini di innovazione, di cambiamento, e di supporto alla crescita e all’evoluzione dell’azienda». Il cambiamento è una variabile indipendente Per le organizzazioni, continua Crovetti, «il cambiamento è una variabile indipendente. La propensione al cambiamento è sempre più una risorsa pregiata, e l’ICT è il primo destinatario del cambiamento: gli si chiede una reale appropriazione della cultura e della metodologia della fabbrica, e lo sviluppo di un’architettura coerente con le esigenze aziendali, e non con quelle delle tecnologie in sé».


I N T E RV ISTA | Un sist e ma in f o rmat ivo p iù v ic in o a lla p ro duz ione

Sotto il profilo tecnologico, tutto questo si è tradotto per Brembo nella definizione di un’ampia architettura IT su piattaforma Microsoft: un progetto partito diversi anni fa e incentrato sul sistema ERP Dynamics AX, completato da altre soluzioni tra cui SQL Server, SharePoint Portal, BizTalk Server, Office Professional. «Per quanto riguarda AX la software selection si è tenuta nel luglio 2006, poi nel gennaio 2007 c’è stato il primo go-live del corporate finance, e quindi man mano abbiamo adottato tutti i moduli principali e abbiamo esteso l’implementazione alle varie legal entity nel mondo, ovvero 21 siti produttivi e 27 business unit. Il progetto è tuttora in evoluzione: nel 2014 e 2015 la piattaforma ERP sarà estesa nei siti produttivi della Divisione Moto in India, e della Divisione Dischi e Sistemi in Cina». L’obiettivo primario, continua Crovetti, era di rafforzare l’integrazione dei processi, per migliorare sia le performance operative sia la connessione tra le persone geograficamente dislocate in tutto il mondo. «L’esigenza era di governare in modo coordinato i processi di vendita e Supply Chain, con particolare attenzione agli aspetti di pianificazione e di magazzino, ovviamente con i requisiti tipici di un’azienda internazionale, e nel contempo supportando le specificità dei business locali. Il tutto in un contesto di

flessibilità reale, evitando astrazioni semplificative, e le scorciatoie delle best practice, dei vincoli di sistema, delle standardizzazioni astratte». Oggi quindi Brembo ha un sistema centrale che copre amministrazione e controllo di gruppo, ciclo passivo, logistica, ciclo attivo, pianificazione e controllo di produzione, gestione e workflow nella sede italiana, istanziato a livello centrale. Inoltre entro l’ambiente Dynamics AX sono stati realizzati un sistema di avanzamento di fabbrica e un kernel di roll-out per replicare tale sistema a livello locale in ogni singola realtà produttiva. «Il kernel contiene le funzionalità e processi standard comuni alle varie business unit e Paesi, su cui poi si fanno degli adeguamenti in funzione delle peculiarità della singola realtà. Fondamentalmente in ciascuna sede produttiva nel mondo c’è un server di avanzamento di fabbrica, che per assicurare la continuità 24 x 7 x 365 è supportato da server locali che sono continuamente sincronizzati, per eventi, con l’istanza centrale». Più vicina la sincronia con gli eventi ‘veri’ Considerando la dimensione del progetto, la sua complessità e copertura, gli add-on sviluppati e la

brembo: ricavi netti per area geografica nel 2012 (percentuale) 2,1% Altri Paesi 15% Italia 22,5% Nord America 23,7% Germania 4,8% Brasile 2,0% Altri Paesi Asia

4,2% Francia 7,2% Regno Unito

4,3% Cina 2,4% India

11,8% Altri Paesi Europa

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INTERVI STA | Un si s t e m a i nfor m at i vo pi ù v i c i no a lla p ro duz io n e

brembo: ricavi di vendite e prestazioni milioni di E

brembo: margine operativo lordo 1.388,6

1.254,5

2009

148,8 130,5 101,2

825,9

2008

171,6

140,9

1.075,3

1.060,8

milioni di E

2010

2011

2012

2008

durata, il progetto Brembo è un riferimento per le implementazioni di AX in Italia. La stessa Capgemini Italia, che ha affiancato l’azienda nella definizione e implementazione, ha di fatto creato la sua practice AX proprio con questo progetto. «È stato un lungo percorso, che però - sottolinea Crovetti - consente ora a Brembo di contare su un unico sistema ERP integrato in tutte le sedi e siti produttivi del Gruppo, con un unico database, in grado di scalare seguendo le prossime evoluzioni del gruppo, e di consentire il controllo del business attraverso la Business Intelligence nativa, l’elaborazione del Profit&Loss per prodotto/mercato, e l’automazione di fabbrica». Oltre ai legami con il consolidamento di bilancio e i sistemi degli operatori logistici esterni, infatti, la principale integrazione verso l’esterno dell’ERP riguarda sistemi specifici di schedulazione di fabbrica:

2009

2010

Un tema, questo della produzione, estremamente sentito in Brembo, tanto che i due principali sviluppi in previsione per la piattaforma ERP, conclude Crovetti, sono lo sfruttamento dei dati di produzione in chiave di intelligence, e l’integrazione con un sistema PLM: «Abbiamo già online le versioni digitali di tutti i disegni, prodotti e istruzioni di montaggio, ma ci serve uno strumento che consenta una miglior comunicazione tra la linea produttiva e la direzione tecnica».

Il Gruppo Brembo ha quartier generale a Stezzano (BG), nel parco scientifico-tecnologico ‘Kilometro Rosso’, ed è presente in 16 Paesi con 18 siti industriali, 22 uffici commerciali e 3 laboratori di ricerca. Ha chiuso il 2012 con un fatturato di 1,39 miliardi di euro (+10,7% rispetto al 2011), e circa 7000 dipendenti. E’ strutturato in cinque business unit: dischi freno auto & truck, sistemi frenanti auto & truck, moto (dischi freno, sistemi frenanti, ruote), after-market (componentistica, sicurezza passiva), performance (impianti da competizione). Tra i clienti: BMW Group, Daimler, Volkswagen, Toyota, Fiat, GM, PSA, Renault Nissan, Ford, Porsche, Harley-Davidson, Ducati, Lotus, Triumph, Yamaha, McLaren, Ferrari.

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2012

«L’obiettivo è integrare l’avanzamento di fabbrica dell’ERP con i sistemi a bordo linea, cioè di controllo delle linee di produzione, avvicinandoci il più possibile alla sincronia tra eventi nel sistema ed eventi fisici reali: oggi è possibile rappresentare i flussi di produzione e movimentazione della merce all’interno di un sistema ERP in modo molto meno astratto di qualche anno fa, e questo vuol dire avere una visione e un tracciamento molto più vicini alla realtà della merce e della sua qualità nella filiera produttiva».

18 siti in tre Continenti, coordinati dal ‘Kilometro rosso’

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2011



Os s e r vato rio

di

Sanità, dal digitale un possibile risparmio di 15 miliardi l’anno

MARIANO CORSO

school of management politecnico di milano

La spesa ICT del sistema sanitario italiano si è ridotta anche nel 2012. Eppure, le stime della School of Management del Politecnico di Milano confermano che la digitalizzazione è la vera chiave della sostenibilità economica, in uno scenario che vede un preoccupante calo della qualità dei servizi, come conseguenza dei continui tagli ai budget delle strutture: in soli tre anni siamo scivolati dal 15° al 21° posto in Europa

Il Sistema Sanitario italiano ha bisogno di un piano sistemico di innovazione digitale. Servono urgentemente modelli innovativi di finanziamento e di erogazione del servizio e delle prestazioni, altrimenti rischiamo di perdere rapidamente quella qualità che l’ha caratterizzato negli anni passati. La situazione appare preoccupante ed è il frutto di una lunga serie di tagli, una “scorciatoia” per far tornare i conti pubblici adottata da tutti i governi per molti anni. Le più recenti riduzioni del finanziamento previste dal Decreto Spending Review e dalla Legge di Stabilità, per un ammontare complessivo di 2,4 miliardi di euro nel 2013 e di 3 miliardi di euro nel 2014, rischiano seriamente di compromettere il funzionamento del sistema. In questo scenario, le tecnologie digitali sono la leva che potrebbe combinare efficienza e sostenibilità economica a servizi di qualità. La Ricerca 2013 dell’Osservatorio ICT in Sanità della School of Management del Politecnico di Milano stima che una rivoluzione digitale completa per la | 30 |

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Sanità italiana porterebbe benefici di circa 15 miliardi l’anno per il Sistema Paese. Si tratta di un’opportunità irrinunciabile, considerato anche che, al confronto dei principali paesi OCSE, per la salute in Italia si spende poco e si investe ancor meno: intervenire è necessario e urgente, per non mettere a serio rischio la tenuta del Sistema. Dove è possibile innovare per risparmiare L’Osservatorio ICT in Sanità stima che, impiegando appieno le soluzioni ICT negli ambiti chiave, le strutture sanitarie potrebbero risparmiare circa 6,8 miliardi di euro l’anno (115 euro pro- capite). Nel dettaglio: • circa 3 miliardi grazie alla deospedalizzazione di pazienti cronici resa possibile dalle tecnologie a supporto della medicina sul territorio e dell’assistenza domiciliare;


o s s e r vato r i o | S a n ità , da l dig ita l e un p o ssib il e r ispa rmio di 1 5 m il ia r di l’ a n no

di

chiara sgarbossa

school of management politecnico di milano

• 20 milioni per la riduzione dei costi di stampa delle cartelle cliniche. A questi benefici, sono da aggiungere i possibili risparmi economici per i cittadini, grazie al miglioramento del livello di servizio reso possibile dalle tecnologie digitali, stimabili complessivamente in circa 7,6 miliardi di euro. Appare chiaro che si tratta di una grande opportunità e che andrebbe sviluppato immediatamente un piano di interventi. Occorre cioè abbandonare il pregiudizio che in Sanità le nuove tecnologie siano un lusso, perché utili per modernizzare le cure ma destinate ad aumentare le spese e quindi da rimandare a tempi migliori. È importante dunque creare tavoli di lavoro a livello aziendale, regionale e nazionale, a cui affiancare una maggiore capacità di governance complessiva a livello nazionale. I costi del Sistema Sanitario e l’impatto dei “tagli lineari”

• 1,37 miliardi per risparmi di tempo in attività mediche e infermieristiche grazie all’introduzione della Cartella Clinica Elettronica; • 860 milioni grazie alla dematerializzazione dei referti e delle immagini, che consentirebbe di ridurre gli sprechi dovuti alla stampa e i tempi per reperire un documento cartaceo; • 860 milioni grazie alla riduzione di ricoveri dovuti a errori evitabili attraverso sistemi di gestione informatizzata dei farmaci; • 370 milioni di euro si otterrebbero grazie alla consegna dei referti via web e a un miglior utilizzo degli operatori dello sportello che potrebbero essere impiegati in attività a maggior valore aggiunto; • 160 milioni con la prenotazione online delle prestazioni; • 150 milioni attraverso la razionalizzazione dei data center presenti sul territorio e al progressivo utilizzo di tecniche di virtualizzazione;

La spesa sanitaria pro-capite, sia pubblica che complessiva, in Italia è ben al di sotto della media dei Paesi OCSE: spendiamo meno di Paesi tradizionalmente attenti al welfare, come Francia, Danimarca, Olanda, Regno Unito e dei partner Europei più ricchi come Germania, Belgio e Austria. L’impatto sulla qualità di quello che era considerato fino ad alcuni anni fa tra i migliori sistemi sanitari del mondo è preoccupante. In soli tre anni il nostro sistema sanitario è scivolato dal 15° al 21° posto per qualità, tra i 34 censiti dall’Euro Health Consumer Index 2012. Siamo sempre più staccati da Francia, Regno Unito e Olanda (in testa alla graduatoria), ma ci ritroviamo ormai dietro anche ai Paesi dell’est Europa come Repubblica Ceca, Slovenia e Croazia.

La spesa sanitaria pro-capite, sia pubblica che complessiva, in Italia è ben al di sotto della media dei Paesi OCSE: spendiamo meno di Paesi tradizionalmente attenti al welfare, come Francia, Danimarca, Olanda, Regno Unito e dei partner Europei più ricchi come Germania e Austria | 31 | www.ict4executive.it

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osservatori o | Sani tà, dal d i gi tal e u n pos s i b i le r ispa rmio di 1 5 m il ia r di l’ a n n o

Il 21% delle aziende sanitarie italiane ha già adottato in alcuni reparti la Cartella Clinica Elettronica “completa” di tutte le funzionalità. Gli investimenti in questo ambito sono in aumento

Bisogna dunque fermare la logica dei tagli lineari e investire le risorse disponibili selettivamente, dando priorità agli investimenti in grado di fermare il processo di deterioramento, aumentando la qualità della cura e riducendo le inefficienze. Il Decreto Balduzzi e la sezione dedicata alla Sanità del Decreto Sviluppo Bis vanno nella giusta direzione, insistendo sulla digitalizzazione come chiave per ridurre gli sprechi, correggere gli errori e garantire maggior governo ai suoi attori. Tuttavia, non sono seguiti interventi attuativi concreti, e la flessione a cui si sta assistendo nella spesa complessiva in nuove tecnologie digitali nella Sanità italiana non può che suscitare preoccupazione. Spesa ICT in Sanità in calo del 5% Nel 2012 la spesa complessiva per la digitalizzazione della Sanità italiana è stata di 1,23 miliardi di euro, in diminuzione del 5% rispetto al 2011 e pari all’1,1% della spesa sanitaria pubblica. In Italia si spendono 21 euro per abitante in tecnologie informatiche, oltre la metà del valore di Francia e Gran Bretagna. La maggior parte della spesa ICT in Sanità riguarda le aziende sanitarie: 895 milioni di euro, -2% rispetto al 2011, mentre 280 milioni di euro sono spesi dalle Regioni (-7%) e 54 milioni dai Medici di Medicina Generale, in media 1.146 euro per medico (-24%).

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Oltre a essere complessivamente bassa e con un trend in decrescita, la spesa informatica nella Sanità italiana presenta una distribuzione ancora disomogenea sul territorio nazionale, ma con trend di parziale riduzione delle differenze evidenziate negli scorsi anni. Per quanto riguarda le strutture sanitarie, le aziende del Nord continuano ad assorbire la maggior parte dei budget - circa il 60% del totale - ma in calo rispetto al 2011 (-12%); nelle Regioni del Centro e del Sud e Isole invece si riscontra un aumento del 21%. Il fenomeno trova conferma anche nei budget ICT dei Medici di Medicina Generale: la pressione al contenimento delle spese ha portato infatti a una riduzione della spesa ICT nel 2012 superiore al Centro-Nord rispetto al Sud e Isole. Rimangono profonde però le differenze a livello di spesa degli Enti regionali: quelli del Nord Italia coprono circa due terzi delle spese informatiche sostenute direttamente dalle Regioni. Inoltre, se in passato il principale ostacolo all’innovazione digitale era la mancanza di visione da parte delle Direzioni Strategiche oggi, per invertire il circolo vizioso in atto che lega i tagli agli investimenti tecnologici a un progressivo deterioramento del sistema, sono necessarie innanzitutto azioni concrete da parte del Governo e delle Regioni per focalizzare le risorse disponibili su iniziative in grado di migliorare l’efficacia e l’efficienza del nostro Sistema Sanitario. Gli ambiti di innovazione digitale Nell’attuale periodo di ristrettezze economiche, le Direzioni Strategiche delle strutture sanitarie ritengono prioritari gli ambiti di innovazione digitale che consentono di ottenere benefici strutturali e misurabili in termini di aumento dell’efficienza e dell’efficacia dei processi interni e di miglioramento della qualità del servizio ai cittadini. L’ambito che catalizza i maggiori budget ICT nel 2012 è rappresentato dai Sistemi Dipartimentali (circa 80 milioni di euro di spesa stimata), seguito dalla Cartella Clinica Elettronica (52 milioni di euro) e dai sistemi per il Disaster Recovery e la Business Continuity (41 milioni di euro).


o s s e r vato r i o | S a n ità , da l dig ita l e un p o ssib il e r ispa rmio di 1 5 m il ia r di l’ a n no

Se in passato il principale ostacolo all’innovazione digitale era la mancanza di visione da parte delle Direzioni Strategiche oggi sono necessarie innanzitutto azioni concrete da parte del Governo e delle Regioni per focalizzare le risorse disponibili su iniziative in grado di migliorare l’efficacia e l’efficienza Nel dettaglio, l’Osservatorio ICT in Sanità ha ana- • Sistemi per la gestione documentale e la conserlizzato i singoli ambiti d’innovazione. vazione sostitutiva. Il 72% delle strutture sanitarie ha speso, nel 2012, 19 milioni di euro in quest’am• Servizi digitali al cittadino. Il 75% delle strutture bito, con un tasso di crescita previsto per il 2013 sanitarie ha speso, nel 2012, 15 milioni di euro in del 7,3%. Nelle strutture sanitarie italiane il 73% quest’ambito e per il 2013 è previsto un incremendelle immagini è prodotto in formato digitale, anto del 2,3% del budget. Tra i servizi maggiormente che grazie alla diffusione dei sistemi di diagnostica presenti vi sono, oltre ai sistemi per la prenotaziodigitale, mentre solo il 30% dei referti è prodotto ne telefonica delle prestazioni (adottati dall’83% e firmato digitalmente. In questo contesto il 56% delle aziende sanitarie italiane) e i sistemi di predelle aziende del campione ha attivato un sistema notazione via web (23%), il ritiro e download dei di conservazione a norma di legge dei documenti referti online (29%) e il pagamento via web delle informatici clinico-sanitari. prestazioni (25%). L’utilizzo dei servizi è però an- • Cartella Clinica Elettronica. Il 67% delle strutture cora parziale. Soltanto il 53% delle prenotazioni sanitarie ha speso, nel 2012, 52 milioni di euro in nel 2012 è stata effettuata telefonicamente e il 7% quest’ambito, con un trend di crescita previsto via web. Anche la percentuale di referti consegnati per il 2013 del 4,9%. Il 52% delle cartelle cliniche via web è molto limitata, così come i pagamenti presenta solo alcune componenti in formato delle prestazioni. Sarebbe pertanto necessario da elettronico (tipicamente la lettera di dimissione) parte dei diversi attori del sistema sanitario proe soltanto il 21% delle aziende del campione ha muovere maggiormente l’utilizzo di Internet come adottato CCE “complete” di tutte le funzionalità, strumento di comunicazione e relazione col cittaattive in alcuni reparti. Infatti, a fronte di funziodino. nalità basilari che sono maggiormente presenti e effetto della spending review sul budget ict delle strutture sanitarie

Riduzione in linea alle altre voci di spesa

Nessun effetto rilevante

15% 51%

24%

Riduzione superiore alle altre voci di spesa

Aumento del Budget ICT 6%

4%

Diminuzione

Aumento Campione: 160 Direttori www.ict4executive.it

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Fonte: Osservatorio ICT in Sanità, Politecnico di Milano, 2013

Riduzione inferiore alle altre voci di spesa


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Per le tecnologie informatiche, nel 2012 si sono spesi 1,23 miliardi di euro, in diminuzione del 5% rispetto al 2011 e pari all’1,1% della spesa sanitaria pubblica. Si tratta di 21 euro per abitante, oltre la metà del valore di Francia e Gran Bretagna

con un buon livello di supporto alle attività (come quelle relative alla visualizzazione delle informazioni del paziente e del ricovero, ai trasferimenti interni e alle dimissioni da reparto, all’accesso alla documentazione clinica precedente e alla gestione clinica ambulatoriale), spesso mancano le funzionalità caratterizzanti della cartella clinica, come la gestione clinica di ricovero e la gestione della farmacoterapia. Infine, solo il 6% delle cartelle cliniche è completamente dematerializzato con meccanismi di conservazione sostitutiva a norma di legge. Anche il supporto mobile alla CCE è ancora molto limitato e ciò riduce notevolmente i benefici ottenibili dall’introduzione di questi strumenti. • Soluzioni per la gestione informatizzata dei farmaci. Il 65% delle strutture sanitarie ha speso nel 2012 complessivamente 30 milioni di euro in quest’ambito, con un tasso di crescita previsto per il 2013 del 9,2%. Le funzionalità di gestione informatizzata dei farmaci maggiormente presenti tra le aziende del campione sono quelle relative alla preparazione dei farmaci in farmacia e alla prescrizione delle terapie, mentre sono meno diffuse le soluzioni per la somministrazione dei farmaci. Complessivamente solo il 17% delle aziende del campione ha informatizzato tutte le fasi del processo di farmacoterapia. • Sistemi di Business Intelligence e Clinical Governance. Il 77% delle strutture sanitarie ha speso nel 2012 19 milioni di euro in quest’ambito e per il 2013 sono previsti incrementi di budget del 3,7%. I sistemi ICT direzionali sono piuttosto diffusi, anche se le funzionalità più complesse – come la definizione di KPI, l’impiego di balanced scorecard e, soprattutto, il supporto alle decisioni cliniche (Clinical Governance) – sono presenti in meno di un terzo delle strutture. • Mobile Health. Il 43,2% delle strutture sanitarie ha speso 10 milioni di euro in quest’ambito nel 2012 e per il 2013 sono previsti incrementi di budget del 5,4%. I device maggiormente presenti all’interno delle strutture sono Notebook e Netbook (adottati nell’80% delle aziende del campione), ma il 21% delle strutture prevede di introdurre nel 2013 i tablet a supporto delle atti| 34 |

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vità cliniche. Il livello di utilizzo attuale dei device mobili da parte di medici, infermieri e altro personale sanitario è attualmente abbastanza limitato. La percentuale di medici che, nello svolgimento delle attività cliniche, utilizza device mobili è del 24%, mentre è del 21% per gli infermieri e del 10% per altri operatori. Entro la fine del 2013 quasi la metà delle aziende prevede di aumentarne la diffusione tra medici e infermieri. • Soluzioni per la medicina sul territorio e l’assistenza domiciliare. Il 32,6% delle strutture sanitarie ha speso nel 2012 complessivamente 9 milioni di euro in quest’ambito ed è previsto un leggero calo nel 2013. I servizi maggiormente presenti sono le soluzioni di Tele-monitoraggio (adottate dal 23% delle aziende del campione), mentre risultano poco diffuse le soluzioni di Tele-assistenza e Tele-soccorso per segnalare emergenze e di Tele-diagnostica presso il domicilio del paziente. Le soluzioni di Tele-monitoraggio sono spesso utilizzate per pazienti cronici affetti da malattie quali diabete, scompenso cardiaco o insufficienza respiratoria. • Cloud Computing e virtualizzazione. Se da un lato nel 2012 il 63% delle strutture sanitarie ha speso 28 milioni di euro in soluzioni di virtualizzazione delle risorse ICT, soltanto il 28% ha avviato progetti di Cloud Computing. Per il 2013 sono comunque previsti incrementi di budget. • Sistemi di front-end. Il 79% delle strutture sanitarie ha speso nel 2012 31 milioni di euro in sistemi di front-end, con previsioni di leggero calo. I servizi maggiormente presenti riguardano le soluzioni per la gestione intelligente delle code e delle priorità nella struttura e le soluzioni per la gestione dell’attesa relativa a visite ambulatoriali, mentre i trend di crescita previsti per il 2013 sono relativi alle soluzioni di self service a supporto dell’erogazione del servizio, con un’introduzione prevista nel 15% delle aziende a fronte di una diffusione attuale pari al 47%. Tali soluzioni, tuttavia, sono spesso presenti solo in alcuni Reparti/ Presidi e quindi non consentono di supportare in modo completo e integrato l’attesa e il percorso del paziente all’interno della struttura.



