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Executive BRIDGING THE GAP BETWEEN TECHNOLOGY & BUSINESS
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. Sergio Mariotti: Il club delle imprese italiane all’estero . Il successo di una multinazionale “tascabile”: intervista a Fabio De’Longhi, Vicepresidente e AD De’Longhi Group . Don Tapscott: Collaborazione, trasparenza e integrità morale per affrontare il futuro . Intesa Sanpaolo arricchisce la “learning experience” con le tecnologie 2.0
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editoriale
gli eccessi della finanza di
umberto bertelè presidente advisory board ict4executive
Ha generato la bolla Internet all’inizio degli Anni Duemila, aprendo - insieme con l’11 settembre - l’era dei tassi di interesse bassi: tassi che hanno contribuito all’esplodere del fenomeno dei mutui subprime, alla base della crisi da cui stiamo faticosamente uscendo. Poco prima della crisi ha dato un contributo determinante all’esplosione del prezzo del petrolio sopra i 150 dollari al barile: affiancando al mercato delle transazioni un mercato delle scommesse, sconnesso rispetto al primo ma - per la consistenza delle scommesse - determinante nell’influenzarne le quotazioni. Passati i momenti più bui della crisi, grazie anche ai salvataggi da parte degli stati delle proprie banche, ha preso di mira l’indebitamento accumulato a tale fine da molti stati e, in particolare, la grossa crepa nell’eurozona fra i Paesi in difficoltà e i Paesi chiamati a garantirne i debiti: puntando addirittura a far saltare l’euro. Nel frattempo, visto il cattivo raccolto agricolo mondiale, ha ripetuto - per le materie prime alimentari - quanto fatto per il petrolio: esaltando l’aumento dei prezzi, esacerbando il problema della fame per i più poveri e in tal modo contribuendo al clima di rivolte che ha incendiato diversi Paesi nordafricani e arabi. Con il conseguente nuovo aumento del prezzo del petrolio, indotto dall’incertezza sul futuro di un’area così importante per le forniture energetiche. E nel frattempo sembra in decollo una seconda bolla Internet, legata ai social network. Chi è responsabile di tutto questo? A mio (non originale) avviso lo sviluppo ipertrofico che la finanza ha avuto negli ultimi decenni. Non sostengo che i segnali che la finanza invia all’economia reale e al mondo politico siano sempre bollabili come speculativi: il problema dei debiti sovrani esiste, così come la necessità di un coordinamento forte nell’eurozona; il petrolio e il gas naturale sono risorse oggettivamente scarse e lo saranno di più con il decrescere della povertà. Né sostengo che gli strumenti di cui la finanza si è avvalsa recentemente in misura crescente non abbiano una loro ragion d’essere. Gli hedge fund che giocano sulle incongruenze nei mercati hanno il pregio ad esempio di riportare razionalità, attraverso gli arbitraggi, nei mercati stessi; il private equity può valorizzare le imprese, sottraendole a un mercato borsistico focalizzato sul breve e mettendo in atto strategie di respiro più ampio; i CDS (credit default swap) possono offrire un’assicurazione ad esempio alle imprese che divengono creditrici “loro malgrado” per sostenere le vendite. Ma il problema è causato dall’eccesso di sviluppo e dagli utilizzi distorti che si accompagnano a esso. I CDS avevano ad esempio raggiunto nel 2008 il valore di 62 mila miliardi di dollari - oltre 30 volte il PIL italiano e 430 volte il livello di dieci anni prima - a testimonianza del crescere del loro uso improprio come meri strumenti di scommessa. E le masse monetarie eccessive creano i danni maggiori: la finanza ha fatto ad esempio il suo mestiere nel diffondere allarme sul rischio di default della Grecia a causa dell’eccessivo ammontare del debito pubblico, ma - mandando alle stelle gli interessi sul rifinanziamento (trainati anche dai CDS) - ha reso più concreta la prospettiva di default. Ridurre l’ipertrofia e riportare la finanza al suo ruolo originario sembra la strada maestra. Una strada ardua, per la forza politica della finanza in paesi come gli US e per la difficoltà - nel continuum esistente - di distinguere i rami che contribuiscono alla crescita da quelli fini a se stessi. Una strada però inevitabile, se non si vuole che una ulteriore crescita di peso degli scommettitori rispetto ai produttori porti al soffocamento dell’economia.
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S S E R VAT O R I . N E T
ict & management
PROSSIMI EVENTI LA SCHOOL OF MANAGEMENT
GLI OSSERVATORI ICT & MANAGEMENT
La School of Management del Politecnico di Milano, con oltre 240 docenti, e circa 80 fra dottorandi e collaboratori alla ricerca, dal 2003 accoglie le molteplici attività di ricerca, formazione e alta consulenza, nei campi del management, dell’economia e dell’industrial engineering che il Politecnico porta avanti attraverso le sue diverse strutture interne e consortili. Fanno parte della Scuola il Dipartimento di Ingegneria Gestionale, le Lauree e il PhD Program di Ingegneria Gestionale e il MIP, la business school del Politecnico di Milano. La School of Management ha ricevuto nel 2007 l’accreditamento EQUIS.
Gli Osservatori ICT & Management della School of Management del Politecnico di Milano (www.osservatori.net) vogliono offrire una fotografia accurata e continuamente aggiornata sugli impatti che le tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT) hanno in Italia su imprese, pubbliche amministrazioni, filiere, mercati, ecc. Gli Osservatori sono ormai molteplici e affrontano in particolare tutte le tematiche più innovative nell’ambito delle ICT: B2b – eProcurement e eSupply Chain, Banche 2.0, Business Intelligence, Canale ICT, Cloud & ICT as a Service, eCommerce B2c, eGovernment, Enterprise 2.0, eProcurement nella PA, Fatturazione Elettronica e Dematerializzazione, Gestione Strategica dell’ICT, Gioco Online, HR Innovation Practice, ICT & Business Innovation nel Fashion-Retail, ICT & PMI, ICT Accessibile e Disabilità, ICT in Sanità, ICT nel Real Estate, ICT nelle Utility, ICT Strategic Sourcing, Information Security Management, Intelligent Transportation Systems, Mobile & Wireless Business, Mobile Content & Internet, Mobile Finance, Mobile Marketing & Service, Multicanalità, New Media & Tv, New Slot & VLT, NFC & Mobile Payment, RFId, Social Network, Unified Communication & Collaboration. OSSERVATORIO ICT IN SANITÀ
3 MAGGIO 2011
Convegno di presentazione dei risultati della Ricerca 2011
Politecnico di Milano Aula Carlo De Carli Campus Bovisa Via Durando 10, Milano
Durante il Convegno dell’Osservatorio, promosso dalla School of Management del Politecnico di Milano, verranno presentati i risultati della Ricerca, che si è posta i seguenti obiettivi: analizzare il livello di investimenti e di spesa ICT da parte delle strutture sanitarie italiane e la maturità delle principali applicazioni ICT, evidenziando le criticità e i benefici connessi con l’implementazione di tali soluzioni. La presentazione dei risultati sarà seguita da una Tavola Rotonda, a cui parteciperanno rappresentanti delle Istituzioni e delle Direzioni Strategiche di alcune importanti strutture sanitarie italiane, e dalla cerimonia di consegna del “Premio Innovazione ICT in Sanità”, che sarà un’importante occasione di confronto su casi di eccellenza per quanto riguarda l’utilizzo dell’ICT nel settore sanitario.
OSSERVATORIO CLOUD & ICT AS A SERVICE
11 MAGGIO 2011
Convegno di presentazione dei risultati della Ricerca 2011 Politecnico di Milano Aula Carlo De Carli Campus Bovisa Via Durando 10, Milano
Durante il Convegno dell’Osservatorio, promosso dalla School of Management del Politecnico di Milano, verranno presentati i risultati della Ricerca che si è posta i seguenti obiettivi: definire i confini del Cloud & ICT as a Service; indagare il livello di diffusione di soluzioni di Cloud Computing all’interno delle organizzazioni di medio/grandi dimensioni operanti in Italia; studiare l’offerta di mercato ed i suoi scenari evolutivi; analizzare potenziali benefici ed ostacoli da superare per le organizzazioni utenti e per i service provider; evidenziare gli impatti organizzativi e architetturali identificando possibili approcci all’adozione. Verranno inoltre illustrati gli impatti sulle competenze distintive della direzione ICT che abilitano una migliore adozione del paradigma del Cloud Computing. La presentazione dei risultati della Ricerca sarà seguita da una Tavola Rotonda durante la quale interverranno alcuni dei principali operatori di Cloud & ICT as a Service in Italia.
OSSERVATORIO FATTURAZIONE ELETTRONICA E DEMATERIALIZZAZIONE
19 MAGGIO 2011
Convegno di presentazione dei risultati della Ricerca 2011
Politecnico di Milano Aula Carlo De Carli Campus Bovisa Via Durando 10, Milano
Durante il Convegno dell’Osservatorio, promosso dalla School of Management del Politecnico di Milano, verranno presentati i risultati della Ricerca, che si è posta i seguenti obiettivi: comprendere i diversi aspetti della fatturazione elettronica e, più in generale, dell’integrazione e dematerializzazione in Italia - in termini di processi impattati, tecnologie, diffusione nei settori, scelte strategiche (make or buy) ecc.; identificare e stimare la reale potenzialità di queste soluzioni in termini di creazione di valore per le aziende utenti; analizzare e comprendere le principali criticità e barriere all’adozione e identificare le strategie più adatte a favorire un’adozione più matura e consapevole; studiare le dinamiche del processo decisionale, il livello di presidio del CIO, il grado di coinvolgimento dei Responsabili di funzione (Procurement, Logistica, Amministrazione e Commerciale); analizzare criticamente il quadro normativo e gli standard, sia in Italia sia nel contesto internazionale. OSSERVATORIO MOBILE CONTENT & INTERNET
MAGGIO 2011
Convegno di presentazione dei risultati della Ricerca 2011
Politecnico di Milano Aula Carlo De Carli Campus Bovisa Via Durando 10, Milano
Occasione del Convegno dell’Osservatorio, promosso dalla School of Management del Politecnico di Milano in collaborazione con l'ICT Institute e il MEF - Mobile Entertainment Forum, è la presentazione dei risultati della nuova edizione della Ricerca, che si è posta i seguenti obiettivi: comprendere le principali evoluzioni strategiche in atto nel settore delle Telecomunicazioni mobili, con un focus specifico su tutti i servizi più innovativi; valutare approfonditamente le dinamiche quantitative del mercato del Mobile Internet, Content e Advertising; comprendere il ruolo e le strategie dei diversi attori operanti nella filiera; analizzare l’approccio degli utenti italiani al Mobile Internet e ai Mobile Content; tratteggiare i principali trend in atto e i possibili scenari evolutivi. La presentazione dei risultati sarà seguita da alcune autorevoli Tavole Rotonde a cui parteciperanno i principali player della filiera.
P E R M A G G I O R I I N F O R M A Z I O N I V I S I TAT E I L S I T O
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cover story Il club delle imprese italiane multinazionali di Sergio Mariotti
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interviste Advisory Board Umberto Bertelè Presidente Advisory Board Giampio Bracchi Politecnico di Milano Carlo Alberto Carnevale Maffè Università Bocconi Maurizio Dècina Politecnico di Milano Giuliano Noci Politecnico di Milano Andrea Rangone Politecnico di Milano Francesco Sacco Università dell’Insubria - SDA Bocconi Gianluca Spina Dean - MIP Federico Barilli Direttore Assinform Alberto Felice De Toni Presidente Associazione Italiana Ingegneria Gestionale Stefano Pileri Presidente Confindustria Servizi Innovativi e Tecnologici Enzo Bertolini CIO Ferrero Group Nunzio Calì Deputy CIO Fiat Group Automobiles e CIO Fiat Group Purchasing Gianluigi Castelli Executive Vice President ICT ENI Pierluigi Curcuruto COO Intesa Sanpaolo Milo Gusmeroli Vicedirettore Generale Banca Popolare di Sondrio Massimo Milanta Amministratore Delegato UniCredit Global Information Services Alessandro Musumeci Direttore Centrale Sistemi Informativi Ferrovie dello Stato Filippo Passerini President, Global Business Services and CIO Procter & Gamble Mauro Viacava CIO Barilla Holding Pierfilippo Roggero Senior Vice President Southern and Western Europe Fujitsu Technology Solutions Nader Sabbaghian Amministratore Delegato BravoSolution Raffaello Balocco Segretario Advisory Board
De’Longhi, una multinazionale “tascabile” italiana di successo
Umberto Bertelè intervista Fabio De’Longhi, Vicepresidente e Amministratore Delegato De’Longhi Group
Una strategia digitale per l’Italia
Francesco Sacco, EntER - Centre for Research on Entrepreneurship and Entrepreneurs, Università Bocconi e Università dell’Insubria 26
Intesa Sanpaolo innova la formazione con gli strumenti 2.0
Roberto Battaglia, Responsabile Formazione Intesa Sanpaolo
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management
Wikinomics: il potere della collaborazione
Don Tapscott, consulente e scrittore
Il successo di un progetto ICT comincia da un buon contratto
Gabriele Faggioli, legale, ISL, e Nicola Chessa, esperto di Sourcing IT/TLC e negoziazione, ISL
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osservatorio
eGovernment in Italia, un quadro in chiaroscuro
di Giuliano Noci e Michele Benedetti, Politecnico di Milano
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speciale “cloud”
Il Cloud Computing pronto al decollo
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speciale “sanità”
Innovazione in Sanità a beneficio del paziente
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rubrica | ricerche e studi
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rubrica | nomine
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rubrica | who’s who cio
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Cov e r s tory
di
SERGIO MARIOTTI
Professore di Economia dei sistemi industriali politecnico di milano
Il club delle imprese italiane multinazionali Nonostante la crisi e la ripresa stentata, cresce il peso delle imprese nostrane all’estero, riducendo via via la distanza che ci separa dai principali Paesi europei, con un impatto positivo sull’economia nazionale. Secondo uno studio ICE-Politecnico di Milano, si tratta di circa 6.500 soggetti, con una prevalenza nei settori della meccanica e in quelli ad alta intensità tecnologica, con quasi 23mila partecipate nei vari mercati e un milione e 352mila dipendenti
Rispetto ai maggiori partner europei, l’Italia rimane un Paese le cui imprese hanno una contenuta dimensione multinazionale: ancora nel 2009, secondo i dati elaborati dall’UNCTAD, il rapporto tra lo stock di investimenti diretti all’estero (IDE) e il Pil era pari per il nostro Paese a poco più del 27%, contro il 76% del Regno Unito, il 65% della Francia, il 44% della Spagna e il 41% della Germania, storicamente gravata dal processo di integrazione con la ex-Ddr. Pesano su questo stato dell’arte note peculiarità del sistema economico nazionale: prevalenza di piccole e medie imprese, specializzazione industriale centrata sul made in Italy o comunque su settori che, per vocazione, privilegiano modalità mercantili di internazionalizzazione (esportazioni, catene di subfornitura internazionali, ecc.). La notizia recente di maggiore interesse è che negli anni della crisi (2008-2009), i flussi annuali di IDE dall’Italia verso l’estero hanno subito una contrazione minore che nel caso degli altri maggiori | 6 |
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Paesi europei, superando contingentemente quelli di Regno Unito e Spagna e avvicinandosi nel 2009 a quelli della Germania. Prosegue in tal modo l’inseguimento multinazionale del Paese verso livelli più consoni al suo peso economico nel mondo e più simili a quelli raggiunti dalle maggiori economie industrializzate. In questo scenario, è di interesse chiedersi quali siano i protagonisti della crescita multinazionale. Se si guarda ai settori chiave dell’industria e dei servizi alle imprese (escluse le banche e le altre attività finanziarie), il database Reprint, promosso dall’ICE e realizzato presso il Politecnico di Milano, ci dice che il club delle imprese italiane multinazionali è composto da circa 6.500 soggetti, con quasi 23mila partecipate all’estero, le quali occupano oltre un milione e 352mila dipendenti, per un fatturato all’estero che ha superato i 460 miliardi di euro nel 2008. Il club è composto per quasi il 30% da microimprese, con un
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numero di dipendenti della casamadre inferiore a 50 dipendenti, per poco più del 6% da grandi imprese, ovvero la cui casamadre supera la soglia dei mille dipendenti e per ben il 64% da medie imprese, con taglia della casamadre compresa tra i 50 e i 1.000 dipendenti. Si tratta di un corpo di quasi 4.200 imprese che taluni analisti hanno descritto come “quarto capitalismo” italiano, composto da imprese di eccellenza, spesso leader di nicchia sui mercati internazionali, che hanno saputo innovare i prodotti e conquistare i mercati tramite una presenza diretta, con filiali commerciali e stabilimenti produttivi esteri. Nel corso degli Anni Duemila, questo insieme di imprese è cresciuto all’estero in misura più rilevante delle altre categorie, con una dinamica particolarmente accentuata per la classe dimensionale compresa tra i 250 e i 500 addetti. A tale crescita si è accompagnata una peculiare dinamica settoriale. Le imprese che hanno aumentato in misura maggiore la loro presenza all’estero
Negli anni più recenti, anche le direttrici sono cambiate. L’Unione Europea assorbe metà delle presenze, ma le iniziative nell’area del Pacifico e in Asia sono cresciute in numero e soprattutto in termini di spessore strategico appartengono ai settori specialistici della meccanica e ai settori ad alta intensità tecnologica (soprattutto strumentazione scientifica, farmaceutica e chimica fine, anche se in questo comparto dell’alta tecnologia giocano un ruolo di rilievo alcune grandi imprese, come Finmeccanica nel settore della difesa). Seguono, per performance aggregata di crescita, le imprese dei servizi, se pur a partire da una base iniziale alquanto ristretta. Appare invece in contrazione il vasto comparto dei settori tradizionali, ove pesano www.ict4executive.it
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figura 1 - variazione dei dipendenti all’estero delle imprese multinazionali italiane, per dimensioni della casamadre, 2001-2009
Fonte: Banca dati Reprint, ICE-Politecnico di Milano
1.000 e più dipendenti
6,8%
Da 500 a 999 dipendenti
45,8%
Da 250 a 499 dipendenti
74,0%
Da 50 a 249 dipendenti
38,7%
Meno di 50 dipendenti
12,9% 0%
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30%
40%
i disinvestimenti da precedenti iniziative di delocalizzazione produttiva, rivelatesi spesso fragili e di breve respiro strategico. Questa dinamica riflette da vicino la silenziosa, ma importante ristrutturazione che nel corso del decennio appena trascorso ha investito l’industria italiana, con l’emergere, anche sul fronte delle esportazioni, della filiera meccanica e di altre attività a medio-alto livello tecnologico in qualità di settori chiave della competitività del paese.
Fonte: Banca dati Reprint, ICE-Politecnico di Milano
In termini geografici, la UE-27 assorbe ancora poco più della metà delle presenze italiane all’estero in termini di dipendenti delle imprese partecipate e l’intera Europa raggiunge una quota di quasi
50%
60%
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80%
due terzi. Questo modello di forte gravitazione sui mercati “domestici” del Vecchio Continente mette in luce il gap di globalità del nostro sistema economico. Tuttavia negli anni più recenti, anche le direttrici dell’IDE italiano stanno cambiando. Le iniziative nell’area del Pacifico e in Asia sono cresciute significativamente in numero e soprattutto in termini di spessore strategico. Limitandoci alla Cina, numerose imprese italiane hanno costruito nuovi stabilimenti o acquisito imprese locali nei settori della metalmeccanica, della chimica, nella gomma, nel tessile e nella filiera dei prodotti elettrici ed elettronici, nella maggiore parte dei casi con l’obiettivo di conquistare il mercato locale.
figura 2 - variazione dei dipendenti all’estero delle imprese multinazionali italiane, per macro-settore, 2001-2009
Industrie tradizionali
-21%
Industrie scale intensive
+8%
Industrie specialized suppliers
+27%
Industrie science based
+75%
Servizi alle imprese (logistica e trasporti, ICT, servizi tecnici e professionali
+35%
Totale
+15% -40%
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Gli investimenti diretti all’estero nei servizi di telecomunicazione e informatica: ombre e luci Gli investimenti all’estero delle imprese italiane nei settori dei servizi alle imprese sono generalmente cresciuti e si sono consolidati in questi ultimi anni. Tuttavia, tra questi settori, quello dei servizi di telecomunicazione e di informatica è l’unico a mostrare una riduzione della consistenza delle partecipazioni all’estero nel corso degli Anni Duemila: nonostante sia moderatamente cresciuto il numero delle imprese italiane con partecipazioni all’estero, il numero dei dipendenti ha subito un drastico ridimensionamento, pari al -43% tra il 2001 e il 2009.
riconducibile alle sole attività italiane. Nei servizi di telecomunicazione è invece in ascesa la presenza internazionale di Buongiorno, la quale, a dispetto delle dimensioni ancora modeste in termini assoluti, è divenuta in pochi anni – grazie a numerose acquisizioni, tra le quali particolare rilevanza ha avuto quella della britannica iTouch, conclusa nel 2007 – leader mondiale nel digital mobile entertainment. Attualmente Buongiorno lavora con oltre 120 operatori telefonici, internet e gruppi media in 57 diversi paesi dei cinque continenti, con oltre mille professionisti dislocati in 24 uffici dedicati alla creazione e distribuzione di ogni tipo di contenuto per cellulare: musica, giochi, video, wallpaper, suonerie, servizi usergenerated, chat, tv voting, quiz e pubblicità. Nel settore del software e dei servizi di informatica ben poche imprese a base italiana possono vantare una struttura veramente multinazionale. Tra di esse, merita senz’altro di essere citata Value Partner, società che ha progressivamente allargato il proprio ambito di attività, rafforzandolo con l’acquisizione di Etnoteam, realtà storica dell’ICT italiana. Nel settore, è attiva tramite Value Team, società che dispone di sedi in Italia, Finlandia, Turchia, Germania, Argentina e Brasile. In quest’ultimo Paese, il gruppo ha messo a segno nel 2006 due importanti acquisizioni: Relacional, attiva nell’integrazione di sistemi, e Mitsucon, specializzata negli applicativi per il settore finanziario. In seguito a esse, la società conta oggi su oltre 500 consulenti distribuiti tra le sedi di San Paolo, Rio de Janeiro e Buenos Aires. Da ricordare infine, BravoSolution, del gruppo Italcementi, che rappresenta oggi il secondo player mondiale nel software per la gestione della supply chain, con una presenza diretta in dodici paesi, tra Europa, Asia, Africa e Nord America (negli Usa, in particolare, ha acquisito nel 2007 la concorrente VerticalNet).
Tale dinamica riflette la generale repentina involuzione della new economy, ma soprattutto le dismissioni operate a partire dal 2002 da Telecom Italia e da Tiscali. Telecom Italia, dopo la privatizzazione, avvenuta nel 1997, ha subito due leveraged buyout e quattro cambi di proprietà. In questo travagliato periodo la società si è trasformata da operatore con ambizioni globali a operatore prevalentemente domestico e solo nel periodo più recente si assiste a una ripresa della sua proiezione internazionale. In seguito alle numerose dismissioni all’estero, la società mantiene posizioni di rilievo solo in America Latina, in particolare, in Brasile, dove Tim Brasil è il secondo operatore di telefonia mobile di quel Paese, con una quota di mercato pari a circa un quarto del totale. Telecom Italia detiene inoltre indirettamente il controllo di Telecom Argentina, il principale operatore del Nord del paese latinoamericano, dopo avere risolto nel corso del 2010 un contenzioso con l’Autorità antitrust argentina, durato più di tre anni. Con la cessione nel 2009 delle attività di Tiscali Uk, si è invece completata la ritirata dalle scene internazionali dell’impresa sarda, il cui perimetro di operatività, allargato nei primi anni novanta a numerosi paesi europei, è oggi di nuovo sostanzialmente
tabella - Le partecipazioni italiane all’estero nel settore dei servizi di telecomunicazione e informatica, 2009 Partecipazione di controllo
Partecipazioni paritarie/minoritarie
Totale
Imprese italiane investitrici (n.)
153
81%
50
26,5%
189
100%
Imprese estere partecipate (n.)
514
84,8%
92
15,2%
606
100%
Dipendenti (n.)