Os s e r vato rio

di

Andrea Granelli

consulente e scrittore

IL LATO OSCURO DEL DIGITALE Le falsificazioni di Wikipedia, lo strapotere di Google, la fragilità psicologica indotta dagli universi digitali, il diluvio incontenibile della posta elettronica, il pauroso conto energetico dei Data Center: sono solo alcuni dei problemi che stanno emergendo e che gettano ombre sulla rivoluzione digitale. Che è una grande opportunità, a patto di non cadere nelle sue trappole né cedere alle sua false ma lusinghiere promesse

La dimensione problematica della rivoluzione digitale – il suo lato oscuro – è un tema oramai all’ordine del giorno e non può più essere ignorato. Non si tratta di costruire scenari apocalittici, ma neppure di eludere il problema: va dunque compreso in maniera non preconcetta ma all’interno delle più generali dinamiche dell’evoluzione tecnologica e quindi nella sua articolazione e complessità, innanzitutto per restituirne la ricchezza, l’applicabilità diffusa e anche la sua fascinosità, persino nelle dimensioni più criticabili. Se la Rete non mantiene le promesse Non basta infatti minimizzare o esorcizzare il lato oscuro per contrastare il crescente sospetto nei confronti delle Rete e delle sue potenti tecnologie e soprattutto il timore che le sue promesse – spesso enfatizzate e generalmente accettate acriticamente – non possano essere mantenute. Il | 36 |

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tema non è recente ma – nell’ultimo periodo – la sua rilevanza è cresciuta in maniera inesorabile. Le inesattezze e falsificazioni di Wikipedia, il potere sotterraneo e avvolgente di Google, la fragilità psicologica indotta dagli universi digitali, il finto attivismo politico digitale svelato dall’espressione click-tivism, il diluvio incontenibile della posta elettronica, il pauroso conto energetico dei data center, i comportamenti “scorretti” dei nuovi capitani dell’impresa digitale sono solo alcuni dei problemi che stanno emergendo, con sempre maggiore intensità e frequenza. Non parliamo di rigurgiti tecnofobici, ma di fatti concreti che incominciano a minacciare perfino la solidità delle aziende. Prendiamo ad esempio l’energia. il New York Times ha recentemente denunciato che i datacenter hanno consumato nell’ultimo anno 30 miliardi di watt di elettricità a livello mondiale, quanto l’energia prodotta da 30 centrali nucleari. DatacenterDynamics stima inol-


o sse rvat o rio | IL L AT O O SC URO DE L DIG ITA LE

tre che l’anno prossimo questo consumo crescerà del 20%. Questi numeri sono ancora più inquietanti se misuriamo la ridondanza e “sporcizia digitale” presente sulla Rete: secondo IDC, il 75% del mondo digitale è una copia mentre ICF International stima che - già nel 2009 - la “posta-pattumiera” rappresentava il 97% di tutte le mail in circolazione (62.000 miliardi di messaggi). Oltre a creare problemi di per sé, queste criticità stanno inducendo tre nuovi comportamenti – sempre più diffusi – che, a mio modo di vedere, possono creare ancora più problemi: impoverimento informativo, alienazione informatica, e “pensiero unico” del digitale. Fenomeni subdoli, poco apparenti, ma in agguato e potenzialmente temibili. Il loro contrasto parte innanzitutto da un loro svelamento. La posta in gioco è molto alta. Non solo per gli sprechi e i danni che un cattivo utilizzo di queste potenti tecnologie comporta. Una disillusione del digitale – e in generale dell’innovazione – causata da uno smascheramento non guidato e contestualizzato di molti suo errati utilizzi e false promesse – fenomeno in parte costitutivo e tipico, come ci ricorda la società Gartner Group, di ogni rivoluzione tecnologica – potrebbe essere drammatica, soprattutto di questi tempi. Rischierebbe infatti di interrompere quel flusso di innovazione e sperimentazione – necessario soprattutto in tempi di crisi e di discontinuità – che è sempre accompagnato da sogni, spericolatezze, errori e rischi. E ci sono già le prime avvisaglie di questo fenomeno: ad esempio l’articolo di fondo su The Economist del 12 gennaio titola evocativamente Innovation Pessimism. Il guardare con sospetto questi atteggiamenti – estremi, scomodi ma sempre connaturati alla ricerca del nuovo – rischia di aprire nella ricerca e nell’innovazione legata al digitale una fase di conservazione, di sospettosità e di contabilizzazione ragionieristica della sperimentazione che può essere deleteria. Serve una cultura del digitale È dunque necessario comprendere davvero il fenomeno e non fermarsi alla superficie, spesso luccicante ma ingannevole.

Chi è Andrea Granelli Andrea Granelli, nato nel 1960, si laurea con lode in informatica e completa gli studi con un diploma post-universitario in psichiatria. Inizia come ricercatore presso il Dipartimento di Scienze e Tecnologie Biomediche del CNR di Milano e lavora, con responsabilità crescenti, per diverse aziende (CESI, Montedison, Fimedit). Nel 1989 entra in McKinsey, trasferendosi per un periodo presso l’ufficio di Lisbona. Nel 1996 è in Telecom Italia come Direttore Marketing e vendite di Tin - il servizio Internet del gruppo - e diventa successivamente Amministratore Delegato. Nel 2001 diventa Amministratore Delegato di Tilab e responsabile di tutte le attività di Ricerca e Sviluppo del gruppo Telecom. Attualmente è presidente e fondatore di Kanso, società di consulenza che si occupa di innovazione. Nella sua attività professionale ha creato molte aziende e lanciato diverse iniziative: tin.it, TILab, Loquendo, un fondo di Venture Capital di 280 milioni di dollari basato a New York, l’Interaction Design Institute di Ivrea, l’Esposizione permanente di tecnologia presso i chiostri di S.Salvador a Venezia e il laboratorio Multimediale dell’Università La Sapienza di Roma.

E poi va costruita una cultura del digitale, che apra a una maggiore comprensione, anche degli aspetti più scomodi e che, soprattutto, dia indicazioni su come maneggiare queste tecnologie, su cosa possiamo chiedergli e che cosa va invece assolutamente evitato. Ciò che serve è dunque molto di più di una banale alfabetizzazione digitale, di un addestramento ai suoi strumenti o ai suo linguaggi sempre più criptici; ciò che serve è una vera e propria educazione che ci aiuti a cogliere le peculiarità di questo straordinario ecosistema reso possibile dal digitale, e a guidarne le logiche progettuali e i processi di adozione, tenendo a bada – nel contempo – le sue dimensioni problematiche. Il ruolo dei Chief Information Officer In questa riflessione appare evidente il ruolo fondamentale che dovrà avere il Chief Information Officer: indirizzare investimenti e progetti verso un “buon uso” del digitale, contenendo nel contempo il suo crescente lato oscuro. Quali possono essere www.ict4executive.it

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osservatori o | I L L AT O OS CU R O D E L D I GI TAL E

Il diluvio della posta elettronica, e la conseguente perdita di efficienza, è oggi uno dei problemi più frequenti creati dalla digitalizzazione delle attività lavorative

dunque gli elementi cardine di una possibile “Agenda digitale aziendale” ? Il nucleo della strategia può essere riassunto nella sua essenzialità - in questa frase: ripartire dai problemi da risolvere o dalle concrete opportunità da cogliere e non (più) dal potere abilitante delle tecnologie (o meglio dalle loro promesse). Ciò richiede di rimettere al centro i processi operativi e i dati effettivamente utili: la tecnologia viene in un secondo momento, solo “su chiamata”. Le strategie technology-driven hanno oramai mostrato il fianco. Questo approccio ha alcune specifiche implicazioni. Innanzitutto forza ad analizzare i processi e reingegnerizzarli prima di introdurre l’automazione. L’IT introduce sempre delle novità, che però possono diventare molto velocemente legacy, vincoli. Troppo spesso si sono automatizzate procedure inutili e - una volta automatizzate - diven-

tano una barriera al cambiamento e cristallizzano lo status quo. In secondo luogo pone il dato utile al centro della progettazione: Big Data non è necessariamente una buona notizia, anzi ... Come ci ricorda il grande poeta Coleridge nella sua “La ballata del vecchio marinaio”: «Acqua, acqua dovunque e neppure una goccia da bere». In generale più dati dobbiamo gestire, più costi dobbiamo sostenere e più aumenta il rischio di perdere di vista i dati effettivamente utili, di non riconoscerli. Il valore di un dato deve nascere dalla conoscenza approfondita dei processi operativi o dei comportamenti dei clienti e non può essere solo svelato da algoritmi neurali quasi magici; il data mining a oggi ha trovato poche pepite e questo problema si acuirà con il crescere dei “dati spazzatura”. Infine va affrontato lo scabroso tema del diluvio della posta elettronica e delle riunioni inutili, lunghissime e inefficaci, vera a propria “peste del XXI secolo”. In particolare queste ultime sono letteralmente esplose grazie alla facilità con cui si possono organizzare in remoto. Il tema non è naturalmente limitarsi a ridurre forzosamente questi eventi o cambiare strumento, ma analizzare in profondità questi processi e i comportamenti sottesi per comprendere perché queste criticità si manifestano con tale frequenza. Bisogna dunque incominciare a misurare in maniera oggettiva l’impatto economico del “lato oscuro”, facendo emergere anche i costi nascosti, spesso non conteggiati. Non solo gli elevati costi infrastrutturali, gli sprechi (acquisto di software inutili o sostanzialmente inefficaci, device obsoleti troppo rapidamente), la perdita di efficienza, ma anche gli elevati consumi energetici, l’impatto ambientale non trascurabile, la perdita di efficacia (e di concentrazione) e la progressiva incapacità di pensare out-of-the-box.

Andrea Granelli è autore del libro “Il lato oscuro del digitale. Breviario per (soprav)vivere nell’era della Rete” – edito da Franco Angeli

Una disillusione del digitale rischierebbe di interrompere quel flusso di innovazione e sperimentazione – necessario soprattutto in tempi di crisi e di discontinuità – che è sempre accompagnato da sogni, spericolatezze, errori e rischi. Le prime avvisaglie ci sono già | 38 |

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Impara a gestire in modo strategico le ICT come leva di innovazione del business. È in arrivo l’Executive MBA di MIP Politecnico di Milano, nella sua nuova edizione. Il Programma forma figure professionali dalla doppia competenza: manageriale, tipica dell’MBA, e tecnologica, relativa alle ICT. Fissa subito un colloquio informativo. Trasforma la tua scelta in una scelta di valore.

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Una piattaforma innovativa per i servizi di assistenza telefonica di SEAT PAGINE GIALLE

Lanciato nel 2000, 89.24.24 Pronto PagineGialle è un servizio di assistenza telefonica a valore studiato per soddisfare svariate esigenze che vanno dalla ricerca di un numero di telefono all’acquisto a distanza di biglietti per spettacoli di intrattenimento oppure alla prenotazione di posti al ristorante o viaggi, fino alla possibilità di essere messi in contatto diretto con l’attività ricercata. Il tutto attraverso degli operatori disponibili 24 ore su 24 per 365 giorni all’anno. Ad esso si è affiancato cinque anni dopo 12.40 Pronto PagineBianche, un altro servizio a valore aggiunto per fornire indirizzi e informazioni sugli abbonati di rete fissa e mobile. Inizialmente queste iniziative erano ospitate, fronte tecnologia, presso una centrale telefonica pubblica in tecnologia tradizionale che con il tempo non si è però più dimostrata sufficiente a soddisfare le esigenze di Seat Pagine Gialle, la società che le gestisce ed eroga,

La società ha implementato una nuova soluzione, fornita dall’italiana IFM Infomaster e basata su tecnologia Voip, che offre massima flessibilità per gli operatori del contact center dei servizi 89.24.24 e 12.20, garantendo economicità e affidabilità, oltre a permettere lo sviluppo di nuove feature a valore aggiunto per i clienti

ed è quindi stato messo in cantiere un progetto guidato sostanzialmente da tre driver principali. «Il primo – spiega Fabio Cuneaz, IT manager di Seat Pagine Gialle – era proprio il fatto che la vecchia soluzione aveva ormai raggiunto la fine del suo ciclo di vita, visto che non ci sarebbero stati più sviluppi del software a bordo della centrale ed emergevano alcuni costi di manutenzione aggiuntivi per supportare servizi critici come, appunto, quelli 24x365. In secondo luogo avevamo la necessità di andare verso una soluzione che consentisse una maggiore flessibilità e l’adozione di una tecnologia Voip (Voice over IP) che permettesse agli operatori del call center di poter essere dislocati virtualmente un po’ ovunque, svincolati quindi da una location fisica e dalla prossimità con la centrale pubblica, laddove prima vi erano collegati via Isdn. Infine cercavamo una soluzione che consentisse di sviluppare e avviare nuove iniziative marketing in tempi rapidi e con costi più contenuti». UN PROGETTO CRITICO Con un call center che impiega circa 600 persone a rotazione su blocchi di 200, per Seat PG questo era dunque un progetto estremamente critico e di grande rilevanza aziendale nel contempo, considerato il livello di servizio da dover garantire ai propri utenti. Era fondamentale abilitare una migrazione a caldo e completamente trasparente verso l’esterno, basata su una soluzione tecnologica affidabile che consentisse anche di ottimizzare l’investimento. «Nel corso del 2010 abbiamo quindi preparato - con-

p er u lt er i o r i i n f o rm a zioni...

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publiredazionale tinua Cuneaz – una richiesta di offerta (RFP) dettagliata invitando vari vendor a partecipare alla relativa gara. La gara ha richiesto circa sei mesi di tempo, da maggio a novembre, per raggiungere l’obiettivo prefissato e la scelta alla fine è ricaduta su IFM Infomaster, una realtà made-in-Italy con un’esperienza comprovata nell’ambito della telefonia che semplificava, peraltro, anche la personalizzazione della soluzione. Quindi abbiamo preparato un proof of concept che nei primi mesi del 2011 ci ha permesso di verificare sul campo l’affidabilità della tecnologia selezionata, per poi partire con la migrazione dei sistemi, conclusasi a inizio settembre 2011». L’iniziativa, considerata la particolarità del servizio, poneva al centro tematiche distinte dalle classiche installazioni in ambito CTI (Computer Telephony Integration) private, con Seat PG che opera di fatto al pari di un qualsiasi operatore telefonico pubblico con relativa licenza e con in gioco anche un interfacciamento importante a livello di database per la fornitura di informazioni. «Per l’erogazione di questi servizi usiamo di fatto una piattaforma personalizzata di ricerca, con la realizzazione di un’interfaccia verso IFM Infomaster attraverso la quale vengono fornite quindi le informazioni necessarie», spiega Davide Barnava, Senior Network & TLC Engineer. La parte di telefonia pubblica è stata seguita dal partner tecnologico Teles, mentre a valle è presente la tecnologia IFM Infomaster con la combinazione di tecnologie Lighthouse e PhonesEnterprise. Si tratta di una struttura alquanto avanzata perché prevede features di pre-routing con la presenza di server che si occupano di una gestione a monte per l’instradamento delle chiamate. Un elemento molto innovativo e differenziante se si considera che, nell’ambito del servizio 89.24.24 e 12.40, esistono ‘club’ dedicati ai clienti fedeli per cui, in base al proprio numero, il chiamante che ha aderito al ‘club’ viene riconosciuto e assegnato a un preciso operatore del call center che lo ‘accoglie’ personalmente fornendo un servizio di fascia alta che dà ulteriore valore. «Siamo molto soddisfatti della partnership con IFM Infomaster - afferma Roberta Politano, Responsabile Area Progetti, Architetture e Sicurezza Tecnologica non solo in termini di attenzione alle nostre esigenze a 360 gradi ma anche in termini di gestione del progetto e di scadenze rispettate, riuscendo a effettuare lo switch del servizio senza ripercussioni verso la clientela. La difficoltà risiedeva - continua Politano - sostanzialmente nell’integrazione con i sistemi preesistenti e nell’elevato numero di attori coinvolti. Si trattava di un progetto molto corposo e complesso ma che, grazie a IFM Infomaster, siamo stati in grado di portare a termine, superando di volta in volta le criticità che si sono presentate, forti anche dell’autonomia di personalizzazione che le tecnologie IFM

ci hanno consentito. La collaborazione con l’azienda genovese è stata così proficua che è proseguita anche quest’anno con la realizzazione della soluzione di Disaster Recovery, testata e collaudata ad aprile. Oggi questa soluzione si è rivelata per noi di vitale importanza, perché ci consente di dirottare il servizio su un sito secondario in caso di problemi o malfunzionamenti». VERSO IL FUTURO Un ulteriore passo che Seat PG prevede di compiere è quello del passaggio totale alla tecnologia VoIP, sfruttando le nuove modalità di interconnessione offerte dagli operatori pubblici, per arrivare quindi a una certificazione: «Questo ci porterà - sottolinea Cuneaz - degli ulteriori vantaggi in termini di flessibilità abbassando contemporaneamente i costi di telefonia. In più stiamo valutando di far evolvere la piattaforma nata per iniziative a valore anche per l’erogazione di altri servizi, ad esempio per ospitare numeri verdi di tipologia enterprise piuttosto che servizi di outbound per attività di televendita». In particolare è in fase di valutazione una soluzione di IFM Infomaster per servizi outbound Predictive. «Si parla infatti della possibilità di fornire in centrale liste di utenti da contattare con verifica diretta della risposta per poi trasferirli all’operatore designato, aumentando di conseguenza l’efficienza del call center. Fra i progetti futuri sono in studio iniziative nell’ambito del mondo mobile». Tirando le somme, Seat PG ritiene che grazie a questa migrazione siano stati ottenuti una serie di vantaggi, a partire da quelli di gestione della piattaforma ed efficienza: «Interessante è poi la possibilità di configurazione diretta di nuovi servizi e di avere un Billing che ci permette di gestire la fatturazione in modo più semplice rispetto al passato. Dal canto suo IFM Infomaster ci offre un supporto 24 ore al giorno con l’instaurazione anche di una stretta collaborazione tra le rispettive aree tecniche. Affidabilità, competenza, totale controllo del ciclo tecnologico sono alcune delle motivazioni, insieme all’italianità dell’azienda che ci è stata vicina in ogni fase dell’attività - conclude Cuneaz - che ci hanno portato a credere nella partnership di valore con IFM Infomaster». | 41 |


Speciale “Cloud”

In viaggio verso il Cloud: le sfide per i CIO La virtualizzazione del Data Center è il punto di partenza del percorso di adozione del Cloud nella maggior parte delle imprese, ma per cogliere i benefici è necessaria una strategia di medio periodo, che porti a ripensare l’intero Sistema Informativo aziendale e le sue modalità di gestione. Un percorso che vede in Italia le grandi aziende molto più avanti delle PMI, e il Private Cloud molto più diffuso di quello pubblico

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L’organizzazione e le competenze delle direzioni ICT sono oggi messe a dura prova dalle spinte derivanti dalle tecnologie e dal business. Mentre l’evoluzione delle tecnologie propone soluzioni radicalmente nuove per lo sviluppo e la gestione dei sistemi informatici, le richieste da parte del business e degli utenti interni si fanno sempre più pressanti e pretendono risposte agili, veloci e poco costose, come il nuovo paradigma dell’informatica consumer promette. In molti vedono nel Cloud la grande opportunità per far fronte alla convergenza di queste esigenze, grazie alle sue caratteristiche fondamentali di scalabilità elastica, fruizione self-service on demand, misurabilità, condivisione delle risorse, ubiquità d’accesso tramite la rete.

La Roadmap di adozione

Ma un utilizzo tattico o non governato di risorse informatiche as a service rischia di restare alla superfice delle esigenze informatiche o, peggio, di compromettere coerenza, sicurezza e prestazioni del sistema informativo.

L’insieme di questi tre principi fondanti consente di andare verso un quarto principio distintivo che caratterizza il Cloud rendendolo un nuovo paradigma dell’ICT, la “servitizzazione”, ossia il passaggio da una logica di prodotto e progetto, ad una di fruizione di servizi flessi-

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Per poter cogliere davvero questa opportunità occorre verificare che il percorso verso il Cloud sia inquadrato nell’ambito di una strategia di medio periodo che porti a ripensare l’intero Sistema Informativo aziendale e le sue modalità di gestione. Principi fondanti in questi percorsi evolutivi verso il Cloud sono: • la virtualizzazione, ovvero la separazione fra le componenti logiche e quelle fisiche, • la standardizzazione di tecnologie e approcci, • la rete come piattaforma attraverso la quale fruire di risorse il più possibile flessibili e condivise.


Speciale “Cloud” bili e misurabili che schermano al cliente la complessità tecnologica sottostante, spostandola in una “nuvola” gestita da operatori specializzati interni o esterni all’organizzazione. Per provare a tracciare un percorso possibile di adozione di soluzioni, la survey condotta nel 2012 dall’Osservatorio Cloud & ICT as a Service della School of Management del Politecnico di Milano ha chiesto ai CIO coinvolti nella Ricerca quale fosse il primo passo attuato dalla loro impresa nell’adozione del Cloud. I dati raccolti hanno confermato come la virtualizzazione del Data Center sia il primo step evolutivo per due terzi delle imprese (63%). La parte rimanente degli intervistati ha approcciato il Cloud in modo diametralmente opposto, ovvero sperimentando dalla Nuvola pubblica servizi applicativi – SaaS (29%) o infrastrutturali – IaaS (8%). Il Data Center al cuore della strategia «Il Data Center rimane un pilastro fondamentale in qualsiasi strategia IT, una delle poche aree in cui gli investimenti durante la crisi economica non sono calati, però i potenziamenti degli ultimi anni hanno anche aumentato complessità di gestione, consumi d’energia e inefficienze, e comunque non basteranno a soddisfare la richiesta del business nei prossimi anni», spiega Stefano Mainetti, co-direttore scientifico dell’Osservatorio . «Molti Data Center sono cresciuti in modo disordinato: per cercare flessibilità si è investito in nuova capacità senza ottimizzare e integrare, e anche la virtualizzazione, pur portando molti benefici, introduce altra complessità - spiega Mainetti -. Il risultato è che oggi oltre la metà dei CIO riscontra problemi di spazio fisico (in Italia molti Data Center sono in rifacimento proprio per questo), oltre il 50% non può ospitare nuovi impianti ad alta densità per limiti della rete dati, dell’alimentazione elettrica, del condizionamento, e oltre il 75% prevede di avere problemi di storage entro due anni».

PMI e grandi imprese, due velocità Tutto ciò oltretutto va risolto in un quadro di crescenti richieste del business: riduzione del time-to-market, agilità nell’attivare nuove soluzioni, e così via. Qual è la via d’uscita? Certamente l’evoluzione delle infrastrutture, con il Cloud Computing come punto di arrivo. Serve però un piano strategico pluriennale, basato su driver come pianificazione della capacità, allocazione dinamica delle risorse, compliance, ecosostenibilità. Mainetti ha quindi anticipato alcuni responsi dell’edizione 2013 dell’Osservatorio Cloud, che sarà presentata in giugno. «Il primo dato è sul budget IT: non c’è la contrazione di cui tutti parlano, nel 38% delle aziende medio-grandi è in crescita, in un altro 38% è stabile e nel 24% è in calo». Le maggiori spinte a investire vengono dall’infrastruttura obsoleta, dalla frammentazione dei dati e dall’inadeguatezza delle competenze: la virtualizzazione si può considerare acquisita, e ora interessa generare flessibilità e ridurre i costi di gestione dei server e in generale il TCO, in un quadro in cui comunque 4 aziende su 5 gestiscono il data center all’interno, per controllare un asset molto critico, ma solo in un caso su quattro la governance è ispirata a standard come ITIL o Cobit». Quanto alla reale diffusione del Cloud, l’Osservatorio riscontra un fenomeno a due velocità: «Il 92% delle grandi imprese ha iniziative attive, previste o in sperimentazione, sia di Private Cloud che di Public. Nelle PMI invece la diffusione è di poco più del 20%: c’è molta più consapevolezza e ‘positività’ rispetto a un anno fa, ma comunque 6 PMI su 10 dicono di non essere interessate al Cloud». Il Data Center quindi, conclude Mainetti, sta evolvendo con due percorsi alternativi: virtualizzazione, razionalizzazione, automazione e private Cloud da una parte; e IaaS/Public Cloud dall’altra. «Il primo è in fase molto più avanzata, e il punto critico diventa la gestione dei server virtuali, che richiede tecniche e strumenti diversi rispetto alle macchine fisiche, oltre a un ventaglio di skill e a modelli di direzione ben diversi per l’IT».

i benefici del cloud 57%

Maggiore scalabilità del servizio Riduzione della complessità gestionale dei Data Center/dei sistemi applicativi Minori investimenti richiesti a parità di soluzione da implementare Maggiore flessibilità e tempestività nel reagire alle richieste delle Line of Business Maggiore continuità di servizio, sicurezza e affidabilità dei sistemi Maggiore misurabilità e controllabilità dei costi (“Pay only what you use”)

55% 53%

Fonte: Politecnico di Milano

41% 37% 37% 35%

Funzionalità costantemente aggiornate 0%

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50%

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Speciale “Cloud”

Cloud e HR, massima flessibilità: ogni area ha la sua soluzione

L’odierno contesto economico pone le aziende di fronte a molte sfide per sopravvivere e ritrovare competitività. Alle Direzioni HR viene chiesto di essere parte integrante di quest’evoluzione, ottimizzando risorse e processi anche attraverso nuovi approcci all’innovazione digitale. Perciò è importante utilizzare un’infrastruttura tecnologica che consenta flessibilità, integrazione di processi e gestione delle risorse. E il Cloud oggi, spiega Nicola Uva, Business Development Director di ADP Italia, è un’opportunità straordinaria in questo senso. livelli di servizio regolabili «La proposta ADP di Cloud permette al cliente di scegliere all’interno della ‘nuvola’ un mix di servizi e soluzioni in modo molto flessibile senza dover adottare un modello unico». Fino a qualche tempo fa, continua Uva, quando si decideva di esternalizzare si sceglieva un livello di servizio, dopodiché tutte le funzionalità dovevano essere dello stesso livello. «Per esempio se avevo la gestione delle paghe in full outsourcing e sceglievo di esternalizzare anche la gestione delle presenze, anche questa doveva essere in full outsourcing». Il cloud invece ha introdotto una flessibilità enorme poiché si può scegliere la modalità preferita per ogni singola area di processo in funzione del presidio che si vuole mantenere all’interno: «Per esempio posso esternalizzare completamente la gestione delle paghe (full outsourcing), e richiedere invece un software-asa-service per i processi di selezione, formazione e valutazione del personale, mantenendo un presidio interno su questi processi tramite la piattaforma Cloud, mentre

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Si può per esempio esternalizzare completamente la gestione delle paghe e richiedere invece un software-as-a-service per i processi di selezione e valutazione del personale, spiega Nicola Uva di ADP: «L’integrazione tra i due sistemi è garantita da noi»

Nicola Uva Business Development Director di ADP Italia

l’integrazione tra i due sistemi è garantita da ADP». Si tratta di una grande forma di flessibilità, evidenzia Uva, «perché l’azienda può regolare i livelli di servizio in funzione del suo grado di maturità, di quanto è importante presidiare quel processo, in modo diverso per varie aree aziendali, e cambiare nel tempo». Un personal cloud anche per le aziende Ogni azienda può accedere al Cloud di ADP attraverso un portale, ADP HR Portal, e l’accesso alle varie funzioni è quindi tarato in modo personalizzato a seconda del livello di servizio che l’azienda ha sulle varie funzioni. L’offerta Cloud di ADP prevede inoltre anche la modalità personal Cloud. «Abbiamo previsto una dimensione cloud non solo per l’azienda, ma anche per i dipendenti, che così attraverso il portale possono salvare informazioni e documenti in Cloud e accedervi anche via mobile». Questo approccio, conclude Uva, dà al Dipartimento HR la massima flessibilità «poiché può sganciarsi dall’IT mantenendo comunque un eccellente livello delle informazioni richieste dall’azienda e, al contempo, può disporre di grande flessibilità sia dal punto di vista del pagamento (modalità Pay as you Go), sia per l’uso che del servizio viene fatto, con grande facilità di scambio di dati tra i sistemi delle diverse aree».


Speciale “Cloud”

l’IT Service Management va in cloud

In uno scenario di budget ICT sotto pressione ormai da anni, le piattaforme di IT Service Management hanno un ruolo sempre più critico nelle aziende, ma spesso hanno deluso le attese in termini di valore ottenuto rispetto alla complessità e ai costi. Questo succede anche nei casi in cui da soluzioni proprietarie si è passati a prodotti di mercato, perché comunque l’approccio tradizionale al Service Desk richiede sviluppi di codice per adattare il software alle specifiche esigenze dell’azienda, con lunghi e complessi cicli di sviluppo e upgrade. In questo scenario, CA Nimsoft Service Desk si propone come soluzione per ottimizzare la distribuzione dei servizi IT eliminando complessità, costi e necessità di sviluppi legati alle piattaforme legacy di Service Desk. Si tratta di una soluzione software-as-a-service semplice da configurare e adattare dinamicamente alle esigenze della singola organizzazione, e veloce da implementare. Facendo parte della famiglia di soluzioni di IT management-as-a-service CA Nimsoft, capitalizza le informazioni raccolte da CA Nimsoft Monitor, velocizzando l’individuazione e l’escalation di criticità e problemi, e permettendo al team IT di migliorare i livelli di servizio. CA Nimsoft Service Desk comprende tutte le funzioni di service management necessarie a un team IT (vedi riquadro). Offre workflow adattabili e facilmente configurabili senza dover scrivere codice, nonché una user interface estremamente snella e action-driven. Con CA Nimsoft Service Desk è possibile migliorare una serie di variabili e indicatori fondamentali tra cui: Agilità del business. La modalità SaaS elimina la necessità di configurare hardware e installare software, e

CA Nimsoft Service Desk è una soluzione di software-as-a-service che permette di ottimizzare la distribuzione dei servizi IT eliminando complessità, costi e necessità di sviluppi legati alle piattaforme legacy

dà la possibilità di scalare la capacità in modo immediato ogni volta che se ne presenta la necessità. Operazioni interne. Sviluppato in conformità dei principi ITIL, CA Nimsoft Service Desk comprende nove processi certificati PinkVERIFY, garantendo la possibilità di ottimizzare qualità ed efficienza operativa. Livelli di servizio. CA Nimsoft Service Desk permette di guadagnare efficienza e ottenere la visibilità necessaria per erogare servizi più efficaci, appropriati e affidabili.

I moduli di CA Nimsoft Service Desk • Incident management. Individua, categorizza e traccia gli incidenti. • Problem management. Individua le cause di problemi ricorrenti, e implementa le azioni correttive per risolverli. • Change management. Basato sulle best practice ITIL per la valutazione, pianificazione, test e implementazione dei cambiamenti. • Configuration management. Basato su un configuration management database (CMDB) conforme a ITIL v3. • Service level management. Traccia in tempo reale il rispetto degli SLA grazie a dashboard e report integrati. • Knowledge management. Una base di conoscenza per mettere a fattor comune l’esperienza di IT Service Management di tutta l’organizzazione. • Service catalog e Request management. Un portale che permette agli end user di risolvere autonomamente i problemi o sottoporli all’interlocutore più adeguato.

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Speciale “Cloud”

Dimension Data, la Cloud Computing Consultant Company

Il Cloud Computing ha messo a disposizione delle aziende un paradigma totalmente innovativo per l’accesso e l’uso della tecnologia. Non più acquisto di prodotti integrati e manutenuti, ma accesso a un servizio gestito e modulabile. Ma il passaggio da una strategia tradizionale a un modello Cloud nasconde complessità che, se non gestite correttamente, possono trasformare una grande opportunità in un problema di business. La complessità tecnologica porta sempre più le aziende a scegliere un partner in grado di rispondere alle loro esigenze presenti e future e non più solo a individuare una tecnologia da integrare nella propria infrastruttura. Il compito del system integrator sta proprio nell’interpretare e assimilare queste esigenze. «La trasformazione verso l’as-a-service è un vero processo che deve considerare molti fattori organizzativi, tecnologici e di business. Non esiste il concetto di migrazione standard di una infrastruttura tecnologica aziendale verso un servizio Cloud pacchettizzato», sottolinea Roberto Del Corno, Managing Director di Dimension Data per Italia e Spagna. Dato che il processo evolutivo verso il Cloud coinvolge l’infrastruttura, i processi e l’organizzazione aziendale, il fornitore deve poter offrire un supporto consulenziale capace di predisporre il percorso migliore per rimodulare l’organizzazione in funzione dell’evoluzione del business, e quindi dell’infrastruttura. Diventa così vitale un’azione strutturata a supporto della definizione di obiettivi, processi, cambiamenti organizzativi, nonché delle scelte importanti sui tipi di servizi Cloud (private, public, hybrid) da implementare, dei carichi

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Il 2012 ha segnato una svolta per l’azienda: la creazione della Business Unit Cloud ha trasformato il posizionamento di mercato. Non più solo system integrator, ma anche fornitore di un prodotto proprio grazie a un’offerta completa di Enterprise Cloud privato, pubblico e ibrido

Roberto Del Corno Managing Director di Dimension Data per Italia e Spagna

di lavoro applicativi da trasformare in as-a-service, e dell’identificazione di nuove applicazioni Cloud-ready. Il 2012 ha segnato una svolta per Dimension Data: la creazione della Business Unit Cloud, risultato di ingenti investimenti sia organici che in termini di acquisizioni, ha trasformato il posizionamento di mercato dell’azienda. Non più solo system integrator, ma anche vero e proprio fornitore di un prodotto proprio grazie a una offerta completa di Enterprise Cloud Computing privato, pubblico e ibrido e per livelli crescenti di terziarizzazione della gestione dell’IT (IaaS, PaaS e SaaS). «È l’unione di queste due anime a fornire ai nostri clienti la qualità di consulenza di cui necessitano: la profonda conoscenza tecnologica sviluppata per decenni in ogni area della system integration è messa al servizio dei clienti per una migrazione al Cloud costruito attorno alle proprie esigenze e non venduto come prodotto “off the shelf”», specifica il manager. Quando un’azienda decide di valutare una migrazione della propria infrastruttura - data center, networking, voce o video - a un servizio cloud, può contare sull’esperienza di chi conosce l’infrastruttura, è in grado di interpretare le necessità di business e può definire il percorso di trasformazione nei modi e tempi opportuni, fino a personalizzare la soluzione secondo le specifiche esigenze.


Sfrutta tutte le potenzialità del tuo Data Center. Il software StruxureWare for Data Centers consente di abbattere le spese energetiche e i costi di esercizio per l'infrastruttura fisica e le apparecchiature informatiche. Le informazioni giuste al momento giusto Con la suite software Schneider Electric StruxureWare™ for Data Centers è molto semplice ottenere le informazioni giuste al momento giusto, per poter decidere in maniera consapevole in merito all'ottimizzazione delle risorse, alla gestione dell'energia e all'efficienza operativa.

Visibilità del Data Center = flessibilità operativa Il nostro software DCIM (Data Center Infrastructure Management) garantisce una visibilità totale di tutti i processi IT, dall'infrastruttura fisica fino ai server. Il risultato? Risparmio sulle spese in Capex e Opex, grazie al miglioramento della pianificazione e dell'operatività, riducendo al minimo i tempi di fermo e limitando al massimo l'uso delle risorse energetiche. Con i nostri servizi software, inoltre, è possibile ottimizzare il rendimento in tutto il ciclo di vita del Data Center.

Un software concepito per ottimizzare l'operatività: > Ottenere dati in tempo reale sulle risorse e sulla capacità del Data Center, per poter decidere in maniera consapevole. > Sfruttare al massimo le capacità del Data Center e diminuire sensibilmente le spese in Capex e Opex. > Migliorare l'efficienza energetica, abbattendo in tal modo i costi energetici legati all'infrastruttura fisica e alle apparecchiature informatiche. > Disporre in tempo reale di dati analitici e report di rendimento.

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Per eliminare gli sprechi occorre identificarli Con la nostra suite software StruxureWare for Data Centers è possibile monitorare l'uso aziendale dell'energia e identificare gli sprechi in tutto il Data Center, dalle infrastrutture fino ai singoli ambienti informatici. Questa panoramica approfondita consente di risparmiare energia e di migliorare la sostenibilità aziendale e ambientale. Con la disponibilità di informazioni complete, il Data Center diventa una risorsa strategica per l'impresa.

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Business-wise, Future-driven.™

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Qual è l'attuale profilo di rischio del Data Center?

10-20% 13%

È possibile tagliare i costi dell'infrastruttura fisica del Data Center?

Come tagliare i costi di esercizio legati ai processi operativi? L'integrazione del Data Center e del software Schneider Electric garantisce in tutto il ciclo di vita un risparmio fino al 13%.

I vantaggi del software DCIM (Data Center Infrastructure Management Software) per migliorare la pianificazione e tagliare le spese di esercizio

> Riepilogo

White paper tecnico.

Sommario

Il miglioramento della gestione dell'energia e delle risorse in 10 anni consente di risparmiare fino al 30% dei costi dell'infrastruttura fisica del Data Center.

Come distribuire con maggiore precisione le spese di esercizio del Data Center?

Come far fronte rapidamente alle esigenze operative più impellenti? Ridurre la capacità di raffreddamento e di alimentazione di riserva del 50-60% e ottimizzare le risorse con l'assunzione di decisioni consapevoli.

L'integrazione dei nostri Data Center end-to-end con il software garantisce un risparmio iniziale delle spese di esercizio compreso tra il 10 e il 20%.

Il software StruxureWare for Data Centers garantisce una totale visibilità delle infrastrutture e delle apparecchiature informatiche, in modo da poter intervenire rapidamente per eliminare i rischi, aumentando la visibilità e i tempi di operatività.

I prodotti, le soluzioni e i servizi APC by Schneider Electric fanno parte del portafoglio informatico Schneider Electric.

Migliorate la pianificazione e tagliate le spese di esercizio applicando i principi del DCIM!

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©2013 Schneider Electric. All Rights Reserved. All trademarks are owned by Schneider Electric Industries SAS or its affiliated companies. www.schneider-electric.com • 998-1172481_IT_D


Speciale “Cloud”

PMI, andiamo. È tempo di migrare (al cloud computing)

Il Cloud non è uno sconvolgimento. I servizi Cloud possono tranquillamente convivere con le infrastrutture esistenti ed eventualmente affiancarle, nella prospettiva di una progressiva sostituzione. Non è il Cloud che si deve adattare alle organizzazioni a tutti i costi, ma, viceversa, saranno le aziende a sfruttarne sempre di più le opportunità. Il Cloud ormai è sicuro. Almeno per due motivi. Primo: la sicurezza di un’infrastruttura Cloud è oggetto di costante monitoraggio, a beneficio di tutti gli utenti che vi risiedono, non solo di alcuni. Secondo: la sicurezza delle infrastrutture Cloud è trattata da specialisti Cloud; è pertanto più probabile un livello di servizio più elevato di quello garantito da un tecnico informatico non specializzato. Ora un’offerta esiste. Adesso esistono numerose proposte, anche italiane, con un grande vantaggio sostanziale - e poco noto - per chi le sottoscrive: poter beneficiare della maggiore tutela sulla privacy e sul trattamento dei dati richiesta ai provider italiani dalle Direttive Europee. Certo, da parte delle PMI, si pone il problema di come scegliere tra proposte spesso difficilmente comparabili. Ecco tre criteri. tre criteri per scegliere un fornitore Il vero Cloud è a consumo, non a canone e non prepagato. La tecnologia già consente questi conteggi e questi modelli di fatturazione, che risparmiano alle imprese inutili spese up-front.

Migrare al cloud non deve più intimorire. Per gestire dati e applicazioni aziendali in remoto, ora è possibile scegliere un provider affidabile. Meglio se italiano e se ha una rete proprietaria. Vediamo perché, chiarendo dunque una serie di dubbi e tratteggiando alcune linee guida.

Il vero Cloud è distribuito: è sempre preferibile un’offerta fondata su un’infrastruttura dotata di più datacenter, attraverso i quali garantire la replica di dati e applicazioni in tempo reale, senza soluzione di continuità. Il vero Cloud si basa su una rete forte: perché la posta, i siti e i software possano funzionare bene, nel Cloud, è auspicabile che siano erogati da provider anche equipaggiati di reti proprietarie senza strozzature o limitazioni di banda. cloud server e storage In questa prospettiva, Enter - Internet Service Provider italiano attivo dal 1996 - ha già lanciato due soluzioni. Cloudup è il primo servizio italiano di cloud server pubblico, a consumo. Selfserver è uno store di virtual server preconfigurati. Entrambi sono basati su Openstack, la piattaforma aperta di Cloud computing già sviluppata dalla Nasa. Prevista inoltre per l’estate la versione beta di Cloud Suite, un nuovo servizio di Cloud infrastrutturale, con API aperte. In ambito computing, integrerà funzionalità di ridimensionamento automatico e distribuzione dei carichi tra server, ma soprattutto renderà disponibili interfacce con cui sarà agevole gestire in modo integrato intere server farm. La linea di storage, invece, renderà accessibile uno spazio cloud illimitato per l’archiviazione, anche temporanea, di grandi quantità dati, collegabile ad applicativi di terze parti sempre più diffusi.

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Speciale “Cloud”

i vantaggi della sicurezza come servizio

Con l’esplosione di malware Internet e del crimine online, che prevede anche attacchi finalizzati alle aziende, la sicurezza IT è un fattore fondamentale per la competitività aziendale. «La gestione di sistemi di protezione che funzionano senza problemi richiede un elevato livello di competenza - spiega Michele Caldara, Sales Manager, Channel Business di F-Secure - una sfida ardua, soprattutto per le aziende che dispongono di personale e budget per IT limitati». L’esponenziale aumento dei malware non accenna a calare, dimostrando come la criminalità si rinnovi continuamente, ne consegue che utilizzando una protezione antivirus di bassa qualità, le aziende rischiano di accumulare una quantità enorme di malware, in quanto non sono in grado di contrastare i malware più sofisticati e neppure di ottenere risultati soddisfacenti contro le minacce più comuni. Il risultato è che F-Secure ogni giorno riceve circa 50mila esemplari di virus e spyware che potenzialmente potrebbero essere causa di attacchi. Strumenti proattivi di gestione In soccorso a queste necessità, la sicurezza proposta come servizio (“As a Service”) è di fondamentale aiuto per le aziende. F-Secure è un pioniere nell’offrire alle aziende la sicurezza come servizio e i suoi prodotti sono apprezzati e considerati affidabili da milioni di utenti in tutto il mondo. Nel modello della sicurezza come servizio le aziende acquistano un abbonamento: diventa facile trasferire le licenze da un computer a un altro e i PC risultano sempre protetti dall’ultima

Protezione efficace e sempre allo stato dell’arte su tutti i pc, i server e i dispositivi mobile, con la gestione automatica delle patch e degli aggiornamenti, semplicemente pagando un canone. da F-secure Una proposta ideale per le piccole e medie imprese

Michele Caldara Sales Manager Channel Business F-Secure

versione del software. «La nostra principale soluzione PSB (Protection Service for Business), è erogata in SaaS, è completa e progettata per le esigenze delle piccole e medie imprese. Garantisce una protezione in tempo reale per laptop, PC desktop, server e dispositivi mobile», specifica il manager. Tra le funzionalità incluse nella soluzione, sono presenti antivirus, antispyware, firewall, rilevamento rootkit, controllo spam e la protezione rapida dalle minacce sconosciute grazie all’ultima tecnologia cloud computing di F-Secure. «Abbiamo inoltre aggiunto recentemente alla nostra soluzione F-Secure Protection Service for Business la funzionalità Software Updater: uno strumento proattivo di gestione delle patch e degli aggiornamenti. Gestire l’aggiornamento dei software presenti in azienda può essere un lavoro immenso e dispendioso ed è per questo motivo che molte volte è un’attività trascurata. Software Updater di F-Secure semplifica tutto questo», aggiunge Caldara. Il servizio scansiona i computer per gli aggiornamenti e le patch di sicurezza mancanti e li installa automaticamente. Protection Service for Business comprende inoltre, l’esclusiva tecnologia DeepGuard di F-Secure per protegge le workstation e i server dagli attacchi zero-day e da quelli che sfruttano le vulnerabilità per cui non sono ancora state rilasciate patch.

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Speciale “Cloud”

il cloud trasforma le imprese

Il Cloud non va visto solamente come tecnologia che si concretizza in servizi digitali, accessibili in modo flessibile e a costi ridotti, ma come una modalità del tutto diversa di concepire i processi di business, che sfrutta infrastrutture e servizi digitali. Questo impone un cambio di prospettiva, dove il Cloud venga letto e interpretato dal punto di vista del fruitore dei servizi, il cui comportamento è assimilabile a quello di un vero consumatore, che può scegliere il servizio di proprio interesse, con gradi di libertà enormemente superiori rispetto al passato, sia all’interno che al di fuori delle mura aziendali, dove policy e limitazioni tecnologiche riescono difficilmente a contenere l’adozione spontanea di strumenti di produttività individuale o di piattaforme necessarie per il business. In quest’ottica diventa quindi fondamentale considerare tre chiavi di lettura, quali il servizio nel suo insieme, i processi operativi necessari all’erogazione del servizio e il ciclo di vita delle istanze e del catalogo dei servizi. Alla luce di questo nuovo scenario, l’IT è chiamato ad evolvere in termini di competenze, tecnologie e processi e a riorganizzarsi, incorporando i nuovi paradigmi e le nuove offerte in un continuum di servizi ibridi, tradizionali e Cloud, misurandosi contestualmente con una competizione esterna in termini di qualità e costo. Il CIO deve essere ora necessariamente a diretto contatto con il business, rinnovando il proprio rapporto con esso in un’ottica di partnership. Al tempo stesso deve ridisegnare i processi IT in ottica di servizio e le politiche di acquisto devono foca-

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non solo nuove tecnologie e servizi, ma un cambio di prospettiva per l’organizzazione IT. L’approccio Converged Cloud di HP consente alle aziende di sviluppare il proprio percorso Cloud in maniera bilanciata, con l’obiettivo di trarre i massimi benefici

lizzarsi sul costo e sulla qualità dell’unità di servizio a dispetto dell’unità tecnologica. Infine, anche la classica segmentazione dell’IT in layer, in domini applicativi e in processi a supporto deve essere ripensata al fine di ottimizzare la realizzazione e l’erogazione di servizi. Non intercettare e considerare i servizi erogati dal Cloud all’interno di una visione globale si tradurrebbe inevitabilmente nell’utilizzo incontrollato da parte dei consumatori, con conseguenti rischi ed inefficienze. HP può contare su un posizionamento unico, grazie al suo ruolo di pioniere in ambito di Converged Infrastructure, che l’ha vista come primo attore capace di tradurla in tecnologia immediatamente disponibile e a realizzarla in tutte le sue componenti – quali server, storage, networking, management e automation, power e cooling. HP Converged Cloud rappresenta la naturale evoluzione di questa strategia e si concretizza in tecnologie come Cloud System Matrix, Cloud System Enterprise e Cloud System SP, pensate per soddisfare diverse esigenze applicative, che – grazie all’integrazione di elementi di Converged Infrastructure e Converged Management – consentono di allineare i benefici dell’architettura a quelli di business. L’approccio di HP nasce per consentire alle aziende di sviluppare il proprio percorso Cloud in maniera bilanciata, con l’obiettivo di trarre i massimi benefici in tutte le sue fasi di esecuzione (breve, medio e lungo termine), valutando i parametri di business, tecnici, gestionali e di processo all’interno di un maturity framework.


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Microsoft Office 365, un’opportunità per piccole e grandi aziende

Il Cloud Computing si sta affermando sempre più a livello globale e, secondo un recente studio MicrosoftIDC, quasi due terzi delle aziende stanno pianificando, implementando o utilizzando il Cloud e oltre il 50% lo riconosce quale priorità. «Si tratta di una grande opportunità per le grandi aziende, a cui consente di focalizzarsi su processi core, difendendo il proprio vantaggio competitivo, e per le PMI, che possono avviare progetti IT in modo semplice e con tempi e costi accessibili», afferma Vieri Chiti, Direttore della Divisione Office di Microsoft Italia. La società è consapevole dell’importanza del Cloud e per sostenere le aziende nel loro percorso d’innovazione offre soluzioni adeguate per qualsiasi esigenza. La piattaforma Cloud Office 365 si rivela infatti adatta ad aziende di qualsiasi dimensione e settore, poiché consente di ottimizzare la produttività e la collaborazione, riducendo al contempo i costi. Per questo dal suo lancio, a metà 2011, si è attestata come una delle soluzioni a più rapida crescita nella storia di Microsoft. Riunisce Microsoft Office, Microsoft SharePoint Online, Microsoft Exchange Online e Microsoft Lync Online in un unico servizio Cloud sempre aggiornato e ora disponibile su un massimo di 5 dispositivi. È inoltre dotato di funzionalità social ottimizzate per le aziende, grazie all’integrazione di SharePoint e Yammer, e offre connettività Lync-Skype per i servizi di presenza, messaggistica istantanea e voce. Alcuni casi aziendali testimoniano il valore strategico che Office 365 può offrire ad aziende di ogni dimensione. Tra le PMI, è interessante l’esperienza di Autoservizi Mereu, azienda che opera nel settore degli autotra-

dal suo lancio a metà 2011, la piattaforma cloud che comprende Office, SharePoint Online, Exchange Online e Lync Online si e’ attestata come una delle soluzioni a più rapida crescita della storia di microsoft. i casi di autoservizi mereu e di barilla

Vieri Chiti Direttore della Divisione Office di Microsoft Italia

sporti e del turismo e ha puntato su Office 365, oltre che su Windows Azure e Windows Intune, dismettendo i server dedicati alla gestione di e-mail, applicazioni collaborative, di comunicazione e di produttività. In brevissimo tempo gli utenti hanno ottenuto un pacchetto completo di servizi di messaging e collaborazione, strettamente integrato con gli strumenti di Office 365 e accessibile da qualsiasi tipo di client Mobile o desktop. Office 365 ha soddisfatto le esigenze degli utenti e in generale l’uso di applicazioni Cloud ha determinato un risparmio sui costi per hardware, licenze e gestione dei sistemi dell’80%. Tra le grandi aziende, un caso di successo è Barilla, tra i primi gruppi alimentari italiani, che ha deciso di far leva sulla piattaforma di produttività Cloud di Microsoft in linea con l’esigenza di cambiare il modo di comunicare e interagire di tutti i dipendenti a livello mondiale. Con Office 365 gli utenti Barilla possono usufruire di tutti i nuovi servizi di comunicazione e collaborazione e condividere documenti e progetti su qualsiasi piattaforma. La suite permette a Barilla di gestire in modo efficace e snello l’interazione strutturata tra dipendenti che si trovano nelle filiali, negli stabilimenti produttivi, o in viaggio, consentendo nel contempo alla Direzione Sistemi Informativi di concentrarsi sempre più sull’innovazione dei processi.