26.375
58,6%
18.608
41,4%
44.983
100%
Fatturato (Mn. Euro)
9.592
78,1%
2.687
21,9%
12.279
100%
Fonte: Banca dati Reprint, ICE-Politecnico di Milano
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cover story | I l cl u b d e l l e impr e s e ita l ian e m ultina z i o na l i
Il nostro Paese può e deve scommettere sull’internazionalizzazione. Le imprese debbono ampliare la loro visione strategica e destinare con fiducia più risorse finanziarie e manageriali ai processi di crescita multinazionale Le imprese italiane hanno poi “riscoperto” gli Stati Uniti, anche grazie alla debolezza relativa del dollaro. L’operazione Fiat-Chrysler e l’acquisizione di DRS Technologies da parte di Finmeccanica sono capofila di una discreta serie di operazioni che ha visto protagonisti nomi noti del panorama industriale italiano, sul fronte sia delle acquisizioni che dei nuovi insediamenti produttivi in terra statunitense: nel triennio 2007-2009 hanno effettuato acquisizioni imprese come Bracco, Brembo, Campari, Eni, Italcementi, Luxottica, Mapei, Pirelli, Saes Getters, Zambon, mentre hanno realizzato nuovi insediamenti produttivi, tra le altre, Arneg, Barilla, Ferrero, Marazzi, Panaria Group, Trafomec Group. Vi sono poi nomi meno noti di piccole e medie imprese, le quali, con acquisizioni mirate, sono state capaci di rafforzare la loro posizione leader in specifiche nicchie di mercato. Vogliamo tra queste citare la cuneese Eurostampa, produttrice di etichette di pregio per i più importanti marchi internazionali dell’industria alimentare e delle bevande, che ha acquisito la Pepper Printing di Cincinnati, divenendo una delle maggiori imprese mondiali in questa specifica attività. E la pugliese Mer Mec, attiva nel campo delle soluzioni avanzate per il monitoraggio e la misura delle infrastrutture ferroviarie, che ha acquisito ImageMap, specializzata nelle tecnologie optoelettroniche indirizzate al mercato dell’alta velocità. Nel complesso, il quadro che emerge è una sostanziale tenuta, nonostante la crisi, della crescita all’estero delle nostre imprese: non si sono verificati rilevanti disinvestimenti e si è piuttosto assistito a episodi in cui le nostre imprese hanno saputo cogliere opportunità di espansione internazionale. Si può anzi affermare, anche sulla base dei numerosi indizi che ci derivano da incontri e colloqui con gli operatori, che le imprese italiane di eccellenza tendono sempre più a mettere in relazione la loro crescita dimensionale, per linee interne o per linee esterne, all’incremento del loro grado di internazionalizzazione, piuttosto che all’espansione della capacità produttiva e della forza commerciale sul mercato domestico. E l’internazionalizzazione viene concretizzata tramite l’inserimento non solo nei mercati ricchi dei paesi industrializzati, ma anche e soprattutto nelle nuove economie, che hanno tassi | 10 |
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di crescita da tre a quattro volte superiori a quelli delle economie mature e di quella italiana, in particolare. Il conseguimento di una statura multinazionale è così divenuto il principale driver della crescita delle imprese e della loro strategia di creazione del valore, date le favorevoli condizioni che per il suo tramite esse riescono ad avere nel puntare ad aumenti significativi del fatturato e della redditività. È importante sottolineare che la capacità delle imprese nell’essere allineate e nel creare sinergie ed esternalità positive con la globalizzazione ha una rilevanza che va oltre il perimetro degli interessi degli azionisti e degli stakeholder con cui esse interagiscono. La loro forza propulsiva è tale per cui esse divengono le leve della crescita e della competitività delle economie nazionali e locali in cui operano e con cui interagiscono. Le imprese multinazionali, piccole o grandi che siano, si propongono perciò sempre più come mezzo essenziale di allineamento in senso compiuto di un paese ai nuovi paradigmi dell’economia, della finanza e della concorrenza globale. A questa interpretazione si raccorda anche l’evidenza empirica sugli effetti virtuosi dell’espansione internazionale delle imprese. Anche guardando all’occupazione, sono infondati i timori che l’espansione all’estero delle nostre imprese sia una “fuga” che comporta una riduzione dell’occupazione in patria. Le ricerche condotte con riferimento sia all’Italia che ad altri paesi dimostra una correlazione sovente positiva tra la crescita dell’occupazione all’estero e la crescita dell’occupazione presso la casamadre, accompagnata dall’upgrading della qualità delle risorse umane impiegate. Il nostro Paese, in tutte le sue componenti, può e deve scommettere sull’internazionalizzazione. Le imprese debbono ampliare la loro visione strategica e destinare con fiducia più risorse finanziarie e manageriali ai processi di crescita multinazionale. Il sistema-paese deve sapere assicurare le esternalità e le condizioni infrastrutturali e di governance atte a promuovere e sostenere i nuovi modelli di crescita all’estero. In particolare, le politiche a sostegno dell’internazionalizzazione delle imprese andrebbero rivisitate, con riguardo sia all’incentivazione e al sostegno finanziario dato alle operazioni, sia all’impianto politico-istituzionale (ambasciate, camere di commercio e uffici all’estero, ecc.), sia ai servizi reali alle imprese. Un’attenta valutazione delle esperienze sin qui maturate, che conduca a un bilancio tra costi sostenuti e benefici collettivi ottenuti, dovrebbe essere il necessario presupposto per la definizione tempestiva di politiche e misure più adatte a cogliere le opportunità del prossimo ciclo di espansione mondiale degli IDE, che potrebbe risultare favorevole alle nostre imprese e strategico per la competitività del Paese.
I N TE R V IS TA
di
De’Longhi, una multinazionale “tascabile” italiana di successo
umberto bertelè
presidente mip School of Management Politecnico di Milano
Il Gruppo trevigiano, presente oggi in circa 50 Paesi con 7mila dipendenti, ha ottenuto nel 2010 una significativa crescita del fatturato e il raddoppio del titolo a Piazza Affari. Con Fabio De’Longhi, figlio del fondatore, attuale vicepresidente e Amministratore Delegato, ripercorriamo le tappe più significative della storia recente dell’impresa e le scelte strategiche rivelatesi vincenti
La prima impressione, guardando al profilo di De’Longhi, è di trovarsi davanti a un tipico esempio (utilizzando un termine in voga diversi anni fa) di multinazionale tascabile italiana di successo.
Di successo, come appare anche dal recentissimo rapporto Mediobanca (laudativo sin dal titolo “Small appliances, big potentials”), perché si presenta in crescita su tutti i fronti: nella capitalizzazione di Borsa, 1 miliardo di euro circa, ove il quasi raddoppio nel 2010 ha permesso di recuperare completamente il terreno perduto durante la crisi; nel fatturato, aumentato significativamente nel 2010 e in ulteriore aumento nel 2011; nelle quote di mercato, per le posizioni rubate su scala mondiale - in primo luogo nelle macchine per il caffè - ai principali competitori; nella presenza nei Paesi, quali la Cina, che presentano lo sviluppo più consistente della domanda. Tascabile per le dimensioni: 1 miliardo di euro circa di valore, come detto; 1,6 miliardi di euro circa di | 12 |
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fatturato e 75 milioni di utile netto nell’anno appena trascorso; un po’ più di 7 mila dipendenti. Multinazionale per la presenza commerciale capillare in molti Paesi del mondo (50 circa), che fa sì che le vendite in Italia rappresentino solamente un quinto del totale, e per la localizzazione all’estero (in Cina in primo luogo) della maggior parte della produzione e degli addetti. Italiana per la capacità, dimostrata in tutto l’arco della sua storia ormai quarantennale, di essere innovativa nei prodotti in comparti considerati “tradizionali”. E per la capacità, per diversi di essi (a partire dalle macchine per il caffè), di sfruttare il prestigio di cui gode lo stile di vita italiano su scala mondiale: “the De’Longhi brand is ambassador in the world of the italian capability to combine technology, style, quality and innovation, favouring a unique and sustainable lifestyle”, recita in apertura il sito. Le small appliances citate in precedenza - dalle macchine automatiche per il caffè ai robot da cucina,
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Intervista a
fabio de’longhi vicepresidente e Amministratore delegato de’longhi group
dai ferri da stiro ai condizionatori portatili - costituiscono la componente principale del portafoglio prodotti di De’Longhi e sono concentrate nella divisione household. Rappresentano un insieme eterogeneo dal punto di vista della progettazione e della produzione, ma hanno in comune i canali commerciali attraverso cui viene effettuata la vendita alle famiglie e godono della copertura dei due principali brand (De’Longhi e Kenwood) con cui opera la società. Parallelamente De’Longhi è presente anche, con marchi differenti, nelle apparecchiature fisse per il riscaldamento e per il condizionamento, concentrate nella divisione professional: in una sorta di continuità tecnologica con quelle portatili vendute direttamente alle famiglie, ma destinate al canale completamente diverso degli operatori di montaggio nel comparto edilizio. De’Longhi è cresciuta, con momenti di discontinuità anche forti (quali il passaggio da terzista a
produttore con un forte brand negli Anni 80 piuttosto che l’acquisizione di Kenwood nei primi Anni duemila), ampliando continuamente il suo portafoglio prodotti e variegando la tipologia della sua clientela. Una strategia molto apprezzabile per la capacità dimostrata di creare prodotti vincenti, ma che può comportare (almeno guardando alle esperienze passate di molte imprese) difficoltà di gestione connesse alla complessità del portafoglio stesso. Mi piacerebbe avere un Suo punto di vista su questo tema, in particolare su quelle che Lei ritiene essere le sinergie più importanti a fronte della predetta complessità. L’azienda per sua natura è sempre stata indirizzata alla crescita e non ha mai voluto essere legata a un singolo prodotto, per quanto di successo. Inizialmente producevamo radiatori a olio portatili, poi - con il famosissimo Pinguino - venne il condizionamento portatile e decidemmo di sviluppare anche prodotti fissi di condizionamento murale [di affiancare cioè la componente professional alla household]. Poi vennero i prodotti - quali i forni, le friggitrici e le macchine da caffè - per la cucina, i ferri da stiro e le macchine per la pulizia. All’inizio degli Anni 2000 ci siamo trovati con un portafoglio davvero variegato e complesso, senza necessariamente avere le masse critiche e il posizionamento adeguato sul mercato per tutti i prodotti. A partire dalla seconda metà degli Anni 2000 abbiamo adottato una nuova logica, riducendo progressivamente la numerosità nell’ambito delle famiglie di prodotti e cercando di concentrarci su quelli da noi ritenuti core. Abbiamo per esempio abbandonato i prodotti per la pulizia della casa quali i pulitori ad acqua e i battitappeto ed abbiamo invece puntato sulle scope elettriche, prodotti per noi strategici. Abbiamo abbandonato buona parte dei ferri da stiro tradizionali, per concentrarci maggiormente sui sistemi stiranti. Abbiamo cioè iniziato a fare pulizia nel nostro portafoglio prodotti, pur senza apportare cambiamenti drastici quali il totale abbandono di intere famiglie di prodotti per noi di minore rilevanza. Abbiamo ricalibrato l’attività dei nostri centri di R&D e i nostri investimenti: puntando molto sulle macchine per il caffè, per le loro prospettive di crescita; continuando a puntare sul riscaldamento e sul raffreddamento portatile, ossia sulle famiglie di prodotti con cui siamo nati; riducendo gli sforzi www.ict4executive.it
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in altre categorie. Abbiamo inoltre sempre cercato di razionalizzare le gamme in base ai risultati raggiunti dai singoli prodotti e di semplificare l’offerta. L’indirizzo attuale è quello di proseguire nel lancio
La storia di De’Longhi da Treviso al mondo Con sede a Treviso e una presenza commerciale globale, De’Longhi opera nei settori della climatizzazione, del riscaldamento e dei prodotti per la cottura e la pulizia. Alla divisione Household, localizzata principalmente in Cina, fa capo la produzione di elettrodomestici destinati al mercato consumer - in cui opera principalmente con i marchi De’Longhi e Kenwood - mentre la divisione Professional produce, principalmente in Italia, sistemi di termo raffreddamento e condizionamento rivolti all’utenza business. L’impresa, fondata nel 1902 per la produzione di stufe a legna, si afferma nel corso degli Anni 70 come fornitore di radiatori e componentistica. Nel corso degli Anni 80 inizia a rivolgersi al mercato consumer espandendo il proprio portafoglio prodotti nel comparto del condizionamento portatile (tra cui il celebre modello Pinguino) e iniziando a comunicare il proprio brand presso il grande pubblico, in particolare attraverso la sponsorizzazione del team Tyrrel in Formula 1. Il processo di espansione continua nel corso degli Anni 90, in cui l’impresa amplia le proprie sussidiarie a livello globale e rafforza il proprio portafoglio inserendosi nel mercato dei prodotti per la cottura e delle macchine da caffè, raggiungendo un fatturato di 550 milioni di euro e 2.000 dipendenti. È però negli anni 2000 che De’Longhi accelera la crescita, acquisendo Kenwood, quotandosi sulla Borsa italiana ed intraprendendo il processo di delocalizzazione degli impianti produttivi della divisione Household in Cina. Nel 2010 l’azienda contava circa 7.000 dipendenti, di cui 5300 nella divisione Household e 2600 in Italia, e ha registrato un fatturato di circa 1,6 miliardi di euro, crescendo del 15% sull’anno precedente e recuperando appieno le perdite di fatturato subite nel 2009 quando i ricavi furono di 1,4 mld, l’8% in meno rispetto al 2008. Quasi l’80% del fatturato deriva da prodotti della divisione Household, ed in particolare dalle macchine per il caffè e i robot da cucina. | 14 |
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di nuovi prodotti, privilegiando il completamento delle gamme esistenti rispetto all’entrata in nuove categorie. Nel vostro settore c’è una richiesta significativa di personalizzazione dei prodotti per area geografica? O riuscite a vendere lo stesso identico prodotto in tutti i Paesi? Si tende ad avere prodotti unici a livello globale, con due tipi di varianti però indispensabili: la prima legata al fatto che i prodotti elettrici devono rispettare normative, omologazioni e standard elettrici in generale differenti per area geografica; la seconda alla necessità, a livello elettronico, di configurare la lingua per ciascun Paese. Ci possono pure essere personalizzazioni “in senso stretto”, sebbene si cerchi di limitarle al massimo, per venire incontro ad abitudini consolidate diverse: negli Stati Uniti ad esempio i forni vengono utilizzati anche per tostare il pane, mentre in Europa questo non accade. Ci sono poi considerazioni più legate al marketing e alla comunicazione di prodotto, che possono portare a differenziare la grafica o l’imballaggio: a differenza degli italiani, gli americani detesterebbero ad esempio vedere - nell’immagine promozionale di una griglia - la testa del pesce crudo. Anche se talora l’effetto novità fa’ premio sulla fedeltà alla tradizione: come è accaduto in Cina con il successo delle macchine da caffè di colore blu - in una gamma ove gli altri colori erano il rosso e il nero - nonostante il blu sia da sempre associato ai funerali. De’Longhi realizzò la prima “grande svolta” negli Anni 80, che le permise l’ingresso nel club dei produttori di marca - vitale per chi ha prevalentemente come clienti le famiglie e non vuole rassegnarsi a una esistenza da terzista - entrando come sponsor nella Formula Uno. E da allora, coerentemente con il posizionamento elevato della maggior parte dei suoi prodotti, ha sempre dimostrato una notevole abilità nel gestire i suoi brand (in particolare De’Longhi e Kenwood). Mi sembra di capire, anche dalla presentazione fatta ai miei studenti di ingegneria gestionale al Politecnico, che la Vostra
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«Ritengo impensabile produrre in Cina senza avere in loco anche la componente di ricerca e sviluppo. Ed è capitato che alcune soluzioni tecniche siano state concepite in quei laboratori e poi utilizzate nel gruppo a livello mondiale»
idea portante sia quella di usare lo stesso brand - ad esempio De’Longhi - per prodotti diversi accumunati dalla forte connotazione di unicità: un po’ come fa in un altro campo Ferrero, che però pone una enfasi più forte sul nome dei singoli prodotti (a somiglianza di quello che Voi faceste nel lanciare il celebre Pinguino). È una idea portante che fa perno sull’uso del brand come cappello protettivo, ma che impone poi di mettere in campo solo prodotti che siano riconosciuti coerenti con l’immagine complessiva, pena il deterioramento dell’immagine stessa. Mi piacerebbe conoscere il Suo punto di vista. Sia puntare sul brand globale che su quello dei singoli prodotti comporta vantaggi e svantaggi. Puntare sul brand globale permette di dare piena visibilità al gruppo, di attivare possibili economie di comunicazione e di rendere più agevole - coeteris paribus - l’entrata sul mercato di nuovi prodotti. Puntare su brand di prodotto può permettere una più elevata focalizzazione ed evitare, se un nuovo prodotto non si rivela all’altezza degli altri, di compromettere il brand globale. Noi abbiamo una strategia un po’ ibrida e puntiamo sia sul brand globale (De’Longhi o Kenwood) sia sul nome del prodotto o della categoria (come nel caso citato del Pinguino). Come logica per il futuro abbiamo comunque intenzione di cercare di dare più spazio al primo. De’Longhi è stata molto tempestiva e coerente, sin dai primi anni Duemila, nel delocalizzare (soprattutto per la componente household) la maggior parte delle sue attività produttive - lasciando sostanzialmente in Italia gli headquarter e le attività più orientate all’innovazione - e si è guadagnata con questo un differenziale competitivo significativo rispetto ai competitori. Ha inoltre la grossa fortuna di avere una presenza produttiva molto rilevante proprio in Cina, cioè in uno dei mercati a maggior crescita su scale mondiale. Ritiene che la strada della delocalizzazione della produzione che avete intrapreso diversi anni fa sia ancora premiante in termini competitivi o che abbia perso mordente perché tutti i competitori hanno effettuato
scelte simili o si sono addirittura localizzati in Paesi (quali il Vietnam) a costo del lavoro più basso? Esiste il rischio che la delocalizzazione in Cina alimenti con il proprio know-how, come accaduto in molti altri comparti, l’emergere di pericolosi competitori locali? Avete in mente di localizzare in Cina anche una parte delle attività innovative, per cogliere meglio gli stimoli che possono nascere dalla crescente domanda locale? Parlando limitatamente al settore household e in relazione al costo della manodopera, la Cina è ancora estremamente competitiva rispetto all’Europa. In primo luogo perché, pur essendo l’inflazione molto più bassa nella seconda rispetto alla prima, il divario nei valori assoluti degli stipendi di partenza fa sì che scatti dell’ordine del 2% in Europa abbiano un impatto assoluto più rilevante che non scatti dell’ordine del 15% in Cina. In secondo luogo perché la Cina presenta ancora un notevole margine di incremento di efficienza tramite l’investimento in tecnologie. La manodopera, peraltro, non è per noi importante come in altri settori (quali il tessile). Non riteniamo quindi necessario spostarci in luoghi a più basso costo della manodope-
l’Internazionalizzazione di de’longhi 1986
Stati Uniti, Messico
1989
Regno Unito
1990
Francia
1993
Olanda e Belgio
1994
Russia/C.S.I.
1995
Germania, Giappone
1997
Canada
2001
Austria, Hong Kong, Malesia, Singapore, Sud Africa
2003
Australia, Nuova Zelanda, Spagna
2005
Irlanda, Grecia, Cina
2006
Turchia
2007
Repubblica Ceca, Slovacchia, Svizzera
2008
Croazia
2009
Brasile - Polonia - Portogallo www.ict4executive.it
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«Siamo andati in Borsa subito dopo l’acquisizione di Kenwood e riteniamo l’esperienza soddisfacente. L’esigenza di fornire continuamente dati agli azionisti, di tenere sotto controllo il circolante e di ottenere risultati visibili rappresenta un esercizio utile e obbliga alla disciplina»
ra, quali il Vietnam o le stesse zone interne della Cina (che notoriamente presentano un divario nei salari notevole rispetto alla costa), anche considerando che la complessità della componentistica da noi utilizzata renderebbe difficile lo spostamento integrale di tutti i macchinari.