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PosteCloud, i servizi as a service di poste Italiane

Piccole e medie imprese, professionisti e Pubbliche Amministrazioni locali hanno oggi un’opportunità in più per diventare più efficaci ed efficienti grazie all’innovazione digitale: è PosteCloud, l’offerta di servizi di Cloud Computing di Poste Italiane. L’offerta si inserisce nella strategia evolutiva di Poste Italiane da operatore “tradizionale” postale ad azienda di erogazione di servizi ad alto valore aggiunto. Una trasformazione avvenuta anche grazie al contributo di Postecom, la costola digitale del Gruppo, che dal 2012 ha la responsabilità del marketing digitale: canale online, comunicazioni elettroniche, eCommerce, Cloud e eGovernment. L’offerta di servizi Cloud poggia su un nuovo Data Center di ultimissima generazione, progettato rispettando i più stringenti standard di sicurezza fisica e logica (Tier IV). È pensato per rispondere alle esigenze interne di innovazione, ma dispone di spazi disponibili per l’apertura verso il mercato esterno. Particolare attenzione è stata data agli aspetti di sicurezza, privacy ed affidabilità, che sono fondamentali per garantire ai clienti la tutela, la protezione e la disponibilità dei dati: tutti i servizi sono forniti con garanzia di Back-up e Business Continuity, con la definizione a contratto di chiari livelli di servizio (SLA). Inoltre, l’offerta è stata sviluppata in aderenza alle raccomandazioni normative, in particolare alle linee emanate da DigitPA e dal Garante della privacy. L’offerta di servizi L’offerta PosteCloud si rivolge in particolare a PMI e PA Locali che hanno l’esigenza di semplificare le soluzioni, ridurre i costi e trasformare i processi.

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infrastrutture in cloud, gestione documentale, comunicazione e collaborazione: la società ha messo a punto una nuova offerta, dedicata in particolare alle PMI e alla PA locale, che poggia su un data center di recente realizzazione

I servizi si declinano su tre tipologie: • Virtualizza: l’offerta IaaS (Infrastructure as a Service) che permette di utilizzare i server e le capacità di memoria di Poste Italiane riducendo i costi infrastrutturali IT, ottimizzando le risorse ed accedendo alle migliori e più aggiornate tecnologie senza necessità in investimenti iniziali. • Digitalizza: l’offerta comprende i servizi di gestione documentale ed estende anche alle medie e piccole realtà la possibilità di digitalizzare i documenti cartacei (fatture, libri contabili, contratti, ecc.), mantenendone inalterato il valore legale e riducendo i costi di gestione. • Comunica e Collabora: l’offerta nata dalla partnership tra il Gruppo Poste Italiane e Microsoft per la distribuzione di Office 365 (offerta Cloud di Microsoft integrata nativamente con i Servizi di Poste Italiane). Per la prima volta sul mercato italiano, professionisti e imprese possono utilizzare i servizi Cloud di Poste Italiane (PEC, Firma Digitale, Conservazione Sostitutiva) integrati con Office 365 (tutte le applicazioni di Microsoft Office sempre aggiornate, Posta elettronica professionale, Servizi di audio/video conferenza in HD in una logica di alta usabilità e semplicità). supporto e formazione Sul portale Postecloud i clienti possono trovare tutte le informazioni utili a comprendere i vantaggi del Cloud e le risposte ai dubbi più comuni. Per la forza commerciale, che comprende quasi 2.000 venditori di cui oltre 1.600 già a contatto con le PMI e la PA Locale, sono stati invece predisposti corsi di formazione ad hoc.


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Professionisti e clienti, la collaborazione è più efficiente

Efficienza, mobilità, cloud, riduzione dei costi e degli errori, paperless, valore aggiunto. Sono queste le nuove parole chiave che descrivono la relazione tra studio professionale e cliente, e che hanno guidato Wolters Kluwer Italia nello sviluppo di Webdesk, un portale di comunicazione e collaborazione tra lo studio - di commercialisti o consulenti del lavoro - e i propri clienti, ma anche tra una azienda e le proprie filiali. «Webdesk - afferma Fabio Giuccioli, Responsabile della comunicazione Software di Wolters Kluwer Italia coniuga Cloud e best User Experience e permette di stabilire un rapporto più efficiente, semplificando la condivisione di documenti e informazioni, la raccolta di dati (di natura fiscale, contabile e paghe) e l’erogazione di servizi a valore aggiunto. Le informazioni vengono raccolte là dove nascono attraverso interfacce essenziali, appositamente studiate per un utilizzatore “non esperto”». vantaggi concreti per gli studi I vantaggi dei questo approccio emergono con chiarezza dall’Osservatorio ICT&Commercialisti della School of Management del Politecnico di Milano: nel 64% degli studi che già adottano soluzioni web o portali collaborativi, attraverso questi strumenti sono stati ridotti sia i costi di gestione interni che i tempi di esecuzione delle attività collegate alla contabilità dei Clienti; nel 25% dei casi è migliorata, anche in termini di sicurezza e di riduzione degli errori, la registrazione dei dati e la ricerca dei documenti senza contare una riduzione della carta e dei materiali di consumo. Dal punto di vista del professionista, è un modo nuovo di utilizzare Internet che consente

Webdesk è un portale in Cloud che Wolters Kluwer Italia ha sviluppato per le esigenze di comunicazione di studi di commercialisti e consulenti del lavoro, ma anche tra un’azienda e le proprie filiali: semplifica lo scambio di informazioni e documenti e permette di arricchire l’offerta di servizi

di attivare un vero e proprio sportello operativo, a disposizione dei clienti dello studio, raggiungibile tramite browser, anche da tablet o smartphone, in ogni momento della giornata. I clienti hanno così sempre a portata di mano le informazioni specifiche su quegli aspetti normativi e operativi che è indispensabile conoscere per tempo e, naturalmente, tutte le informazioni riguardanti i loro dipendenti. Inoltre, non devono più portare o spedire la documentazione fiscale o contabile in studio. Attraverso Webdesk, infatti, le informazioni o i dati necessari a predisporre gli adempimenti contabili, fiscali e paghe potranno essere scambiati con lo studio in ogni momento e in corso d’anno, utilizzando anche specifici servizi per caricare oneri e familiari a carico, la giornaliera, la modifica dati anagrafici dipendente, il calcolo del costo del lavoro. Nel dettaglio, Webdesk, può essere configurato attivando funzionalità e servizi, quali: Data entry fiscale e paghe, Invio di comunicazioni, Condivisione documenti, Gestione della Giornaliera e, entro fine anno, il Collocamento web. Infine, tra i servizi a valore aggiunto, Webdesk offre una serie di soluzioni innovative per specifiche esigenze dei clienti, dalla simulazione sul Costo del Lavoro, per decidere su un bonus o su quale contratto applicare, alla gestione degli adempimenti Privacy, al servizio PEC Cloud, per la gestione integrata della Posta Elettronica Certificata.

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r e p or tag e di

manuela gianni

carlo vercellis

Big Data, la parola a chi li ha già analizzati

school of management politecnico di milano

L’analisi di grandi moli di dati non è una moda passeggera e neanche uno scenario futuribile: è già una leva strategica per cambiare il modo di lavorare. Un evento organizzato da ICT4Executive a Milano ha dato voce a utenti ed esperti, con Carlo Vercellis del Politecnico di Milano, Carlo Ratti dell’MIT e le testimonianze di Esselunga, Unilever ed Edipower

L’impressionante quantità di dati che viene generata ogni minuto nel mondo digitale può diventare una miniera di informazioni utili e inattese, se si ha la capacità di estrarle e di comporle nel modo giusto. Per questo, il fenomeno Big Data non va guardato come una moda passeggera, ma come una nuova opportunità che la tecnologia può offrire ad aziende private e pubbliche amministrazioni negli ambiti più disparati. Si tratta, in altre parole, di un nuovo modo per descrivere il mondo fisico da un punto di vista mai utilizzato. Le analisi consentono per esempio di individuare le frodi fiscali, di comprendere i comportamenti dei consumatori o gli spostamenti dei turisti, di gestire al meglio l’accesso ai servizi sanitari, di ottimizzare i flussi di traffico nelle città, di ascoltare le opinioni espresse sui social network, di valutare i rischi in ambito finanziario. E molto altro. Il Big Data Forum organizzato a Milano da ICT4Executive ad aprile ha fornito alla platea l’occasione per scoprire il fenomeno fotografando la realtà con esperienze | 54 |

www.ict4executive.it

già in campo, e proiettandola nel futuro con esempi di applicazioni di frontiera. Il compito di inquadrare il tema è stato affidato a Carlo Vercellis, docente del Politecnico di Milano e Responsabile dell’Osservatorio Business Intelligence. Per definire i Big Data Vercellis ha utilizzato cinque dimensioni, le 5 V: Volume (si usa ormai l’unità di misura Zettabyte, un miliardo di Terabyte), Varietà (cioè strutturati e non strutturati, come e-mail, immagini, audio e video), Velocità (di accesso e di presa delle decisioni), Variabilità e Viralità. Per comprendere il frenetico ritmo di crescita dei dei dati generati (dagli utenti, dalle connessioni machine-to-machine, dai sensori ecc…) si possono fare svariati esempi: ogni minuto nel mondo vengono caricate 48 ore di video su YouTube, spedite 204 milioni di mail, mandati 100mila tweet, scaricate 47mila App. Ci sono 6 miliardi di connessioni telefoniche e diventeranno 50 milioni in pochi anni. Una lista che potrebbe continuare a lungo.


re po rtag e | B ig Data , l a pa ro l a a c h i l i h a g ià a n a l izzati

Appare chiaro che oggi la Business Intelligence sta cambiando significato: con l’analisi di dati strutturati e destrutturati, come quelli provenienti dai Social Network, non ci limita a formulare domande che già si conoscono, ma si arriva ad anticipare i desideri del cliente e supportarlo nella scelta. Le ricerche dell’MIT Una visione di alto livello di cosa può portare l’analisi dei Big Data (o diluvio di dati, come aveva titolato The Economist in una cover story dedicata all’argomento) è stata data da Carlo Ratti, docente dell’MIT e direttore del gruppo di ricerca Senseable City Lab, che ha presentato alcuni esempi delle ricerche realizzate.

zioni molto utili per gestire un problema tanto rilevante per il futuro del Pianeta. L’infrastruttura tecnologica La visione tecnologica dell’infrastruttura necessaria per gestire i Big Data è stata fornita alla platea da Fabio Chiodini, Emc Field Senior Technologist, Enrico Proserpio, Senior Technology Director Sales Consultant di Oracle Italia, e Giorgio Moresi, BI Director & Top Client

«Le nostre città, il nostro ambiente costruito è sempre più ricco di sensori, di reti, di sistemi che ci permettono di raccogliere dati e creare un legame fra il mondo fisico e quello digitale», ha affermato Ratti. Un primo studio considera le reti cellulari, che generano una grande mole di dati che possono essere analizzati per finalità diverse. Un progetto realizzato in Inghilterra con dati British Telecom ha permesso di realizzare una mappa del Paese che utilizza come parametro proprio le connessioni telefoniche, cioè le chiamate effettuate fra due persone in luoghi diversi. L’esigenza iniziale in questo caso era di ridisegnare le mappe elettorali. Con una banca internazionale in Spagna sono state invece analizzate tutte le transazioni effettuate con carte di credito nel tempo e nei diversi negozi. Miliardi di dati che permettono di ottenere informazioni interessanti, ad esempio i bacini di attrazione, ovvero da dove arrivano le persone che comprano in un determinato punto vendita. Utilizzando, invece, i dati sui taxi di New York, che sono liberamente disponibili, Ratti ha studiato che cosa succederebbe se si potessero combinare i viaggi. Il risultato è sorprendente: basterebbe la metà delle macchine attuali per poter fornire lo stesso servizio! Un’altra analisi interessante è quella effettuata sulle foto geolocalizzate caricate su Flick dai turisti della Toscana, che ha permesso di analizzare gli spostamenti effettuati, molto differenti per esempio fra americani e italiani. Sono in corso, infine, analisi per comprendere il percorso dei rifiuti durante le fasi di smaltimento, grazie a piccoli trasmettitori opportunamente inseriti: informa-

Cinque dimensioni, le 5 V, definiscono i Big Data: Volume (si usa ormai l’unità di misura Zettabyte, un miliardo di Terabyte), Varietà (cioè strutturati e non strutturati, come e-mail, immagini, audio e video), Velocità (di accesso e di presa delle decisioni), Variabilità e Viralità www.ict4executive.it

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reportage | Big Data, l a par ol a a chi l i ha gi à a n a l izzat i

La mappa dell’Inghilterra ridisegnata in base alle interazioni umane attraverso la rete di telecomunicazioni, ovvero le telefonate fra le persone. È stata creata per verificare se i confini regionali attuali corrispondono alle aree all’interno delle quali le persone normalmente interagiscono. Fonte: Carlo Ratti, MIT

Solution Manager di Xenesys, fornendo dunque il punto di vista di due vendor e di un system integrator, tutti concordi nell’affermare che la tecnologia è oggi ampiamente disponibile, ma va scelta con cura perché, come ha spiegato Moresi, «Big Data è un obiettivo mobile, quello che è grande per un’azienda è piccolo per un’altra, non esiste una soglia definita». L’infrastruttura per i Big Data deve garantire agli utenti semplicità di accesso e di fruizione, fornendo risorse di calcolo, storage e networking scalabili e flessibili. Per permettere alle applicazioni di lavorare con migliaia di nodi e grandi volumi di dati, il software al momento più utilizzato è Hadoop, un file system open source. «Hadoop non è semplice da usare - ha affermato Chiodini -: per questo VMware sta lavorando a un tool che permette agli esperti di Business Intelligence di utilizzarlo attraverso le query in uso con i tradizionali Data Base». Il manager ha anche rivelato che RSA, società di Emc che si occupa di sicurezza, attraverso l’analisi Big Data dei tweet è riuscita di recente a sventare un attacco di anonymous».

Enrico Proserpio di Oracle ha evidenziato che «il Big Data non deve diventare un altro silos ma deve essere integrato con il resto dell’infrastruttura IT e Oracle è in grado di fornire l’intero stack software integrato». Le esperienze degli utenti Grande interesse del pubblico hanno riscosso, sul finale della mattinata, le testimonianze di importanti aziende italiane che hanno spiegato le proprie esigenze in tema di analisi strategica dei dati. Andrea Airoldi, Global Media Manager di Unilever Italy Holdings, multinazionale che produce molti brand notissimi (fra cui Svelto, Lipton, Algida e Cif, solo per citarne alcuni), ha evidenziato due ambiti di intervento. Il primo cerca di comprendere i comportamenti dei consumatori e l’impatto dei diversi Media sulle vendite, mentre il secondo ambito ha l’obiettivo di prevedere i comportamenti futuri, ad esempio attraverso l’analisi dei search sui motori di ricerca. Andrea Carbonera Giani, Responsabile Area CRM di Esselunga, la nota insegna della GDO, ha spiegato che l’azienda ha realizzato di recente un progetto che parte dall’analisi degli scontrini emessi nei punti vendita per arrivare a ottimizzare i riordini, che prima venivano fatti da un operatore specializzato sulla scorta della propria esperienza personale. Si tratta di un aspetto critico perché non ci sono magazzini nei punti vendita: per evitare che manchino prodotti negli scaffali è fondamentale un riordino puntuale. Esselunga ricorre al “Data mining” anche per offrire ai clienti promozioni personalizzate, accessibili attraverso chioschi nei punti vendita, il sito Web e le App. Il punto di vista di un’azienda industriale è stato presentato da Gianluca Fusco, CIO di Edipower, uno dei principali produttori italiani di energia elettrica (gruppo a2a). Una centrale elettrica, spiega il manager, è un immenso campo di sensori che genera una enorme quantità di dati, e la società sta ora integrando questo mondo con quello dell’IT, in real time, ottenendo grandi benefici di business: l’analisi del comportamento dell’impianto permette di effettuare la manutenzione in funzione delle reali necessità, fornire alla contabilità dati più tempestivi e attendibili e via dicendo. In sintesi, l’analisi delle informazioni sta cambiando il modo di lavorare dell’azienda, con IT e business che disegnano la rotta insieme. All’evento è intervenuto anche Marcello Albergoni, Sales Manager di LinkedIn in Italia, il social network professionale che oggi conta 200 milioni di membri nel mondo, di cui 4 in Italia, in costante crescita. L’analisi delle informazioni generate dagli utenti sui social media rappresenta infatti uno degli ambiti di maggiore interesse per i Big Data.

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re po rtag e | B ig Data , l a pa ro l a a c h i l i h a g ià a n a l izzati

Intervista a

Carlo Ratti direttore Senseable City Lab MIT

Le città e l’ambiente, una fusione fra il mondo fisico e quello digitale Viviamo in contesti sempre più ricchi di sensori, reti, sistemi che generano enormi flussi di dati che possono essere raccolti ed elaborati per molteplici scopi. Si apre un nuovo scenario, che sta modificando la nostra realtà. In meglio, secondo Carlo Ratti, ingegnere e architetto italiano che all’MIT di Boston porta avanti progetti d’avanguardia di

Le tecnologie Big Data e una moltitudine di sensori possono migliorare la nostra vita a vari livelli, mentre rendono la città più efficiente. Non è solo una teoria, ma anche quello che il MIT (Massachusetts Institute of Technology) di Boston sta sperimentando sul campo, con una serie di progetti, all’interno del suo Senseable City Lab. Lo dirige Carlo Ratti, che abbiamo intervistato a margine del convegno organizzato da ICT4Executive, dove è intervenuto come key note speaker. Ratti, quale è l’ultima novità in fatto di progetti Big Data per la città? Ci dica qualcosa di ancora poco noto… Tra pochi giorni Audi lancerà un progetto a cui ha lavorato con noi, il Road Frustration Index, in 30 città americane. Varie tecnologie raccolgono dati per vedere il livello di stress del guidatore. L’obiettivo è favorire condizioni di guida più salutari.

alessandro longo

In che modo? Abbiamo equipaggiato un’auto con Gps, con videocamere che monitorano la risposta facciale del guidatore e l’ambiente esterno; sensori Kinect (di Microsoft) per tracciare i movimenti del corpo e sensori epidermici per monitorare la sua risposta allo stress. Che cosa è emerso? Che guidare l’attività più stressante in assoluto tra quelle della vita quotidiana. Molto più che fare una presentazione al pubblico o viaggiare in aereo. Solo una cosa, nei nostri test, si è rivelata più stressante: lanciarsi con il paracadute… Insomma, quanto ci racconta sembra la premessa verso un futuro in cui Big Data ci aiuterà a migliorare la nostra vita nelle normali attività quotidiane. Ma in quali ambiti del vivere e della cittadinanza queste tecnologie faranno la differenza, soprattutto? www.ict4executive.it

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reportage | Big Data, l a par ol a a chi l i ha gi à a n a l izzat i

«Uno studio realizzato con Audi ha raccolto e analizzato dati sui guidatori, scoprendo che la guida è l’attività più stressante in assoluto tra quelle della vita quotidiana. Molto più che fare una presentazione al pubblico o viaggiare in aereo»

Direi su tutto. Sulla gestione del traffico, dell’energia, sulla raccolta dei rifiuti… Facciamo qualche altro esempio. Stiamo lavorando con la città di Boston per analizzare le reti di comunicazione, quella dei taxi, Twitter e altri canali, per vedere come la città ha reagito agli eventi drammatici della maratona di aprile. Utilizziamo dati pubblici, disponibili su social network o, nel caso dei taxi, forniti dal portale dell’amministrazione comunale. Un altro esempio: analizzando i dati di viaggio dei taxi di New York, abbiamo scoperto che sarebbe possibile fornire lo stesso servizio con la metà delle auto. Basterebbe combinare meglio i viaggi… In che cosa è innovativo il vostro lavoro? Di per sé l’analisi dei dati è cosa ben conosciuta, viene fatta con diversi algoritmi utilizzati già da molti ricercatori. L’aspetto innovativo del nostro lavoro è che siamo stati tra i primi a usare nuovi tipi di analisi in nuovi campi. Ne derivano scoperte e risultati a loro volta innovativi. E quali sono i risultati innovativi che avete ottenuto, nel caso della maratona di Boston per esempio? Il progetto di Boston è in corso e quindi non abbiamo ancora risultati. Ma un esempio è quanto fatto a Seattle, dove con 500 volontari abbiamo messo etichette intelligenti (Rfid) sui rifiuti, su un totale di tremila oggetti, per capire come funziona lo smaltimento. E abbiamo scoperto che il sistema è piuttosto inefficiente, ci sono tantissimi trasporti inutili e tragitti irrazionali. È quindi possibile risparmiare molta energia nel trasporto e rendere più efficiente la raccolta.

«Tutti i campi della vita pubblica saranno investiti da questo fenomeno. Risultato, avremo città che funzionano meglio e che rispondono meglio alle esigenze dei cittadini» | 58 |

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Vedete un trend in questo fenomeno? Dove si sta andando, nell’uso del Big Data? Difficile a dirsi. Si vedrà, per adesso bisogna concentrare le forze sull’analisi di questa grande quantità di dati che stanno venendo a galla e che sono diventati disponibili come risultato della grande digitalizzazione avvenuta degli ultimi 10-15 anni. In altre parole, dobbiamo lavorare ancora per trarre migliori insegnamenti dal fatto che abbiamo reso digitali grandi parti della nostra vita. Quali sono i nodi da superare per utilizzare al meglio i dati disponibili? I nodi che ci sono non sono tecnologici, ma sono legati alla nostra capacità di interpretare i dati. Per esempio il nostro centro di ricerca, come altri, sta lavorando su algoritmi in streaming: in grado di elaborare i dati man mano che arrivano. Per calare nel contesto italiano le innovazioni a cui lavorate, che cosa bisogna fare? Queste innovazioni stanno già arrivando in Italia, ci sono diversi progetti in corso. Ogni città ha sue esigenze e particolarità e quindi farà un uso diverso del Big Data. Ma non conosco abbastanza il contesto italiano per entrare nello specifico. Per esempio, nel mondo Singapore è l’eccellenza per l’uso di Big Data nella mobilità stradale; Copenaghen è al top per la sostenibilità energetica. In definitiva, quale futuro vede per le nostre città e per noi tutti, grazie a una crescente quantità di dati e a una migliore capacità di analizzarli? Tutti i campi della vita pubblica saranno investiti da questo fenomeno. Avremo città che funzionano meglio e rispondono meglio alle esigenze dei cittadini.


Event ICT4EXECUTIVE SUPPORTA I PROPRI CLIENTI NELL’IDEAZIONE E NELL’ORGANIZZAZIONE DI EVENTI A VALORE RIVOLTI AD UN TARGET BUSINESS SELEZIONATO

BRIDGING THE GAP

Organizzazione di diverse tipologie di evento (tavola rotonda a porte chiuse, evento open, smart meeting, webinar, ecc.) in una formula “chiavi in mano”, a supporto delle attività di lead generation.

Executive

BETWEEN TECHNOLOGY & BUSINESS

Event Event BRIDGING THE GAP

BETWEEN TECHNOLOGY & BUSINESS

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g iu l ian o . f ain i@ ic t4 ex ec u tiv e. it

EVENT

L’ESPERIENZA DIVENTA MULTICANALE Strategie e strumenti per la creazione di valore KEYNOTE SPEAKER

Prof. Giuliano Noci

Ordinario di Marketing presso il Politecnico di Milano

PARTNER

WHEN

WHERE

08 Marzo 2011 10:00 – 13:00

Spazio Chiossetto Via Chiossetto 20, Milano

DESCRIPTION

AGENDA

ICT4Event, in collaborazione con Oracle, è lieta di invitarla alla tavola rotonda “L’esperienza diventa multicanale: strategie e strumenti per la creazione di valore” che si rivolge ad un numero selezionato di Responsabili Marketing delle maggiori imprese italiane. La tavola rotonda, presieduta dal Prof. Giuliano Noci della School of Management del Politecnico di Milano, si focalizzerà sui temi del Customer Experience Management e della Multicanalità, la cui valenza strategica si sta sempre più affermando all’interno di qualsiasi impresa, grazie all’evoluzione delle esigenze dei clienti, alla diffusione sempre maggiore di dispositivi mobili Smartphone, Tablet PC, Pad, ecc. - e alla possibilità per l’impresa di sfruttare soluzioni basate sui paradigmi del Web 2.0, che consentono una partecipazione attiva dei propri clienti nel processo di co-creazione del valore.

PER MAGGIORI INFORMAZIONI

GIULIANO NOCI è ordinario di Marketing presso il Politecnico di Milano. Dal 2007, è opinionista del TG1, TG2, SkyTg24 e Radio24. L’ultimo suo libro si intitola “Open Marketing: costruire con il cliente un’esperienza multicanale” e si propone di evidenziare i principali cambiamenti indotti nel processo di marketing dalla crescente pervasività delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione e dalla sempre maggiore rilevanza giocata dal cosiddetto fenomeno del Web 2.0.

Progettazione della strategia di comunicazione multicanale verso un target selezionato da un database di oltre 400.000 contatti.

10.00_

Registrazione e welcome coffee

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Benvenuto di Oracle

10.30_

L’esperienza diventa multicanale: strategie e strumenti per la creazione di valore Prof. Giuliano Noci, School of Management Politecnico di Milano

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Dibattito e confronto con i partecipanti

13.00_

Fine dei lavori e light lunch

| www.ict4event.it

Ideazione e realizzazione di contenuti a valore (presentazioni, realizzazione di casi di studio, ecc.) grazie ad una partnership con i migliori docenti universitari ed analisti delle differenti tematiche.

P ER I N F O RMAZI O N I | tel. +39 02 87 06 94 87 | info@ict4executive.it | www.ict4executive.it |


I N TE R V IS TA a cura della redazione

Gerri Cipollini Business Director - Advanced Solutions BravoSolution

Big Data, la nuova sfida del Procurement Il controllo e la razionalizzazione della spesa, sia in ambito pubblico sia privato, richiedono l’analisi di volumi sempre crescenti di dati complessi e disomogenei. Allo scopo, sono disponibili soluzioni di Analisi della Spesa avanzate che, superando le logiche dei tradizionali strumenti di Business Intelligence, gestiscono i modelli dati in modo flessibile, trasformando i dati in modo opportuno per gestire al meglio la complessità

La digitalizzazione di dati e processi sta procedendo a ritmi impressionanti. Lo evidenzia tra gli altri un recente studio di IDC, che segnala come le informazioni digitali prodotte nel mondo raddoppino ogni due anni, con un trend di crescita stimabile in 50 volte nei prossimi 10 anni. L’unità di misura di questi volumi è ormai lo “zettabyte”, equivalente a circa 1 miliardo di terabyte! Un valore enorme… Una seconda evidenza riguarda i benefici correlati alla “rivoluzione digitale”. Guardando specificatamente all’Italia, l’Osservatorio Fatturazione Elettronica e Dematerializzazione della School of Management del Politecnico di Milano stima ad esempio in 12 Miliardi di euro l’anno il risparmio potenziale derivante dalla dematerializzazione degli oltre 600 miliardi di fogli prodotti ogni anno per attività “business”, solo considerando i costi di carta e materiali. | 60 |

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DIGITALIZZAZIONE? SI GRAZIE! I benefici sarebbero particolarmente significativi per la Pubblica Amministrazione che, sempre secondo i ricercatori del Politecnico, potrebbe risparmiare oltre 60 Miliardi di euro l’anno grazie ad interventi di innovazione digitale. La digitalizzazione offre dunque opportunità enormi. L’importante è riuscire a coglierle. Segnali incoraggianti ce ne sono. Pensiamo ad esempio alle disposizioni in materia di “Agenda Digitale” recentemente approvate dalla Commissione Europea, che pongono l’innovazione tecnologica alla base delle iniziative di efficientamento degli apparati pubblici, in particolare per quanto riguarda la relazione con i cittadini e le imprese. «Circoscrivendo il discorso ai processi di spesa – ambito in cui operiamo da oltre 12 anni – i segnali incoraggianti aumentano - afferma Gerri Cipollini, Business Director, Advanced Solutions, di BravoSolution -. Mi riferisco ad esempio alle normative del Codice dei Contratti Pubblici che promuovono la digitalizzazione dei


IN T E RVISTA | B ig Data , l a n uova sf ida de l P ro c ure m ent

processi di affidamento pubblici o, ancora, all’obbligo di fatturazione elettronica verso le Pubbliche Amministrazioni regolato dal DM n.55 3 Aprile 2013, pubblicato lo scorso maggio sulla Gazzetta Ufficiale». L’obiettivo dei provvedimenti è la progressiva dematerializzazione dei processi di spesa pubblici, a vantaggio di trasparenza, tracciabilità, controllo ed efficienza della “macchina pubblica”. Anche la focalizzazione su interventi mirati al controllo dei requisiti etici dei fornitori pubblici, quali ad esempio Protocolli di Legalità e “White List”, trova nella digitalizzazione un supporto sostanziale, grazie alla possibilità di integrazione con sistemi telematici a supporto del Procurement Pubblico. Per quanto riguarda le aziende private, le gestione online dei processi di acquisto e fatturazione risponde non solo ad esigenze di razionalizzazione di costi e tempi, ma anche di risposta alle normative riguardanti la Responsabilità Solidale delle imprese (es. L.231/2001 e L.134/2012), che vedono committenti e fornitori sempre più interconnessi - in termini di responsabilità - nella conduzione dei processi aziendali. «È chiaro che la possibilità di tracciare, a sistema, ogni passaggio di tali processi costituisce per le aziende uno strumento in più per documentare la propria posizione rispetto alle prescrizioni di legge», sottolinea Cipollini. Sul fronte normativo non sembrerebbero dunque esserci ostacoli alla digitalizzazione in materia di acquisto, anzi. OLTRE LA BUSINESS INTELLIGENCE E sul fronte tecnologico? Come è meglio attrezzarsi per gestire i “Big Data”? Come selezionare, raccogliere, classificare, analizzare e monitorare i dati in maniera efficiente e coerente con gli obiettivi di controllo e razionalizzazione della spesa, oggi imprescindibili per la sostenibilità stessa del “Sistema Paese”? In Italia sono oltre 30.000 le stazioni appaltanti pubbliche che globalmente, volendo fare una stima, gestiscono centinaia di milioni di documenti tra ordini, fatture e DDT: questa semplice constatazione fa capire quanto sia urgente decidere come affrontare la “strada” dell’innovazione digitale per coglierne, al più presto, tutti i possibili benefici. I così detti “Big Data” sono enormi volumi di dati, complessi e generalmente disomogenei, quindi di difficile fruibilità ai fini di monitoraggio e controllo. Il presidio di questi dati, provenienti tipicamente da sorgenti diverse, sia esterne che interne, costituisce, d’altra parte, la base necessaria per qualsiasi intervento strutturato di razionalizzazione della spesa. Oggi sono disponibili soluzioni di Analisi della Spesa avanzate che, superando le logiche dei tradizionali strumenti di Business Intelligence, gestiscono i modelli dati in modo flessibile e operano data transformation, consentendo di gestire al meglio la complessità descritta. I “motori di trasformazione”, basati

Dati affidabili per decisioni a prova di contestazione Un approccio “limitativo” al dato comporta rischi significativi. Lo dimostra una recente sentenza del TAR del Lazio che ha accolto l’istanza di alcuni operatori del settore sanitario contro i “prezzi standard” definiti dalla “spending review sanitaria”, in particolare per dispositivi bio-medicali. Una delle motivazioni accolte riguarda la metodologia di rilevamento dei prezzi, ritenuta inadeguata anche per la esiguità del “basket” dei prodotti considerato. Indipendentemente dagli sviluppi che avrà il caso – il rischio è l’annullamento di una manovra da oltre 1,7 miliardi di risparmi! – lo spunto interessante riguarda la centralità del “dato”… o meglio, del “Big Data”! Solo una visione completa e comparabile dei dati, indipendentemente dalla disomogeneità nativa tipica di dati provenienti da fonti e sistemi diversi (nello specifico caso i sistemi di fatturazione delle stazioni appaltanti sanitarie) può fornire agli Amministratori Pubblici elementi per prendere decisioni oggettive e sostenibili.

L’esempio della PA britannica: risparmi per 3 miliardi di euro Molte amministrazioni pubbliche hanno già scelto un approccio innovativo alla gestione del procurement, inclusa l’analisi dettagliata dei dati, con risultati positivi. Un caso emblematico è il Governo Britannico che analizza ormai sistematicamente la spesa dei propri Ministeri – oltre 60 Miliardi/anno – con tecnologie BravoSolution, specifiche per il settore PA. L’aderenza di costi e consumi ai budget preventivati è controllata mensilmente e l’attenzione è sempre rivolta alle opportunità di razionalizzazione. In questo modo solo nella prima fase il Governo ha risparmiato oltre 3 miliardi di euro, come recentemente dichiarato dal Direttore Generale del Government Procurement Service. Ora anche diverse decine di amministrazioni locali (dai “councils” di Londra alla sanità…) stanno adottando queste soluzioni. Tutto si sta svolgendo in tempi rapidi e dando risultati concreti. Sicuramente contribuisce a ciò il fatto che le tecnologie sono “SaaS – Software as a Service” , ovvero disponibili senza installazione ed implementabili nell’arco di poche settimane. Ma un elemento imprescindibile è la volontà degli Amministratori Pubblici che, chiaramente, hanno scelto la strada del “fare”.

su regole semantiche e tassonomiche, riescono infatti ad analizzare, classificare ed arricchire – portandoli a “fattor comune” – dati eterogenei e, senza bisogno di intervenire sul dato nativo. Inoltre funzionalità particolarmente raffinate di enrichment consentono di dare evidenza, con il livello di profondità desiderato, a dimensioni di analisi spesso destrutturate e poco fruibili. www.ict4executive.it

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m a n ag e m e nt

di

Kofi Annan

ex Segretario dell’ONU e Premio Nobel per la Pace

collaborare conviene sempre Sulla scorta della propria ampia esperienza, Kofi Annan sprona a perseverare nella ricerca di obiettivi comuni attraverso il confronto e la collaborazione, un approccio efficace sia per raggiungere il successo nel business sia per migliorare il mondo. La tecnologia riveste un ruolo centrale nel coinvolgere la società civile: i fax ai tempi di Piazza Tien An Men, i social network per la recente ‘Primavera araba’

Per il suo evento Convergence 2013, tenutosi in marzo a New Orleans con circa 11.000 iscritti, Microsoft ha scelto come tema l’unificazione e la collaborazione nel business ottenibile grazie alle tecnologie, affidando l’intervento conclusivo a Kofi Annan, Segretario Generale dell’Onu tra il 1997 e il 2006, e Premio Nobel per la Pace nel 2001. Annan, che tuttora continua con la sua Fondazione a impegnarsi per la pace, ha dedicato il suo discorso, di cui pubblichiamo un estratto, alla necessità di far confrontare e collaborare persone e governi profondamente diversi per farli convergere su obiettivi comuni.

Sono qui per condividere con voi alcune mie esperienze, soprattutto nella veste di Segretario delle Nazioni Unite. Quando sono stato eletto, una delle prime domande che mi sono posto con i miei collaboratori è stata: cosa può fare l’Onu da sola? La risposta è stata: poco. Dovevamo aprire l’Organiz| 62 |

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zazione, fare networking, e allargare così la nostra capacità d’azione e d’influenza. Abbiamo quindi aperto le porte alla collaborazione con il settore privato, la società civile, Fondazioni e Università. Allora l’Onu si occupava per lo più di conflitti politici e militari: per difendere i propri valori fondanti doveva iniziare ad affrontare il problema della povertà in tutte le sue forme. Con questo obiettivo abbiamo lavorato con gli Stati membri approdando ai Millennium Development Goals, otto fondamentali impegni fissati nel 2000 con scadenze precise per rendere il mondo migliore, tra i quali sradicare la povertà estrema e la fame; rendere universale l’istruzione primaria; promuovere la parità dei sessi e l’autonomia delle donne; combattere HIV, malaria e altre malattie infettive; e garantire la sostenibilità ambientale. Entro il 2015 tutti gli Stati Membri devono arrivare a questi obiettivi.


m a n ag e m e n t | colla b o ra re convi e n e se mp r e

Chi è Kofi Annan Nato a Kumasi (Ghana) nel 1938, Kofi Annan è stato il settimo Segretario Generale dell’ONU, in carica per due mandati tra il 1997 e il 2006, e nel 2001 ha ricevuto, insieme alla stessa ONU, il Premio Nobel per la Pace. Durante il suo mandato, Annan è stato protagonista di un vasto programma di riforme del funzionamento dell’ONU, che ha puntato tra l’altro sul rafforzamento della collaborazione con la società civile e il settore privato. Tra i suoi principali risultati si annoverano la definizione dei Millennium Development Goals e dell’iniziativa Global Compact, e la creazione della Peacebuilding Commission, dello Human Rights Council, e del Global Fund to fight AIDS, Tuberculosis and Malaria, con sede a Ginevra e fondato in collaborazione con Bill Gates, che ne è oggi uno dei principali finanziatori attraverso la sua fondazione. La sua carriera si è svolta in gran parte all’interno delle Nazioni Unite, dove è entrato nel 1962 come funzionario amministrativo dell’Organizzazione Mondiale per la Sanità (WHO), ricoprendo poi incarichi di sempre maggiore responsabilità sia nel back office (human resources, budget, finance, staff security), sia in enti come l’Alto Commissariato per i Rifugiati (UNHCR). Dopo aver lasciato l’incarico alle Nazioni Unite, Annan ha continuato a impegnarsi per iniziative per la pace e la lotta alla povertà, anche attraverso la Kofi Annan Foundation, che ha creato nel 2007. È stato chiamato diverse volte come mediatore per la risoluzione di conflitti, in particolare in Nigeria, Iraq, Israele e Siria.

Da allora molti milioni di persone sono effettivamente usciti dall’estrema povertà in cui versavano, in India, Cina, Brasile e altri Paesi più piccoli. Non tutti realizzeranno gli otto obiettivi nei tempi previsti, ma grandi passi avanti sono stati fatti in moltissimi Paesi. Questo è stato uno dei momenti più felici del mio incarico: la concretizzazione della lotta alla povertà, l’aver convinto moltissimi Paesi a sostenere il Millennium Group, l’aver trovato un linguaggio comune e degli standard per misurare i progressi e i risultati. È fondamentale che chi guarda al vostro lavoro possa riconoscerne i risultati. La lotta all’aids e il prezzo dei farmaci Quando sono diventato Segretario l’AIDS era al suo picco massimo: viaggiavo in molti Paesi in cui la gente moriva sapendo che, se fosse stata in un Paese avanzato, o se fosse stata ricca, si sarebbe salvata. Così mi sono battuto perché fosse

istituito un fondo internazionale per combattere malattie come AIDS, malaria, tubercolosi. All’inizio molti pensavano che fossimo solo dei sognatori, e invece da allora il Fondo Globale ha raccolto 22 miliardi di dollari. Non penso che dovremmo lasciare questo tema alla responsabilità dei singoli governi. Una delle cose più importanti che ho fatto è stato invitare i top manager delle sette più importanti società farmaceutiche. Il mio obiettivo era molto semplice: capire come fare per permettere ai più poveri di accedere ai farmaci per la cura dell’HIV. Allora un trattamento completo costava 15.000 dollari per persona all’anno. Ho detto loro ‘dobbiamo trovare un modo, altrimenti sarà molto difficile per noi aiutarvi a proteggere i vostri brevetti’. Uno di loro ha detto ‘il mio avvocato non è qui, non posso decidere, potrei essere accusato di price fixing’. Ho risposto che il price fixing riguarda accordi con altri per massimizzare i profitti, invece io gli stavo chiewww.ict4executive.it

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management | colla b o r a r e convi e n e s e m pr e

Lavorare insieme, superando pregiudizi e barriere, permette di raggiungere gli obiettivi. È la filosofia che ha guidato Kofi Annan quando era a capo dell’Onu. Riunendo intorno allo stesso tavolo i vertici delle principali società farmaceutiche ottenne una drastica riduzione dei prezzi dei farmaci per l’HIV, salvando così milioni di vite umane.

dendo di perdere soldi. Abbiamo discusso molto e fatto altre riunioni, ma alla fine abbiamo trovato un accordo. Il prezzo della cura è sceso a 150 dollari. E il farmaco che previene la trasmissione da padre a figlio è ora addirittura gratuito in alcuni Paesi dell’Africa e dell’Asia. Questo è un esempio di come si può lavorare insieme, e dell’importanza di coinvolgere la società civile. Un aspetto che preoccupa moltissimi sostenitori della pace nel mondo è l’Islam. Penso che l’approccio giusto sia capire come lavorare insieme e imparare gli uni dagli altri. Tutte le grandi religioni si basano su importanti principi morali, sul rispetto per l’altro e per la vita: la volontà di lavorare insieme per obiettivi comuni deve superare il timore dell’altro e del diverso, e questo è decisivo sia per il vostro business che per migliorare il mondo. Rivoluzioni ‘fax’ e rivoluzioni social Quando viaggio, soprattutto in Asia, Medio Oriente, Africa, mi rendo conto dei progressi che si stanno facendo, e di come il mondo stia diventando piccolo: anche grazie agli sforzi delle aziende, a Internet e al social networking, è molto più facile sapere cosa sta succedendo in qualsiasi parte del mondo. La ‘Primavera araba’ è stata battezzata la rivoluzione dei social media, abbiamo visto concretamente come la gente voglia dire la sua, avere parte nel governo del proprio Paese, e come sia stata aiutata dalla tecnologia.

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Ricordiamoci cosa è successo in Cina ai tempi di piazza Tien An Men, nel 1989. A quei tempi io lavoravo a New York. Il Governo cinese ha bloccato telefoni, radio e TV, e l’unica tecnologia alternativa era il fax. Gli studenti hanno divulgato ciò che stava succedendo con il fax: è stata una ‘fax revolution’. Vent’anni dopo c’è stata la rivoluzione di Internet, e chissà quale tecnologia supporterà le rivoluzioni che ci saranno tra dieci anni. I social network sono stati fondamentali per chi ha creduto nella Primavera araba, per organizzarsi e agire insieme, ma hanno anche inaugurato un ‘modello’ di rivoluzione senza leader carismatici e trascinanti. Una cosa che non era mai successa, e che porta però con sé alti rischi di generare situazioni di caos. La Primavera araba infatti è stata definita anche una rivoluzione popolare, ma se prendiamo per esempio l’Egitto, la protesta ha portato nelle strade 3 milioni di persone rispetto a 45 milioni di elettori: meno del 7% degli elettori ha di fatto deciso le sorti del Paese. Probabilmente quasi tutti hanno apprezzato il fatto che sia stato rovesciato un leader autocratico che era al potere da decenni. Ma cosa succederebbe se in un altro Paese il 7% degli elettori scendesse in piazza per rovesciare un governo eletto legittimamente? Ci sono situazioni in cui possiamo considerare la piazza come un’alternativa accettabile a un governo che nasce dal voto popolare? Certo, il presupposto è che le elezioni siano regolari e non inquinate dalla corruzione. Ma comunque tutte queste riflessioni si pongono per la primavera araba: tuttora in quei Paesi la situazione non è stabile, ci vorrà probabilmente una decina d’anni, proprio come altre rivoluzioni del passato supportate da tecnologie più arretrate.


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Fincons Group festeggia i trent’anni Puntando su estero e innovazione

Trent’anni di vita nel settore software e servizi IT in Italia e Svizzera sono un traguardo importante, soprattutto se - come nel caso di FINCONS GROUP - si festeggiano crescendo del 20% annuo negli ultimi due anni e pianificando la quotazione in Borsa in un quadro economico come questo. La ricorrenza si presta bene quindi per capire chi è FINCONS oggi, e quali sono i suoi piani di sviluppo nel futuro, insieme ai due top manager, Michele Moretti e il figlio Francesco, rispettivamente CEO e Vice President. «Oggi FINCONS è un gruppo con circa 220 clienti, in prevalenza grandi aziende, e un fatturato che supera i 50 milioni di euro, cresciuto di più del 20% negli ultimi due anni, e che salirà di un altro 20% quest’anno - spiega Michele Moretti -. Abbiamo uffici a Milano, Verona, Venezia, Roma, Bari, Catania, e in Svizzera a Lugano, Berna e Zurigo. In tutto il Gruppo conta su 730 persone e il fatturato si divide al 60% in Italia e al 40% in Svizzera». «La nostra crescita - continua Michele Moretti - si è articolata in tre fasi. È stata graduale, basata sul continuo adattamento al mercato e sui rapporti di vera partnership costruiti con i clienti: con primarie aziende italiane nell’ambito energetico abbiamo partnership che sfiorano i 30 anni, con un player leader della televisione italiana di oltre 20 anni». Tre fasi, DA SOFTWARE HOUSE A INNOVATION BUSINESS CONSULTING La prima fase ha visto nascere la società con il nome Consor: «L’attività primaria era lo sviluppo di software - spiega Michele Moretti -. Col passare del

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L’OBIETTIVO DELLA SOCIETÀ, CHE CRESCE A DOPPIA CIFRA ANNO SU ANNO, È FARE LEVA SULLE COMPETENZE E REFERENZE ACQUISITE PER ESPORTARE IN ALTRI PAESI IL PROPRIO KNOW-HOW LAVORANDO CON AZIENDE CLIENTI DI PRIMO PIANO

michele moretti CEO FINCONS GROUP

francesco moretti Vice President FINCONS GROUP

tempo il mercato richiedeva sempre più conoscenze dei processi aziendali, per cui nella seconda fase abbiamo investito per acquisire forti competenze di processo e proporre progetti completi, dallo studio di fattibilità all’implementazione di tecnologie innovative, tra cui le piattaforme ERP più diffuse: siamo così diventati partner in Italia e Svizzera di SAP e system integrator di altri vendor internazionali leader di settore». Infine la terza fase, quella attuale: «Stiamo investendo in ricerca e innovazione, per proporre progetti in grado di generare vantaggio competitivo,


publiredazionale supportati dalle tecnologie più avanzate, tra cui il Mobile. Da anni la struttura organizzativa di FINCONS è a matrice: «Su una dimensione ci sono le business unit Media, Financial Services, Transportation, Energy, Utility e Manufacturing, sull’altra le practice, specializzate su competenze di sviluppo (linguaggi innovativi basati su Microsoft .NET, Java o mainframe, soprattutto per banche ed energia), ERP (soprattutto SAP), e Business Intelligence», precisa il Vice President Francesco Moretti. Media, due referenze chiave per l’estero Scendendo nel dettaglio delle business unit, «Nell’ambito Media siamo presenti in Italia nei tre più importanti player del mercato televisivo e nei due del publishing, grazie a progetti in diverse aree. Nelle TV c’è un ambito più tradizionale legato alla gestione di diritti, palinsesti, vendita pubblicitaria, per cui proponiamo pacchetti di mercato e ambiti innovativi, come ad esempio il progetto per un primario player televisivo sul mercato tedesco. Il progetto ha previsto l’implementazione del sistema di back-end e lo sviluppo ad hoc di una soluzione di front-end per la distribuzione dei contenuti sia live che on-demand, sui cosiddetti canali non lineari: smartphone, tablet, web, etc. Lo stesso tipo di progetto poi l’abbiamo implementato in una primaria realtà italiana, e con queste due referenze puntiamo a crescere sul mercato europeo, in un ambito che nel settore TV è estremamente ‘caldo’ e all’attenzione di tutti i player a livello mondiale». Altro settore importante sono i trasporti: «Lavoriamo da molti anni con i principali operatori ferroviari in Svizzera e Italia, sia nell’ambito passeggeri che merci. Abbiamo iniziato sviluppando applicazioni custom per il core business, ma siamo impegnati anche in progetti su soluzioni di mercato come SAP, e su altri verticali sviluppati da noi per esempio per la turnazione dei macchinisti, la gestione dei vagoni, la definizione dei percorsi dei convogli: verticali che vorremmo trasformare in prodotti da proporre al mercato internazionale, magari insieme a un grande software vendor». Nei settori energy e utility, poi, FINCONS è presente presso primari gruppi internazionali e italiani, su vari aspetti, come gestione della fatturazione, del CRM, del ciclo passivo del gas. Aggiunge Francesco Moretti: «Mentre nelle banche abbiamo le referenze principali in Svizzera, dove siamo un player riconosciuto sia presso banche piccole sia su grosse realtà svizzere multinazionali, in Italia siamo molto competitivi nell’ambito assicurativo. Infine l’attività nel Manufacturing è legata soprattutto a implementazioni SAP».

Prima di tutto germania e Austria Sui piani per il futuro le idee sono molto chiare. «L’internazionalizzazione è il primo obiettivo - spiega Michele Moretti -: vorremmo valorizzare l’esperienza accumulata per sbarcare in altri Paesi, soprattutto nei settori media e trasporti: i primi mercati target sono Germania e Austria, perché abbiamo già una referenza in Germania e molte risorse nel gruppo di madrelingua tedesca, e la Francia, dove offrono condizioni agevolate e finanziamenti a fondo perduto per chi investe. Tutta l’Europa è comunque target di interesse. A supporto dell’espansione il Gruppo valuta anche acquisizioni - per esempio quella di PCG, società di Zurigo, realizzata nel secondo semestre 2012 -, oltre a puntare sulla crescita interna, reclutando neolaureati che formiamo nella nostra Academy, un centro di formazione situato a Bari». E poi c’è la quotazione in Borsa. «È un piano a lungo termine, perché questo non è il momento giusto: abbiamo contatti con Borsa Italiana da tre anni, prima nel progetto ‘As if’, con un assessment rispetto ai loro parametri di ammissione - governance, gestione interna, ecc. - che ci aveva valutato idonei, e ora stiamo partecipando al progetto Elite, per entrare in un gruppo ristretto di aziende pronte alla quotazione, con diversi vantaggi sul mercato dei finanziamenti, del private equity, nonché nelle gare pubbliche».

Academy e ‘nearshore’ a Bari Trasversalmente all’organizzazione a matrice di FINCONS si inseriscono due iniziative situate fisicamente a Bari: il Delivery Center e l’Academy. «Il primo è nato come strategia difensiva di fronte a offerte offshore di realtà molto più grandi di noi. Inizialmente abbiamo aperto una software factory a Bucarest, poi quando la Romania è entrata nella UE i costi sono cresciuti, e nel 2008 siamo rientrati in Italia scegliendo Bari. Oggi il centro ha più di 150 persone, un basso turnover e una metodologia consolidata, con un’offerta ‘nearshore’ sia di sviluppi, sia di Application Management in remoto, che rispetto all’offshore elimina i problemi di fuso orario, permette di visitare il cliente all’occorrenza, e facilita la comunicazione sia dal punto di vista culturale che linguistico», spiega il Vice President Francesco Moretti. L’Academy invece è attiva da tre anni. «Ha forti relazioni con varie Università del territorio, da cui provengono neolaureati specialistici che vengono poi formati in funzione dei settori e clienti su cui andranno a lavorare - l’Academy vanta un placement del 90% all’interno del Gruppo - sia sui processi che sulle tecnologie», sottolinea il manager.