Le vendite sul mercato italiano della divisione household sono inferiori al 15% del totale. Il 70% del fatturato della divisione deriva da prodotti per la cucina e macchine per il caffè
Per quanto concerne la concorrenza, ritengo che in generale il numero di concorrenti sia già arrivato ai livelli massimi e si stia riducendo: con imprese che scompaiono, a fronte di altre che si rafforzano. In termini più specifici mi sembra che nel nostro settore non ci siano marchi cinesi importanti, che le imprese cinesi non abbiano network distributivi e siano ancora solo fabbriche. Non vedo quindi rischi in questo senso. Noi abbiamo strutture di R&D in Cina e ritengo impensabile produrre senza avere in loco anche la componente di ricerca e sviluppo. Ed è capitato che alcune soluzioni tecniche siano state concepite in quei laboratori e poi utilizzate nel gruppo a livello mondiale. L’elemento che a mio avviso determinerà la capacità della Cina di competere sul mercato mondiale sarà il tasso di cambio, soprattutto nei confronti
la presenza internazionale (divisione household) ex URSS 7,4%
Altri Est Europa 2,4%
Germania 11%
Resto d’Europa 25,4%
Regno Unito 8,6% Giappone 3,6% Italia 13,2%
Nord America 7,4% Resto del mondo 21%
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dell’Europa. Bisognerà vedere come si muoverà il cambio euro/dollaro. De’Longhi ha scelto di quotarsi in Borsa all’inizio degli anni Duemila. Siamo in un momento storico in cui le uscite dalla Borsa superano le nuove entrate e sono frequenti le lamentele: per la pesantezza degli obblighi e per i costi che la quotazione comporta; per le fluttuazioni nella capitalizzazione esagerate, rispetto alle fluttuazioni nei risultati e nelle aspettative, cui le società quotate sono esposte; per l’obbligo (e questo sarebbe un vantaggio) a un forte rigore ma anche (e questo può essere uno svantaggio) per il privilegio che si deve dare al breve periodo. Voi avete rappresentato probabilmente uno dei pochi casi di successo di IPO effettuati negli ultimi 10-12 anni, ma siete stati anche soggetti alle montagne russe durante la fase più acuta della crisi, con una discesa molto accentuata e il successivo completo recupero nell’ultimo anno. Qual è il vostro bilancio complessivo sull’esperienza di quotazione? Siamo andati in Borsa subito dopo l’acquisizione di Kenwood e riteniamo l’esperienza complessivamente soddisfacente. È vero che mentre un’impresa dovrebbe avere una visione di lungo periodo per il proprio sviluppo industriale, la Borsa ragiona prevalentemente sul cortissimo raggio e obbliga a ricercare un punto di equilibrio fra le due esigenze. Ma d’altro canto l’esigenza di fornire continuamente dati agli azionisti, di tenere sotto controllo il circolante (anche nei momenti di maggiore difficoltà come durante la crisi) e di ottenere risultati visibili rappresenta un esercizio utile e obbliga alla disciplina. De’Longhi, vista dal di fuori, sembra attribuire molta rilevanza nella sua comunicazione al fatto di essere un’impresa con la testa in Italia, ancorchè con molte delle sue attività sparse nel mondo. Quanto ritenete che l’essere un’impresa italiana abbia contribuito al vostro successo? In generale, nel mondo industriale, l’essere italiani non è un valore forte. Il prodotto italiano può essere visto come bello dai consumatori internazionali, ma
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Il Sistema Informativo come leva strategica per l’internazionalizzazione del Gruppo - Intervista a Daniele Faccioni, Group CIO – De’Longhi La crescita e l’espansione internazionale del Gruppo De’Longhi ha potuto realizzarsi grazie anche a una strategia che, a partire dalla metà degli Anni 90, ha puntato sullo sviluppo di un Sistema Informativo omogeneo e capillare, che oggi rappresenta lo scheletro che supporta tutte le attività della multinazionale. Nel ‘95, infatti, venne presa la decisione di introdurre il gestionale di SAP, una scelta che oggi può apparire ovvia ma che allora non lo era, dal momento che vi erano sul mercato molti altri fornitori che avevano pieno titolo per essere selezionati e che oggi non esistono più. Questa continuità nel tempo ha permesso al software di accompagnare la crescita del Gruppo, sia da un punto di vista dimensionale sia da un punto di vista geografico, e attualmente più del 90% del fatturato è gestito attraverso un unico sistema informativo, che poggia su tre data center: il principale si trova a Treviso, e serve l’Europa, alcuni paesi del Far East ed il Sud Africa, un altro è ad Honk Hong, e serve le attività in Cina, Singapore e Malesia, e un terzo a New York, utilizzato da USA e Canada. Per l’utente che accede alle informazioni, la collocazione fisica del dato è completamente trasparente. «Quando abbiamo spostato le fabbriche, - racconta Daniele Faccioni, Group CIO dal ‘95 - i Sistemi Informativi ci hanno permesso di mantenere una totale integrazione. Le prime installazioni SAP in Cina sono state immediatamente successive all’acquisizione di Kenwood, nel 2001, che portava in eredità una fabbrica e una società di Trading. Abbiamo diminuito la distanza sia fisica sia culturale: le persone italiane che erano state collocate nei ruoli più significativi in Cina erano in grado di utilizzare il sistema informatico che già conoscevano, mentre dall’Italia venivano eseguite attività di pianificazione e controllo, con conseguenze dirette sulle fabbriche cinesi». In questo periodo De’Longhi ha avviato anche un processo di internalizzazione delle organizzazioni di vendita, passando da una rete basata su distributori ad una basata prevalentemente su filiali proprie, nelle quali è stato installato lo stesso sistema gestionale. Un passo significativo è stato, nel 2000, la costituzione di una società autonoma, eServices, dove sono confluite le attività ICT del Gruppo. Oggi eServices conta circa 60 persone, la maggior parte a Treviso e altre nelle sedi internazionali. «Dare ai Sistemi Informativi una valenza societaria – spiega il CIO - ci ha dato diversi vantaggi. In primo luogo, assumere il ruolo di fornitore nei confronti di tutte le società del gruppo ha richiesto di operare secondo criteri di efficienza e competitività. Secondo, ci ha consentito di erogare anche ad altre aziende gli stessi
servizi - dalla vendita delle licenze fino alla gestione in outsourcing del sistema informativo -, facendoci acquisire nuove competenze. Inoltre, rivestire contemporaneamente la figura di cliente e quella di partner di SAP ci dà un notevole vantaggio non solo economico, ma soprattutto dal punto di vista della visibilità sulle strategie del nostro fornitore». Da un punto di vista amministrativo e di controllo, De’Longhi riesce oggi ad avere, a livello centrale, una immediata visibilità sull’andamento globale, in profondità. Avendo un unico sistema, il dato aggregato può essere infatti analizzato fino alla singola transazione indipendentemente da dove questa è avvenuta, grazie ai sistemi di Business Intelligence e BPC (Business Planning and Consolidation) allo stato dell’arte. Per quanto riguarda il ciclo dell’ordine, tutti i principali clienti in USA e Europa hanno con De’Longhi un rapporto basato sull’EDI, con sofisticazioni abbastanza significative per assecondare le varie esigenze. Sui magazzini centrali, gestiti internamente, e su quelli di secondo livello terziarizzati, che consegnano al cliente finale, c’è ovviamente piena visibilità delle giacenze e delle attività di consegna effettuate. I fornitori, sia di prodotto finito che di componentistica, usufruiscono di portali dove possono vedere l’evoluzione degli ordini di acquisto ed interagire con l’azienda per quanto riguarda la gestione delle consegne: questo in Italia è relativamente ovvio, ma in Cina non lo è. Spiega Faccioni: «Per raggiungere i livelli di servizio che il mercato ci chiede dobbiamo anticipare moltissimo, lavoriamo prevalentemente su previsione. Un importante step è stato quello di inserire nel sistema di Supply Chain Management il concetto di “responsabilità commerciale”, con la definizione delle figure di “stock owner”, che inseriscono i forecast di vendita nel sistema secondo un criterio “rolling”, man mano che hanno sensibilità dell’andamento del loro mercato. Questi forecast sono la base della pianificazione nei confronti dei fornitori e di ottimizzazione dei magazzini lungo tutta la catena logistica, che parte dalla fabbrica in Cina e arriva fino ai magazzini delle filiali. È un processo continuo lungo il quale le informazioni sono disponibili in tempo reale. Enunciarlo è banale, cercare di controllarlo e gestirlo molto meno. Questo sistema ha risposto alla richiesta di maggiore controllo e attenzione nei confronti del circolante a livello di magazzino che si è manifestata negli ultimi anni». Manuela Gianni www.ict4executive.it
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«Il gruppo ha sempre investito molto in IT dotandosi di una struttura interna che si occupa dell’informatizzazione. Il 90 per cento della nostra impresa opera con lo stesso sistema gestionale, che abbiamo adottato da una decina di anni e di cui utilizziamo tutti i moduli principali»
difficilmente viene considerato in quanto tale come prodotto di altissima qualità. Diversa è la percezione per le macchine da caffè o per i prodotti per la cucina, dal momento che nell’immaginario globale gli italiani sanno fare bene il caffè e sanno cucinare bene. Il marchio De’Longhi è riconosciuto come italiano e ha quindi, in questi segmenti di mercato, un valore aggiunto rispetto ai concorrenti. La Germania, invece, è molto più vista come sinonimo di precisione e qualità: per cui non esiste un produttore di elettrodomestici bianchi italiano significativamente presente sul mercato tedesco. È stata per questo per noi una soddisfazione il mese scorso esserci aggiudicati un premio in Germania [il Best Brand 2011], rientrando tra i primi 10 brand per tasso di crescita - in quinta posizione [con Apple in testa al gruppo] - nella percezione dei consumatori tedeschi. De’Longhi ha sempre perseguito una strategia volta a portare nuovi prodotti sul mercato e intende continuare a farlo - come da Lei affermato - in un’ottica di rafforzamento delle gamme esistenti. Possiamo quantificare il vostro impegno per l’innovazione? Spendiamo circa il 3,5% del fatturato in attività di ricerca e sviluppo: molto in Italia, ma anche in Inghilterra e in Cina. È difficile industrializzare un prodotto in Cina se non si ha un adeguato reparto R&D a supporto. De’Longhi, con la sua presenza commerciale o produttiva in tutto il mondo, ovviamente ha dovuto e deve dedicare una fortissima attenzione all’efficacia e all’efficienza della sua macchina organizzativa. Quale ruolo ha giocato e gioca l’ICT nel rendere efficace ed efficiente la vostra organizzazione? E in relazione a Internet, pensate di sfruttare le nuove potenzialità di marketing connesse con lo sviluppo dei social network - per creare contatti diretti con i clienti privati e per fidelizzarli, come diverse esperienze recenti (P&G, Barilla, Fiat, etc.) dimostrano - o non le | 18 |
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ritenete significative nel vostro contesto competitivo? Al di là della forza e dell’importanza di Internet, che si rende evidente oggi più che mai, il gruppo ha sempre investito molto in IT dotandosi di una struttura interna che si occupa dell’informatizzazione. Il 90 per cento della nostra impresa opera con lo stesso sistema gestionale - SAP - che abbiamo adottato da una decina di anni e di cui utilizziamo tutti i moduli principali. Abbiamo anche creato al nostro interno una struttura che fornisce il servizio informatico ad altre società, per l’installazione e la configurazione di SAP; lo abbiamo fatto spinti dal bisogno di essere più efficienti e di ottenere vantaggi comprando più licenze; lo abbiamo fatto negli anni del boom di Internet e delle nuove tecnologie, sperando che ne potesse nascere uno spin-off redditizio. Continuiamo a fare importanti investimenti in IT, per rispondere alle nuove esigenze che emergono: a quella ad esempio, in contesti di mercato che si muovono sempre più velocemente, di disporre dei dati mensili di conto economico consolidato di gruppo entro pochi giorni dalla fine del mese. Ritengo affascinante il tema dei social network, ma allo stesso tempo molto controverso in termini di suo utilizzo a fini di marketing. Sono molte le imprese che si stanno lanciando ad esempio su Facebook, creando una propria pagina; ma non credo sia corretto farlo solo perché lo fanno gli altri. Credo piuttosto che sia prima indispensabile, se non si vuole sortire un effetto opposto a quello desiderato, assicurarsi di poter garantire un flusso realmente bidirezionale (attraverso la creazione di una struttura capace di rispondere alle richieste dei consumatori) e di essere in grado di attrarre un numero di fan adeguato all’importanza del gruppo. Per questo stiamo lavorando con un gruppo di consulenti a un progetto di digital strategy, che comprenderà anche i social network e che vedrà la luce entro giugno. Per partire aspetteremo di essere davvero pronti. Per il momento abbiamo un canale su YouTube - dedicato a Kenwood - su cui postiamo video.
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Don Tapscott
consulente e scrittore
wikinomics: IL POTERE DELLA COLLABORAZIONE Internet ha cambiato la struttura stessa della società: è ora il momento di riorganizzarsi per creare valore, in uno scenario dove grandi fallimenti si accompagnano a effervescenti iniziative. I nuovi imperativi di business del dopo crisi dovranno basarsi sui principi di trasparenza, integrità morale e collaborazione, principi propri della nuova generazione di nativi digitali protagonista della rivoluzione sociale che stiamo vivendo
Viviamo in un’epoca segnata dalla grave crisi iniziata nel 2008. Forse la fase peggiore è passata, ma di certo non basteranno pochi anni per riemergere dal collasso del sistema finanziario che ha segnato l’economia occidentale nell’ultimo triennio. Sono tempi di grande trasformazione e si rende necessario ridisegnare la propria impresa secondo nuovi principi, più idonei all’epoca che stiamo vivendo e ad affrontare la sfida del futuro. Il futuro, infatti, non va soltanto previsto, ma va conquistato, attraverso una serie di cambiamenti in ambito tecnologico, demografico, sociale ecc. Per fare questo, è bene seguire i principi della Wikinomics. Le nuove tecnologie occupano ormai una parte preponderante delle attività quotidiane di ciascuno di noi: è necessario perciò imparare a usarle. La generazione di nativi digitali, che hanno nella loro cultura i nuovi paradigmi dell’impresa, del mercato, del sistema educativo, della cittadinanza, meritano spazio per es| 20 |
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sere protagonisti. Sappiamo che Internet ha cambiato e sta cambiando la struttura stessa della società, ed è quindi doveroso riorganizzarsi per creare valore. Il nostro compito, perciò, è di essere leader delle future generazioni, creando una cultura della collaborazione, aprendoci, incoraggiando l’autorganizzazione e lasciandosi andare. La crisi del capitalismo È tempo di comprendere che il modello della società industriale è ormai giunto al termine. Molti segnali ci arrivano da diverse aree. Ci accorgiamo, per esempio, che moltissimi quotidiani stanno fallendo: questo avviene poiché non risolvono più alcun problema, o meglio, perché il problema un tempo risolto dai quotidiani oggi non esiste più. L’approvvigionamento di notizie e informazioni, infatti, non è più complicato come un tempo, e anzi avviene con tempistiche infinitamente più rapide: addirittura, volendo utilizzare un
m a n ag e m e n t | wiki n omics : IL P O T E RE DE L L A C O L L A B O RA Z IO NE
paradosso, se la notizia è importante, sarà lei stessa a trovare noi.
Chi è Don Tapscott
Negli ultimi anni sono stati pubblicati diversi libri a proposito della crisi del capitalismo, e tutti concordano su un punto: così come la trasformazione della società da agricola a industriale - fortemente influenzata dalla nascita della stampa - in breve tempo ha fatto apparire vecchie le istituzioni preesistenti, anche il passaggio dalla società industriale all’era dell’intelligenza in rete vedrà fenomeni simili. L’età industriale ha permesso la nascita della scienza, dei moderni mezzi di trasporto, e l’evoluzione della società occidentale. Abbiamo pagato un prezzo per questa trasformazione, ovvero il consumo delle risorse del nostro pianeta.
Don Tapscott è una stimata autorità internazionale in materia di impatto strategico dell’Information Technology su innovazione, marketing e talento. Come autore del bestseller del New York Times Wikinomics: How Mass Collaboration Changes Everything ha anticipato una visione delle profonde implicazioni per il business dell’odierna economia di rete influenzata dal Web. Presidente di nGenera Insight, ex Chief Executive di New Paradigm International Think Thank, ha condotto rivoluzionarie ricerche sul ruolo della tecnologia in materia di produttività, business design, efficacia e competitività. È membro di molte prestigiose organizzazioni, tra le quali Cisco, Citibank, Kimberly-Clark e Walt Disney Company.
Oggi, però, la tecnologia ci è in un certo senso “sfuggita di mano”, permettendoci di vedere non tanto il futuro, quanto una serie di contraddizioni del nostro tempo presente. Non mancano, in questi ultimi anni, esempi lampanti di come il sistema stia collassando su se stesso a causa di una serie di inarrestabili cambiamenti: il fallimento della General Motors, uno dei simboli del capitalismo industriale, oppure la bancarotta di molte istituzioni bancarie salvate solo dall’intervento dei governi, hanno portato alla luce nuovi paradigmi che si stanno affermando nelle nostre società. Le banche, per esempio, hanno violato il patto con la società civile, destabilizzandone la fiducia stessa nel sistema creditizio. Il sistema universitario sta perdendo il controllo dell’educazione superiore, e questo avviene perché il sistema universitario è il miglior modello educativo del 17° secolo, nato su quei paradigmi di base: per questo oggi gli studenti migliori stanno abbandonando le università americane. Nel sistema sanitario, stanno emergendo community online cui gli stessi pazienti collaborano. Immaginiamo di poter avere un social network globale per la salute: già oggi, il 20% dei problemi di salute viene risolto in strutture apposite, mentre ben l’80% viene risolto a casa. La possibilità di potersi confrontare con milioni di altre persone su un determinato problema potrebbe semplificare ulteriormente la risoluzione di molte patologie. Ci troviamo insomma in un mondo dove grandi fallimenti si accompagnano a nuove ed effervescenti iniziative: idee che stavano aspettando da tempo sono ora pronte per essere messe in pratica, perciò a noi non resta che farlo, e lo dobbiamo fare.
Tapscott è autore e coautore di bestseller famosi in tutto il mondo, tra cui The Naked Corporation, The Digital Economy, Grown Up Digital, e l’ultimo Macrowikinomics: Rebooting Business and the World. Tapscott scrive inoltre per riviste e giornali quali Wall Street Journal, The New York Times e The Financial Times. Tra i membri del World Economic Forum, è anche Professore Associato di Management presso la Joseph L. Rotman School of Management, University of Toronto.
Innovazione, benessere e sostenibilità In questo nuovo mondo in cui ci stiamo preparando a vivere, ci sono cinque principi che dovremmo tenere a mente per l’innovazione, il benessere e la sostenibilità: collaborazione, apertura, condivisione, interdipendenza e integrità. Collaborazione sembra essere una delle parole più significative dei nuovi paradigmi: abbiamo assistito al sorpasso di alcune idee, nate sotto il segno della collaborazione, ai danni di altre istituzioni del tempo appena passato. È quanto successo tra Youtube www.ict4executive.it
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L’autorganizzazione e l’utilizzo dei social network, non solo come svago ma anche per una “social production”, sono passaggi della rivoluzione economica appena cominciata, che cambierà l’architettura stessa delle imprese
e MTV, tra Facebook e Match.com, tra Wikipedia e la Britannica online, tra Blogger e la CNN e infine, nel caso più eclatante, tra l’Huffington Post e il New York Times. Sono tutti segnali molto potenti della crisi dei modelli istituzionali: si passa dal comando e controllo al rapporto tra pari, dall’integrazione verticale alla collaborazione di massa tra comunità interconnesse online. Inoltre, è sempre più evidente come la trasparenza sia una nuova, potente protagonista dell’era contemporanea che, anche nel business, rivoluzionerà le nostre attività, incrementando l’apertura tra impiegati, partner, community, clienti e azionisti. Questo passaggio è agevolato dalla crescente tendenza alla condivisione, che non riguarda più soltanto i singoli individui ma anche le imprese multinazionali. Ne sono protagoniste imprese leader, come ad esem-
pio IBM, che utilizza Linux condividendo con molti (non tutti naturalmente) le proprie API. Questo ha permesso alla compagnia informatica di beneficiare dell’apporto di un numero assai elevato di programmatori e sviluppatori, che nessun team IT interno sarebbe stato in grado di fornire. Le compagnie stanno perciò superando l’antico tabù della condivisione, iniziando a comprenderne le reali potenzialità positive che essa, all’interno della nuova società digitale, potrà avere anche per il loro business. Diventa perciò sempre più evidente come oggi sia inevitabile l’interdipendenza tra i vari Paesi e sistemi sociali: le principali economie hanno una popolazione in forte invecchiamento, mentre le economie emergenti presentano una crescita demografica vorticosa, in grado di sovvertire in tempi rapidissimi gli equilibri. Sotto questo aspetto, l’Asia rappresenta l’area che maggiormente si svilupperà nei prossimi decenni, proprio perché ad una decisa crescita economica può associare un’altissima percentuale di popolazione tra i 25 e i 30 anni. Il panorama che si va delineando, pertanto, sembra prevedere un mondo futuro in cui la società si dovrà reggere su quattro pilastri fondamentali: lo Stato, il settore privato, la società civile e l’individuo. Lo Stato, che dovrà continuare a svolgere le sue
Internet cambia tutto, Davos compreso I social media, la mobilità e l’inarrestabile rivoluzione digitale in corso guidano il cambiamento in atto, creando preoccupazione in ambiti molto diversi, come la tutela del diritto intellettuale o i movimenti giovanili. Un chiaro segnale della loro pervasivistà è il fatto che anche Davos (la città svizzera che ospita il meeting annuale del World Economic Forum) ha abbracciato i social media aprendosi al grande pubblico. Il Forum si è posto l’obiettivo di dare uno scossone alla propria reputazione di evento elitario per essere considerato come un luogo aperto in cui alimentare un dibattito globale. Gli organizzatori del Forum hanno così allestito il Social Media Center introducendo una grande novità: la possibilità per tutti di partecipare ai lavori di Davos attraverso i social media. La maggioranza delle sessioni sono state trasmesse online in diretta streaming e quindi postate su Youtube. Il WEF ha dichiarato ufficialmente che più di 42.000 persone hanno partecipato alla trasmissione, e che le registrazioni su Youtube sono state visualizzate più di 60.000 volte. Anche le conferenze stampa sono state trasmesse in streaming, e gli spettatori avevano la possibilità di porre delle domande ai partecipanti in diretta. La serie “Ask a leader” consisteva
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esattamente in questo: domande formulate dagli spettatori poste direttamente ai partecipanti alle sessioni. Più di 120 di loro hanno risposto alle domande caricando un video di risposta su Youtube, rivolgendosi direttamente alla persona che aveva posto la domanda. I video sono stati visualizzati più di 20.000 volte nell’arco dei 5 giorni dell’evento. Randi Zuckerberg, responsabile marketing di Facebook (e sorella del fondatore) ha condotto una serie di interviste in diretta streaming a cui hanno partecipato personalità come Kumi Naido, Paulo Coelho, John Terry e Bono, rispondendo alle domande poste dal pubblico e riscuotendo un grande successo: sono state infatti seguite da più di 104.000 persone nel corso dei 5 giorni. Più di 400 dei partecipanti all’evento si sono iscritti al canale Twitter ufficiale, inclusi i presidenti, i primi ministri e i più importanti leader dell’economia mondiale. I tag #WEF e #Davos sono stati menzionati più di 65.000 volte su Twitter nel corso dell’evento. Il blog del forum ha ospitato più di 50 post degli speaker e ha registrato più di 21.000 visitatori. Insomma il forum ha effettivamente deciso di porsi in maniera meno elitaria al pubblico, e le innovazioni introdotte quest’anno con i social media sono state un ottimo inizio.
m a n ag e m e n t | wiki n omics : IL P O T E RE DE L L A C O L L A B O RA Z IO NE
funzioni, ma che non potrà da solo reggerne tutto il peso; il settore privato, che grazie a maggiore efficienza e organizzazione potrà farsi carico di alcune delle garanzie sociali; la società civile, che come testimoniano le numerose ONG e associazioni a finalità sociale spesso colmano lacune del sistema di welfare; e infine l’individuo, cioè ciascuno di noi, chiamato per la prima volta a intervenire direttamente, a prendere parte alla vita pubblica e interagire in tempo reale con il mondo. Nativi digitali e integrità morale In ultimo, il quinto principio da tenere a mente è l’integrità morale, che può essere declinata nei tre valori dell’onestà, considerazione e affidabilità. Non è più pensabile, infatti, dopo gli scandali finanziari degli ultimi anni, di fare business sulle spalle dei cittadini ignari: questo modello, infatti, è destinato a fallire generando grosse crisi a livello sociale e di sistema. Sarà necessario, pertanto, rendere l’integrità uno dei pilastri fondamentali del DNA delle aziende, poiché questo nel lungo periodo porterà un maggiore benessere all’intero sistema. Tutto questo sarà reso possibile da un’ondata di nuovi cittadini, i cosiddetti nativi digitali, che spesso vengono sottovalutati e definiti come “la generazione più stupida”: gli utilizzatori di questa definizione sono naturalmente quelli appartenenti alle generazioni precedenti, che giudicano il consumo di media tradizionali (decisamente inferiore) delle giovani generazioni come sintomo inequivocabile del loro disimpegno e del disinteresse nei confronti di quanto avviene nel mondo. In realtà, se è vero che le giovani generazioni leggono pochi giornali cartacei, si informano spesso sui media online; se è vero che non guardano notiziari in televisione, ricevono costanti flussi di feed RSS sui loro dispositivi portatili, attraverso cui sono messi a conoscenza in tempo reale di ogni aggiornamento sulle tematiche di loro interesse, e non devono aspettare momenti prefissati all’interno della giornata per raccogliere una serie di notizie trasmesse in maniera univoca. Inoltre, tutte le attività che le giovani generazioni svolgono online non vanno a togliere tempo ad altre forme di vita sociali, quali l’attività sportiva o l’incontro con i coetanei: il tempo online è speso a discapito della televisione, sempre più intesa come un media di sottofondo e non come oggetto esclusivo della loro attenzione. La generazione dei nativi digitali sta sviluppando il proprio cervello attraverso un maggiore ricorso al multitasking, e le statistiche negli USA dimostrano che ci sono oggi più laureati di un tempo, che i punteggi sono più alti, e che non è mai stato così difficile accedere ai master poiché la soglia di ingresso è sempre più alta. Si sta affermando un
nuovo modello di apprendimento, non più focalizzato sull’insegnamento univoco attraverso un insegnante, ma concentrato sullo studente, con uno scambio di informazioni multicentrico, personalizzato e collaborativo, in grado di cogliere il meglio da ogni aspetto e capace di una continua evoluzione. Le nuove generazioni sono la nostra speranza per vincere le sfide globali: hanno un approccio differente alla società, come ad esempio il desiderio di coinvolgere i loro genitori nel giro delle informazioni, al contrario di quanto fatto, per esempio, dalla generazione degli Anni 60 che desiderava una decisa rottura con le proprie radici. I nativi digitali desiderano la libertà di scelta, amano personalizzare qualunque cosa, sono abituati a cercare l’autenticità di ciò che vedono, hanno un maggiore senso di integrità morale, sono collaborativi, amano il divertimento e la velocità, e sono degli innovatori. La rivoluzione sociale passerà attraverso di loro, ed è già cominciata: in tutto il mondo, dall’Occidente ai Paesi in via di sviluppo, migliaia di giovani anche quest’anno stanno guidando proteste e manifestazioni, spesso attraverso un uso sapiente e innovativo delle nuove tecnologie, che sono in grado di padroneggiare meglio dei loro governanti. L’autorganizzazione, l’utilizzo dei social network, non solo come svago ma anche per una social production, sono tutti passaggi della rivoluzione economica appena cominciata, che cambierà l’architettura stessa delle corporation. C’è una nuova economia della collaborazione, che porterà ciascuno a concentrarsi su quanto è specializzato a fare, alleandosi con altri in possesso di altre specializzazioni. È comprensibile, dunque, che i leader di oggi abbiano difficoltà a trovare i leader del futuro e della trasformazione, considerando le numerose crisi che si aprono con il sopraggiungere di ogni nuovo paradigma. Ma è necessario che noi prestiamo ascolto alle nuove generazioni: come diceva Victor Hugo, infatti, “Non c’è nulla di più potente di un’idea i cui tempi siano ormai maturi”.