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Speciale “mobile business”

Tutti i vantaggi della Business Mobility I tablet, insieme con le App aziendali e gli Enterprise Application Store, sono stati accolti con entusiamo dalle imprese, trasformandone i processi con immediati ed evidenti benefici. Ecco quali

L’avvento del trinomio “New Tablet – Business Apps – Enterprise Application Store” sta contribuendo a scardinare le “storiche” barriere all’adozione di progetti di Mobility in ambito Business: barriere sia organizzative (scarso commitment a livello di Top Management, resistenze da parte degli utenti dovute a scarsa familiarità coi terminali, inerzie all’adozione, timore di perdere autonomia a favore di un maggiore controllo, scarso coinvolgimento del Middle Management con conseguente comportamento “inerziale”) sia tecnologiche (difficoltà di integrazione e sincronizzazione tra diversi sistemi, autonomia e resistenza dei terminali, usabilità dei dispositivi, sicurezza dei dati contenuti nel device e dell’accesso al Sistema Informativo, limiti di banda, grado di copertura della rete). Ogni elemento di questo “ecosistema” ha infatti proprie caratteristiche peculiari che creano un punto di rottura con il passato, contribuendo a sviluppare concrete opportunità di innovazione e a introdurre benefici specifici nelle organizzazioni pubbliche e private del nostro paese. | 68 |

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Ma quali sono, puntualmente, i benefici differenziali specifici portati da New Tablet, Business Apps ed Enterprise Application Store nel mondo delle soluzioni Mobile Business? I dispositivi New Tablet si distinguono dagli altri device mobili che li hanno preceduti per la semplicità di utilizzo, la maggiore portabilità (rispetto a un Notebook), la maggiore capacità di visualizzazione (rispetto a uno Smartphone), la facilità di condivisione delle informazioni e la presenza di una continua connettività. Queste caratteristiche ne fanno strumenti adatti a supportare la quasi totalità delle attività di business svolte in mobilità, preferendo modalità di connessione in “real time” rispetto a quelle di tipo “batch” (al rientro in ufficio, a casa, tra una visita e l’altra, ecc.), spesso presenti su altri dispositivi mobili. Inoltre, dal punto di vista degli utenti, i New Tablet rendono ancora più semplice il passaggio dalla “carta” a una soluzione informatizzata: infatti le dimensioni del dispositivo (spesso paragonabili a quelle di un blocco di appunti)


Speciale “mobile business” Semplicità di utilizzo, portabilità, maggiore capacità di visualizzazione rispetto a uno Smartphone, facilità di condivisione delle informazioni e la presenza di una continua connettività: queste caratteristiche fanno dei tablet strumenti adatti a supportare la quasi totalità delle attività di business svolte in mobilità e le modalità di utilizzo (abilitate da schermi sensibili al tocco e, laddove presenti, da particolari “penne”), consentono di ricostruire una user experience che ricalca fedelmente quella alla quale molti utenti “tradizionali” sono già abituati. Anche le Business Apps sono caratterizzate da elementi specifici (spesso mutuati dal mondo consumer in cui sono nate e si sono sviluppate) che ne stanno decretando il successo a supporto dei processi di business. Queste Apps, per esempio, sono studiate per essere intuitive e facili da utilizzare. Per questo motivo, spesso rispondono solo a specifiche (e spesso limitate) esigenze. La necessità di avere una spiccata facilità di utilizzo deriva dalla volontà di trasportare l’elevata user experience delle Apps tipica dell’ambito consumer anche a diretto supporto dei processi di business. L’enfasi sulla user experience e sull’immediatezza dell’interazione ha dunque costretto gli sviluppatori – molto di più rispetto a quanto avveniva nel recente passato – a immedesimarsi in chi utilizza la soluzione mobile durante le proprie attività lavorative e ha spesso richiesto una completa riprogettazione delle soluzioni mobile (anche di quelle già presenti prima dell’introduzione dei New Tablet). Infine, le piattaforme di Enterprise Application Store (intese nella più ampia accezione che include funzionalità di Apps Management e Device Management) permettono un deployment uniforme e rapido delle soluzioni mobile, riducendo notevolmente i tempi di roll out dei progetti di mobility rispetto al passato e garantendo una governance centralizzata e consapevole sia del parco dispositivi sia delle Business Apps. Questi elementi consentono di raggiungere i benefici di efficienza della Mobility, quelli più “classici” che si ottengono sostituendo la “carta operativa” con una soluzione informatizzata (ad esempio la riduzione del lead time di processo e degli errori, l’eliminazione del data entry e di altre attività non a valore aggiunto, ecc.). Spesso l’introduzione del dispositivo New Tablet ha infatti permesso di sostituire completamente la carta utilizzata per raccogliere le informazioni sul campo, certificando le attività effettuate e riducendo gli errori dovuti per esempio alle difficoltà di lettura della grafia dei dipendenti da parte del personale di Back Office.

In aggiunta ai benefici di efficienza è possibile ottenere anche significativi incrementi di efficacia: dalla maggiore soddisfazione dei clienti, all’aumento della qualità dei processi, ecc. Il principale elemento di valore che deriva dall’adozione del sistema “New Tablet – Business Apps – Enterprise Application Store” sta tuttavia nel fatto che i New Tablet, contrariamente a molti altri device che li hanno preceduti, vengono effettivamente utilizzati sul campo da parte degli utenti business. Con specifico riferimento alle attività di vendita, per esempio, l’introduzione dei New Tablet dove prima erano presenti soluzioni Mobile basate su Notebook ha consentito agli utenti di operare realmente in mobilità mentre in precedenza usavano la soluzione Mobile solo a fine giornata, appuntandosi i dati su carta per poi ridigitarli sul Notebook, a discapito del tempo dedicato alla gestione della relazione con i clienti. Oltre a questi elementi tangibili (quantificabili in termini economici), non si devono dimenticare i benefici intangibili (ovvero più difficilmente traducibili in termini monetari) introdotti dalle soluzioni mobile, che impattano, principalmente, sugli aspetti legati alla soddisfazione degli utenti. I New Tablet permettono di sfruttare a pieno le evoluzioni tecnologiche per implementare funzionalità innovative a supporto dei processi in mobilità, come, per esempio, la realtà aumentata a supporto delle attività di manutenzione (si veda il caso Enel). Inoltre, i nuovi dispositivi e le nuove Business Apps riducono al minimo la necessità di effettuare attività di formazione e sensibilizzazione degli utenti (costi di change management), che si dimostrano spesso molto sodisfatti del dispositivo e proattivi nel risolvere eventuali malfunzionamenti riscontrati nelle prime fasi di introduzione delle soluzioni. Tutto questo riduce drasticamente il tempo e gli investimenti in azioni di Change Management necessari all’introduzione di nuove soluzioni mobile a supporto dei processi di business, aumentando ulteriormente la redditività di questi progetti.

Tratto dall’Osservatorio New Tablet & Business Application 2012. www.ict4executive.it

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Speciale “mobile business”

un servizio di travel management pensato apposta per gli smartphone

La comunicazione mobile è estremamente diffusa e ne usufruiamo per molte attività quotidiane. I suoi vantaggi sono enormi, ma celano anche potenziali incognite. Tutti i principali player hanno sviluppato accessi alle funzioni mobile più utilizzate, ma non sempre le applicazioni sono disponibili per tutti i dispositivi. La differenza tra l’uso di uno smartphone, un tablet e un notebook non è sempre così evidente, pur avendo questi device dimensioni dello schermo molto diverse. Il rischio che più spesso emerge quando si parla di Mobile è un’offerta di applicazioni che sono mere migrazioni di soluzioni pensate per desktop e convertite per tablet o smartphone. Se si parla di Mobile occorre pensare al tipo d’uso che del dispositivo viene fatto e al luogo in cui le persone si trovano quando lo usano, che solitamente non è davanti a un pc. ADP ha realizzato una funzione web-based per il processo di Travel Management in azienda che consente una gestione automatizzata delle missioni e delle relative note spese, con grande risparmio di carta e tempo, maggior efficacia della comunicazione e garanzia dell’applicazione delle policy aziendali. Trasferire questa funzione su Mobile, così com’è strutturata ora, non comporterebbe alcun vantaggio per l’utente. Se invece pensiamo a uno scenario futuro, possiamo comprendere quale può essere l’evoluzione e cosa ADP sta facendo in tal senso. Poiché tutti gli smartphone hanno ormai un GPS in grado di localizzare la posizione dell’utente, è facile pensare a un’applicazione che possa gestire in modo completo il processo di Travel Management durante trasferte e viaggi di lavoro. L’applicazione, essendo in grado di

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L’errore più grande e’ migrare al mobile delle applicazioni nate per il desktop: per questo i laboratori r&D di adp sono all’opera su funzioni hrm native per i device mobili

registrare attività come ora, luogo di partenza e arrivo, e chilometri percorsi, memorizza direttamente nel sistema di ADP i dati inseriti in viaggio dal dipendente. Analogamente scontrini e ricevute fiscali possono essere fotografati con il cellulare e inviati dall’applicazione al sistema centrale aziendale. I vantaggi sono evidenti: da una parte la semplificazione della gestione delle note spese, con forti risparmi di tempo del dipendente, che non dovrà più immettere manualmente i dati degli spostamenti. D’altra parte l’azienda sarà in grado di controllare il rispetto delle policy, riducendo i tempi per la gestione di note spese e relativi rimborsi. Questi sono due esempi di progetti a cui i laboratori R&D di ADP stanno lavorando per sviluppare nuove applicazioni mobile in grado di migliorare la vita delle persone quando si trovano fuori dall’ufficio. È cruciale, quando si sviluppa un’applicazione in ambito Risorse Umane, pensare che sarà usata dai dipendenti, che tramite lo smartphone devono poter accedere alle informazioni aziendali in qualsiasi momento da ogni luogo. Le aziende devono capire che, per comunicare con il personale, non basta la possibilità di accedere con un notebook ai sistemi aziendali. Attraverso il Mobile, un canale già capillare, l’azienda può raggiungere i dipendenti ovunque, migliorando la comunicazione e lo scambio di informazioni.


Speciale “mobile business”

MDM, un tassello indispensabile dell’Enterprise Mobility

Si parla da anni delle enormi opportunità delle piattaforme Mobile in ambito Enterprise, ma per sfruttarle appieno occorre evitare di trattare il Mobile come un ‘silo’ separato in termini di gestione delle configurazioni e della sicurezza dei dispositivi, e di sviluppo e distribuzione delle applicazioni. Gli ‘addetti ai lavori’ dell’IT conoscono i rischi di un approccio a silos, e il mondo Mobile non fa eccezione: occorre integrarlo entro la strategia generale di IT Service Management. Per questo, CA Technologies ha messo a punto un nuovo approccio di Mobile Service Management che va ben oltre i singoli dispositivi, per consentire la gestione in piena sicurezza di tutto il complesso ecosistema che costituisce la Mobile Enterprise. «Le aziende devono affrontare diverse sfide-chiave nel gestire la mobilità: la sicurezza degli asset aziendali, la proliferazione di dispositivi e piattaforme molto eterogenee, e il costo di rendere le applicazioni ‘mobile ready’ - spiega Ram Varadarajan, General Manager New Business Innovation di CA. - Vogliamo aiutare i nostri clienti ad affrontare queste sfide e cogliere appieno le opportunità della Enterprise Mobility, tra cui la possibilità di interagire meglio con i clienti, l’aumento di produttività ottenibile abilitando BYOD e collaborazione sicura, e l’automazione dell’IT management». L’approccio di CA riguarda una vasta gamma di prodotti nuovi e upgrade di prodotti esistenti (vedi box), e in quest’ambito uno dei tasselli fondamentali è CA Mobile Device Management (CA MDM). Si tratta di una soluzione per ottimizzare la gestione e la sicurezza di utenti, device, applicazioni e dati mobili: erogabile in softwareas-a-service o in modalità on-premise, migliora la pro-

CA Technologies ha lanciato una soluzione di Mobile Device Management per ottimizzare la gestione e la sicurezza di utenti, device, applicazioni e dati mobili. Tra i punti di forza: gestione di BYOD ed enterprise app store self-service, e visibilità su uso e stato dei device

duttività abilitando le politiche BYOD e la creazione di un semplice e intuitivo Enterprise App store Self-service. Automatizza l’IT management fornendo visibilità in tempo reale sull’uso e sullo stato dei device, nonché la possibilità di configurarli e disattivarli da remoto. «Dopo un’attenta valutazione, abbiamo licenziato Afaria, la comprovata soluzione MDM di Sap, per fornire queste funzionalità ai nostri clienti e utilizzarle come base per costruire altre soluzioni - spiega Varadarajan -. Puntiamo a differenziarci dagli altri fornitori MDM per l’ampiezza dell’offerta, aiutando i manager IT a diventare l’agente principale del cambiamento».

un approccio completo al mobile service management Il nuovo tassello MDM permette a CA Technologies di schierare un’offerta completa per la gestione della Enterprise Mobility, che comprende anche: • CA Mobile Application Management (CA MAM), per una gestione delle applicazioni integrata con sicurezza, supportabilità e controllo; • CA Mobile Content Management (CA MCM), per l’accesso sicuro e la collaborazione estesi a tutti i device mobili, indipendentemente dalla locazione fisica dei contenuti; • CA Mobile Services Management, che assicura affidabilità, disponibilità e sicurezza nell’infrastruttura mobile, per un’esperienza d’uso ottimale di dipendenti e clienti nell’accesso a risorse e applicazioni aziendali da dispositivi mobili.

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Le Mobile Business App rendono più efficaci i processi

Per sperimentare i vantaggi della Enterprise Mobility non servono investimenti importanti e i benefici sono concreti, non solo nella riduzione dei costi, ma anche nell’aumento di efficacia. Per questo, l’investimento nelle Mobile App è estremamente appetibile, come dimostra il crescente numero di aziende che hanno scelto MDC Mobile Data Collection, la soluzione di Gulliver, software house bresciana fondata nel 2000 da Giuseppe Capoferri, e da sempre specializzata nello sviluppo di App Mobile e soluzioni “web based” per le aziende, per la PA e ora anche per il mercato consumer. Dal 2005 Gulliver collabora con Vodafone nel fornire alle aziende soluzioni di Mobility. Gli ambiti applicativi Utilizzata inizialmente per la Sales Force Automation, negli anni la piattaforma si è via via arricchita di nuove funzionalità. La flessibilità è proprio il punto di forza della piattaforma. Con semplici operazioni di drag and drop e sfruttando tabelle e servizi predefiniti, la piattaforma consente di realizzare in poco tempo differenti progetti mobile: dalla forza vendita e CRM ai manutentori, dai trasportatori agli assistenti sanitari sul territorio, dagli ordini ai rapporti di lavoro, dalla lettura di codici a barre per applicazioni avanzate di logistica, fino alla localizzazione e alle fotografie. Sfrutta le mappe di Google e consente di inserire filmati, di cambiare le ambientazioni, di gestire documenti in pdf, che possono ad esempio essere collegati all’agenda. Lo stesso catalogo prodotti utilizzato dagli agenti di vendita, per fare un esempio, può essere utilizzato come sito di eCom-

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Sono già moltissime le aziende italiane che si sono affidate alla piattaforma MDC di Gulliver, una soluzione flessibile che continua a evolvere offrendo nuove funzionalità e il supporto di tutti i principali sistemi operativi

Giuseppe Capoferri Fondatore di Gulliver

merce rivolto all’utente finale. «Le esigenze sono diverse ma il motore dell’App è sempre lo stesso - specifica Capoferri -. Gulliver personalizza l’applicazione secondo le indicazioni e si fa carico delle attività di System Integration. Ma se il cliente lo desidera può intervenire da sè per configurare e personalizzare l’applicazione: controlli e widget vengono definiti dal sistema, è sufficiente intervenire sul flusso di processo». La piattaforma è in costante evoluzione e supporta tutti i principali sistemi operativi per smartphone e tablet: BlackBerry, Symbian, iOs, Android, Windows, inclusi i nuovi modelli BlackBerry e la nuova piattaforma Microsoft. Nel dettaglio, MDC si compone di due parti. Il software applicativo è residente su un server Web, e può dunque essere installato in casa o erogato in Cloud, scelta preferita dalla maggior parte dei clienti che, grazie alla partnership con Vodafone Italia, usufruiscono della soluzione completa pagando una licenza d’uso mensile. La seconda componente della soluzione, scaricabile dagli Application Store, è il player residente sullo smartphone o tablet. MCD, inoltre, è particolarmente gradita all’IT perché è di semplice gestione e di facile integrazione con il back end aziendale.


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Verso la mobility garantendo sicurezza e governance

Una delle proposizioni di valore di Horizon Suite è la gestione/controllo del BYOD: dal vostro punto di vista quanto è concreto e realistico questo problema in Italia, soprattutto in riferimento all’ambito mobile? VMware® Horizon Suite™ è una piattaforma completa per la forza lavoro mobile che connette gli utenti con i propri dati, applicazioni e desktop su qualsiasi dispositivo, senza sacrificare la sicurezza e il controllo, una tematica che si sta velocemente imponendo tra gli scenari del mondo IT e che giocherà un ruolo importante nell’erogazione di risorse IT agli utenti aziendali nei prossimi anni. Secondo l’Osservatorio Cloud & ICT as a Service School of Management Politecnico di Milano, infatti, il 16% degli utenti fa già un uso maturo delle tecnologie mobili, con un crescita del 12% rispetto allo scorso anno e il 57% degli utilizzatori di tecnologie mobile sono “non traditional workers”, ossia chi lavora fuori dall’ufficio e/o in mobilità per almeno metà del suo tempo lavorativo, chi gode di totale autonomia per personalizzare il proprio orario di lavoro e chi utilizza per lavoro i propri dispositivi o strumenti aziendali scelti personalmente. Un trend confermato anche da una recente ricerca commissionata da VMware e condotta da Vanson Bourne su 1.500 responsabili IT e 3.000 impiegati in UK, Francia, Germania, Olanda, Italia, Svezia, Norvegia, Danimarca e Finlandia. Secondo lo studio, le aziende riconoscono che le policy del BYOD possono dare una spinta alla produttività e alla soddisfa-

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VMware Horizon Suite aiuta i clienti ad accelerare il passaggio dall’era del PC all’era multi-device: risolve i problemi legati alla sicurezza e alla gestione delle applicazioni e dei dispositivi con un ambiente di lavoro virtualizzato sicuro, conforme alle policy aziendali

Alberto Bullani Regional Manager VMware

zione dell’utente e stanno agendo di conseguenza. Inoltre, l’81% dei responsabili IT in Italia (il dato più alto in Europa, dove la media è del 72%) dichiara di aver implementato o di avere in programma di implementare soluzioni per il BYOD e il 62% dei responsabili IT italiani intervistati dichiara che nel 2013 saranno predisposti sistemi e policy che assumano come norma e non come eccezione che i dipendenti lavorano in mobilità e accedono ai dati da remoto. Come si collega logicamente l’end-user computing con il resto della vostra offerta? Storicamente l’offerta di VMware si è evoluta dalla virtualizzazione server fino al desktop, che rappresenta una naturale trasformazione dell’offerta. VMware non ha mai smesso di investire e di innovare nel segmento dell’end-user computing per consentire alle divisioni IT di liberare il desktop, ridefinire lo spazio di lavoro aziendale e accogliere un nuovo modo di operare nell’era post-PC. La virtualizzazione di VMware ha aiutato centinaia di migliaia di clienti a modificare il data center e la stessa trasformazione avverrà anche nell’end user computing. VMware® Horizon Suite™ si inserisce proprio in questa evoluzione e aiuta i clienti ad accelerare il


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passaggio dall’era del PC all’era multi-device, risolve i problemi legati alla sicurezza e alla governance delle applicazioni e dei dispositivi, consentendo all’IT di rispondere alle esigenze degli utenti con un ambiente di lavoro virtualizzato che sia sicuro, conforme alle policy aziendali e facile da gestire. La virtualizzazione dell’end user computing parte storicamente dal desktop: come funziona, e quanto si può considerare matura, la mobile virtualization? L’eccezionale ondata di applicazioni e dispositivi mobili sta rapidamente modificando la gestione e le policy IT esistenti. Le moderne soluzioni per l’end user computing devono quindi necessariamente comprendere un approccio integrato alla gestione olistica di utenti, applicazioni e dispositivi, così da rispondere alle mutevoli esigenze del panorama IT attuale. La virtualizzazione mobile necessita di un’unica piattaforma integrata e flessibile al servizio della forza lavoro mobile, che abbini identità, contesto e policy di ogni singolo utente per garantire un accesso coerente alle applicazioni e ai dati su qualsiasi dispositivo personale. Se da un lato la tecnologia per la virtualizzazione mobile è matura e l’esigenza da parte degli utenti ormai conclamata, il nostro Paese deve fare i conti con problemi di tipo strutturale che rallentano lo sviluppo di una concreta era post-PC: le nostre reti non sono infatti così sviluppate come negli altri Paesi e la situazione attuale vede la virtualizzazione solo di alcune componenti dell’infrastruttura, non dell’intero desktop, per problemi legati alla banda. Quanto è sentita concretamente in Italia l’esigenza di una gestione centralizzata dell’end user computing che si estende anche al mobile? Potete citare dei casi di utenti italiani di Horizon con progetti incentrati sul mobile? Un recente report di Forrester Research definisce allarmante l’uso di dispositivi personali fuori dal controllo dell’IT, con il 67% dei dipendenti in Europa che usano il proprio smartphone e il 46% che utilizzano il proprio notebook, senza che il loro uso sia stato approvato dall’azienda. Davanti a questa sempre maggiore richiesta di flessibilità e della massima libertà di scegliere lo stile di vita lavorativo che soddisfi al meglio le proprie esigenze da parte dell’utente, il CIO ha sicuramente il timore concreto di una diminuzione del controllo su applicazioni e risorse IT. È sempre più richiesto quindi qualche meccanismo per la gestione centralizzata e il controllo dell’interazione di ciascun utente con le applicazioni, in linea con le specifiche richieste e il livello di accesso ai dati concesso

a ciascuno, e con le policy aziendali. Il quadro che emerge è quello di un ruolo, quello del CIO, che sta evolvendo e che, se da una parte deve mantenere il controllo e la gestione centralizzata dei dispositivi per garantire la sicurezza, dall’altro deve essere in grado di assicurare una flessibilità nell’accesso che soddisfi le crescenti e diversificate esigenze del personale in azienda.

VMware Horizon Suite: una piattaforma unica e unificata per l’End User Computing Con aggiornamenti di VMware Horizon View™ e VMware Horizon Mirage™ e con un nuovo prodotto, VMware Horizon Workspace™, la Suite VMware Horizon consente alle organizzazioni IT di fornire agli utenti un ambiente di lavoro sicuro, facile da gestire, che garantisca un’esperienza coerente e soddisfacente su molteplici dispositivi. VMware Horizon Suite integra la piattaforma leader per la virtualizzazione desktop e le tecnologie che VMware ha sviluppato per supportare una forza lavoro mobile, come Project Octopus, Project AppBlast, Project AppShift, ThinApp®, VMware Horizon Application Manager™ e VMware Horizon Mobile™ in un’unica soluzione. Piattaforma integrata per supportare la forza lavoro mobile, VMware Horizon Suite trasforma i silos di dati, applicazioni e desktop in servizi IT centralizzati che possono essere facilmente gestiti e forniti agli utenti. La Suite include: • VMware Horizon Workspace – Il nuovo ambiente di lavoro virtuale VMware Horizon Workspace è un nuovo prodotto che semplifica la end user experience e riduce i costi IT combinando dati, applicazioni e desktop in un singolo ambiente, che può essere offerto in modo sicuro su qualsiasi dispositivo. • VMware Horizon View 5.2 – VDI semplice da usare e facile da gestire. Trasformando i tradizionali PC fisici in servizi IT gestiti centralizzati, VMware Horizon View 5.2 offre servizi desktop elastici, come uno spazio di lavoro virtuale per il massimo controllo e per una maggiore flessibilità per l’esperienza utente, la gestione e il servizio. • VMware Horizon Mirage 4 – Un migliore desktop fisico VMware Horizon Mirage 4 fornirà una end user experience ottimale sia per la produttività online che offline, riducendo al tempo stesso i costi IT con una gestione zero-touch dei servizi desktop. VMware Horizon Mirage è una soluzione di gestione con un’immagine stratificata che separa il PC in strati logici di proprietà gestiti sia dall’IT sia dall’utente.

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Idee, soluzioni tecnologiche e consulenza strategica sui nuovi media

Softec S.p.A., società quotata su AIM Italia – Mercato alternativo del capitale di Borsa Italiana, si presenta al mercato con un nuovo portfolio di offerta ideato per consentire alle aziende di raggiungere i propri obiettivi di mercato. È questa la nuova mission di Softec che, presente nel mondo enterprise da oltre 15 anni, ha adeguato la propria struttura organizzativa a questa “filosofia”. Infatti, nata come azienda tecnologica fortemente skillata su progetti custom e su applicazioni mobile, oggi propone alle imprese non solo soluzioni specificatamente pensate per agevolare il lavoro di chi opera in mobilità, ma offre anche servizi di web marketing e

presente da 15 anni sul mercato Business, softec si propone oggi con Una nuova mission, anche a seguito delLa fusione con BBJ Media agency. L’obiettivo è fornire ai clienti servizi innovativi orientati al risultato. Intervista a Maurizio Bottaini, president e CEO

maurizio bottaini President e CEO Softec

di consulenza strategica sui nuovi media, per realizzare progetti performanti in grado di costruire redditività per le aziende che vogliono fare della rete un fattore di successo. Quanto e come è cambiata Softec nell’ultimo anno? Oltre alla quotazione su AIM Italia, che ha confermato la stabilità e credibilità dell’azienda, un tassello cruciale nella nostra crescita è sicuramente l’acquisizione, a fine 2012, degli asset operativi di BBJ Media Agency. Questa è stata una vera e propria fusione che ha risposto ad una precisa scelta strategica: distinguersi dai competitor presidiando un mercato, quello della comunicazione sui nuovi media, dove è fondamentale generare idee creative che rispondano a bisogni aziendali sempre più misurabili. Il tutto corredato da una componente tecnologica, per fare in modo che essa diventi un acceleratore delle idee e dei risultati e non un limite. Quindi si è ampliato il vostro portfolio di offerta? Più che ampliato si è “completato”, si è integrato. Noi che facciamo del progresso, in tutte le sue eccezioni, la colonna portante del nostro lavoro, non pote-

p er u lt er i o r i i n f o rm a zioni...

www.s ofte c s pa.c om

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publiredazionale vamo che evolverci seguendo le richieste del mercato. Infatti, siamo nati come azienda “system integrator” ed oggi ci proponiamo come “service provider globale”. Quali sono le attività chiave della vostra strategia di impresa? L’innovazione continua. Erogare soluzioni e servizi per i nostri clienti nel rispetto dell’etica e della correttezza. Lavorare a performance legando le proprie revenue al successo del cliente, perché le aziende non accettano più di pagare una consulenza o una soluzione a priori su accordi preliminari ai risultati, ma approvano un investimento in base a quali e quanti obiettivi sono stati raggiunti. Quali sono, a suo avviso, le nuove tendenze? Quali sono le richieste delle aziende italiane? Anziché proporre le tradizionali applicazioni sviluppate “su misura”, la tendenza è quella di erogare “servizi personalizzabili” che consentono alle aziende di soddisfare le proprie esigenze da subito, azzerando i tempi di messa in servizio. In quest’ottica Softec è in una posizione di grande vantaggio in quanto, grazie alle risorse investite in ricerca e sviluppo, può offrire ai suoi clienti applicazioni e servizi basati su piattaforme multicanale (es: DesktopMate®) che consentono di gestire attraverso un’unica interfaccia, l’intero corredo di servizi applicativi a disposizione dall’azienda. DesktopMate, infatti, è la nostra soluzione proprietaria di Mobile Application Management, nativamente multipiattaforma e multidevice ideale per erogare in multicanalità soluzioni e servizi sulla base delle politiche aziendali e del profilo dell’utente. Può citare una case history della piattaforma DesktopMate? Uno dei progetti che mi rende più orgoglioso è

senza dubbio quello realizzato per Conad, la catena di supermercati leader nel settore della grande distribuzione organizzata, che ci ha affidato la realizzazione di un’App da destinare ai propri consumatori. L’applicazione, disponile per il download sui più diffusi Application Store (App Store, Google Play e App World), permette di fidelizzare i clienti, abilitando una serie di servizi che consentono al consumatore di essere sempre aggiornato sulle ultime novità provenienti da Conad, di trovare il PV più vicino e di consultare in mobilità lo stato delle proprie fidelity card con relativo saldo punti. Inoltre, uno dei principali punti di forza di questa soluzione è la possibilità di notificare la presenza di un nuovo contenuto anche quando l’applicazione non è in uso. È sicuramente innovativo poter raggiungere gli utenti in modalità “push” in modo contestualizzato e profilato, in quanto questo permette una comunicazione più efficace. Un’altra case history importante? Il progetto rilasciato per Enervit, storica società attiva nel mercato dell’integrazione alimentare sportiva e della nutrizione funzionale, che ci permette di sperimentare e creare tutta una serie di servizi innovativi per accrescere la visibilità del brand. Insieme abbiamo ideato la struttura e il look and feel del nuovo portale Enervit e di tutti i siti di prodotto, con l’obiettivo di migliorare l’usabilità del sito e di conseguenza incrementare le vendite. Il futuro di Softec? Consolidare e ampliare l’attuale struttura, puntando all’innovazione tecnologica e di modello in tutti i mercati emergenti, nazionali ed esteri. Inoltre, lavorare a performance con i nostri clienti, diventando loro partner e condividendo con ognuno sia i benefici che gli eventuali rischi.

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i n te r v is ta a cura della redazione

Ancora Poca Ict negli studi dei commercialisti Solo il 25% si è attrezzato e il 50% prevede di farlo, ma nel frattempo si continua a usare la carta e a lavorare a mano. Passa anche da qui l’innovazione delle nostre imprese: per questo è nato l’Osservatorio ICT&Commercialisti dall’alto in basso

Paolo Catti School of Management del Politecnico di Milano

Claudio Rorato School of Management del Politecnico di Milano

L’Agenda Digitale, europea e italiana, gli obiettivi di Horizon 2020 puntano decisamente sull’uso delle ICT per creare benessere e sviluppo diffuso. Il paradigma è ormai condiviso: aziende, PA e cittadini, saranno chiamati, da qui a qualche anno, a una progressiva informatizzazione. L’alfabetizzazione informatica diventa un tema che coinvolgerà tutti, compresi i professionisti. Proprio da qui nasce l’idea dell’Osservatorio ICT&Commercialisti della School of Management del Politecnico di Milano, che ha visto anche la partecipazione del Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili e del suo Istituto di Ricerca, l’IRDCEC. Ne parliamo con Paolo Catti e Claudio Rorato, che hanno coordinato i lavori dell’Osservatorio. Perché un Osservatorio proprio sui Commercialisti? Paolo Catti: La risposta, pur nella sua semplicità, è articolata. La spina dorsale della nostra economia è costituita in prevalenza da micro e piccole imprese, con una spiccata vocazione all’innovazione di prodotto e, un po’ meno, alla | 78 |

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gestione dei processi lavorativi. La piccola azienda soffre per la scarsità di risorse, da quelle finanziarie a quelle umane. Le competenze specialistiche – al di fuori di quelle legate al core business – tra cui quelle contabili e fiscali, spesso non possono essere svolte internamente, proprio perché il costo non sarebbe sopportabile. Arrivano, allora, in aiuto i professionisti e, tra questi, i Commercialisti, una community di circa 113 mila persone. Sono loro a sedere nei CdA, nei collegi sindacali, a gestire le contabilità aziendali, a occuparsi degli aspetti fiscali e ad affiancare l’imprenditore nella valutazione delle alternative strategiche, senza trascurare che si occupano anche di revisione dei conti e, a volte, della gestione dei patrimoni privati dei titolari d’azienda. Come si può, quindi, trascurare questa categoria e non dedicargli un Osservatorio, per capire se, anche attraverso di loro, non si possa far crescere l’uso delle tecnologie dentro le aziende? Per sintetizzare direi: se parliamo di Commercialisti, in realtà, parliamo di imprese!


in t e rvista | a n cora poca I C T n e g l i st udi de i comm e rc ia l ist i

È tutto molto chiaro. Prima, però, di parlare del legame con le imprese, vediamo qual è il grado di diffusione delle tecnologie informatiche negli studi dei Commercialisti. PC: Ci sono luci e ombre. Dalla ricerca emerge che almeno l’80% dei Commercialisti è focalizzato sulle attività “storiche”: gestione delle contabilità e dei dichiarativi che, mediamente, assorbono oltre il 60% del tempo lavorativo dello Studio. Due attività a elevata intensità manuale e consumo di carta. Quest’ultimo aspetto è ancor più evidente perché il 62% dei Commercialisti dichiara di avere problemi con gli archivi cartacei, ormai saturi o prossimi alla saturazione. Sarebbe lecito attendersi, allora, un ampio uso di strumenti in grado di far risparmiare, da una parte, la carta e il materiale di consumo legato a stampanti, fax e manutenzioni e, dall’altra, di migliorare la produttività, comprimendo il tempo di alcune attività ancora “labour intensive”. Purtroppo non è così. La conservazione digitale, per lo meno dei documenti con obbligo di custodia da parte degli studi, raggiunge a mala pena il 12%; i software per la gestione documentale, che facilitano l’archiviazione, la ricerca e la condivisione dei documenti, sono adoperati dal 14% dei Commercialisti; i portali e le extranet, canale telematico per la trasmissione di documenti in formato elettronico, “toccano” il 22%. I software diffusi sono, ovviamente, quelli per la gestione della contabilità e quelli che, per legge, abilitano i Commercialisti al dialogo con l’Agenzia delle Entrate e la PA in genere. Pochi i casi eccellenti, se consideriamo l’universo dei Commercialisti ed Esperti Contabili iscritti agli ordini. Il quadro non è dei più confortanti. Anzi, sembra addirittura che ci sia ben poco da fare. Ma è proprio vero? Claudio Rorato: Sicuramente il ricambio generazionale aiuterà, naturalmente, a diffondere le tecnologie informatiche e, in particolare, quelle legate alla dematerializzazione. Esiste, però, nella categoria l’oggettiva difficoltà a percepire il valore che la tecnologia è in grado di produrre, quasi fosse un corpo estraneo al processo lavorativo. Le ombre, per ritornare alle già citate immagini, sono rappresentate da quel 25% di Commercialisti disinteressati alla tecnologia anche per i prossimi due anni. Le luci, invece, sono il 50% di coloro che ritengono probabile l’investimento nelle ICT, aggiungendosi al 25% già attrezzato in tal senso. La vera sfida, quindi, per i singoli ordini territoriali, per le istituzioni e per i vendor, è

quella di “catturare” la quota più ampia possibile di professionisti “potenzialmente sensibili” all’informatica e, in particolare, alla digitalizzazione dei documenti. Anche la maggiore consapevolezza sui risparmi legati alla dematerializzazione incoraggerà qualcuno a “fare il passo”. I dati delle nostre ricerche parlano chiaro: la sola conservazione digitale delle fatture attive comporta risparmi da 1 a 3 euro a documento. Registrarle automaticamente, senza digitare manualmente i dati, aggiunge altri 2 euro di risparmio a documento. Ciascuno sa, ovviamente, quanti documenti “lavora” in un anno, compresi registri e dichiarativi che, per legge, il Commercialista deve conservare. La categoria, allora, deve informatizzarsi di più. C’è dell’altro? CR. La tecnologia adottata consapevolmente può fare davvero tanto. Tuttavia non sono da trascurare alcuni fattori, che consigliano l’adozione di nuovi modelli di servizio rivolti al cliente. A differenza di diversi anni fa, la categoria sta soffrendo per la concorrenza esterna, prima assai limitata. Oggi i Commercialisti, per la gestione della contabilità e dei dichiarativi, sentono la presenza dei CAF, delle associazioni di categoria, delle società di consulenza, del personale uscito dalle aziende ma con esperienze, anche significative, nell’ambito della gestione amministrativa e finanziaria. Per evitare la “price competition”, pericolosa e non sempre sostenibile da parte della categoria, è necessario che la fidelizzazione del Cliente passi attraverso nuovi approcci al mercato, come pure la ricerca di nuova clientela. Non basta più aspettare che sia il cliente o il “prospect” a manifestare il proprio bisogno. Occorre anticipare la domanda, ampliare il portafoglio servizi, magari stringendo alleanze con altre figure professionali, per coprire esigenze trasversali. Oppure con operatori tecnologici, coniugando la competenza tecnico-giuridica con quella informatica. Attività che il professionista potrà aggiungere a quelle già svolte, se ridurrà il tempo dedicato a quelle a minor valore aggiunto. Il Commercialista può, allora, diventare un canale per diffondere l’uso delle tecnologie informatiche e, in particolare, della dematerializzazione presso le imprese. La propensione a consigliare ai clienti la dematerializzazione dei documenti è, infatti, tre volte superiore tra i Commercialisti che già la adottano, rispetto a coloro che non la usano. Elevando l’alfabetizzazione informatica e digitale della categoria, il beneficio verso le imprese appare, quindi, come una diretta conseguenza.

«Gestione delle contabilità e dei dichiarativi, che sono attività a elevata intensità manuale e consumo di carta, assorbono oltre il 60% del tempo degli studi. Sarebbe lecito attendersi un ampio uso di strumenti in grado di migliorare la produttività e far risparmiare la carta e il materiale di consumo legato a stampanti e fax. Purtroppo non è così» www.ict4executive.it

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Conoscere l’ICT per innovare il business LE

TECNOLOGIE

DELL'INFORMAZIONE

E

DELLA

svolgono un ruolo sempre più pervasivo e strategico in qualsiasi organizzazione, diventando una potente leva di innovazione e di miglioramento delle performance. Una corretta conoscenza di queste tecnologie e, soprattutto, del loro impatto sul business può portare una qualsiasi azienda a sfruttarle efficacemente per ottenere benefici significativi e migliorare la sua competitività. Gli Osservatori ICT & Management della School of Management del Politecnico di Milano nascono proprio con l’obiettivo di contribuire a questa conoscenza con un insieme ampio e articolato di vicende che analizzano la migliore esperienza italiana, con una forte attenzione agli scenari internazionali. COMUNICAZIONE (ICT)

GLI OSSERVATORI si rivolgono in particolare ai manager e ai decision maker delle aziende utilizzatrici di ICT per fornire loro informazioni sulle opportunità offerte dalle soluzioni più innovative attraverso ricerche puntuali, studi di caso, benchmark, video degli eventi, atti dei convegni, ecc.

GLI OSSERVATORI si rivolgono anche a tutte le aziende che offrono soluzioni e servizi ICT

(software vendor, hardware vendor, service provider, consulenti, operatori del canale), fornendo fotografie approfondite sugli scenari di mercato in Italia, con l’intento di supportarle nella messa a punto di offerte più efficaci.

GLI OSSERVATORI ICT & MANAGEMENT, con i suoi 80 analisti e ricercatori, hanno svolto nell’ultimo anno più di 40 ricerche, analizzando oltre 3.000 imprese e pubbliche amministrazioni e organizzando circa 100 eventi tra Convegni e Workshop.

GLI OSSERVATORI:

• Agenda Digitale • B2b – eProcurement e eSupply Chain • Big Data Analytics & Business Intelligence • Canale ICT • Cloud & ICT as a Service • eCommerce B2c • eGovernment • Enterprise 2.0 • eProcurement nella Pubblica Amministrazione • Fatturazione Elettronica e Dematerializzazione • Gestione dei Processi Collaborativi di Progettazione • Gestione Strategica dell’ICT • Gioco Online • HR Innovation Practice • ICT & Business Innovation nel Fashion-Retail • ICT & Commercialisti • ICT & PMI • ICT Accessibile e Disabilità • ICT in Sanità • ICT nel Real Estate • ICT nelle Utility • ICT Strategic Sourcing • Information Security Management • Intelligent Transportation Systems • Internet of Things • Intranet Banche • Mobile & Wireless Business • Mobile Banking • Mobile Device & Business App • Mobile Internet, Content & Apps • Mobile Marketing & Service • Mobile Payment & Commerce • Multicanalità • New Media & New Internet • New Slot & VLT • RFId • Smart Working • Startup Digitali • Unified Communication & Collaboration

SEZIONE PREMIUM www.osservatori.net per avere accesso alla più ampia base di conoscenza in Italia sugli impatti di business delle tecnologie ICT

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2000 CASI DI STUDIO

P I Ù D I 7 5 0 P R E S E N TA Z I O N I D E I R E L AT O R I A I C O N V E G N I

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P E R M A G G I O R I I N F O R M A Z I O N I V I S I TAT E I L S I T O

w w w. o s s e r v a t o r i . n e t

D I R E T TA W E B DEI CONVEGNI

230 ORE DI VIDEO ON DEMAND


Alcuni esempi di domande a cui gli Osservatori contribuiscono a dare risposta

CANA

LE ICT

• Q ua li basate sono le op po s agli o ul Cloud c rtunità che ompu perato le solu tin ri del canale g offrono zioni ICT? • Q ua l è la re del C anale dditività d egli o ICT? perato ri

ECOMM

CIO

tà • Quali sono le priori di invest imento ICT nel 2013? in • Come varia la spesa 2013? outsou rci ng ICT nel

C ERCE B2

• Quanto vale l'eCommerce B2c in Italia nel 2012 e quali sono le potenzialità di sviluppo nei prossimi anni?

M

OBILE • Quan MARKE TING to del Mo è cresciuto il bile Ad mercato ve negli u ltimi a rtsing nni in Italia? • Quan te appli c azioni vengon d o svilu ppate d i Mobile Mar ke alle azie nde ita ting liane?

• Come sta evolvendo il mobile commerce in Italia? Come sono utilizzati i Social Network a supporto del processo di interazione con il consumatore?

ICT & PMI

zioni ICT diffuse le solu • Quanto sono ità as a Service al erogate in mod strutturale fra (sia a livello in italiane? o) nelle PMI che applicativ ndizionano i fattori che co tivi • Quali sono ica pl ap dei servizi ice”? la diffusione alità “as a Serv od m in li ra tu e infrastrut

NEW MED IA & NEW INTERNET • Quanto va le il mercato dei Media digitali in Ita lia?

MOBIL NFC &

sso d i succe no i casi so a li li a a u It •Q nt in e P ay m e d i Mobil ro? e a ll ’este i Telco, (r uolo d a lia sistema o erà in It c e rm le e a ff • Qu nt? ider) si a e v m ro y P a e P e B a nc he el Mobil iluppo d per lo sv

M O B I L E I N T E R N E T, C O N T E N T & A P P S

• Quali rica vi so Applicazioni no generati grazie alle , ai Video O nline, ai So Network e cial ai nuovi de vice?

• Quanto vale il mercato delle mobile application in Italia? • Quali sono i comportamenti degli utenti che scaricano applicazioni dal telefonino?

S A SERVICE CLOUD & ICT A

to del il merca a? • Q ua l è g in Itali n ti u omp Cloud C a ell’offert filiera d g? la n ia ti b u p m m ca loud Co • Come C l e d vento con l’av

ME E PAY

FAT T U R A Z I O N E E L E T T R O N I C A

• Quali sono i benefici di una soluzione di Fatturazione Elettronica e come si valutano concretamente? • Quali sono i principali “fattori critic i di successo” di un progetto di integrazion e del Ciclo dell’Ordine?

NT



rubrica | ricerche e s tud i a cura di

paola capoferro ronchetta

Progettazione e sviluppo dei prodotti: le contraddizioni del manufacturing italiano La prima indagine dell’Osservatorio GeCo (Gestione dei Processi Collaborativi di Progettazione) della School of Management del Politecnico di Milano analizza la maturità di gestione, l’informatizzazione e le criticità di questo processo Il manufacturing italiano ha sempre puntato sulla progettazione e sviluppo dei prodotti per creare vantaggi competitivi, ma globalizzazione e crisi economica hanno reso ancora più cruciale il famoso ‘made in Italy’. Per questo la School of Management del Politecnico di Milano, in collaborazione con Università di Bergamo, Brescia, Firenze, Roma ‘Tor Vergata’, Salento, e Politecnico delle Marche, ha creato l’Osservatorio GeCo (Gestione dei Processi Collaborativi di Progettazione), che ha appena presentato la sua prima indagine, incentrata su 103 imprese italiane, sia PMI sia grandi imprese, di 20 settori industriali: circa il 90% opera su scala internazionale, e oltre il 70% realizza prodotti di alta complessità. Il campione quindi rappresenta bene la realtà manifatturiera italiana, con imprese spesso leader di nicchia e buoni livelli organizzativi generali, ma nei processi di progettazione emergono molte contraddizioni. Da una parte infatti, spiega Monica Rossi, Responsabile della Ricerca dell’Osservatorio, «l’80% monitora le prestazioni del processo di sviluppo prodotti, il 70% punta al miglioramento continuo, e l’80% applica il Concur-

rent Engineering, parallelizzando le fasi del processo e promuovendo collaborazione e condivisione delle responsabilità». Dall’altra l’applicazione di tali principi non è coerente, spiega Sergio Terzi, Direttore del Comitato Operativo dell’Osservatorio.
«Metà del campione punta sulla massima flessibilità del processo e l’altra metà invece cerca di evitare modifiche; nel 60% dei casi è chiaro il valore che il cliente s’aspetta, nel restante 40% c’è solo un’idea vaga e i progettisti lavorano solo sulla base dell’esperienza pregressa». Il 72% ha un CAD 3D, il 67% un PLM

La gestione della conoscenza, cioè dei dati, modelli, informazioni generati nei processi di progettazione e sviluppo, “è l’area mediamente meno matura tra quelle analizzate”, si legge nel report. Il 72% del campione ha un sistema CAD 3D, e praticamente tutte le aziende mantengono anche un CAD 2D. Meno del 50% usa strumenti di simulazione (CAE, CFD, FEM, ecc.), e meno del 20% applicativi più complessi (simulazione a eventi discreti o realtà virtuale). Il 67% ha una piattaforma di collaborazione PDM/PLM. Quasi

il 30% della conoscenza ‘resta’ nelle persone e nella loro cooperazione, che si basa sulla comunicazione verbale in percentuale doppia rispetto agli strumenti IT più strutturati (portali intranet, sistemi PDM/PLM). Troppe modifiche in corso d’opera

Passando alle criticità, al primo posto ci sono le continue richieste di modifica in corso d’opera (94%), poi il sovraccarico di lavoro per i progettisti (86%), e il frequente sforamento del budget (83%). Per risolvere tali problemi le aziende stanno introducendo miglioramenti del processo e metodologie standard (57%), adottando sistemi PLM o di prototipazione virtuale, e esternalizzando alcune fasi di progettazione. I benefici di questi interventi sono: riduzione dei tempi di sviluppo (71%), e dei costi (53%), miglioramento della gestione delle attività di progettazione (57%). «L’analisi evidenzia un mondo variegato con alcuni fattori comuni - conclude Monica Rossi -:
l’attenzione per il Concurrent Engineering, l’interesse per metodi standard di lavoro, e il ricorso a strumenti IT, sia per la modellazione che per lo scambio dati».

gestione della conoscenza in progettazione: altri sistemi ict aziendali Tot.

PMI

GI

Sistemi per la gestione dei documenti tecnici e l’automazione dei flussi di attività, comprese le risorse di tipo intranet / wiki (DM)

67%

55%

76%

Piattaforme di gestione dei dati di prodotto/progetto, corredate da funzionalità di vault e di condivisione (PDM / PLM)

62%

46%

75%

Sistemi gestionali integrati (ERP)

74%

59%

85%

Sistemi a supporto della logistica e della supply chain (SCM)

45%

30%

56%

Sistemi a supporto delle attività commerciali e di marketing (CRM)

50%

34%

63%

Sistemi a supporto della pianificazione e del controllo delle attività e dei progetti (PM)

45%

45%

44%

Software per attività di analisi e studio, ma non di modellazione e prototipazione (LCA, CMMS)

22%

5%

36%

(*) Almeno un sistema (per tipologia) è presente nel caso

67%

60%

(**) È escluso l’utilizzo sporadico

74% 62% 45%

40%

50%

45% 22%

20% 0%

Fonte: Politecnico di Milano

80%

% Utilizzo (**)

Altri sistemi informativi aziendali (*)

Leg.