Le nuove generazioni di nativi digitali sono la nostra speranza per vincere le sfide globali. La rivoluzione sociale passerà attraverso di loro, ed è già cominciata
Estratto dall’intervento di Don Tapscott in occasione del World Business Forum 2010. Il World Business Forum riunisce annualmente i maggiori esperti mondiali di management e i leader del nostro tempo per riflettere sui temi strategici per il futuro del business. L’ottava edizione italiana si terrà il 9 e 10 novembre 2011 a Milano: Tony Blair, Joseph Stiglitz, Daniel Goleman e Charlene Li tra gli speaker più attesi. Tutti i dettagli su www.wbfmilano.com www.ict4executive.it
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MISSIONE
Giocare un ruolo sempre più attivo nello stimolare la nascita e lo sviluppo di nuove avventure imprenditoriali basate sull’innovazione: è questo l’obiettivo che gli Osservatori ICT & Management si pongono a partire da quest’anno, nella convinzione che ciò rappresenti un ingrediente fondamentale per il rilancio della nostra economia. Per questo motivo nasce il progetto Start-up Boosting che, attraverso il succedersi di una serie di Call for Ideas collegate ai diversi Osservatori, intende identificare le idee di business e i progetti imprenditoriali più innovativi, che saranno supportati e seguiti nel loro sviluppo dalla School of Management del Politecnico di Milano. CHI PUÒ PARTECIPARE
AMBITI DELLE CALL 4 IDEAS
Alla Call 4 Ideas possono partecipare: t persone fisiche (singolarmente o in gruppo) in possesso di un’idea di business fortemente innovativa; t aziende in fase di start-up e con elevato potenziale di crescita; t imprese anche già avviate che abbiano sviluppato innovative idee di business.
MOBILE BUSINESS & APP ICT SECURITY MOBILE MARKETING & SERVICE NFC & MOBILE PAYMENT DIGITAL MEDIA & TV
COSA OFFRE
I candidati che supereranno il processo di valutazione: t saranno supportati - dal team degli Osservatori - nella messa a punto del progetto imprenditoriale, con l’obiettivo di accelerarne lo sviluppo e il raggiungimento degli obiettivi di business; t avranno la possibilità di frequentare gratuitamente un percorso di alta formazione presso il MIP - la Business School del Politecnico di Milano – finalizzato ad accrescere le competenze e l’empowerment del gruppo imprenditoriale; t saranno supportati del team degli Osservatori nella ricerca dei capitali di rischio necessari.
SOCIAL MEDIA & WEB 2.0 MOBILE CONTENT, APP & INTERNET ICT IN SANITÀ CLOUD COMPUTING & ICT AS A SERVICE FATTURAZIONE ELETTRONICA E DEMATERIALIZZAZIONE GIOCO ONLINE
ECOMMERCE B2C
NEW SLOT & VIDEOLOTTERIE
INFORMAZIONI GENERALI
t la partecipazione è gratuita; t i partecipanti, inviando la propria candidatura e i documenti necessari per la partecipazione al processo di valutazione, dichiarano che le informazioni fornite sono veritiere e che ogni decisione del Comitato di Valutazione verrà accettata incondizionatamente; t tutti i documenti presentati devono essere redatti o in italiano o in inglese; t una carenza nelle informazioni inviate potrà causare l'esclusione dalla selezione.
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Start-up Boosting Regolamento MODALITĂ&#x20AC; DI PARTECIPAZIONE
MODULI
Ogni candidatura, anche sottoposta da team, deve indicare un referente principale.
MODULO A
Per partecipare occorre iscriversi compilando il Form di registrazione che include una breve descrizione del progetto imprenditoriale, in cui vengono messi in evidenza: prodotti/servizi innovativi erogati, mercato target, principali concorrenti, fatturato previsto e investimenti stimati (anche solo in modo approssimato).
In seguito all'iscrizione il referente riceverĂ tramite e-mail la conferma di iscrizione e un codice utente identificativo.
Successivamente il referente dovrĂ inviare a StartUpBoosting@osservatori.net una descrizione piĂš dettagliata del progetto imprenditoriale secondo le modalitĂ indicate nel MODULO A , indicando nella e-mail il proprio codice identificativo.
L'organizzazione invierĂ al referente una conferma della ricezione della documentazione.
Le idee di business e i progetti imprenditoriali saranno analizzati e valutati da un apposito Comitato di Valutazione. I componenti del Comitato sono docenti del Politecnico di Milano con grande esperienza nel mondo dellâ&#x20AC;&#x2122;innovazione e dellâ&#x20AC;&#x2122;high-tech. Il Comitato valuterĂ la documentazione ricevuta sulla base dei criteri indicati nel MODULO B . SCADENZE
- Formato della documentazione
Ogni candidato deve inviare la propria documentazione in formato pdf stampabile, non piĂš lunga di 30 pagine (inclusi eventuali allegati tecnici o tabelle o altri elementi utili), che descriva i seguenti punti principali: t *EFB EJ #VTJOFTT CJTPHOJ EFM NFSDBUP DIF MhJNQSFTB JOUFOEF soddisfare, con quali tipi di prodotti/servizi; t 1JBOP 4USBUFHJDP BOBMJTJ EFMMB DPODPSSFO[B WBOUBHHJ DPNQF titivi, strategia deliberata; t 1JBOP EJ .BSLFUJOH NFSDBUP QPUFO[JBMF NFSDBUP PCJFUUJWP QSFWJTJPOJ EJ WFOEJUB TDFMUF EJ NBSLFUJOH NJY t 1JBOP 0QFSBUJWP DBUFOB EFM WBMPSF QSPDFTTJ DIJBWF EFMMhB[JFO da, management team, risorse chiave; t 1JBOP &DPOPNJDP 'JOBO[JBSJP TUSVUUVSB Ä&#x2022;OBO[JBSJB GBCCJTP gno di finanziamenti, sintesi dei risultati economico/finanziari attesi. MODULO B
- Valutazione delle proposte
Il Comitato valuterĂ la documentazione ricevuta principalmente sulla base di: t PSJHJOBMJUĂ&#x2039; EFMMhJEFB EJ CVTJOFTT F EFM QSPHFUUP JNQSFOEJUPSJBMF t TPTUFOJCJMJUĂ&#x2039; OFM MVOHP UFSNJOF (reali fonti del vantaggio competitivo); t QPUFO[JBMF EFM NFSDBUP PCJFUUJWP t QSPTQFUUJWF FDPOPNJDP Ä&#x2022;OBO[JBSJF
La documentazione deve pervenire entro il 15/05/2011. La valutazione avverrĂ entro il 30/06/2011.
Saranno inoltre valutati i seguenti criteri: t GBUUJCJMJUĂ&#x2039; F HSBEP EJ TWJMVQQP UFDOJDP HJĂ&#x2039; SBHHJVOUP t BQQFBM TV TDBMB JOUFSOB[JPOBMF
CONFIDENZIALITĂ&#x20AC;
Le sole persone che avranno accesso alla documentazione inviata saranno i componenti del Comitato di Valutazione, che garantiscono l'assoluta riservatezza delle informazioni e dei dati forniti.
t RVBMJUĂ&#x2039; F DPNQFUFO[F EFM UFBN JNQSFOEJUPSJBMF t RVBMJUĂ&#x2039; F DPNQMFUF[[B EFMMhJOGPSNB[JPOF GPSOJUB
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I N TE R V IS TA di
Manuela Gianni
Francesco Sacco EntER - Centre for research on Entrepreneurship and Entrepreneurs, Università Bocconi e Università dell’Insubria
Una strategia digitale per l’Italia Con un appello pubblicato sul Corriere della Sera, ha preso vita “Agenda Digitale”, un’iniziativa appoggiata da un centinaio di esponenti del mondo culturale e imprenditoriale italiano che intende stimolare il mondo politico ad adoperarsi rapidamente per dotare l’Italia di una strategia organica per l’innovazione digitale. Ne parliamo con Francesco Sacco, fra i firmatari dell’Agenda
Il tema dell’innovazione digitale e del gap sempre più ampio che separa il nostro Paese dalle realtà più avanzate in Europa e nel mondo è tornato sotto la luce dei riflettori lo scorso 31 gennaio, quando un centinaio di esperti che lavorano sui temi dell’innovazione e dell’ICT, fra universitari, manager e imprenditori, si è autofinanziato per pubblicare sul Corriere della Sera la richiesta di dare al Paese un’Agenda Digitale. Tra le righe, si legge un’urgenza di cui solo ora sembra esserci piena consapevolezza: è in gioco il futuro della nazione, perché il treno dell’innovazione sta passando veloce e se l’Italia non sale a bordo subito rischia di perderlo definitivamente. Sembrano essere in tanti a pensarla in questo modo, se in due mesi l’appello ha superato quota 20.000 sottoscrittori sul sito (www.italiadigitale.org) e oltre 10.000 aderenti alla pagina Facebook. Alcuni politici, di diverso orientamento, ed esponenti del Governo italiano hanno già attivato al loro interno dei gruppi che discutono di questi temi, mentre l’appello ha ricevuto il plauso del Vicepresidente del Parlamento Europeo | 26 |
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Gianni Pittella e del Vicepresidente della Commissione Europea Neelie Kroes che ha la delega sull’Agenda Digitale Europea. Ne parliamo con Francesco Sacco, uno dei promotori dell’iniziativa, esperto di innovazione e docente dell’Università Bocconi di Milano e dell’Università dell’Insubria di Varese. Professor Sacco, qual è l’obiettivo dei sottoscrittori dell’appello? L’iniziativa è nata per chiedere al mondo della politica di elaborare una strategia organica per digitalizzare il nostro Paese. Non per proporne una in particolare – tra gli stessi sottoscrittori dell’appello le visioni sono molto diverse – ma per chiedere alla politica di darsene una, ma che sia coerente e unitaria, capace di fare compiere all’Italia un salto in avanti nel suo processo di modernizzazione di cui c’è tanto bisogno. Avete chiesto una risposta entro cento giorni: è necessario fare in fretta?
IN T E RV ISTA | Un a s t rat e gia digi ta l e p e r l’ Italia
Secondo il Networked Readiness Index del Word Economic Forum nel 2010 l’Italia si posiziona al 48º posto nel mondo in quanto a capacità di trarre profitto dall’ICT. Nel 2009 eravamo al 45º posto. Davanti a noi non ci sono soltanto quei Paesi che sono tradizionalmente in competizione con i nostri produttori, ma siamo preceduti da Portorico, Ungheria e Thailandia, appena davanti a Costarica e Oman. Il vantaggio competitivo di una nazione e del suo sistema produttivo dipende sempre di più dalla sua capacità di sapere sfruttare a fondo i guadagni di produttività che consente l’ICT. In un mondo globalizzato queste differenze vengono ancora di più amplificate. Se non si provvede rapidamente, presto sarà troppo tardi per rimediare. La mancata diffusione dell’ICT è la causa principale del recente calo della produttività italiana. Negli ultimi 10 anni la produttività del lavoro italiana è calata rispetto alla media dei 27 Paesi UE di quasi il 20%. È tantissimo, più di quanto possiamo permetterci perché essendo una nazione mediamente molto anziana, dovremmo invece avere una produttività sempre in crescita per compensare una quota troppo ampia di popolazione inattiva. Un terzo alla popolazione mondiale – ben più della parte più ricca – è già su Internet. Il mondo è già connesso e il suo processo di digitalizzazione sta accelerando. Ma dal momento che i benefici della digitalizzazione sono maggiori per i Paesi che sono già più digitalizzati, se non reagiamo immediatamente, la situazione diventerà presto impossibile da recuperare. Non è che finora in Italia non si sia fatto nulla. I progetti avviati sono tanti e bisogna dare atto che in alcuni ambiti si è anche forzata la mano pur di fare progressi. Ma il nostro Paese è molto indietro, per esempio in tema di penetrazione della Banda Larga, di digitalizzazione, di e-commerce. Serve subito una strategia che ci permetta di recuperare il tempo perso. L’Europa ha già un’agenda digitale. All’Italia non basterebbe seguirne le linee guida? L’agenda digitale europea è un ottimo punto di partenza, ma è una strategia per digitalizzare la UE, non l’Italia. Il nostro problema è darci delle priorità, coinvolgere tutti i ministri competenti e definire un percorso unitario per digitalizzare il Paese, perché tutto e subito non si può fare. Dobbiamo darci una strategia ampia come se la sono data altri Paesi, ad esempio Gran Bretagna, Francia e Germania. Ma per ribaltare la situazione non possiamo semplicemente fare quel che hanno già fatto gli altri: così facendo, essendo indietro,
«L’economia di Internet è una grande opportunità occupazionale. In UK vale il 7,2% del PIL, il Francia il 3,7 e in Italia appena l’1,6%, eppure contribuisce alla sua crescita per il 18%. Ma non sarà un’opportunità per sempre» rimarremmo indietro. A mio avviso, per recuperare terreno si dovrebbero saltare le fasi intermedie e puntare direttamente a quella che oggi è la frontiera dell’innovazione: fibra ottica, cloud computing, remote working, collaboration, etc. Perché il digitale è un’opportunità che il nostro Paese non può farsi scappare? Abbiamo un PIL che non cresce e un’economia focalizzata soprattutto sui settori maturi. Se la strategia www.ict4executive.it
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INTERVI STA | Una s t r at e gi a digi tal e pe r l’ I tal i a
dell’Italia per uscire dalla crisi si centra unicamente sulla difesa dell’esistente in questi settori, che strutturalmente perdono occupazione, non c’è da stupirsi che la disoccupazione giovanile sia al 29% . L’economia di Internet è una grande opportunità occupazionale. Nel Regno Unito vale il 7,2% del PIL, più del settore sanitario. In Francia è il 3,7% del PIL e sarà il 5,5% entro il 2015, ma è responsabile del 13% della crescita e in 15 anni ha creato 700.000 posti di lavoro. Adesso vale quanto l’energia, i trasporti o l’agricoltura. Ogni euro investito da un’azienda francese in rete (siti, posta elettronica, software) si è tradotto in due euro di margine operativo e ogni euro speso in marketing online ha generato 2,5 euro di utile, stimolando la crescita soprattutto delle PMI. In Italia, invece, Internet incide appena per l’1,6% del PIL ma contribuisce alla sua crescita per il 18%. Se si facesse per Internet appena poco di più, si otterrebbe molto in più. Ma non sarà un’opportunità per sempre. Gli spazi che lasceremo non presidiati, saranno occupati da altri. Ad esempio, non siamo riusciti a sfruttare a fondo l’eCommerce prima
L’appello: L’Italia riparta da Internet e dalla tecnologia Per i giovani che si costruiscono una prospettiva, per le piccole imprese che devono competere nel mondo, per i cittadini che cercano una migliore qualità della vita, l’opportunità offerta dalla tecnologia è irrinunciabile. Il XIX secolo è stato caratterizzato dalle macchine a vapore, il XX secolo dall’elettricità. Il XXI secolo è il secolo digitale. La politica ha posto la strategia digitale al centro del dibattito in tutte le principali economie del mondo. Ma non in Italia. Eppure in Italia metà della popolazione usa Internet. La tecnologia è parte integrante della vita quotidiana di milioni di cittadini. Studenti, lavoratori, professionisti e imprenditori si confrontano costantemente con i rischi e le opportunità determinate dall’innovazione tecnologica. Siamo convinti che affrontare con incisività questo ritardo, eliminare i digital divide, sviluppare la cultura digitale con l’obiettivo di conquistare la leadership nello sviluppo ed applicazione delle potenzialità di Internet e delle tecnologie, costituisca la principale opportunità di sviluppo, con benefici economici e sociali per l’intero Paese. Ci rivolgiamo a tutte le forze politiche, nessuna esclusa, sollecitando il loro impegno a porre concretamente questo tema al centro del dibattito politico nazionale. Chiediamo, entro 100 giorni, la redazione di proposte organiche per un’Agenda Digitale per l’Italia coinvolgendo le rappresentanze economiche e sociali, i consumatori, le università e coloro che, in questo Paese, operano in prima linea su questo tema. Richiamiamo l’attenzione di tutte le forze politiche, gli imprenditori, i lavoratori, i ricercatori, i cittadini, perchè non vedano in queste parole la missione di una sola parte, ma di tutto il Paese. | 28 |
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dell’arrivo di Amazon in Italia. Adesso sarà molto difficile sviluppare un campione nazionale. Fra i firmatari dell’appello ci sono gli operatori, che sono protagonisti anche di altri progetti che puntano a diffondere in Italia la banda larga, un altro tema di fondamentale rilevanza. Come si conciliano queste iniziative? Le due cose non sono in antitesi. La diffusione della banda larga aiuta la digitalizzazione del Paese e la digitalizzazione del Paese crea domanda per la banda larga. Lo stesso Governo e molte regioni e amministrazioni locali si stanno prodigando per ridurre il digital divide e diffondere i collegamenti veloci. Ma se si guarda solo alla banda larga non si va lontano. Non si possono sviluppare le infrastrutture pensando solo alle infrastrutture. Ma lo sviluppo e la diffusione della banda larga è il punto di partenza. Si dice che in Italia il Digital Divide è soprattutto culturale. Come affrontare questo problema? La banda larga si diffonde e porta effetti benefici se ci sono servizi – pubblici e privati – che permettono di sfruttarla. Perché questi servizi si sviluppino, servirebbe un mercato potenziale più ampio, quindi bisognerebbe fare alfabetizzazione informatica, rimuovere il digital divide culturale, non tanto per i giovani nelle scuole, ma per imprenditori, manager, quadri, impiegati e pensionati. Ma per farlo nella situazione attuale, dovendo fare tanto in poco tempo e con poche risorse, occorrono sinergie inusitate tra stato, imprese, università, no profit, centri di ricerca, etc. In altre parole, occorrerebbe un approccio poggiato su quattro gambe. Le infrastrutture sono la prima, servizi, alfabetizzazione informatica e un patto sociale per la digitalizzazione sono le altre tre. Se si innesca questo circuito virtuoso, il digital divide legato alla connettività, quello culturale ma anche quello competitivo del sistema paese saranno un ricordo in breve tempo. Che cosa vi aspettate dopo questo appello? Sono già tanti i partiti e i politici che hanno accolto positivamente l’appello: Casini, Barbareschi, Gentiloni, Rao, Lanzillotta, Valducci, solo per fare alcuni nomi. Il ministro Brunetta ha accolto l’appello con grande interesse, aprendo da subito un confronto. Si sono aggiunti il Vice presidente del Parlamento Europeo Gianni Pittella e, soprattutto, il Vice presidente della Commissione Ue Neelie Kroes, che ha la delega sull’agenda digitale europea. Ma se alle prossime elezioni la digitalizzazione del Paese fosse a pieno diritto uno dei temi di confronto tra i programmi dei partiti, allora davvero potremmo pensare di avere raggiunto il nostro obiettivo. Certo, ognuno farà le sue proposte secondo le proprie opinioni, ma nel frattempo la digitalizzazione avrebbe finalmente piena cittadinanza nel dibattito politico.