DM

PDM-PLM

ERP

SCM

CRM

PM

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Altri | 83 |


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RU B RICA | ric e rc h e e st u di

L’azienda “agile” sbaglia, ma rimedia velocemente È cruciale la capacità di accettare e gestire nel modo migliore un alto numero di fallimenti nei progetti. Per Gartner la chiave del successo è nella velocità di reazione Un alto livello d’insuccessi è normale nelle aziende più dinamiche ed efficienti. Lo afferma Gartner, precisando che i responsabili di progetto e della gestione PPM (Project Portfolio Management) devono prepararsi ad accettare livelli di fallimento tra 20 e 28% per aiutare realmente le loro aziende a essere più agili. Questo ricorrendo alla sperimentazione e accelerando i tempi di rilevazione di successo/insuccesso nel corso della vita del progetto. Secondo la società di ricerche, le pratiche usate comunemente nel PPM sono inadatte alle necessità di oggi. L’attenzione ai costi deve spingere l’IT e i responsabili PPM a rivedere le modalità con cui gestiscono l’impegno della forza lavoro e attrezzarsi internamente, con partner e clienti a gestire livelli di fallimenti attorno, appunto, al 20-28%. Questo per raggiungere i risultati desiderati nel restante 72-80%. Il livello dei fallimenti non è facile da comprimere; dipende da una molteplicità di fattori esterni all’azienda, tra i quali la turbolenza dei mercati e le difficoltà della proliferazione IT, e va necessariamente considerato nella gestione finanziaria dei progetti. Per rendere l’azienda più efficiente serve, secondo Gartner, la capacità di accettare i fallimenti, imparare dagli errori e andare oltre, minimizzando le perdite. Se storicamente ogni miglioramento in ambito PPM dipendeva dall’ottimizzazione dei processi attraverso la standardizzazione, l’applicazione indiscriminata di questo principio finisce per sostenere anche progetti che perdono rilevanza e dissipano inutilmente risorse. Il modo tradizionale di determinare il fallimento di un progetto si basa sul confronto tra costi previsti e costi reali, ma nelle situazioni ad alto rischio e in ambienti complessi questo metodo porta a scoprire i problemi troppo tardi. il metodo “fail-forward-fast”

L’alternativa consiste - secondo Gartner - nell’adozione di una metodologia “failforward-fast” che prevede l’uso di meccanismi di primo avviso, suddivisione in stadi con check di avanzamento e frequenti controlli di persone imparziali. Adottando queste pra-

tiche diventa più facile uscire rapidamente da progetti non destinati al successo. L’approccio ha implicazioni su come sono allocati e gestiti i budget, e può essere facilmente

adottato da molti fornitori di servizi professionali, ma Gartner ritiene che la domanda di questi servizi sarà superiore all’offerta. I responsabili PPM dovranno definire i progetti da sottoporre al modello e quindi assicurarsi che il livello di fallimenti sia minore o uguale al passato. Gartner raccomanda la definizione dei criteri di “stop-loss” per determinare il fallimento e la fine di un progetto.

L’Italia arretra ancora nel digitale Nell’ultimo rapporto del World Economic Forum sull’impiego delle tecnologie ICT il Paese si piazza al 50esimo posto: due posizioni più in basso dello scorso anno Altro brutto colpo per l’immagine dell’Italia sul fronte ICT: siamo scivolati al 50esimo posto nel nuovo Network Readiness Index del World Economic Forum. L’indice è elaborato su 54 parametri, in quattro aspetti: le infrastrutture informatiche, l’accesso e la disponibilità delle competenze necessarie per un loro uso ottimale; la diffusione e l’utilizzo dell’ICT da parte di persone, aziende e pubblica amministrazione; contesto imprenditoriale e innovativo, quadro politico e normativo; impatto economico e sociale dell’ICT in quel Paese. Ebbene siamo caduti dal 48esimo posto del 2012 al 50esimo, con un indice di 4,18 punti. Al primo c’è la Finlandia (terza l’anno scorso), con 5,98. Seguono Singapore, Svezia, Olanda, Norvegia, Svizzera, Regno Unito, Danimarca, Usa e Taiwan. Noi siamo poco sopra la Croazia e sotto la Polonia. Val la pena ricordare che questo è un problema soprattutto in tempi di crisi. Perché “la digitalizzazione ha generato 6 milioni di posti di lavoro e aumentato il Pil mondiale di 193 miliardi di dollari negli ultimi due anni”, dice Bahjat El-Darwiche, della società di consulenza globale Booz & Co, che ha redatto il report insieme a Business School Insead. «Il problema è che l’arretratezza italiana si consolida proprio sulle principali leve d’innovazione», spiega Giuseppe Iacono, co-fondatore dell’associazione Stati Generali dell’Innovazione, che mira a diffondere la consapevolezza politica dell’importanza dell’ICT. Infatti, «tra quelli dell’Index è molto significativo l’indicatore che misura l’impatto dell’ICT sull’innovazione organizzativa: qui l’Italia è al 101esimo posto, a distanza abissale da tutti i maggiori Paesi e in con-

tinua regressione (era al 90esimo nel 2011). Un Paese che ha tra i più alti tassi (39%) di occupazione su lavori ad alta intensità di conoscenza, ma non ha una legislazione del lavoro che la favorisce», continua Iacono. Che il ritardo italiano sia strutturale lo conferma anche il 101esimo posto per uso dell’ICT da parte della Pubblica Amministrazione, mentre meglio fanno individui (34esimo posto) e aziende (46esimo). «I fattori che più contribuiscono a questo risultato sono noti: mancanza di strategia del Governo, sistema normativo e politico sostanzialmente negativo, bassa qualità del sistema educativo, insufficiente formazione del personale aziendale, limitatezza del rapporto università-industria, popolazione di fatto non coinvolta nella “rivoluzione digitale”», dice Iacono. Ma non c’era l’Agenda Digitale, per cambiare le cose? Il punto è che le misure più complesse dell’Agenda - per esempio quelle per svecchiare la PA - procedono a rilento, per varie incertezze politiche e istituzionali. Come se ne esce? Iacono invoca «un cambiamento in discontinuità, che deve partire dalla definizione di una strategia organica per l’intero sistema-paese (e non solo centrata sulla PA e sull’interoperabilità e integrazione delle applicazioni) e poi declinarsi in iniziative che partano dal territorio e ne valorizzino esperienze e ricchezze». Per Alfonso Fuggetta del Cefriel-Politecnico di Milano, in sintesi, serve una governance forte che si occupi di innovazione, magari un ministero dedicato; una revisione completa dell’eGovernment; un supporto statale per le infrastrutture di banda larga e la loro adozione; il sostegno ai processi di innovazione e ricerca».

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PROSSIMI EVENTI LA SCHOOL OF MANAGEMENT

La School of Management del Politecnico di Milano, con oltre 240 docenti, e circa 80 fra dottorandi e collaboratori alla ricerca, dal 2003 accoglie le molteplici attività di ricerca, formazione e alta consulenza, nei campi del management, dell’economia e dell’industrial engineering che il Politecnico porta avanti attraverso le sue diverse strutture interne e consortili. Fanno parte della Scuola il Dipartimento di Ingegneria Gestionale, le Lauree e il PhD Program di Ingegneria Gestionale e il MIP, la business school del Politecnico di Milano. La School of Management ha ricevuto nel 2007 l’accreditamento EQUIS. Dal 2009 è nella classifica del Financial Times delle migliori Business School d’Europa.

GLI OSSERVATORI ICT & MANAGEMENT

Gli Osservatori ICT & Management della School of Management del Politecnico di Milano (www.osservatori.net) vogliono offrire una fotografia accurata e continuamente aggiornata sugli impatti che le tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT) hanno in Italia su imprese, pubbliche amministrazioni, filiere, mercati, ecc. Gli Osservatori sono ormai molteplici e affrontano in particolare tutte le tematiche più innovative nell’ambito delle ICT: Agenda Digitale; B2b – eProcurement e eSupply Chain; Big Data Analytics & Business Intelligence; Canale ICT; Cloud & ICT as a Service; eCommerce B2c; eGovernment; Enterprise 2.0; eProcurement nella Pubblica Amministrazione; Fatturazione Elettronica e Dematerializzazione; Gestione dei Processi Collaborativi di Progettazione; Gestione Strategica dell’ICT; Gioco Online; HR Innovation Practice; ICT & Business Innovation nel Fashion-Retail; ICT & Commercialisti; ICT & PMI; ICT Accessibile e Disabilità; ICT in Sanità; ICT nel Real Estate; ICT nelle Utility; ICT Strategic Sourcing; Information Security Management; Intelligent Transportation Systems; Internet of Things; Intranet Banche; Mobile & Wireless Business; Mobile Banking; Mobile Device & Business App; Mobile Internet, Content & Apps; Mobile Marketing & Service; Mobile Payment & Commerce; Multicanalità; New Media & New Internet; New Slot & VLT; RFId; Smart Working; Startup Digitali; Unified Communication & Collaboration. OSSERVATORIO CLOUD & ICT AS A SERVICE

26 GIUGNO 2013

Convegno di presentazione dei risultati della Ricerca 2013

Politecnico di Milano Aula Carlo De Carli Campus Durando Via Durando 10, Milano

Durante il Convegno, promosso dalla School of Management del Politecnico di Milano, verranno presentati i risultati della nuova Ricerca dell’Osservatorio che ha coinvolto i Responsabili Informativi di Grandi Imprese e PMI con i seguenti obiettivi: quantificare il mercato del Cloud in Italia; monitorare lo stato di diffusione delle soluzioni Cloud; analizzare le motivazioni e le barriere alla sua diffusione; analizzare gli impatti del Cloud sull’organizzazione della Direzione ICT; comprendere le nuove competenze necessarie a gestire il cambiamento verso il Cloud; identificare i principali approcci al “Cloud Journey”; analizzare le nuove relazioni di filiera; comprendere le implicazioni dell’utilizzo di soluzioni di “Personal Cloud” nelle organizzazioni. L’intera giornata sarà dedicata all’incontro fra i decisori ICT e di line of business delle aziende della domanda, i fornitori del mercato ICT, i docenti ed i ricercatori della School of Management, e sarà occasione di confronto e analisi della situazione attuale dell’utilizzo del Cloud Computing nel mercato italiano. OSSERVATORIO AGENDA DIGITALE

8 LUGLIO 2013

Convegno di presentazione dei risultati della Ricerca 2012-2013

Politecnico di Milano Aula Carlo De Carli Campus Durando Via Durando 10, Milano

Durante il Convegno, promosso dalla School of Management del Politecnico di Milano, verranno illustrati i risultati della Ricerca della prima edizione dell’Osservatorio. La Ricerca ha l’obiettivo di sviluppare un modello sistemico per misurare i benefici, in termini di risparmi monetari e di produttività, per la Pubblica Amministrazione, le imprese e i cittadini, grazie all’applicazione delle tecnologie digitali nell’ambito dei processi lavorativi e di relazione tra i diversi soggetti. L’intento è di fornire utili indicazioni ai “decision maker”, in ambito politico e istituzionale, per supportarli nell’individuazione delle priorità di intervento, disponendo di attendibili stime quantitative, frutto di consolidate esperienze e metodologie da parte della School of Management. Alla presentazione seguirà una Tavola Rotonda sui temi dell’Agenda Digitale, per un costruttivo confronto tra mondo politico e dell’impresa. OSSERVATORIO E-COMMERCE B2C

31 OTTOBRE 2013

Convegno di presentazione dei risultati della Ricerca 2013

Politecnico di Milano Aula Carlo De Carli Campus Durando Via Durando 10, Milano

Durante il Convegno, promosso dalla School of Management del Politecnico di Milano, verranno presentati i risultati della nuova Ricerca dell’Osservatorio che si è posta i seguenti obiettivi: monitorare l'evoluzione del commercio elettronico in Italia, evidenziando il valore di mercato, i trend e i modelli di business di riferimento; discutere criticamente le opportunità di sviluppo dell'eCommerce B2c, sulla base dei dati raccolti e del confronto con i dati dello scenario internazionale; esplorare le frontiere del commercio elettronico, identificando e analizzando i fenomeni emergenti. La presentazione dei risultati della Ricerca sarà seguita da una Tavola Rotonda a cui parteciperanno alcuni dei principali operatori dell’eCommerce B2c italiano.

P E R M A G G I O R I I N F O R M A Z I O N I V I S I TAT E I L S I T O

w w w. o s s e r v a t o r i . n e t


RU B RICA | ric e rc h e e st u di

Sfide e opportunità del BYOD Entro il 2017 la metà dei datori di lavoro chiederà ai dipendenti di usare i propri dispositivi portatili personali per scopi aziendali. Con enormi impatti sull’end-user computing Il “Bring Your Own Device” (BYOD) riscuote sempre più interesse. Stando a un’indagine di Gartner su un campione di CIO, ben il 38% delle imprese prevede di smettere di fornire dispositivi ai dipendenti già entro il 2016, ed entro l’anno dopo la percentuale salirà al 50%. BYOD è un cambiamento radicale per la cultura aziendale. «Il più significativo degli ultimi decenni che riguardi i sistemi client», spiega David Willis, vice president di Gartner. Per la precisione, BYOD significa permettere a impiegati, partner e altri utenti di usare dispositivi client scelti e comprati da loro stessi per i compiti aziendali: da smartphone e tablet a notebook e PC. Secondo i CIO intervistati, il BYOD è un modo per accelerare l’introduzione dell’innovazione nell’azienda, aumentando il numero di persone in grado di usare le applicazioni mobili ed estendendo la portata di queste oltre il tradizionale supporto voce ed email.

Le applicazioni più indicate sono quelle per la condivisione e la gestione di agende, checklist di compiti da svolgere, registrazioni di ingressi/uscite dal luoghi di lavoro, e tutte le applicazioni self-service relative alle risorse umane (note spese, gestione ferie, ecc). Sebbene ci sia interesse, il BYOD è oggi allo stadio iniziale in molte aziende. Solo il 22% dei CIO parla di realizzazioni significative. Molte iniziative si limitano a semplici esplorazioni, senza obiettivi definiti. In realtà, dice Gartner, la miglior strategia per il BYOD è cominciare da progetti di portata limitata per poi mostrare a tutta l’azienda i benefici che l’uso più esteso del BYOD permette di ottenere. a chi conviene e a chi no

Benché il BYOD offra vantaggi ad aziende private o pubbliche di qualsiasi dimensione, i progetti più avanzati risultano avviati

in grandi aziende oltre 2.500 impiegati. Per Gartner però il BYOD ha un forte potenziale anche nelle aziende più piccole, permettendo di ‘mobilizzare’ la forza lavoro senza grossi investimenti. Per quanto riguarda la diffusione geografica, l’adozione del BYOD è due volte superiore negli Stati Uniti rispetto all’Europa. I maggiori vantaggi si hanno quando il BYOD è accompagnato da un programma di incentivi per i dipendenti. Circa la metà di quelli già avviati prevedono un rimborso parziale del dispositivo, ma secondo Gartner prevarrà il modello in cui l’azienda parteciperà solo ai costi dell’abbonamento. Il BYOD aumenta i rischi di perdita di dati aziendali. Alcuni dispositivi sono progettati per condividere dati nel cloud e non hanno un vero file system capace di proteggere le applicazioni da duplicazioni e copia dei dati. La security è il motivo per cui l’IT inizialmente ha resistito al BYOD. Oggi però oltre la metà dei CIO di grandi aziende giudica sicuri i dati che transitano sui dispositivi utente, e ha fiducia negli strumenti oggi disponibili a supporto del BYOD e della sicurezza.

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r u b r ic a | n om in e Cambio al vertice di Guzzini: andrea sasso presidente, Enrico bracesco AD Con l’obiettivo di sostenere le prospettive di sviluppo del brand sui mercati internazionali, l’azienda ha annunciato l’ingresso di Andrea Sasso (foto in alto) nel ruolo di Presidente dell’azienda e Amministratore Delegato del Gruppo Fimag (iGuzzini illuminazione - F.lli Guzzini - Teuco), la holding industriale che riunisce le partecipazioni della famiglia Guzzini nelle varie società operative, e inoltre ha affidato a Enrico Bracesco (foto in basso) la carica di Amministratore Delegato di Teuco Guzzini. I due nuovi manager succedono a Luca e Mauro Guzzini chiamati a occuparsi di altri incarichi strategici all’interno del Gruppo Teuco. Sasso, laureato in Economia e commercio all’Università Politecnica delle Marche, con un International Executive Program all’Insead (Fontainebleau e Singapore), dal 1990 ha svolto incarichi di crescente responsabilità fino a diventare Chief Operating Officer e Chief commercial officer nel gruppo Merloni Elettrodomestici/Indesit

Company. Successivamente ha ricoperto il ruolo di Country Manager Italia in Pirelli Tyre, e ha guidato il gruppo Elica, leader mondiale nel settore delle cappe da cucina, come Amministratore Delegato per quasi sei anni in un percorso di forte internazionalizzazione e crescita della quota di mercato mondiale. Ha lasciato recentemente il gruppo Marazzi, che opera nel settore della ceramica. Bracesco, laureato in Ingegneria gestionale all’Università degli Studi di Padova, ha successivamente conseguito il Master in general management nella prestigiosa LBS London Business School. Prima di fare il suo ingresso in Teuco nel 2012 ricoprendo le cariche di Managing Director e membro del Cda, è stato Business unit director di Technogym Spa - player del settore health, fitness & leisure - e Managing Director a Londra presso Technogym UK Ltd. Annovera una significativa esperienza come Managing Director della maggiore società estera del gruppo Riello SpA in Gran Bretagna.

Claudio Domenicali Amministratore Delegato, Ducati

L’azienda di Borgo Panigale ha annunciato il nuovo Amministratore Delegato: si tratta di Claudio Domenicali che, fino a oggi, ricopriva la carica di Direttore Generale e membro del Consiglio di Amministrazione di Ducati Motor Holding. Il nuovo CEO prende il posto di Gabriele Del Torchio, recentemente nominato Amministratore Delegato di Alitalia. Domenicali è entrato in Ducati nel 1991, avendo conseguito la laurea in ingegneria meccanica all’Università degli Studi di Bologna. Dopo un percorso professionale di crescita all’interno dell’azienda, diventa Amministratore Delegato di Ducati Corse nel 1999, nel 2005 Direttore R&D prodotto e nel 2009 viene nominato

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Direttore Generale, responsabile dei processi di sviluppo Prodotto e Operations. Dal 2012 entra all’interno del nuovo Cda, costituito dopo l’acquisizione di Ducati Motor Holding da parte del gruppo Audi.


RUBRICA | nomine

Pierluigi Bernasconi Amministratore Delegato, Mercatone Uno

Elio Leoni Sceti Amministratore Delegato, Iglo Group

Pierluigi Bernasconi è il nuovo Amministratore Delegato di Mercatone Uno, gruppo attivo nella grande distribuzione nato negli anni ’70. Oggi, sotto le insegne Mercatone Uno, Tre Stelle Arredamento ed E’Oro gioielli, il gruppo conta più di 100 punti vendita in tutta Italia, 4.500 dipendenti e una rete di circa 500 artigiani esperti del mobile. Bernasconi, classe 1954, è stato fondatore e Amministratore Delegato di Mediamarket, la catena di elettronica di consumo che in Italia opera attraverso i brand Media World, Saturn e Media World Compra on Line. Sotto la sua guida, Mediamarket ha conquistato una posizione di leadership nel mercato dell’elettronica di consumo. Nel 2009 ha ricevuto dal Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, il Premio nazionale per l’Innovazione nella multicanalità nel settore del commercio, ossia per aver realizzato un sistema di comunicazione integrato nella grande distribuzione.

Iglo Group - operatore in Europa nel settore dei cibi surgelati, attivo in Italia attraverso Compagnia Surgelati Italiana (Csi) che detiene il marchio Findus - ha nominato Elio Leoni Sceti Amministratore Delegato. Sceti, 47 anni, ha oltre 20 anni di esperienza nei settori dei beni di largo consumo e dei media. Fino al 2010 era Amministratore Delegato di Emi Music, ai tempi in cui l’azienda era di proprietà di un fondo di private equity. Precedentemente, ha sviluppato una carriera internazionale nel marketing con posizioni di senior leadership in Procter&Gamble e Reckitt Benckiser. In Reckitt Benckiser ha ricoperto la carica di Vice Presidente esecutivo con la funzione di global head of category development and innovation dal 2001 al 2006 e successivamente di responsabile per l’Europa tra il 2006 e il 2008.

Sceti è attualmente Presidente di Zeebox, piattaforma attiva nel settore del second screen e dal 2010 ha creato un portafoglio di start up tecnologiche attive negli ambiti social e web. È inoltre advisor del Consiglio centrale di Anheuser-Bush Inbev, produttore di birra a livello mondiale, e consulente di One Young World, forum mondiale sui futuri dirigenti.

Alberto Nobis Amministratore Delegato DHL Express Italy Alberto Nobis è il nuovo Amministratore Delegato di DHL Express Italy. Prende il posto di Fausto Forti, che diventa Presidente DHL Express Italy. Nobis, mantovano, classe 1965, dopo la laurea in Economia presso l’Università degli Studi di Bologna inizia la propria carriera nel settore bancario. Nel 1994 entra in H.J. Heinz Company, colosso agroalimentare statunitense, ricoprendo diversi ruoli in ambito finance in Italia,

Stati Uniti e Regno Unito. Nel 2006 entra in DHL Express Italy in qualità di Direttore Amministrazione e Controllo; nel 2008 è nominato CFO DHL Express Europe, presso il quartier generale europeo di Bruxelles e nel 2009 assume la carica di CFO di DHL Express a livello globale presso il quartier generale del Gruppo DPDHL. In questo ruolo entra nel Board Finance e nel Top Executive Council di DPDHL.

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r u b r ic a | who’ s who cio Domenico Solano Direttore Sistemi Informativi per il Sud Europa, Gruppo Philips

Domenico Solano, nato a Milano il 1969, è il Direttore dei Sistemi Informativi per il Sud Europa (Francia, Spagna, Portogallo, Italia, Grecia e Israele) del gruppo Philips. Inizia la sua carriera in Origin Italia (oggi gruppo Engineering) dove ricopre diversi ruoli nella divisione industry.

Nel 1993 entra in Philips assumendo il ruolo di responsabile dei sistemi informativi commerciali per la divisione Consumer Electronics di Philips Italia. Nel 1998 si trasferisce in Olanda con il ruolo di Project manager per la realizzazione ed implementazione del sistema di reporting commerciale per la divisione Consumer Electronics Europe. Dal 2002 gli viene attribuita la responsabilità del Competence Business intelligence per Philips Consumer Electronics Europe. Nel 2008, in seguito all’acquisizione di Saeco da parte di Philips, assume il ruolo di Post Integration Director worldwide per l’integrazione dei sistemi informativi di Saeco International Group in Philips. Nel 2009 viene assegnato all’attuale incarico.

Massimiliano Gerli CIO, Amplifon

Sergio Casado Castejón è Responsabile Tecnologia e Innovazione (Chief Technical Officer) di Leroy Merlin Italia da marzo 2011. L’azienda opera nella Grande Distribuzione con un’offerta per il bricolage e fa parte del gruppo ADEO. Castejón è nato a Barcellona,dove dopo la Laurea in Fisica (specializzazione in Astronomia e Astrofisica), inizia a lavorare nel mondo dell’Information Technology. Il primo impiego è come sistemista per Logic Control e per S.G.I., e successivamente

come Project Manager nell’aerea di Sviluppo di software per TDG, azienda che si occupa di Marketing e di Contact Center. Nel 2000 si trasferisce a Madrid per lavorare prima come Project Manager e Consulente in El Corte Inglés, azienda operante nella grande distribuzione, poi in Indra, dove dirige diversi progetti di consulenza e sviluppo per il settore bancario (con Banesto, Inversis e la Caja de Ahorros del Mediterráneo) e per aziende dei trasporti Iberia e AVE (Treni ad alta velocità). Nel 2003 consegue un Master in Finanza presso l’Università Carlos III di Madrid, e dopo due anni inizia a lavorare come Business Solution Manager in Europcar. Dal 2008 fino al 2011 lavora come Direttore dei Sistemi Informativi in due aziende che si occupano di marketing, Neo Advertising e Mediapost, e in una di trasporto viaggiatori, Interbus-Daibus.

Massimiliano Gerli è Chief Information Officer di Amplifon, leader mondiale nella commercializzazione di soluzioni uditive. Amplifon è attualmente presente in 20 paesi con 3200 negozi, 2300 centri di assistenza e oltre 10.000 professionisti. La continuità e sostenibilità di questo successo è dovuta al forte orientamento al cliente, al business-model unico ed innovativo, alla solidità finanziaria e alla lungimiranza della strategia di espansione. Gerli, 39 anni, è laureato in Ingegneria Chimica al Politecnico di Milano e ha iniziato la sua carriera professionale in Accenture, partecipando a numerose iniziative progettuali in Italia e all’estero con un focus specifico sull’ottimizzazione dei processi e il change management. Nel 2006 entra nel gruppo Amplifon come HR System Manager e pochi mesi dopo viene nominato Business Application Manager. Alla fine del 2007 assume il ruolo di Group IT Director guidando Amplifon nel forte processo di consolidamento infrastrutturale e applicativo. Nel 2012 è nominato CIO ed entra a far parte dell’Executive Leadership Team. L’Information Technology è uno dei pilastri su cui Amplifon fonda la strategia di sviluppo essendo un elemento fondamentale nel processo di integrazione delle numerose acquisizioni e un fattore abilitante nell’ottimizzazione dei servizi offerti.

ICT4EXECUTIVE

hanno collaborato

progetto grafico

è una testata di ICT and Strategy S.r.l.

Paola Capoferro Ronchetta, Luigi Ferro, Daniele Lazzarin, Alessandro Longo, Vincenzo Zaglio

Stefano Mandato

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mara.perego@ict4executive.it - Tel. 02.36.57.88.71

ADM Studio Sas - Cologno Monzese (MI)

Sergio Casado Castejón CIO, Leroy Merlin Italia

Via Schiaffino, 25 - 20158 Milano Iscrizione presso il R.O.C. Registro degli Operatori di Comunicazione al n. 16446 Testi e disegni: riproduzione vietata.

immagini

Direttore responsabile

Illustrazioni di Fabio Margarita

Manuela Gianni (manuela.gianni@ict4executive.it)

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Stampa Arti Grafiche Amilcare Pizzi Spa - Cinisello Balsamo (MI)

per informazioni sugli abbonamenti: tel. 02.36.57.88.69 - abbonamenti@ict4executive.it




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