IN TERVISTA di
manuela gianni
Roberto Battaglia Responsabile Formazione Intesa Sanpaolo
Intesa SanPaolo innova la Formazione con gli strumenti 2.0 Un Social Network per arricchire l’esperienza di formazione, farla durare nel tempo al di là del momento formale del corso in aula e amplificare la socialità, con l’obiettivo di favorire l’apprendimento informale generato dagli scambi di esperienze fra le persone e far germogliare le idee. Il responsabile della Formazione Roberto Battaglia racconta l’innovativa esperienza della banca, che sta ottenendo un riscontro molto incoraggiante
Fare formazione non significa solo “riempire le menti”, ma soprattutto “accendere dei fuochi”, ovvero accompagnare e alimentare i processi di innovazione dell’azienda. Per far questo, sono necessari metodi didattici innovativi, che superino il concetto tradizionale di corso in aula, per creare un’esperienza di apprendimento più ricca, attraverso strumenti a supporto dell’informal learning e la creazione di un network di conoscenza tra le persone. E in quest’ottica, le tecnologie digitali possono svolgere un ruolo chiave. Parte da queste evidenze l’esperienza di Intesa Sanpaolo, nata nel 2007 dalla fusione di Banca Intesa e Sanpaolo IMI, che con quasi 6 mila sportelli e 11 milioni di clienti in Italia è una delle principali banche del Paese. Da un paio d’anni, Intesa Sanpaolo ha accelerato l’introduzione di strumenti innovativi a supporto delle attività di formazione, adottando in particolare un social network e altri strumenti 2.0, ridisegnando in quest’ottica l’intero processo. Artefice del cambia-
mento è Roberto Battaglia, a capo di uno staff di oltre 130 professionisti al servizio di 100 mila dipendenti a livello globale, in Italia e all’estero. Il servizio gestisce una notevole mole di attività, grazie anche al supporto di 2.000 formatori interni e numerosi specialisti esterni: basti pensare che, complessivamente, in un anno vengono erogate oltre 1 milione di giornate di formazione. Qual è - in linea generale - l’approccio seguito da Intesa Sanpaolo nella progettazione di un percorso formativo e come sta cambiando nel tempo? Dalla fusione del 2007, che ha portato a far convergere diversi approcci e culture differenti, abbiamo cercato di far evolvere la figura del progettista della formazione in quello che oggi chiamiamo “learning experience designer”. Dall’organizzazione di tanti singoli eventi di formazione, stiamo passando progressivamente a disegnare e mettere a disposizione esperienze di apprendimento integrate e coinvolgenwww.ict4executive.it
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INTERVISTA | I ntesa S a nPaol o i nnova l a F ormaz i o n e c o n g l i s t r ume n t i 2 . 0
«L’apprendimento delle persone avviene solo per il 30% nel momento formale, in aula, mentre per il 70% deriva da “informal learning”: dalla prossimità, dallo scambio, dalla conversazione. Vogliamo che le conversazioni vengano riconosciute e capitalizzate: qui la tecnologia può svolgere un ruolo chiave abilitante. Ma non basta acquistare una piattaforma di community management»
ti. Ciò implica una sfida sul piano progettuale e realizzativo solo apparentemente semplice da affrontare: significa riorientare delle professionalità consolidate nel tempo. Bisogna mettersi nei panni di un collega e ideare diversi fotogrammi di un film che cambia in continuazione e che ci porta a introdurre variabili tradizionalmente non considerate dalla formazione. È molto importante per noi garantire l’assoluta omogeneità del processo, dall’individuazione del bisogno fino al delivery e alla valutazione. Per questo, in genere disegniamo internamente i progetti e solo in seguito demandiamo ai partner esterni l’esecuzione. Quali sono, oltre all’aula, i canali utilizzati? I canali di distribuzione sono molteplici. Oltre alla classica aula – che rappresenta uno dei territori su cui stiamo lavorando molto per ripensarne la logica – utilizziamo in modo massiccio l’eLearning, la formazione a distanza, soprattutto per attività che hanno carattere tecnico. Abbiamo poi un canale televisivo interno, dove lavorano producer che traducono in format i bisogni. Inoltre, esiste una radio per le filiali, a scopo informativo, che stiamo portando su internet, e un canale podcast. C’è poi il Social Network, con blog e wiki, che noi consideriamo un meta canale, che attraversa tutti gli altri: ad oggi sono già 15 mila le persone che utilizzano questo strumento. Il punto di ingresso per tutte le offerte formative - corsi in aula, e-learning, corporate-tv, community online, radio/ podcast - è rappresentato dal portale dedicato alla formazione. Da qui, tutte le offerte formative possono essere consultate dagli utenti attraverso motori di ricerca evoluti e mappe interattive suddivise per aree tematiche. L’homepage è caratterizzata da servizi personalizzati come il libretto formativo, l’agenda delle attività in corso e la “wishlist” attraverso cui le persone sono responsabilizzate nel definire autonomamente un piano di formazione, che viene poi proposto e approvato dai responsabili. Qual è in particolare il ruolo del Social Network? Ci siamo resi conto che l’apprendimento delle persone avviene solo per il 30% nel momento formale, mentre per il 70% deriva da informal learning: dalla | 30 |
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prossimità, dallo scambio, dalla conversazione. Noi ci vogliamo occupare di quel 70%, facendo in modo che le conversazioni vengano riconosciute e capitalizzate: qui la tecnologia, e in particolare il Social Network, può svolgere un ruolo chiave abilitante. Le persone quando escono dall’aula continuano a generare inconsapevolmente conoscenza, se i contatti permangono. Non basta però acquistare una piattaforma di community management perchè si inneschi questo processo. E così abbiamo disegnato un protocollo informativo, chiamato “aula+”, in cui “più” dà l’idea di un’aula potenziata. Abbiamo messo intorno al momento didattico tradizionale una grande quantità di stimoli di apprendimento correlati tra di loro e disegnati in modo adeguato che hanno la finalità di potenziare l’esperienza, produrre più apprendimento, farlo durare nel tempo, amplificare la socialità e lasciare alle persone il compito di riusare questo materiale in modo che diventi parte del loro lavoro quotidiano, superando il fossato che c’è tra il momento del lavoro e il momento d’aula. Le idee possono germogliare se accompagnate adeguatamente anche facilitando il superamento delle abitudini e delle prassi consolidate. Ci può fare qualche esempio di servizio pensato per arricchire l’esperienza in aula? Si comincia dall’invito al corso, una mail in cui abbiamo inserito un bottone “clicca qui e vieni a conoscere il tuo docente”: si tratta di una pillola video in cui il docente presenta se stesso e il corso. Per attivare la socialità, abbiamo creato sul Social Network anche una sezione in cui si possono conoscere i compagni di viaggio, cioè i colleghi che si incontreranno in aula. Alle volte realizziamo anche delle mini survey per cogliere la consapevolezza sui temi di cui parleremo. In questo modo, si trasferisce ai discenti più conoscenza su cosa si farà in aula e si orienta il docente verso le aspettative e il livello di quell’aula; così ogni lezione sarà diversa dalla precedente. Che impatto hanno avuto queste novità sulla lezione in aula? Si cerca di ottimizzare il tempo d’aula, per ottenere la massima efficacia. Proiettare le slide diventa meno
IN TE R V I S TA | In t esa Sa n Pao l o i n n ova l a F o rma z i o n e c o n g l i s t r ume n t i 2 . 0
«La valutazione dei benefici è molto importante. Stiamo introducendo nuove metriche accanto a quelle classiche, come ad esempio la Social Network Analysis, per misurare l’accrescimento del capitale relazionale e di conoscenza»
importante, perché il Social Network può consentire di guidare le attività didattiche in aula e soprattutto valorizzare le conversazioni prodotte, come per esempio osservazioni significative che arricchiscono la lezione, nuove idee da diffondere. Il docente arricchisce quindi il proprio ruolo. In questo la tecnologia aiuta a costruire le fasi successive, per continuare le conversazioni oltre quel momento e condividerle con le persone che in futuro frequenteranno quell’aula, che appartengono a una grande comunità che sta condividendo un percorso. Qual è il riscontro che avete avuto dalle persone coinvolte? Il livello di ritorno che le persone esprimono è molto elevato, perchè risponde in modo più efficace alle loro aspettative: imparare ed esprimersi con libertà, divertirsi nel senso di essere coinvolte, confrontarsi con gli altri, perchè la socialità è un grande vettore di apprendimento. La valutazione dei benefici è per noi un punto molto importante. Per questo abbiamo creato anche un centro di competenza dedicato alla misurazione dell’efficacia dei servizi offerti. In particolare, oltre alle classiche metriche di valutazione - livello di gradimento, di apprendimento, di applicazione sul job, ROI -, ne stiamo introducendo di nuove (ad esempio la Social Network Analysis) per valutare le interazioni tra le persone e misurare l’accrescimento del capitale relazionale e di conoscenza. Le persone apprezzano il fatto che da meri consumatori di un servizio, vengono considerati produttori di formazione. Ogni persona nel quotidiano produce degli artefatti di apprendimento, spesso senza considerare che essi hanno un valore che va al di là del singolo evento o esperienza. La produzione dei contenuti formativi può essere guidata anche dalle proposte delle stesse persone (ad esempio all’interno della sezione del nostro portale: “cosa vuoi insegnarci?”). Un modo per realizzare una vera una “coda lunga della formazione”. Quali sono invece le principali resistenze? Non ce ne sono di particolamente critiche. Inizialmente l’introduzione di nuove tecnologie può comportare qualche scetticismo perché il loro uso spesso
non è la parte prevalente del nostro lavoro. Si è portati a pensare che questi nuovi media siano adatti solo ai giovani “nativi digitali”. Non è ovviamente così. Per questo la sfida per noi è disegnare modalità di ingaggio ed esperienze a tutto tondo che aiutino le persone ad entrare in queste nuove logiche senza disagi. Lo scopo è far diventare la tecnologia un elemento abilitante, talora impercettibile, a supporto del processo di apprendimento. E non una nuova procedura da imparare. www.ict4executive.it
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Os s e r vato rio
di
eGovernment in Italia, un quadro in chiaroscuro
giuliano noci
Politecnico di Milano
Nella Pubblica Amministrazione locale l’innovazione si va diffondendo a macchia di leopardo, con casi di eccellenza accanto a numerosi fallimenti. È il frutto di una politica di gestione degli incentivi e dei finanziamenti che ha sino a oggi privilegiato, con pregi e difetti, la libera iniziativa. Un’indagine condotta dalla School of Management del Politecnico di Milano evidenzia l’urgenza di interventi di guida e sostegno per gli Enti, facendo leva sui progetti già avviati con successo
A ormai dieci anni dall’avvio del primo piano nazionale di eGovernment, sono stati attivati molti progetti volti a ammodernare la Pubblica Amministrazione locale. Anche in questi ultimi mesi, nonostante le limitate risorse finanziarie disponibili, la spinta all’innovazione non si è arrestata: guidata dal desiderio di ridurre i costi, migliorare i servizi rivolti all’utenza e aumentare la competitività del territorio. In particolare, da un’indagine condotta dall’Osservatorio eGovernment della School of Management del Politecnico di Milano emerge come nel 2010, più del 75% dei Comuni al di sopra dei 15.000 abitanti aveva in corso uno o più progetti di innovazione organizzativa e tecnologica e più dell’85% intende avviarne entro i prossimi 12 mesi. L’eGovernment non è più pertanto inquadrabile come un’azione straordinaria e contingente ma come una vera e propria attività caratteristica della Pubblica Amministrazione che deve sapersi organiz| 32 |
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zare in modo da poter gestire questo processo in maniera strutturata e continuativa. Enti pubblici soli nella gestione del cambiamento Purtroppo più di un terzo dei Comuni al di sopra dei 15.000 abitanti non si è però ancora strutturato con un Settore Innovazione e quasi la metà delle Province non ha un rappresentante politico per queste tematiche. Tutto ciò rende ancora più difficile innovare in maniera efficace. Infatti, oltre alle evidenti difficoltà legate al necessario cambiamento organizzativo, si aggiungono una normativa che spesso fatica a supportare adeguatamente il processo di rinnovamento e la mancanza delle adeguate competenze. Mancanza forse comprensibile, dal momento che in questo momento al personale di un Comune, indipendentemente dalla sua dimensione e dalle risorse a propria disposizione, non si chiede solo di gestire al meglio le proprie attività ma di diventare project manager di
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di
Michele Benedetti Politecnico di Milano
te per un progetto di eGovernment, insieme a quella di fondi. Con riferimento a quest’ultimo punto, si evidenzia infatti come solo il 18% delle iniziative di innovazione delle Province e il 16% di quelle dei Comuni sia finanziata grazie ai propri fondi, contro quasi il 50% delle iniziative finanziate prevalentemente o solamente da fondi di enti terzi. Questo si ripercuote a volte anche sul mantenimento del tempo delle soluzioni realizzate. Una volta cessati i finanziamenti, può infatti accadere che l’ente non destini più risorse per la manutenzione ordinaria ed evolutiva delle soluzioni realizzate, cosicché nel 40% dei casi c’è la possibilità che la soluzione venga lentamente ma inesorabilmente dismessa, possibilità che diventa quasi una certezza nel 22% del progetti realizzati in collaborazione con altri enti e nel 12% di quelli realizzati in autonomia. Scarsa conoscenza delle esigenze dei cittadini La scelta di mantenere nel tempo queste soluzioni è ovviamente condizionata anche dal loro utilizzo
Lo Stellone d’Italia e le tecnologie digitali: nel 2010 il 75% dei comuni sopra i 15mila abitanti aveva in corso uno o più progetti di innovazione
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un cambiamento che deve passare attraverso l’applicazione di tecnologie per le quali viene richiesto di conoscerne le caratteristiche e le funzionalità, i punti di forza e di debolezza, e le implicazioni organizzative derivanti dal loro impiego per capire come utilizzarle al meglio. Così, se ben l’80% degli Enti intervistati ha attivato almeno una casella di Posta Elettronica Certificata e il 55% utilizza la firma digitale, solo il 50% dichiara di non aver avuto difficoltà nell’adottarle, citando tra le maggiori criticità incontrate proprio la difficoltà di adozione e di utilizzo delle nuove tecnologie. Non ci si può quindi meravigliare se attualmente quasi la metà dei progetti di innovazione non raggiungano più del 25% degli obiettivi prefissati. Questo grado di aleatorietà dei risultati, spesso accompagnata dalla mancata qualificazione e quantificazione dei benefici conseguibili con l’innovazione, non aiuta inoltre la classe politica a interessarsi e supportare queste iniziative. Così che la mancanza di commitment politico diventa la prima causa bloccan-
osservatori o | e Gov e r nm e nt i n Ital i a, u n q u adro in c h ia ro scuro
La ricerca evidenzia come quasi la metà dei progetti di innovazione avviati non raggiungano più del 25% degli obiettivi prefissati. La mancanza di commitment politico, insieme a quella di fondi, è la prima causa bloccante
da parte dell’utenza. Utilizzo che, secondo l’ultimo rapporto nazionale, non è particolarmente rilevante. D’altra parte l’utenza utilizza canali alternativi a quelli tradizionali o perché è costretta o perché ne ha convenienza. Ecco quindi che, a meno di introdurre obblighi normativi, come fatto in alcuni casi, diventa fondamentale cercare di capire quali siano le reali esigenze della propria utenza e realizzare servizi che possano effettivamente soddisfare i propri bisogni. Più del 40% dei Comuni non conduce però alcuna indagine strutturata per rilevare le esigenze dell’utenza. Più attente, da questo punto di vista, appaiono le Provincie, l’80% delle quali attua solitamente una qualche azione in questo senso. Nel merito, queste ultime sembrano privilegiare il confronto con i rappresentanti di categoria. Vi sono infatti alcuni servizi la cui utenza è ben rappresentata da organismi associativi, quali ordini e corporazioni, che possono giocare un ruolo fondamentale sia nel supportare sia
nel promuovere iniziative rispondenti ai reali bisogni dei propri affiliati. Poco utilizzati sono invece gli strumenti più onerosi, ma anche più efficaci, come i focus group e i nuovi strumenti di indagine di mercato, come i social network (Facebook, LinkedIn, ecc.). Realizzare servizi funzionali alle esigenze dell’utenza non è però sufficiente. È necessario che l’utenza sia edotta dell’esistenza di questi servizi. In effetti, quasi il 90% degli Enti dichiara di prevedere una qualche forma di attività di marketing per promuovere i risultati del progetto. I media più utilizzati sono la stampa locale e nazionale (70%) e la creazione di siti web dedicati (45%), seguiti dalla comunicazione attraverso TV e attività seminariale. È da rilevare l’utilizzo di affissioni sul territorio da parte dei Comuni (33%), che le gestiscono. Tuttavia ben nel 95% dei casi l’Ente non utilizza sistemi per misurare l’efficacia delle attività di comunicazione e in quasi il 50% dei casi gli intervistati non hanno saputo dire neanche se qualitativamente
Figura 1 - Le criticità riscontrate nell’adozione delle tecnologie
Firma Digitale PEC
Fonte: School of Management, Politecnico di Milano
Timbro digitale Sistemi di pagamento multicanale Conservazione sostitutiva Servizi online che prevedono l’utilizzo di sistemi di autenticazione forte
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0%
20%
40%
60%
80%
100%
Nessuna
Difficoltà di utilizzo
Costo elevato
Carenza di funzionalità
Normativa di riferimento poco chiara o conosciuta
Difficoltà di adozione
Tempi di implementazione
Non si percepiscono i benefici derivanti dall’adozione
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Il Centro Innovazione e Tecnologie della Provincia di Brescia: modello di eccellenza nella gestione dell’innovazione sul territorio La Provincia di Brescia promuove e coordina da alcuni anni il Centro Innovazione e Tecnologie (CIT), una struttura operativa sovracomunale finalizzata allo sviluppo del governo elettronico nel territorio bresciano. Obiettivo del CIT è quello di sostenere i Comuni e gli Enti aderenti nella realizzazione di un più vasto e qualificato sistema di servizi telematici, accessibili on-line dai cittadini e dalle imprese del territorio. A tal fine il CIT: • • • • • • •
promuove la cooperazione intercomunale; coordina la realizzazione della rete dei Comuni bresciani; organizza la domanda di servizi di natura informativa e tecnologica (ICT); accoglie e si fa promotore di collaborazioni con gli Enti e le Istituzioni di riferimento in ambito locale, nazionale ed internazionale; eroga agli Enti aderenti servizi di back office finalizzati allo sviluppo del governo elettronico locale; promuove la cultura dell’eGov e della gestione associata dei servizi comunali; coordina e promuove azioni di formazione e di informazione sulle tematiche del governo elettronico, rivolte sia agli operatori della P.A. Locale, sia ai cittadini dei Comuni aderenti.
Da un punto di vista gestionale, Il CIT della Provincia di Brescia adotta un modello di tipo federativo, che lo configura come una rete a stella i cui poli sono dislocati sul territorio e coordinati da un nodo centrale di livello provinciale. Il ruolo di riferimento e coordinamento nell’ambito della rete è garantito dalla Provincia. Negli ultimi anni il CIT si è posto inoltre come soggetto coordinatore di diverse progettualità ed iniziative sul territorio. Tra le principali si citano: • • • •
Progetto ALI: co-finanziato da DigitPA e finalizzato all’inclusione dei piccoli Comuni nell’attuazione dell’ eGovernment BresciaGOV: progetto di Riuso per la diffusione di soluzioni eGov nella P.A. Locale, coinvolge oltre 180 Comuni del territorio bresciano Laboratorio Riforma Brunetta: iniziativa di formazione e accompagnamento ai comuni nel processo di attuazione della Riforma della P.A. in seguito al D.Lgs. 150/2009 Progetto Elistat: progetto nazionale promosso da UPI e finanziato nell’ambito del Terzo Avviso del programma ELISA; tra i diversi obiettivi vi è la diffusione del sistema “emoticons Mettiamoci la Faccia” per i servizi rivolti all’utenza presso i Comuni del territorio
ci sono stati degli effetti positivi derivati dalle azioni messe in atto, a dimostrazione che esistono forti margini di miglioramento anche in merito a questi aspetti. In estrema sintesi, l’indagine condotta dal Politecnico evidenzia quindi come gli Enti locali abbiano bisogno di essere maggiormente guidati e supportati in questo processo di rinnovamento. L’eGovernment italiano è attualmente figlio di una politica di gestione degli incentivi e dei finanziamenti che ha sino a
oggi privilegiato, con pregi e difetti, la libera iniziativa e la capacità di innovazione dei singoli Enti e, prima ancora, delle persone che li gestiscono. Se da una parte questo processo è stato costoso in termini di risorse impiegate, non solo economiche, dall’altra ha avuto il pregio di permettere agli Enti di cimentarsi sin da subito con le criticità organizzative, tecnologiche e normative legate ai processi di innovazione. Ha permesso, ad esempio, la nascita di modelli di implementazione e gestione collaborativa dell’eGowww.ict4executive.it
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osservatori o | e Gov e r nm e nt i n Ital i a, u n q u adro in c h ia ro scuro
I servizi di pagamento del Comune di Prato: la multicanilità quale chiave per implementare un eGovernment sostenibile Il Comune di Prato è una realtà di oltre 180.000 abitanti che, attraverso il Servizio Sistema informativo ha sempre assunto un approccio proattivo nei confronti dell’eGovernment, sviluppando in particolare una piattaforma avanzata per l’erogazione di Pagamenti Multicanale. Sono stati sviluppati 31 servizi di pagamento erogati online e attraverso diversi sportelli gestiti da intermediari, che garantiscono una elevata capillarità sul territorio. In riferimento al solo Comune di Prato, la presenza sul territorio è molto significativa, ed in particolare si registrano: • • • • •
80 Tabaccherie (170 se si considerano tutti gli enti serviti dal progetto); 50 sportelli bancari (187 se si considerano tutti gli enti serviti dal progetto); 6 supermercati (15 se si considerano tutti gli enti serviti dal progetto); 18 totem jolly self service (solo a Prato); 6 Agenzie ACI (solo a Prato).
Tali soluzioni “intermediate” comportano vantaggi tangibili sia per il cittadino, che non necessita di pc e di connessione ad internet ed ha a disposizione un elevato numero di punti di contatto e di strumenti di pagamento (quali contanti, carte di credito, carte di debito), sia per i diversi sportelli, che vedono la propria attività remunerata attraverso l’introito di commissioni sulle transazioni. I servizi interessano tutti i principali pagamenti, legati a multe, ricezione delle foto riprese dall’autovelox, accesso a zone soggette a ztl, ticket sanitari, mense scolastiche, iscrizione alla scuola di musica, servizi della biblioteca, dia, istanze edilizie, tassa sui rifiuti, ici, certificati anagrafici. Da un punto di vista applicativo, il punto di forza principale della soluzione è la piena integrazione mediante web service dei sistemi distribuiti presso gli sportelli con i sistemi gestionali di back-office del Comune, in modo da consentire la verifica e il conseguente saldo delle posizioni debitorie dei singoli utenti in tempo reale e senza l’intervento del personale comunale. Il Comune di Prato ha inoltre proposto con successo l’utilizzo di tale sistema a diversi Enti pubblici della Toscana, gestendo un sistema di commissioni sulle transazioni effettuate, provenienti sia da parte degli Enti utilizzatori, che da parte degli intermediari. In tal modo il sistema complessivo è in grado di auto sostenersi, pur limitando il costo finale di commissione a carico dell’utente ad un valore allineato se non inferiore a quanto applicato dalle poste per il pagamento dei bollettini tradizionali. Tra gli Enti che utilizzano il sistema si segnalano in particolare i Comuni di Livorno, Pisa, Vecchiano, Pontedera, le aziende USL di Prato e Pistoia, l’azienda municipalizzata ASM SpA. Tra gli sviluppi futuri si segnala che è in corso di valutazione l’implementazione di pagamenti anche attraverso il canale mobile e che sarà avviata un’attività promozionale sul territorio al fine di ampliare il network di Enti del territorio utilizzatori della soluzione.
vernment, quali sono i progetti gestiti in forma aggregata da più Enti, modelli che difficilmente trovano un paragone in altri settori, sia pubblici sia privati, in Italia e all’estero. Con pochi vincoli, a volte anche al limite di una normativa non in grado di supportare adeguatamente la spinta innovativa, gli Enti più capaci, che hanno | 36 |
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saputo sfruttare sapientemente le risorse a propria disposizione, sono stati in grado di generare risultati al di là delle aspettative. Questi risultati possono diventare un tassello fondamentale per una seconda fase dell’eGovernment nella quale privilegiare una diffusione su larga scala delle migliori iniziative di eGovernment esistenti.
Speciale “cloud”
Il Cloud Computing pronto al decollo In Italia come in Europa, il nuovo paradigma sembra aver convinto le imprese, che si dichiarano pronte a investire per ottenere maggiore efficienza e flessibilità dei sistemi di Information Technology
I servizi Cloud in Italia nel 2011 sono in forte crescita ed il mercato continuerà nei prossimi anni il suo dirompente sviluppo. Questo quanto emerge da recenti ricerche dell’Osservatorio Cloud & ICT as a Service della School of Management del Politecnico di Milano e di IDC Italia, che evidenziano inoltre come questa crescita comporterà un processo di trasformazione che interesserà sia le modalità di investimento da parte della domanda che il fronte competitivo dell’offerta ICT, che si sta progressivamente orientando verso la modalità Cloud. Il Cloud sembra dunque finalmente decollato anche in Italia, dopo un lungo periodo di prudente attesa: le ricerche svolte dalla School of Management del Politecnico di Milano mostrano come le spinte maggiori derivino dalla necessità delle aziende di ottimizzare i costi di esercizio delle strutture, di standardizzare le modalità d’uso e di razionalizzare i processi interni. Questo interesse riguarda sia le grandi organizzazioni, sia le PMI che risultano però ancora oggi poco informate sul tema Cloud; per le Pubbliche Amministrazioni il discorso è più complesso perché
spesso soffrono di una frammentazione informatica che, se da una parte rende il Cloud una soluzione estremamente interessante, dall’altro ne rende più difficile l’im-
L’Osservatorio Cloud & ICT as a Service della School of Management del Politecnico di Milano L’11 Maggio 2011 si terrà a Milano il convegno di presentazione dei risultati della Ricerca dell’Osservatorio Cloud & ICT as a Service promosso dalla School of Management del Politecnico di Milano. La Ricerca analizza il fenomeno del Cloud nella sua forma più estesa e i suoi impatti in termini di trasformazione del settore ICT, l’offerta di mercato ed i suoi scenari evolutivi, lo stato di adozione del Cloud e le motivazioni e barriere alla sua diffusione, gli impatti organizzativi e architetturali, identificando possibili approcci all’adozione. Per informazioni e registrazione all’evento www.osservatori.net
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Speciale “cloud” plementazione. In Europa, un’azienda su tre considera oggi il Cloud come una componente essenziale per la propria strategia IT e prevede, secondo quanto reso noto da IDC, che gli investimenti in questa direzione arriveranno a costituire il 25% della spesa IT nel 2012 e quasi il 34% nel 2013. I dati indicano anche che il 35% delle aziende sta pianificando di adottare soluzioni di virtualizzazione del desktop e che le aziende che le stanno già utilizzando vivono invece una seconda fase - definita dagli analisti “virtualizzazione 2.0” - che agisce principalmente sul controllo dei costi operativi e gestionali e sull’aumento del livello di servizio. Queste dinamiche fanno intravedere il passaggio alla cosiddetta fase della “virtualizzazione 3.0”,
Le declinazioni del Cloud Computing Con il termine Cloud Computing si intende un insieme di tecnologie informatiche basate su protocollo Internet che permettono l’utilizzo in remoto di risorse distribuite hardware - come di storage o di calcolo - oppure software. Da qualche tempo, il termine è abusato e viene utilizzato in contesti diversi con significati differenti tra loro, creando una certa confusione. Si possono distinguere tre tipologie fondamentali di Cloud Computing. • SaaS (Software as a Service): per i clienti è possibile utilizzare applicazioni in esecuzione su una Cloud infrastructure accessibile da vari dispositivi client attraverso un’interfaccia come un browser Web (ad esempio, una web-based e-mail). Il cliente non controlla l’infrastruttura della Cloud con eventuali limitate eccezioni (parametrizzazione e impostazioni di configurazione dell’applicazione). • PaaS (Platform as a Service): per i clienti è possibile sviluppare e distribuire nella Cloud infrastructure applicazioni create utilizzando linguaggi di programmazione supportati dal fornitore (ad esempio, Java, Python,. Net). Il cliente non ha il controllo della base della Cloud infrastructure (rete, server, sistemi operativi, storage), ma ha il controllo sulle applicazioni sviluppate e distribuite ed eventualmente sulle configurazioni dell’ ambiente. • IaaS (Infrastructure as a Service): per i clienti è possibile noleggiare capacità di CPU, storage, network e altre risorse fondamentali che il cliente è in grado di implementare e gestire, che possono includere i sistemi operativi e le applicazioni. Il cliente non ha il controllo dell’infrastruttura di base della Cloud, ma ha il controllo su sistemi operativi, storage, la distribuzione delle applicazioni, ed eventualmente può selezionare componenti di rete (ad esempio, firewall, load balancer). Si opera poi un’ulteriore distinzione a seconda di che - ed è questo il caso del “Public Cloud” - il servizio venga offerto da un provider esterno oppure - nel caso del “Private Cloud” - dalla stessa azienda attraverso la sua infrastruttura di proprietà. A queste due modalità di fruizione se ne aggiungono diverse di tipologia “ibrida”, molto diffuse, in cui le due sono complementari e adottate per servizi differentemente strategici in ottica aziendale. | 38 |
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che comprende un’ulteriore evoluzione delle logiche di Cloud Computing, in versione “private”, “public” o ibrida, e che si manifesterà progressivamente in un arco di medio periodo. Un cammino di transizione che obbligherà le aziende a ripensare all’organizzazione, alle procedure ed ai processi, portandole ad affrontare diverse criticità organizzative e culturali, ma offrendo grandi opportunità di riduzione dei costi e recupero di efficienza e flessibilità. Il Cloud può quindi essere di supporto ad ogni tipo di attività aziendale, dalle soluzioni di software applicativo, al software infrastrutturale, agli ambienti di virtualizzazione fino alle sicurezza e alle risorse fisiche. I vantaggi offerti sono una totale elasticità adattabile ai bisogni ed una completa scalabilità nel tempo, oltre ad una riduzione dei costi, commisurati all’effettivo utilizzo di applicazioni e risorse e senza necessità di cospicui investimenti iniziali in prodotti hardware e software che spesso costituiscono barriere all’acquisizione di determinati vantaggi competitivi, soprattutto per realtà di piccole dimensioni. La centralizzazione delle infrastrutture permette ai provider di servizi di realizzare importanti economie di scala, mentre dal lato utenti cade la necessità di dotarsi di risorse in eccesso per fare fronte ad eventuali picchi di lavoro, spesso poi inutilizzate. Il recupero dell’efficienza organizzativa e di processo sono di fatto i driver principali che spingono questo mercato. Tra le innovazioni portate dal Cloud rivestono sicuramente un ruolo importante l’introduzione di un modello di pagamento di tipo pay-per-use e l’opportunità di convertire potenzialmente tutti i costi Capex, cioè fissi, in Opex, cioè variabili. Sul fronte della riduzione dei costi, IDC stima che le soluzioni Cloud portano a un risparmio medio del 25%, realizzando le economie più importanti su hardware, consumi energetici e spese per le licenze del software. Dai dati emerge inoltre che il 70% di chi ha virtualizzato è molto soddisfatto dei risparmi ottenuti, e se si tiene conto anche di quelli che si sono limitati a dichiararsi “abbastanza soddisfatti”, si arriva ad uno straordinario 99%. Il Cloud impatta inoltre in maniera significativa sul fronte delle risorse umane, permettendo di riallocare il personale IT verso attività a più alto valore aggiunto. Tuttavia, la convenienza dei servizi di Cloud Computing deve essere valutata attentamente anche alla luce delle criticità e delle problematiche sollevate da questa tecnologia: sicurezza, privacy, livelli minimi di servizio, proprietà dei dati e dei contenuti, disponibilità di una banda di connessione adeguata sono tutti aspetti potenzialmente insidiosi. Sul fronte della sicurezza, se da un lato la centralizzazione dei dati in data center gestiti da provider di grandi dimensioni - e che quindi possono destinare risorse importanti alla sicurezza - può giocare un punto a favore delle soluzioni cloud (ed in particolare per realtà di piccole dimensioni che altrimenti non potrebbero permetterselo), la presenza di dati aziendali sensibili e la perdita di un controllo diretto su di essi può invece far insorgere più di un dubbio circa la loro adozione. Andrea Ferretti
Speciale “cloud”
Cresce nel mondo L’e-Procurement di BravoSolution
BravoSolution è un bell’esempio di azienda italiana di grande successo a livello multinazionale in un settore, l’ICT, che non è quello tradizionale del “made in Italy”. Il cuore dell’offerta sono le soluzioni per la gestione dei processi di acquisto di imprese private e Pubbliche Amministrazioni, un processo business critical caratterizzato da una forte specificità e che richiede stringenti vincoli di riservatezza e protezione dei dati. A corredo della soluzione tecnologica, BravoSolution offre ai clienti supporto per il processo di change management, necessario per introdurre con successo le nuove procedure online nelle organizzazioni. Nata nel 2000, l’azienda ha messo a segno nel 2010 il settimo esercizio consecutivo di crescita profittevole, chiudendo l’anno con 53,7 milioni di euro di fatturato (+ 6% rispetto al 2009 e triplicato in cinque anni) e un organico di 450 persone, distribuite nelle 12 sedi in Europa, Asia e America: valori che la pongono al secondo posto nel ranking mondiale del settore. L’età media dei dipendenti, di 34 nazionalità diverse ed equamente divisi fra uomini e donne, è inferiore a 33 anni. In azienda si parlano 40 lingue differenti per rispondere alle richieste dei clienti, circa 400 fra imprese private, aziende dei settori regolamentati e Pubbliche Amministrazioni. Fra questi, anche alcuni Governi nazionali, come quello del Regno Unito: quasi un quarto degli acquisti della PA inglese viene infatti gestito con il software della società italiana. Sin dall’inizio della sua attività, a settembre del 2000, con una scelta lungimirante BravoSolution ha impostato la strategia di erogazione del software secondo la logica Software as a Service. Spiega Ezio Melzi, Direttore Generale della multinazionale: «Per noi il Cloud non è una grande novità. Tranne pochissime eccezioni, tutti i nostri clienti hanno scelto la formula di utilizzo Software as a Service, sia le grandi Corporation internazionali che importanti Governi nazionali. La logica Cloud - Software as a
Specializzata nelle soluzioni per la gestione dei processi di acquisto online, la società ha oltre 400 clienti nazionali e internazionali ed è presente in nove Paesi. il modello È “software as a Service”, ma vengono garantite massima sicurezza e personalizzazione
Ezio Melzi Direttore Generale BravoSolution
Service porta grandi economie di scala e notevoli vantaggi: quando viene sviluppata una nuova funzionalità o aggiornata un’applicazione esistente, ad esempio, questa può essere messa a disposizione di tutti. Tengo però a precisare che la nostra modalità di erogazione del software si distingue dal “Cloud standard”: diversamente da questo i nostri clienti possono ad esempio ottenere tutte le personalizzazioni di cui necessitano e un elevato livello di sicurezza». Nel software sono infatti presenti migliaia di parametri che possono essere attivati o disattivati in funzione delle specifiche necessità del cliente. Inoltre, soprattutto per i grandi clienti possono essere effettuati sviluppi software ad hoc. Un aspetto di fondamentale importanza è quello della sicurezza. «Il processo degli acquisti è business critical e tratta informazioni estremamente sensibili - continua Melzi -: i dati sulle performance di acquisto, le condizioni applicate, i processi di qualifica dei fornitori, i capitolati tecnici e via dicendo devono essere adeguatamente protetti, pur in un’ottica Cloud. È necessario garantire la riservatezza dei dati che transitano in rete. BravoSolution è una delle poche società in Europa ad aver ottenuto la certificazione internazionale ISO 27001, che regola le procedure che un provider deve attivare per garantire la sicurezza informatica dei dati sensibili che transitano sul cloud».
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Speciale “cloud”
La “nuvola” di EMC è piena di sostanza
«Una grande prospettiva, in cui occorre passare dai sogni alla sostanza, superando l’attuale stato di confusione». Così Riccardo Di Blasio, Amministratore Delegato e Direttore Generale di EMC Italia, inquadra la nuova dimensione del cloud computing, uno scenario che, secondo lo stesso Di Blasio, sta raccogliendo sempre più consensi ma al tempo stesso necessita di soluzioni concrete e di una forte visione sorretta da tecnologie, servizi e nuovi modelli di business per passare dal sogno alla realtà. «EMC non solo ha condiviso, ma anche aperto la strada a questi scenari già da diversi anni - aggiunge il manager, ponendo l’informazione al centro, con soluzioni che permettessero l’unificazione di archivi facilmente accessibili in ogni momento e in ogni ambiente, sicuri e protetti». Infatti, l’innovazione introdotta da EMC nel recente passato ha posto le basi al nuovo paradigma, con lo storage in rete, la virtualizzazione dello storage e con la virtualizzazione di server e desktop, attraverso VMware. Un paradigma che pone l’informazione al centro, con l’informazione che richiama le applicazioni, e le applicazioni che ridisegnano la mappa dei server. Oggi questa visione si sostanzia con la più ampia piattaforma tecnologica di storage in rete, con il più diffuso software per la gestione degli archivi, dal desktop al mondo enterprise, con la più completa visione di Information Lifecycle Management (ILM) per la gestione dinamica dell’informazione, con le tecnologie di virtualizzazione dello storage e, con la consociata VMware, di server e desktop, fino allo storage as a Service e alla sicurezza, con RSA.
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La società ha aperto la strada al nuovo paradigma con lo storage in rete e la virtualizzazione e oggi è più che mai protagonista della trasformazione in atto
Riccardo Di Blasio Amministratore Delegato e Direttore Generale di EMC Italia
«Questa visione – aggiunge il manager - si sostanzia anche con un ecosistema di partnership di alto livello per costruire la nuova filiera di un’informazione dinamica e senza barriere. Pensiamo che il nostro compito sia quello di costruire un mosaico, ricomporre una filiera che passa attraverso la value proposition delle nostre alleanze strategiche. Lo stiamo facendo anche sul mercato italiano, dove stiamo lavorando per portare queste soluzioni anche alla piccola-media azienda». Tutto questo è la condizione per fare del Cloud Computing qualcosa che va al di là della fortunata etichetta di marketing, rendendolo così il porto sicuro verso il quale possono far rotta le aziende che, con la trasformazione dell’IT, vogliono fare leva fino in fondo sul valore dell’informazione e farne un asset strategico per la loro trasformazione, soprattutto in periodi difficili e altamente competitivi come quello attuale. Il concetto del Cloud, in fondo, si basa proprio su quest’idea: disporre di risorse di elaborazione, archiviazione, comunicazione, tali da permettere non solo di abbattere i muri, ma anche gli stessi concetti di tempo e spazio. Una grande trasformazione ci attende: EMC ha le carte per essere protagonista.
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Speciale “cloud”
il cloud computing di IBM come strategia di efficienza e di innovazione Le aziende oggi devono affrontare numerose e importanti sfide: produrre più risultati a costi minori, trovare nuove modalità per gestire i costi in capitale legati all’IT, ridurre i costi di gestione operativa, fare sempre più attenzione alla sicurezza dei dati e delle applicazioni. Il Cloud Computing permette alle imprese di indirizzare strategicamente tali obiettivi. Ma in questo il Cloud Computing rappresenta una novità? Se analizziamo i vecchi sistemi centrali, ci sono molti aspetti che ritroviamo anche nelle architetture Cloud di oggi, ma vi sono alcuni fattori che hanno reso disponibile il Cloud solo ora e sono la diffusione delle tecnologie di virtualizzazione delle risorse ed Internet, con la sua caratteristica di pervasività di accesso ai servizi IT. Per IBM il Cloud Computing è quindi sia una leva per ottimizzare gli investimenti in IT, sia un’occasione che consente alle imprese di fare innovazione. IBM ha adottato al proprio interno, e in maniera estesa, modelli di Cloud Computing ottenendo benefici significativi sia dal punto di vista finanziario che energetico, ma soprattutto ha reso possibile al proprio IT, grazie a modelli dinamici per lo sviluppo di applicazioni e la fruizione di servizi, di dare risposte al business con tempi rapidi, impensabili fino a pochi anni fa. Mettendo a disposizione la sua esperienza diretta, IBM si propone di affiancare le aziende che vogliano intraprendere un percorso verso il Cloud Computing contribuendo ad affrontare i diversi aspetti che tale modello deve considerare. L’evoluzione verso un modello cloud, infatti, richiede di indirizzare sia aspetti tecnologici, quali la sicurezza, l’interoperabilità e la portabilià dei dati e delle applicazioni, la gestione del ciclo di vita dei servizi, sia gli impatti che il Cloud può produrre sui processi e sull’organizzazione. Per fare questo, IBM propone alle aziende una ‘roadmap’ di adozione del Cloud che valuti le aree di applicabilità ed i relativi benefici in termini di ROI.
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L’esperienza di big blue conferma che, grazie a nuovi modelli dinamici per lo sviluppo di applicazioni e la fruizione di servizi, l’IT può oggi dare risposte al business con una rapidità impensabilE solo pochi anni fa
Mariano Ammirabile Cloud Computing Sales Leader, IBM Italia
IBM ha sviluppato un portafoglio molto ricco di offerte che propone alle aziende sia in modalità di ‘cloud pubblico’ che di ‘cloud privato’. Tra i servizi disponibili vi sono quelli che mettono a disposizione risorse IT, come ambienti elaborativi, desktop, storage, in modalità IaaS (Infrastructure as a Service); i servizi di tipo PaaS (Platform as a Service), che mettono a disposizione in modalità cloud gli ambienti finalizzati allo sviluppo applicativo; infine soluzioni in modalità SaaS (Software as a Service) quali le applicazioni di collaboration, di system management, di business process management. Questi servizi, indirizzati al mercato delle imprese e non al mercato consumer, si caratterizzano per l’elevata automazione, e per l’eterogeneità rispetto alla complessità di tecnologie richieste. IBM crede nello sviluppo del Cloud Computing: nella sua roadmap di crescita fino al 2015 il Cloud rappresenta uno dei quattro assi portanti, insieme allo sviluppo dei mercati emergenti, alla strategia Smarter Planet, ai Business Analytics. Per IBM il Cloud non è quindi una moda del momento e questo è ancora più rilevante visto che parliamo di un’azienda IT che quest’anno festeggia i 100 anni della sua storia di successo. Mariano Ammirabile, Cloud Computing Sales Leader, IBM Italia
Speciale “cloud”
La Business Intelligence È “On demand”
Le decisioni quotidiane - anche le più banali - hanno un impatto sull’efficienza e sui risultati di un’organizzazione. Gli strumenti di Business Intelligence (BI) possono aiutare a prendere decisioni migliori, ma la loro diffusione in azienda è ancora limitata. Il BI Survey del Business Application Research Center (BARC) del 2009 indica che gli effettivi utilizzatori di BI in azienda sono circa l’8% del totale: un livello così basso evidenzia uno scarto netto fra le applicazioni a disposizione e reali esigenze dei knowledge worker. È anche per questo che oggi assistiamo alla diffusione, in certi mercati esplosiva, di una nuova generazione di applicazioni di BI On Demand (BIOD), che consentono di raggiungere una percentuale molto più ampia di utilizzatori d’informazioni aziendali. Il trend è robusto. IDC prevede per la BI On Demand un tasso di crescita (CAGR) del 22,4% fino al 2013, oltre tre volte superiore rispetto al mercato complessivo della BI. SAP® BusinessObjects™ BI OnDemand (www.biondemand.com) è una soluzione di Business Intelligence On Demand adottabile sia come unica soluzione aziendale di BI, sia a complemento di un tradizionale sistema analitico. Questo approccio unico e particolarmente flessibile consente di valutare diverse opzioni di distribuzione dei servizi di Business Intelligence e di modificarne le politiche nel tempo con uno sforzo molto ridotto man mano che i requisiti si evolvono. La soluzione SAP offre infatti ondemand gli stessi moduli applicativi di SAP BusinessObjects on-premise. Una piattaforma consolidata, leader del settore e particolarmente diffusa sul mercato italiano, dove partner tecnologici e system integrator hanno accumulato anni di esperienza qualificata. Con
Tutti i moduli applicativi di SAP BusinessObjects sono oggi subito disponibili, grazie a un approccio particolarmente flessibile e adatto alle esigenze delle grandi come delle piccole aziende
l’ulteriore vantaggio di poterla utilizzare anche da palmare: su AppleStore è possibile scaricare la app dimostrativa “SAP BusinessObjects Explorer”. TEN (www.tengroup.it) è una società di consulenza IT che dal 2002 ha disegnato e implementato per i propri clienti oltre 140 architetture miste onpremise/ondemand, in ambito BI e CRM. Oggi è in Italia il partner di riferimento di SAP sulla nuova offerta SAP® BusinessObjects™ BI OnDemand. Quest’esperienza concreta con centinaia di utenti e aziende nei più vari settori, ci ha permesso d’identificare negli anni alcune “verità” e di sfatare alcuni miti circa la BI On Demand (BIOD): • Il vantaggio # 1 dell’On Demand è la rapidità: a parità di funzionalità i progetti si realizzano in media 5 volte più velocemente (risparmio dell’80%). In tal senso le grandi aziende sono interessate tanto quanto le PMI: il time-to-value interessa tutti. • Chi già usa la BI tradizionale può beneficiare enormemente dall’utilizzo complementare della BIOD per raggiungere utenti aziendali finora non serviti. • L’offerta SAP copre anche il back-end e permette di realizzare anche Datawarehouse OnDemand • Il valore di business di Report/Dashboard aumenta esponenzialmente quando diventa device-independent e location-independent con la BIOD. • Il servizio BIOD di SAP è accessibile via API, quindi integrabile con qualunque applicazione aziendale onpremise.
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LE TECNOLOGIE DELL'INFORMAZIONE E
svolgono un ruolo sempre più pervasivo e strategico in qualsiasi organizzazione, diventando una potente leva di innovazione e di miglioramento delle performance. Una corretta conoscenza di queste tecnologie e, soprattutto, del loro impatto sul business può portare una qualsiasi azienda a sfruttarle efficacemente per ottenere benefici significativi e migliorare la sua competitività. Gli Osservatori ICT & Management della School of Management del Politecnico di Milano nascono proprio con l’obiettivo di contribuire a questa conoscenza. DELLA COMUNICAZIONE (ICT)
si rivolgono in particolare ai manager e ai decision maker delle aziende utilizzatrici di ICT per fornire loro informazioni sulle opportunità offerte dalle soluzioni più innovative attraverso ricerche puntuali, studi di caso, benchmark, video degli eventi, atti dei convegni, ecc..
GLI OSSERVATORI
rivolgono anche a tutte le aziende che offrono soluzioni e servizi ICT (software vendor, hardware vendor, service provider, consulenti, operatori del canale), fornendo fotografie approfondite sugli scenari di mercato in Italia, con l’intento di supportarle nella messa a punto di offerte più efficaci.
GLI OSSERVATORI
con i suoi 60 analisti e ricercatori, hanno svolto nell’ultimo anno più di 40 ricerche, analizzando oltre 3.000 imprese e pubbliche amministrazioni e organizzando circa 50 eventi tra Convegni e Workshop.
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Alcuni esempi di domande a cui gli Osservatori contribuiscono a dare risposta
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ECOMMERCE B2C
scita dinamiche di cre 1. Quali sono le no nei principali lia ita c B2 e erc dell’eComm , elettronica, ologici (turismo comparti merce .)? ecc , da mo i, libri, assicurazion
MOBILE MARKETING
del Mobile il mercato è cresciuto Italia? in i n 1. Quanto an i m g negli ulti Advertsin mente o concreta i si posson at lt ? su ri ng ti 2. Che Marke n il Mobile ottenere co
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MOBILE PAYMENT
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ICT & PMI
soluzioni ICT o no diffuse le a livell 1. Quanto so a Service (sia as tà ali od m PMI lle ne erogate in o) tiv le che applica infrastruttura italiane? ndizionano la i fattori che co i ed 2. Quali sono tiv ica pl i servizi ap diffusione de in modalità “as a Service”? li ra -tu infrastrut ICT STRATEGIC SOURCING
1. Come stan no evolvend o i meccani governance smi di e le logiche contrattual efficacemen i per gestire te i nuovi m od Service? elli di offerta as a 2. Quali sono i principali ostacoli della delocalizza zione dei se rvizi ICT? Quali sono gli impatti sulla govern della relazion ance e cliente-fo rnitore?
FATTURAZIONE ELETTRONICA
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MOBILE CONTENT & INTERNET
1. Quanto vale il mercato delle mobile application in Italia? 2. Quali sono i comportamenti degli utenti che navigano dal telefonino? ENTERPRISE 2.0
in mento a investi all end di zione tr la i e r o in ae li son ise 2.0 ppartenenz r p r 1. Qua te ve En re di a zione delle iniziati ne, al setto a zz sio ionali dimen di internaz o ll e v li al e? iki, aziend log, w ing iffusi b ial network e d o n o c s ar o s z to i li n d a ti i u z 2. Qu ng e serviz ssono o p i s ti s e podca ? Com i aziendali? ziende ss nelle a o dei proce n r te n ’i ll a
Speciale “sanità”
Innovazione in Sanità a beneficio del paziente La diffusione delle tecnologie ICT è in costante aumento in molteplici ambiti applicativi, per migliorare l’efficienza dei processi ed erogare ai cittadini servizi di qualità a costi sostenibili
Nel mondo della Sanità italiana, dove convivono casi di eccellenza e profonde sacche di arretratezza, la pervasività dell’ICT è in aumento costante in tutti i processi chiave: dalle pratiche cliniche, all’assistenza ai cittadiniutenti, fino all’amministrazione e controllo. Le Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione hanno ormai dimostrato in numerose esperienze di rappresentare lo strumento capace da un lato di rendere più efficienti i processi di governo e di cambiamento delle strutture sanitarie italiane, e dall’altro di supportare l’offerta di servizi qualitativamente migliori ed economicamente più sostenibili, un aspetto di cruciale importanza alla luce dei continui tagli di risorse da parte della Pubblica Amministrazione e dell’invecchiamneto della polopolazione. L’ICT rappresenta quindi una leva di rilevanza strategica, in grado di attivare percorsi di innovazione sia a livello di singoli processi sia di sistema nel suo complesso. Da qui il proliferare degli ambiti di applicazione (si veda il box), alcuni dei quali, come la Cartella Clinica Elettronica, risultano in rapida accelerazione in termini di diffusio| 46 |
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ne ed entità degli investimenti previsti, altri emergenti, come la gestione informatizzata dei farmaci, e altri ancora di importanza marginale, almeno nella percezione dei CIO, come la Business Intelligence. Dal punto di vista del paziente, è interessante notare come l’utilizzo della tecnologia si stia rapidamente estendendo anche a servizi più prossimi al cittadino, per migliorarne il livello attraverso una maggiore trasparenza e una razionalizzazione dei processi e delle attività. Tra questi, in particolare, stanno registrando un crescente interesse i sistemi ICT a supporto del processo di erogazione del servizio, legati cioè alla prenotazione, al processo di accoglienza e indirizzamento dei flussi di utenza nella struttura sanitaria, al monitoraggio dei livelli di servizio e dei tempi d’attesa e alla comunicazione digitale, interattiva e/o informativa. Ad avere un maggiore impatto c’è in primis la prenotazione - caratterizzata da livelli di servizio che vengono spesso giudicati bassi dai pazienti - seguita dal pagamento e ritiro dei referti, per i quali si possono ottenere
Speciale “sanità” La classificazione delle principali applicazioni secondo l’Osservatorio ICT in Sanità della School of Management del Politecnico di Milano • Cartella Clinica Elettronica (CCE) – Fascicolo Sanitario Elettronico (FSE): con CCE si intende il sistema che fornisce un supporto alla gestione informatizzata, uniforme, aggiornata e integrata dei dati anagrafici, clinici e sanitari del paziente lungo tutto il ciclo di assistenza sanitaria all’interno dell’Azienda Ospedaliera o IRCCS. Con FSE si intende il fascicolo formato con riferimento a dati sanitari originati da diversi attori operanti in un medesimo ambito territoriale (es. azienda sanitaria e laboratorio clinico-privato operanti nella medesima regione o area vasta). • Clinical Governance e gestione del rischio clinico: sono applicazioni che supportano le decisioni in ambito sanitario nel modo più sicuro (risk free) e trasparente possibile, con l’obiettivo di migliorare la qualità dei servizi offerti e di raggiungere e mantenere elevati standard assistenziali (sistemi di supporto alla definizione dei percorsi di diagnosi, sistemi per controlli di appropriatezza, incident reporting, ecc). • Conservazione sostitutiva: è un sistema di conservazione, interno o in outsourcing, aderente alle normative vigenti, che riceve dalle applicazioni che li generano documenti informatici che devono essere conservati, secondo quanto stabilito dal Codice dell’Amministrazione Digitale (CAD). • Firma Digitale: sottoscrizione dei documenti informatici, nativamente generati con strumenti digitali, con certificati emessi da CA (Autorità Certificativa) e riconosciuti dal CNIPA (ora DigitPA). • Gestione informatizzata dei farmaci: sono soluzioni ICT a supporto dell’automazione del ciclo del farmaco nel contesto ospedaliero, includendo i processi che vanno dalla gestione della farmacia ospedaliera alle attività tipiche di reparto. • Interoperabilità dei Sistemi Informativi: si intende la possibilità per differenti sistemi di scambiare informazioni a differenti livelli (dati e documenti, logiche applicative, presentazione), utilizzando tecnologie di integrazione significativi benefici in termini di efficacia e innovazione. Dalle analisi effettuate dall’Osservatorio ICT in Sanità del Politecnico di Milano (www.osservatori.net), con il contributo dell’ICT Institute del Politecnico di Milano e in collaborazione con Senaf/Exposanità, emerge che sono soprattutto le aziende del Sud e delle Isole, siano esse ASL, Aziende Ospedaliere o Ospedali Privati che risultano più indietro su questi aspetti e che perciò stanno investendo maggiormente. L’esigenza è molto sentita e sono vari gli attori che spingono l’innovazione in questo ambito: i Chief Information Officer, la Direzione Strategica, la Direzione Generale, la Direzione Sanitaria e
standard o proprietarie, in modalità sincrona o asincrona. • Servizi Digitali al Cittadino: sono i servizi realizzati dalla propria azienda sanitaria e rivolti al cittadino/paziente, erogati attraverso i canali digitali (sito web pubblico, Intranet aziendale, dispositivi mobile, ecc) con l’obiettivo di migliorare la comunicazione, l’accesso alle informazioni e risorse sanitarie e la relazione col paziente (informazioni sulla struttura sanitaria e i suoi servizi, accesso online ai propri dati e documenti clinico-sanitari, servizi multimediali, servizi SMS, prenotazione/annullamento/ pagamento online delle prestazioni, servizi di community come chat, forum, blog, wiki, ecc). • Sicurezza dei dati e delle informazioni: sono applicazioni che garantiscono la protezione dei dati informatici, impedendone l’accesso a personale non autorizzato e garantendone l’utilizzo anche in seguito a eventi catastrofici. Esempi di tali applicazioni possono essere considerati: firewall, antivirus, antispam, server e data base ridondati, ecc. • Sistemi di Business Intelligence: sono applicazioni finalizzate a supportare l’azienda nei processi di rilevazione, analisi e valutazione di parametri legati all’attività e ai risultati perseguiti; • Sistemi ICT a supporto della continuità assistenziale: sono applicazioni ICT che rispondono alla finalità di creare un’integrazione tra l’Ospedale, i Servizi Distrettuali e i Medici di famiglia, con il coinvolgimento dei Gruppi di interesse della Comunità Locale. • Sistemi ICT a supporto del processo di erogazione del servizio nella struttura sanitaria: sono soluzioni ICT a supporto del processo di accoglienza e indirizzamento dei flussi di utenza nella struttura sanitaria, di monitoraggio dei livelli di servizio e dei tempi d’attesa e di comunicazione digitale interattiva e/o informativa all’interno della struttura sanitaria rivolta agli utenti in attesa dell’erogazione della prestazione (casse automatiche, gestione elettronica delle code e delle priorità, ecc).
gli organismi regionali. Questo testimonia una sempre maggiore presa di coscienza del valore e dei benefici ottenibili, come ad esempio la maggior soddisfazione dell’utenza, grazie anche alla riduzione dei tempi d’attesa, la migliore organizzazione interna dei flussi di lavoro, la misurazione oggettiva del livello di servizio e il miglioramento della comunicazione con il paziente nel momento dell’attesa. Le soluzioni ICT in questo ambito consentono, infatti, di monitorare lo storico dei carichi di lavoro in diversi reparti e il livello di servizio erogato, per una migliore allocazione delle risorse interne che riduce i colli di bottiglia. www.ict4executive.it
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Speciale “sanità”
LA GESTIONE DELL’ACCOGLIENZA DEI PAZIENTI IN ATTESA
L’Azienda Ospedaliera Istituti Clinici di Perfezionamento di Milano con ventidue poliambulatori e quattro ospedali sparsi su tutta l’area metropolitana milanese ha deciso di implementare il sistema MR-You Enterprise® per creare una rete di tutti i punti di prenotazione/ accettazione di Milano con un servizio di monitoraggio a distanza delle attività e un’omogeneizzazione delle procedure già a partire dalla gestione delle code. Il sistema “regola il traffico” in tutte le sala d’attesa attraverso totem che emettono i biglietti per la gestione delle diverse code (accettazione/cassa, prenotazione, accettazione prelievi, consegna referti, utenze fragili,ecc) e tabelloni multimediali che visualizzano la situazione delle chiamate agli sportelli. Con l’introduzione del Sistema, la Spedalità ICP ha a disposizione uno strumento WEB avanzato che gestisce le code e rileva in tempo reale, dati e informazioni di quanto avviene nelle diverse sale d’attesa dei vari presidi al fine di poter meglio governare il processo e migliorare il servizio ai cittadini. Una “cabina di regia” che permette non solo di vedere dove e perché ci siano problemi ma anche di programmare consapevolmente: il sistema tiene in memoria i dati e traccia statistiche su dove ci sia più affluenza di pubblico così da allocare al meglio le risorse. “Siamo molto contenti dei primi risultati ottenuti spiega Silvia Liggeri, Responsabile Spedalità dell’A.O. ICP – la situazione che abbiamo ereditato era estremamente eterogenea, mancava di un sistema di gestione delle code che disciplinasse le chiamate sulla base di un criterio uniforme definito a livello centrale, dando prio-
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Vantaggi organizzativi e benefit per i cittadini derivanti dall’introduzione della piattaforma software MR-You Enterprise ® nelle sale d’attesa degli sportelli CUP, dei Poliambulatori e dei Reparti delle Strutture Sanitarie
rità assoluta alle utenze fragili (che oggi praticamente non aspettano più perché vengono chiamati dal primo operatore libero) e diversificando le attese in base al servizio da erogare. Il sistema misura le performance sede per sede e questo ci ha permesso di riorganizzare le situazioni più critiche riallocando le risorse con l’obiettivo di migliorare il servizio offerto alla cittadinanza”.
Artexe® rappresenta oggi il punto di riferimento in Italia nello sviluppo di soluzioni e servizi innovativi per la gestione dell’accoglienza e delle attese dei cittadini all’interno delle Strutture Sanitarie e non solo. La missione di Artexe è quella di innalzare il livello qualitativo del servizio offerto dai propri clienti al cittadino attraverso l’ottimizzazione dell’utilizzo delle risorse, facendo leva sulle nuove tecnologie ed ottenendo una riduzione dei costi. La piattaforma software MRYou Enterprise® è stata già implementata con successo ottenendo risultati in molti casi oltre le aspettative in diverse strutture sanitarie quali l’A.O. Sant’Anna di Como, l’A.O. di Desio e Vimercate, l’intero network dei punti di prenotazione ICP di Milano e altre ancora, ponendo Artexe come una delle società più referenziate per questo tipo di processi in ambito sanitario. La società dal 2009 supporta la ricerca dell’Osservatorio “ICT in Sanità: l’innovazione dalla teoria alla pratica“ della School of Management del Politecnico di Milano, offrendo la sua expertise in materia di applicazioni ICT a supporto dei servizi al cittadino.
Speciale “sanità”
Una rete allo stato dell’arte supporta le attività delL’AUSL DI PIACENZA
La AUSL di Piacenza fin dal 2002 ha predisposto una pianificazione pluriennale per informatizzare le attività sanitarie e rinnovare le tecnologie impiegate nei presidi dell’AUSL. Avvalendosi delle soluzioni Allied Telesis l’AUSL ha realizzato una piattaforma integrata a supporto delle attività cliniche e tecnico-amministrative, all’avanguardia nel panorama regionale e nazionale. Il progetto ha previsto lo sviluppo e il miglioramento dei servizi al cittadino e l’incremento dei livelli di sicurezza e privacy nella gestione dei dati. Tra i Servizi Ospedalieri, particolarmente utili sono da subito risultate le innovazioni nella gestione del paziente in ospedale: accettazione e dimissione decentralizzata, gestione delle attività di pronto soccorso, cartella clinica informatizzata, gestione delle sale operatorie e degli spostamenti. Grazie a questa infrastruttura, i reparti hanno un’unica interfaccia con il resto dell’azienda, sia per la gestione degli ordini interni (laboratorio, farmacia, radiologia, etc.) sia per la gestione dei dati clinici. Il potenziamento delle reti telematiche è stato necessario per supportare la trasmissione a distanza della diagnostica: condivisione della diagnostica per immagini e degli esami di laboratorio, distribuzione telematica dei referti ai medici di medicina generale, diagnosi e tele localizzazione a distanza per ambulanze, refertazione a distanza di elettrocardiogrammi ed esami della coagulazione per i medici di medicina generale.
Un SISTEMA INFORMATIVO ALL’AVANGUARDIA, maggiore sicurezza dei dati E SERVIZI AL paziente MIGLIORATI grazie alle soluzioni di networking di Allied Telesis
Allied Telesis - leader nella progettazione e realizzazione di soluzioni per il networking – è un’azienda in prima linea nel settore sanitario, costantemente impegnata a perfezionare e aggiornare le soluzioni di infrastruttura resilienti, sicure, affidabili, ad alte prestazioni, per le applicazioni critiche degli operatori sanitari. Allied Telesis si contraddistingue per la capacità di proporre prodotti e architetture robuste, scalabili e economicamente accessibili, per i costi contenuti della tecnologia e la semplicità della configurazione e manutenzione. L’esperienza pluriennale maturata nel mercato dei service provider ha consentito ad Allied Telesis di sviluppare soluzioni assolutamente all’avanguardia, in grado di trattare sia i dati sia la voce e, soprattutto, il video. Questo bagaglio di esperienze, messa al servizio della professione medica, migliora l’efficienza dei servizi sanitari e consente di semplificare, rendere più veloci e più accurate le cure del paziente, sia esso ospedalizzato, ricevuto in ambulatorio o curato a domicilio. Le soluzioni Allied Telesis, inoltre, facilitano il rispetto delle norme per la tutela della privacy e, insieme all’informatizzazione dei servizi in corsia, abilitano una serie di servizi accessori di intrattenimento dei pazienti, che migliorano la qualità della degenza (servizi audio e Internet, e, per il prossimo futuro, i canali pay-per-use e Video-on-Demand).
p er u lt er i o r i i n f o rm a zioni...
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m a n ag e m e nt
di
Gabriele Faggioli (foto)
Legale, ISL e
Il SUCCESSO DI UN PROGETTO ICT comincia da un buon contratto
nicola chessa
Esperto di sourcing IT/TLC e negoziazione, ISL
Nell’acquisto di prodotti e servizi informatici, fornitore e cliente hanno sempre interessi e attese differenti, che tendono a divergere drasticamente soprattutto sul tema delle tutele da prevedere in fase contrattualistica. È quindi di grande importanza, per ridurre il rischio di conflitto e mantenere buone relazioni, impostare il percorso negoziale in modo pianificato e strutturato, cercando di affrontare le singole tematiche nei momenti più opportuni
La contrattualistica sottesa all’acquisto di prodotti e servizi informatici, in considerazione soprattutto dell’impatto che possono avere sulle aziende il fallimento di un progetto o un grave decremento del livello dei servizi forniti da un fornitore, è caratterizzata da un’alta complessità e criticità. In particolare, l’elevato impatto economico, l’alto profilo di rischio intrinseco e la specificità della relazione tra l’azienda cliente e il fornitore nell’acquisto di tecnologie e di servizi informatici e telematici rendono opportuna la definizione di contratti che mirino a contemperare le esigenze di tutela legale con la necessità di preservare la relazione con il fornitore, il progetto o il buon andamento dei servizi. Ancora, la necessaria interazione fra diverse competenze (legali, tecnico-progettuali, acquisti) rende particolarmente utile avviare un percorso negoziale in modo pianificato e strutturato e cercando di affrontare le singole tematiche nei momenti più opportuni. Il ciclo di vita dei siste| 50 |
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mi informativi e del contratto (figura 1) può aiutare a comprendere in quali momenti le tematiche contrattual-legali dovrebbero essere affrontate. È bene considerare inizialmente che, tendenzialmente, l’approccio relazionale e contrattuale proposto dai fornitori mira alla creazione di un rapporto di “partnership” con il cliente. Ma cos’è una partnership? In genere, con tale definizione, si intende un sodalizio, una collaborazione stretta, un rapporto commerciale o economico fra aziende. Evidente è quindi che un rapporto contrattuale cliente/fornitore non può essere considerato una partnership, in chiave strettamente normativa, in quanto non esiste alcun sodalizio o collaborazione stretta in chiave commerciale fra le aziende né tendenzialmente un rapporto mirato alla presenza congiunta sul mercato. Trattasi invece di una relazione caratterizzata dalla presenza di obbligazioni reciproche (e ten-
m a nage m e nt | Il SUC C E SSO DI UN P RO G E T T O IC T cominci a da un b uon contratto
denzialmente contrapposte) che trovano nel contratto la loro formalizzazione e regolamentazione. Pur esistendo sicuramente una potenziale interazione fra le diverse obbligazioni delle parti, si deve considerare che gli interessi sottostanti a un contratto di acquisto di prodotti e servizi informatici e i risultati attesi da ciascuna delle parti non sono mai coincidenti e, anzi, soprattutto sul tema delle tutele, tendono a divergere drasticamente. Come detto, nell’affrontare un percorso negoziale è indispensabile che al tavolo partecipino, perlomeno sul fronte clienti, coloro i quali possano garantire la presenza di tutte le necessarie competenze: legali, tecniche/progettuali, acquisti. Una relazione di acquisto di prodotti e servizi informatici, infatti, deve necessariamente tenere conto delle criticità peculiari che ogni contratto ha e che tendenzialmente non possono essere classificate
in modo univoco a priori. Le diverse competenze mirano proprio alla comprensione delle singole tematiche e quindi all’individuazione di ogni opportuna tutela e regolamentazione che possa aiutare a limitare il pericolo di una deriva della relazione. Sotto questo profilo è bene considerare che non sempre le tutele legali sono quelle più idonee a limitare i rischi di un progetto o di un servizio. Esistono casistiche in cui, per fare un esempio, il fattore tempo è decisivo, e allora la presenza di penali e/o termini essenziali è assolutamente opportuna e altre in cui un eventuale ritardo non pone alcun problema e diventa magari necessaria una tutela più di natura operativa come per esempio una gestione ben strutturata delle change request. Ancora, tutele drastiche quali termini essenziali (che se non rispettati possono determinare la risoluzione del contratto) e clausole risolutive espresse potrebbero risultare del tutto inutili, per quanto efficaci
figura 1 - ciclo di vita dei sistemi informativi e del contratto Pianificazione / Portfolio management
Sviluppo
1
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6
Indagine preliminare
Direzione degli obiettivi e delle specifiche funzionali
Studio di fattibilità tecnica ed economica
Ricerca della soluzione migliore
Identificazione della soluzione migliore
Progettazione Realizzazione Test Avviamento
Individuare le modalità e gli strumenti di risoluzione del problema
Formalizzare gli obiettivi e raccogliere le specifiche funzionali. Individuare le criticità del progetto
Identificare l’ambito funzionale e tecnologico. Identificare i rischi (organizzativi, progettuali e tecnici) e gli impatti economici
Redigere la richiesta di offerta. Incontrare i potenziali fornitori. Condividere la richiesta di offerta. Raccogliere gli elementi tecnici ed economici per la comparazione delle offerte
Comparare le offerte e valutarle nell’ambito del portafoglio complessivo dei progetti aziendali. Affinare l’ambito di progetto. Negoziare le offerte sotto il profilo tecnico ed economico
Svolgere le attività di progetto previste in carico al committente. Monitorare lo stato avanzamento lavori. Corrispondere gli importi dovuti
Fasi del ciclo di vita del contratto
Verifica preliminare
Identificazione dell’oggetto del contratto. Identificazione delle logiche sottese al contratto in funzione delle criticità progettuali
Identificazione dell’impianto contrattuale di massima
Stesura del contratto e dei relativi allegati tecnici
Negoziazione di dettaglio e stipula del contratto
Gestione, modifica, cessazione degli effetti del contratto
Attività legali
Verificare la conformità alle norme di legge del progetto ipotizzato. Verificare la coerenza con le procedure aziendali e i regolamenti interni
Valutare il livello di determinatezza dell’oggetto del contratto e i rischi ad esso correlati. Progettare le prime tutele relative all’impostazione macro dei rapporti con i fornitori
Identificare i rischi legali correlati alle criticità progettuali e progettare le conseguenti tutele contrattuali. Individuare l’impostazione di fondo del contratto
Condividere con i fornitori la prima bozza del contratto e degli allegati. Analizzare eventuali controproposte dei fornitori
Negoziare con i fornitori. Rivedere le clausole alla luce delle controproposte dei fornitori. Valutare i rischi legali alla luce dei nuovi testi. Verificare la coerenza complessiva
Monitorare il contratto e applicare le disposizioni specifiche. Allineare il contratto ad eventuali variazioni di progetto
Fasi del ciclo di vita del sistema informativo
Attività con impatti legali
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management | Il S U CCE S S O D I U N PR OGE T T O I CT co minci a da un b uon contratto
Il contratto, in una visione dinamica, nasce e prende forma nel tempo, viene negoziato sotto una diversa prospettiva e gestito quotidianamente. Diventa sempre più manuale operativo e strumento finalizzato alla prevenzione dei rischi e delle patologie e alla riduzione dei momenti di conflittualità
giuridicamente, in tutti quei contesti nei quali sia di fatto impossibile o palesemente antieconomico, stante il lock-in generato dal fornitore, fare cessare drasticamente gli effetti di un contratto magari nel pieno della realizzazione di un nuovo sistema informativo. Si pensi per esempio a una situazione nella quale il fornitore sia in ritardo, anche in modo grave, ma sia vicino al risultato finale, o qualora si sia fondato un progetto su un prodotto proprietario o preconfigurato nel quale l’assetto dei diritti di proprietà intellettuale, o il dimensionamento del progetto, rendono impossibile o estremamente complessa la presa in carico del progetto stesso da parte di un terzo. In questa ottica, il contratto deve diventare sempre meno strumento di mera tutela giuridica fine a sé stessa e sempre più, invece, strumento operativo per un sereno svolgimento della relazione, in cui permangano chiaramente, senza commistione alcuna, le diverse obbligazioni alle quali le parti saranno chiamate a dare adempimento. Per raggiungere tale obiettivo occorre impostare correttamente, fin dal momento della analisi dei fabbisogni, quale dovrà essere l’impalcatura della relazione contrattuale desiderata. Prima ancora di iniziare la partner selection, pertanto, il committente deve avere chiaro quali siano gli obiettivi da raggiungere, le criticità della singola relazione e quindi, in sede di request for proposal (RFP), specificare come intende strutturare la relazione contrattuale in avvio di negoziazione. Pur non essendo necessario allegare alla RFP il contratto vero e proprio, può essere sufficiente indicare una serie di elementi di natura legal-contrattuale che il committente ritiene dovranno essere la base della futura relazione. Ancora, nella fase di costruzione del testo contrattuale la stesura delle clausole troppo spesso viene demandata esclusivamente ai legali dell’una o dell’altra parte o si privilegia l’uso di standard che in gran parte deviano dalle peculiarità della singola relazione. In realtà, soprattutto sul lato clienti, è | 52 |
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fondamentale che le competenze legali siano in grado di spiegare ai propri colleghi più competenti sul fronte tecnico-progettuali la motivazione delle tutele proposte e, specularmente, che le medesime competenze legali siano a disposizione per recepire le criticità peculiari delle singole relazioni di acquisto per poter poi proporre ogni necessaria previsione. L’obiettivo finale deve quindi essere quello di privilegiare la costruzione di contratti ritagliati sul singolo contesto e sulle caratteristiche della specifica relazione. Durante il confronto negoziale con la controparte è particolarmente utile rendersi disponibili a ascoltare e comprendere le reciproche aspettative. Solo una negoziazione di interessi (e non di posizione), infatti, può permettere di non negoziare esclusivamente sulla base della forza contrattuale e consentire invece la costruzione di tutele che seppur sbilanciate - possono essere comprese e quindi correttamente tarate. Per fare un esempio: la richiesta della presenza di un termine essenziale ancorato a una data finale che se superata renderebbe inutile o gravemente antieconomico il progetto, può essere accettata dal fornitore, nella sua drasticità, solo qualora sia ben chiaro sia effettivamente il rischio che il committente corre. Al contrario, l’inserimento di termini essenziali ancorati a milestone per le quali il rispetto tassativo del fattore temporale è del tutto irrilevante, entro certi limiti, sarebbe un puro esercizio di forza inutile nella costruzione di una relazione serena e equilibrata. La costruzione di un contratto che risulti utile nella gestione delle relazioni future deve quindi avvenire all’interno di un processo cognitivo che risulta di fondamentale importanza anche sotto il profilo della stesura dei documenti tecnicoprogettuali che troveranno la loro ragion d’essere all’interno del contratto. Infatti, il progetto o l’erogazione dei servizi potrà essere guidato limitando l’impatto delle inevitabili tensioni che comunque si genereranno nel corso della vita del contratto,
m a nage m e nt | Il SUC C E SSO DI UN P RO G E T T O IC T cominci a da un b uon contratto
Una negoziazione basata sulla forza è inadeguata alla definizione contrattuale del rapporto fra fornitore di servizi e cliente. È utile invece cercare di ascoltare e comprendere le reciproche aspettative, negoziando gli interessi per costruire contratti ritagliati sul singolo contesto e sulle caratteristiche della specifica relazione
solo qualora si ragioni nello stretto dettaglio delle procedure e delle modalità operative che dovranno essere alla base della relazione. Appare pertanto evidente che la concezione tradizionale di costruzione dei contratti, incentrata sulla ricerca della tutela esclusivamente legale, si mostra inadeguata a disciplinare questo genere di rapporti. In sintesi, riuscire a creare e condividere con la controparte un equo bilanciamento di clausole redatte per “litigare bene” e di altre pensate per “non litigare mai” è senza dubbio uno dei principali segreti per porre le basi di un buon contratto e di una relazione soddisfacente per le parti. Infatti, sebbene non sia possibile affermare con certezza che un buon contratto sia elemento determinante per costruire una “buona relazione”, lo studio dei casi di insuccesso ha portato a constatare come il manifestarsi di una patologia sia spesso dovuto ad un contratto non ben progettato e gestito.
Il contratto, nella visione dinamica qui proposta, non è più considerato come un oggetto che si esaurisce all’interno di una singola fase del ciclo di vita dei sistemi informativi aziendali ma nasce e prende forma nel tempo coerentemente ed in funzione delle attività necessarie alla costruzione delle logiche di impostazione e gestione della relazione. In questo senso il testo contrattuale assume una veste totalmente nuova, cambia radicalmente l’approccio alla sua stesura, viene negoziato sotto una diversa prospettiva e gestito quotidianamente in quanto supporto efficace alla gestione ed al controllo della relazione. Viene esaltato il valore non legale del contratto, che in questa nuova visione diventa sempre più manuale operativo e strumento utile sia per l’azienda che per il fornitore, finalizzato alla prevenzione dei rischi e delle patologie, ed alla riduzione dei potenziali momenti di conflittualità. www.ict4executive.it
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r u b r ic a | r ice rche e st u d i a cura di
paola capoferro ronchetta
ICT e “GREEN”: un connubio necessario In aumento l’occupazione nei servizi innovativi e tecnologici: Uno studio di Confindustria È l’innovazione il traino per la ripresa e la crescita di competitività delle aziende italiane sui mercati internazionali. Questo quanto emerge da uno studio recentemente pubblicato da Confindustria da cui si evidenzia che, in un quadro a livello nazionale ancora poco confortante, nel 2010 è cresciuta l’occupazione nei servizi innovativi e tecnologici, mettendo a segno un +2,5% e un +1,8% rispettivamente nel primo e nel secondo trimestre rispetto allo stesso periodo del 2009, per un totale di 50.000 nuovi addetti. Dalla fine del 2007, precisa il rapporto, questa è la prima volta che si assiste a due trimestri consecutivi di crescita dell’occupazione nel settore dei servizi innovativi e tecnologici, trainata soprattutto dalla componente “indipendenti”, cioè i liberi
professionisti, che ha avuto un aumento del +5,4% invertendo l’andamento negativo dei due anni di crisi 2008-2010 in cui era stata la più penalizzata. A livello di macroarea geografica, la fotografia del nostro Paese rivela un andamento diversificato. Infatti, al Nord-Est e al Nord-Ovest il recupero è spinto dalla componente “indipendenti”, con un +7,1% e un +8.9% rispettivamente, mentre nel Mezzogiorno è la componente “dipendenti” a rafforzarsi (+4,8%) a scapito di quella “indipendenti” (-4,7%). Inoltre, è stato rilevato anche un aumento nel clima di fiducia delle imprese dei servizi innovativi, grazie alle aspettative sugli ordini, aumento che è stato anche confermato dalla crescita negli investimenti pubblicitari del 5% da gennaio ad agosto 2010.
Il crescente interesse verso le tematiche ambientali ha spinto le principali società di analisi a indagare il ruolo delle tecnologie ICT in questo contesto. Le tecnologie informatiche, infatti, non sono “green” per natura, in quanto consumano quantità significative di energia e pertanto sono fonte di emissioni CO2 tutt’altro che trascurabili. Consulenti di A.T. Kearney hanno quantificato le emissioni mondiali legate all’ICT in ca. 600 milioni di tonnellate all’anno, pari alle emissioni di 320 milioni di autovetture. Gartner stima che le ICT siano responsabili del 2% delle emissioni mondiali; d’altro canto, le ICT sono in grado di fornire un importante contributo alla riduzione del rimanente 98% di emissioni di CO2. Nasce da qui l’interesse verso le cosiddette “Green ICT”, ovvero quelle tecnologie informatiche (hardware, software e servizi) che consentono alle aziende di “risparmiare”
energia e ridurre le emissioni. Molte imprese sono attratte dalle “Green ICT” in quanto la riduzione delle emissioni si traduce in risparmi monetari: il costo dell’energia, infatti, è una voce decisamente rilevante nel bilancio aziendale. In realtà, una strategia matura che contempla tali tecnologie è in grado di offrire benefici che vanno ben al di là di tali risparmi e che coinvolgono tutti gli stakeholder: maggiore soddisfazione dei dipendenti, maggiore responsabilità sociale, migliore reputazione nel mercato, possibilità di attrarre nuovi clienti. I prodotti “green” riscuotono interesse crescente da parte dei consumatori. Uno studio effettuato da Booz & Co. mostra che il 10% dei consumatori è disposto a pagare di più per avere un prodotto “green”, ed un ulteriore 60% è interessato in tali prodotti, anche se non è disposto a pagare un
andamento dell’occupazione nei servizi innovativi e tecnologici 12%
Variazioni tendenziali 2007-2010. Elaborazione su dati Istat, Forze Lavoro
10% 8% 5,4%
6% 4%
1,8%
2% 0%
-0,3%
-2% -4% -6% -8% -10%
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II trimestre 2007
Dipendenti
II trimestre 2008 Indipendenti
II trimestre 2009 Totale
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II trimestre 2010
prezzo superiore per averli. A fronte di questo interesse del mercato, qual è il comportamento delle aziende? Forrester ha cercato di comprenderlo con uno studio che ha coinvolto aziende operanti in Europa, Medio Oriente e Africa. Da tale ricerca è emerso che il 28% di coloro che prendono decisioni riguardanti la dotazione IT delle proprie aziende considera molto importanti i fattori ambientali nel processo decisionale che porta all’acquisto, ed un ulteriore 67% li considera abbastanza importanti. Che cosa deve fare un’azienda per utilizzare in modo ecosostenibile le ICT? A questa domanda ha provato a rispondere T-Systems, azienda operante in Germania,che ha osservato che circa il 40% delle emissioni CO2 relative all’ICT è legata a desktop computer e monitor, e un ulteriore 23% è dovuto a server e sistemi di raffreddamento. Agire su questi due fronti può pertanto portare a risultati interessanti. Ma benefici ancora maggiori possono essere ottenuti considerando come le ICT possono impattare sul 98% di emissioni non direttamente legate alle tecnologie informatiche. Al riguardo, si consideri che ben il 50% dell’utilizzo di carburante degli automezzi è legato a traffico e ad una non ottimale pianificazione dei percorsi di routing. I margini di miglioramento sono pertanto decisamente interessanti, e questa sarà certamente una sfida che le aziende dovranno affrontare nei prossimi anni.
RUBRICA | rice rc h e e studi
Sei imprese italiane su 10 sono sul web e 94 su 100 sono collegate a Internet. Fanalino di coda il comparto delle costruzioni e la ristorazione In Italia la diffusione degli strumenti informatici di base è ormai ampiamente consolidata, anche se esiste un consistente digital divide che separa le imprese più piccole da quelle di maggiori dimensioni. Queste le principali evidenze che emergono dai risultati diffusi a dicembre 2010 dall’Istat sull’uso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione nelle imprese con almeno 10 addetti attive nell’industria e nei servizi. Sono escluse, dunque, le microimprese e le aziende del settore Finance, dove l’adozione delle tecnologie è da sempre molto alta. Dalla ricerca – effettuata su un campione di 37.349 imprese, rappresentativo
di un universo di 222.790 imprese – risulta infatti che il 95,1% utilizza il computer e il 93,7% dispone di una connessione Internet, a cui l’83,1% accede tramite servizi a banda larga, e il 18,6% con connessioni mobili. L’utilizzo delle tecnologie informatiche è comunque fortemente differenziato per settore di attività economica. Il comparto ICT, che include le attività ad alta intensità tecnologica dell’industria e dei servizi, è, come ovvio, la punta di diamante, con nove addetti su dieci che utilizzano il computer, mentre sui livelli più bassi di utilizzo si collocano il settore delle costruzioni (26,5%), quello dei servizi di ristorazione (12,1%) e al-
cune attività di servizi alle imprese quali noleggio, ricerca di personale, vigilanza (20,2%). A gennaio 2010 sei imprese su dieci erano presenti sul web con un proprio sito, percentuale che raggiungeva l’80,7% in quelle del settore ICT. Relativamente alla dimensione d’impresa, si passa dal 58,7% di presenza delle imprese minori a circa il 90% di quelle con almeno 250 addetti. I dati dello studio confermano come per molte imprese italiane la tecnologia sia ancora considerata un mero supporto alle attività operative, piuttosto che un vero e proprio asset strategico in grado di dare un vantaggio competitivo.
Cresce il ruolo della Intranet a supporto del Business Process Management nelle aziende bancarie italiane: Una ricerca Abi Lab - School of Management del Politecnico di Milano La necessità di fare efficienza è oggi al centro dell’attenzione del mondo bancario e l’ICT è lo strumento in grado di supportare le rinnovate esigenze. La rete intranet, in particolare, gioca il ruolo di “primadonna” tra i progetti ICT delle banche italiane, con investimenti destinati ad aumentare nei prossimi anni, con l’obiettivo di favorire la collaborazione tra i dipendenti e diffondere la conoscenza. Secondo quanto emerge dal 7° Rapporto dell’Osservatorio Intranet Banche pubblicato dalla School of Management del Politecnico di Milano e ABI Lab, che ha coinvolto 14 imprese bancarie rappresentative di oltre il 75% del sistema in termini di dipendenti, è in atto un’apertura verso nuovi utilizzi dei portali aziendali, sempre più intesi come un workspace
unico flessibile, integrato con le applicazioni operative, in grado di supportare i processi aziendali e di promuovere un modello di lavoro in rete fortemente collaborativo. Non stupisce quindi che le principali iniziative intranet programmate dalle banche si focalizzino soprattutto sull’introduzione di strumenti di collaboration, di knowledge management e di Enterprise 2.0, quali blog e social network. Ma oltre ad essere lo strumento in grado oggi di rispondere alle necessità di gestione della conoscenza e di supporto alla collaborazione, la Intranet si afferma a pieno titolo come il canale primario di veicolazione delle informazioni a corredo dei processi, con un orientamento trasversale alle diverse fasi del Business Process Management (BPM), a sup-
porto della riorganizzazione dei modelli operativi. Ed è proprio per rendere più ampio il coinvolgimento delle diverse funzioni aziendali nel percorso verso il BPM che diventa fondamentale individuare le nuove modalità di organizzazione dei contenuti da pubblicare sulla intranet, rendendoli facilmente leggibili, monitorabili, aggiornabili e ricchi di indicazioni operative. Quello a cui si assiste oggi è quindi un passaggio ad una intranet che da un lato si arricchisce di un maggior numero di funzionalità e dall’altro si propone come una piattaforma in grado di supportare l’azienda nei processi più strutturati e di abilitare i processi organizzativi caratterizzati dalle esigenze di relazione, collaborazione, confronto e supporto decisionale delle persone.
In aumento le esportazioni in Italia. Il Mezzogiorno riduce il gap con le regioni settentrionali: Una Ricerca Istat Il 2010 è stato l’anno della ripresa delle esportazioni nel nostro Paese. Secondo quanto emerge dall’ultimo rapporto ISTAT sul tema, il trend positivo ha interessato tutte le regioni italiane con rialzi a cifra doppia. Al primo gradino del podio c’è l’Italia insulare – che con l’incremento delle esportazioni di prodotti petroliferi raffinati ha raggiunto un +51,7% - seguita dall’Italia centrale (+17,2%) e meridionale (+15.9%), che hanno registrato aumenti superiori alla media nazionale. Andando più in profondità, i maggiori incrementi delle esportazioni per le regioni che contribuiscono di più ai flussi commerciali verso l’estero interessano la Sardegna, la Sicilia, il Lazio, la Puglia, il Trentino-Alto Adige e l’Abruzzo. Dall’analisi dei flussi è emerso inoltre che nel Mezzogiorno – che detiene la quota inferiore sul totale dell’export italiano - le esportazioni sono aumentate del 27%, rivolgendosi soprattutto verso i
paesi extra Ue con variazioni particolarmente significative per Russia, paesi Mercosur (America del Sud) e Turchia. Un incremento interessante è stato registrato, per quanto riguarda l’area Ue, anche per le esportazioni verso la Spagna. Per tutte le altre regioni l’incremento maggiore riguarda principalmente le esportazioni verso i Paesi dell’Unione Europea. Dal punto di vista dei prodotti e della regione di origine delle esportazioni, incrementi significativi si sono avuti dalla Lombardia per metalli di base e prodotti in metallo (esclusi macchine e impianti), sostanze e prodotti chimici, computer, apparecchi elettronici e ottici, macchinari ed altri apparecchi; dalla Sicilia e dalla Sardegna coke e prodotti petroliferi raffinati; dall’Emilia Romagna e dal Veneto macchinari ed altri apparecchi; dal Lazio articoli farmaceutici, chimico-medicinali e botanici; dal Piemonte mezzi di trasporto esclusi gli autoveicoli.
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r u b r ic a | n om in e Gianluca Baini Presidente e Amministratore Delegato di Alcatel-Lucent Italia Gianluca Baini è il nuovo presidente e amministratore delegato di Alcatel-Lucent Italia, con responsabilità per le attività del Gruppo nell’area Mediterraneo che include, oltre all’Italia, Grecia, Malta, Cipro, Israele, Territori Palestinesi e, da quest’anno, anche Libia, Marocco, Tunisia, Algeria e Mauritania. 46 anni e una laurea in ingegneria elettronica all’Università la Sapienza di Roma, Stefano Baini è entrato in Lu-
cent Technologies nel 1999, dopo aver svolto attività nel campo della progettazione per Microdesign e Alenia Spazio (Finmeccanica). Dopo aver ricoperto il ruolo di direttore commerciale per i clienti Omnitel – Vodafone e H3G a livello nazionale e quindi per Vodafone Sud Europa, nel 2004 ha assunto la responsabilità dell’intero account mondiale Vodafone, mantenuta successivamente anche in Alcatel-Lucent.
Lieto di cogliere questa sfida, Baini metterà a disposizione l’esperienza realizzata in questi anni nell’ambito dell’azienda, sviluppando progetti di ampio rilievo per un grande operatore internazionale, con l’obiettivo di lavorare con il suo team per essere ancor più vicini ai clienti e ai loro processi di trasformazione, in un mercato sempre più basato sulla convergenza di tecnologie, servizi, contenuti.
Davide Piras Presidente e Amministratore Delegato di Bristol-Myers Squibb Italia Daniele Schinelli Amministratore Delegato di Motorola Spa
Davide Piras è stato nominato Presidente e Amministratore Delegato di Bristol-Myers Squibb Italia e European Vice President. Nel suo nuovo incarico riporta direttamente a Ron Cooper, President Europe. Piras rientra in Italia a distanza di dieci anni per guidare una delle sedi di maggiore rilevanza strategica del Gruppo: l’Italia è il terzo mercato dopo USA e Francia, con un volume di affari di oltre 600 milioni di euro. Romano, 48 anni, sposato con una figlia, Piras ha conseguito a Bologna la Laurea in Agraria e l’MBA alla Profingest Management
School. Ha completato poi il CEDEP General Management Programme all’INSEAD a Fontainbleu. Nel 1998 Piras approda in Bristol-Myers Squibb dopo aver maturato esperienza in importanti aziende nel settore farmaceutico. Nel 2001 si trasferisce oltreoceano per ricoprire incarichi con sempre maggiori responsabilità negli Headquarter in USA e Canada: Direttore Marketing Reyataz, General Manager di Mead Johnson Nutritionals Canada, Senior Director Marketing Efavirez, Vice President Marketing HIV e, infine, Vice President Marketing Franchise Diabete.
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Daniele Schinelli è stato nominato Amministratore Delegato di Motorola S.p.A. e ricopre la carica di Country Manager per l’Italia di Motorola Solutions, con responsabilità per lo sviluppo e l’implementazione delle strategie di vendita in Italia delle soluzioni di Motorola destinate alle aziende e agli enti pubblici. Dal 2000 al 2006 Schinelli è stato Amministratore Delegato della Filiale Italiana di Symbol Technologies, dov’era entrato nel 1994 come Service Director con responsabilità per il coordinamento di tutte le attività attinenti il Customer Service, il Professional Service e il marketing operativo. Prima di entrare in Symbol, Daniele Schinelli aveva ricoperto l’incarico di Professional Services Director di ICL, dov’era stato coinvolto nella definizione di importanti pro-
getti nel settore della grande distribuzione, contribuendo al successo e alla crescita che ICL ha conseguito nel mondo dei servizi. Prima ancora, aveva lavorato in UNISYS come coordinatore di tutte le attività tecnico progettuali della divisione Business Fi-
nance, partecipando allo sviluppo di progetti nel settore dell’automazione bancaria e contribuendo alla definizione delle politiche di marketing della Business Unit stessa. Daniele Schinelli è laureato in Fisica Nucleare all’Università di Pavia.
RUBRICA | nomine
Marco Patuano Amministratore Delegato di Telecom Italia
Dal 12 aprile, Marco Patuano sarà il nuovo Amministratore Delegato di Telecom Italia, subentrando a Franco Bernabè che ricoprirà la carica di Presidente esecutivo del gruppo. Nato ad Alessandria il 6 giugno 1964, Patuano si laurea in economia aziendale all’università Bocconi di Milano. Inizia la sua car-
riera professionale nel maggio 1990 in SIP - Direzione Generale. Fra il 1990 e il 2002 opera in diversi settori dell’Area Amministrazione Finanza e Controllo, con incarichi di crescente responsabilità all’interno della Direzione Finanza tra il 1998 e il 2002. Nell’aprile 2003 è nominato CFO di Tim Brasil e di Telecom Italia America
Latina S.A., società partecipata dal Gruppo, con sede in Brasile. Dal 2004 al 2006 è General Manager di Telecom Italia Latam, per passare poi in Telecom Argentina, assumendo la posizione di Direttore della Telefonia Fissa; a partire dal maggio 2007 a luglio 2008 è Direttore Generale Operativo della stessa Telecom Argentina. In Telecom Italia ricopre dall’agosto del 2008 la carica di Chief Financial Officer e da novembre 2009 di Direttore di Domestic Market Operations di Telecom Italia. Patuano è inoltre il Consigliere di Amministrazione di altre società del Gruppo: Telecontact, Telecom Italia International, Telecom Italia Media, TIM Participações, Telecom Italia Sparkle S.p.A., Shared Service Center S.r.l., Wholesale Applications Community Ltd. e Fondazione Telecom Italia.
Stefano Lorenzi Amministratore Delegato di Sirti Stefano Lorenzi è stato nominato Amministratore Delegato di Sirti SpA. Al manager, 45 anni, laureato in Ingegneria delle Telecomunicazioni presso l’Università di Ancona, spetterà il compito di guidare lo sviluppo della società dopo il completamento del processo di ristrutturazione finanziaria, grazie alla significativa esperienza maturata nel settore delle Tlc sia in Italia che all’estero. Dal 2008 al 2010 Lorenzi è stato Presidente e Amministratore Delegato di Alcatel Lucent Italia. Dal 2006 ha coordinato dagli Stati Uniti tutte le attività di Operations & Services nel Centro e Sud America per il neonato colosso delle telecomunicazioni AlcatelLucent. Nel 2003 Lorenzi è approdato in Alcatel all’interno della divisione Optics,
prima come responsabile mondiale delle attività Customer Project and Services e poi del business in Europa, Africa, Medio Oriente e America Latina. In precedenza ha ricoperto la carica di Vice President Country Operations EMEA in AT&T Global Services in Bel-
Lars Petersson Amministratore Delegato di Ikea Italia Lars Petersson è il nuovo Amministratore Delegato di Ikea Italia. Arrivato direttamente dal quartiere generale di Ikea Giappone, dove ha ricoperto dal 2005 la carica di Presidente e Amministratore Delegato, Petersson ha preso il posto di Roberto Monti, che dal primo settembre è stato nominato Regional Manager Sud Est Europa del Gruppo. Nato Ströby (Svezia) nel 1959, sposato con due figli, Petersson ha conseguito nel 1983 la laurea in Marketing presso l’università svedese di Lund. Conclusi gli studi ha iniziato a lavorare nel negozio Ikea di Malmö,
come group leader, dove è rimasto fino a 1987 con la posizione di Sales manager. In Ikea ha ricoperto cariche di sempre maggiore responsabilità: dal 1987 al 1991 è stato Sales leader e Sales manager per Retail Svezia nel comparto Ikea Svenska försäljnings AB; dal 1991 al 1995 Sales Manager Mobili per Ikea Northern Europe AB, dal 1995 al 2001 Marketing Manager per Ikea Italia SpA; dal 2001 al 2005 Global Marketing Manager di Ikea International, Svezia. La vita fuori Ikea si concentra sulla famiglia ma anche sulla musica: suona il basso e l’armonica.
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gio, dopo aver trascorso sei anni nel Paese per occuparsi della nascita e dello sviluppo di una start-up. Dal 1991, infine, Lorenzi ha maturato una significativa esperienza di altri sei anni all’interno di Telecom Italia, lavorando prima in Argentina e poi presso la sede romana del Gruppo.
r u b r ic a | who’ s who cio Paolo Ciceri Direttore Sistemi Informativi, la Rinascente
Paolo Ciceri è nato a Milano nel 1962. Nel 1982 è entrato in Etnoteam dove, fino al 1993, si è occupato di sistemi operativi, linguaggi di programmazione e modelli d’interazione uomo/macchina. Nel 1993 ha assunto la carica di Direttore della divisione software di Diagram, società del gruppo France Télécom specializzata nella fornitura di servizi e prodotti per il mondo bancario e assicurativo, ed è stato membro del
comitato tecnico di Gruppo. Dal 1997 al 1998 ha collaborato con diverse società di consulenza strategica, per approdare in ENEL a marzo 1998. Dal 1998 al 2002 è stato Direttore della funzione Applicazioni Informatiche di SEI, società di servizi del Gruppo. Nel 2003 è passato in Sfera, società, sempre del Gruppo ENEL, afferente alla Direzione Risorse Umane, come responsabile della funzione Knowledge Manage-
ment e E-Learning. In questo periodo è stato anche responsabile dei sistemi del personale. Dopo un passaggio come Program Manager per il marketing nel progetto Go to Market, nel 2006 è entrato a far parte della Direzione Sistemi Informativi come responsabile dell’Area Gestionale. Nel 2008, uscito da ENEL, è stato Amministratore Delegato del Gruppo NET che comprende quattro società di consulenza in Italia, operanti nei settori: Fashion, SAP, logistica e business intelligence, e di due società all’estero. A partire da gennaio 2009 è Direttore dei Sistemi Informativi de laRinascente, storica catena di department store acquisita nel 2005 da un gruppo di investitori: Investitori Associati, Deutsche Bank, Pirelli Real Estate SpA e famiglia Borletti. L’azienda conta 11 punti vendita e un concept store, 60.000 metri quadrati di spazio commerciale, 29 milioni di visitatori, 420 milioni di fatturato.
Giuseppe Biassoni, Direttore ICT, Rai – Radiotelevisione Italiana
Giuseppe Biassoni è attualmente il Direttore ICT della RAI – Radiotelevisione Italiana. Laureatosi in Matematica con tesi presso Olivetti, dopo una esperienza di progettazione in Fiat di tre anni, inizia a lavorare in Agusta passando dal settore tecnico di progettazione alle tematiche di processo produttivo, interessandosi dell’ambiente CAD/CAM. Successivamente Agusta gli propone un
Mauro Viacava, Chief Information Officer, Gruppo Barilla Mauro Viacava ricopre dal 1994 il ruolo di Chief Information Officer, del Gruppo Barilla. In precedenza ha accumulato significative esperienze in importanti multinazionali, quali Mobil Oil, Ciba Geigy, Pharmacia & Upjohn, Indesit Company, sia in Italia che all’ Estero. Ha quindi sviluppato una profonda conoscenza dei processi di business avendo l’opportunità di interagire e motivare risorse umane aventi culture diverse tra loro. Il suo percorso professionale si contraddistingue per aver ideato
e realizzato rilevanti progetti di trasformazione aziendale aventi come oggetto non solo i sistemi informativi, ma soprattutto il cambiamento dei processi di business e dell’organizzazione. Si è inoltre occupato di innovazione, di “Business Process Reengineering”, di ristrutturazioni e cambiamenti organizzativi in realtà particolarmente complesse ed internazionali. È stato consigliere di amministrazione di Adrialab srl; Managing Director di Tradeplace BV; Consigliere Direttivo dell’Anuit.
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è una testata di ICT and Strategy S.r.l.
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Direttore responsabile Manuela Gianni (manuela.gianni@ict4executive.it)
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cammino di sviluppo professionale attraverso l’Istud di Belgirate, una scuola di sviluppo delle abilità direttive. Dopo un’esperienza in Direzione Tecnica in cui si occupa di definire e progettare il sistema informativo di Progettazione, arriva agli inizi degli Anni 80 alla Direzione dei Sistemi Informativi, unificando i sistemi tecnici con il resto dei sistemi informativi aziendali. Dal 1985 lavora come responsabile dei Sistemi Informativi di ITT, Gruppo multinazionale americano con un’importante branch in Europa, dedicata principalmente alla realizzazione di centrali telefoniche digitali. Successivamente, con la vendita di ITT entra in Telettra/Alcatel, azienda specializzata nel settore delle telecomunicazioni. Attraverso responsabilità crescenti e formazione internazionale presso l’Insead di Fontainbleu diventa Direttore dei sistemi di Alcatel Italia. Dal 1997 è in RAI, la società concessionaria in esclusiva del servizio pubblico radiotelevisivo italiano, una delle più grandi aziende di comunicazione d’Europa.
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